Tag: cosenza

  • Oncomed, chi ha paura del medico buono?

    Oncomed, chi ha paura del medico buono?

    Realizzare dal nulla un progetto di solidarietà in un contesto di disagio sociale e senza avere risorse è un’opera ciclopica. Ma è necessaria se lo scopo è la difesa della salute, dove la disuguaglianza fa la differenza tra il curarsi e il non poterlo fare. In questa trincea lavora da anni Oncomed, una realtà di sostegno sociale volontario per la prevenzione e la cura delle patologie oncologiche.
    Oggi questa associazione è in affanno, malgrado attorno ad essa sia cresciuto il sostegno di medici e cittadini. «A causa dell’incomprensibile ostilità di qualcuno è assai probabile che saremo costretti a trasferirci», spiega Francesca Caruso, che di Oncomed è stata l’ideatrice e ancora oggi ne è una delle anime.

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    Francesca Caruso

    La nascita di Oncomed

    «Tutto nasce a seguito di esperienze personali, che mi spinsero a proporre ad Antonio Caputo l’idea di dare vita a uno spazio di prevenzione delle malattie tumorali». Caputo, medico oncologo, evidentemente vide in quella proposta un progetto difficile da realizzare, ma necessario e quell’idea divenne anche sua. Altri medici condivisero presto quel progetto e offrirono le loro competenze gratuitamente. Enzo Paolini, a sua volta, diede in uso degli spazi nella città vecchia per realizzare gli ambulatori.
    «All’inizio mancava tutto, niente attrezzature, nulla di nulla, poi con le donazioni e con il lavoro volontario dei medici, abbiamo dato vita a questa realtà», racconta ancora Francesca Caruso.

    I tempi cambiano

    Nasceva così uno spazio dove i cittadini con minori possibilità economiche e che certamente non avrebbero potuto aggirare le lunghe liste d’attesa dalla sanità pubblica rivolgendosi a quella privata, avrebbero trovato interlocutori competenti per visite specialistiche gratuite. Gli ambulatori di Oncomed diventano presto la trincea per chi ha urgenza di diagnosi sicure ma deve fare i conti con le molte facce della povertà, anche quella silente che in questi anni sta divorando quelli che una volta erano i ceti medi. In questo i tempi del Covid hanno lasciato il segno, facendo spesso arretrare chi prima poteva contare su una relativa sicurezza economica, allargando le fasce di povertà. «I pazienti sono cambiati, oggi si rivolgono a noi anche persone apparentemente insospettabili», racconta Caruso.

    La banca della parrucca

    Ma se la platea del bisogno si è allargata, anche la pattuglia dei medici è cresciuta. Oggi Oncomed è in grado di offrire percorsi diagnostici diversificati e grazie ai medici che gravitano attorno al progetto, fare rete e costruire pure indicazioni terapeutiche.
    Questa realtà da qualche tempo ha avuto il riconoscimento anche di Carlo Capalbo, primario di Oncologia del Mariano Santo. Presso il reparto guidato dal medico calabrese che ha lasciato Roma, dov’era professore associato alla Sapienza con incarichi di alta specializzazione all’ospedale Sant’Andrea, per cogliere la sfida della nuova facoltà di Medicina dell’Unical, l’associazione Oncomed ha aperto uno spazio di accoglienza per i malati e le famiglie e ha avviato la “banca della parrucca”, dove le pazienti potranno avere parrucche in comodato d’uso.

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    L’oncologo Carlo Capalbo

    Oncomed tra minacce e silenzi

    Malgrado tutto questo e il ruolo di sostegno alla cittadinanza che questa associazione svolge da tempo, nel quartiere in cui sono ospitati gli spazi dell’ambulatorio, cioè nel cuore del centro storico, qualcuno non gradisce la presenza dei volontari. Da qui l’accanirsi con dispetti, danneggiamenti o qualche minaccia, che presto indurrà gli animatori dell’ambulatorio medico a cercare altrove una nuova sistemazione.

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    La sede nel centro storico

    «Siamo oggettivamente in difficoltà, trovare nuovi spazi e le risorse per pagare il fitto non è facile, né vorremo abbandonare la città vecchia», conclude Francesca Caruso, ricordando che all’associazione non è giunta alcuna parola dalle istituzioni, se non contatti informali. Un silenzio colpevole, soprattutto quello del Comune, che forse potrebbe trovare spazi dignitosi da affidare a chi è impegnato nella prevenzione e nella difesa della salute dei cittadini.

