Tag: cosenza

  • Guerra tra poveri per tappare i buchi del dissesto

    Guerra tra poveri per tappare i buchi del dissesto

    Per l’anno scolastico 2021/2022 il Comune di Cosenza potrebbe affidare il servizio di pre-post scuola e accompagnamento ai percettori del Reddito di cittadinanza. Tutto questo è possibile attraverso i Puc (progetti utili alla Collettività) con buona pace dei 15 lavoratori della cooperativa Adiss impegnati da oltre venti anni ad erogare questo servizio con uno stipendio di 650 euro.

    Il Dissesto welfare e istruzione

    Il dissesto economico-finanziario dell’ente ha pesantemente inciso sulla capacità di garantire da parte di Palazzo dei Bruzi dei servizi nei settori welfare e istruzione.
    A rischio invece l’anno scolastico per gli asili nido. L’assessore Lanzino ha annunciato la possibilità di effettuare una variazione di Bilancio nel mese di agosto che consentirà di garantire un “appalto in convenzione”.

    Sul piatto solo 350mila euro

    Il Comune metterà sul piatto 350mila euro a fronte del 1.080.000 necessario a coprire l’erogazione dei servizi per tutto l’anno scolastico. Una somma irrisoria, se si pensa pensa che solo 750mila euro sono vincolati dagli stipendi ai 35 lavoratori impiegati. La coperta è troppo corta. Delle due l’una: o si riduce il personale e dunque i servizi oppure si aumentano le rette e i costi della mensa per garantire lo stesso servizio.

    Cosa sono i Puc

    I Puc sono progetti utili alla collettività attuati dai comuni, in forma singola o associata anche con enti del terzo settore che, attraverso l’utilizzo di percettori del reddito di cittadinanza garantiscono una nuova attività o il potenziamento di una attività esistente sul territorio.
    Sono sei gli ambiti di intervento: cultura, arte, tutela dei beni comuni, formazione, ambiente e sociale.
    I Comuni sono responsabili dell’approvazione, attuazione, coordinamento e monitoraggio dei progetti anche con l’apporto di altri soggetti pubblici e del privato sociale.

    I Puc in Calabria

    Attualmente in Calabria sono stati attivati 300 progetti Puc. L’ambito d’eccellenza è Soverato con ben 80 progetti attivati, 250 beneficiari e 28 Comuni coinvolti. Sono: Amaroni, Argusto, Badolato, Cardinale, Cenadi, Centrache, Chiaravalle, Davoli, Gagliato, Gasperina, Girifalco, Guardavalle, Isca, Montauro, Montepaone, Olivadi, Palermiti, Petrizzi, S. Andrea, S. Caterina, S. Sostene, S. Vito Sullo Jonio, Satriano, Soverato, Squillace, Stalettì, Torre Di Ruggiero, Vallefiorita.

    Nella raccolta di esperienze positive e buone prassi redatta dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali c’è anche il Comune di Montalto Uffugo con il progetto “L’amico della porta accanto” destinato all’assistenza dei diversamente abili ed anziani e l’associazione E.T.I.C.A. di Crotone con il progetto “Genitori, ripuliamo le scuole”.

    A Vibo spazzini e caregiver

    Dodici i progetti avviati dal Comune di Vibo Valentia. Nove gli ambiti di interesse dall’affiancamento al personale degli uffici comunale all’attività di cura del verde pubblico e delle spiagge, dalla salvaguardia e valorizzazione del patrimonio delle biblioteche alla piccola manutenzione degli immobili comunali. Per finire con la  sensibilizzazione, promozione e corretta esecuzione della raccolta differenziata e le attività di cura ai non autosufficienti.

    A Catanzaro archivisti e pre-post scuola

    Solo quattro, per il momento i progetti realizzati a Catanzaro: riordino archivio cartaceo e verifica numerazione civica, valorizzazione della biblioteca di Palazzo de Nobili, catalogazione beni comunali; accoglienza e sorveglianza alunni (pre-post scuola).
    Per ampliare gli ambiti d’interesse l’assessorato alle Politiche Sociali, guidato da Lea Concolino, ha istituito “il catalogo dei Puc” che sarà aggiornato mensilmente per garantire servizi anche in altri settori.

    Reggio ha approvato solo a luglio i Puc

    Dopo Catanzaro e Vibo Valentia anche la città metropolitana di Reggio Calabria ha approvato a metà luglio i Puc.
    «I percettori di reddito di cittadinanza – ha annunciato il sindaco Giuseppe Falcomatà – contribuiranno in maniera fattiva nella cura e nella tutela dei beni comuni. I progetti previsti porteranno dei “rinforzi” in settori nevralgici come la pulizia delle piazze, delle aree cimiteriali, della cura del patrimonio culturale e degli impianti sportivi».
    Mancano ora all’appello Crotone e Cosenza.

    I numeri di una nuova forza lavoro

    Al 30 maggio 2021 in Calabria sono 189.235 i percettori del reddito di cittadinanza, 80.070 i nuclei familiari coinvolti con un reddito medio di 566,45 euro per circa 107.192.165 euro complessivi al mese.
    La Provincia con il maggior numero di richieste di Rdc nel 2021 è Cosenza seguita da Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo.
    Per legge il percettore del reddito di cittadinanza è obbligato ad offrire la propria disponibilità a partecipare a progetti comunali utili alla collettività nel Comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore non inferiori a 8 ore settimanali, aumentabili sino a 16.

