Tag: crotone

  • Aggredito ex sindaco di Roccabernarda: al vaglio la posizione di due 17enni

    Aggredito ex sindaco di Roccabernarda: al vaglio la posizione di due 17enni

    L’ex sindaco di Roccabernarda, comune di poco più di 3 mila abitanti in provincia di Crotone, Francesco Coco, 73 anni, è stato ricoverato in gravi condizioni, ma non sarebbe in pericolo di vita, nell’ospedale di Catanzaro a seguito di una violenta aggressione subita nella notte mentre stava rientrando a casa. Da una prima ricostruzione due persone, con volto coperto, avrebbero atteso Coco davanti casa e mentre stava entrando nel giardino colpendolo alle spalle con un bastone e causandogli ferite gravi tanto che i sanitari intervenuti hanno deciso di trasferirlo nel reparto di neurochirurgia dell’ospedale del capoluogo calabrese dove è attualmente ricoverato in osservazione.

    Al vaglio la posizione di due 17enni

    L’aggressione è avvenuta poco prima della mezzanotte. Gli accertamenti avviati dagli investigatori dell’Arma hanno portato verso due diciassettenni nei confronti dei quali non è stato ancora emesso alcun provvedimento giudiziario. La loro posizione è al vaglio dei militari anche allo scopo di comprendere le motivazioni alla base del pestaggio. Sono stati sequestrati anche degli indumenti utilizzati dagli aggressori poi abbandonati nelle campagne circostanti durante le rocambolesche fasi della fuga a piedi. I carabinieri stanno anche procedendo all’esame delle telecamere di videosorveglianza pubbliche e private presenti nell’area per raccogliere eventuali altri indizi

    Ex maresciallo noto per le posizioni contro la ‘ndrangheta

    Coco, che nel 2006 è stato anche insignito del titolo di cavaliere della Repubblica italiana, è un ex maresciallo dei carabinieri noto per le sue posizioni contro la criminalità organizzata. A Roccabernarda è stato sindaco, a capo di una lista di centrodestra, dal 2002 al 2007; eletto successivamente consigliere nel 2017 ha rivestito anche il ruolo di consigliere provinciale dal 2020 al 2021. Negli anni scorsi è già oggetto di gravi intimidazioni: nel 2019, quando era consigliere comunale, gli è stata incendiata l’auto.

    Il sindaco di Roccabernarda, Luigi Foresta, insieme a tutta l’amministrazione, ha espresso un messaggio vicinanza e solidarietà a Coco: «Siamo vicini con la mente e con il cuore – afferma – al nostro concittadino. Atti del genere sono vergognosi, inauditi e incidono negativamente sulla tranquillità di una intera popolazione. Siamo certi che le autorità competenti troveranno i colpevoli di questo vigliacco gesto così da permettere giustizia nei confronti del Maresciallo e di tutta la sua famiglia».

     

    .

  • Centrodestra alla resa di conti: faide, inciuci e batoste mentre Occhiuto tace

    Centrodestra alla resa di conti: faide, inciuci e batoste mentre Occhiuto tace

    Il centrodestra calabrese ha scelto i cavalli sbagliati su cui puntare alle Amministrative di questi ultimi tre anni. Nonostante abbia “sbancato” per due volte di seguito alle Regionali, nei capoluoghi di Provincia “roccaforti” della destra, come Cosenza e Catanzaro, ha ceduto lo scettro a coalizioni di sinistra. Certo, alla gauche non sono mancati “aiutini” dal campo avverso. Ora “sottobanco”, ora con litigi, divisioni e ripicche. Protagonista, in entrambi i casi, un notabilato che inizia ad arrancare in vista delle Politiche. Saranno queste ultime a rappresentare la vera resa dei conti interna al centrodestra in corso da mesi.

    La carta del “Papa straniero” a Reggio

    Quasi due anni fa il tavolo nazionale del centrodestra vedeva Matteo Salvini, forte del vento in poppa e del voto d’opinione raccolto alle Regionali calabresi del 2020, puntare i piedi per realizzare un sogno: avere un sindaco leghista a Reggio Calabria. Fumo negli occhi per il deputato azzurro Francesco Cannizzaro. Quest’ultimo bramava di piazzare un suo uomo, invece ha dovuto subire il “Papa straniero” Nino Minicuci, originario di Melito Porto Salvo e già direttore generale del Comune di Genova. Ed è proprio in Liguria che Minicuci ha trovato i suoi maggiori sponsor politici, dal segretario regionale della Lega, Edoardo Rixi, al presidente di Regione, Giovanni Toti.

    Antonino Minicuci
    Antonino Minicuci

    Vantava una notevole esperienza tecnica Minicuci. Però non gli ha garantito una volata per sfilare Reggio Calabria a quel Giuseppe Falcomatà che ben pochi (anche tra i suoi) volevano veder rieletto. In primis per il “caso Miramare”, che lo ha portato alla sospensione dalla carica dopo la condanna in primo grado nel relativo processo.

    Al primo turno Minicuci prese il 7,1% in meno rispetto alle sue 10 liste, mentre al ballottaggio straperse a favore del candidato del Pd. «Non ha vinto Falcomatà, ma abbiamo perso noi e la responsabilità è di tutti» dichiarò Cannizzaro in conferenza stampa, Una non troppo velata stoccata contro il senatore Marco Siclari. «Io non ho fatto neanche un giorno di mare mentre qualcuno è andato alle Eolie», aggiunse riferendosi al suo avversario interno. Ossia quello che, con la deputata Maria Tripodi, si era schierato subito a favore del “Papa straniero”.

    cannizzaro-princi
    Cannizzaro e la vice presidente della Giunta regionale, sua cugina Giusy Princi

    Profumo di sgambetto nel centrodestra reggino

    Nonostante la sospensione del sindaco per la Severino, l’inchiesta per i brogli elettorali e vari scossoni politico-partitici il centrosinistra governa ancora la città in riva allo Stretto con relativa tranquillità. Ma accade perché in Forza Italia i notabili (i citati Siclari e Tripodi, ma anche l’ex consigliere regionale da 10mila preferenze Domenico Giannetta) sono troppo impegnati a de-Cannizzarizzare il partito in vista delle Politiche. Insomma, sgambetti in vista per “Ciccio Profumo”, nonostante il pennacchio da responsabile di Forza Italia per il Meridione. E nonostante  abbia intascato già la nomina come vice di Roberto Occhiuto per sua cugina Giusy Princi.

    A Crotone briciole e pagnotte

    Coeva alla disfatta leghista a Reggio Calabria è stata quella del centrodestra crotonese. A guidarlo era il deputato azzurro (subentrato proprio nel 2020) Sergio Torromino, coadiuvato dal coordinatore cittadino di FI e oggi portaborse di Valeria Fedele, Mario Megna.
    Fi, Lega e Fdi puntarono sull’avvocato Antonio Manica. Noto professionista, ma politico non trainante, tant’è che al primo turno prese l’8,2% in meno delle sue dieci liste che arrivarono al 49,8%.
    Risultato: Manica al ballottaggio prese oltre 4.500 voti in meno rispetto al primo turno. E a imporsi fu il primo (e unico) sindaco arancione della Regione, Vincenzo Voce, espressione del Movimento “Tesoro Calabria” di Carlo Tansi.

    crotone-voce-cerca-soccorso-azzurri-dopo-crollo-civismo
    Vincenzo Voce, sindaco di Crotone

    In Consiglio comunale Fdi non entrò nemmeno, anche se oggi ha dei simpatizzanti nell’assise. La Lega invece perse la sua unica eletta, Marisa Cavallo, planata nel gruppo misto. La causa principale? I dissidi col commissario provinciale dl Carroccio, Cataldo Calabretta.
    E Forza Italia? Elemosina briciole. Anzi, pagnotte. Tutto nel tentativo (recentemente mancato) di entrare nell’esecutivo civico facendo da stampella ad un sindaco con numeri ballerini. Eppure, con la vittoria schiacciante alle ultime Provinciali che ha visto protagonista politico l’ex assessore Leo Pedace, il centrodestra pitagorico aveva di fronte a sé un governo cittadino alla canna del gas. Invece, la canna è diventata un boccaglio, fornito dal citato forzista Megna e i suoi sodali.

    L’anomalia cosentina

    Le comunali di Cosenza, invece, si sono tenute lo stesso giorno delle regionali che hanno portato Roberto Occhiuto alla Presidenza della Regione.
    Il candidato di Forza Italia, Lega, Fdi, Udc e Coraggio Italia è stato Francesco Caruso, già vicesindaco di Mario Occhiuto. Le sue liste al primo turno ottennero il 43,2%, in linea con il risultato del centrodestra alle regionali, pari al 43,7%. Il candidato, però, ebbe il 5,8% in meno delle otto liste a suo supporto. E si ritrovò come sfidante Francesco De Cicco, assessore in carica della sua stessa Giunta comunale. Lo stesso assessore che al secondo turno “abbracciò” Franz Caruso ed il Pd, sempre rimanendo in carica fino alla successiva nomina nel nuovo governo cittadino e risultando decisivo nella vittoria del centrosinistra.

    centrodestra-alla-resa-di-conti-faide-inciuci-e-batoste-ma-occhiuto-tace
    Francesco Caruso e Mario Occhiuto durante la campagna elettorale

    Che Mario Occhiuto ed il centrodestra ormai guidato dal fratello Roberto abbiano puntato su un “pupillo” senza revocare dalla Giunta una spina nel fianco da quasi 5.000 voti odora di inciucio tra schieramenti formalmente avversi. Chissà se ricambiato con la successiva vittoria della sindaca di San Giovanni in Fiore e anche lei già assessora della Giunta di Mario Occhiuto, Rosaria Succurro, alle Provinciali bruzie.

