Eccoci, iniziato il valzer del ballottaggio a Cosenza. Scaduti i termini per gli apparentamenti. Nessuno ha raggiunto un accordo ufficiale.
La sfida a due ha ringalluzzito il candidato del centrodestra, Francesco Caruso. Che ha attaccato frontalmente il candidato del centrosinistra Franz Caruso.
Ma la domanda che tutti si pongono è: Cosa farà Francesco De Cicco?
De Cicco fa gola a tutti
I voti non sono pacchi postali. Una di quelle frasi retoriche che si sentono a tutte le latitudini. Un po’ tutti pensano che Francesco De Cicco abbia la possibilità di incidere molto sul suo elettorato. Forte anche dei molti voti in più presi rispetto alle liste. Sta ancora giocando ad alzare il tiro e il prezzo politico. Ha rotto ufficialmente con Occhiuto pur restandone assessore in Giunta. Però le sirene del centrodestra sono convincenti, soprattutto quando hai il presidente della Regione dalla tua parte. Su una cosa non dovrebbero esserci dubbi: tra le deleghe che chiederà De Cicco per militare da una parte o dall’altra non mancheranno – pur desiderando di essere vicesindaco – la solita Manutenzione, pure Welfare, centro storico e quartieri. Una nuova versione di Popilian Texas Ranger, come amava definirsi su Facebook qualche anno fa.
Tra democristiani ci si capisce
Sulla collocazione di Franco Pichierri non dovrebbero esserci dubbi. Tifoso del proporzionale e della alleanze a geometria variabile. In questa sfida per Palazzo dei Bruzi dovrebbe essere al fianco di Francesco Caruso. Le lodi a Roberto Occhiuto e le parole di apprezzamento per la vittoria alla Regione del capogruppo di Forza Italia alla Camera, non lasciano troppi dubbi.
Civitelli non ha scelto
Francesco Civitelli non è ancora pervenuto. Da qui a poco dovrebbe comunicare le sue intenzioni, al termine di una consultazione con i suoi candidati al consiglio comunale. Per sua stessa ammissione è stato il più manciniano dei candidati a sindaco in lizza. Un manifesto che ha agitato anche tante polemiche lo conferma. Se due più due fa quattro dovrebbe sostenere l’avvocato socialista Franz Caruso. Siamo sul terreno del condizionale. Ancora.
Sì, no, ancora sì. Formisani confuso
L’appoggio o non l’appoggio? Ma sì. La posizione di Valerio Formisani, il candidato a sindaco più a sinistra, è cambiata nel giro di pochi giorni. Dopo un iniziale possibilità di sostenere Franz Caruso, si era espresso polemicamente contro. Alla fine ha scelto di non favorire il candidato del centrodestra.
Rende e grillini con Franz
Finite le acredini del primo turno, il fronte del centrosinistra prova a compattarsi. Bianca Rende non parla di posti in giunta ma solo di programmi e progetti in comune con Franz Caruso. Si allinea pure il Movimento 5 stelle. Sul punto è intervenuto il deputato Massimo Misiti, che ha coordinato le campagne elettorali dei grillini in Calabria.
Franz convince l’ultracattolico Gallo
Senza esitazioni. Fabio Gallo, a capo del Movimento Noi, ha espresso un chiaro endorsement per Franz Caruso. Pur essendo un cattolico di orientamento centro-destra, ha deciso di sostenere il penalista.
La Lega dirama un comunicato stampa. Solo per dire: stiamo con Francesco Caruso al ballottaggio. Ma perché ribadirlo pur essendo già insieme al primo turno? Misteri del Carroccio.
Sulla carta resta confermata la previsione più facile, in base alla quale Francesco Caruso, il vicesindaco uscente, sarebbe arrivato al ballottaggio senza alcun problema: d’altronde la compilazione delle liste, effettuata col solo scopo di far incetta di voti e senza andar troppo per il sottile, non lasciava spazio al minimo dubbio.
Veniamo alla previsione un po’ meno facile: l’arrivo al ballottaggio di Franz Caruso, principe del foro dalla smodata passione socialista, sopravvissuto alla divisione del centrosinistra. Il primo ha preso il 37,4% dei voti, il secondo si è attestato sul 23,8%.
