Tag: cosenza

  • Toti “tiene” famiglia, tre generazioni dei Bruno in lista

    Toti “tiene” famiglia, tre generazioni dei Bruno in lista

    Come si arriva a 869 aspiranti consiglieri in una città come Cosenza, di 65mila e rotti abitanti, per un massimo di 40mila elettori?
    Essenzialmente in un modo: reclutamenti più o meno “selvaggi” per controllare i voti di amici e parenti e fare quindi massa critica per spingere solo alcuni nomi e confermare la presenza diretta di simboli o l’influenza di alcuni big, che hanno mire ben diverse dal seggio in consiglio comunale.

    Il guazzabuglio è voluto e fa comodo, tant’è che finora nessuno ha mai messo mano alla legge elettorale per rendere i criteri di candidatura più restrittivi, s’intende nel rispetto della Costituzione.
    Cosenza, proprio per le sue dimensioni ridotte, fa scuola in questo modo d’agire. Lo dimostrano due casi, entrambi nella coalizione di Francesco Caruso.
    Ci si riferisce alle liste della Lega e di Coraggio Cosenza.

    Tutto iniziò da Vincenzo Granata

    Nonostante il declino demografico ed economico, Cosenza fa ancora gola. Ne faceva e ne fa tuttora a Matteo Salvini, perché ogni postazione acquistata nelle istituzioni meridionali rafforza il suo “nuovo corso”, di destra prima “radicale” e poi “moderata”, e limita il peso dei bossiani nelle fortissime nicchie del Nord profondo.
    Non a caso, Vincenzo Granata, eletto nel 2016 con la lista Democrazia Mediterranea, passò con la Lega e ne creò il gruppo consiliare.

    Vincenzo Granata, passato dalla Lega al movimento di Toti e Brugnaro (foto Alfonso Bombini)

    Quello di Granata, tra l’altro fratello di Maximiliano Granata, presidente del Consorzio Vallecrati, è il primo tentativo di radicamento del partito di Salvini in città.
    Tutto è filato liscio fino a pochi mesi prima delle elezioni, quando col cambio dei commissari sono iniziate le frizioni interne che hanno provocato l’uscita dalla Lega di circa trecento militanti, a partire proprio da Granata.
    Ed ecco che il Carroccio si è trovato un problemone: come colmare il buco?

    Una “cura medica” per la Lega

    Il vuoto nel Carroccio è pesante e si tenta di colmarlo in tutti i modi. In una primissima battuta, ci hanno provato alcuni volti noti della politica cittadina, che in passato avevano fatto parte della maggioranza della giunta di Salvatore Perugini, finora l’ultimo sindaco cosentino espresso dal centrosinistra: Francesca Lopez, Salvatore Magnelli, Gianluca Greco e Roberto Sacco. Nessuno dei quattro è rimasto a bordo del Carroccio (Lopez e Magnelli sono candidati in Fdi e Sacco è finito a sinistra con l’altro Caruso, cioè Franz).

    Il secondo intervento salva Lega è opera di Franceschina Brufano, leghista vicina a Spirlì e congiunta dell’ex presidente dell’Ordine degli avvocati Emilio Greco. Assieme a lei si mette in moto anche il consigliere uscente Pietro Molinaro.
    Quest’ultimo chiede un aiuto eccellente: quello di Simona Loizzo, anch’essa candidata nel Carroccio, ma per le Regionali.

    Simona Loizzo tra Nino Spirlì e Matteo Salvini

    Ed ecco individuato il primo puntello: Roberto Bartolomeo, ex consigliere comunale emerso alla fine dell’era Mancini e dotato di un solido pacchetto di consensi. Con lui correrà in ticket Federica Pasqua, giovane medico dal cognome importante: è figlia di Pino Pasqua, primario all’Ospedale dell’Annunziata.

    Nella corsa a riempire è senz’altro scappato qualche svarione: il giovane Mattia Lanzino, nipote dell’ex “primula” della ’ndrangheta cosentina. Nulla da eccepire sulla persona, perché il ragazzo è incensurato. Tuttavia, il tono delle polemiche seguite alla “rivelazione” ha confermato che i cosentini sono meno garantisti e meno propensi a distinguere tra persone e cognomi di quanto si creda.

    La trasfusione

    Il problema, per il Carroccio è tirare a bordo almeno gli 800 voti utili per avere pedine in Consiglio. Se il sangue non basta, ci vuole una bella trasfusione. Così hanno senz’altro pensato gli Stati Maggiori della Lega, che hanno trovato una lista pronta da assorbire: il Pls, che sta per Partito liberal socialista, un gruppo dal nome glocal ma dalle ambizioni di quartiere, organizzato da Massimiliano Ercole, ex maresciallo dei carabinieri dalle vicende giudiziarie piuttosto turbolente (a suo carico c’è un’inchiesta per traffico di rifiuti).

    Secondo i beneinformati, Ercole ha trasfuso la sua lista del Pls, di diciotto nominativi, nella Lega. Non è dato sapere se ci siano tutti e diciotto i nominativi, ma gli addetti ai lavori ne confermano cinque: Francesca Broccolo, Antonio Citro, Sergio Moretti, Marianna Lo Polito e Michael Zappalà.

    Affari di famiglia

    Finora si è parlato delle mogli (di Luca Morrone, ad esempio), dei figli e dei parenti dei big.
    Ma ci sono anche famiglie normalissime che si sono date generosamente per completare le liste. Una, in particolare, spicca nella coalizione di Caruso: sono i Bruno (nessuna parentela con Davide Bruno, ex assessore di Mario Occhiuto), che si sono inseriti in blocco nella lista Coraggio Cosenza, organizzata da Vincenzo Granata per puntellare a Cosenza il movimento (Coraggio Italia) di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia.

    In questa lista, infatti, è possibile distinguere tra due Giuseppe Bruno solo grazie all’anno di nascita: il primo è classe ’53, il secondo è classe 2001. Il salto anagrafico non è un caso, perché sono nonno e nipote.
    Tra i due, figurano Ettore Bruno e Silvana Bruno, rispettivamente papà e zia di Giuseppe jr.
    Non finisce qui: in lista ci sono anche le consorti di Giuseppe senior e di Ettore. E c’è Federica Chiari, la fidanzata di Giuseppe jr.
    Cosa non si fa per riempire una lista…

    Il regno del casino

    A guardare bene i santini elettorali si capisce che molti, al massimo, sono abituati a fare selfie e risultano a disagio col look supercompassato e imbellettato dei politici professionisti.
    E si capisce che i dirigenti politici hanno agito in maniera “pasoliniana”, cioè hanno preso di peso le persone dai quartieri e dalle strade senza andare troppo per il sottile, ovvero senza informarsi sulla reale vocazione (o preparazione) politica dei candidati.
    Oggi vince chi fa più casino. E a Cosenza lo si è capito benissimo. Chissà che anche in questo il Sud profondo non faccia scuola.

  • Drive-in Cosenza, la fantasia dei civici se va al potere

    Drive-in Cosenza, la fantasia dei civici se va al potere

    «Con questa destra mai più. Al ballottaggio non farò accordi con loro». La mano sul cuore, lo sguardo fermo sulla telecamera, Francesco De Cicco ha annunciato che con Mario Occhiuto e Francesco Caruso non ha intenzione di dialogare. De Cicco è stato assessore proprio della Giunta guidata dall’architetto e ha affidato a un video su Facebook le sue decisioni.

    Da due anni diserta la Giunta

    Queste parole valgono più di ogni dettagliato programma elettorale e lasciano immaginare un possibile accordo col centro-sinistra. Ma mai fare l’errore di considerarle la pietra tombale su un possibile ritorno dell’amore tra Occhiuto e De Cicco. Basta guardare indietro nel tempo, quando De Cicco mobilitava le sue truppe a via Popilia contro il sindaco che voleva portare i rom a Vaglio Lise, salvo poi deporre le armi davanti alla nomina ad assessore.