    Se non partecipi al Puc perdi il Reddito di cittadinanza

    La mancata partecipazione ai PUC comporta la decadenza del beneficio del RdC.
    Sono esclusi dalla partecipazione ma possono aderire volontariamente i componenti con disabilità, i beneficiari di Rdc o pensione di cittadinanza con età pari o superiore ai 65 anni, chi frequenta regolare corso di studio, le persone con lavoro dipendente sopra gli 8500 gli autonomi con un reddito superiore ai 4800 euro.

    Un nuovo bacino di precari? 

    Il principio cardine dei Puc è la loro non assimilabilità ad attività di lavoro subordinato, para-subordinato o autonomo, trattandosi di attività contemplate nel Patto per il lavoro o nel Patto per l’inclusione sociale che il beneficiario del reddito di cittadinanza è tenuto a prestare e, dunque non darebbe luogo ad alcuni ulteriore diritto. Tuttavia, l’idea comune tende ad identificare i percettori del reddito di cittadinanza impiegati nei Puc agli ex lavoratori socialmente utili o di pubblica utilità, anche perché le attività da svolgere sono coincidenti.

    L’intervento del legislatore

    Per differenziarli il legislatore ha inserito limiti e vincoli sulle attività da svolgere tali da evitare l’instaurazione, di fatto, di una nuova categoria di lavoratori precari, come avvenuto con gli L.S.U., da anni oggetto di finanziamento di politiche di stabilizzazione negli enti utilizzatori o di erogazione di incentivi regionali finalizzati all’attività autonoma o alla micro-imprenditorialità ma forse non basta.

    L’ideale sarebbe predisporre progetti in misura tale da poter occupare tutti i percettori del Reddito di cittadinanza dei Comuni, anche perché in assenza dei progetti il reddito viene comunque percepito e in caso di mancato avvio dei Puc si potrebbe profilare, a carico del dirigente comunale di turno, una ipotesi di danno alla collettività.

    Ma a queste latitudini, con le amministrative alle porte anche un diritto contenuto in una legge dello Stato e che non avrebbe bisogno di spintarelle, pacche sulle spalle o telefonate, sarà trasformato nella gentile concessione di politici e ‘mmasciatari vari.

     

  • Palazzo dei Bruzi, pronto il ticket Caruso-Rende

    Palazzo dei Bruzi, pronto il ticket Caruso-Rende

    Franz Caruso sindaco e Bianca Rende vice. Ecco il ticket trovato dal centrosinistra in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Cosenza. Sono ore decisive per definire il contesto di questa sintesi politica in procinto di essere battezzata da Francesco Boccia, responsabile enti locali della segreteria nazionale del Pd. I due nomi sono in pole per la conferma che dovrebbe manifestarsi tra non molto. Forse anche prima della presentazione ufficiale di “Cosenza 2050”, nome un po’ grillino per la premiére di Caruso nella sala degli specchi della Provincia prevista per il 3 agosto prossimo.

    L’avvocato socialista e l’ala adamica

    Franz Caruso finora ha sempre tentato, senza riuscirci, di arrivare fino in fondo alla candidatura a sindaco. Questa volta il finale sembra essere diverso dal solito. Complice il dialogo ritrovato anche tra l’ala dei Democratici che fa capo ad Enza Bruno Bossio – e suo marito Nicola – con la nuova segreteria nazionale guidata da Enrico Letta. Seguono a ruota i socialisti di Incarnato da sempre sostenitori della candidatura a Palazzo dei Bruzi del noto penalista. Intanto a via Popilia si moltiplicano i candidati.

    Bianca Rende e il patto del caciocovello
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    Bianca Rende (a sinistra) e Stefania Covello (a destra) con l’ex ministro Teresa Bellanova

    Sembra quasi un’operazione democristiana. Di quelle costruite con sapienza e pazienza. Forse gestita da Stefania Covello, riferimento politico della stessa Bianca Rende. La Covello, figlia di Franco (noto come caciocovello negli ambienti della Balena bianca) dopo avere abbandonato Italia Viva, sarebbe tornata nell’alveo del Pd discutendo direttamente con Enrico Letta. Anche Bianca Rende aveva lasciato il partito di Renzi. È tra i fondatori del movimento WWW, What Women Want, oggi è spesso ospite di incontri organizzati dalla Cgil, segno di un suo riposizionamento più a sinistra. Sperava nella candidatura a sindaco. Essere vice non è poi così male.

    Bocciofili di Cosenza unitevi

    Cosa c’è di meglio che una riunione alla presenza di Francesco Boccia negli ambienti condizionati dell’Hotel Royal per decidere come risolvere la complicata matassa del centrosinistra a Cosenza? Non era difficile capire che, dopo l’uscita del commissario Miccoli, l’aria sarebbe cambiata. Non fino a questo punto.
    Ecco pronto un altro ticket. Quello tra il presidente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci e la parlamentare Enza Bruno Bossio. Entrambi dovrebbero correre nelle file del Partito Democratico alle regionali di ottobre. Boccia pare avere un ruolo anche su questo schema. Del resto si accompagna sempre a Franco Iacucci in molte uscite pubbliche.