Franz Caruso (23,8%)
Francesco Caruso (37,4%)
Votati, ma non abbastanza
Non parliamo, va da sé, di una metropoli, ma di una cittadina in collasso demografico che ha un elettorato di circa 41mila abitanti su 67mila circa residenti. Cioè briciole. Che si rimpiccioliscono ancora, se si considera che ha votato il 68% virgola qualcosa degli aventi diritto.
In mezzo a loro, si agitano, in ordine di preferenze, l’ultrapopulista e iperpopolare Francesco De Cicco, assessore uscente dell’amministrazione Occhiuto, che col suo 13,9% ha superato Bianca Rende, dissidente altoborghese del centrosinistra cittadino che si è fermata al 12,8%.
Bianca Rende
Gli outsider
Seguono l’outsider di sinistra-sinistra Valerio Formisani (4,8%) e l’evergreen Dc Franco Pichierri (3,5%).
Questi ultimi quattro sono gli unici che possono vendere cara la pelle nel ballottaggio in corso (anche Pichierri a cui, tuttavia, non scatterebbe comunque il consigliere).
Dopo di loro, l’altro populista biturbo Francesco Civitelli, praticamente ex aequo con il catto-civico Fabio Gallo: 2%.
Fin qui, nessuna notizia degna di nota.
Fabio Gallo
La grande mattanza
Ciò che non ha fatto notizia a dovere è l’esagerato numero di candidati, quasi 900. Il che fa capire che alleanze e apparentamenti non sarebbero indolori comunque.
Prendiamo l’esempio di Annalisa Apicella, consigliera uscente di Fratelli d’Italia che ha preso, nella medesima lista, 483 voti. In caso di sconfitta di Francesco Caruso, la Apicella resterebbe fuori.
Annalisa Apicella (FdI)
Ma non è detto che sarebbe favorita da alleanze e apparentamenti: troppo forte la lista, in cui l’avvocata cosentina è schiacciata dai big delle preferenze e rischia di diventare “sacrificabile”.
Lo stesso discorso per Franz Caruso, che è costretto ad apparentarsi e allearsi più del suo avversario. Comunque vada, sarà un massacro di consiglieri.
I record
Con 1.172 voti, Francesco Spadafora, poliziotto di lungo corso e donnicese doc candidato in Fratelli d’Italia, è il consigliere comunale più votato. In assoluto: stavolta ha aumentato il record del 2016 (902 preferenze) e ha superato la ex vicesindaca Katya Gentile, risultata la consigliera più votata nel 2011(911 preferenze).
Spadafora ha fatto di più: ha trascinato in consiglio la esordiente Ivana Lucanto, che ha guadagnato, anche grazie a questo ticket, 845 voti.
Certi risultati non si improvvisano, ma sono il frutto di un impegno sul territorio di lunghissimo corso.
Francesco Spadafora si conferma per la seconda volta consecutivo il consigliere comunale più votato in città
Un discorso simile vale per Michelangelo Spataro, che coi suoi 527 voti è il secondo più votato di Forza Cosenza, e per Damiano Covelli, altro evergreen della politica cittadina che ha “salvato” il Pd con 532 voti, tallonato a breve distanza, nella stessa lista, da Maria Pia Funaro, che ne ha presi 498.
Maria Pia Funaro
Menzione d’onore
Ma il vero miracolo politico, per giunta di lungo corso, è Antonio Ruffolo, alias ’a Mmasciata, ’u Scienziatu e Lampadina.
Antonio Ruffolo
Ruffolo, che si è segnalato per il suo silenzio continuo in circa vent’anni di consiliatura (le sue dichiarazioni di voto sono sempre consistite in fonemi e alzate di braccio), è stato il più eletto in Forza Cosenza con 732 voti, ottenuti tra l’altro senza ticket.
E ci mancherebbe: questi consensi sono il frutto di pluriennali clientelismi di quartiere, tutti low cost, ma che richiedono un impegno 24h. Cioè, sostituire lampadine nei condomini, aiutare anziani a fare la spesa ecc. Se le cose stanno così, Ruffolo più che di una quota rosa, ha bisogno di un’assistente: certi voti si “lavorano”, eccome.
I trombati
La lista potrebbe essere lunga. Ma, in tanto casino, il primato spetta senz’altro a Carlo Tansi, che batte due record, anzi tre:è il neofita della politica più sconfitto in assoluto.