    Nessuno dimentica le tante volte in cui ha minacciato di far cadere l’amministrazione, per poi rientrare prontamente nel recinto della maggioranza. Questa volta a marcare la distanza lo stesso De Cicco nel video spiega che «sono due anni che non partecipo alle riunioni di Giunta, né firmo i bilanci», tuttavia continuando, presumibilmente, ad incassare l’indennità di assessore.

    Gallo, Civitelli e De Cicco: i tre civici

    De Cicco, assieme a Francesco Civitelli e Fabio Gallo, rivendica il ruolo di portabandiera del civismo. Leggendo il programma dell’ancora assessore troviamo la negazione dell’idea di viabilità costruita in questo decennio da Occhiuto. E quindi con «la rimodulazione stradale a viale Mancini, via Roma, corso Umberto, via XXIV Maggio e relative traverse». Una proposta che potrebbe trovare l’entusiasmo degli automobilisti. Contorta e di difficile interpretazione la parte in cui si parla della «introduzione di trasporto di massa veloce, certo e sicuro che potrà avvenire solo se realizzato su linee di mobilità che devono prevedere sedi stradali libere dal traffico privato». Praticamente è una metro leggera che forse si chiamerà in un altro modo. Su tutto questo vigilerà una «assemblea cittadina aperta ai “competenti”», che però non si comprende chi possano essere.

    Francesco Civitelli, impegnato in un selfie allo specchio
    Drive in e festival medievali 

    Se quel passaggio resta vago, deciso è chiaro è l’intento di De Cicco sindaco per quanto concerne il lavoro: assumerà 240 impiegati comunali nell’arco del suo mandato. Lo sguardo sul centro storico non manca, con l’impegno a “chiamare” l’Università per aprire una facoltà nella parte antica della città. De Cicco promette pattuglie di vigili che avranno il ruolo di “educatori”, impedendo le occupazioni abusive e aiutando i giovani.
    Se la cultura in questi anni ha sofferto, l’assessore pensa di rilanciarla attraverso «la creazione di cinema drive in, per poter guardare il film in macchina». E poi con «il rilancio del teatro Rendano attraverso l’invito di artisti famosi, l’organizzazione di festival medievali nel centro storico e la creazione di un festival culinario».

     Auto a viale Parco e zero piste ciclabili

    Stringatissimo il programma prodotto da Francesco Civitelli, che rivendicando un lontano impegno politico accanto a Mancini, si limita ad un elenco di emergenze. Si parte dal Welfare per finire alla crisi idrica, passando per i rifiuti e la viabilità. Senza tralasciare la necessità di eliminare le piste ciclabili, aumentare le aree con le strisce bianche, attivare le Ztl solo nei fine settimana e riaprire viale Parco.

    L’audace similitudine con Mancini

    Assai più articolata invece la visione della città proposta da Fabio Gallo. Ha pazientemente costruito la sua candidatura, senza però mai dichiararne la volontà. Nel corso del secondo mandato di Occhiuto organizzò una kermesse nell’auditorium del Telesio. Invitò tutte le anime che rappresentavano forme di opposizione al sindaco, una assemblea ecumenica che non sortì alcun effetto.

    Da allora, tenacemente, ha dato vita al Movimento Noi, che ha la pretesa di avere carattere nazionale, ma che pare esistere solo qui. Forme di autorefenzialità che hanno partorito il topolino di una sola lista. La cosa non preoccupa il candidato, che recentemente ha affermato in una sua diretta Fb che «anche Mancini aveva solo due liste e stravinse», lanciandosi in un confronto che pare fuori misura.

    Gallo pensa al Pnrr 

    La concretezza dei buoni propositi del Movimento Noi viene affidata a una serie di provvedimenti finalizzati al finanziamento di progetti, partendo dal Pnrr fino ai fondi europei. Ma Gallo nel programma non scende nel dettaglio di spesa per ogni idea, né ai tempi necessari per attuarle. Si passa quindi dalla genericità di un impegno per la costruzione del nuovo ospedale, ai particolari sulla viabilità. Un tema che gli è caro  come agli altri candidati. In merito pensa di «ripristinare la circolazione di Via R. Misasi, ristabilendo i sensi di marcia precedenti, eliminare il doppio senso di marcia di Piazza Bilotti, renderla uno spazio vivibile ed accogliente».

    Fabio Gallo, cattolico militante del Movimento Noi
    Basta monopattini indisciplinati, servono regole

    Ha intenzione di «riaprire Viale Parco alla circolazione privata e pubblica, attuare un piano di reale manutenzione e riasfaltatura di tutte le strade della città, utilizzare le linee ferrate esistenti per collegare Cosenza all’Unical, acquistare una flotta di Electrobus a inquinamento “zero”». Ma per fortuna a tutto questo aggiunge «la regolamentazione dell’uso dei monopattini», questione evidentemente molto urgente.

    La cultura al centro del progetto città pensato dal Movimento Noi, con un non meglio precisato «sostegno all’artigianato locale e la restituzione dei Bocs art alla città e al mondo del lavoro». Soprattutto è prevista la nascita della Fondazione Cosenza, una realtà con lo scopo di «riunire in essa tutti i Beni di proprietà del Comune, dunque pubblici, destinati alla manifestazione dell’arte e della cultura in generale perché essi siano tutelati da eventuali derive privatistiche e resi produttivi e realmente utili ai Cittadini».

    Energia idroelettrica da Crati e Busento

    Gallo ha pensato anche a produrre energia per la città dai suoi fiumi – dove evidentemente si smetterà di cercare il tesoro di Alarico – e di riportare le Colombe di Baccelli a piazza Kennedy, in una operazione nostalgia. Sulla scuola il candidato prende uno scivolone, quando immagina «la riduzione degli alunni per classe fino a un massimo di 15». Gli sfugge il dettaglio che il numero di studenti per classe e dunque l’organico dei prof è deciso dal Ministero, non dal sindaco.

  • Piazza Bilotti, non aprite quel museo

    Piazza Bilotti, non aprite quel museo

    Ora non lo dicono più solo gli inquirenti: le travi d’acciaio nel museo multimediale di piazza Bilotti presentano dei difetti non accettabili e sono necessari interventi per renderle sicure. La conferma all’ipotesi della magistratura arriva infatti dai tecnici assunti dal Comune di Cosenza nella speranza che dimostrassero l’esatto contrario.

    Le rassicurazioni infondate di Occhiuto

    «Ribadisco che prima del collaudo anche le leggere imperfezioni presenti in alcune travi d’acciaio sono state oggetto degli opportuni interventi, sì da rendere anche tali componenti del tutto conformi alla normativa e quindi sicuri», rassicurava il sindaco Occhiuto nell’aprile del 2020 all’indomani del sequestro di quella piazza che considerava il fiore all’occhiello della sua amministrazione.

    C’era anche lui tra i 13 rinviati a giudizio per le vicende relative alle presunte irregolarità nel collaudo della maxi opera, riaperta al pubblico quasi completamente pochi mesi fa. A restare chiuso era stato proprio il museo, con Occhiuto che a gennaio scorso aveva spiegato che erano «in corso ulteriori e più approfondite indagini sulle travi metalliche».

    Le indagini commissionate dal Comune

    Quelle indagini – almeno quelle commissionate da Palazzo dei Bruzi – si sono concluse e il risultato è apparso nei giorni scorsi sull’albo pretorio del Comune, seminascosto tra decine di allegati a una determina. Il documento ha un titolo inequivocabile: “Verifica delle travi in acciaio presenti nell’area museo”. Porta la firma di cinque ingegneri della Sismlab, spin-off dell’Unical scelto dall’amministrazione comunale per effettuare i test. È lungo più di 100 pagine, fitte di calcoli ingegneristici, immagini relative alle prove effettuate sui materiali utilizzati. E si conclude con un verdetto inequivocabile: le travi sono difettose e c’è bisogno di intervenire al più presto per evitare il peggio.

