Sono complessivamente 140 i migranti sbarcati in due giorni al porto di Crotone negli ultimi due giorni. Due le imbarcazioni che sono state intercettate al largo della costa crotonese dalle unità navali della Guardia di Finanza. Il primo sbarco si è registrato la notte scorsa quando sono approdate in porto 69 persone tra cui 51 uomini, 8 donne e 10 minori provenienti da Afghanistan, Iran, Iraq e Siria.
Poche ore dopo, nelle prime ore di stamani c’è stato un secondo sbarco di 71 persone tra cui 11 donne e 11 minori. Sei persone sono state trattenute dalla Guardia di finanza in quanto ritenuti essere gli scafisti. Le operazioni di sbarco sono state coordinate dalla Prefettura di Crotone e gestite dalla Questura di Crotone. Al porto anche i sanitari del Suem 118. All’arrivo i migranti sono stati accolti dalla Croce Rossa Italiana che ha proceduto al loro trasferimento presso il centro di accoglienza di Sant’Anna.
Vladimir Luxuria, opinionista televisiva e attivista Lgbt. Domani riceverà una targa nell’ambito del Premio giornalistico sportivo “Franco Razionale” di Crotone, giunto alla XV edizione e promosso dall’associazione “Forza Crotone Alè”.
Si parlerà di violenza di genere e di omofobia, in concomitanza, però, con la festa della Madonna di Capocolonna. Questa coincidenza ha generato uno sciame di polemiche che tengono banco da giorni nella città pitagorica. Ne abbiamo parlato direttamente con lei in una intervista esclusiva a I Calabresi.
L’ex coordinatore provinciale della Lega a Crotone, Giancarlo Cerrelli
Vladimir Luxuria, la tua presenza a Crotone sta destando scalpore. L’ex coordinatore provinciale della Lega, Giancarlo Cerrelli, ha parlato di oltraggio alla festa della Madonna di Capocolonna.
«Ma per carità. Veramente si attaccano a queste cose? Io non ho parole. Non hanno altro di cui occuparsi? Ma beati loro. Io sono cattolica, cosa c’entra tutto questo? Mi sento offesa come credente. Come si fa a pensare che la presenza di una persona trans sia un oltraggio alla Madonna? Forse è un oltraggio dire queste parole. Chi decide chi è degno di essere credente o meno? Tra l’altro voglio ricordare che poche settimane fa io ho parlato dentro una Basilica sul tema della transessualità. Alla Basilica di San Giovanni Maggiore, invitata dal sacerdote don Salvatore, ho parlato di Chiesa inclusiva. Ricordo anche che il 22 febbraio, come tutte le Candelore, vado al Santuario di Montevergine, dove vengo sempre accolta dall’Abate, per devozione a Mamma Schiavona, la Madonna di Montevergine. Se vuole posso fornire io qualche altro pretesto per attaccarmi, ma questo è quello più assurdo. Non escludo che domani io possa pregare al Duomo di Crotone».
Vincenzo Voce, sindaco di Crotone
A Crotone un anno e mezzo fa il Consiglio comunale approvò una mozione contro il Ddl Zan, il sindaco fece dietrofront. E oggi cosa si aspetta Vladimir Luxuria?
«Sinceramente non so quanta possibilità abbia il Ddl Zan di essere approvato. L’importante è che se ne parli. Mi piacerebbe che questo tema si sganciasse da ideologie di partito. L’importante, per me, è che si consideri il contrasto alla violenza fisica e verbale per orientamento sessuale o identità di genere qualcosa che riguarda tutti. E se un consigliere comunale di Crotone che ha votato una mozione contro il Ddl Zan un giorno dovesse avere un amico, un parente, un nipote che torna a casa in lacrime per una offesa subita per il suo orientamento sessuale o con un occhio livido perché gay, lesbica o trans? Forse questo consigliere comunale si pentirebbe per il voto che ha espresso. Mi auguro che su questo tema si possa trovare una convergenza ampia, bipartisan.»
Intanto la legge regionale calabrese contro l’omofobia è stata affossata dal Pd. Quanta omofobia c’è anche a sinistra?
«Purtroppo c’è. È vero che la maggior parte delle volte le aperture vengono sempre dalla sinistra. Però, quelle che da noi sono le eccezioni rispetto a certi atteggiamenti, in altri ambiti come in Fdi e Lega, sono la maggioranza. A destra le eccezioni, invece, sono quelle che si distinguono favorevolmente».
A proposito di destra. Ricorda il volantino della Lega a Crotone nel 2019 sul ruolo della donna «sottomessa all’uomo, buona solo per fare la madre e non adatta a fare la rivoluzione».
«Che anno era? 2019 avanti Cristo o dopo Cristo? Le donne non sono adatte a fare le rivoluzioni, sono obbligate! C’è ancora questo retaggio maschilista preistorico, da uomo delle caverne, come nelle vignette dove l’uomo trascina per i capelli la donna nella grotta. Bisogna andare molto oltre».
Hai sostenuto il referendum costituzionale del 2016. Pensi che senza il bicameralismo attuale sarebbe stato più facile approvare le leggi sui diritti, dal Ddl Zan alla legge sul doppio cognome?
«Ero favorevole per una questione proprio di praticità. Avendo fatto anche la parlamentare conosco le lungaggini. Questi passaggi continui portano veramente a tempi lunghissimi. Si parla tanto dei tempi della giustizia, ma bisognerebbe parlare anche dei tempi per le approvazioni delle leggi. A volte capita anche che, cambiando la legislatura, occorra rifare tutto da capo. I tempi sono davvero troppo lunghi».
Vladimir Luxuria in prima linea nel sostegno al Ddl Zan
Ti manca il Parlamento? Ci torneresti?
«Ci sono momenti in cui desidererei essere lì a dire la mia o a proporre delle leggi, ma penso si possa fare politica in tanti modi. Anche parlando di un tema importante come l’omofobia e lo sport a Crotone. Penso sia molto importante.»
A Carfizzi, appena 506 abitanti tra la Sila crotonese e la costa jonica, la storia, anche quella contemporanea, sfocia nella leggenda.
A Carfizzi, che sorge su una collina a poco più di 500 metri sul livello del mare, c’è un’ulteriore altura, la Montagnella, in cui confluiscono tre sentieri, che partono dal centro del paesino e dalle vicine Pallagorio e San Nicola dell’Alto.
Bandiere rosse sventolano sulla Montagnella di Carfizzi negli anni ’70
Sono tre comuni arbëreshë dalla demografia ridotta al minimo dall’emigrazione. E tuttavia, hanno una memoria importante.
Carfizzi: avanguardia contadina
Le comunità albanesi di Calabria hanno una vocazione particolare: essersi trovate in prima linea in tutte le grandi trasformazioni storiche. Fu così per il Risorgimento e per il fascismo. Ma anche per l’antifascismo.
A riprova che nella Calabria contemporanea povera e arretrata ci fu sempre chi desiderò un futuro diverso. Ma gli arbëreshë, forse, lo desiderarono di più.
Ed ecco che il primo maggio 1919 si svolse proprio sulla Montagnella di Carfizzi la prima lotta pubblica dei contadini, in perfetta sincronia con quanto avveniva al Nord in quegli stessi anni di crisi profonda e in anticipo o quasi sul resto del Mezzogiorno.
Pasquale Tassone: il dottor Lavoro
Si potrebbero riempire interi tomi sulle condizioni dei braccianti agricoli calabresi a cavallo tra XIX e XX secolo.
Terribile ovunque, la vita dei contadini non proprietari era pessima nel Crotonese, dove il latifondo aveva resistito a tutti: francesi, Borbone e liberali. E c’era di peggio: il livello di vita dei minatori. La parola chiave di questa situazione, che rispecchiava alla perfezione gli schemi marxisti, è: sfruttamento.
L’urna di famiglia di Pasquale Tassone
Erano senz’altro una forma di sfruttamento, a tratti odiosa, le 12 ore al giorno di lavoro nei campi di Carfizzi e Pallagorio e nelle zolfatare di San Nicola per compensi da fame.
La prima protesta, pacifica, fu organizzata da Pasquale Tassone, medico e sottufficiale del Regio Esercito, fresco reduce della Grande Guerra e si svolse, appunto, il primo maggio del 1919.
Tassone, di idee socialiste come molti esponenti della borghesia emergente dell’epoca, riuscì a organizzare i lavoratori per dare il via a una serie di manifestazioni dal forte simbolismo. L’unità tra operai e contadini, tanto predicata da Gramsci (un altro albanofono illustre), si realizzava anche nella Calabria profonda, in occasione del primo maggio.
In perfetta coerenza con le proprie idee, il medico operaio divenne antifascista. E forse pagò con la vita la sua scelta e le sue lotte: morì per un colpo di fucile ricevuto in circostanze mai chiarite il 12 dicembre del 1935.
Carfizzi e non solo: storia della manifestazione
Il primo maggio “albanese” subì, va da sé, un’interruzione durante il Ventennio.
Ma anche a questo riguardo, non mancano le leggende metropolitane: c’è chi sostiene che i braccianti e gli operai della zona abbiano continuato a celebrare di nascosto la festa dei lavoratori sulla Montagnella, magari approfittando della tolleranza dei notabili locali.