Primo record: la sua Tesoro Calabria, in coalizione con Bianca Rende, ha preso “solo” l’1,8% dei consensi.
Secondo record: nonostante la candidatura da capolista(imposta dal ruolo da leader e dall’ego) Tansi ha ottenuto 128voti ed è stato superato dall’architetto urbanista Maurizio Lupinacci, che ne ha presi 190.
Il geologo Carlo Tansi, leader del movimento “Tesoro di Calabria”
Terzo record: nonostante tre candidature in Consiglio regionale da capolista, il geologo-ricercatore del Cnr non è riuscito a prendere consensi neppure a Cosenza, dove pure aveva sfondato alle Regionali solo un anno e mezzo fa. Segno che il “suo” messaggio “rivoluzionario” non ha funzionato. D’altronde è poco credibile infilarsi due volte nel centrosinistra, sostenendovi due leadership d’élite (oltre alla Rende, quella di Amalia Bruni) e pretendere di “cambiare le cose dal basso”.
Franco Pichierri, storico esponente democristiano
Più sfumato il discorso per Franco Pichierri, la cui esclusione (salvi apparentamenti) sa di beffa, perché la sua mini-coalizione è riuscita a prendere il quorum senza ottenere un solo consigliere. Nessuno nega la sua bravura politica, maturata in una militanza quasi cinquantennale iniziata nella Dc (quella vera). Però è evidente che Pichierri è rimasto fregato dalla sua stessa abilità.
L’ago della bilancia
Per le sei liste dell’assessore uscente Francesco De Cicco vale il principio della mattanza: tantissimi candidati “immolati” alla elezione di un solo consigliere.
Eppure i mille e rotti voti di De Cicco, ottenuti nei quartieri popolari – in particolare via Popilia – hanno il sapore di una rivoluzione: per la prima volta, i voti di determinate zone hanno un valore autonomo, capace di influenzare o, peggio, di determinare scelte politiche.
Francesco De Cicco
L’ex assessore è diventato l’ago della bilancia a dispetto della sua inesistente cultura politica. E di sicuro in tanti “bussano” alla sua porta badando bene a non farsi scoprire o a non farsi scoprire troppo.
Il quadro complessivo
Difficile ipotizzare che Bianca Rende decida di appoggiare Francesco Caruso, perché in questo caso significherebbe andare con la Lega e Fdi. Un po’ troppo anche per il neocentrismo renziano a cui la Nostra sembra ispirarsi. Stesso discorso per Formisani e, in parte, Gallo.
Valerio Formisani
Viceversa, con altrettanta difficoltà Pichierri potrebbe schierarsi con Franz Caruso, dato che Noi con l’Italia (la sua lista “principale”) si è schierata con Roberto Occhiuto alla Regione.
Quindi, se non ci fosse De Cicco, i due schieramenti si equivarrebbero. Lui farà davvero la differenza e potrebbe trascinare con sé Civitelli che, da solo, è quasi ininfluente.
Francesco Civitelli
Un’altra voglia di civismo
Con troppa frettolosità si è detto che Fdi è il partito più votato, mentre “Franz Caruso sindaco” è la lista più votata.
In realtà, Fdi è “solo” una lista, piena di candidati che in realtà hanno poco a che spartire con la storia politica di Giorgia Meloni e di Fausto Orsomarso. Ed è lista come quella di Franz Caruso, che mescola volti noti (Mimmo Frammartino, che ha ottenuto 200 preferenze) e volti nuovi (la criminologa Chiara Penna, che ha ottenuto 165 voti).
Domenico Frammartino, presenza fissa in Consiglio – tranne nell’ultimo quinquennio – dagli anni ’80 ad oggi
Se l’avvocato Caruso la spuntasse, si ritroverebbe un seguito più personale che di partito, segno che a Cosenza i cittadini, specie a sinistra, hanno preferito l’impegno di persone senza tessera.
Diverso il discorso per i meloniani: dopo i tentativi di condizionamento di agosto, Orsomarso & co. hanno tentato il tutto per tutto, cioè una lista civica con uno stemma di partito.
Tra i litiganti Colla gode
La lista Coraggio Cosenza, com’è noto, è nata da una crisi della Lega, “mollata” da Vincenzo Granata alla vigilia delle elezioni. È altrettanto noto che, per tamponare il vuoto, lo stato maggiore del Carroccio ha chiesto aiuto a Simona Loizzo, la quale ha investito su un altro evergreen: Roberto Bartolomeo, arrivato primo coi suoi 219 voti.