    La debacle del centrodestra a Catanzaro

    Non serve dilungarsi, ne abbiamo recentemente parlato a più riprese. Nel capoluogo di Regione andato al voto poche settimane fa, è emersa plasticamente la scarsa capacità del notabilato regionale di puntare su un cavallo vincente. E con essa tutte le frizioni in vista delle politiche.
    Nell’arco della campagna elettorale a favore del docente di sinistra Valerio Donato, il centrodestra è passato da più fasi. La prima, quella in cui era certo di una vittoria marcata al primo turno. La seconda, in cui ha coltivato la speranza (poi realizzatasi) dell’anatra zoppa. Infine, quella della desolazione post ballottaggio.

    elezioni-catanzaro-fiorita-sindaco-sconfitto-donato
    Nicola Fiorita, professore universitario e nuovo sindaco di Catanzaro

    Oggi il sindaco è Nicola Fiorita. E in queste ore dai partiti di sinistra sta ricevendo più telefonate per posti in Giunta che voti alle elezioni, espressione del civismo di sinistra. Un successo, il suo, frutto non solo dell’attrattività della sua figura, ma anche delle faide interne al centrodestra. Che, pur sconfitto, rimane maggioranza nel tessuto sociale della città. Il neo-sindaco rischia di essere prigioniero del “campo largo” rimasto sulla carta. E c’è la possibilità che si veda imporre dal Nazareno la nomina della “sardina” Jasmine Cristallo come sua portavoce. La cosa causerebbe malumori alle decine di aspiranti assessori che ritengono di poter rientrare in quel concetto di “nomine di alto profilo” che Fiorita vorrebbe sia per la Giunta che per le altre caselle. Insomma, i nodi verranno presto al pettine.

    centrodestra-alla-resa-di-conti-faide-inciuci-e-batoste-ma-occhiuto-tace
    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Detto questo, la carta bianca data dalla Lega a Filippo Mancuso in questa campagna elettorale appena conclusa, non ha premiato. Così come il tentativo del coordinatore regionale di Fi, Giuseppe Mangialavori, di replicare l’esperienza delle comunali di Vibo Valentia del 2015 con Elio Costa, in cui i partiti del centrodestra si erano “mimetizzati” con sigle differenti dalle originali.

    Il Vibocentrismo regge

    L’avvocata Maria Limardo, dopo una candidatura alle elezioni regionali del 2010 con il Pdl e l’elezione sfiorata con ben 4.736 preferenze nell’allora collegio di Vibo Valentia, è divenuta sindaca di Vibo Valentia nel 2019 al primo turno (con quasi il 60% dei voti) con una coalizione trainata dal suo partito, Forza Italia e dal già citato Giuseppe Mangialavori.

    vibo-valentia-tanti-problemi-ma-anche-passi-avanti-la-difesa-di-limardo
    Maria Limardo, sindaco di Vibo Valentia

    La Limardo è una mosca bianca di questo centrodestra incapace di esprimere amministratori locali di chiara matrice partitica. Netta nelle decisioni, riesce a gestire le fibrillazioni politico-partitiche senza esserne succube.  è sopravvissuta politicamente dopo lo scossone di Rinascita-Scott che portò la commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro a chiedere pubblicamente la fine della consiliatura (ricevendo, di fatto una pernacchia). E alle ultime regionali ha superato il brutto sgambetto al leader di una importante formazione politica che governa con lei Vibo Valentia. Parliamo di Città Futura e di Vito Pitaro, estromesso dalle candidature a pochi giorni dal voto.

    Insomma, in una politica fatta di equilibrismi ed equilibristi (ma anche di trapezisti e clown, a dirla tutta), il decisionismo della Limardo è un tratto inedito. Che difficilmente, però, un notabilato alla perenne, famelica ricerca di un altro giro di giostra in Parlamento intende valorizzare.

    Roberto Occhiuto si smarca dal resto del centrodestra

    «Dal primo giorno del mio mandato da presidente della Regione ho detto che avrei fatto l’uomo di governo e che mi sarei occupato soltanto dei problemi della Calabria, lasciando ai partiti le scelte in ordine ai candidati sindaco delle città». «Rimango un dirigente politico nazionale del centrodestra, ed è chiaro che mi impegnerò per le prossime elezioni politiche. Ma per scegliere gli aspiranti primi cittadini non sono intervenuto e non interverrò in futuro». Queste le dichiarazioni di Roberto Occhiuto all’Ansa dopo l’ultima tornata amministrativa.

    centrodestra-alla-resa-di-conti-faide-inciuci-e-batoste-ma-occhiuto-tace
    Vincenzo De Luca

    Una posizione molto diversa dai suoi colleghi presidenti di Regione. In Campania Vincenzo De Luca in alcuni comuni ha presentato la lista Campania Libera di sua diretta espressione. E si è preso il merito delle vittorie, tra cui quella di Enzo Cuomo a Portici (con l’80%).

    In Puglia Michele Emiliano rivendica la vittoria locale della «formazione che governa la Puglia» e che ha visto il democrat vicino a molti candidati in questa tornata amministrativa. Tra questi, il sindaco rieletto di Taranto Rinaldo Melucci. «Sicuramente è uno dei risultati più importanti in Italia perché qui la coalizione si è presentata nella stessa formazione che governa la Regione e nella stessa formazione che ci auguriamo possa governare l’Italia nelle prossime elezioni politiche», il suo commento sul voto.

    centrodestra-alla-resa-di-conti-faide-inciuci-e-batoste-ma-occhiuto-tace
    Michele Emiliano

    Non differente la situazione a destra. Il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio, in quota Fratelli D’Italia, ha messo il cappello sul risultato delle Comunali. «Il centrodestra ha sciolto il guinzaglio della sinistra sugli elettori» ha dichiarato festeggiando la vittoria del “suo” candidato Pierluigi Biondi a sindaco de L’Aquila.
    Insomma, ragionamenti e azioni diametralmente opposti a quelli di Roberto Occhiuto.
    Tra paura di ammettere sconfitte e rese dei conti, la partita per le politiche è ancora tutta da giocare.

  • Cirò Marina, il padel dei Farao finisce in Parlamento

    Cirò Marina, il padel dei Farao finisce in Parlamento

    Numerose testate giornalistiche hanno ripreso la notizia data da I Calabresi sulla licenza per il campo da padel che il Comune di Cirò Marina ha concesso alla società “Signor Padel srls” di Giuseppe Farao, condannato in primo grado per associazione mafiosa e figlio del boss dell’omonimo clan al centro del processo “Stige”. Ma ha avuto strascichi ulteriori, che rischiano di “inguaiare” l’amministrazione guidata dal presidente della Provincia di Crotone Sergio Ferrari.
    Già, perché  Francesco Sapia, deputato di Alternativa, ha proposto una formale interrogazione parlamentare sul caso alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese in cui invoca la commissione di accesso antimafia. Ma procediamo per gradi.

    Cirò Marina e il padel di Farao: la riunione di mezzanotte

    Nella tarda serata dello scorso primo giugno, subito dopo la pubblicazione dell’inchiesta de I Calabresi, sulla pagina Facebook “Sergio Ferrari – Sindaco” è comparso un post con l’hashtag #INDIRETTADALCOMUNE. Il primo cittadino specificava, anche a nome di tutta l’amministrazione, di aver «immediatamente convocato gli uffici». Così come di avere «richiesto delucidazioni in merito alla procedura ed all’istruttoria propedeutica al rilascio del permesso». Chiariva poi che «nell’immediatezza, nella sollecitata attività di riesame, l’Ufficio Tecnico ha ritenuto avviare procedimento di revoca in autotutela del già citato permesso, sospendendo nelle more ogni effetto». Affermava, infine, di voler «adottare ogni provvedimento necessario, nei confronti dell’Ufficio Area Urbanistica e del Responsabile, in assoluta aderenza alle linee di indirizzo, che sono valse sin dall’insediamento di questa Amministrazione».

    Il sindaco Sergio Ferrari è anche presidente della Provincia di Crotone

    Insomma, il sindaco ha prontamente annunciato con un post di mezzanotte la revoca della licenza edilizia concessa a Farao il giorno stesso. In effetti, come si legge nel permesso di costruire, il numero 18 del 1 giugno 2022, è in quella medesima data che è stata fatta l’ultima verifica (quella di regolarità tributaria) prima della concessione della licenza a firma del responsabile dello sportello unico per l’edilizia, Raffaele Cavallaro.

    La reazione dopo lo stop

    L’uscita di Ferrari ha indotto in escandescenza Giuseppe Farao, che ha replicato pubblicamente nell’immediatezza al post del Sindaco (dal profilo Facebook del fratello Vincenzo, ma a sua firma). Farao ha annunciato: «Denunceremo il tutto, compresi tutti i veri ‘abusi’ che ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti. Lei signor sindaco non può parlare pubblicamente di revoca (da guardare la normativa) solo per dimostrare qualcosa… Bisogna indagare se il tutto è fatto nella massima legalità prima di infamare, anche lei, perché in un qualche modo l’ha appena fatto. La legalità non è solo una semplice parola».

    Poi ha aggiunto in un secondo post: «Ci tengo a precisare che la licenza edilizia richiesta e concessami in data 1/6/22 è stata controllata e rivoltata come un calzino prima che mi venisse consegnata con tutta la documentazione prevista dalla legge a differenza di altre. Per quanto riguarda le misure adottate dal sindaco revocandomi la stessa, posso solo limitarmi a dire che se è giusto o meno si vedrà nelle sedi competenti in quanto tutto è stato nell’immediatezza denunciato alle autorità».

    Entrambi i post hanno ricevuto numerosi like da parte di concittadini di Farao e commenti solidali. Contattato direttamente da I Calabresi tramite il profilo Facebook da lui utilizzato per comunicare, ossia quello del fratello Vincenzo Farao, alla domanda se volesse chiarire meglio la sua posizione rispetto a quanto scritto al sindaco e rispetto a quanto scritto nella nostra inchiesta, Giuseppe Farao ha espressamente declinato l’invito.

    permesso-padel-farao-ciro-marina
    Il permesso rilasciato dal Comune di Cirò marina alla Signor Padel Srls di Giuseppe Farao

    Il Comune di Cirò Marina revoca la licenza per il padel di Farao

    In effetti, il sindaco è stato (in parte) consequenziale. Con un provvedimento dell’Ufficio Area Urbanistica del Comune di Cirò Marina del 3 giugno scorso, firmato dall’architetto Raffaele Cavallaro, che questa volta si firma come “responsabile Area Tecnica”, lo stesso si autonominava responsabile del procedimento. Quindi inviava la comunicazione di avvio dell’iter di revoca del permesso di costruire alla Signor Padel Srls di Giuseppe Farao (concessa solo due giorni prima). Con che motivazione? Secondo «l’art. 12 delle norme tecniche di attuazione del PRG, per la zona B non prevede la destinazione d’uso indicata nel progetto presentato di cui al permesso di costruire».

    padel-farao-ciro-marina-permesso-comune-fa-discutere
    Gli impianti della “Signor Padel Srls” (foto dal sito aziendale)

    E questo è vero perché il terreno a Cirò Marina sul quale dovevano sorgere i campi da padel – di proprietà di Antonietta Garrubba, moglie di Giuseppe Farao e socia unica della Signor Padel Srls – risulta qualificato al catasto come “Uliveto”. Difficilmente una tale qualificazione urbanistica avrebbe potuto portare alla costruzione di una attività commerciale. Nonostante questo, il loro sito PadelCiromarina.it è stato aggiornato ed il progetto viene indicato come “in esecuzione”.