Tuttavia, il primo maggio della Montagnella riprende alla grande solo a partire dal 1946, quando l’amministrazione dell’Amgot (il governo militare alleato), non proprio favorevole alle manifestazioni operaie, lascia il territorio alle contese tra la Dc e il Fronte popolare.
Contadini in marcia nel Crotonese
La ripresa, raccontano le poche fonti d’epoca, avvenne in grande stile, con tre grossi cortei che invasero pacificamente la Montagnella per celebrare la prima vera Festa dei lavoratori del dopoguerra.
Da allora in avanti, il copione di questo Primo maggio arbëresh è rimasto più o meno invariato: il raduno sulla cima dell’altura, l’immancabile comizio dei “forestieri”, cioè dei dirigenti sindacali della “triplice”, regionali e non solo, e poi la festa.
Ma negli anni ’40 il clima era tutt’altro che allegro e il sindacato non era affatto “imborghesito”, come oggi.
Disordini e tragedie: Giuditta Levato
Giuditta Levato
La fine della guerra aveva riacceso le vecchie tensioni sociali, calmierate dal fascismo col classico “bastone e carota” tipico delle dittature.
La legge Gullo, in particolare, aveva rilanciato le speranze dei braccianti di poter diventare proprietari, vivere del proprio e non più sotto padrone.
La questione delle terre, irrisolta dai tempi delle Due Sicilie, riesplose con le occupazioni dei contadini.
La morte tragica di Giuditta Levato, colpita a morte da una fucilata a Sellia Marina durante una protesta contro il barone Mazza, chiuse in maniera tragica il 1946. Ma il peggio doveva arrivare.
Arresti e strage: Carfizzi e Melissa
Nel 1949 la borghesia italiana tira un sospiro di sollievo: la Dc ha vinto le Politiche dell’anno prima e l’Italia resta a Ovest.
Tuttavia, le tensioni restano altissime, in particolare sulle coste orientali della Calabria, dove si verifica un’imponente manifestazione di massa: circa 14mila contadini occupano le terre abbandonata o “usurpate” dai vecchi notabili, trasformatisi da feudatari in latifondisti.
Più che rivoluzionaria, la pretesa dei braccianti è legalitaria: il rispetto delle norme della legge Gullo, su cui la Dc, all’epoca vicina ai terrieri, era piuttosto “tiepida”.
Il ricordo delle vittime della strage di Melissa
In questo contesto, in cui la fobia anticomunista giustifica le strette autoritarie, sedici contadini di Carfizzi vengono arrestati. La loro colpa? Aver partecipato a una manifestazione per l’occupazione delle terre.
Ma la tragedia vera e propria avviene a Melissa, per la precisione nel feudo Fragalà, di cui il maggiore proprietario è il barone Luigi Berlingieri.
Ottobre di sangue
Su questo feudo c’è una contesa antica. I napoleonici ne avevano assegnato metà al demanio. Tuttavia, gli ex feudatari avevano di fatto “usurpato” la parte pubblica, destinata ai contadini poveri. E questa situazione si era protratta fino alla legge Gullo.
L’esplosione delle proteste spinge i dirigenti calabresi della Dc a chiedere aiuto a Roma, in particolare al Ministero dell’interno, presieduto da Mario Scelba, un duro animato da un anticomunismo a prova di bomba. Scelba invia i reparti della Celere, il corpo di polizia antiguerriglia di fresca costituzione. Uno di questi reparti si stabilisce proprio a Melissa, dove la tensione tra i contadini e il barone Berlingieri è alle stelle.
La storica prima pagina che il settimanale satirico Cuore dedicò alla morte dell’ex ministro Scelba
Il29 ottobre, la tragedia: i celerini caricano la folla dei manifestanti. E sparano ad altezza uomo: prima proiettili di legno, poi quelli veri.
Nel parapiglia, restano colpiti 18 contadini. Due di loro muoiono sul colpo: sono il 30enne Francesco Nigro e il 15enne Giovanni Zito. Angelina Mauro, una ragazza di 23 anni, viene soccorsa. Ma inutilmente: morirà poco dopo per le ferite ricevute.
Il primo maggio borghese
In memoria di quella tragedia, a Carfizzi l’artista Antonio Cersosimo ha realizzato nel 1998 il “Monumento al I maggio” una scultura in marmo che svetta in cima alla Montagnella.
I tempi sono cambiati per fortuna, e la miseria da cui sono scaturite quelle tragedie è un ricordo.
Il monumento sulla Montagnella
La Montagnella del 2022, riprende dopo due anni di interruzione dovuta alla pandemia, con un tema antico: la sicurezza sul lavoro, affrontato da Angelo Sposato, segretario generale della Cgil Calabria, Santo Biondo, il suo omologo della Uil, Giuseppe De Tursi e Rossella Napolano, dirigenti della Cisl della Calabria centrale. A chiudere, il concerto di Eugenio Bennato, un habitué di queste iniziative.
A 104 anni di distanza dalla prima Montagnella il lavoro resta un’emergenza, con ben altre tragedie.
Cinquantaquattro conferenze dei servizi dopo, non è successo niente. Seguire le notizie sul Sin di Crotone può far venire un senso di nausea e ridondanza. Una serie infinita e sfiancante di proclami, promesse non mantenute, tavoli di discussioni mai conclusi, attese. E una tragica mancanza di progettualità, di visione del futuro per una zona immobile da troppo tempo.
Il prossimo 26 novembre la città festeggerà un triste anniversario. Saranno 20 anni da quando l’ex zona industriale tra Crotone, Cerchiara e Cassano dello Ionio è finita nell’elenco dei Siti d’Interesse Nazionale. Sotto questo titolo si raggruppano le aree più inquinate del nostro Paese, contaminate ad un livello tale da essere un rischio per la salute umana.
Pezzi d’Italia compromessi da sostanze nocive, che hanno bisogno di interventi di bonifica profondi prima di tornare alla comunità, quando è possibile farlo.
«La città ha perso tutta la sua economia, basata sulle industrie, e ancora non si capisce cosa succederà su quel terreno di fronte al mare», ci spiega, con tono rassegnato, Paolo Asteriti, segretario provinciale del WWF, una delle tante associazioni ambientaliste presenti a Crotone che sta lottando per tenere alta l’attenzione sul tema delle bonifiche.
Metalli pesanti
Con il Sin di Crotone ci riferiamo, soprattutto, a 530 ettari di terreno che costeggiano lo Ionio poco al di fuori della città. Una grossa ex area industriale, legata al reparto chimico e al trattamento dei rifiuti, con una buona presenza di industrie alimentari. Gli impianti principali appartenevano all’ex Pertusola. In quegli stabilimenti si fabbricava soprattutto lo zinco: è stata la più grande fabbrica della Regione, fin quando è stata operativa. Inoltre, la zona comprende gli stabilimenti della ex Fosfotec, la ex Agricoltura, e la ex Sasol Italia/ex Kroton Gres.
«Crotone è stata un’area particolarmente importante per tutta Europa per la produzione dello zinco dalle blende, nella zona dell’ex Pertusola. Però, è emersa la presenza di contaminazione legata alle industrie della produzione dell’acido fosforico, di ammoniaca e così via. Una sorta di contaminazione mista, legata soprattutto al tema dei metalli pesanti» ci spiega Mario Sprovieri, dirigente di ricerca del CNR e responsabile scientifico del progetto Cisas, il Centro Internazionale di Studi Avanzati su Ambiente, Ecosistema e Salute umana.
Mario Sprovieri
Tra le tante cose, il centro ha portato avanti il progetto SENTIERI, lo studio epidemiologico più completo sui siti d’interesse nazionale, volto a monitorare gli impatti delle sostanze inquinanti sulle popolazioni circostanti. Stando alle rilevazioni, gli inquinanti presenti nel terreno e nel mare di Crotone sono soprattutto cadmio, zinco, piombo e arsenico: la zona del porto, inoltre, ha registrato alti livelli di mercurio, cromo e rame, così come di DDT2.
Le bonifiche e la mappatura del Sin di Crotone
Oltre alle aree industriali, il Sin di Crotone comprende una discarica e la fascia costiera, altri 1469 ettari di territorio da bonificare che si trovano a mare, tra la foce del fiume Passovecchio, a nord, e l’Esaro a sud. Una stima ottimistica, secondo gli esperti del Cnr. Infatti, ci spiega ancora Sprovieri, il Sin di Crotone ha una particolarità: a causa della conformazione costiera, forti eventi alluvionali possono «trasportare contaminanti presenti nell’area portuale, più contaminata rispetto alle altre, nelle aree più offshore».
Il Sin, comunque, non si ferma a Crotone: l’area si estende anche ai comuni di Cassano allo Ionio e Cerchiara, dove si trovano tre discariche. Il quadro, però, non è completo. Secondo il report di Legambiente Liberi dai veleni del 2021, la mappatura del Sin è ancora al 50%.Di questa porzione, le bonifiche riguardano solo il 13% dei terreni, e l’11% dell’area marina. Praticamente niente.