  • Sguardi a Sud… dell’Irlanda: le note di Corsi conquistano Mendicino

    Sguardi a Sud… dell’Irlanda: le note di Corsi conquistano Mendicino

    Il concerto Saint Patrick Harp – Concerto per Arpa Celtica e Armonica del celebre musicista Stefano Corsi, tenutosi presso il Teatro comunale di Mendicino, ha trasportato gli spettatori in un viaggio attraverso le terre leggendarie d’Irlanda durante le celebrazioni di San Patrizio.
    Promosso dalla compagnia Porta Cenere con la direzione artistica di Mario Massaro, lo spettacolo rientrava nel ricco calendario della sesta edizione di Sguardi a Sud come evento fuori programma, confermando ancora una volta la volontà di abbracciare una visione artistica multidisciplinare.

    Mendicino come l’Irlanda

    Nel settore del teatro di prosa, il pubblico di Sguardi a Sud ha già avuto l’opportunità di immergersi in spettacoli coinvolgenti, presentati da compagnie provenienti da tutta Italia. Un viaggio attraverso il talento e la sperimentazione teatrale che ha catturato l’attenzione di spettatori di ogni età. Tuttavia, la vera novità di questa sesta stagione è stata la sezione dedicata alla musica, che ha ulteriormente arricchito l’offerta culturale della kermesse ospitando artisti di fama internazionale.

    Saint Patrick Harp – Concerto per Arpa Celtica e Armonica ha avvolto il pubblico in un’atmosfera carica di emozioni. Non solo grazie alla fusione di questi due strumenti dalle sonorità avvolgenti, ma anche grazie ad una narrazione appassionata e ad un’intensa interpretazione di poesie di autori irlandesi e non solo. Lo spirito festoso e la magia dell’Irlanda hanno pervaso l’aria in un concerto senza precedenti, dove l’arpa celtica e l’armonica hanno intrecciato le loro melodie incantando i presenti.

    Stefano Corsi e l’unione tra arpa e armonica

    Il musicista Stefano Corsi spiega cosa l’abbia ispirato per questo concerto: «Il suono primordiale della corda che si muove e dell’ancia che vibra nell’aria è una melodia ancestrale che risuona attraverso le epoche. Quando ho scoperto che in inglese l’armonica è chiamata mouth harp (arpa da bocca), ho pensato fosse inevitabile unire i due strumenti. Questa affascinante coincidenza linguistica rispecchia la complementarità dei loro suoni. Tengo molto che la gente ricominci ad ascoltare la musica con un buon impianto. Dostoevskij diceva: “La bellezza salverà il mondo”. Io ritengo che salvi chi la cerca».

    Il direttore artistico di Sguardi a Sud, Mario Massaro, svela la magia che avvolge questa kermesse: «Il nostro obiettivo è regalare al nostro affezionato pubblico un’esperienza culturale completa. Sguardi a Sud è un’immersione in mondi sconosciuti e un abbraccio alla bellezza dell’arte che prende vita attraverso prosa, musica e teatro. Il concerto di Stefano Corsi ha trasformato il palcoscenico in un mare di emozioni, lasciando un’impronta indelebile nei cuori di tutti gli spettatori e rendendo ancora più indimenticabile questa stagione».

     

     

  • Kamishibai al teatro Rendano

    Kamishibai al teatro Rendano

    Il 14 marzo 2024 alle ore 10 e, in replica alle 11.45, andrà in scena per le scuole, nella cornice del Teatro Rendano, lo spettacolo Storie in Musica, dell’Orchestra Sinfonica Brutia, in collaborazione con l’Associazione Teatrale Porta Cenere, Artebambini di Bologna e l’Associazione Kamishibai Italia. Nello spettacolo testi Allen Say e Assunta Morrone, musiche di Massimo Belmonte e Giuseppe Musumeci, illustrazioni di Allen Say, Francesca Carabelli, Jole Savino e Lida Ziruffo e dei minori stranieri non accompagnati del Centro Sai di Mendicino.
    Nello spettacolo le storie scritte per Kamishibai, un antico strumento di lettura giapponese che associa parole e immagini. In questa particolare performance la contemporaneità di parole, immagini e musica, quest’ultima colonna sonora originale delle storie narrate. La regia teatrale è di Mario Massaro, in scena insieme ad Elisa Ianni Palarchio

  • Il vittimismo di certa destra con o senza Hume

    Il vittimismo di certa destra con o senza Hume

    Alla fine voleva essere galante, cioè superiore ma senza esagerare, come suggerisce Hume. Spartaco Pupo, docente Unical che oggi grida di essere vittima di un attacco alla propria libertà di dire cose bizzarre citando il suo amato filosofo scozzese, sta mettendo in atto la consueta pratica del vittimismo, in cui dopo averla sparata grossa, si piange addosso per le critiche ricevute.