    Da aggiungere un particolare non di secondo rilievo. L’Ansa il 3 giugno riporta un virgolettato attribuito al Comune di Cirò Marina. Stando all’agenzia, «per mero errore materiale non è stato chiesto il Bdna (il certificato antimafia, ndr) così come previsto dalla normativa vigente». Invece, in un articolo de Il Quotidiano Del Sud del giorno successivo, si legge quest’altro virgolettato: «Il certificato antimafia? Lo avevamo dimenticato».

    In attesa che si calmino le acque

    Col decreto numero 14 del 3 giugno 2022 il sindaco Sergio Ferrari ha revocato un suo precedente decreto, il numero 9 che lo scorso 19 aprile aveva attribuito all’architetto Raffaele Cavallaro (firmatario del permesso di costruire a Farao) la titolarità della posizione organizzativa dell’Area Urbanistica. E lo revocava, si legge nel decreto pubblicato sull’Albo pretorio, per «accertate situazioni non in linea con gli obiettivi desumibili dal programma amministrativo del Sindaco e ravvisate particolari inadempienze amministrative».

    ciro-marina-raffaele-cavallaro
    Raffaele Cavallaro

    Il sindaco, però, non revocava il decreto numero 7, emanato sempre il 19 aprile, che conferiva all’architetto Raffaele Cavallaro l’incarico triennale di “Istruttore Direttivo Tecnico – cat. D, Pos. Econ. D1” ai sensi dell’articolo 110, comma 1 del Tuel. Un incarico, quindi, fiduciario, espressamente revocabile “per risultati inadeguati”.
    Pertanto, il funzionario comunale che – quale responsabile dello sportello unico dell’edilizia, dell’area tecnica e dell’area urbanistica – avrebbe dimenticato di chiedere il certificato antimafia ad un condannato per mafia del medesimo paese, è stato, di fatto, confermato nell’incarico che necessita della fiducia di Ferrari.

    Lo stesso Cavallaro, inoltre, benché privato della posizione organizzativa (e, quindi, del potere di firma quale responsabile), è rimasto nel medesimo ufficio ad occuparsi delle medesime incombenze. E rumors interni riportano come lui dichiari di aver ricevuto solo una mera sospensione temporanea «in attesa che si calmino le acque».

    Sapia porta il caso in Parlamento: l’interrogazione alla ministra Lamorgese

    Invece, la questione continua a tener banco, non reggendo la scusa della “carenza di organico”, essendo recentemente rientrata dalla maternità l’impiegata del settore Lavori pubblici Bina Fusaro.
    Da precisare, inoltre, che il precedente responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Cirò Marina, l’ingegnere Giuseppe Rocco Crispino di Monterosso Calabro, ha rassegnato le proprie dimissioni volontarie lo scorso aprile, due settimane prima della richiesta concessoria avanzata da Giuseppe Farao.
    «Nessun motivo particolare e nessuna pressione» ha dichiarato a I Calabresi l’ingegner Crispino, ora assunto a Sant’Eufemia D’Aspromonte.

    Francesco-Sapia
    Francesco Sapia (Alternativa)

    A volerci veder chiaro, però, è il deputato di Alternativa, Francesco Sapia, che con una interrogazione scritta alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese si chiede come sia stato possibile che l’Ufficio tecnico di Cirò Marina abbia “dimenticato” di chiedere il certificato antimafia ad un condannato per associazione mafiosa, congiunto del boss a capo di uno dei clan calabresi tra i più efferati secondo l’ultima relazione della Dia. Lo stesso Sapia chiede lumi sulla permanenza nell’ente comunale dell’architetto Raffaele Cavallaro. E chiede di sapere, altresì, se il Ministero e la Prefettura intendano promuovere l’accesso antimafia previsto dal Testo Unico sugli Enti Locali. Insomma, un nuovo macigno su un Comune già sciolto nel 2018 per infiltrazioni mafiose in cui si deve rilevare il totale silenzio dell’opposizione cittadina e dei rappresentanti regionali e nazionali del territorio. Attendiamo nuovi riscontri.

     

    **********

    La versione iniziale dell’articolo riportava tra i cofirmatari della concessione, oltre a Raffaele Cavallaro, la dipendente comunale Marina Ceraudo.
    Quest’ultima, però, ha siglato il provvedimento nella sola qualità di responsabile della pubblicazione degli atti, senza rivestire ulteriori ruoli durante l’iter amministrativo.
    Ci scusiamo con la diretta interessata e i lettori per le eventuali incomprensioni che il dettaglio potrebbe aver ingenerato.

  • Civismo addio: ora Voce se la fa con gli azzurri

    Civismo addio: ora Voce se la fa con gli azzurri

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Dio è morto, Marx è morto e anche il civismo non si sente molto bene. Il riadattamento della celebre battuta aiuta a comprendere il declino del civismo calabrese.
    Il civismo è riesumato ad ogni campagna elettorale, comunale e regionale, come un “valore aggiunto”. Ma, alla prova dei fatti, quasi inesistente dato che nei momenti di bisogno (o di difficoltà) è proprio ai partiti che ci si appiglia.
    È il caso di Crotone, dove Vincenzo Voce, unico sindaco espressione del movimento Tesoro Calabria di Carlo Tansi, ha visto sgretolarsi tra le mani la maggioranza civica che lo ha portato alla vittoria poco più di un anno e mezzo fa. E che gli garantiva 21 voti sui 11 della minoranza.

    Vincenzo Voci in Consiglio comunale

    Crotone: collassa la maggioranza di Voce

    Nel settembre 2020 furono quattro le liste a sostegno di Voce: Tesoro Calabria, Crotone Cambia, Città Libera e Stanchi dei soliti. L’aspirante sindaco incassò anche il sostegno di Elisabetta Barbuto, la parlamentare più ricca della Calabria in quota M5S, e della collega senatrice Margherita Corrado. La cosa provocò una spaccatura tra i grillini, che si presentavano ufficialmente come rivali dei tansiani.
    Anche la coalizione civica scricchiolò da subito.

    La senatrice grillina Elisabetta Barbuto

    I tansiani si dividono: Tesoro Crotone resta con Voce

    Tesoro Calabria si scisse immediatamente formando un secondo gruppo: Tesoro Crotone. Al suo interno la consigliera Paola Liguori, a capitanarlo invece Dalila Venneri.

    Venneri si candidò alle scorse Regionali con Luigi De Magistris, facendo nascere in consiglio regionale a febbraio il monogruppo De Magistris Presidente, con tanto di benedizione dello stesso ex pm e del consigliere regionale Antonio Lo Schiavo. Entrambi i gruppi sono rimasti in maggioranza.

    La ex tansiana (poi demagistristiana) Dalila Venneri

    Spuntano i renziani

    La consigliera comunale Giada Vrenna, eletta con Crotone Cambia, invece, ha costituito il monogruppo di Italia Viva. «Manifesto il mio entusiasmo nell’aderire e costituire il gruppo di Italia viva in seno al Consiglio comunale della mia città. Ho visto nel partito di Matteo Renzi lo strumento migliore per mettere la persona al centro dell’azione politica»: così dichiarò Vrenna pochi mesi dopo le elezioni. Ma restò in maggioranza, tra lo sconcerto di colleghi reduci da una campagna elettorale giocata contro i partiti.

    Giada Vrenna, dal civismo alla corte di Renzi

    Ex tansiani all’opposizione

    Poi ci sono quattro eletti con Tesoro Calabria: Anna Maria Cantafora, Salvo Riga, Vincenzo Familiari e Nicola Corigliano. Questi hanno costituito il gruppo Un’altra Crotone due mesi fa. Nell’occasione hanno dichiarato: «Non è andata come pensavamo, non abbiamo saputo spenderci per la nostra città perché Tesoro Calabria è solo il gruppo autoreferenziale di Carlo Tansi».
    Non finisce qui: gli ex tansiani si son recentemente collocati all’opposizione assieme a Fabrizio Meo e Carmen Giancotti (che lo hanno fatto fin dalle prime sedute dell’assise pitagorica pur non cambiando gruppo). Il tutto con stoccate a mezzo stampa nei confronti del sindaco. L’ultima è quella di Cantafora. La quale, ha chiesto l’azzeramento della Giunta (dopo il mini rimpasto dello scorso febbraio col siluramento dell’ingegnere Ilario Sorgiovanni, vicino alla Barbuto) e ha provocato la risposta stizzita di Enzo Voce.

    crotone-voce-cerca-soccorso-azzurri-dopo-crollo-civismo
    Anna Maria Cantafora, ex tansiana e ora oppositrice

    Voce s’arrabbia

    Voce ha replicato così: «Il sindaco, gentile consigliera Cantafora non accetta ultimatum, anzi penultimatum. Perchè di questo si tratta: un penultimatum per sondare il terreno, a discapito dell’interesse dei cittadini ma supportato solo da interessi di natura personali. Un penultimatum che non ha nessuna base politica. Il conto alla rovescia non è iniziato, gentile consigliera Cantafora. È già finito»

    Niente soccorso rosso…

    In vista delle Provinciali, Voce si era avvicinato al Partito democratico. Tant’è che si candidò alla presidenza della Provincia con la lista Per il Territorio, costituita tutta da dem (l’unico eletto di quella lista, il cirotano Giuseppe Dell’Aquila, ha infatti costituito il gruppo Pd nella provincia di Crotone). Peccato che proprio alcuni sindaci e amministratori di riferimento del Pd in quell’occasione votarono a destra, tentando il delitto (politico) perfetto nei confronti di Voce.
    Il sindaco, invece, è apparso rafforzato nel post-provinciali lo scorso dicembre. Ma ora, dopo la frattura definitiva con i quattro di Tesoro Calabria, Carlo Tansi, ha dichiarato sui social: «Se qualche traditore farà cadere il sindaco Enzo Voce, avrà la responsabilità di aver riconsegnato Crotone alla ’ndrangheta prima dell’arrivo della valanga di soldi PNRR».