La contaminazione non si ferma alla sola area del Sin. Nel settembre nel 2008, con l’operazione “Black Mountains”, è venuto fuori che dagli anni ’90 gli scarti industriali dell’ex Pertusola, sono stati mescolati con materiali edili, utilizzati per le costruzioni in varie parti della città. «Il cubilot veniva regalato alle ditte, che lo prendevano, probabilmente ignare della tossicità», continua Asteriti.
Questa miscela forma il Conglomerato Idraulico Catalizzato. Lo hanno utilizzato per costruire gli alloggi popolari “Aterp” nei quartiere Lamparo e Margherita, la scuola San Francesco ma anche per costruire vie, strade e persino il parcheggio della Questura.
Nonostante la scoperta, l’inchiesta s’è conclusa nel 2012 senza produrre alcun colpevole tra i dirigenti delle aziende coinvolte. Sia il gup di Crotone che, successivamente, la Corte di Cassazione hanno prosciolto tutti i 45 indagati, per i reati di disastro ambientale e avvelenamento delle acque. I reati legati alle discariche abusive, invece, sono caduti tutti in prescrizione.
La questione del Sin, insomma, ha toccato tutta la città, che nel corso degli anni si è mobilitata più volte per protestare contro le condizioni ambientali e l’alta incidenza di tumori. La questione è così sentita da diventare politicamente decisiva: alle amministrative del 2020 ha trionfato l’ingegnere ambientale Vincenzo Voce, uno dei protagonisti dei movimenti ambientalisti e con una lunga storia di lotte per la bonifica del Sin. Col sostegno di una serie di liste civiche, tra cui Tesoro Calabria di Carlo Tansi, ha vinto con il 63,95% dei voti.
Vent’anni e non sentirli
La fetta più grossa delle bonifiche spetta a Eni Rewind, la società controllata del colosso dell’energia che si occupa di risanamento ambientale.
Il processo di bonifica di quella fetta del Sin è partito solo nel 2010 e si è inceppato molto spesso, tra rimodulazioni e piani molto contestati.
In particolare, negli ultimi due anni lo scontro si è concentrato sulla rimodulazione del Progetto operativo di bonifica (POB) Fase 2, autorizzato nel marzo del 2020. Secondo gli attivisti ambientali – tra cui lo stesso Voce, prima di diventare sindaco – il piano da 305 milioni di euro mira alla messa in sicurezza permanente e non ad una vera e propria bonifica, che permetterebbe di riqualificare le aree.
Le ultime notizie su questo fronte parlano di tavoli, intese e collaborazioni tra le autorità pubbliche e la società. Troppo poco, dopo tutto questo tempo.
Di recente, sembra si stia muovendo qualcosa su uno dei temi più sentiti dalla città: il recupero dell’area archeologica dell’antica Kroton, che ricopre il 15% del Sin.
In questo caso, la bonifica è di competenza del Ministero della Cultura: il sindaco Voce ha annunciato lo scorso 7 aprile di voler riaprire in tempi brevi il castello di Carlo V. Anche qui, però, le tempistiche sono incerte.
Nella confusione di norme, competenze e territori sparsi, un dettaglio non va trascurato: dal 2018 manca un commissario straordinario alle bonifiche. Il Governo aveva nominato nel 2019 il generale Giuseppe Vadalà, ma non si è ancora insediato, tant’è che Voce ha scritto a Draghi per avere delucidazioni in merito.
Le buone notizie
Se c’è una buona notizia, in tutto questo, è che i dati non mostrano al momento un livello di inquinamento tale da essere un rischio per la popolazione. Secondo le analisi del progetto SENTIERI, «si può dire che il Sin di Crotone ha un impatto sulla popolazione ridotto, rispetto ad altre situazioni in cui i fenomeni di impatto sono più significativi».
Nello studio, i professori del Cisas hanno analizzato quattro matrici: l’aria, il suolo, i sedimenti marini ed il pesce. Una serie di fattori hanno permesso di abbassare il livello di inquinamento. Secondo Sprovieri, il più importante è stato, paradossalmente, un’alluvione: quella del 14 ottobre 1996.
La grossa bomba d’acqua che si è generata ha causato una specie di «effetto di lavamento della falda e dei suoli. Ciò ha abbassato in maniera significativa la contaminazione proprio su queste due matrici. Alcuni inquinanti sono ancora presenti, ma con livelli di gran lunga inferiori rispetto a quelli che erano stati rilevati nel periodo precedente».
I rischi legati al cibo
Anche i dati sulla qualità dell’aria hanno registrato parametri nella norma. La questione che preoccupava di più gli studiosi del Cisas è quella legata al cibo: «I sedimenti all’interno dell’area portuale, ed in parte nell’area esterna, mostrano valori di concentrazioni soprattutto dello zinco, ma anche degli altri metalli pesanti, che sono importanti».
Il rischio è che i pesci bentonici, cioè quelli che vivono a contatto con il fondo del mare, possano brucare i sedimenti depositati sul fondo del mare: in questo modo, gli inquinanti verrebbero assimilati dagli animali, per poi finire sui piatti dei consumatori. Anche in questo caso, però, i dati raccolti dagli studiosi del Cnr non hanno evidenziato nessuna contaminazione significativa: «Siamo stati contenti di poter verificare che sostanzialmente questi contaminanti oggi nei pesci non sono presenti nella maggior parte dei casi».
I tumori e l’ex Sin di Crotone
Non bisogna però illudersi. Le indagini epidemiologiche e d’impatto ambientale hanno bisogno di un salto di qualità, per avere il quadro completo della situazione. Tanti dubbi rimangono sull’incidenza dei tumori. Il gruppo di ricerca aveva scelto il Sin di Crotone proprio sull’eccesso di mortalità: i dati di SENTIERI registrano un numero superiore alla media di decessi per tutte le tipologie di tumore.
Questo è il dato statistico. Il problema, in questi casi, è stabilire il nesso causale tra l’inquinamento e l’insorgere di una malattia.
Una questione già difficile di per sé, lo è ancora di più se non si riceve collaborazione nella ricerca. Il team del Cisas non ha potuto fare un’indagine epidemiologica specifica sulla popolazione di Crotone, lamenta Sprovieri. L’unica cosa che hanno potuto fare, a causa dei ritardi burocratici, è stata una collaborazione con un reparto pediatrico: un’indagine sulle coppie madre-figlio che deve ancora essere portata a termine.
Il problema delle alluvioni
Non dimentichiamo, inoltre, il tema delle alluvioni e dello spargimento dei sedimenti inquinati su altre zone marine. Un fenomeno che potrebbe estendere ancora di più l’area contaminata e danneggiare gli ecosistemi più delicati che non sono stati ancora toccati dalle scorie industriali.
«Qual è il senso di procrastinare questa cosa, se non proteggere l’ENI? Non si è mai voluto parlare col le realtà del territorio», si chiede Asteriti, amaro. «Non ci arrendiamo, perché chi resta qua ama il suo territorio, e continua a lottare. È difficile trovare la luce dopo anni di buio. Magari c’è, ma noi non la vediamo».
Appena l’argomento, per qualche insondabile motivo, viene fuori in una discussione, la domanda scatta automatica: «Ma le Province non le avevano abolite?». A quel punto i più informati rispondono con il tono di chi la sa lunga: «Macché… hanno abolito solo le elezioni». Alla fine è così. Eppure delle Province si parla ancora. E se ne parla, con qualche ragione, molto male.
Non è questione rimandabile all’antropologia dei campanili e nemmeno all’ormai discendente parabola anticasta. È che, evidentemente, anche nei suoi anfratti meno appetibili e più discussi, il potere attira sempre e comunque l’attenzione. Per comprendere le ragioni della lunga agonia di questi enti, intermedi e dunque transitori quasi per definizione, bisogna però andare oltre le gaffe e le liti spicciole a cui ci ha abituati la politica nostrana.
Le Province dall’Italia preunitaria a oggi
Senza addentrarsi in discussioni per feticisti dell’ingegneria istituzionale, è utile ricordare che le Province trovano fondamento nell’art. 114 della Costituzione, ma in realtà sono più vecchie della stessa Italia unita: le creò, quando ancora c’era il Regno di Sardegna (1859), Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno del governo La Marmora, mutuando il sistema francese dopo l’annessione di alcune parti della Lombardia.
Un ritratto di Urbano Rattazzi: fu lui a istituire le Province in Italia
Da 95 sono poi arrivate a essere 110. Oggi nelle regioni ordinarie sono 76, più 14 città metropolitane. A cui si devono aggiungere 6 liberi consorzi (le ex province della Sicilia non trasformate in Città metropolitane), 4 province sarde, le 2 province autonome di Trento e Bolzano, 4 del Friuli Venezia Giulia che servono però solo alla geografia e alla statistica non essendo enti politici autonomi.
In Calabria erano 3 fino al 1992. Poi in quell’infornata – che comprendeva Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato e Verbano-Cusio-Ossola – rientrarono anche Crotone e Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale è arrivato il rinnovo dei loro consigli provinciali, come pure di quelli di Catanzaro e Cosenza. In quest’ultima, come a dicembre anche a Crotone, ora è cambiato anche il presidente. A breve ce ne sarà uno nuovo pure a Catanzaro.