    Spartaco Pupo, docente dell’Università della Calabria

    Critiche, sia chiaro, e non richiami formali o censure, perché l’avvocata Stella Ciarletta, “consigliera di fiducia” dell’ateneo, rispettosa del suo ruolo e delle sollecitazioni ricevute da studenti e movimenti, con una mail privata si è limitata a chiedere maggior rispetto e di riflettere riguardo all’opportunità del post pubblicato dal docente di storia, noto esponente della destra. Per chi se lo fosse perso, con il garbo che si conviene ad un gentiluomo, Pupo celebra l’Otto marzo con una lunga citazione del filosofo di Edinburgo, pre illuminista e indicato come il padre del liberalismo costituzionale degli stati moderni.

    La frase scelta parla di superiorità dell’uomo, che però deve mitigare tale supremazia «dimostrando autorità in modo più generoso, se non meno evidente, ossia con le buone maniere, la deferenza, la considerazione, in breve con la galanteria», ma anche con «l’altruismo e con una calcolata riverenza e comprensione per le tendenze e le opinioni di lei». Pensava di suscitare gratitudine e invece comprensibilmente qualcuno si è arrabbiato .
    A far diventare un caso quello che invece è un banale (letteralmente) post su Fb è il soccorso cameratesco, che alza il tiro e il polverone, mentendo su richiami istituzionali che non ci sono, né potevano esserci, e sovrapponendo l’opinione di Pupo con quella della professoressa De Cesare a seguito della scomparsa di Barbara Balzerani. La cortina fumogena della distorsione dei fatti è utile sempre per lamentarsi della sinistra che occupa le università e sotto sotto suggerire qualche epurazione, perché certi passati storici restano nel Dna.
    Riguardo a Hume, che oltre ad alcune magnifiche cose diceva pure che «propendo a ritenere i negri e in generale le altre specie di uomini inferiori ai bianchi» chi lo cita dovrebbe stare attento: se prendi il peggio di un filosofo di trecento anni fa e quelle cose ti piacciono, quel peggio ti appartiene.

  • Ecco la decina finalista del Premio Sila ’49

    Ecco la decina finalista del Premio Sila ’49

    La dodicesima edizione del Premio Sila ’49 ha i suoi dieci libri finalisti. Sono stati annunciati stamattina, lunedì 11 marzo, durante una conferenza stampa tenuta nella sede della Fondazione Premio Sila, nel cuore del centro storico di Cosenza. Ad accogliere giornalisti e appassionati della lettura, il presidente Enzo Paolini, la direttrice Gemma Cestari e i due giurati Valerio Magrelli ed Emanuele Trevi, collegati via web.
    Ecco i 10 libri scelti dalla giuria. “Un paese felice” (Mondadori) di Carmine Abate, “Grande meraviglia” (Einaudi) di Viola Ardone, “Poverina” (Blackie Edizioni) di Chiara Galeazzi, “Quasi niente sbagliato” (Bollati Boringhieri) di Greta Pavan, “La bella confusione” (Einaudi) di Francesco Piccolo, “La vita è breve, eccetera” (Einaudi) di Veronica Raimo, “Jazz Cafè” (La nave di Teseo) di Raffaele Simone, “Il fuoco invisibile” (Rizzoli) di Daniele Rielli, “L’imperatore delle nuvole” (Neri Pozza) di Pierpaolo Vettori, “Una minima infelicità” (Neri Pozza) di Carmen Verde.
    “Il nostro filo conduttore è l’Italia che vorremmo – ha dichiarato il presidente Enzo Paolini – che viene narrata attraverso i romanzi, attraverso le storie, le idee, le vite che ci sono in quelle pagine, ma anche attraverso la saggistica”. Titoli e autori di grande prestigio arricchiscono anche questa edizione del Premio Sila.
    “Una decina di cui siamo molto soddisfatti – ha sottolineato la direttrice del Premio Gemma Cestari parlando dei titoli scelti – che tiene insieme tante voci interessanti dell’Italia. Dieci libri straordinari che arrivano dopo un lavoro importante della giuria”. L’annuncio della rosa dei finalisti lascia adesso il posto agli incontri con gli autori che nei prossimi giorni presenteranno al pubblico del Premio i propri libri. Poi toccherà alla giuria, in collaborazione con il comitato dei lettori, a ridurre a cinque i libri scelti. Da quest’ultima selezione, si arriverà, quindi, al vincitore finale che sarà premiato durante una manifestazione che coinvolgerà l’intera città di Cosenza nei giorni 14, 15 e 16 giugno.