    … Ma arriva quello azzurro

    Ora, però, è emerso sulla scena pitagorica l’ingresso in maggioranza di Forza Italia, con il placet del deputato Sergio Torromino e della consigliera regionale Valeria Fedele.

    crotone-voce-cerca-soccorso-azzurri-dopo-crollo-civismo
    Sergio Torromino, il manovratore azzurro

    Stando a rumors insistenti e alla luce delle riunioni dirette da Mario Megna coordinatore cittadino di Forza Italia (e portaborse della Fedele), un gruppetto di consiglieri sarebbe pronto a fare da “stampella” a Voce. Va da sé, in maniera “organica”, cioè in cambio di poltrone.
    Megna ha trascorsi movimentati: ex vicesindaco del Pd ed ex consigliere cicontiano espressione di Svolta democratica (ancora prima dell’Idv e del Pdm), è oggi presidente della Commissione trasparenza del Comune.

    Totopoltrone e gettoni per Forza Italia

    Megna bramerebbe la poltrona di presidente del Consiglio. Mentre Fabiola Marrelli e Carmen Giancotti, si contenderebbero l’assessorato alle Politiche sociali al posto della traballante Filly Pollinzi.
    Se si tiene conto che l’indennità del presidente del Consiglio è passata da gennaio a 5.120 euro lordi, mentre quella di assessore a 4.096 euro lordi, si capisce che queste postazioni sono ambite.

    crotone-voce-cerca-soccorso-azzurri-dopo-crollo-civismo
    Mario Megna

    Li seguirebbero anche Antonio Manica, fedelissimo di Torromino, e Andrea Tesoriere, vicino a Roberto Occhiuto (il padre, Ottavio Tesoriere, è stato candidato alle ultime regionali con Forza Azzurri), già protagonista di un documento di sfiducia a Voce naufragato mesi fa.

    Poche idee, ma confuse

    Piccolo particolare: Fabiola Marrelli aveva diramato giusto sei mesi fa una nota stampa in cui si indignava per gli «avvicinamenti per entrare in maggioranza». Più di recente, invece, la consigliera ha dichiarato in una intervista al Quotidiano Del Sud: «Oggi il Comune un commissariamento non se lo può permettere». Ma una settimana prima aveva firmato una nota in cui diceva: «Noi come forze di opposizione moderate, popolari e liberali non possiamo che essere consequenziali. La città merita un nuovo inizio». Insomma, molta confusione.

    crotone-voce-cerca-soccorso-azzurri-dopo-crollo-civismo
    Fabiola Marrelli

    Tansi e De Magistris masticano amaro

    Luigi De Magistris e Carlo Tansi, che hanno i propri rappresentanti nel Consiglio di Crotone, faticano a “digerire” questa degenerazione del civismo.
    Tansi, interpellato da I Calabresi, alla richiesta di una dichiarazione sull’allargamento della maggioranza civica di Crotone a Forza Italia ha risposto: «Preferisco di no. La situazione è molto delicata». Più netto, il consigliere regionale di De Magistris Presidente ha risposto: «Meglio di no». Nessuna risposta da Luigi de Magistris. Il deputato forzista Sergio Torromino è pronto ad intestarsi politicamente il cambio di colore dell’amministrazione Voce. Con la più classica delle scuse: il «bene della città».

  • Ambiente: Crotone fa causa alla Regione per 14 milioni

    Ambiente: Crotone fa causa alla Regione per 14 milioni

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]
    Soldi per i rifiuti: troppa attesa inutile e il Comune di Crotone si rivolge al giudice.
    Lo ha deliberato la Giunta guidata da Vincenzo Voce su proposta di Sandro Cretella, l’assessore all’Avvocatura.
    Il motivo di questa decisione è contenuto in una vecchia delibera della Giunta regionale: la 380 del 13 ottobre 2015, emessa in piena era Oliverio.
    In base a questa delibera, Crotone avanza dalla Regione più di 14 milioni. Il credito deriva dall’utilizzo dell’impianto di trattamento di Ponticelli e della discarica di Columbra (privata ma a disposizione del Comune) che per anni ha servito tutte le Ato calabresi.
    Inoltre, alla delibera 380 sono seguiti altri atti, in base ai quali la Regione riconosce cinque euro a tonnellata ai Comuni sedi di trattamento rifiuti e di sette euro a tonnellata per i comuni sui cui territori ci sono discariche pubbliche o asservite al servizio pubblico.
    È proprio il caso di Crotone. Al riguardo, Voce ha dichiarato: «Crotone è stanca di essere considerata la pattumiera della Calabria. Ed oltretutto non aver ricevuto nemmeno quanto le spetta per aver raccolto i rifiuti da altre province al danno (ambientale) aggiunge la beffa. Procediamo giudizialmente per difendere i diritti della città. Soprattutto per spezzare il silenzio che su questa vicenda era calato negli scorsi anni». Perciò l’amministrazione, prosegue il sindaco, «ha deciso di procedere per via giudiziaria per il riconoscimento del benefit a titolo di ristoro ambientale per il disagio subito dal conferimento nelle discariche di rifiuti da altre province».

  • Cirò Marina, il padel dei Farao con il permesso del Comune

    Cirò Marina, il padel dei Farao con il permesso del Comune

    Su Cirò Marina, come è noto, quattro anni fa si è abbattuta la scure giudiziaria della Dda di Catanzaro. L’operazione “Stige” ha colpito fortemente il clan Farao-Marincola, egemone su quel territorio ma con ramificazioni nel crotonese, in Germania e, soprattutto, nel Nord Italia, come sottolineato nell’ultima relazione della Dia del 2021.

    Il processo Stige

    Stige «è una delle più grandi operazioni degli ultimi 23 anni per numero di arrestati» disse il procuratore Nicola Gratteri subito dopo l’operazione. E aggiunse che «ormai nelle istituzioni locali la ‘ndrangheta ha messo suoi uomini funzionali agli interessi dell’organizzazione criminale». Difatti, Stige portò agli arresti anche il sindaco di Cirò Marina e presidente della Provincia di Crotone, Nicodemo Parrilla, poi condannato in primo grado per concorso esterno. Non c’era di mezzo solo la politica, però. Le ramificazioni ‘ndranghetistiche si estendevano nei più svariati settori. Lo stesso procuratore aggiunto Vincenzo Luberto spiegò: «Non possiamo più parlare di infiltrazione dei clan nella vita economica, ma siamo di fronte a una immedesimazione tra ‘ndrangheta e imprenditoria».

    melillo-nuovo-procuratore-antimafia-sconfitto-gratteri-i-calabresi
    Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri (foto Tonio Carnevale)

    Sotto quest’ultimo aspetto, l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti nella proposta allegata al decreto di scioglimento scrisse: «Gli accertamenti svolti in sede di indagini hanno interessato la cornice criminale e il contesto ambientale ove si colloca l’ente con particolare riguardo ai rapporti tra gli amministratori e le consorterie locali e hanno evidenziato come l’uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato nel favorire soggetti e imprese collegati direttamente e indirettamente ad ambienti controindicati». Il processo Stige ha portato ad un fiume di condanne in primo grado, mentre per molti di quelli che hanno scelto il rito abbreviato, è già giunta la condanna in appello.

    Un permesso che fa discutere

    Nel 2020 Cirò Marina è tornata alla normalità amministrativa con un voto che ha premiato l’ex assessore comunale al bilancio, simpatizzante di Forza Italia, Sergio Ferrari. Quest’ultimo ha battuto alle urne l’esponente del Pd Giuseppe Dell’Aquila. Oggi Ferrari è, al pari del suo predecessore Parrilla, presidente della Provincia di Crotone.

    Il sindaco Ferrari con il sottosegretario Dalila Nesci

    Il sindaco di Cirò Marina non si esime dal partecipare ad iniziative sulla legalità. Per esempio era di recente al convegno cittadino “Sport: giovani e legalità”, alla presenza, tra gli altri, della prefetta di Crotone Maria Carolina Ippolito e del colonnello della Legione Carabinieri del Comando Provinciale di Crotone, Gabriele Mambor. Ma ha ricevuto anche la visita dello scorso ottobre della sottosegretaria al Sud, la pentastellata Dalila Nesci. Il tema quel giorno era la necessità di «coniugare legalità e sviluppo».

    permesso-padel-farao
    Il permesso rilasciato dal Comune di Cirò marina alla Signor Padel Srls di Giuseppe Farao

    Farà discutere ora, però, un permesso di costruire (il numero 18 del 1 giugno 2022) rilasciato per l’intervento di “realizzazione di una tensostruttura da adibire a campo da Padel con relativi servizi da ubicare in Loc.ta Taverna Comune di Cirò Marina (KR)” su un terreno qualificato come “Uliveto” dal catasto.

    Padel e ‘ndrangheta

    Ad ottenerlo, previo il pagamento a favore del Comune di 9.859,43 euro di oneri concessori, è il “proprietario”, nonché amministratore unico e legale rappresentante della ditta “Signor Padel Srls”, Giuseppe Farao. A suo carico, nell’ambito del processo Stige, risulta una condanna in primo grado a 13 anni e 6 mesi di reclusione  per associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato dall’agire mafioso.

    La cattura di Silvio Farao

    Giuseppe Farao è figlio del boss Silvio Farao (condannato, invece, a 30 anni nello stesso processo) ed è stato condannato anche alle pene accessorie dell’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione per 5 anni, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici a all’interdizione legale durante l’espiazione della pena.

    La “Signor Padel Srls”

    Sul sito della società, contenente anche l’apposito volantino sulla prossima “nuova apertura”, si legge che il progetto Signor Padel Srls «è in fase di realizzazione, siamo in attesa di ricevere i campi per l’installazione», specificando che “I nostri campi di padel a Cirò Marina sono di ultima generazione” e che il Padel “può essere anche semplicemente un’occasione di incontro e di “ritrovo”…può essere un’attività praticata da tutta la famiglia”.

    La società, nata il 19 gennaio di quest’anno (quindi, dopo la sentenza Stige, risalente agli inizi del 2021) ha come codice Ateco 749099 “Altre Attivita’ Professionali Nca” come attività prevalente (possono rientrare, sotto questa codificazione, ad esempio, attività di intermediazione aziendale, ad esempio per la compravendita di piccole e medie imprese e attività di intermediazione per l’acquisto e la vendita di licenze d’uso) e il codice 93113 “Gestione Di Impianti Sportivi Polivalenti”, come attività secondaria.