    I difetti inaccettabili alle travi

    I cinque di Sismlab lo scrivono a chiare lettere nelle loro conclusioni: «Vista la presenza di difetti su due travi e in particolare sui cordoni di saldatura, considerato che i difetti sono definiti non accettabili e quindi da riparare, considerati inoltre i coefficienti di sicurezza rilevati in presenza dei carichi accidentali nelle sezioni danneggiate, a giudizio di chi scrive e nello stato attuale di consistenza non è possibile riammettere alla riapertura al pubblico l’area attualmente interdetta individuata come area museale».

    Non solo, gli ingegneri aggiungono che «la possibilità di riapertura degli spazi al pubblico dell’area museale e delle aree con esse connesse sono, a giudizio di chi scrive, condizionate all’esecuzione di improcrastinabili lavori di consolidamento da effettuare sulle travi portanti in acciaio». Se non si fanno quelli – e in fretta – niente più museo a piazza Bilotti perché mancherebbero le «condizioni di sicurezza secondo la vigente normativa».

    I bulloni serrati male

    Oltre ai difetti alle travi, ci sarebbero anche dei problemi col serraggio dei bulloni. Dalle verifiche di Sismlab emerge, infatti, «l’evidenza che alcuni elementi presentano dei valori di esercizio leggermente più bassi di quelli impostati per la verifica e intorno al 10-13 % in meno». Tant’è che «sulla base delle risultanze sperimentali appare evidente la necessità di eseguire un intervento di consolidamento sulle travi per poter riammettere all’esercizio le aree del museo. L’intervento ovviamente dovrà essere finalizzato a ripristinare i coefficienti di sicurezza delle travi in acciaio intervenendo sia sulle saldature che sulle parti di bullonatura per ripristinare su queste parti il corretto serraggio».

  • Caruso e Rende: divisi nelle liste, meno nelle idee

    Caruso e Rende: divisi nelle liste, meno nelle idee

    Il centrosinistra arriva diviso alla linea di partenza, ma con programmi non troppo diversi. Segno che a separare non sono le idee quanto una certa predisposizione ai personalismi. Franz Caruso e Bianca Rende dunque l’uno contro l’altra, suscitando l’ottimismo dell’altro Caruso, quello di Occhiuto.

    Quel che i due candidati vorrebbero fare della città è raccontato nelle loro proposte: stringate e sintetiche quelle di Rende, più dettagliate quelle dell’avvocato sostenuto dal Pd. Comprensibilmente non mancano punti coincidenti, come la preoccupazione per le condizioni della casse comunali, prosciugate dal dissesto firmato Occhiuto.

    Verità sul bilancio

    Per far fronte alla voragine che erediterà chiunque vada a sedersi sulla poltrona di sindaco, Bianca Rende propone di utilizzare «con correttezza e trasparenza» le risorse del Pnrr, mentre Caruso pensa anche a costruire un «percorso di verità sul dissesto», che spieghi ai cittadini come si sia arrivati al fallimento della città, «segnalando situazioni anomale agli organi competenti». Per entrambi i candidati la preoccupazione sembra essere quella di dire: se vinciamo e troviamo le casse saccheggiate, sappiate che non siamo stati noi.
    Un assillo del tutto comprensibile, perché le cose da fare per risanare la città sono parecchie, ma «gli effetti di questo dissesto sono e saranno sulle spalle dei cosentini per diversi anni».

    Più acqua nelle case

    Da dove partire? Per esempio da uno dei temi più urgentemente avvertiti dai cosentini: l’acqua. Per Rende e Caruso serve un nuovo servizio idrico. La candidata pensa a coinvolgere «i competenti dipartimenti dell’Unical per risolvere definitivamente la questione idrica cittadina». Caruso è più cauto e immagina tappe di avvicinamento alla soluzione, anche con un’App attraverso la quale i cittadini saranno avvisati «sulle variazioni della fornitura idrica». Sarà grande motivo di soddisfazione per i cosentini leggere sul proprio telefonino quando non potranno lavarsi. Ma, a parte ciò, l’idea forte è quella di dare vita a un “Servizio idrico integrato in Calabria”, mentre per adesso si tratterà di razionalizzare le risorse idriche, facendo in mondo che «nessun quartiere resti sfavorito rispetto ad altri».

    Welfare e rifiuti

    Grandi novità pure per i rifiuti. Per Bianca Rende infatti deve essere «ripensato il sistema di raccolta e riorganizzato attraverso sistemi innovativi e alternativi», visto che per la candidata la raccolta “porta a porta” ha fallito. Di opinione diversa è invece il candidato del Pd, per il quale quel metodo va proseguito, ma implementandolo con «isole ecologiche a scomparsa».

    Per due candidati che rivendicano radici riformiste, il welfare è terreno strategico. Il diritto alla casa e a una vita dignitosa, per esempio, questioni che la Rende vuole affrontare «partendo dal censimento del bisogno abitativo, di servizi socio sanitari… per corrispondere con progetti mirati», mentre per Caruso la risposta potrebbe giungere dal Recovery Found, per «incrementare la squadra e la struttura» dei servizi sociali.

    Dimenticare Occhiuto

    Per entrambi i candidati è necessario dimenticarsi della favola di Alarico e puntare su identità culturali autentiche, come «gli 800 anni della cattedrale di Cosenza», come suggerisce Bianca Rende. O sulla nascita di un «Ufficio dell’Immaginazione pubblica, per i giovani o le associazioni che hanno idee per Cosenza vecchia», promette Caruso, avanzando una proposta che però già nel nome, pare una cosa piuttosto effimera.

    Per il centrosinistra disunito sui nomi, ma coerente sulle idee, si tratta di far rivivere la città dopo dieci anni di governo Occhiuto. E di farlo partendo proprio dalle cose più care all’architetto sindaco uscente. Rende infatti pensa al «ripristino della viabilità su Viale Mancini e via Roma e al ridisegno – attraverso concorso di idee- di piazza Bilotti, dell’area ex Jolly e piazza Riforma». Caruso vorrebbe dare vita ad un “Ufficio per la vivibilità dei luoghi”, «con delega a ricevere tutte le segnalazioni che riguardano situazioni di degrado», mentre per rendere più alberata la città, saranno assunti «lavoratori verdi».

    Stesse parole, voci differenti

    Il tema rovente della sanità pubblica non manca. Il centrosinistra a guida Franz Caruso pensa ai fondi del Piano di risanamento di Draghi, grazie al quale annuncia potrebbero essere realizzate strutture sanitarie di prossimità, ben tre in città, mentre il nuovo ospedale verrebbe costruito a Vaglio Lise, capovolgendo le intenzioni dell’amministrazione uscente. E poi integrazione, solidarietà, digitalizzazione e commercio. Il centro sinistra dice le stesse parole, ma con due voci differenti.

  • Espropri à gogo, Caruso finge di non essere Occhiuto

    Espropri à gogo, Caruso finge di non essere Occhiuto

    Scrivere un programma elettorale può essere una fatica immane: deve essere breve, convincente e deve fare sognare. Il programma di Francesco Caruso potrebbe riuscirci: otto pagine di buoni propositi, il lessico è lo stesso che ha fatto il successo del sindaco uscente, parole come “rigenerazione urbana”, “città smart e green”, “decoro”. Quella che sembra mancare è la parola “continuità”, ma si percepisce sin da subito, per esempio nella promessa di realizzare «nuove piazze che nasceranno a Sud della città».

    Finalmente le periferie

    La prima preoccupazione che emerge dal programma di Caruso/Occhiuto è quella di smentire la convinzione diffusa di essersi in questi anni impegnati solo per il salotto buono della città. Ed ecco quindi sin da subito l’idea di dare vita a «veri e propri comitati di quartiere» nelle periferie. A questi comitati sarà delegato il compito di individuare gli obbiettivi che l’amministrazione dovrà raggiungere, come la definizione di un progetto denominato “Quartiere 2030”, «capace di offrire una nuova prospettiva di sviluppo alle periferie». L’obiettivo, non proprio inedito, è quello di fare una città policentrica, senza tuttavia spiegare dove trovare il denaro.