     

  • Premio Sila ’49, lunedì i dieci libri in finale

    Premio Sila ’49, lunedì i dieci libri in finale

    Tutto pronto per ripartire. Tutto pronto per svelare la decina 2024 del Premio Sila ‘49. Lunedì 11, alle ore 11, negli spazi della Fondazione Premio Sila di Cosenza, si terrà la conferenza stampa di presentazione dei libri che concorreranno ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento, giunto ormai alla sua dodicesima edizione.

    Presenti, nella sede della Fondazione nel cuore del centro storico bruzio, il presidente Enzo Paolini e la direttrice del Sila Gemma Cestari. In collegamento web, invece, i giurati Valerio Magrelli ed Emanuele Trevi. L’evento sarà trasmesso in diretta Facebook sulla pagina ufficiale del Premio Sila ‘49.

    Una volta svelata la decina, prenderà, dunque, avvio la serie di incontri con gli autori che presenteranno al pubblico del Premio le loro opere. Dopodiché la giuria del Premio, insieme al comitato dei lettori, procederà a formare la rosa dei cinque libri, fino ad arrivare alla premiazione finale, appuntamento che, come ogni anno, coinvolgerà l’intera città.

  • Lilli Funaro, i successi di Dalla per i 20 anni della Fondazione

    Lilli Funaro, i successi di Dalla per i 20 anni della Fondazione

    La Fondazione Lilli Funaro di Cosenza, impegnata da vent’anni nella lotta contro i tumori attraverso iniziative di ricerca scientifica e sostegno sociale, culturale e benefico, celebra il suo ventesimo anniversario con una serie di importanti e appassionanti attività volte ad alimentare la solidarietà sociale, civile e culturale.

    In occasione di questo significativo traguardo, la Fondazione annuncia il primo concerto solidale “Aspettiamo senza avere paura, domani. Back to home”, previsto per sabato 9 marzo 2024 alle ore 21:00 presso il duomo di Cosenza.

    Si tratta dello spettacolo – un omaggio a Lucio Dalla – ideato e scritto da Daniele Moraca, Sasà Calabrese, Dario De Luca, in cui la forma della canzone si fonde con quella della parola, quindi del teatro. “Tutti i testi delle mie canzoni sono sempre piccoli racconti, ipotesi di sceneggiature” raccontava Dalla. È così che la sua poetica e la sua musica, nella rappresentazione messa in piedi dagli autori, si dipanano in una trama orizzontale, come nell’immaginaria pellicola di un film in cui frammenti di vita sono tenuti insieme dalla musica. Canzoni cantate e recitate si articolano tra gli aneddoti della vita artistica di Dalla in uno spettacolo carico di sentimenti, intimo e leggero, familiare.

    “Aspettiamo senza avere paura, domani. Back to home” promette un’esperienza culturale di grande valore per la città poiché torna a risuonare in una nuova versione, come un nuovo debutto, e lo fa nella storica e maestosa cattedrale di Santa Maria Assunta che, per la prima volta, apre le porte anche ad uno spettacolo di musica e prosa. Il miglior luogo possibile per il momento che segna l’inizio delle attività 2024 della Fondazione Lilli Funaro.

    Il ricavato della serata contribuirà al finanziamento di borse di studio e progetti di ricerca per la cura del cancro, continuando l’importante lavoro svolto dalla Fondazione nel corso degli anni.