Vincenzo Granata, passato dalla Lega al movimento di Toti e Brugnaro (foto Alfonso Bombini)
In Coraggio Cosenza, il record è toccato a Massimo Colla, che con 253 voti ha doppiato Granata. Secondo i maligni (e forse bene informati) Colla sarebbe stato aiutato a ottenere questo risultato anche dalla Loizzo, che gli avrebbe “spalmato” qualche consenso proprio per impedire che Granata esplodesse.
Per finire
Chi temeva di annoiarsi, può stare tranquillo: chiunque vinca, a Cosenza avremo un Consiglio comunale rissoso, chiacchierone (tranne Ruffolo) e a volte inconcludente.
Proprio come in passato, sebbene sia difficile battere i primati dell’era Perugini.
Comunque vada, sarà un casino.
Quattro morti e una donna gravemente ferita a Paola, in provincia di Cosenza. Le vittime hanno respirato le esalazioni tossiche del mosto in fermentazione. La tragedia si è consumata stamane in località San Miceli.
I nomi delle vittime
A perdere la vita sono stati Giacomo e Valerio Scofano rispettivamente di 70 e 50 anni e Santino e Massimo Carnevale, padre e figlio di 70 e 40 anni. Pare che dopo il decesso della prima persona giunta nella vasca, gli altri tre – nel tentativo di salvarle la vita – sarebbero intervenuti. Nemmeno per loro c’è stato scampo. La donna è stata trasportata in elicottero all’ospedale di Cosenza. Tutti erano appartenenti allo stesso nucleo familiare e vivevano nel vicino centro di Fuscaldo.
Le probabili cause del decesso
Tre persone sono state trovate all’interno della vasca mentre una quarta era posizionata quasi all’esterno del locale forse nel tentativo estremo di uscire.
La morte dei quattro sarebbe sopravvenuta a causa della mancanza di ossigeno all’interno del locale.
il procuratore Bruni: locale non arieggiato bene
«Il locale in cui le quattro vittime stavano preparando il vino non era sufficientemente arieggiato». È quanto ha riferito all’Ansa il procuratore della Repubblica di Paola, Pierpaolo Bruni. Le vittime si trovavano in un magazzino di loro proprietà. I loro corpi sono stati trovati dai vigili del fuoco dei distaccamenti di Paola e Rende. La Procura di Paola ha avviato un’inchiesta su quanto é accaduto. Sul posto si é recato il sostituto procuratore Antonio Lepre. Le indagini sono condotte dai carabinieri della Compagnia di Paola.
Con l’inverno, cambiamenti climatici permettendo, arriverà nuovamente la neve sulle montagne della Sila. Ma se avete in un ripostiglio un paio di sci è possibile che anche quest’anno debbano restare lì a prendere polvere.
Il motivo è che l’apertura degli impianti di risalita di Camigliatello e Lorica resta ancora assai incerta e ormai la stagione invernale incombe.
Lorica e il nodo del gestore
Come si ricorderà il destino sciistico di Lorica è stato segnato dall’incursione della Dda, che sequestrò gli impianti mandando in fumo i sogni turistici del comprensorio per i quali si prevedevano 13 milioni di euro di investimenti. Successivamente l’autorità giudiziaria autorizza la prosecuzione dei lavori, che prontamente riprendono e sono ormai prossimi alla conclusione.
Il passaggio più importante deve però ancora essere formalizzato. È l’approvazione di un protocollo tra le parti interessate: la ditta che ha realizzato i lavori in Sila, il comune di Casali del Manco, nel cui territorio ricade l’area, e la Regione Calabria. Da questa intesa deve emergere il soggetto che gestirà gli impianti. La Regione, infatti, deve decidere se assumerne direttamente la conduzione, indire un avviso pubblico oppure procedere ad un affidamento diretto.
Nessuna risposta
«Stiamo inviando continuamente Pec alla Regione, sollecitando l’approvazione dell’intesa – ci racconta Roberto Esposito, coadiutore giudiziario della Lorica Ski – ma ancora non abbiamo ricevuto alcuna risposta». Al contrario, il comune di Casali del Manco ha rapidamente recepito la proposta di intesa della Lorica Ski, aderendo all’idea per sfruttare la stagione sciistica.