    Espropri ai privati

    Molto più lunga è la parte dedicata all’Agenda urbana, che vede la riqualificazione energetica di molti palazzi e la promessa di un impegno contro il disagio abitativo attraverso la riqualificazione di appartamenti nella città vecchia. Qui vale la pena di sottolineare il cambio di rotta annunciato da Caruso, che smentendo quanto sostenuto lungamente da Occhiuto, intende espropriare gli edifici privati e ristrutturarli.

    Dissesto, anche quello idrogeologico

    Tre sono le righe destinate al dissesto idrogeologico, con l’impegno di «mitigazione del rischio frane» in alcune aree della città, come per esempio nel centro storico, quindi c’è speranza che la strada che conduce a Porta piana, bloccata da una frana da parecchio, sia restituita ai cittadini. Tra le promesse non manca «l’adeguamento sismico, l’efficientamento e la rifunzionalizzazione della Biblioteca civica», patrimonio della città dimenticato e condannato a morte proprio dall’amministrazione uscente. I cittadini che si lamentano della spazzatura nelle strade possono stare tranquilli, visto che Caruso immagina di risolvere la questione anche grazie «all’incremento di uomini e mezzi per velocizzare la raccolta».

    I soldi sono finiti da un pezzo

    La nota dolente sono i soldi: quelli sono finiti da un pezzo. La causa è il dissesto, le cui responsabilità, secondo alcune sentenze, sono di Occhiuto. Caruso questo non può dirlo e quindi ci dice che in Calabria «l’80% degli enti locali è soggetto a procedure di dissesto», ma l’essere in questa compagnia non rallegra per nulla. Anche perché «con il Piano di riequilibrio – approvato dalla Corte dei conti – le aliquote dei tributi sono elevate al massimo». La sola soluzione possibile per uscire dall’abisso in cui la città è stata trascinata dall’amministrazione uscente «è quella di mettere in campo tutti gli strumenti per incassare i tributi» e solo dopo, forse, «pensare a una diminuzione della pressione tributaria».

    Vuole essere sindaco, dimenticando che è stato vice

    A pagare il prezzo di tutto ciò è il Welfare, verso il cui il candidato della destra dedica poche righe, senza spiegare coperture finanziare. Intanto Caruso è certo che Cosenza abbia «sperimentato una crescita economica esponenziale» grazie al «maniero di Federico II…al Planetario…e alle piazze monumentali come Piazza Bilotti».
    Restando all’economia, che in città è molto rappresentata dal commercio, coloro che sono impegnati in questo settore possono stare tranquilli, perché «il Comune stimolerà gli operatori verso l’individuazione di un proprio rappresentante di quartiere». A ben guardare il programma di Francesco Caruso sembra quello di uno che vuole fare il sindaco, dimenticando di aver già fatto il vice.

  • Amministrative Cosenza: il meglio, il peggio e il trash

    Amministrative Cosenza: il meglio, il peggio e il trash

    Cosenza non si smentisce mai: perde residenti in maniera vistosa, ma aumenta i propri candidati. Effetto senz’altro della balcanizzazione politica del post Occhiuto, che termina il suo ciclo come sindaco (ma, suggeriscono i bene informati, si prepara a fare il sindaco “di fatto” in qualità di vice di Francesco Caruso).

    Ma la frammentazione politica è solo una parte della spiegazione, perché i cosentini sono stati sempre generosi nel mettersi in lista: è, almeno, dai tempi di Perugini che la città di Telesio fa impazzire le statistiche grazie all’alto numero di candidati. Che nemmeno stavolta è smentito: 8 aspiranti sindaci a cui si collegano 29 liste per il totale mostruoso di 869 aspiranti consiglieri. I quali, spalmati su una popolazione residente di 65.209 unità generano un record non proprio trascurabile: un candidato ogni 75,0391 abitanti.

    Se si considera che la popolazione maggiorenne (almeno a livello anagrafico) supera di poco le 40mila unità, il rapporto cresce vistosamente (circa un aspirante consigliere ogni 50 abitanti e qualcosa).
    Un risultato simile, per fare paragoni su scala, non lo si raggiunge neppure a Roma, dove gli aspiranti sindaco sono 22 per un totale di 39 liste e 1.800 aspiranti consiglieri che, spalmati su una popolazione residente di 2.778.662, risultano uno ogni 1.543,701 abitanti.

    Anche la disordinata Napoli, al nostro confronto, sembra una caserma politica, perché gli aspiranti sindaco sono 7 per un totale di 160 aspiranti consiglieri su una popolazione residente di 938.507 unità.
    Per riprendere la battuta volgarissima di un ex consigliere comunale, i cosentini, almeno a livello politico, «hanno la candida». Già, ma in questo caso non è nulla di intimo, spesso inconfessabile e comunque fastidioso da curare: è una distorsione della vita pubblica che svaluta la democrazia perché polverizza il voto e gli toglie valore.

    I superpopulisti alla carica

    Una buona fetta di aspiranti consiglieri non coltiva ambizioni politiche di nessun tipo, neppure quella di acquisire qualche merito elettorale per bussare agli uffici “che contano” di Palazzo dei Bruzi.
    Al massimo, esprimono la rabbia, il disagio per il calo della qualità della vita nelle zone popolari e la delusione nei confronti dei vecchi referenti.
    Questo discorso riguarda senz’altro la stralarga parte dei seguaci di Francesco De Cicco e Francesco Civitelli.

    De Cicco tallona Francesco Caruso

    Forte di 6 liste per un totale di 192 candidati, De Cicco tallona da vicino Francesco Caruso. Ma una cosa è il numero degli aspiranti consiglieri, un’altra la possibilità di tradurre questo numero in un risultato elettorale temibile.
    L’ex assessore di Mario Occhiuto, infatti, ha pescato soprattutto nei quartieri popolari, grazie alla continua presenza (è stato l’assessore più a contatto diretto coi cittadini) e a un programma tutto cose, senza alcuna velleità “metropolitana” ma mirato a lenire i disagi pratici del cittadino comune. Lui è populista per definizione e vocazione e non sulla base del marketing politico.

    Coi suoi numeri danneggerà non poco gli avversari che, a destra e a sinistra, hanno finora colonizzato i quartieri popolari e rischia di essere determinante per il ballottaggio.
    Discorso simile per Civitelli, che con le sue 5 liste e 158 aspiranti consiglieri, è il terzo candidato sindaco per seguito. La vocazione populista e il radicamento nei quartieri è uguale a quella di De Cicco, ma l’esperienza politica minore. Potrebbe profittare dell’effetto sorpresa, fare numeri e giocarseli al ballottaggio anche lui.

    La sinistra di (non) governo

    Franz Caruso era partito con la quarta innestata, grazie all’appoggio esplicito di Nicola Adamo (che pesa più del cinquanta per cento del Pd cittadino) e di Luigi Incarnato, che comunque rappresenta i socialisti non di destra cosentini.
    Ai due, dopo qualche tentennamento iniziale, si è aggiunto Carlo Guccione, silurato alle Regionali ma ancora forte in città.

    Come tutti i motori lanciati con troppi giri, quello di Caruso ha picchiato in testa. Con il principe del Foro cosentino ci sono “solo” tre liste, sebbene ben curate.
    Curatissima quella del Pd, in cui figurano due sempreverdi della politica cosentina, cioè Damiano Covelli, protagonista di primo piano della vita amministrativa cittadina e legatissimo a Nicola Adamo, e Giuseppe Mazzuca, guccioniano di ferro e oppositore storico di Occhiuto.

    La Funaro capolista del Pd

    Anche la tradizione familiare ha il suo peso. Perciò non è un caso la presenza in lista di Maria Pia Funaro, già candidata dem alle scorse politiche e figlia di Ernesto Funaro, storico assessore regionale della vecchia Dc.
    La lista del sindaco presenta alcuni volti noti, tra cui quello di Chiara Penna, avvocata e criminologa molto presente sui media. Oltre ai volti, ci sono anche i nomi noti, in questo caso Giuseppe Ciacco, figlio di Antonio Ciacco, ex consigliere comunale di Cosenza e avvocato battagliero. Inoltre, c’è la consigliera uscente Maria Teresa De Marco.