Il consiglio ogni due anni, il presidente ogni quattro
A proposito di elezioni, dal 2014 in poi (riforma Delrio) sono arrivate un po’ di novità. Tra queste il fatto che i consigli provinciali si rinnovano ogni due anni mentre il presidente ogni quattro. La giunta provinciale non esiste più. E a eleggere sia i consiglieri che il presidente sono sindaci e consiglieri comunali del territorio, il cui voto “pesa” in base alla popolazione del Comune di appartenenza. È un aspetto che sembra bizzarro, ma non è certo quello più paradossale delle “nuove” Province, enti in cui spesso il fattore politico va oltre la classica dialettica maggioranza/opposizione.
Centrodestra alla riscossa
I risultati di queste ultime votazioni, in Calabria, pendono molto verso il centrodestra. A Cosenza c’era stato un sostanziale pareggio tra i consiglieri. Poi la Presidenza è andata alla sindaca di San Giovanni in Fiore (area Forza Italia) Rosaria Succurro. Divisioni e disastri targati centrosinistra hanno chiuso la partita già prima del voto anche a Crotone, dove ha vinto il sindaco di centrodestra di Cirò Marina, Sergio Ferrari. A Catanzaro, nonostante le divisioni già striscianti e ora esplose in vista delle Comunali, i consiglieri restano in maggioranza di destra. Nei prossimi mesi si dovrà scegliere il successore di Sergio Abramo. A Vibo ha trovato conferma il peso forzista, ma ne ha acquistato parecchio anche Coraggio Italia.
Rosaria Succurro, fresca di elezione a presidente della Provincia di Cosenza
Reggio in attesa di funzioni
Poi c’è Reggio, dove la Provincia ha ceduto il posto alla Città metropolitana. Da novembre, cioè dalla condanna di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”, la regge il facente funzione Carmelo Versace, che è un dirigente di Azione di Carlo Calenda. In teoria le Città metropolitane avrebbero anche più funzioni delle Province. Quella di Reggio è però l’unica in Italia a cui la Regione non le ha ancora attribuite, nonostante debba farlo per legge.
Vibo e i conti che non tornano
La Provincia di Vibo è famigerata per il disastro finanziario in cui è stata cacciata. Sta ancora cercando di uscire dal dissesto dichiarato nel 2013. Uno spiraglio di luce si era visto a novembre, quando la Commissione liquidatrice ha approvato il Piano di estinzione dei debiti: default chiuso con una massa passiva quantificata in 14,8 milioni di euro distribuiti a circa 1.200 creditori. A fine marzo però è venuto fuori che serve un nuovo Piano. Ci si è accorti che i prospetti contabili andavano aggiornati e che la massa passiva totale era in realtà di 25 milioni di euro. Dunque ne ce sono ancora altri 11 da liquidare.
Salvatore Solano stringe la mano a Papa Francesco
La necessità di un aggiornamento l’ha segnalata alla Commissione lo stesso presidente della Provincia di Vibo, Salvatore Solano, finito nel processo “Petrolmafie”. Lui ha sempre dichiarato fiducia nella giustizi,a ma anche la sua totale estraneità alle accuse che gli vengono contestate. Forza Italia però, che pure lo aveva scelto nell’ottobre del 2018, lo ha scaricato politicamente.
Catanzaro, da ente modello al rischio dissesto
Problemi di natura diversa li ha invece Abramo, che si accinge a chiudere tra ben poche glorie il suo ciclo da sindaco e da presidente della Provincia di Catanzaro. L’ente che visse un’epoca descritta come d’oro con Michele Traversa e poi con Wanda Ferro era considerato infatti un modello di buona amministrazione. Fin quando, proprio con Abramo, è scoppiata la bolla dei derivati, operazioni di swap contratte nel 2007 (con Traversa) per oltre 216 milioni di euro e ora annullate in autotutela da Abramo. Che si ritrova con la grana dei ricorsi presentati al Tar dalle banche, e con il rischio del dissesto e di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi dei dipendenti.
Partiamo dai tagli, iniziati già dal 2010 e dunque ancora prima della Delrio. Secondo uno studio della fondazione Openpolis ammontano a ben 5 miliardi di euro i trasferimenti statali decurtati negli anni. Con una conseguenza prevedibile: «Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%)».
La sede dell’ex Provincia, oggi Città metropolitana, di Reggio Calabria
La Calabria si contraddistingue per un forte accentramento verso la Regione delle funzioni che erano prima delle “vecchie” Province. Unica eccezione la Città metropolitana, che ne ha invece mantenute molte. Per farsi un’idea dell’importanza che invece hanno le poche funzioni rimaste oggi in capo alle “nuove” Province è sufficiente menzionare due settori chiave.
Due settori chiave
Innanzitutto la manutenzione dell’edilizia scolastica: si parla a livello nazionale di 5.179 edifici (che ospitano di 2,6 milioni di studenti), il 41,2% dei quali si trova in zona a rischio sismico. Nella nostra regione il 10,4% risulta vetusto, il 3,8% è in zona sottoposta a vincolo idrogeologico. E poi le strade provinciali, una di quelle cose che attirano su questi enti maledizioni e improperi perfino dai cittadini più morigerati. In Calabria le Province gestiscono 7.713 km di strade, molte delle quali in zone di montagna e disagiate: il 44,75% dei 2.578 km di strade della Provincia di Cosenza è sopra i 600 metri sul livello del mare, così come il 47,34% (su 1.690 km totali) di quella di Catanzaro, il 30,5% (su 818 km) di quella di Crotone, il 25% (su 875 km) di quella di Vibo e il 16,95% (su 1752 km) di quella di Reggio.
Il paradosso delle nuove Province
Dare risposte alle giuste rivendicazioni degli utenti, in queste condizioni e con pochi fondi a disposizione – le tasse principali che vanno alle Province sono quelle per Rc e trasferimento dei veicoli – diventa dunque complicato. E il problema del passaggio delle funzioni – e dei beni ad esse collegati – resta completamente irrisolto. La Delrio nasceva come norma transitoria verso il (poi fallito) referendum renziano del 2016 che avrebbe dovuto eliminare le Province dalla Costituzione. Invece quella legge, che doveva essere provvisoria, disciplina ancora oggi il funzionamento di questi enti.
Nel frattempo la retorica dei tagli ha prodotto un altro paradosso: sono nati moltissimi nuovi enti (circa un migliaio tra unioni di Comuni, autorità di bacino, consorzi e quant’altro) proprio per aiutare i Comuni nella cogestione dei servizi. Un decennio di propaganda e di sperimentazioni normative sulle Province ha dunque generato un evitabile caos istituzionale. E un vuoto riempito solo dall’inettitudine delle classi dirigenti nazionali e locali.
Ha riaperto le porte al pubblico ieri, dopo quasi due anni di stop alle visite, il Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna. La struttura espositiva, incastonata sul promontorio del Tempio di Hera Lacinia, era rimasta chiusa – pandemia a parte – a causa di importanti e complessi lavori di manutenzione. Si era reso necessario il ripristino degli ambienti a seguito dei danni provocati da alcuni eventi meteorologici.
Il Museo archeologico di Capo Colonna nasce nel 2006, con un progetto degli architetti Italo Insolera e Paolo Spada Compagnoni Marefoschi. A comporne il percorso espositivo sono tre sezioni. Esse hanno ampie sale open-space disposte su un unico piano a livello strada, privo di barriere architettoniche.
Il museo di Capo Colonna fa da complemento all’area archeologica al fine di valorizzarne il legame tra storia, archeologia, natura e paesaggio di un’area antichissima. Gli antichi Romani la consideravano sacro limite del golfo di Taranto. I Greci, a loro volta, la veneravano quale uno dei principali centri mediterranei, consacrato al divino e destinato a rivelarne il soprannaturale per la sua peculiare collocazione geografica.
Numerosi i tesori dell’antichità all’interno della struttura. Tra i più importanti figurano un elmo acheo, la testa marmorea di un cavallo che ornava probabilmente il Tempio di Hera Lacinia, reperti rivenuti nei fondali marini. Alla riapertura ai visitatori seguiranno ulteriori novità che riguardano l’allestimento del Museo.
Arrestato il conducente che ha investito, provocandone la morte, una bambina ucraina di 5 anni a Crotone. Era in Italia da pochi giorni per sfuggire alla guerra. Dalle indagini dei militari del Comando provinciale di Crotone è emerso che il 18enne alla guida della macchina avrebbe provocato deliberatamente l’incidente per screzi con il sedicenne italiano che era insieme alla bambina ed alla cugina minore di quest’ultima, fidanzata con il giovane che era con loro. Anche il conducente era interessato alla ragazza.
La ragazza diciassettenne contesa tra il conducente dell’auto e il sedicenne ferito gravemente, invece, era rimasta illesa. L’arresto del diciottenne, che nel momento dell’incidente era alla guida di un furgone, è stato fatto dai carabinieri in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Crotone su richiesta della Procura della Repubblica.
L’incidente era avvenuto lungo una strada provinciale, in località “Cantorato”. Il giovane arrestato, che aveva soltanto il foglio rosa, in un primo tempo era stato denunciato in stato di libertà con l’accusa di omicidio stradale insieme al padre 44enne, che era in auto insieme a lui nel momento dell’incidente ed aveva tentato inizialmente di addossarsi esclusivamente la responsabilità di quanto era accaduto.