Il nodo sta nel fatto che, pur finendo in tempi brevi i lavori, la ditta non saprebbe a chi consegnare “le chiavi” dell’impianto. E senza l’indicazione istituzionale di un gestore ogni sforzo verrebbe vanificato. A questo si aggiunga l’urgenza dettata dai tempi. Prima che gli impianti diventino concretamente fruibili da sciatori e turisti, è necessario provvedere ai collaudi che precedono ogni inaugurazione. E anch’essi esigono tempi ben precisi.
Fausto Orsomarso, assessore regionale al Turismo
A riguardo l’assessore Orsomarso replica non senza una certa irritazione, rivendicando di essere stato lui uno dei protagonisti dell’individuazione del percorso che ha portato al dissequestro degli impianti e alla ripresa dei lavori in Sila «grazie alla proficua collaborazione di tutte le parti, gli amministratori di Casali del Manco e i vertici di Lorica Ski», affermando quindi che la Regione la sua parte l’ha fatta tutta. Se i protagonisti di questa vicenda non parleranno la stessa lingua, quindi, gli appassionati potranno guardare la neve cadere ma senza sciarci sopra.
Niente soldi a Camigliatello
Per Camigliatello la situazione è diversa, ma non meno ingarbugliata. La struttura che consente di salire in quota sulle piste deve essere sottoposta alla verifica ventennale e per farlo serve denaro. E non poco. Sempre Orsomarso nei mesi passati aveva annunciato sui social che la Regione aveva stanziato 3,8 milioni di euro «perché l’Arsac aspettava da anni finanziamenti per la manutenzione ed autorizzazioni».
Il problema pareva risolto, ma per nulla disposti ad indulgere all’ottimismo invece sono all’Arsac. Carlo Monaco, responsabile amministrativo degli impianti a fune di Camigliatello, dice che ad oggi di quei soldi non c’è traccia. «Al momento siamo fermi e dobbiamo realizzare il collaudo ventennale, per il quale servono risorse. La Regione le ha promesse, ma concretamente qui non è arrivato nulla», racconta con disincanto Monaco.
Tempi lunghi e/o prestiti
Anche su questo aspetto Orsomarso cerca di fare chiarezza, spiegando che il denaro è stato stanziato, ma essendo stato spostato da un capitolo di spesa ad un altro, è necessario rimodulare la formulazione del finanziamento presso la Corte dei conti. I tempi previsti potrebbero estendersi fino ad ottobre inoltrato. Poi ci sono quelli richiesti per i lavori di collaudo, insomma molti mesi.
Ma Orsomarso ha una soluzione: «L’Arsac con in mano la delibera può andare presso un istituto di credito e farsi prestare i soldi, così da procedere rapidamente ai lavori necessari». Per il futuro, secondo l’attuale assessore regionale al Turismo la gestione degli impianti dovrebbe essere assegnata alle competenze dei Trasporti, salvaguardando le professionalità che intanto sono state formate.
Tra Pec cui non c’è risposta e risorse economiche che sono solo sulla carta, anche questo inverno la neve rischia di cadere invano. Almeno per chi vorrebbe sciare in Sila.
E se un ballottaggio viene fuori, allora «con grande sofferenza» Franco Pichierri potrebbe stare pure con la Lega. Intendiamoci, la Lega di Giorgetti non quella di Salvini. Pichierri è il candidato a sindaco più centrista e moderato di queste elezioni comunali di Cosenza. Scuola Dc e Prima Repubblica. Anche nel linguaggio utilizzato si capisce che la sua cassetta degli attrezzi non è quella di una politica urlata. Con lui due liste: proprio la Democrazia Cristiana e Noi con l’Italia, il movimento che fa capo a Maurizio Lupi.
Pichierri è un fan del proporzionale spinto. Lo dice espressamente: «Il problema del Paese è la legge elettorale». Che, a suo, avviso non consente a chi ha una storia come la sua alle spalle, di trovare uno spazio adeguato di agibilità politica.
Con una parte del Pd l’accordo per le elezioni comunali di Cosenza era possibile. Valerio Formisani, il candidato a sindaco più a sinistra di Cosenza, torna su una questione che ha animato il dibattito politico degli ultimi mesi prima del voto. Tutto comincia con il tavolo Miccoli, l’ex commissario provinciale del Pd di Cosenza. Si dimette e torna a Roma.