  • Un milione per un belvedere sul Crati, scontro a Palazzo dei Bruzi

    Un milione per un belvedere sul Crati, scontro a Palazzo dei Bruzi

    Milioni di euro destinati all’edilizia popolare nel centro storico di Cosenza dirottati su altre zone della città, incluso un belvedere sul Crati. Le ultime variazioni agli interventi previsti dall’Agenda Urbana – un maxi finanziamento destinato al capoluogo e alla vicina Rende – hanno animato il consiglio comunale di ieri a Palazzo dei Bruzi. A scontrarsi, la consigliera d’opposizione Bianca Rende e il vice sindaco – e probabile candidato alla successione di Occhiuto per il centrodestra – Francesco Caruso. Secondo la prima, infatti, la strategia adottata dalla maggioranza penalizzerebbe per l’ennesima volta la parte antica della città, privilegiandone, al contrario, altre. E alimentando il sospetto che, più che l’urbanistica, ad orientare le scelte possano essere state le elezioni alle porte.

    I soldi li mette l’Aterp

    Tutto ruota intorno a una delle linee d’intervento previste inizialmente. Era la numero 9.4.1 e prevedeva, tra le altre cose, «Riqualificazione e miglioramento sismici di Palazzo Bombini Longo». Nel corso dell’istruttoria è venuto fuori che buona parte del denaro destinato ai lavori – 2,5 milioni sui 3,35 totali stimati – sarebbe arrivato dall’Aterp. Pertanto sarebbe stato possibile dirottare i fondi del municipio su altri progetti in elenco. Uno in particolare ha fatto storcere il naso alla consigliera. Si tratta della «Realizzazione spazi di partecipazione e inclusione sociale nei parchi urbani della città di Cosenza: Belvedere sul fiume Crati», che, stando alla delibera di Giunta 72/2021, ha visto rimpinguato il budget di un milione e 100mila euro.

    Dai palazzi decrepiti al belvedere sul Crati

    Niente più contrasto al disagio abitativo a Cosenza vecchia, quindi, e un occhio di riguardo al turismo invece. «Perché – ha chiesto in aula Rende – le economie risultanti dall’intervento su palazzo Bombini, anziché essere reinvestite su questa misura, alla luce dei crolli quotidiani su Cosenza storica, si traducono in un rimpolpamento per un intervento che è il Belvedere sul fiume Crati?». Il riferimento all’altra misura riguarda soprattutto il rione Santa Lucia, nel quale sarebbero possibili gli agognati espropri (e la successiva riqualificazione) di fabbricati problematici.

    «Agenda urbana – ha replicato Caruso – non prevede la possibilità di utilizzare risorse finanziarie per coprire spese di esproprio. Su Santa Lucia abbiamo elaborato una strategia specifica, destinando 2 milioni e 58 mila euro, che prevede interventi anche su edifici che attualmente sono ancora privati, ma che stiamo per espropriare avvalendoci del Contratto di quartiere, per un importo complessivo di circa 4 milioni, che ci consentirà di acquisire gli immobili su cui poi intervenire con i due milioni e 58 mila euro del programma di Agenda Urbana».

    Una frattura ancora da ricomporre

    Come mai non utilizzare la possibilità di espropriare edifici del centro storico, finora definita impossibile a più riprese dal municipio, per intervenire su qualcun altro di essi attraverso i 90 milioni in arrivo dal Mibact con il Cis allora? Una domanda che ieri nessuno ha fatto in aula.
    E il belvedere sul Crati contestato dalla consigliera invece? Per il vice sindaco non si tratterebbe solo di «un intervento per valorizzare l’area a fini turistici». Stimolerebbe, al contrario, una «rigenerazione importante che si pone come elemento di ricucitura e ricomposizione di una frattura con il centro storico». Più o meno quello che è già stato detto a proposito del ponte di Calatrava, anch’esso realizzato con una quota di fondi destinati in origine all’edilizia popolare. Quanto la frattura con il centro storico si sia ricomposta grazie all’opera dell’archistar valeriana resta, per usare un eufemismo, poco evidente.

  • Il controsenso di marcia tra i crolli del centro storico

    Il controsenso di marcia tra i crolli del centro storico

    Un turista israeliano pensava fosse stato bombardato il centro storico di Cosenza. La professoressa Marta Maddalon racconta questo aneddoto durante il Sesto senso di marcia, il tour fra le macerie della città vecchia organizzato stamane dal Comitato Piazza Piccola. Succede a via Galeazzo Tarsia, sventrata e abbandonata dopo alcuni crolli. L’idea del Sesto senso di marcia nasce in contrapposizione ai Cinque sensi di marcia, ideato e organizzato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Cosenza, guidato da Rosaria Succurro.

    Crolli e carcasse

    Crolli, carcasse di auto e un sole da controra accolgono i camminatori del Sesto senso di marcia a Santa Lucia. Ma «le zone più colpite – commenta Stefano Catanzariti del Comitato Piazza Piccola – sono anche la Garrubba e via Giuseppe Campagna». L’abbandono del centro storico non è una questione vicina nel tempo. Sono «30 anni di abbandono diffuso, assenza istituzionale e servizi spostati altrove». E poi ci si lamenta se cresce il disagio sociale.
    Catanzariti si propone di «sovvertire l’idea che il centro storico sia un problema solo dei residenti». Residenti e abitazioni in mano a molteplici eredi sono uno degli ostacoli alla sua messa in sicurezza. Ecco perché l’attivista punta tutto su «una legge speciale che dovrebbero caldeggiare amministrazioni locali e parlamentari». C’è da capire ancora la sua applicabilità giuridica a questo contesto.