    E ci sono altri due protagonisti della vita politica di Cosenza: Mimmo Frammartino, fresco di divorzio con Orlandino Greco, e Roberto Sacco, che ha trovato alla fine collocazione a sinistra. La sua candidatura mette la parola fine a un piccolo giallo: dato per candidato nella Lega (al riguardo, i bene informati riferiscono di un suo colloquio non troppo riservato con Spirlì alla Cittadella), il corpulento ex consigliere non sarebbe stato troppo gradito ad Occhiuto che avrebbe espresso il veto nei suoi confronti.
    Molto al femminile, invece, la lista del Psi, in cui Incarnato gioca il suo nome candidando sua figlia Giuseppina Rachele.

    Grillina e tansiana? Semplicemente Bianca

    Bianca Rende si è ribellata alle dinamiche del Pd e tenta la corsa da sola in nome del civismo. Tre liste al suo seguito, di cui la principale, Bianca Rende sindaca, piena di donne.
    Non sappiamo se la Rende riuscirà a correre, ma nel frattempo, balla, visto che con lei militano due maestri di danza: Paolo Gagliardi e il tansiano Patrizio Zicarelli.
    Inoltre, la presenza di Anna Fiertler è garanzia di un legame con una certa alta borghesia cittadina. Quella di Sandro Scalercio indica, invece, l’appoggio di alcuni movimenti civici, che sostengono contemporaneamente la candidatura dell’imprenditore Pietro Tarasi alla Regione.

    Ora, è vero che Tarasi corre con de Magistris. Ma è altrettanto vero che Tansi, il quale corre contro il sindaco di Napoli, appoggia la Rende. Lo fa come capolista della sua Tesoro di Calabria, con cui corre al fianco di Amalia Bruni alle Regionali in qualità di capolista in tutte e tre le circoscrizioni.
    Dedizione alla causa? Senz’altro. Ma non si andrebbe troppo lontani dal vero nel pensare che Tansi miri a entrare anche a Palazzo dei Bruzi.
    Altra conferma a fianco della pasionaria ex renziana, i Cinquestelle cosentini, che corrono con la Bruni in Regione.

    La corazzata di Caruso

    L’armata è temibile e, almeno in apparenza, vincente. Il centrodestra non ha lesinato mezzi per spingere Francesco Caruso alla vittoria.
    Col giovane ingegnere, fedelissimo di Mario Occhiuto, si sono schierati molti centometristi del voto, tra consiglieri uscenti in cerca di conferma, ex consiglieri che tentano di rientrare ed esponenti di primo piano della vita cittadina. Più il solito stuolo di amici e parenti.
    I suoi 252 aspiranti consiglieri, spalmati su otto liste promettono bei numeri e l’arrivo al ballottaggio in posizioni vantaggiose.

    La Lega da Bartolomeo a Karim Kaba

    La vera sorpresa, in questa coalizione, è la Lega, che è riuscita a compilare una propria lista dopo l’abbandono di Vincenzo Granata, fratello di Maximiliano Granata, il presidente del Consorzio Vallecrati.
    Nel partito di Salvini hanno trovato ospitalità alcuni volti noti (Francesco Del Giudice) e protagonisti dei dibattiti consiliari (Roberto Bartolomeo) che fanno buona compagnia ad altrettanti migranti, più o meno nazionalizzati, come Karim Kaba e Sodevi Bokkori.
    Fortissima la lista berlusconiana (Forza Cosenza), in cui hanno trovato posto altri protagonisti, come Giovanni Cipparrone, che completa con la militanza azzurra il suo percorso particolare, iniziato in Sel. O come Michelangelo Spataro e Luca Gervasi, fedelissimi di Occhiuto.

    L’immancabile Totonno ‘a Mmasciata e gli altri

    Non può proprio passare sotto silenzio la candidatura di Antonio Ruffolo, alias ’a Mmasciata, tanto silenzioso quanto votato. Un’altra fedelissima che milita in Fi è Alessandra De Rosa, ora nella Giunta dell’archistar.
    Molto forte anche la lista di Fratelli d’Italia, dove si è collocato il votatissimo Francesco Spadafora. Con lui, militano sotto le insegne di Meloni la ex assessora di Perugini, Francesca Lopez, il gentiliano Massimo Lo Gullo, Giuseppe D’Ippolito (fedelissimo di Orsomarso), la consigliera uscente Annalisa Apicella e, last but not least, Michele Arnoni, anche lui ex sodale di Orlandino Greco, che torna alla vecchia fiamma.

    Non è il solo Arnoni in corsa con Caruso. Infatti, l’altro Michele Arnoni (cugino e omonimo) è candidato in Coraggio Cosenza, la lista compilata da Vincenzo Granata per conto del governatore ligure Giovanni Toti. La Lega ha perso un rappresentante, ma Caruso ha guadagnato una lista.
    Consistente anche la lista dell’Udc, in cui corrono Enrico Morcavallo (eletto nel 2016 col Pd) e Salvatore Dionesalvi, anche lui ex assessore di Perugini.
    Confermato l’impegno dell’assessore regionale Gianluca Gallo, attraverso la lista La Cosenza che vuoi, in cui è sceso in campo il suo segretario Giovanni Iaquinta.

    Gli outsider

    Molto concreta la scesa in campo dell’ex big Udc Franco Pichierri, che schiera due liste, la nostalgica Democrazia cristiana (sì, si chiama proprio così) e Noi con l’Italia, con cui impegna a Cosenza il logo di Maurizio Lupi. Al suo seguito si candida Antonio Belmonte, altro protagonista dell’era Perugini eclissatosi negli ultimi dieci anni.
    L’allineamento di Pichierri al centrodestra durante il ballottaggio è quasi scontato.

    Candidature di pura testimonianza per l’ex ballerino Fabio Gallo e per il medico Valerio Formisani.
    Con Formisani, figura carismatica della sinistra radicale, si sono schierati, tra gli altri, il sindacalista Delio Di Blasi e l’ex militante di sinistra sinistra Graziella Secreti.
    Quasi a sorpresa l’ingresso di Gallo, ex ballerino ed esponente di primo piano dell’attivismo cattolico.

    Che il caos abbia inizio

    Ci aspetta circa un mese di comunicati, polemiche social, dibattiti e pareti tappezzate, il tutto in un prevedibile clima di caos. Non ci si può attendere altro dalla città con più candidati d’Italia.

  • Gentile e Occhiuto: c’eravamo tanto odiati

    Gentile e Occhiuto: c’eravamo tanto odiati

    “Le cose cambiano” è il titolo di un bel film di Mamet, perfettamente applicabile ai mutamenti della politica a queste latitudini. Nemici feroci, opportunisticamente alleati, sempre con i pugnali pronti. E’ la storia, per esempio dei fratelli Gentile ed Occhiuto, tra i quali è scorso molto sangue, ma oggi sono uniti dalla presenza di Katya Gentile, figlia di Pino, nella lista che sostiene Roberto Occhiuto, fratello del sindaco uscente di Cosenza.

    Gegè Caligiuri sceglie i Gentile per Forza Italia

    Ma la storia, i conflitti e le alleanze tra loro cominciano molto tempo fa, quando Berlusconi scende in campo e a Cosenza nasce il primo Club di Forza Italia. La sede è in un bell’appartamento del centro, con i soffitti affrescati, scelto da Gegè Caligiuri, uomo di Publitalia, mandato a guidare il partito in Calabria. Caligiuri non sceglie solo la location del partito, sceglie pure gli uomini e tra Roberto Occhiuto, allora giovane di belle speranze e i fratelli Gentile, sceglie questi ultimi. I fratelli sono già ex molte cose: ex socialisti, ex Psdi, ex repubblicani. Cercano casa e portano un considerevole pacchetto di consensi costruito pazientemente, si dice senza mai tradire una promessa fatta. Tra i Gentile e gli Occhiuto non c’è partita, i primi sono troppo forti e Roberto fa le valigie trovando ospitalità nello sguarnito Udc.