Miccoli va via e arriva Francesco Boccia a mettere mano alla complicata matassa cosentina e calabrese. Cambiano gli equilibri e tutto il Pd si arrocca sul socialista Franz Caruso. Si interrompe il dialogo con le altre forze del centrosinistra e della sinistra come Formisani. Bianca Rende, ex Pd e Italia Viva, corre da sola. Dopo un iniziale accenno di intesa con Formisani, anche questo percorso si interrompe.
Il Movimento Noi sarà con Lega di Giorgetti. Lo ha detto espressamente Fabio Gallo, leader della formazione ultracattolica e candidato a sindaco per le prossime elezioni comunali di Cosenza. La genesi di Noi è – per bocca del suo stesso fondatore – sturziana. Sulla scia di quella Dc, guardando a destra. Quindi adesso diventa centrodestra.
Fabio Gallo ci tiene a precisare che non ha mai avuto intenzione di militare nelle file di quello che lui definisce «questo centrodestra», cioè quello dei quadri locali di Forza Italia e Lega. In particolare il Movimento Noi ha espresso, nel corso del tempo, parole dure nei confronti dell’amministrazione comunale guidata da Mario Occhiuto. Ma le forze politiche sono in fermento e i cambiamenti all’orizzonte. E la grande coperta del centrodestra può fornire riparo e ristoro a tutti.
Le parole di apertura di Fabio Gallo verso la Lega e il centrodestra possono essere lette pure in chiave ballottaggio a Cosenza. Se dovesse arrivarci Francesco Caruso, può riconoscere in Gallo un interlocutore che si è già prenotato.
Tutti si sentono eredi di Giacomo Mancini. E addirittura c’è chi lo scrive sui manifesti. Una delle storie più divertenti che animano la campagna elettorale per le comunali a Cosenza è quella di Francesco Civitelli, candidato a sindaco di Cosenza. Ha tappezzato la città con i suo manifesti, dove compare la sua immagine e quella del leone socialista. E un testo che non richiede troppe interpretazioni: “Il mio nome, le tue idee”.
Apriti cielo. Coro di indignazione per lesa maestà da parte della intellighenzia socialista cosentina. Sul punto è intervenuto pure il nipote di Giacomo Mancini, rivendicando l’eredità politica, a suo dire, indebitamente sottratta da tanti, compreso il Civitelli.
Civitelli viene da una famiglia di sinistra, ma adesso ritiene opportuno superare la politica delle contrapposizioni tra partiti per un civismo popolare. Alle Regionali manifesta il suo sostegno a Luigi de Magistris. A suo avviso osteggiato anche dal centrosinistra che farebbe parte del sistema.
In merito alla affermazioni di Giacomo Mancini jr sui suoi manifesti elettorali Civitelli ha espresso parole dure. Senza sconti e senza briglie.
Per ora pensa alle imminenti elezioni comunali di Cosenza. Per ora. Però qualcosa vorrà pur dire il pieno sostegno del leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, a Bianca Rende. L’ex presidente del consiglio dei ministri, accolto dalla folla cosentina, ha pronunciato il suo endorsement alcuni giorni fa: «Con lei ci metto la firma».
Del resto tra moderati ci si capisce. L’unica candidata a sindaco donna nelle amministrative di Cosenza è cresciuta a pane e Dc prima, poi un passaggio col Pd per finire con Italia Viva di Renzi. Una superenziana pentita battezzata sul palco da Conte. Sembra una commedia degli equivoci. Non lo è.
Il Movimento 5 stelle di Cosenza ha presentato una lista a sostegno di Bianca Rende soprattutto grazie all’azione della parlamentare pentastellata Anna Laura Orrico, che è una socia diWhat Women Want, l’associazione di cui la Rende è co-fondatrice. Il grillismo del 2021 assume per volontà di Conte connotati più riformisti e centristi. C’è spazio in entrata.
La Rende sa che dovrà uscire fuori da questo limbo senza patria prima o poi, scegliendo un partito o un movimento. Adesso si limita a citare e seguire esempi illustri di civismo: Sala e Pisapia. Un «civismo di sinistra», non quello di «destra alla Marcello Manna» – puntualizza quando le si chiede un raffronto tra il suo progetto politico e quello dell’avvocato al governo sull’altra sponda del Campagnano. Chissà cosa ne pensano i militanti del Laboratorio civico del sindaco di Rende?