«L’odierno provvedimento – si legge in una nota stampa dei carabinieri – recepisce totalmente le risultanze investigative ottenute nell’immediatezza e nelle ore successive dai militari operanti tramite una meticolosa attività di escussione a sommarie informazioni testimoniali delle persone in grado di riferire sull’evento. Le esigenze cautelari adottate sono state motivate dalla reiterazione del reato di guida senza patente già commesso dal diciottenne in due occasioni, nell’agosto del 2020 e nel marzo di quest’anno»
La Calabria ha 800 km di costa, da queste acque sono passate navi dei Greci e dei Romani, di Garibaldi e degli Americani. Ma il mare per i calabresi ha anche un significato più ampio. È una minaccia sin dai tempi delle incursioni saracene e, al contempo, è anche una importantissima risorsa, un fattore di sviluppo. A proposito di mare, nel 2022 ricorrono 50 anni dalla scoperta dei Bronzi al largo della costa di Riace nell’ormai lontano 1972. «Si è discusso molto senza trovare un accordo su una questione che resta fondamentale: la possibilità che la coppia di statue costituisse in origine un gruppo più ampio. In realtà nulla sappiamo sulla composizione del carico», scrive Maurizio Paoletti nel libro, edito da Donzelli, Sul buono e sul cattivo uso dei Bronzi di Riace.
Il Bronzo A all’epoca del ritrovamento. A sinistra, Stefano Mariottini
I Bronzi nel Museo di Reggio Calabria
Vestiti come dei Bronzi per Sandro Pertini
Considerati il simbolo per antonomasia della Calabria, utilizzati a volte con esiti poco felici, hanno fatto scatenare più volte polemiche a livello nazionale. Le due statue bronzee – con particolari in argento, calcite e rame – sono tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica. Secondo l’Istituto centrale per il restauro di Roma, furono prodotte direttamente ad Argo in Grecia nel V secolo avanti Cristo. Sandro Pertini, rimase folgorato dalla loro straordinaria bellezza e nel 1980 decise di farle esporre al Quirinale. Oggi i Bronzi sono la principale attrazione del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e si poggiano su basi antisismiche progettate dall’agenzia Enea.
La Testa del filosofo
Il museo più visitato in Calabria
I numeri del museo dal 2016 al 2020 parlano chiaro: qui sono arrivati quasi 900 mila visitatori. Corrispondono alla metà delle persone che negli stessi anni hanno visitato tutti i luoghi culturali gestiti dallo Stato in Calabria. Dal rimanente fasciame del relitto di Porticello (datato tra il 470/440 ed il 420 a. C), nello stretto di Messina, arrivano gli altri tesori esposti ora nella sala con i Bronzi: la Testa del Filosofo e la Testa di Basilea. Cosa c’entra la Svizzera con una scultura greca trovata in fondo al mare? Semplice: la Testa era conservata in un magazzino del museo di Basilea, dopo essere stata trafugata. Solo in seguito ritornò allo Stato italiano.
Archeologia amatoriale
La cosiddetta archeologia subacquea qui in Calabria nasce negli anni ’70, proprio con questi due rinvenimenti fortuiti: il relitto di Porticello e i Bronzi di Riace. «Se il rinvenimento del relitto di Porticello fu effettuato nel corso di scavi clandestini, la piaga dell’archeologia subacquea dalla quale nemmeno la ricerca terrestre è esente, quello dei Bronzi di Riace si verificò durante lo svolgimento di un’attività amatoriale, anch’esso un caso classico in questo campo di indagine», ci spiega l’archeologa Maria Teresa Iannelli.
Il relitto di Capo Bianco a Crotone
Tesori sommersi: Calabria seconda solo alla Sicilia
In realtà già nei primi anni del Novecento a Punta Scifo nel crotonese, l’archeologo trentino Paolo Orsi, con l’utilizzo di palombari, aveva rinvenuto un relitto antico. C’è comunque ancora tanto da scoprire nei fondali del nostro Mediterraneo? Gli esperti dicono di sì. Secondo la piemontese Alice Freschi, che ha condotto anni fa una serie di indagini con la cooperativa Aquarius per conto della Soprintendenza calabrese allora diretta da Elena Lattanzi, «in Italia il mare della Calabria è secondo solo alla Sicilia in termini di reperti sommersi e antichi relitti». Dalle ricerche effettuate, basate anche sulle tracce lasciate da Orsi oltre un secolo fa, si è potuto ricavare molto. Lo testimoniano le varie pubblicazioni scientifiche e alcuni musei archeologici calabresi.
I resti del passato sepolti nei mari calabresi
Turismo sostenibile in fondo al mare
Il turismo archeologico subacqueo è un fenomeno in forte espansione ovunque nel mondo. E rappresenta anche un tipo di turismo sostenibile in grado di generare nei territori in cui è possibile svolgerlo un elevato ritorno economico. Salvatore Medaglia, ricercatore di Topografia antica presso l’Unical, spiega che «in Italia sono aperti alle visite alcuni siti archeologici subacquei. Ci si può immergere con guide appositamente autorizzate e secondo modalità specifiche. Si tratta di parchi archeologici come quello di Egnazia in cui è possibile visitare i resti sommersi del porto romano. O come nel caso di Baia, in cui alcuni diving convenzionati, con il consenso del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, organizzano tour subacquei di grande suggestione tra le rovine di sontuose dimore d’età romana».
Esposizione dei reperti subacquei nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria
Il sentiero marino di Capo Rizzuto
Anche in Calabria è possibile visitare siti archeologici sommersi? «Nell’Area Marina Protetta “Capo Rizzuto”, con il supporto della Soprintendenza – aggiunge Medaglia, che è anche docente di Archeologia subacquea presso l’Università della Tuscia – è attivo da alcuni anni un sentiero archeologico subacqueo, fruibile sia con l’autorespiratore sia mediante snorkeling sul relitto romano Punta Scifo D. Nella stessa area marina è pure possibile, sempre accompagnati dai diving autorizzati, visitare il relitto delle colonne romane di Capo Cimiti».
D’altra parte «le acque crotonesi serbano una straordinaria concentrazione di testimonianze, forse quella maggiore del Mediterraneo». Medaglia, che insieme ad altri esperti ne studia da quindici anni i relitti sommersi, ricorda le centinaia di tonnellate di ceramiche e marmi che ha ammirato. Compreso «il più grande relitto lapidario di età imperiale che si conosca» a Punta Scifo D. Senza dimenticare le ultime ricerche in ordine di tempo nelle acque di Capo Rizzuto. C’è quella sul piroscafo Bengala – della flotta della “Navigazione Generale Italiana”, una delle maggiori compagnie europee dell’epoca – che naufragò lì nel 1889. O le indagini su due relitti del XVII-XVIII che «ha evidenziato la presenza di nove cannoni in ghisa, di due enormi ancore e di una bellissima campana in bronzo».
Tecnologie all’avanguardia targate 3D Research, spin-off targata Unical
L’impresa spin-off nata all’Unical
Praticamente un paradiso sott’acqua ancora in attesa di essere portato a galla. E che è possibile vedere, dunque, solo grazie a strumentazioni digitali e immersioni autorizzate. In questo campo la tecnologia ricopre un ruolo rilevante. Siamo andati allora a trovare all’Università della Calabria l’azienda spin-off 3D Research Srl che ha progettato, tra l’altro, dei tablet subacquei utili ai divers e videogiochi per gli smartphone.
Si tratta di una realtà con 15 dipendenti nata nel dipartimento di Ingegneria Meccanica, Elettronica e Gestionale che lavora nel campo della valorizzazione e della tutela dei beni culturali. Fabio Bruno, professore associato di Virtual and Augmented Reality, guida un team di tecnici e ingegneri provenienti dall’Unical che ha praticamente rivoluzionato il modo di intendere queste antiche bellezze. Un’eccellenza tutta calabrese che si sta facendo valere in giro per l’Europa, partecipando a progetti di rilievo internazionale. Ecco cosa ha raccontato al nostro giornale.
La Storia incrocia la Statale 106 a Kaulon, oggi Monasterace. «Il Mosaico del Drago compie 10 anni – sostiene Francesco Cuteri, archeologo e professore all’Accademia dei Beni culturali di Catanzaro – e mi auguro che, per ricordare questo simbolo del sito di Kaulon, quest’estate ci sia una serie di eventi specifica e articolata per far conoscere la sua storia. È un luogo che ha bisogno di cura e attenzioni e con una protezione sarà sicuramente al riparo dal maltempo».
Era il settembre 2012 quando a Monasterace Marina un team di archeologi, tra cui proprio Cuteri, realizzò una scoperta unica. Si trattava di un grande mosaico policromo figurato con animali marini che si affrontano. Oggi il solito immobilismo tutto calabrese rischia di pregiudicare una meraviglia tornata da un passato lungo due millenni.