    Lo scontro alle provinciali del 2009

    Le due famiglie per anni si ignorano, pascolando in recinti elettorali contigui, ma diversi, ad un certo punto però giunge il momento dello scontro diretto: è il 2009, tempo di elezioni provinciali. I candidati sono tre: Mario Oliverio per il centrosinistra, Pino Gentile per Forza Italia e Roberto Occhiuto con l’Udc. Si capisce subito che il vero avversario di Roberto è Pino, quasi a cercare un modo per misurarsi nell’ambito della stessa alleanza di centrodestra. Curiosamente in quella occasione, al fianco di Occhiuto c’è una lista civica che si chiama “No al Federalismo leghista”, ma speriamo che Spirlì non faccia al riguardo ricerche su Google.

    Le due famiglie tornano ad incrociarsi alle elezioni comunali di Cosenza del 2011. La destra vuole conquistare la città fortino della sinistra e ci riesce candidando Mario Occhiuto che vince di un soffio. È sostenuto da uno schieramento parallelo a quello ufficiale ma trasversale, fatto di grumi del centrosinistra e dai Gentile. Questi ultimi otterranno il posto di vicesindaco affidato a Katya. Occhiuto, come un novello Frankenstein, si ribella presto ai suoi creatori – sostenitori e si libererà di loro. Anche di Katya, marginalizzata e poi defenestrata dopo una serie di atti chiaramente ostili.

    La guerra social di Katya Gentile

    Da allora è guerra. La figlia di Pino da quel momento diventa una pasdaran anti Occhiuto: non c’è giorno che sulla sua bacheca di Facebook non spari bordate contro il sindaco, svelando inciuci, affari, nefandezze.

    Mario non incassa senza replicare e in una occasione chiama mafiosi i Gentile. Sarà querelato, naturalmente, ma incredibilmente assolto. A parte questo, il padre e lo zio di Katya tacciono, sono troppo navigati per farsi prendere dall’emotività, sanno che le cose cambiano, come avverte Mamet e che presto arriverà il tempo della vendetta, oppure di una nuova alleanza e non si sbagliano.

    Dietrofront: un posto per Katya e Andrea Gentile

    Infatti il tempo arriva: Roberto Occhiuto si candida a guidare la Regione e in caso di vittoria cederebbe il posto in parlamento al figlio di Tonino Gentile, rimasto fuori alle passate elezioni, ma soprattutto ecco Katya nelle liste al fianco del fratello del lungamente detestato Mario. Gli improperi social saranno certamente perdonati in cambio di un consistente consenso legato alla storia della famiglia Gentile, che passa lo scettro da Pino alla figlia. In politica si fanno le capriole come al circo, perché le cose cambiano, ma le persone no.

  • Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

    Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

    La chiusura del calciomercato, decretata alle 20 di avantieri sera in un’epoca in cui il “tempio” del mercato pallonaro della penisola sembra essersi trasformato in un luogo asettico di camicie bianche e disperazione causa crisi economica, ha aperto subito l’era dei processi e dei giudizi per direttissima. In serie B, che poi è la categoria che ci riguarda da vicino, le più grosse testate nazionali e i bookmakers inglesi hanno messo il Cosenza calcio tra gli organici candidati alla retrocessione in C, mentre Crotone e Reggina pare possano dormire sonni tranquilli.

    Nulla di nuovo, verrebbe da dire, anche perché la lunga vicenda della riammissione (o ripescaggio, che ognuno, a seconda della propria coscienza, chiami questa cosa come gli pare) arrivata quando mezza cadetteria era già in ritiro da quasi un mese, ormai è cosa nota a tutti e non interessa più a nessuno. Eugenio Guarascio escluso, ovviamente.

    Goretti tenta il miracolo

    Interessa più che altro vedere cosa accadrà da adesso in avanti, tenendo conto che le premesse, restando sempre con i pensieri a ciò che accade in riva al Crati, sono realmente poco confortanti. Prima, però, se proprio un giudizio si vuole dare a qualcuno alla luce di quanto visto negli ultimi giorni nel capoluogo lombardo, non si può non pensare a Roberto Goretti, neo direttore sportivo, che in poco più di due settimane è riuscito a mettere in piedi quasi da zero, come nelle migliori tradizioni del calcio bruzio in salsa guarasciana, una rosa di calciatori.

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    Il nuovo ds del Cosenza, Roberto Goretti

    Il suo voto – e me ne assumo tutte le responsabilità – è alto, altissimo e non perché la squadra, piena zeppa di sconosciuti con l’aggiunta di Palmiero, Millico e pochi altri, a guardarla con la lente d’ingrandimento sia di grande qualità, ma per la pazienza e il sangue freddo con cui ha saputo gestire ogni minima trattativa sentendo, 24 ore su 24, il fiato sul collo del suo riconoscibilissimo datore di lavoro, per la prima volta in undici anni di presidenza rossoblù presente laddove si concludono gli affari.

    Costruirò una grande squadra

    Dichiarazioni di circostanza a parte, sarebbe interessante sapere cosa pensa davvero oggi, dopo i due giorni di Milano, il neo ds rossoblù dell’imprenditore ambientale. Ne aveva parlato bene nel giorno della sua conferenza stampa di presentazione, affidandosi, forse ingenuamente, alle frasi ad effetto dei suoi predecessori Meluso e Trinchera per rendere l’idea: «Prima di accettare Cosenza, li ho chiamati ed entrambi mi hanno parlato bene di Guarascio». Che mattacchioni.

    Da lì in poi, com’era prevedibile, il suo lavoro è stato una corsa contro il tempo e contro l’eccitazione che aveva prima della firma del contratto. È vero, si veniva da giorni di precarietà e di incertezza, tali da giustificare il ritardo nella costruzione della rosa, ma le esternazioni dell’assente presidente Guarascio lasciate in dono al sindaco Mario Occhiuto («mi ha detto che stavolta costruirà una grande squadra»), lasciavano intravedere, almeno in chi crede ancora a Babbo Natale, uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, o qualcosa che gli somigliasse.

    Alle tradizioni non si rinuncia

    Ma, in un batter d’occhio, tutto è tornato al suo posto. La partenza ad handicap è diventata un alibi e al “San Vito-Marulla”, dopo lo sballottato tecnico Zaffaroni, è piombato un manipolo di calciatori, quasi tutti più adatti alla C che alla B. Calciatori volenterosi che, senza batter ciglio, indossando la casacca dell’anno scorso (perché, pare che senza la certezza della categoria, non si potessero neanche avere delle divise nuove) hanno accettato come kamikaze giapponesi di giocarsi la pelle contro Fiorentina, Ascoli e Brescia.

    Il resto è storia recente, si aspettava almeno una punta da doppia cifra e invece non si è riusciti ad andare oltre il sogno Emmanuel Rivière. Il suo ritorno, sponsorizzato dallo stesso Guarascio, a un certo punto sembrava cosa fatta: «C’è l’accordo con il calciatore» – urlavano gli esperti di mercato – «Il Cosenza pagherà il suo ingaggio per intero»; «Il patron per lui è disposto a superare il budget abituale».

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    Emmanuel Rivière nella stagione in cui ha indossato la maglia del Cosenza

    Poi, però, non se n’è fatto più niente, più che altro perché oltre a dialogare amabilmente con il diretto interessato e col suo procuratore, sarebbe stato opportuno rivolgersi anche al Crotone, proprietario del suo cartellino. Invece, come dichiarato dalla stessa società pitagorica in uno strano ma eloquente comunicato stampa, nessun dirigente del Cosenza ha mai mostrato interesse per l’attaccante martinicano.

    A meno che, ma qui rischiamo di addentrarci in un territorio che ha a che fare più con il fantacalcio che con la realtà acquisita, lo stesso Cosenza non abbia deciso di attendere la rescissione del contratto del calciatore per ingaggiarlo da svincolato. Per ora, l’unica cosa da fare è raccontare i fatti, e i fatti dicono che l’attacco silano è un’incognita.