C’è un aspetto particolare delle vicende della ex Legnochimica, finora non preso in considerazione dagli inquirenti: i malati e i morti di tumore.
Non poteva essere altrimenti per più ragioni. Innanzitutto, la tardiva istituzione, qui in Calabria, dei registri tumori, gli unici strumenti da cui è possibile estrarre statistiche e dati apprezzabili. E, magari, ricavare indizi e prove.
In seconda battuta, ha pesato non poco l’evoluzione delle normative sull’ambiente. Per capirci, fino all’85, l’anno in cui fu approvata la legge Galasso, il concetto di ambiente quasi non era definito a livello normativo. E, fino al 2015, anno in cui è stato codificato il reato di disastro ambientale, non esisteva una regolamentazione penale precisa e coerente sui danni all’ambiente. Tradotto in parole povere, molti comportamenti scorretti e dannosi, sono stati sanzionati solo a partire dalla seconda metà degli anni ’80. Prima, chi ha potuto ha fatto danni in relativa tranquillità e con la coscienza a posto: la legge lo permetteva.
Questo è un capitolo quasi non scritto della storia industriale italiana, che vale anche per Legnochimica, un’azienda piemontese specializzata nella produzione di pannelli in ledorex, che svolse il grosso della propria attività a Rende dai primi anni ’70 all’inizio del millennio.
Difficile attribuire in maniera incontrovertibile i quasi settanta tumori, verificatisi tra gli ex dipendenti dell’azienda e gli abitanti delle zone adiacenti, alle attività industriali della fabbrica di legname per mobili. Soprattutto, questa attribuzione potrebbe non avere un’efficacia legale forte: cioè non darebbe luogo a incriminazioni e risarcimenti.
E allora, perché raccontare questa storia? Perché i malati e i morti ci sono ed è doveroso seminare almeno dei dubbi.
I numeri crudi
Focalizziamoci sulla zona: attorno a ciò che resta della ex Legnochimica, che fino al 2006 è stata il cuore pulsante della zona industriale di Rende, ci sono via Settimo e Cancello Magdalone, due aree discretamente popolate (poco più di cinquecento abitanti).
Chi ci vive fa i conti tutti i giorni con il puzzo terribile che emana dai tre laghi artificiali superstiti e dalle scorie dello stabilimento, che finché funzionò diede lavoro a centinaia di persone. Ma piange anche le morti dei propri cari o soffre per le loro malattie.
I malati di tumore accertati fino al 2016 sono sedici. A questi si devono aggiungere altri dodici casi, avvenuti negli ultimi cinque anni. La conta macabra non finisce qui, perché si contano circa quaranta casi, molti dei quali mortali, tra gli ex dipendenti.
Il dato più impressionante resta quello degli abitanti dell’area: via Settimo “cinge” letteralmente l’ex stabilimento e Cancello Magdalone ne dista poco meno di un chilometro in linea d’aria.
Le testimonianze
Tra le ultime ad andarsene, c’è Ada Occhiuto, un’anziana contadina (78 anni) scomparsa a fine 2016 per un tumore ai polmoni. «Io non ho mai fumato», aveva raccontato prima di morire, né il suo tumore poteva essere riconducibile ad altro. Ma nei suoi ricordi c’è una suggestione forte: «Abbiamo sempre vissuto qui, io e i miei familiari. Anzi, parte dei terreni su cui sorse Legnochimica erano di nostra proprietà». Nel suo caso, c’è “solo” la vicinanza all’area sospetta. Che non è poco.
Adriana Ranieri, che abita a Cancello Magdalone, lotta da anni con due tumori al seno piuttosto invasivi, che l’hanno costretta a una mastectomia e a più sedute di chemio. Il tumore al seno può legare poco con l’inquinamento industriale? Forse.
Ma può assumere un altro significato se lo si inserisce come si deve in una casistica ben fatta. A via Settimo, invece, abitava Eva Iorio, scomparsa nel 2013 per un tumore al Pancreas. Eva era vicina di casa d un’altra Adriana Ranieri.