Museo archeologico “Casa del Drago”, soglia della camera da pranzo con il mosaico del drago marino
Le terme nella vecchia polis
«L’edificio termale – ci spiega la ex direttrice del museo, Maria Teresa Iannelli – di cui il mosaico costituisce il pavimento dell’ambiente con piscina per bagni riservati agli uomini, è particolarmente monumentale ed articolato. Mostra analogie con quelli identificati a Velia, Locri, Gela e Megara Hyblea e, soprattutto, Morgantina». La struttura è denominata «le “terme di Nannon” – continua la Iannelli – per la presenza di un’iscrizione rinvenuta sul bordo di un bacile in terracotta. Potrebbe identificare in Nannon l’architetto delle terme. Nella sua prima fase è stata datata alla seconda metà del IV sec a.C. e rientra nella nuova organizzazione urbanistica di cui si era dotata la polis achea in seguito alla distruzione operata dai Siracusani nel 389 a.C. La trasformazione in edificio termale è successiva al primo impianto ed è stata datata nel corso della prima metà del III secolo a.C».
Il calcare ha protetto il mosaico
Il mosaico dei Draghi e dei Delfini, spiega ancora Iannelli, «era coperto dal monumentale crollo della volta a botte dell’ambienteH, le cui componenti, in corso di rilievo e di studio da parte degli archeologi che hanno condotto lo scavo, hanno permesso di delineare interessanti analogie con il sistema di copertura proposto per il calidarium delle terme di Fregellae (II secolo a.C.). Così come di far ipotizzare che la struttura di Kaulon, vista la più alta cronologia, ne rappresenti in un certo senso l’archetipo. Proprio la presenza dei tanti elementi in calcare ed in laterizio all’interno del vano ha permesso di sigillare il mosaico garantendone, anche per lo strato di calcare che vi si è depositato, una perfetta conservazione».
Il drago sotto la sabbia
Coperto ancora con sabbia fin dalla scoperta per tutelarlo, il mosaico è visitabile dal 2018 con aperture straordinarie e tour guidati nei mesi estivi. Nel 2020 l’incertezza dovuta alla pandemiacostrinse a mettere in dubbio le visite. Cuteri, che è anche una delle guide al mosaico, per protestare si era sfogato su Fb: «Perché interrompere un ciclo? Non è mia abitudine andare allo scontro, qualcuno dice che voglio mettermi in mostra. Tra l’altro scoprendo dalla sabbia il mosaico si verificano anche le sue condizioni».
Cuteri circondato da turisti in occasione della riapertura straordinaria del 2018
Un laboratorio di ricerca per gli studiosi
Secondo le più recenti ricostruzioni scientifiche a fondare l’antica Kaulon addirittura nel VII secolo a.C. sarebbero stati coloni provenienti dalla regione greca dell’Acaia. I resti della polis, identificata dall’archeologo Paolo Orsi con la località Punta Stilo a Monasterace Marina, in provincia di Reggio Calabria, sono più in generale un laboratorio di ricerca straordinario in cui più atenei si sono confrontati sotto l’egida della Soprintendenza. Dalla Normale di Pisa alla tedesca “Johannes Gutenberg” di Mainz, fino alle università calabresi. Sono arrivati risultati importanti che hanno parzialmente riscritto la storia della colonia. Qui gli archeologi hanno portato tanto altro alla luce e ora lo si può conoscere visitando il Museo dei Bronzi di Reggio Calabria e l’Antiquarium a Monasterace Marina.
Il parco archeologico dell’antica Kaulon
Le terme con il mosaico dei draghi e dei delfini e tutta l’area archeologica con i resti di Kaulon erano parte di una piccola città magnogreca che si affacciava sul mare. Si estendeva sulle pendici delle colline retrostanti, dove correva la cinta muraria della città. Il tempio dorico fu ben presto acquisito al demanio dello Stato, mentre la fascia di abitato antico lungo il litorale è stata acquisita dopo il 2000 dal Comune di Monasterace. L’area statale e l’area comunale costituiscono il parco archeologico dell’antica Kaulon, insieme al museo archeologico nazionale, ospitato in una sede di proprietà comunale, ubicati sul lato sud del moderno paese, nelle immediate vicinanze del faro di Punta Stilo.
Un particolare del tempio nel museo di Kaulon
Un parcheggio nella Storia
Avvolta da mare, 106 e ferrovia jonica, l’area tutelata non è stata ancora recintata completamente e il sistema di videosorveglianza è in attesa solo di essere montato. La collocazione del sito ne rende difficile la gestione. Serve un piano più ampio per consentire una visita integrata al museo e renderlo accessibile a tutti. Occorre anche mettere in sicurezza un passaggio diretto sui binari ferroviari. I pannelli didattici che dovrebbero informare i turisti sui resti della polis sono vecchi e rovinati. In estate parte del sito è utilizzato come parcheggio da qualche bagnante in cerca di un posto più vicino alla battigia.
Auto in sosta nel parco ad agosto 2021
Non c’è chi stacca i biglietti del museo
Dopo un sopralluogo a novembre il museo è anche stato serrato al pubblico. In senso più ampio laDirezione regionale Musei, affidata pro tempore a Filippo Demma, ha segnalato criticità ai piani alti per il venire meno di alcuni servizi esternalizzati – tra cui la gestione della biglietteria – che riguardano anche Kaulon. Comunque, per avviare i lavori di “risanamento” del museo, finanziati dall’Ue con 300mila euro, il Comune ha già approvato la progettazione finale.
Alcuni inverni fa, purtroppo, a causa della erosione costiera il mare ha fatto gravissimi danni al sito. Un’interrogazione parlamentare ha aperto un faro sulla reale condizione di Kaulon. Sono visibili oggi alcuni passaggi realizzati negli ultimi tempi per dare maggiore decoro alla Storia. Il museo è stato dotato di un bookshop e di una biglietteria(in attesa della riapertura e dell’affidamento della gestione), in estate – come spiegato – è visibile il celebre mosaico. L’area marina antistante il sito è stata preclusa alle barche dagli enti competenti e il sito è stato in parte protetto dal mare con opere di difesa costiera.
Quasi 5 milioni di euro per Kaulon
Monasterace, complesso archeologico subacqueo
Se i soldi non mancano per il museo, ce ne sono altri comunitari per il Parco in attesa di essere spesi. In una più ampia strategia specifica per la Calabria, che prevede importanti stanziamenti, il Pon Cultura e sviluppo 2014/20 ha stanziato, infatti, 1 milione e mezzo di euro per “valorizzare gli attrattori culturali di Kaulon”. È in cantiere poi un intervento daoltre 3 milioni di euro. Con questi soldi dovranno essere messe in rete aree archeologiche sommerse e musei che conservano reperti di provenienza subacquea. Si tratta di un programma, chiamato Musei di Archeologia Subacquea. La misura prevede l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative tra Monasterace, Crotone, Bacoli in Campania, Manfredonia e Fasano in Puglia.
Qualche mattina fa ho percorso in macchina la statale 106 ionica, da Catanzaro Lido verso nord. È una strada trafficatissima e sinistramente famosa, infiorettata di edicolette, di cippi e di altarini di plastica ai lati delle carreggiate. Volevo arrivare a Crotone. L’auto è l’unico mezzo per farlo in tempi ragionevoli. Trasporti pubblici assenti e isolamento sono uno dei problemi che fanno della antica città ionica una sorta di enclave: la ferrovia costiera è ancora quella di fine Ottocento, a binario unico, non elettrificata, e con i vecchi treni spinti dalle automotrici. La stazione sembra uno scalo in mezzo al deserto.
La stazione ferroviaria di Crotone
Il porto invece è diviso in due: il bacino più antico è ancora quello che fu costruito con i blocchi divelti nel corso del Settecento dal tempio di Hera Lacinia; quello “nuovo” si limita al cabotaggio di naviglio piccolo, per via dei bassi fondali sabbiosi. L’aeroporto Sant’Anna funziona a singhiozzo e lì vicino c’è un grosso centro Sprar. Soppressi da anni i treni notturni e quelli a lunga percorrenza. Per qualsiasi altrove lontano da qui ormai si salpa in bus, di notte.
In mezzo alle pale
Crotone è un posto della Calabria che ha qualcosa di magnetico e fascinoso, di allucinato e di incongruo allo stesso tempo. La strada verso Crotone, già dopo Botricello, non riesce più a staccarsi dal collo i morsi degli abusi al vasto panorama dell’antico Marchesato del grande latifondo, il serbatoio del Mediterraneo preindustriale, quello delle terre del grano, delle pecore e del formaggio di cui scrive anche Fernand Braudel in Civiltà e imperi del Mediterraneo.
La curva di orizzonte delle dolci colline ioniche oggi è tutta trafitta dalle mostruose torri eoliche costruite nei terreni degli Arena, cosca intoccabile del pantheon mafioso locale. Ce ne sono centinaia sparpagliate per chilometri. Se guardi meglio ti accorgi che ne girano pochissime, inutili come enormi segni di interrogazione. Il Marchesato di Crotone è uno dei luoghi più aridi del continente, a imminente rischio desertificazione. In più c’è il rischio mafia. Qui più che il vento servirebbe l’acqua. Ma gli interessi sull’eolico sono molti, scottano, sono poco illuminati dal sole e difficili da arginare. Intanto i mulini a pale continuano a crescere e a roteare indisturbati nei posti più improbabili.