    Una marea di se

    Nonostante i pronostici abbiano già decretato la morte sportiva del team di Zaffaroni, è oggettivamente troppo presto per capire che fine farà questa squadra. Dal discorso potrebbero spuntare fuori una marea di se, come accade quando sei povero e sogni l’impossibile o scommetti tutto quello che hai sul cavallo più scarso per vincere di più. “Se” Rigione riuscirà a governare la difesa come faceva Dermaku, “se” Palmiero sarà quello di tre anni fa, “se” Millico non si farà male un giorno sì e l’altro pure come accaduto nella scorsa stagione, “se” Gori sarà il nuovo Margiotta e tanti altri di quei se che non basterebbe un altro articolo a contenerli tutti insieme.

    Però, a pensarci bene, forse non è questo che conta realmente. Alla fine, sul campo o fuori, si potrà anche raggiungere l’ennesima striminzita sopravvivenza, in grado di far respirare una città che di pallone vive e si nutre per dimenticare ciò che la circonda. Ma cosa resterebbe del Cosenza e della sua gente innamorata e rassegnata ormai al minimo sindacale? Come accade guardando passivamente il degrado in cui è caduta rovinosamente la città, negli occhi di tutti resterebbe il solito vuoto, telecomandato da chi, quell’entusiasmo potenziale, da 11 anni a questa parte lo tiene in pugno e non lo lascia esplodere a dovere.

    Niente scuse

    Il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, dopo le dure e meritate contestazioni dei mesi scorsi, ha deciso di chiudersi nel suo fortino di Lamezia. Non parla, non passeggia più su corso Mazzini col gelato in mano, è offeso duramente con l’intera città, non la stima neanche un po’ e non ha nessuna intenzione di abbandonarla. Non ha nessuna intenzione di chiederle scusa per i recenti danni emotivi e di immagine che le ha causato.

    Resta lì, sul suo trono, per un appalto e per un capriccio che continua ad arricchirlo mentre il popolo ai suoi piedi si impoverisce di speranza. Sa benissimo che per gestire come si deve una società di calcio professionistica, non basta un direttore sportivo coraggioso e competente. Sa bene che servirebbero anche un direttore generale, un settore giovanile all’avanguardia che lavori in collaborazione con altre società satellite, uno staff sanitario di prim’ordine. E poi, ancora, strutture attrezzate, un’area scouting di primo piano e una mentalità aperta. È consapevole che dovrebbe puntare con decisione sulla comunicazione, oggi più che mai fattore indispensabile per una azienda sportiva ad alti livelli.

    La fortuna durerà in eterno?

    Lo sa bene Guarascio, ma per lui non è importante. A lui basta avere un direttore sportivo senza grilli per la testa, affidargli ogni anno uno dei budget più bassi dell’intero panorama professionistico e pretendere che vada tutto bene. E può anche andare bene ogni tanto, perché no? Il direttore sportivo pesca nel mucchio (rigorosamente con la formula del prestito) una decina di ragazzini girovaghi alle prime armi (sconosciuti al mondo ma osannati dagli eternamente fiduciosi come se fossero dei Messi in rampa di lancio) e magari accade che un paio di questi, proprio quando giocano per te, beccano l’annata perfetta o si scoprono addirittura dei campioncini in grado di tenerti a galla. E tutti lì a dire: che bravo però il direttore sportivo, che fiuto il patron Guarascio.

    A volte funziona, a volte no. A volte si resiste e a volte si retrocede. Salvo poi cavarsela miracolosamente grazie a una pandemia che stravolge gli equilibri, grazie a un gol di Jallow al 91’ e a un fallimento improvviso di una squadra che ti riapre le porte di un torneo che avevi abbandonato con disonore.
    Tutto qui. Ormai si sa che è tutto qui. Ma oggi, 2 settembre 2021, a cosa serve ricordarlo? Oggi è tempo di rinnovati pronostici, di critiche ed applausi.
    C’è una squadra nuova da tifare e da contestare per dimenticare.

    Francesco Veltri

  • Lorica: impianti quasi pronti, ma si potrà sciare?

    Lorica: impianti quasi pronti, ma si potrà sciare?

    «Stiamo lavorando perché alla fine di ottobre i lavori relativi agli impianti di Lorica siano terminati», assicura Roberto Esposito, coadiutore giudiziario della Lorica Ski, tuttavia potrebbe accadere che non si possa lo stesso sciare e non per forza per mancanza di neve.

    Un progetto da 16 milioni

    La storia del progetto “Lorica Hamata in Sila Amena” è stata particolarmente tormentata. La Regione Calabria intendeva rilanciare il turismo invernale in un’area della Sila dove generalmente l’innevamento è più abbondante. E così aveva approvato il piano di rifacimento degli impianti di risalita, che erano parecchio vetusti. La somma stanziata, utilizzando i fondi comunitari, era cospicua: oltre 13 milioni di euro. Altri 3 milioni dovevano provenire dai privati che avrebbero successivamente gestito la struttura. Poi è giunta la tempesta giudiziaria.

    Interviene la Dda

    La Dda di Catanzaro a seguito di una indagine sequestra gli impianti. Poi, con l’operazione Lande desolate, procede agli arresti di Barbieri (lo stesso imprenditore che aveva realizzato piazza Bilotti a Cosenza) e di altri, ed indaga anche l’allora presidente della Regione, Oliverio. Il sogno di avere in Sila una struttura all’avanguardia, in grado forse di promuovere lo sviluppo di quell’area, svanisce.
    Il progetto riprende vita quando l’autorità giudiziaria autorizza la prosecuzione dei lavori, pur se il procedimento penale non è concluso. Di qui l’affidamento alla società Lorica Ski del completamento di quanto rimasto sospeso.

    Casali del Manco ha fretta

    A Casali del Manco, comune nel cui territorio ricade l’area interessata al progetto, sono fiduciosi. Sia il sindaco Stanislao Martire che l’ingegnere Ferruccio Celestino affermano di sperare di poter aprire al pubblico gli impianti, «perché manca poco». «E potremmo perfino partire – aggiungono – senza che siano pronti anche le attrezzature necessarie per produrre l’innevamento artificiale».

    In realtà a Casali del Manco si azzardano anche a guardare oltre. Sperano di poter presto avviare la realizzazione dell’altro grande progetto che vede la Sila protagonista, quello che consentirebbe il collegamento tra gli impianti di Lorica e quelli di Camigliatello. Ma sanno che per questo ci sono ancora mille difficoltà, visto che «mancano le autorizzazioni relative all’impatto ambientale e occorre verificare la copertura finanziaria».

    Ottimismo contro realismo

    A guardar bene, è probabile che sindaco e ingegnere pecchino di infondato ottimismo, la strada che conduce alla fine di questa storia pare ancora parecchio lunga. La Regione prevede che entro il 31 ottobre i lavori siano completati e per come si è pronunciato il coadiutore giudiziario, è possibile che questo avvenga. Si sta procedendo alla messa in sicurezza del rifugio a monte, alla revisione della sciovia e all’installazione dei cannoni spara neve, recuperando il ritardo imposto dall’emergenza Covid.

    Tuttavia sono ancora molte le cose da fare prima di consegnare ai turisti la nuova cabinovia e riguardano scelte amministrative e politiche. Intanto occorre procedere ai collaudi, ma soprattutto è necessario individuare il soggetto che gestirà la struttura. E i tempi sono molto stretti.

    Il nodo della gestione

    «I comuni non hanno alcuna competenza riguardo la gestione degli impianti – spiega ancora Esposito – quindi tocca alla Regione assumere una decisione a riguardo».
    Se i tempi relativi ai lavori saranno rispettati, la palla passerà alla Cittadella. Sarà lei a dover procedere ad un affidamento diretto della gestione della struttura, per esempio alle Ferrovie, oppure indire un avviso pubblico in grado di richiamare privati o, ancora, assumerne direttamente la conduzione.

    I tempi per tutto questo paiono ristretti, soprattutto perché la Lorica Ski ha presentato un protocollo in base al quale, una volta consegnati i lavori, si renderebbero immediatamente fruibili gli impianti, senza attendere i tempi infiniti della giustizia penale. Infatti la struttura è sul terreno demaniale e dunque del tutto estranea ai procedimenti giudiziari che ne hanno a lungo bloccato gli sviluppi.