    Marta e John, l’acqua fino alla testa a via Gaeta

    «Avevamo l’acqua fino alla testa, per più di un anno». Marta Maddalon è una linguista dell’Unical che vive insieme al glottologo John Trumper proprio in via Galeazzo di Tarsia.
    «I topi erano centinaia, abbiamo passato mesi di inferno, era tutto bloccato» – continua la professoressa universitaria – e le «macerie sono state lì finché non abbiamo bloccato corso Telesio chiedendo che venissero rimosse».
    Quando «si abbatte succede anche questo» – precisa la Maddalon: «Quelle case non erano a pericolo crollo».
    Perché «quando una casa è recuperabile, la si svuota lasciando le pareti perimetrali per non dare l’idea di un bombardamento». E i turisti israeliani, abituati a situazioni di conflitto, non hanno avuto difficoltà a notarlo.

    Demolire e mandare via la gente

    «Tutta l’area di Santa Lucia risulta chiusa e transennata con enormi difficoltà per chi ci vive». Parole pronunciate dell’attivista Roberto Panza davanti a una piccola folla di camminatori in pausa. E se i «contratti di quartiere hanno fallito, serve comunque verificare – puntualizza Panza – il percorso dei milioni che la settimana scorsa il Comune ha destinato a Santa Lucia, ma noi crediamo sia sempre il solito giochetto».
    Gli attivisti temono il destino di altri centri storici: buttare giù e demolire, mandare via la gente per favorire la nascita di b&b.
    Timori e proposte si uniscono al caldo che continua a battere duro. Un pugno di superstiti del tour nel centro storico raggiunge alcune sedi istituzionali, compreso Palazzo dei bruzi. In dono portano una pietra e una cartolina della città vecchia. Una di quelle dei crolli, giusto per ricordare di aggiornare i cinque sensi di marcia a sei.

  • Cosenza e Rende, un’Atlantide di cemento da lasciarsi alle spalle

    Cosenza e Rende, un’Atlantide di cemento da lasciarsi alle spalle

    Torno sul tema della città storica, e, ancora una volta, prendendo Cosenza come riferimento a noi più vicino, la riflessione si muove non solo intorno alla politica urbanistica messa in atto o meno, per la sola città storica, ma quella più generale per tutta la città, ossia come sono stati gestiti, negli ultimi cinquant’anni, gli equilibri abitativi, la politica per i servizi, per gli spazi pubblici, le attrezzature, la mobilità, privilegiando soprattutto le aree di nuova edificazione e abbandonando progressivamente quelle storiche.

    Occorre, perciò, andare indietro di un po’ di anni per capire cosa è accaduto tra Cosenza e Rende, in questa odierna sconfinata “Atlantide di Cemento”, resa oggi infuocata da temperature ormai disumane, fomentata da una scellerata espansione edilizia su cui ha poggiato una intera economia regionale, non solo locale.

    Dal campus alla speculazione

    Subito dopo l’istituzione dell’Università della Calabria, nel 1968, viene subito indetto un concorso internazionale di progettazione, con una prestigiosa giuria. È molto importante ricordare, tra i partecipanti al concorso, la proposta progettuale del gruppo guidato da Italo Insolera, che controcorrente, propone il campus dislocato nella città storica di Cosenza, ma con un sistema territoriale che avrebbe interessato tutta la Valle del Crati: un pezzo di modernità con il cuore nell’antico.

    Invece la giuria decreta vincitore il gruppo guidato da Vittorio Gregotti. Nasce così la prima università italiana con un grande campus sulle brulle colline di Arcavacata di Rende, fino ad allora abitate solo da greggi di pecore, un nuovo segno architettonico lungo un tracciato rettilineo di oltre 2 km, senza dubbio un originale presenza architettonica nel paesaggio.
    Insieme all’Autostrada si tratta dei due segni più moderni in una Calabria immobile in quegli anni, segni che tuttavia hanno scatenato la più massiccia speculazione edilizia e consumo di suolo, tra Rende e i luoghi limitrofi, lungo tutto l’asse centrale della Valle del Crati, altrove non rintracciabile, per l’ingente quantità di metri cubi di cemento ed esplosione urbana senza alcun limite.

    La politica miope

    Dunque, il primo “torto” la città storica di Cosenza, lo subisce da una miopia politicascambiata per lungimiranza – che gioca la carta del nuovo a tutti i costi, immaginando ciò volano di sviluppo, mentre la storia e la memoria sono “roba da archeologi” tuttalpiù. E così si dà avvio a quel grande equivoco della crescita edilizia, su cui si è fondata buona parte della nostra economia, ma anche, oggi, del nostro disastro ecologico e dell’oblio della memoria antica.

    Qualche anno dopo Empio Malara, eccellente architetto milanese di origini rendesi, tenta un originale disegno urbano della nuova Rende, già oggetto dei fenomeni espansivi indotti dall’Università. Nel disegnare alcuni nuovi quartieri, e una fisionomia di città moderna che tenga conto del Campus, immagina, da bravo planner visionario, un dialogo urbanistico e culturale con la città alta di Cosenza, pensando che proprio l’università avrebbe potuto esserne l’anello di congiunzione.