La nuova Crotone
Circa un’ora di tragitto sulla 106 e mi sono ritrovato nel dedalo di giravolte, incroci e cavalcavia che porta a Crotone. La città nuova è questa colata di macerie alte e basse, scolorite e tetre, un teatro di quartieroni popolari come Vescovatello (dove il grande mercato coperto in abbandono, col tetto in lastre di amianto, sparge al vento i suoi veleni), Lampanaro e Fondo Gesù. Si ergono dai sabbioni di una costa un tempo malarica. Sono luoghi pericolanti di noia e di sciagure umane, che crescono tra stecche di casermoni disadorni.
Case popolari nel quartiere crotonese Fondo Gesù
Sul paesaggio della Crotone di oggi campeggia l’enorme accozzaglia di ferraglia industriale abbandonata tra gli sterpi e le discariche supertossiche. Poi abituri indistinti, ristoranti per matrimoni, sfasciacarrozze, stazioni di servizio sgangherate, grandi ipermercati, nuove speculazioni e gru che crescono come steli di fiori maligni non lontano dalle lusinghe eterne del mare odisseo. Crotone staccata dal mare appare come una spessa piastra di cemento fratturata da un groviglio di strade sconnesse che sembrano smarrirsi nell’inerzia sul bordo esausto, sopraffatto e guasto del litorale.
La Stalingrado del Sud avvelenata
Si sapeva già dalle inchieste dei magistrati che a Crotone i carichi di rifiuti tossici, una volta finiti nelle mani delle mafie, sulla terraferma diventavano materiali per costruire case e asfaltare strade. Come già è accaduto per le ferriti di zinco e le altre scorie contaminate smaltite liberamente nell’ambiente dopo la chiusura del polo chimico della Pertusola, proprio davanti alle periferie arrugginite del vecchio stabilimento. Poi i veleni industriali sono finiti dentro la città calabrese simbolo dei guasti ambientali e della lunga crisi della chimica industriale. Era la Crotone millenaria, l’ex Stalingrado del Sud, a cui qualche mediocre cronista locale ancora affibbia l’altisonante aggettivo di “pitagorica”.
Una mappa degli ex stabilimenti Montedison di Crotone (foto Archivio storico Crotone)
Adesso si sa che per anni nessuno ha saputo opporsi al paradosso criminale della costruzione di scuole, marciapiedi, strade, uffici pubblici e abitazioni civili impastate di un amalgama micidiale di veleni e scorie tossiche provenienti dalla bomba chimica sotterrata nei piazzali della Pertusola. A Crotone adesso si contano i morti per cancro, regalati come buonuscita agli operai e alle famiglie cresciute nei quartieri popolari vicini agli stabilimenti o all’ex Montecatini-Edison. Mentre ancora si aspetta di arrivare alla bonifica delle scorie tombate per decenni. Cumuli di scarti tossici movimentati nel porto e diretti alle lavorazioni nello stabilimento della Pertusola, appena più a nord di quello della Montecatini. Lì sotto giace, ed è un paradosso, un pezzo della antica Crotone dei greci. Insieme alle bonifiche ci si aspetta un processo che accerti finalmente i danni e le responsabilità. Qualcosa che rimetta ordine e dia pace, e un qualche risarcimento, a queste contrade.
La Storia è sempre più giù
Neanche il calcio offre più consolazione. Il tesoro sommerso dell’antica Crotone, più che una risorsa per il futuro della città, sembra un ingombro di cui disfarsi. Anche lo stadio Ezio Scida, abusivo come quasi tutto quello che sorge da queste parti, ampliato di recente tra polemiche e sequestri, convive, si fa per dire, con l’area archeologica che rientra nel programma di riqualificazione dell’antica Kroton. Si fa fatica a crederlo, ma nonostante dal 1981 la Soprintendenza archeologica abbia dichiarato inedificabile l’area su cui l’impianto sorge, il prato e gli spalti rinnovati negli anni della serie A sono stati allargati sopra i resti dell’agorà di una delle più importanti polis della Magna Grecia.
A parte pensare alla meraviglia seppellita sotto il rettangolo verde, c’è una cosa che ogni volta che vado a vedere una partita del Crotone allo Scida mi mette i brividi addosso. Quando la curva Sud, prima del calcio d’avvio o in un momento difficile della gara, all’improvviso fa salire al cielo l’incitamento ai rossoblù. Migliaia di tifosi cantano all’unisono e a gola spiegata Ma il cielo è sempre più blu o A mano a mano di Rino Gaetano, omaggio al ragazzo di Crotone che ha iscritto il proprio nome nel pantheon della canzone popolare italiana. La squadra ha adottato entrambi i motivi come inni ufficiali. Non so se ne esista al mondo una che possa vantarne di più belli.
Da Cutrone a Crotone
L’addizione urbanistica novecentesca che forma il nucleo della Crotone nuova scivola dai piedi del castello di Carlo V e dal piccolo centro medievale murato poco oltre gli alti bastioni, dilagando fino alle campagne dell’antico latifondo del Marchesato. La città nuova è un labirinto ansimante di cemento impolverato e caotico, sparpagliato per chilometri sul litorale e costellato da ammassi di spazzature e rottami non rimossi. Resta ben poco delle memorie classiche della antica città magnogreca, tutta sepolta e divelta sotto i cascami e gli ingombri di cemento della nuova.
Crotone, Il Gladio
Crotone si chiamava Cotrone fino al 1928 e la gente del posto con inflessione dialettale la chiama ancora così: Cutrone. Poi il fascismo in vena di grandezze restaurò il nome classico della polis, la colonia achea di Kroton, di cui non restava più traccia. Sarà forse per questo che su una delle colline argillose che guardano verso la città un sindaco fascista non molti anni fa ha issato il totem ideale per la Crotone di oggi: un enorme gladio romano che campeggia sul panorama cittadino come una croce blasfema su un regno di tormentati.
La città della bellezza
E pensare che qui Zeus, secondo il mito, pare abbia incontrato le donne più belle del mondo dei greci (cinque diverse fanciulle di Crotone, ognuna per un dettaglio del sembiante, formavano il composito ideale estetico della più desiderabile bellezza). Un canone di bellezza eterno che fu ripreso da Shakespeare nei Sonetti – sino a precipitare poi nel famoso motivetto di Mambo number five di Perez Prado e nella hit di Lou Bega.
Affidato (a destra) con Amadeus a Sanremo
La bellezza trascorsa, per quanto rattristata dalle corrosioni del moderno, qui è però una suggestione che ancora fa scuola. A Crotone cesellano ancora la loro arte antica, divenuta nel frattempo brand griffato per dive e grandi firme della moda, gli orafi Gerardo Sacco e Michele Affidato (suoi i premi di Sanremo). Realizzano i loro gioielli ispirandosi alle tradizioni popolari. Rifanno citando – e molto aggiornando alla voga modaiola – i modelli classici indossati un tempo da aristocratiche, vestali e dee greche. Preziosità venute alla luce con il diadema d’oro e gli altri magnifici reperti affiorati dal tesoro di Capo Colonna.
Gissing a Crotone
Lusso e prosperità erano di casa a Crotone ancora in tempi non lontani. George Gissing, scrittore e viaggiatore vittoriano in Calabria nel 1897, si rammaricava di non aver potuto portare con sé «nessuna lettera di presentazione qui a Cotrone. Mi sarebbe piaciuto poter visitare una delle dimore più in vista, entrare in uno dei salotti migliori della città. Qui a Cotrone, ho saputo, vivono persone molto ricche e benestanti, hanno belle case e, mi è stato detto che con il bel tempo, almeno una mezza dozzina di carrozze private si possono vedere fare il giro alla moda sulla Strada Regina Margherita. Quasi come a Napoli». Della città ricca di un tempo resta qualche vestigia concreta. Come la bella piazza Pitagora, in pieno centro, incorniciata dai portici, caso unico in Calabria. Sotto i portici c’è lo storico Bar Moka, dove si può ancora gustare un dolce belle époque come l’Iris. In piazza Pitagora, dormire ancora oggi all’Hotel Concordia come fece Gissing, vuol dire ritrovarsi nel bel mezzo di atmosfere del Grand Tour.
Lo scrittore e viaggiatore George Gissing
In prossimità della riva jonica c’è un altro luogo gissinghiano: il vecchio cimitero dalle alte murate di cocci diroccati che sembrano cotti in un crematorio del tempo. Un tempo l’elegante recinto dei morti di Crotone era ai margini assolati della città, circondato di mura e adornato da piante solenni e palme svettanti come preghiere. Era un’oasi di pace «simile a un bel giardino fiorito». Oggi il camposanto è circondato dalle auto e dal movimento caotico che va verso la periferia. Lo salva ancora quell’alto recinto di mura sbeccate, quasi fosse una rotonda spartitraffico dimenticata ai margini della waste land alla fine del lungomare.
Malattie e sanità
Nella periferia sconciata dagli abusi spicca anche lo stato di abbandono degli ex Villini Pertusola. Da lì in avanti la città non ha più profumi, avvizzita tra i veleni e il catrame infetto. Sembra che di fiori a Crotone non ne crescano più, neanche fuori dal recinto dei morti, con la città che ha le apparenze di un reclusorio di malattie micidiali. Crotone è immersa in una mortale quarantena per i vivi, malata fino al midollo. La città di oggi è mostrificata, inquinata dai resti mefitici della Montedison, di cui restano le spoglie spente e rugginose di un enorme compound degli orrori che continua ad alitare veleni sopra e sotto terra sulla vita di tutti.