    Farao e Garrubba, il signore e la signora Padel

    Amministratore unico e legale rappresentante dell’impresa è Giuseppe Farao (che risulta residente allo stesso indirizzo in Cirò superiore dove risultavano residenti all’epoca dell’ordinanza cautelare di Stige, i boss Giuseppe e Silvio Farao, suo zio e suo padre). Come socia unica, invece, è presente Antonietta Garrubba, sua moglie, che è anche la proprietaria del terreno (qualificato dal catasto come “uliveto” con un reddito agrario di 5,86) su cui dovranno sorgere i campi di Padel.

    Il capitale sociale conferito alla società alla sua nascita di gennaio scorso è stato di 500 euro, mentre i soli oneri concessori pagati al Comune di Cirò Marina (alla fine di aprile) per il permesso di costruire sono stati, come si è detto pari, a 9.859,43 euro.

    L’ex latitante Giuseppe Nicastri

    Il progetto, come si legge nella relativa pratica edilizia, è stato presentato dall’architetto Giovanni Ciccopiedi di Cirò superiore, che ne è anche il progettista e il direttore dei lavori. Ciccopiedi, non condannato né indagato, è il nipote di Giuseppe Nicastri, esponente di rilievo della cosca Farao-Marincola e noto pregiudicato ex latitante. Il fratello di quest’ultimo, Leonardo Nicastri, viene definito dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri «medico di professione, persona particolarmente vicina ai componenti la famiglia Farao».

    Farao: prima del padel, le lavanderie

    Nella sentenza Stige si legge che «la cosca Farao-Marincola monopolizzava ‘ndranghesticamente i servizi di lavanderia industriale attraverso le società “Wash Plus s.a.s.” e la “Industrial Laundry s.r.l.” entrambe riconducibili a Giuseppe Farao (detto “Peppone”), figlio del capo-cosca promotore Silvio Farao».

    Per i giudici del Tribunale di Crotone (e per la Dda di Catanzaro), Giuseppe Farao «gestiva per conto della cosca diverse imprese, operanti nel settore della lavanderia industriale che lavoravano in regime di monopolio grazie all’appartenenza alla famiglia Farao nonché alla collaborazione di sodali appartenenti alla consorteria cirotana e altri locali affiliati».

    La Wash Plus s.a.s., società che si occupava di lavanderia industriale, nacque nel 2007 con un capitale sociale di mille euro e due soci («fasulli», disse espressamente il boss Giuseppe Farao durante un colloquio in carcere). Due anni dopo, nella compagine societaria entrò direttamente Giuseppe Farao.

    Da una società all’altra

    Il giovane nipote del boss, il 24 ottobre 2012 costituiva una nuova società operante nel medesimo settore del lavaggio industriale, la Industrial Laundry s.r.l., con capitale sociale di 25mila euro. Le quote di quest’ultima venivano poi suddivise in 17.500 in capo a lui (che era amministratore unico) e 7.500 euro in capo a Antonietta Garrubba, che divenne poi sua moglie. Pochi giorni dopo, Farao cessava la qualità di socio della Wash Plus s.a.s. e il 25 febbraio 2013, dopo soli 4 giorni dal recesso, la Wash Plus conferiva parte del suo capitale, 90mila euro, proprio alla Industrial Laundry srl di cui Farao era socio e amministratore.

    Introiti incompatibili

    «Questa successione di società nel medesimo business, è stata esercitata attraverso una serie di operazioni societarie, a seguito delle quali l’azienda della prima società è confluita nella seconda, entrambe di fatto amministrate e gestite da Giuseppe Farao come delegato della cosca», scriveva il Gip De Gregorio a fine 2017.

    Come si legge, inoltre, nella sentenza di primo grado, «con un investimento iniziale di soli 8mila euro (immediatamente rientrati sul suo conto) Giuseppe Farao nel 2013 ha acquisito la titolarità e la piena gestione di un’impresa fortemente capitalizzata (mediante conferimenti di 115mila euro oltre riserve accantonate) perfettamente avviata e senza alcuna posta passiva».

    La Wash Plus raggiunse un volume d’affari nel 2012 di 575.325 euro, mentre la Industrial Laundry di 566.283,00 l’anno successivo. Introiti, secondo giudici e inquirenti, incompatibili con la situazione reddituale di Giuseppe Farao e della moglie.

    Padel e Farao, interverrà la Prefettura?

    La legge regionale n. 9 del 26 aprile 2018 recante: “Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto del fenomeno della ‘ndrangheta e per la promozione della legalità, dell’economia responsabile e della trasparenza” all’articolo 28 impone il rilascio del permesso di costruire previa acquisizione della comunicazione antimafia, ma solo per interventi dal valore superiore a 150mila euro. Si deve presumere, quindi, rispetto al permesso di costruire rilasciato dal Comune di Cirò Marina al figlio del boss Silvio Farao, che l’intervento richiesto inerente il progetto presentato, sia al di sotto di tale soglia.

    Vedremo nel prosieguo se, in merito all’attività societaria posta in essere da Farao quale amministratore unico della Signor Padel srls (unitamente alla moglie) la Prefettura di Crotone interverrà con una informazione antimafia ai sensi dell’articolo 91 del D.lgs. 6 ottobre 2011, n. 159 (codice antimafia), anche alla luce delle citate pene accessorie (in primis il divieto di contrarre con la P.A.) alla condanna per associazione mafiosa di Giuseppe Farao.

  • Figoli e il voto a Cirò: «Su di me solo illazioni»

    Figoli e il voto a Cirò: «Su di me solo illazioni»

    Nel servizio giornalistico dal titolo “Vuoi i voti della ‘ndrangheta? E a Cirò cala il silenzio” a firma di Alessia Bausone, leggo quanto segue:
    Oggi si vocifera con insistenza di un suo ritorno a Cirò nella qualità di vicesindaco della futura amministrazione Sculco. Ma solo se il cugino presente in lista, Andrea Grisafi, fosse il più votato tra i candidati. Certamente godrà dell’appoggio del responsabile dell’ufficio finanziario del Comune, lo zio di Dell’Aquila (fratello della madre), Natalino Figoli, recentemente finito nell’occhio del ciclone per presunte irregolarità nel concorso per gli autisti dello scuolabus e, prima ancora, per le tasse universitarie pagate dal Comune (circostanza citata nel decreto di scioglimento). Presente in lista anche una giovane parente del consigliere regionale del M5S, Francesco Afflitto, Martina Virardi con sostegno (almeno virtuale, con “like” social) dell’ex maresciallo dei carabinieri di Cirò, Diego Annibale, a processo per rivelazione di segreto d’ufficio proprio a favore del citato Figoli.

    Non ho subito alcuna condanna penale o civile in riferimento ai fatti elencati ed essendo la responsabilità penale del tutto personale non esiste alcuna ragione per essere coinvolto in fatti di cui sono totalmente estraneo e ignaro.
    Non si capisce inoltre che cosa possa comprovare la segnalata parentela con il figlio di mia sorella con il quale non ho nessun rapporto di lavoro o di relazioni, se non il fatto di essere mio nipote.

    Smentisco che il soggetto citato possa “godere dell’appoggio del responsabile dell’ufficio finanziario del Comune” come erroneamente e falsamente sostenuto, istillando nel lettore il dubbio che il sottoscritto possa compiere atti contrari al normale svolgimento delle proprie mansioni.
    Il tutto è frutto di illazioni e di conclusioni personali della giornalista, con approvazione del direttore responsabile, che non sono provate da nulla e di fatto diffamano la mia reputazione.

    Pertanto valuterò di rivolgermi alle Autorità precostituite a difesa e a tutela della mia onorabilità. Segnalerò inoltre all’Ordine dei Giornalisti Nazionale la condotta priva di ogni deontologia professionale della giornalista citata che mira non a informare il lettore ma a screditare ad arte e mestiere persone, come il sottoscritto.

    Cordialmente,

    Natalino Figoli

     

    *****

    La replica di Alessia Bausone a Natalino Figoli

    L’articolo, come chiunque può appurare dalle frasi che Figoli stesso cita, non gli attribuisce «alcuna condanna penale o civile in riferimento ai fatti elencati», per usare la sua espressione. Né tantomeno instilla dubbi su «atti contrari al normale svolgimento delle proprie mansioni»: dare il proprio eventuale sostegno elettorale a un parente – o avere un nipote – non sarebbe certo reato e sfugge in che modo ciò possa ledere l’immagine di Figoli.

    Ritengo sia curioso l’invio di una richiesta di rettifica proveniente non dalla mail personale dell’interessato ma dalla mail della ragioneria del Comune di Cirò, essendo, in quest’ultimo caso, tra l’altro, obbligatoria per legge (ex art. 53, comma 5 del DPR 445/2000) la protocollazione in digitale di tutte le comunicazioni in uscita, cosa non avvenuta.
    Nel merito, invito il diretto interessato ad una rilettura attenta del servizio giornalistico, che tocca, solo di sfuggita, le simpatie politiche di Figoli, platealmente manifestate nel profilo social Facebook che ha deciso di chiudere dopo la pubblicazione di questo articolo.

    Per meglio precisare fatti afferenti lo stesso Figoli, l’ex comandante dei carabinieri Diego Annibale, citato nel pezzo, risulta rinviato a giudizio per aver rilevato (sempre nell’ipotesi accusatoria al vaglio del Tribunale) informazioni secretate su un procedimento di riabilitazione ex art. 178 c.p. (cioè di “pulitura” del casellario giudiziario a seguito di condanna definitiva o decreto penale di condanna) promosso dallo stesso Figoli a suo favore.

    Inoltre, nella relazione prefettizia (redatta ai sensi dell’art. 143, comma 3, del D.lgs 267/2000 del 6 agosto 2013) in cui emerge la questione delle tasse universitarie pagate dal Comune, si legge chiaramente, anche, che nel 1999 è stata applicata su richiesta delle parti, nei confronti di Figoli, «la pena di reclusione di anni 1 e mesi 10, oltre alla sanzione pecuniaria, tra l’altro per i reati di ricettazione e soppressione di atti veri».
    Inoltre, nel predetto atto, si legge che Figoli, come specificato in relazioni di servizio dell’Arma dei Carabinieri, «è stato notato nel periodo che va dal 1992 al 1995 con esponenti al vertice della cosca cirotana» e che «a prescindere dall’esito giudiziario» questi  incontri hanno «una precisa significatività».

    Certa di aver fatto una operazione di ulteriore chiarezza a favore del pubblico e dello stesso Figoli, continuo con serenità la mia attività di inchiesta.