    Michele Funaro della Fondazione Lilli commenta: “In venti anni di attività, nel nome di Lilli, abbiamo destinato oltre 250 mila euro a borse di studio e progetti di ricerca per la cura del cancro, offrendo supporto economico a tanti giovani e meritevoli ricercatori calabresi. Anche quest’anno siamo felici di dare avvio ad una nuova primavera della Fondazione, e di farlo attraverso ‘Aspettiamo senza avere paura, domani’, che già nel titolo evoca le speranze di ognuno di noi”.

     

  • Monte Cocuzzo: appunti da un Appennino minore

    Monte Cocuzzo: appunti da un Appennino minore

    Come il grande occhio di Sauron monte Cocuzzo mi osserva mentre butto giù due righe sul libro che gli ha cucito addosso Mauro Francesco Minervino. Non posso sfuggirgli mentre leggo o scrivo seduto nel solito posto a casa dei miei genitori. Lo vediamo dall’entroterra, noialtri. Ci godiamo quei tramonti o quelle nuvole dense sulla cima nei giorni di pioggia. Dietro spunta il mare e noi possiamo solo immaginarlo.

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    Lo scrittore e antropologo Mauro Francesco Minervino (foto Alfonso Bombini)

    Viaggio al monte analogo (Oligo editore 2023) è il libro di un antropologo diventato per 135 pagine cantore di un Appennino minore, costiero, a pochi metri dal Tirreno; a suo modo, senza troppe concessioni alle derive sentimentali ma molto attento alla geografia umana e personale di una arrampicata che sa di Nirvana. Cocuzzo per lui è una specie di ossessione come la Montagna Saint-Victoire per Cezanne.

    Domani – venerdì 1 marzo – ne parliamo con lo stesso Mauro, Tonino Chiappetta e Francesco Naccarato davanti agli appassionati lettori di Camminando Amantea. Appuntamento nella cittadina tirrenica alle ore 19:00 ospiti della Cantina Amarcord.

    Di Fellini, però, non c’è nulla nell’immaginario di questo Minervino. C’è tanto René Daumal, autore de Il Monte Analogo, romanzo incompiuto eppure così illuminante. Un gruppo di alpinisti raggiunge la vetta e scopre che il confine tra le cose in quota è solo qualcosa di superfluo, vuoto, inutile. Servono fiuto da segugio e passo da rabdomante per trovare quella sorgente in questo pezzo di Calabria. Mauro ci riesce, portandosi dietro quella specie di aura profetica. Come il Santo di Calabria, Lumen Calabriae, di casa tra queste alture. Un giornalista come Emiliano Morrone vede proprio in Mauro alcuni tratti laici di San Francesco di Paola, suo compaesano più illustre. A pensarci bene, non ha mica torto. Mancano i miracoli, però c’è ancora tempo.

    Il tempo di quella cima ventosa cambia in fretta. Ti allontana e ti attrae. Sai che puoi trovarci uno stargate di Calabria. «La porta dell’invisibile deve essere visibile» ci ricorda Minervino citando proprio Daumal. Un gioco di rimpalli e capitomboli, di analogie.
    È un posto magnetico dove sono passati mistici, monaci orientali, banditi. Ha affascinato scrittori e intellettuali. Gente come Gissing, altro nume tutelare del pantheon letterario di Mauro, ha annotato la bellezza tempestosa di quella cima. Punto di passaggio tra l’antica Pandosia, capitale degli Enotri, e il porto di Temesa, la polis immortalata nell’Odissea. Dalla cima il sole scompare morendo in mare come se non dovesse più rinascere. Un ultimo spettacolo d’Occidente, terra del tramonto prima dell’apocalisse. Al mattino, invece, nella forza accecante della controra i demoni si danno appuntamento. Per poi tornare a notte fonda nelle voglie animali degli antichi pastori dediti alla farchinoria. Monte Cocuzzo è un po’ così, contiene eccessi indicibili e improvvise oasi di pace.

    Un luogo che genera storie. Mauro ricorda i suoi vecchi zii, analfabeti e grandi affabulatori, dediti al racconto di avventure terribili e affascinanti. Le gesta di Giufà. Il finto sciocco visionario e arguto che popola l’immaginario collettivo della cultura umana senza confini, ha accompagnato la sua infanzia. Si chiedeva da dove venisse questo strano Giufà. I vecchi rispondevano: dalla montagna. Indicando la cima di Cocuzzo.