    La guerra dei campanili e le sue vittime

    Ma la politica, che guarda soprattutto agli interessi elettorali, prima che dei cittadini, rimane arroccata su posizioni campaniliste e nessun dialogo sarà capace di porre in essere un ragionamento di città policentrica della Valle del Crati, in cui la storia potesse avere un ruolo da protagonista di una nuova stagione insediativa, seppure eccentrica per geografia. La competizione a sottrarre cittadini l’una all’altra sarà l’attività meglio praticata in quegli anni, il frutto è oggi l’asfittica definizione, burocratica, di “Area Urbana” Cosenza-Rende e dintorni, ovvero un indefinito, indefinibile confine senza soluzione di continuità, in cui tutto, ovvero il dilagare del costruito, è consentito in nome di una presunta “forza” dei numeri anagrafici e dei metri cubi.

    Il risultato? Cosenza e Rende alte, tra tutte, sono due luoghi pregevoli, di dimensioni differenti, ma fantasmagorici, in abbandono e su cui scarsissime azioni intelligenti si sono concentrate negli anni.
    Non è intenzione di chi scrive esaurire, solo in queste note, la complessa questione che si trascina da anni di come sia possibile il recupero dei patrimoni storici nel meridione, ma senza dubbio è interesse dimostrare che sono mancate e mancano le volontà politiche, le capacità amministrative, l’inventiva e la necessaria sensibilità progettuale, e che molti sono gli errori di visione commessi in queste lunghe decadi di modernità malata.

    Come salvare le città storiche

    Leggi regionali e provvedimenti sbagliati, come uno degli ultimi bandi della Regione Calabria, dedicato ai fantasmagorici “borghi” dietro ai quali si celavano equivoci e inesattezze, premesse sbagliate, carenti di una strategia complessiva per le città storiche, forse con il solo interesse di erogare risorse a pioggia con la solita finalità elettorale.

    Ci vuol ben altro per salvare le città storiche. Tra le priorità, occorrono azioni coordinate e continue, duplici tra pubblico e privato, di manutenzione ordinaria, quotidiana, il dare supporto progettuale, amministrativo, ai privati che intendono restare, istituire uffici permanenti di supporto alla progettazione, con contratti a giovani laureati, in una sinergia tra Comune e Sovrintendenze, riattivare le iniziative commerciali, ma soprattutto quelle culturali e creative, spostare nelle città storiche “fabbriche” di innovazione e creatività, centri per l’arte con residenze internazionali per giovani artisti, demolire gli edifici fatiscenti, ad opera degli stessi privati inadempienti o con surroga del comune, fare spazio a luoghi pubblici collettivi, servizi diffusi, nuovi e coerenti interventi di manutenzione e sostituzione degli edifici, mobilità dolce e tanto altro ancora.

    In nessun programma elettorale, in nessuna compagine amministrativa si intravedono sguardi e slanci in questa direzione, sarà bene che le prossime elezioni di Cosenza siano una importante occasione per riaprire questa – e altre – significative discussioni sulla città e sul suo futuro.
    La vera sfida è coniugare smartness con la storia, non rimuoverla!

  • Cosenza seconda in Italia per intimidazioni ad amministratori

    Cosenza seconda in Italia per intimidazioni ad amministratori

    Cosenza è la seconda provincia per numero di intimidazioni agli amministratori locali dopo Napoli nel 2020. Sono 26 rispetto ai 17 del 2019. Il numero complessivo delle intimidazioni è sceso a 12 nel primo semestre del 2021, rispetto ai 16 dello stesso periodo nel 2020. La Calabria si piazza al quinto posto tra tutte le regioni nell’analisi relativa ai trend del primo trimestre del 2021.
    Sono dati emersi dal report dell’Osservatorio nazionale sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali.

    Garantire sicurezza ai sindaci

    Dobbiamo garantire ai sindaci la giusta sicurezza, la tranquillità di poter svolgere il proprio mandato senza «pressioni” o delegittimazioni. Altrimenti diventerà sempre più difficile e rischioso svolgere l’attività di amministratore pubblico».
    Sono parole espresse da Franco Iacucci, presidente della Provincia di Cosenza. Stamane ha partecipato – on line – come delegato dell’Upi (Unione province italiane) alla riunione dell’Osservatorio nazionale sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori. Erano presenti il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese e il sottosegretario Ivan Scalfarotto.

  • Figc, la riforma della B tiene in bilico il Cosenza

    Figc, la riforma della B tiene in bilico il Cosenza

    «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»: è quasi automatico pensare alle parole di Tancredi Falconeri ne Il Gattopardo dopo la decisione della Figc di non riammettere già da ieri mattina il Cosenza in serie B.
    Una scelta inedita, quella di attendere le motivazioni della sentenza prima di eseguirla, che ha fatto storcere il naso a parecchi. Il nuovo modus operandi adottato per la prima volta con (o, secondo qualcuno, a danno de)i Lupi, che già pregustavano la riammissione, non è privo di fondamenti giuridici. O, almeno, non lo è del tutto.

    A spiegarlo a I Calabresi è Vincenzo Ferrari, professore emerito dell’Università degli Studi di Milano e già preside e direttore della Scuola di dottorato della facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo meneghino. «L’attesa della motivazione rientra nella discrezionalità della Federazione che deve dare esecuzione alla sentenza», spiega l’accademico. Ma quella discrezionalità ha comunque vita breve: «Cesserà immediatamente – aggiunge Ferrari – non appena verrà depositata la motivazione».

    Lo Sport si inchina al Tar?

    Quello che al professore non torna è che la Figc, nel lasciare la patata bollente in mano al suo presidente Gravina, abbia chiamato in causa in un comunicato di ieri anche «le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico» che potrebbero arrivare dal Chievo. «Non sarebbe in ogni caso legittimo – precisa Ferrari – attendere la decisione del Tar, poiché quello sportivo è un ordinamento autonomo e le decisioni vanno attuate senza ritardo dagli organi sportivi».