L’Ospedale San Giovanni di Dio è l’unico presidio sanitario pubblico rimasto in città. Affollato, dolente e sempre in affanno sembra un lazzaretto per i poveri. Il sistema sanitario nazionale qui come altrove in Calabria è in crisi. Invece quello delle cliniche private, che ha fondato vere e proprie dinastie della sanità a pagamento, è fiorente. È uno dei punti di preminenza per l’intero settore, ma solo per quelli che possono curarsi senza passare da intralci e guasti del servizio pubblico.
Calcutta, Tirana… Crotone
A dispetto del bellissimo mare, Crotone ha un aspetto grigio spento. È piena di pozzanghere, di detriti e cascami decomposti che fermentano vicino a cliniche di lusso per ricchi che sembrano hotel. Una carcassa smembrata dagli abusi infiniti e dagli orrori spesso rimessi all’aria dai segni delle periodiche alluvioni che atterrano la città. La comunità cittadina sembra ormai afflitta dalla noia strisciante o dalla rassegnazione di vivere senza più speranze, nonostante i recenti cambi di poltrona nei palazzi del comune. Una dimissione civile che leggi anche nelle facce della gente per strada.
Crotone allagata nel novembre del 2020
Ai ragazzi di Crotone restano la carta dell’emigrazione o i mestieri provvisori del precariato a vita. Come riparo di fortuna ci sono solo i call center dei grandi gruppi di gestori di telefonia. Qui hanno fatto man bassa, con paghe inferiori a quelle dei pària tecnologici che rispondono dalle postazioni di Calcutta o Tirana. Servizi di recalling e customer care interconnessi agli utenti di cellulari e smartphone urbi et orbi, che rispondono nella lingua globalizzata del business da qui, da Crotone. E invece stiamo con i piedi sopra le tombe degli eroi, nella Magna Grecia delle migliori annate.
Cultura, legami e resistenza
Ogni volta che passo da Crotone faccio un salto alla Libreria Cerrelli, in via Vittorio Emanuele, di fronte al vecchio Municipio e di fianco alla Chiesa dell’Immacolata. Fondata nel 1900, è la più antica libreria della provincia. Ed è una delle ultime rimaste vive in Calabria senza passare dalla servitù delle catene editoriali. In più di 120 anni di storia, visitata anche da Corrado Alvaro e da molti altri scrittori, è oggi uno dei pochi punti caldi rimasti come riferimento per la vita culturale cittadina. È un presidio che resiste nonostante la crisi. Merito di Paolo Cerrelli, che la gestisce come un luogo di grande vivacità, con numerosi appuntamenti.
La Rari Nantes in un’immagine d’epoca
Oltre che libraio, è un attivista e agitatore culturale, difensore delle librerie indipendenti e del valore della cultura crotonese, antica e moderna, che anima anche attraverso festival di musica e letteratura. Ha un passato da militante di sinistra e da atleta nella mitica pallanuoto “Rari Nantes Auditore”, settant’anni di storia sportiva di cui oggi restano solo gli avanzi desolati di una piscina olimpica scassata, ricettacolo di rifiuti. Cerrelli ha chiesto di recente all’amico Sergio Cammariere di poter utilizzare un brano tratto dal suo ultimo disco “Piano nudo” per sviluppare sul tema una poesia o un breve racconto, massimo di 20 parole. Il cantautore è un altro dei crotonesi da ricordare per il suo legame con la città. Nel suo libro autobiografico Libero nell’aria la ricorda così: «Volevo vivere di musica e ci sono riuscito, ma lontano da Crotone, a Roma», dove lo aveva preceduto Rino Gaetano, che di Cammariere era appunto lo zio.
Sergio Cammariere
Invece Giacinto de Rosario, esperto alimurgico e cuoco raffinatissimo, impegnato in azioni pubbliche per la sovranità alimentare, sulle sorti di Crotone, da crotonese di ritorno dopo una vita da antiquario di successo a Firenze, sottolinea il dovere di andare oltre le dichiarazioni d’amore per la città: «Occorre l’impegno di scoprire, salvare, avere cura della memoria e non farla più seppellire, per quel che resta di sopra e soprattutto di sotto. Non occorre stilare luoghi e storie da primato, ancor meno mi aspetto aiuti dagli eletti in parlamento, dagli ordini professionali ed altre categorie. È giunto il momento di farsi sentire e vedere tutti insieme, altrimenti è bene rassegnarsi al nulla». A proposito di impegno, il Gruppo Archeologico Crotonese assieme agli attivisti di Italia Nostra si batte da anni per difendere il grande patrimonio archeologico della città e dei dintorni.
I nuovi mostri
Sventato per ora il massacro di una grande lottizzazione speculativa per la costruzione di ville sull’area archeologica di capo Colonna, si profila all’orizzonte un’altra mostruosità: un colossale parco energetico offshore da piazzare nelle acque antistanti la città. Se verranno confermate le concessioni alla trivellazione alla Global Med, una società estrattiva americana, il progetto promette in un sol colpo di collocare su una superficie di mare di ben 2.250 kilometri quadrati tre nuove piattaforme di trivellazione, un campo di enormi pale eoliche offshore e una piastra di approdo per navi container e navi gasiere per rifornimento di gas naturale liquefatto. Tutto dentro le sacre acque che bagnano l’antica città di Kroton.
Si narra che Pitagora, che 2.500 anni fa scelse Crotone per fondare la sua scuola sapienziale, iniziasse la giornata insieme ai suoi scoliasti salutando il sole che saliva da oriente. Per ora il megaprogetto, avversato da gruppi ambientalisti e associazioni, pare aver trovato oppositori anche tra gli attuali amministratori cittadini. Se così non sarà, dopo lo scempio compiuto in terra, anche l’orizzonte ionico blu cobalto e il meraviglioso paesaggio marino dello specchio d’acqua crotonese avranno forse le ore contate.
Il prezzo del progresso
Oggi il Sud e la Calabria sono com’è Crotone: un immenso e caotico terreno di battaglia disseminato peggio che altrove delle macerie e dei ruderi informi di una modernizzazione scarsa di sviluppo che è stata – e sarà – incapace di tenere fede alle promesse di progresso annunciate un secolo fa. Il prezzo delle conquiste della modernità qui è stato tra i più compromettenti ed elevati: territorio massacrato, assenza di un’economia reale, disoccupazione che non smette di crescere, amministrazioni e governi locali allo sbando, una mafia efficiente e pervasiva come qui nessun potere legale riesce ancora a diventare.
Un nuovo e più sottile disordine sociale sta finendo per sgretolare una società pericolante. Che, a dispetto del benessere materiale ostentato ovunque, resta sottomessa, immiserita nei valori e culturalmente dimidiata nel suo unico bene: la sua memoria, la bellezza dei luoghi, il monito dimenticato che proviene dalla storia e dalla forza del suo paesaggio. Una società entro la quale nessuno pare avere il coraggio, la forza sufficiente a contrastare il peggio. Altre regioni, si dirà, altri Sud offrono della modernizzazione un bilancio simile, e tuttavia ‘ora’ è meglio di ‘allora’. Restano pur sempre il benessere dei consumi, le macchine, i frigoriferi, i computer, i telefonini, le parabole, l’economia di carta. Certo, è vero. Ma non è comunque una buona ragione per tacerne stupidamente il prezzo e nasconderne lo scandalo.
L’ultima colonna
Rivolgo lo sguardo al Capo Lacinio, da qui si intravede l’ultima colonna rimasta in piedi sul promontorio. Capo Colonna con la sua solennità a futura memoria resta lontano, sembra confinato a una distanza disperata, crescente. Un’altra nemesi sfacciata, uno scherzo beffardo della storia. Più di cent’anni fa, di passaggio nella “terrificante Crotone” battuta dallo scirocco e senz’acqua potabile, si ammalò di febbre polmonare George Gissing, e qui restò lungo in balia della tisi.
Si salvò solo grazie alle cure di un medico di campagna, il dottore Sculco, che divenne poi suo amico, e all’amore per lo straniero di un paio di donnette del popolo che aveva incantato, la povera gente che lo risollevò alla vita in una misera stanzetta dell’albergo Concordia, un posticino che in realtà era un bordello maltenuto. Il vittoriano solitario così scrisse grato: «Per me sarebbe stato meglio meglio morire qui sulle rive dello Ionio, piuttosto che in un tugurio di Shoredicth», il quartiere per dannati della Grande Londra dove era finito a vivere.
L’area archeologica di Capo Colonna
Prima di riprendere la strada voglio andare a rifarmi gli occhi e la mente al Museo di Capo Colonna, che conserva meravigliose la bellezza e la magnificenza che qui abitarono e che sono solo del passato. Ad accogliermi, anche qui, sono cumuli di monnezza traboccanti da cassonetti artisticamente piazzati nell’area archeologica, all’interno dell’oasi naturalistica del Parco di Capo Colonna, un centinaio di metri appena dall’ingresso del Museo archeologico. Se Gissing fosse venuto in macchina con me a rivedere Crotone, anche lui si sarebbe sentito coinvolto nel disastro morale della storia. E avrebbe pianto.
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