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    Monte Cocuzzo è il Monte analogo di Mauro Francesco Minervino

    Una vetta da raggiungere da più fronti. Mauro arriva dal basso, da Mendicino e da Carolei. Raggiunge i sentieri battuti da piccole carovane in un passato remoto. Si inerpicano per poi scendere in picchiata, passando tra villaggi abbandonati come Pantanolungo. Qualcuno ne collega la presenza alla morte. E il fiume Acheronte in basso è più di un semplice indizio. È un casale di poche anime. Mauro tira fuori una storia dalla polvere di quelle case abbandonate.

    Dalla morte alla vita. Al pane come simbolo e materia che riannoda i pensieri: la pitta di Mendicino, il panificio di Fiumefreddo, quella vecchia signora con gli occhi di una zingara che impasta e inforna. Sono immagini potenti di un piccolo mondo antico e andato via per sempre. Ma in cima a quella montagna il mondo alla rovescia di Giufà può regalare ancora un altro colpo di spugna e giro di giostra.

  • Cento anni per la cultura: l’anniversario di Luigi Pellegrini

    Cento anni per la cultura: l’anniversario di Luigi Pellegrini

    «Tornai a Cleto da Salerno, dove avevo studiato, con il titolo di maestro elementare e una Olivetti Lettera 22 nella valigia»: così Luigi Pellegrini ricordava, in una delle sue ultime interviste, l’inizio della sua avventura umana ed editoriale in Calabria.
    Pellegrini all’epoca era più che ventenne e Cleto non era il borgo medievale per turisti alternativi che conosciamo oggi.
    Il paesino del basso Tirreno cosentino era la classica zona disastrata del Sud con situazioni di altissima drammaticità. «Mancava l’acqua e le persone per approvvigionarsi avevano solo una fontanella da cui correva un filo esile. Ricordo ancora le file», raccontava ancora Pellegrini alle soglie dei novant’anni, dopo una carriera lunghissima. Il 21 febbraio ne avrebbe fatto cento, si presume con la stessa lucidità di allora.

    Luigi Pellegrini giornalista d’assalto

    «Insegnavo alle scuole serali quasi gratis e, per arrotondare, facevo l’inviato per Il Tempo e Momento Sera, da cui guadagnavo circa 3-4 centesimi a riga».
    Poi il primo scoop: «Arrivai in corriera a Cosenza per raggiungere Albidona e Alessandria del Carretto, dove documentai situazioni drammatiche in un’inchiesta per Il Tempo, a cui si ispirò Salvatore Foderaro, un deputato Dc di Sambiase, per un’interrogazione parlamentare, forse una delle prime sulle terribili condizioni della Calabria dell’epoca».
    Ma le corrispondenze erano poca cosa. Da qui alla decisione di mettersi in proprio, il passo fu breve.

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    Luigi Pellegrini

    Nasce la Luigi Pellegrini Editore

    Editori si diventa. Il primo passo di Luigi Pellegrini fu “artigianale”: «Dopo aver pubblicato Scintille, una raccolta di poesie, con l’editore Gastaldi di Milano, fondai la rivista mensile Il Letterato. La stampavo presso il tipografo Nicotera di Nicastro e la distribuivo da solo. Noleggiavo un’auto su cui caricavo le tremila copie della tiratura e raggiungevo le Poste di Cosenza per spedirle».
    Nella Calabria in cui era quasi impossibile sopravvivere, il giovane direttore-editore aveva inventato una realtà editoriale promettente: «Oltre alla rivista, pubblicavo dei libri, che uscivano come allegati con un marchio curioso e dal suono un po’ esoterico: Ocril (Organizzazione culturale rivista Il Letterato). Dopo i primi venti volumi e visto il successo dell’iniziativa, decisi di metterci il mio nome».

    Il primo best seller

    Tra i meriti di Pellegrini c’è la riscoperta della Questione Meridionale, grazie a due collane di tutto rispetto: Fonti storiche della Calabria e del Mezzogiorno, diretta da Saverio Di Bella, ed Emigrazione, di Carmine Abate.
    Il suo primo colpo da maestro fu la Storia della letteratura calabrese, scritta dal napoletano Antonio Piromalli e pubblicata in prima edizione nel 1969.
    Fu il primo best seller: «Spaccai lo stock più volte e dovetti ristamparlo in continuazione per far fronte alle richieste».