    Eppure a coinvolgere nel discorso i tribunali amministrativi è proprio la Figc, quasi come se quelli che hanno già respinto il ricorso dei veronesi (a cui invece dovrebbe fare riferimento la Federazione) rinunciassero alla propria autonomia. O come se nelle udienze “contro” il Chievo non ci fosse la Federazione stessa. «È un po’ strano – prosegue ancora Ferrari – che si dica “aspettiamo il Tar”, la giustizia sportiva è indipendente da quella ordinaria. Ed è alle decisioni della prima che la FIGC si dovrebbe adeguare». Stranezza che aumenta quando si pensa che ad esprimersi contro i veneti sono già stati la Covisoc, il Consiglio federale e il Collegio di Garanzia del Coni. Tre gradi di giudizio evidentemente non bastano, se nel calendario della prossima stagione di B, quantomeno fino al 2 agosto, per il momento resta una X al posto della ventesima squadra iscritta.

    La politica alza la voce

    In riva al Crati, nel frattempo, si grida al complotto per paura che dopo una riammissione che sembrava ormai certa possano arrivare spiacevoli sorprese. La politica, com’è scontato che sia, prova a blindare la “vittoria” dei rossoblu. Il consigliere comunale Giovanni Cipparrone invita alla battaglia «tutta la deputazione cosentina e calabrese», chiedendo che presenti un’interrogazione parlamentare «cazzuta». «Non solo si sta perpetrando un danno ad un’intera città calcistica, ma si sta cercando di far passare per giusti degli evasori riconosciuti da tutti fino ad oggi.». Il suo collega Sergio Del Giudice, a propria volta, non usa troppi giri di parole, commentando «l’ennesima grottesca baggianata degli organi federali». Auspica anche lui interrogazioni parlamentari, ma anche che sia Cosenza stessa a dare un segnale. «Chiedo – scrive – al sindaco Occhiuto ed alla Giunta tutta, nonché allo stesso presidente Guarascio ed ai suoi legali, di presentare formale diffida alla Figc ed al suo presidente Gravina al fine di predisporre l’immediata riammissione del Cosenza Calcio al campionato di Serie B. Diciotto anni fa, per cose molto meno gravi, proprio il Cosenza fu fatto sparire dal calcio che conta per favorire la Fiorentina».

    Occhiuto alle diffide per ora non pensa. Ma dichiara che «alla luce del pronunciamento del Consiglio federale, la serie B per il Cosenza non può più essere messa in dubbioné dalle motivazioni del Collegio di garanzia che il presidente Gravina ha chiesto di attendere, né da tardivi ricorsi al Tar. Cosenza e la sua squadra di calcio – prosegue – meritano rispetto. Fiduciosi nella positiva conclusione di questa vicenda – conclude il sindaco – vigileremo contro ogni eventuale colpo di mano affinché trionfino i valori dello sport e della correttezza».

    Le differenze tra 2021 e 2003

    Quanto al precedente del 2003 rievocato da Del Giudice, quasi vent’anni dopo quella decisione che favorì la Viola è ancora dura da digerire per i tifosi rossoblu. Ma anche per chi a quei tempi guidava il Cosenza. Luca Pagliuso – figlio dell’allora presidente dei Lupi, Paolo Fabiano – racconta come il parallelo tra quanto accaduto allora e gli ultimi avvenimenti sia però improprio. «All’epoca subimmo un danno economico enorme, con un parco giocatori che valeva decine di milioni che si svincolò». «Penso che fosse stato tutto deciso già da mesi, il Cosenza fu ucciso dalla Figc e da altri», aggiunge alludendo all’inchiesta del pm Facciolla che vide coinvolto – e poi assolto con formula piena negli anni successivi – suo padre.

    Tornando all’attualità, Pagliuso Jr preferisce non esprimere giudizi sulla gestione Guarascio. Ma la scelta della Figc ha lasciato pure lui perplesso e un consiglio al presidente rossoblù alla fine prova a darlo. «La società dovrebbe diramare un comunicato in cui dichiara che in base alle decisioni arrivate si considera riammessa in B, cominciare ad acquistare giocatori per la categoria e depositare i loro contratti. Così facendo metterebbe spalle al muro la Federazione, paventandole il rischio di dover risarcire poi i Lupi se quei contratti si dovessero stracciare per la mancata riammissione».
    Difficile pensare che a via degli Stadi gli diano retta: la proverbiale parsimonia di Guarascio non lascia immaginare esborsi nel breve, tanto più con la possibilità di ritrovarsi sul groppone stipendi più alti della media di un eventuale campionato di C.

    La riforma dei campionati dietro la scelta della Figc

    Il vero nodo della questione, più che la giurisprudenza, le dietrologie e le strategie, sembra essere la riforma del calcio professionistico che Gravina e Figc vorrebbero concludere nel giro di tre anni. La riduzione da 20 a 18 squadre della B mal si concilia con l’ipotesi che nella stagione 2021/2022 ce ne possano essere 21 a sfidarsi. Riammettere il Cosenza fin da subito, come logica avrebbe voluto dopo l’ennesima bocciatura delle ragioni del Chievo, non implica automaticamente che i veronesi non possano vederle riconosciute dal Tar nel futuro prossimo. Questo obbligherebbe la Figc a far rientrare in serie cadetta anche i gialloblu oltre ai Lupi. E passare da 21 a 18 è più complicato che farlo partendo da 20.