Il caso di quest’ultima è particolare: nel 2008 ha perso suo marito, Luigi Marchese, fulminato in due mesi da un tumore al pancreas, dopo aver perso suo padre, Umberto Ranieri, ucciso da un tumore alla vescica nel lontano ’99. Un’ulteriore testimonianza importante è quella di Immacolata Greco, anche lei residente a via Settimo, che ha perso suo marito Francesco Amato, che se n’è andato a fine novembre 2008 per un altro tumore al pancreas.
Incidenza sospetta
Questi casi, che abbiamo ricostruito attraverso le testimonianze dirette e le cartelle cliniche, hanno due tratti inquietanti: sono tutti tumori alle parti molli e tre di essi riguardano il pancreas. In altre parole, sono neoplasie compatibili con l’inquinamento industriale. In particolare, dà nell’occhio il numero di tumori al pancreas, che arriva a cinque. Un numero piuttosto alto per una patologia rara e sin troppo vistoso per il fatto che si è verificato nella stessa zona.
Al riguardo, risulta incisiva la testimonianza di Carolina Niglio, medico di famiglia che ha diagnosticato vari di questi casi: «Ne certificai tre in meno di sei anni e quest’incidenza mi apparve sospetta, tant’è che ne informai il mio caposervizio». Con pochi risultati: era la fine degli anni ’10 e mancava il registro tumori. Che non è risolutivo neppure oggi, visto che è stato istituito nel 2015 ed è aggiornato al 2010.
Per quel che riguarda gli altri casi, l’incidenza alle parti molli resta impressionante: ci sono un tumore all’intestino e almeno otto al polmone, non riconducibili al tabagismo.
Gli ex lavoratori
Un indizio in più proviene da Umberto Ranieri, di cui si è già parlato. Umberto, tra le varie, è stato dipendente dell’ex stabilimento.
Proprio tra gli ex lavoratori il tumore ha imperversato alla grande, con circa quaranta casi. Inoltre, la loro vicenda ha un appiglio giudiziario, per quanto minimo: la Corte di Cassazione ha certificato, nel 2014, la presenza di attività ed elementi inquinanti nell’ex stabilimento, a partire dai capannoni in eternit, smaltiti nella seconda metà degli anni ’10, per finire all’uso di resine e solventi industriali, scaricati tutti nelle vasche di decantazione (i famigerati laghetti artificiali) e, da lì, penetrati nel suolo e nelle falde a grande profondità, come ha certificato lo studio redatto dal geologo e accademico Gino Mirocle Crisci, ex rettore dell’Unical e perito della Procura di Cosenza nell’inchiesta sulla ex Legnochimica.
Un’ultima testimonianza importante è quella di Antonio Stellato, arzillo ex caldaista di Legnochimica, che ha lavorato per l’azienda dal ’69 alla sua chiusura.
Stellato, autore di molte denunce pubbliche assieme all’associazione Crocevia e al comitato Romore, ha raccontato più volte alcuni aspetti non proprio edificanti dell’attività dell’ex stabilimento. «Fino agli anni ’80 sversavamo i rifiuti della lavorazione direttamente nel Crati. Ma continuammo a farlo anche dopo» e a dispetto della normativa, nel frattempo approvata.
Come? «Li mettevamo nelle vasche ma poi, nottetempo, aprivamo i canali di collegamento che comunque finivano nel Crati».
E gli ex dipendenti? «Circa una quarantina di loro si sono ammalati in maniera grave e molti non ci sono più». Anche in questi casi le cartelle cliniche sono agghiaccianti: tumori alle parti molli, che hanno cancellato persone in pochi mesi e flagellano i sopravvissuti.
Un messaggio per il futuro
Il numero complessivo di malati e morti, circa sessantotto, è piuttosto alto. Specie per una Regione come la Calabria, che ha sempre avuto un livello di industrializzazione piuttosto basso.
Al netto delle statistiche, resta un bisogno di verità, invocata a gran voce dai residenti, dai familiari delle vittime e dalle associazioni ambientaliste.
Se questa verità dovesse arrivare, sarebbe l’ennesimo paragrafo della parte oscura dello sviluppo industriale, quella in cui si racconta di come, per decenni si siano barattate la salute e la sicurezza con lo sviluppo e col lavoro.
Un racconto a futura memoria che, in quanto tale, non può essere inutile.
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