    Un’istituzione culturale

    La Luigi Pellegrini Editore ha segnato il territorio di Cosenza con la sua presenza. Dapprima a via Roma (l’odierna via Misasi), poi a via Sambiase, infine a via De Rada.
    Fu lucido fino alla fine e c’è chi lo ricorda ancora alla guida della sua Volkswagen.
    Segno che la cultura fa invecchiare bene.

  • Insieme si cresce: scuole e welfare uniti per l’inclusione sociale

    Insieme si cresce: scuole e welfare uniti per l’inclusione sociale

    «Noi crediamo tanto nel progetto Insieme si cresce: coniuga l’impegno del settore privato di qualità con le istituzioni scolastiche e col mondo religioso. Tutto ciò per favorire la crescita culturale del territorio e l’inclusione sociale».
    Così Walter Pellegrini, il presidente della Fondazione Attilio e Elena Giuliani ha commentato la conferenza stampa di presentazione di Insieme si cresce, svoltasi il 15 febbraio a Villa Rendano a Cosenza.
    Alla manifestazione hanno partecipato Veronica Buffone, assessora al Welfare del Comune di Cosenza, Anna Cipparrone, direttrice del Museo Consentia Itinera, Roberta Coscarella, docente dell’Istituto comprensivo Fausto Gullo di Cosenza, e Gustavo Di Santo dell’Accademia da Vinci.

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    Pubblico in sala a Villa Rendano per la presentazione di Insieme si cresce

    Il progetto in breve

    Insieme si cresce, finanziato dall’Unione Europea con fondi del Pnrr, è un progetto che mira a combattere la povertà educativa e la dispersione scolastica.
    Quattro i protagonisti dell’iniziativa: la Fondazione Attilio e Elena Giuliani, capofila del progetto, la parrocchia San Francesco d’Assisi di Cosenza, l’Ic Fausto Gullo e il Comune di Cosenza.
    Attorno ad essi ruotano altri importanti soggetti del Terzo settore. E cioè: Arci Cosenza, Arca di Noè, Paolab, l’Accademia karate Costabile, Ops arte in corso e Movimento Statico.
    Iniziato lo scorso maggio, Insieme si cresce ha coinvolto finora cento ragazzini tra i cinque e i dieci anni e le loro famiglie. I criteri di selezione dei beneficiari sono tre: l’appartenenza a comunità a rischio di emarginazione, la povertà e il disagio sociale e l’eventuale presenza di disabilità. L’imperativo è uno: includere.

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    Da sinistra: Gustavo Di Santo e Veronica Buffone

    Insieme si cresce: parlano i protagonisti

    «Diciamo subito che l’aspetto economico (il censo, per dirla alla vecchia maniera) non è un criterio dirimente», spiega Veronica Buffone. Infatti, prosegue l’assessora, «le fragilità si trovano dappertutto e il disagio non è classista, ma colpisce ogni ambiente socio-familiare».
    La casistica di ragazzi a rischio dispersione è ampia, specifica la professoressa Coscarella: «Si va dagli allievi dipendenti passivamente dall’hi-tech e dagli smartphone ai ragazzi che provengono da situazioni familiari piene di conflitti. La scuola, da sola, può non bastare a contenere e gestire queste problematiche, perciò i docenti più lungimiranti devono saper approfittare di tutte le opportunità che offre il territorio».
    Ma come funziona il progetto? «Gli uffici Welfare del Comune», spiega Buffone, «stilano le liste dei bambini assieme agli istituti e poi, caso per caso, si scelgono le attività».
    Così è stato per le attività di doposcuola e formazione, svoltesi nei locali della parrocchia San Francesco d’Assisi e per i laboratori di Villa Rendano. Il tutto con il coordinamento determinante dell’Accademia da Vinci.

    Roberta Coscarella

    Le attività di reintegrazione e recupero scolastico si basano su tre concetti chiave: legalità, ambiente e settore ludico-didattico.
    I risultati finora, chiosa Di Santo, sono stati incoraggianti. Tant’è che l’incontro del 15 febbraio ha avuto anche il valore di un invito a tutti gli enti interessati a partecipare.
    Insomma, fare rete si può. Perché Insieme si cresce non è solo un modo di dire.

    Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. L’impegno de I Calabresi e della Fondazione Attilio ed Elena Giuliani è quello di arare il terreno della memoria collettiva e trovare le radici da cui proveniamo per riscoprire la fierezza di una appartenenza.