    Questo protocollo è stato rapidamente recepito dal comune di Casali del Manco, mentre dalla Regione non è ancora arrivato nessun commento. Se da Catanzaro non dovesse giungere il consenso al protocollo, tutta l’urgenza impiegata per mettere in operatività gli impianti sarebbe vanificata. A riguardo oggi è intervenuto con una certa preoccupazione il consigliere leghista Pietro Molinaro, che in un comunicato sollecita la Giunta a prendere rapidamente posizione sulla vicenda e in generale ad attuare la Delibera “Santelli – progetto Sila”. Il leghista aveva già nel mese di giugno avanzato uguale richiesta, «ma senza ottenere alcun riscontro».

    L’annuncio dell’assessore

    Nel mese di marzo l’assessore Orsomarso era presente sul cantiere dei lavori. In quella occasione aveva assicurato che la Regione avrebbe chiesto il dissequestro della struttura e avviato quanto necessario per dare vita ad un bando per affidarne la gestione. E proprio ieri, sulla sua pagina Facebook, Orsomarso ha annunciato «che su Lorica forse abbiamo trovato la via d’uscita, lavorando proficuamente con amministratori giudiziari che hanno condiviso un percorso con i giudici, i comuni e la Regione». Una dichiarazione che, circa i destini di Lorica, sembra ancora piuttosto generica.

    Per gli impianti di Camigliatello anch’essi chiusi per motivi legati alla manutenzione dei cavi, sempre sui social Orsomarso ha annunciato novità. La Regione – si legge nel suo post – ha stanziato 3,8 milioni di euro, «perché l’Arsac aspettava da anni finanziamenti per la manutenzione ed autorizzazioni». La stagione invernale è in arrivo e occorre essere pronti. Altrimenti il paragone – piuttosto azzardato – con Cortina e Courmayeur, evocato dall’assessore regionale nel corso di una intervista rilasciata di recente proprio a Lorica, rischia di diventare meno di una barzelletta.

  • Afghani a Cosenza: adesso siamo salvi, familiari rimasti a Herat

    Afghani a Cosenza: adesso siamo salvi, familiari rimasti a Herat

    Dalla base italiana di Camp Arena ad Herat, fino a Cosenza, scappando dall’illusione di una vita di pace che minacciava di diventare un inferno. Gholam Hossain e Amir Ali, sono due interpreti del contingente italiano in Afghanistan che hanno dovuto lasciare il loro Paese con le loro famiglie, racchiudendo in pochi bagagli i frammenti di una vita che speravano fosse diversa e che invece l’arrivo tumultuoso dei talebani avrebbe cancellato del tutto.

    «Quando gli italiani si preparavano a smantellare la loro base, hanno chiesto a quanti in questi anni avevano collaborato con loro se volevano restare o andare via – racconta Amini – per noi non c’era scelta, dovevamo andare».

    Tre motivi per scappare

    I due sono hazari, sono sciiti e sono stati collaboratori degli occidentali, tre drammatiche ragioni per scappare, perché adesso esse corrispondono a tre condanne a morte. La loro esperienza con i militari italiani comincia 13 anni fa, quando il contingente di stanza ad Herat ha bisogno di interpreti e mediatori culturali. I due, che sono laureati in economia e in informatica, parlano bene l’inglese e hanno rapidamente imparato l’italiano, presentano il curriculum e vengono assunti.

    Munizioni ed armi per il militare italiano a destra, a sinistra l’interprete afghano
    Gli interpreti in giubbotto antiproiettile

    «Le nostre giornate di lavoro cominciavano alle otto di mattina e si concludevano alle sedici», dice Gholam Hossain andando indietro con la memoria e spiegando che il loro compito era di seguire l’addestramento delle forze afghane e trasferire informazioni e ordini dagli italiani ai loro connazionali. Si trattava di mediare tra due mondi diversi e lontani, di spiegare abitudini e culture e di farlo non solo stando al sicuro dentro i confini della base italiana, ma spesso seguendo le truppe in altre aree che erano pure affidate alla gestione dei nostri soldati, ma che erano ad alto rischio.

    Uno degli interpreti afghani che indossa un giubbotto antiproiettile, alle spalle militari con un cane specializzato nel ritrovamento di mine

    «Tra i caduti ci sono stati anche molti interpreti, perché lì la guerra non è mai davvero finita e non fa la differenza tra combattenti e non», dice con voce ferma Amini, che era abituato a passare disinvoltamente dalle pratiche d’ufficio all’ indossare un giubbotto antiproiettile seguendo a bordo dei gipponi i militari che quando arrivavano presso qualche sperduto villaggio avevano bisogno di una guida.

    Fratelli e genitori rimasti in Afghanistan

    Ora sono qui, a migliaia di chilometri da dove sono sempre stati, con mogli e figli, ma senza fratelli e genitori, per i quali sono assai preoccupati e con l’amara certezza che laggiù non torneranno più. Su questo i due si fanno poche illusioni, hanno conosciuto i talebani e sanno che questi in Afghanistan resteranno a lungo. Hanno il cuore lacerato come chiunque sia stato, per qualche ragione, costretto a lasciare le proprie radici, «perché per la nostra cultura la famiglia è tutto, noi passiamo tutta la vita assieme», ma a questo dolore si aggiunge il peso di un sogno svanito. Perché loro ci avevano creduto in un progetto di pace e democrazia, perfino forse di prosperità, «ma è stato come aver tentato di costruire una casa per venti lunghi anni e poi farla distruggere in pochi giorni».

    Restare in Afghanistan significava morire

    Quando è stata prospettata la necessità di scegliere, per i due non c’è stato molto a cui pensare, la decisone era nelle cose: restare significava morire, perché a noi occidentali sembra che tutto si sia consumato in una manciata di giorni, ma evidentemente tra chi invece era sul campo, era già forte la certezza dell’arrivo inarrestabile dei talebani. «E’ stato difficile decidere, ma non c’era alternativa», dicono quasi assieme, come per darsi reciprocamente una ragione ineluttabile per l’essere fuggiti da un destino crudele. E come sempre è la nostalgia a segnare il loro tempo, forse più ancora delle difficoltà materiali di chi vive da esule. La loro mente resta sempre ancorata ai luoghi e ancor di più alle persone lasciate indietro, che sono oggettivamente a rischio.

    Personale del contingente italiano e interpreti afghani in “missione” tra i banchi,
    La Kasbah a Cosenza provvede al loro sostentamento

    Il governo italiano ha scelto la loro destinazione, disperdendo in varie località il piccolo gruppo di collaboratori afghani che avevano affiancato i militari italiani. Ora sono affidati alle cure dell’associazione La Kasbah, che provvede al loro sostentamento e che, tra le altre cose, in questi giorni dovrà anche risolvere il problema dell’iscrizione delle loro bambine presso una scuola cittadina.

    Gli italiani avevano costruito scuole e ospedali

    Ma i problemi dell’oggi, per quanto assillanti e urgenti, ancora non riescono a prevalere sui ricordi e sui rimpianti. «Gli italiani avevano fatto molto, scuole, ospedali, ora è tutto perduto», dice scuotendo la testa Amir Ali  e pensando a quanti hanno perso la vita per quel progetto, «mentre i politici hanno rovinato tutto»

    Nati e cresciuti in guerra

    Il presente reclama un nuovo impegno e rinnovato coraggio, ripartire da zero, cercando presto, quando i documenti saranno a posto, un lavoro. «Vorremmo fare qualcosa legato alla nostra formazione, ma non ci facciamo illusioni», spiegano consapevoli della difficoltà della situazione, ma probabilmente per chi è venuto via da un luogo che non conosce la pace da oltre vent’anni, questo per adesso non è il problema più grande. I loro sforzi sono finalizzati alle loro famiglie, alle bambine in particolare, «perché noi siamo nati in guerra, siamo cresciuti in guerra e moriremo esuli», ma per i figli dovrà essere tutto diverso.