    E allora, proprio come nel libro di Tommasi di Lampedusa, per far restare tutto come è ora, senza squadre di troppo, meglio cambiare tutto. Ossia non fare quello che si chiedeva di fare – in aula contro il Chievo c’era la Figc stessa, non il Cosenza – nonostante la decisione arrivata sia favorevole. Poi prendere ancora tempo in attesa delle fatidiche motivazioni della propria vittoria. Se è per essere sicuri che l’esclusione dei veronesi sia blindata e non modificabile dal Tar oppure per far fuori il Cosenza si potrà capire solo tra qualche giorno.

  • Calcio, la Figc ci ripensa? Cosenza nel limbo

    Calcio, la Figc ci ripensa? Cosenza nel limbo

    La Figc smentisce se stessa. Il Consiglio federale, dopo aver promesso per oggi la definizione dei partecipanti ai vari campionati di calcio della prossima stagione, decide di prendersi qualche altro giorno di tempo. Ad annunciarlo è la Gazzetta dello Sport in un articolo a firma di Nicola Binda. L’esclusione dalla B del Chievo resterebbe quindi in sospeso, nonostante la decisione in tal senso del Collegio di Garanzia del Coni.

    Stando alla Rosea, a porre la parola fine alla diatriba, quindi, dovrà essere il presidente della FIGC Gravina. Si attende la pronuncia anche del Tar del Lazio, al quale i veronesi – così come altre società escluse dalla C – presenteranno ricorso per provare a ribaltare il verdetto avverso incassato ieri.

    Calcio nell’incertezza ancora per giorni

    Resterebbe dunque nel limbo il Cosenza, che già stamattina si aspettava di leggere il proprio nome al posto della X presente finora sui calendari. Niente riammissione per il momento in cadetteria, in attesa di ulteriori valutazioni. La conclusione della vicenda dovrebbe arrivare nei primissimi giorni di agosto (il 2 o il 3 probabilmente, sempre secondo la Gazzetta dello Sport).

    Per quale motivo i vertici nazionali del calcio, che solo ieri ribadivano tramite i loro legali la necessità di estromettere il Chievo dalla B, avrebbero cambiato linea adottando quella della prudenza? Con ogni probabilità a influire nella scelta sarebbe il rischio che, riammettendo il Cosenza e con una successiva vittoria al Tar del Chievo, il campionato di B si ritrovi nuovamente con 21 squadre iscritte. Un controsenso in condizioni normali, ancora di più con la prospettiva di ridurre a 18 le squadre partecipanti da qui al 2024.

    Il comunicato della Figc

    Nel pomeriggio la Figc ha rilasciato un lungo comunicato, con un passaggio dedicato proprio alla questione della riammissione del Cosenza: «Il Consiglio ha dato delega al presidente federale, insieme ai presidenti delle componenti, per procedere al completamento delle vacanze di organico attese le motivazioni del Collegio di Garanzia del Coni e le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico.

    In applicazione del Comunicato Ufficiale n.288/A del 14 giugno sono arrivate due domande di riammissione in Serie B da parte delle società Cosenza e Reggiana. Il Consiglio ha preso atto del parere delle Commissioni e dei criteri del Comunicato Ufficiale n.279/A del 14 giugno per l’integrazione dell’organico e ha indicato il Cosenza quale società con priorità per la riammissione al campionato di Serie B».

    Ora non resta che aspettare la prossima puntata della telenovela, col presidente Gravina protagonista.

     

  • Calcio: Cosenza riammesso in B, addio alla favola Chievo

    Calcio: Cosenza riammesso in B, addio alla favola Chievo

    Il Cosenza torna in serie B e il Chievo saluta il calcio professionistico. È arrivata in serata la notizia che tutti nel capoluogo bruzio aspettavano. Niente più retrocessione per i rossoblù, nonostante la società e la squadra abbiano fatto di tutto per meritarla nella passata stagione. I Lupi, salvo ulteriori inversioni di rotta della Lega dopo lo scontato ricorso dei veronesi al Tar, tornano in serie cadetta senza passare dalla C in cui erano precipitati a fine campionato. A tirarli fuori dal baratro, proprio come l’anno scorso, sono stati ancora i gialloblù, stavolta per problemi economici.

    La decisione a Roma

    I legali della Figc nel pomeriggio hanno chiesto la conferma dell’esclusione dei veronesi, ribadendo la posizione già espressa dalla Covisoc. La tesi che hanno sostenuto è che non potevano esserci trattamenti di favore per il Chievo, visto che le altre società hanno rispettato le tempistiche fissate per tutti. Gli avvocati clivensi, dal canto loro, hanno portato avanti la tesi secondo cui gli arretrati accumulati tra il 2014 e il 2018 dalla società non avrebbero implicato in automatico l’esclusione della squadra dalla serie B. Alla fine il Collegio di Garanzia ha ritenuto che la ragione l’avesse la Figc e, di riflesso, il Cosenza.