    Alessia Bausone

  • Crotone: la città dell’eterna crisi idrica

    Crotone: la città dell’eterna crisi idrica

    Crotone è rimasta per qualche giorno senz’acqua, per l’ennesima volta. È una storia che si ripete quasi all’infinito. Un tubo si rompe, si grida allo scandalo, si chiedono tavoli tecnici, si parla di soluzioni definitive. E poi si rimane fermi, fino alla prossima emergenza.
    Questa volta, la rottura dell’adduzione principale, che collega la vasca di Calusia con il potabilizzatore, è avvenuta nel momento peggiore possibile. I rubinetti della città sono rimasti senza acqua durante i giorni della festa della madonna di Capocolonna. Un danno d’immagine ed economico, viste le difficoltà delle attività commerciali.

    crotone-acqua-diventa-eterna-crisi-idrica-tutta-provincia-i-calabresi
    La sacra effige della Madonna di Capo Colonna in processione (foto pagina facebook Santuari Italiani)

    Il permesso della Procura per riparare la perdita

    Da 12 al 14 maggio, buona parte della città non ha ricevuto niente, oppure ha visto il servizio funzionare ad intermittenza. A rallentare ancora di più il tutto, il fatto che è servito il via libera della Procura per riparare la perdita: la tubazione, in località Margherita, si trovava in un’area sottoposta a sequestro.
    Per mettere una pezza, la Sorical ha attivato un piano di emergenza. La società ha attivato una condotta di emergenza per prendere l’acqua grezza dal bacino Sant’Anna. Una mossa insufficiente: i livelli del bacino non possono garantire la copertura di tutta la città. infatti, fin da subito il commissario della società, Cataldo Calabretta, ha avvisato che il servizio non sarebbe stato ripristinato completamente.

    Al momento, l’allarme è rientrato. Il guasto è stato riparato, ma il lavoro di manutenzione non è finito. Dal 25 al 28 maggio, Crotone rimarrà di nuovo senz’acqua. Il Corap è al lavoro per degli interventi di manutenzione straordinaria sulla condotta di adduzione.
    Le scuole di ogni grado rimarranno chiuse per 3 giorni. Per limitare i disagi, delle autobotti verranno piazzate in varie zone della città, per distribuire l’acqua agli abitanti. «Congesi prevede una serie di manovre da effettuare sui serbatoi cittadini per garantire, attraverso turnazioni, equamente il servizio idrico in tutti i quartieri della città», si legge nel comunicato del Comune.

    crotone-acqua-diventa-eterna-crisi-idrica-tutta-provincia-i-calabresi
    Salvini e Cataldo Calabretta

    L’eterno ritorno dell’uguale

    Ad alimentare l’eterna crisi dell’acqua in città è la condizione pietosa delle tubature. Ciclicamente, le vecchie tubature di cemento armato si rompono. Il più delle volte, accade nei mesi di luglio e agosto.
    Negli ultimi anni, quasi ogni estate ci sono verificati dei guasti, sparsi in varie zone della città, o della provincia, come la rottura della conduttura a Belvedere Spinello, nel 2021. A maggio 2020 si ruppe una condotta gestita dal Corap, in località Iannello di Rocca di Neto. Il mese dopo, un altro guasto ad una tubatura Corap. E così, ogni volta.
    Le rotture tendono a concentrarsi sulla condotta di adduzione principale, che porta l’acqua del fiume Neto che si trova nella vasca di Calusia fino al potabilizzatore di Crotone, gestito dalla Sorical.

    Tre società per una condotta

    A complicare le cose è la gestione labirintica della fornitura d’acqua, che è di competenza regionale. L’impianto idrico è affidato a tre società: la Sorical, la Corap e il Consorzio di Bonifica Ionio Crotonese. Ogni volta che si verifica un guasto, la prima cosa da fare è capire di chi sia il tratto, e attivare chi di competenza.
    Il servizio integrato, invece, fa capo alla Congesi, il consorzio di 14 comuni della provincia crotonese.
    Questa frammentazione è uno dei motivi per cui il rinnovamento delle infrastrutture va a passo di lumaca. Gli accordi tra le parti sono sempre complicati, e i litigi sono frequenti, tra accuse di mancati pagamenti e di forniture mai ricevute.

    Ora che si fa?

    Nel frattempo, si cercano soluzioni per ovviare all’eterna crisi. Il sindaco della città Vincenzo Voce, lo scorso 18 maggio ha chiesto il ripristino del serbatoio di San Giorgio.
    L’impianto ha più di 20 anni: è stato costruito nel 2000, e non è mai stato attivato.

    «Il serbatoio non è stato mai messo in funzione e negli anni ha subito danneggiamenti, con l’asportazione di tutte le attrezzature elettromeccaniche, ed anche le condotte di alimentazione e di presa, essendo realizzate in acciaio e prive di protezione catodica, risultano in pessimo stato di conservazione», ha fatto sapere il sindaco Voce in una nota.
    Anche se il progetto dovesse andare in porto, la rimessa in funzione richiederà del tempo. Nei giorni scorsi, comunque, il sindaco ha chiesto un nuovo incontro a tutte le parti coinvolte, per trovare una soluzione condivisa. L’ennesima tavola rotonda.

    L’acqua potabile che finisce in mare

    La dispersione dell’acqua dovuta da un infrastruttura obsoleta è un problema che riguarda tutto il paese. Nel 2020, secondo i dati dell’Istat, il 36,2% dell’acqua immessa nella rete italiana è andata perduta, si tratta di 0,9 miliardi di metri cubi, una cifra che è difficile anche immaginare.
    Il problema è più accentuato a sud, e Crotone ne è uno degli esempi massimi. il presidente della Congesi, Claudio Lotti, nel 2021 si lamentava che la metà dell’acqua consegnata da Sorical si perdeva sotto terra.
    Senza contare che una buona porta dell’acqua viene persa a causa delle perdite delle tubature fatiscenti. Quando non finisce direttamente a mare.
    Proprio il Consorzio di Bonifica dello Ionio crotonese, ad agosto del 2021, ha denunciato un enorme spreco d’acqua. Secondo loro più di 200 milioni di litri cubi di acqua potabile all’anno finiscono per essere scaricati in mare.

    crotone-acqua-diventa-eterna-crisi-idrica-tutta-provincia-i-calabresi
    Lungomare di Crotone (foto © Agostino Amato)

    «Un privato – spiega Claudio Lotti – viene legittimato a produrre energia e profitti con concessioni di uso di acqua pubblica e […], può tranquillamente sversare l’acqua a mare mentre, nei periodi di piena emergenza, pretende, dalla stessa Regione Calabria, quei rilasci in più che invece sono indispensabili per comuni ed imprese agricole e turistiche».
    L’attacco è rivolto alla A2A, la società idrica proprietaria delle centrali idroelettriche di Orichella, Timpagrande e Calusìa. Dall’azienda avevano fatto sapere che «quanto avviene alla risorsa idrica a valle dello scarico della centrale di Calusia non rientra nelle proprie prerogative di concessionaria né nelle proprie correlate responsabilità». Un rimpallo, che non aiuta di sicuro a mettere un freno allo spreco.

    Da ultimo, dobbiamo considerare la mancanza di piogge. Le province di Catanzaro e Crotone sono quelle dove la piovosità è stata più bassa negli ultimi anni. Un trend che rischia di aggravare una situazione che è già molto precaria.

    Se Crotone piange, la provincia non ride

    La malagestione delle condutture idriche è un male che infetta tutta la provincia di Crotone.
    La Sorical, lo scorso 18 maggio, ha chiesto ai sindaci di 15 comuni della zona di ridurre al massimo gli sprechi e di reprimere i furti d’acqua. Una richiesta quasi beffarda, per prepararsi ad un’estate che potrebbe essere problematica. A San Giorgio Albanese è stato sospeso il servizio di mensa scolastica per due giorni, per un guasto di una tubatura in località San Cosmo.
    Belvedere Spinello, Carfizzi, Casabona, Cirò, Cirò Marina, Crucoli, Melissa, Pallagorio, Rocca di Neto, San Nicola dell’Alto, Santa Severina, Savelli, Strongoli, Umbriatico e Verzino rischiano di subire interruzioni durante la stagione estiva.Alcuni centri stanno già vivendo le prime difficoltà.

    Molto spesso, a farsi sentire sono gli agricoltori, una delle categorie più colpite dalla mancanza d’acqua. Se manca l’acqua nei momenti sbagliati, i raccolti possono risentirne. Alcune colture possono andare perdute, vanificando mesi di lavoro.
    Lo scorso 20 aprile, gli agricoltori di Cutro ed Isola Capo Rizzuto si sono presentati in Regione, per parlare della mancanza d’acqua per i loro raccolti. A risentirne, sarebbero soprattutto le produzioni di finocchio e grano.

    L’estate scorsa, avevano scelto un metodo più vistoso. Il 27 agosto 2021, per esempio, è stata la volta dei trattori in autostrada. Una rappresentanza di questi agricoltori ha percorso le Statali 106 e 107 sui loro trattori, per protestare contro la A2A di fronte all’invaso di Calusia, nel comune di Crotonei. Una protesta simile l’avevano già portata avanti nel 2020.
    Nella storia dell’infinita crisi idrica crotonese, è difficile togliersi questa sensazione che tutto stia girando a vuoto.

    crotone-acqua-diventa-eterna-crisi-idrica-tutta-provincia-i-calabresi
    Palazzine di edilizia popolare (Aterp) nella periferia di Crotone (foto © Agostino Amato)

     

  • Vuoi i voti della ‘ndrangheta? E a Cirò cala il silenzio

    Vuoi i voti della ‘ndrangheta? E a Cirò cala il silenzio

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Sono due i candidati a sindaco del Comune di Cirò, paese che torna al voto il prossimo 12 giugno. Uno è l’uscente, l’avvocato Francesco Paletta. Già vice sindaco, assessore in passate consiliature e consigliere comunale dal 2003, Paletta sfiderà il medico Mario Sculco, che è stato presidente dell’assise civica e sostenitore dello stesso Paletta nel 2017.

    Un territorio complicato, quello di Cirò. Proprio lì c’è stata la prima amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose in assoluto nella provincia di Crotone nel 2001. Ma anche quella che ha “fatto giurisprudenza” salvandosi dallo scioglimento del 2013 con un ribaltamento operato dal Tar del Lazio, prima, e dal Consiglio di Stato dopo nel 2015.

    ciro-voto-aspiranti-sindaci-non-rispondono-domande-ndrangheta
    Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri

    L’operazione Stige

    Certo, dopo la maxi operazione “Stige” del 2018 della Dda di Catanzaro, che ha portato allo scioglimento dell’amministrazione della vicina Cirò Marina (città che oggi, invece, esprime nuovamente il presidente della Provincia, ma anche un consigliere regionale), l’attenzione pubblica su ciò che avviene nel Cirotano è ancora maggiore, soprattutto in occasione delle competizioni elettorali.

    «È cambiato il rapporto tra mafia e politica. Oggi i clan gestiscono direttamente la cosa pubblica» dichiarò pubblicamente il procuratore capo Nicola Gratteri a seguito della citata operazione “Stige” in cui sono rimasti coinvolti (e condannati) numerosi amministratori locali.

    Farao-Marincola: le mani su Cirò

    Già, perché a Cirò, come dimostrano molteplici operazioni di polizia, con risultanze che hanno trovato conferma in sentenze definitive passate in giudicato, non solo esiste, ma è anche operativo, pervasivo e radicato il clan Farao-Marincola.
    La sentenza “Galassia” emessa dalla Corte di Assise di Appello di Catanzaro l’11 agosto 2001, divenuta irrevocabile, sancì l’esistenza e l’operatività a Cirò e dintorni di questa associazione per delinquere armata, di tipo mafioso. A dirigerla, a partire dal 1977, e sino alla fine degli anni ’90, Nicodemo Aloe. Dopo l’uccisione di quest’ultimo, sono stati invece Giuseppe e Silvio Farao e Cataldo Marincola. Anche le operazioni “Eclissi”, “Scacco Matto”, “Dust” e “Bellerofonte” portarono alla conferma dell’esistenza del locale di Cirò.

    Le condanne di Stige

    «Siamo di fronte a un locale, quello di Cirò, antico, che partecipa al Crimine e al Tribunale della ‘ndrangheta. È una struttura così radicata nel territorio che non necessita neanche più di fare intimidazioni» ha dichiarato Nicola Gratteri. La sua Procura ha ottenuto nel processo di appello di Stige, lo scorso settembre, la condanna (in abbreviato) a 20 anni per il figlio di Silvio Farao. Per quest’ultimo e suo fratello Giuseppe, invece, una condanna (in ordinario) 30 anni di carcere in primo grado.
    Non di secondo rilievo è l’ultima relazione della Dia, risalente al primo settembre 2021 (e, quindi, post-Stige) dove si trova conferma dell’operatività dei Farao-Marincola a Cirò.

    ciro-voto-aspiranti-sindaci-non-rispondono-domande-ndrangheta
    Silvio Farao, appartenente alla potentissima cosca di Cirò

    Legalità a Cirò

    Sia all’interno del programma elettorale “Attivamente Cirò” del sindaco uscente Francesco Paletta, sia in quello di “Progetto Cirò” di Mario Sculco, pubblicati entrambi sull’albo pretorio del Comune, non si fa alcun riferimento però a mafie e ‘ndrangheta.
    Nel programma di Paletta si legge: «Oggi più che mai si sente il bisogno di educazione alla legalità per una promozione trasparente e pulita della crescita del territorio». In un altro passaggio dice: «Legalità, trasparenza ed efficienza continueranno ad essere i punti fermi della nostra azione amministrativa».

    Continua: «Per noi la garanzia saranno i tanti progetti messi in cantiere che dovranno trovare esecuzioni nei prossimi 5 anni e continuare a mantenere un clima di serenità e legalità attraverso il rispetto delle regole uguali per tutti». Più timido in questo senso pare essere quello di Sculco, in cui si legge: «Verità, trasparenza e lealtà devono caratterizzare la macchina amministrativa ed essere alla base dello sviluppo individuale, sociale, economico e spirituale di tutti cittadini».

    Due domande

    Entrambi i candidati a sindaco sono stati contattati da I Calabresi. Abbiamo rivolto loro due domande:

    1. Prende le distanze dal clan Farao Marincola?
    2. Dichiara di non volere i loro voti e quelli delle altre mafie presenti sul territorio?

    Francesco Paletta ci ha risposto dopo un paio di giorni: «Non ho nessun rapporto né con associazioni né con cosche. Non voglio i voti di nessun tipo di mafia, di nessuna cosca, di nessuna organizzazione criminale. Ho bisogno solo dei voti dei cittadini perbene». Silenzio, invece, da Sculco.

    Lo scioglimento di Cirò nel 2001

    A guidare l’amministrazione di Cirò eletta nell’aprile del 1997 e sciolta nel febbraio 2021, pochi mesi prima della scadenza naturale della consiliatura, c’era Antonio Sculco, fratello dell’attuale candidato, all’epoca al secondo mandato ed eletto con l’80% dei voti.
    Giova premettere che a seguito di quello scioglimento, al netto di una condanna definitiva per danno erariale di cui si dirà, non c’è stata per Antonio Sculco alcuna conseguenza penale.

    In ogni caso, come ricordato da Claudio Cavaliere nel suo libro Un vaso di coccio. Dai governi locali ai governi privati: comuni sciolti per mafia e sistema politico istituzionale in Calabria (2004, Rubbettino), l’accesso antimafia disposto dal prefetto all’epoca, avvalorò la sussistenza delle ipotesi di infiltrazione, mettendo in evidenza «la stretta ed intricata rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni, che vincola la maggior parte degli amministratori comunali, così come numerosi dipendenti ed esponenti delle cosche locali» e che il Tar ritenne poi che le risultanze siano state «inequivoche e rivelatrici di un inquinamento ambientale tra amministrazione e malavita organizzata».

    ciro-voto-aspiranti-sindaci-non-rispondono-domande-ndrangheta
    Enzo Bianco, ex ministro dell’Interno

    Condizionamenti esterni

    Nel decreto di scioglimento del 2001, firmato dall’allora ministro dell’Interno, Enzo Bianco, si legge che i collegamenti tra esponenti della criminalità e gli amministratori compromettevano «la libera determinazione dell’organo elettivo ed il buon andamento dell’amministrazione di Cirò». Il documento rileva che «la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata arreca grave pregiudizio allo stato della sicurezza pubblica e determina lo svilimento delle istituzioni e la perdita di prestigio e di credibilità degli organi istituzionali». E sottolinea che «la stretta ed intricata rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni, che vincola la maggior parte degli amministratori comunali così come numerosi dipendenti ad esponenti della dominante cosca locale, costituisce il principale strumento attraverso cui la criminalità organizzata si è inserita nell’ente condizionandone l’apparato gestionale».

    Antonio Sculco venne condannato dalla Corte dei conti Sezione Giurisdizionale per la Calabria con sentenza depositata il 23 ottobre 2003 (confermata dalla sezione giurisdizionale centrale il 29 settembre 2010 e divenuta definitiva con la sentenza 12902 del 2011 delle Sezioni Unite della Cassazione) per un danno erariale di 28.888,72 euro per aver contratto un mutuo da 900 milioni di lire per pagare «il prezzo di acquisto dell’immobile Castello di Cirò poi utilizzato parzialmente in spese correnti». Insomma, una distrazione di fondi acquisiti con mutuo e, quindi, una violazione delle disposizioni in tema di utilizzo delle entrate a destinazione vincolata, con alle spalle una situazione di dissesto finanziario del Comune.

    L’appoggio del Pd e del M5S a Sculco

    Volendo “politicizzare” la competizione, a fronte di Paletta, simpatizzante di Forza Italia, Sculco si caratterizza per un chiaro appoggio Pd-M5S. Significativo è stato il post su Facebook del 20 maggio 2017 sulla sua diretta discesa in campo (come consigliere al seguito di Francesco Paletta). Mario Sculco scriveva testualmente: «Non ho mai, prima d’ora, voluto saperne di fare politica in prima persona, sebbene abbia sempre seguito e appoggiato le direttive politiche impartite in ogni tornata elettorale da chi, nella mia famiglia, al contrario di me, ha sempre fatto politica attiva».

    flora-sculco
    Flora Sculco, candidata nelle file dell’Udc alle scorse regionali in Calabria

    Alle ultime elezioni regionali ha sostenuto la candidata dell’Udc, Flora Sculco. Ora, invece, gode dell’appoggio del consigliere provinciale del Pd ed ex presidente facente funzioni della Provincia, Giuseppe Dell’Aquila. Lo stesso che a Cirò è stato consigliere comunale (eletto nella lista opposta a Sculco e Paletta nel 2017) prima di candidarsi a sindaco di Cirò Marina nel 2020. Per poi perdere al ballottaggio.

    Oggi si vocifera con insistenza di un suo ritorno a Cirò nella qualità di vicesindaco della futura amministrazione Sculco. Ma solo se il cugino presente in lista, Andrea Grisafi, fosse il più votato tra i candidati. Certamente godrà dell’appoggio del responsabile dell’ufficio finanziario del Comune, lo zio di Dell’Aquila (fratello della madre), Natalino Figoli, recentemente finito nell’occhio del ciclone per presunte irregolarità nel concorso per gli autisti dello scuolabus e, prima ancora, per le tasse universitarie pagategli dal Comune (circostanza citata nel decreto di scioglimento).
    Presente in lista anche una giovane parente del consigliere regionale del M5S, Francesco Afflitto, Martina Virardi, con sostegno (almeno virtuale, con “like” social) dell’ex maresciallo dei carabinieri di Cirò, Diego Annibale, a processo per rivelazione di segreto d’ufficio proprio a favore del citato Figoli.

    figoli-speranza
    Natalino Figoli con il ministro Roberto Speranza

    Le parentele “scomode” degli assessori di Paletta

    Tra i candidati di Sculco è presente l’attuale consigliera comunale di opposizione Maria Aloe. Si tratta della nipote del già citato boss di Cirò Nicodemo Aloe, freddato nel 1987. Accanto al cadavere, con macabro rituale, gli assassini hanno fatto trovare anche un cane impiccato. Suo cugino, Francesco Aloe, è stato condannato a 10 anni nell’ambito del processo di appello “Stige”.

    Tra la compagine attualmente in carica di Francesco Paletta si trovano altre parentele degne di nota. L’assessore comunale alla viabilità urbana, Giuseppe Mazziotti, ha una figlia, Daniela, sposata con il nipote di Cataldo Marincola. Mentre l’ assessore comunale allo sport Mario Romano (lo era anche nelle due giunte precedenti e, prima ancora, semplice consigliere) è fratello di Giuseppe Romano, considerato dagli investigatori un elemento apicale della cosca e già condannato per associazione di stampo mafioso. Inoltre, è cugino di Giuseppe Sestito, la cui sorella è moglie del boss Cataldo Marincola. Sestito, inoltre, è parente di Nicodemo Guerra, condannato per associazione mafiosa.