    I problemi del Cosenza restano

    A prescindere dal successo di oggi, i problemi per il Cosenza Calcio restano identici a ieri. La strappo tra i vertici societari e la tifoseria non sembra ricucibile: la stagione fallimentare appena conclusa e il successivo, prolungato e ingiustificabile silenzio del presidente Guarascio sulle prospettive per il 2021/2022 non si cancellano con una sentenza, positiva o meno che sia. La programmazione rimane, come da diversi anni a questa parte, un’illustre sconosciuta a via degli Stadi. Il nuovo ds è arrivato nei giorni scorsi, l’allenatore non c’è ancora. Quanto ai giocatori, la rosa al momento non è sufficiente nemmeno a organizzare una partitella amatoriale tra amici, figuriamoci affrontare un ritiro e un campionato ormai alle porte. E se la questione non era di poco conto per una squadra di C, figuriamoci per una di B.

  • Amianto, voti e lavoro dalle fabbriche del Tirreno

    Amianto, voti e lavoro dalle fabbriche del Tirreno

    Lavoro, amianto e voti sulla strada che porta alle fabbriche del Tirreno cosentino. Qui a Nord della Calabria non solo il turismo ha creato un po’ di reddito e tanta ricchezza per pochi. Migliaia di uomini e donne erano impiegati in quelle che adesso sono soltanto  archeologia industriale. Operai nelle fabbriche della Marlane e Lini e Lane di Praia a mare, donne alla camiceria di Scalea, alla Foderauto di Belvedere, alla Emiliana tessile di Cetraro. Di tutto questo lavoro oggi non rimane niente.

    Le fabbriche abbandonate
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    Il vecchio stabilimento abbandonato della Lini e Lane

    La Foderauto di Belvedere e la Lini e Lane sono abbandonate, la Emiliana di tessile riconvertita ad altro, la Marlane ancora invasa da rifiuti tossici sotterrati. E sembra incredibile che una struttura di questa grandezza, maestosità, imponenza, totalmente in preda al degrado stia al centro di una cittadina, considerata turistica, come Praia a Mare. Uno scheletro enorme emerge fra campi ancora coltivati, il vicino cimitero, palazzi per turisti e residenti. Si entra da un lato, quasi nascosto, proprio alle spalle del cimitero. Di fronte c’è la linea ferroviaria, dall’altra parte scorre la strada provinciale che delimita un altro scheletro: quello della famigerata Marlane.

    Era una fabbrica con 400 operai

    Quando entri nello stabilimento della Lini e Lane campeggia gigantesco, sulla sinistra, a mo’ di guardiano un enorme serbatoio in cemento e amianto. Una discarica invisibile che non vede nessuno, né il sindaco Praticò, né l’Asl. I tetti sono in amianto, così altre strutture. I topi sono dappertutto. Il silenzio è rotto solo dai treni che passano e che rimbombano all’interno vuoto della vecchia fabbrica. Negli anni Sessanta, questo capannone, era il fiore all’occhiello di tutta la Calabria con 400 operai. Da qui uscivano lenzuola, ricami, fazzoletti, tovaglie per tutta Italia.

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    Il vecchio serbatoio della “Lini e Lane”
    Dalla fabbrica uscivano voti alla Dc

    Lo Stato di allora, i governi di allora, i vari panzoni, forchettoni democristiani venivano a visitarla periodicamente rivendicandone nuovi finanziamenti e nuovi incentivi. Così come alla Marlane e in tutte le fabbriche tessili dell’epoca, a Castrovillari come a Cetraro ed a Scalea, da qui non uscivano solo lini e lane, ma anche voti a profusione per la DC. Basta leggere le interrogazioni parlamentari, finte, che gli stessi democristiani calabresi rivolgevano ai loro stessi governi democristiani. Le facevano dimostrando interesse per gli operai e poi in parlamento votavano per le dismissioni. Le interrogazioni del 1967 portano la firma di Mariano Luciano Brandi, socialista saprese, di area manciniana che fu deputato dal 1968 al 1972. Le altre del 1979 portano la firma di Romei, Buffone, Cassiani, Pucci. Democristiani doc che hanno fatto la storia del partito e della Calabria.

    I sindacati reggevano il sacco ai partiti

    I sindacati non disturbavano i partiti. Si accontentavano di esistere con le loro tessere ed anche loro ne approfittavano per ottenere qualche indotto lavorativo. Come avveniva alla Marlane dove la “triplice” si era spartita tutto l’indotto esterno della Marzotto costituendo cooperative guidate proprio dai segretari di Praia a Mare. Loro sapevano che quelle industrie tessili si reggevano solo con i cospicui finanziamenti delle varie Isveimer, Imi, Gepi, Cassa del Mezzogiorno.

    Non avevamo mai visto uno stipendio mensile

    Sono gli operai che non lo sapevano. Operai che provenivano tutti dal mondo contadino, che non avevano mai visto uno stipendio mensile, e che per loro anche una cifra modesta ricevuta ogni mese, serviva loro per incentivare i loro sogni. Vedere il figlio laureato, pagare qualche debito, comprarsi l’auto, magari una Cinquecento o un tre ruote per andare il pomeriggio in campagna, finirsi la casa costruita mattone per mattone da loro stessi.

    Quel che resta delle fabbriche

    Oggi tutto è ridotto a scheletri industriali. Potrebbero diventare musei questi fabbricati. Ma il loro destino è ben altro. Nonostante le denunce fatte dal Comitato cittadino per le bonifiche dei terreni, nessuno è intervenuto. Il Comune dice di non poter intervenire in quanto l’area apparterrebbe ad un privato di Scalea, il privato non ha soldi per intervenire e cerca un compratore. Intanto la struttura continua a vivere mangiando i rifiuti che solerti cittadini praiesi avvezzi alla differenziata continuano a portarle.