    L’assessore Romano, in una pubblica seduta del Consiglio comunale del 31 gennaio 2013, affermò di non rinnegare le proprie parentele, non capendo il motivo per cui le condanne dei suoi familiari debbano influire sulla sua persona o sull’amministrazione.
    La stessa sentenza del Consiglio di Stato (numero 4792 del 2015) che confermò l’annullamento dello scioglimento specifica che le parentele rilevano ai fini dello scioglimento di una amministrazione «a condizione che siano effettivamente legami e cioè siano connotati da attivi comportamenti di solidarietà e cointeressenza».

    Per questo, una pubblica presa di distanza di entrambi i candidati sindaci, provenienti dalla medesima maggioranza uscita dalle urne nel 2017, rispetto al voto mafioso e inquinato e a queste “cointeressenze”, sarebbe stata un atto dovuto rispetto a quel principio di trasparenza tanto decantato nei reciproci programmi elettorali.

  • Attenti alle fave: il demone che spaventò il crotonese più illustre

    Attenti alle fave: il demone che spaventò il crotonese più illustre

    La primavera è tempo di fave ma per Pitagora erano un alimento impuro e immondo. Il filosofo di Crotone era un convinto vegetariano ma vietava l’uso delle fave. Porfirio racconta che «prescriveva di astenersi dalla fave non meno che da carne umana» mentre nei detti simbolici affermava perentoriamente: «astieniti dalle fave».

    pitagora-filosofo-crotone-aveva-paura-fave-i-calabresi
    Busto che raffigura il filosofo Pitagora

    I filosofi non mangiano fave

    Per Aristotele, Pitagora ebbe a dire che «mangiar fave, è lo stesso che mangiare il capo del genitore» e per Luciano «io non mangio alcuno animale; tutte le altre cose poi, infuor le fave». In un’altra occasione affermò sulle fave: «Io non le odio, ma per sempre me ne astengo, perché son sacre, perché hanno una natura mirabile». Tertulliano ci informa che Pitagora addirittura «aveva prescritto ai suoi discepoli che non si doveva neppure passare attraverso i campi di fave» e, secondo Porfirio, voleva che tale prescrizione fosse rispettata anche dagli animali.

    I pitagorici uccisi per colpe delle fave

    Secondo Dicearco, Pitagora morì nel tempio delle Muse di Metaponto dove si era rifugiato in seguito alla rivolta contro la sua scuola. Eraclide sostiene che, dopo avere seppellito Ferecide a Delo, si ritirò in quella città dove pose fine alla sua vita lasciandosi morire di inedia giacché non desiderava vivere più a lungo. Molti racconti mitici legano però la fine di Pitagora e dei suoi discepoli alle fave.

    Ippoboto e Neante, scrive Giamblico, narrano che il tiranno Dionisio, poiché non riusciva a farsi amico nessun pitagorico, dal momento che rifuggivano dal suo carattere dispotico e violento, inviò una schiera di trenta uomini, sotto il comando del siracusano Eurimene, per tendere loro un agguato. I soldati si appostarono in un luogo nascosto nella zona di Fane, una località vicino Taranto piena di voragini, dove i pitagorici sarebbero dovuti necessariamente passare e a mezzogiorno li assalirono levando alte grida, alla maniera dei briganti.

    I discepoli di Pitagora decisero di fuggire e si sarebbero salvati, perché gli uomini di Eurimene, ostacolati dal peso delle armi, erano rimasti indietro nell’inseguimento, ma s’imbatterono in un campo seminato a fave già in pieno rigoglio. Così, non volendo contravvenire al precetto che imponeva di non toccare le fave, si fermarono si difesero con pietre e bastoni ma furono sopraffatti.

    Il mistero delle fave non può essere rivelato

    Continua il racconto di Giamblico sulla sorte di Millia e Timica, due pitagorici sfuggiti al massacro: «Ma subito in costoro si imbatterono Millia di Crotone e Timica di Sparta, che erano rimasti indietro rispetto al gruppo perché Timica era all’ultimo mese di gravidanza e perciò procedeva lentamente. Essi li fecero prigionieri e soddisfatti li condussero dal tiranno, dopo averli trattati con ogni cura, affinché rimanessero in vita. Dioniso, una volta informato dell’accaduto, si mostrò assai abbattuto e disse loro: «Da parte mia voi riceverete, a nome di tutti gli altri, gli onori che meritate, nel caso vogliate regnare assieme a me».

    Poi, visto che Millia e Timica respingevano ogni sua proposta aggiunse: «Se mi spiegherete una sola cosa, sarete lasciati andare sani e salvi con una scorta adeguata». E a Millia che gli domandava che cosa volesse sapere, rispose: «Per quale ragione i tuoi compagni hanno preferito di morire pur di non calpestare le fave?». Al che Millia: «Quelli si sono assoggettati alla morte pur di non calpestare le fave; io, per parte mia, preferisco calpestare le fave pur di non rivelartene la ragione».

    pitagora-filosofo-crotone-aveva-paura-fave-i-calabresi
    Il tiranno Dionisio

    Allora Dioniso, colpito dalla risposta, diede ordine di portar via con la forza Millia e di sottoporre Timica a tortura, convinto che, in quanto donna, in attesa di un figlio, e per di più priva del marito, avrebbe facilmente parlato per timore della tortura. Ma l’eroina si morsicò la lingua, staccandosela, e la sputò in faccia al tiranno, mostrando con ciò che anche se la sua natura di donna, sopraffatta dalla tortura, fosse stata costretta a rivelare a qualcuno segreti su cui era obbligatorio tacere, lei aveva tagliato via lo strumento a ciò necessario».

    Piante demoniache

    Sul tabù di Pitagora si sono avanzate varie spiegazioni. Le fave erano piante demoniache, antenate degli uomini, cibo dei morti, intorpidivano il corpo, provocavano il favismo, erano indigeste e via dicendo. Un tabù è difficile da comprendere. Come il mito, per sua natura è bizzarro e illogico, tende all’occultamento e alla mistificazione del reale, non risponde a delle domande e non da spiegazioni. Il tabù è ambiguo, spesso il suo senso non risiede in ciò che racconta, ma in qualcosa che non racconta; rende manifesti certi meccanismi fondamentali della mente umana, ma non per questo li significa. Il suo compito non è quello di chiarire, ma deformare, ingannare e infittire le oscurità intorno a sé; non è quello di persuadere ma di affascinare, non di spiegare ma di fondare, non di porre domande ma dare risposte.

    pitagora-filosofo-crotone-aveva-paura-fave-i-calabresi
    Le fave probabilmente erano un tabù pitagorico

    Fave e tabù

    Gli stessi pitagorici probabilmente non cercavano di svelare il segreto delle fave, non chiedevano di sapere le sue origini, non esprimevano giudizi su di esso. Alcuni sostengono che tabù come quello delle fave rimarranno sempre insoluti e indecifrabili. Baudrillard scrive che ogni interpretazione è qualcosa che si oppone alla seduzione e ogni discorso interpretativo è il meno seducente che ci sia. Ogni interpretazione impoverisce e soffoca il tabù, poiché esso ha una tale ricchezza di significati che non possono essere rivelati dalla logica di un ragionamento. Il tabù delle fave è enigmatico e sconcertante, è il mondo del mistero, della magia e della seduzione. I suoi segreti sono una sfida all’ordine della verità e del sapere e gli uomini non capiscono il senso della sua immagine, ma si immedesimano in essa.

    I pitagorici preferiscono la malva

    Le proibizioni e le prescrizioni pitagoriche hanno un senso solo se viste all’interno di una logica che tendeva a organizzare il mondo in una scala di valori. Ai suoi discepoli Pitagora diceva che bisognava onorare gli dei prima dei daimon, i daimon prima degli eroi, gli eroi prima dei genitori, i genitori prima dei parenti. In questa scala c’erano poi delle cose pure e impure, buone e non buone, belle e brutte. Il filosofo sosteneva che la fava era demoniaca e la malva santissima, ma tale affermazione non aveva nessun senso se pensiamo che la maggior parte della popolazione si nutriva di fave e che invece la malva era utilizzata di tanto in tanto come infuso.

    La malva era santissima e le fave erano demoniache perché bisognava comunque scegliere all’interno del mondo vegetale le cose buone e le cose cattive. In tale prospettiva di prescrizioni e restrizioni è quindi del tutto inutile trovare delle ragioni ai tabù, poiché il loro senso era puramente formale, senza contenuto, privo di significato.
    La divisione tra le cose permesse e proibite non aveva un significato legato alle loro proprietà intrinseche ma al fatto che si dovevano introdurre delle distinzioni per dare un ordine. Secondo Aristotele, il dualismo fondamentale che per i pitagorici rifletteva l’opposizione tra bene e male, era quello tra limitato e illimitato: il male era proprio dell’illimitato e il bene del limitato.

    pitagora-filosofo-crotone-aveva-paura-fave-i-calabresi
    L’antropologo Claude Lévi-Strauss

    Sostiene Lévi-Strauss

    Il modo di ragionare di chi stabiliva i tabù rientrava in una struttura mentale di pensiero che cercava di decifrare e ordinare in un sistema di coppie concettuali in cui il primo membro era contrassegnato positivamente e il secondo negativamente. Lévi-Strauss scrive che l’attività mentale dell’uomo tende a organizzarsi attorno ad una struttura binaria e che il passaggio dallo stato di natura a quello di cultura si definisce con l’attitudine a pensare le relazioni sotto forma di sistemi di opposizioni. Dualità, alternanza, doppio e simmetria non costituiscono dunque i fenomeni da spiegare, ma dati della realtà mentale e sociale nei quali riconoscere i punti di partenza di ogni possibile spiegazione.

    Divieti, puro e impuro

    Le regole pitagoriche, dunque, tendevano all’armonia e all’equilibrio, a tradurre il caos in cosmo e cioè in un sistema razionalmente ordinato e armonico. I divieti erano senza contenuto e senza significato: la proibizione serviva solo a costruire un sistema logico che strutturasse il mondo. I tabù facevano parte di una struttura mentale che contrapponeva sacro e profano, puro e impuro, lecito e illecito per porli in relazione. Questa struttura mentale inconscia e universalmente astorica non solo dava ordine al disordine ma era fondamentale per favorire lo scambio tra gli esseri umani: la reciprocità tra gli uomini è stabilita sempre sulla base di proibizioni e le stesse proibizioni hanno segnato il passaggio dalla natura alla cultura.