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  • I cosentini sul podio nei campionati di cucina: ma non chiamateli chef

    I cosentini sul podio nei campionati di cucina: ma non chiamateli chef

    L’arte di arrangiarsi, tipica delle nostre latitudini, è stata la carta vincente che ha portato sei cosentini sul podio dei Campionati Italiani di Cucina 2022 a Rimini. Medaglia d’argento per Daniele Mannarino e Danilo Liparoti (categoria Mistery box); medaglia di bronzo per Domenico Trentinella, Biagio Girolamo e Luca Grillo (categoria street food) e Eugenio Caloiero (categoria singoli).
    Un ottimo risultato per la Federazione Provinciale di Cosenza. Medagliere amaro, invece, per la Calabria che si classifica al nono posto, ben distante da un podio tutto “terrone” con i primi tre classificati Campania, Sicilia e Puglia.

    La competizione

    La sesta edizione dei Campionati della Cucina italiana, nata dalla collaborazione fra Italian Exibition Group e la Federazione italiana dei Cuochi, ha ospitato nelle ultime edizioni più di 500 concorrenti tra team italiani ed esteri. La manifestazione è riconosciuta dal circuito Worldchefs. La prossima sfida della FIC saranno i campionati mondiali, il tanto prestigioso Bocuse d’Or.
    Sebbene caratterialmente distanti anni luce dallo chef stellato Adam Smith, interpretato da Bradley Cooper ne Il sapore del successo, i cuochi cosentini vivono la cucina con la “cazzimma”, l’inventiva e l’amore viscerale per il proprio lavoro tanto da indentificarsene con l’obiettivo di soddisfare ed emozionare i propri clienti.

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    Bradley Cooper nel film “Il sapore del successo”

    Cucina al buio

    Una sfida nella sfida per i cosentini Danilo Liparoti e Daniele Mannarino che hanno conquistato il secondo posto nella finalissima con una mistery box dedicata ai piatti crudisti, vegetariani e vegan.
    Ma come si fa ad essere i secondi cuochi d’Italia per inventiva? «Con sacrificio, passione e determinazione».

    “Linguino”, cuoco per dovere

    Daniele Mannarino è quasi un figlio d’arte. I suoi genitori erano titolari di un alimentari e pasta, pane e scatolette sono sempre stati i suoi “giocattoli”. Ha iniziato a cucinare a sette anni. Non per passione, ma perché doveva preparare il pranzo ai genitori.
    «A convincermi furono le lacrime di mio padre il giorno della firma dell’iscrizione alle scuole superiori. Avevo scelto l’Industriale ma lui mi convinse a iscrivermi all’Alberghiero, per lui avevo talento”. E visti i risultati, come dargli torto.

    Tante le esperienze professionali maturate, dall’esordio a 14 anni in un villaggio a Soverato ad oggi che di anni ne ha trentasette. È stato cuoco a Rimini, Firenze, Stoccarda ma il cuore l’ha lasciato lo scorso anno in una struttura cinque stelle lusso, tre forchette Gambero Rosso di Seby Sorbello a Zafferana Etnea (Catania).
    «È stata la mia esperienza formativa più importante», anche se il suo punto di riferimento rimane il titolare dell’Osteria Francescana, Massimo Bottura.

    Nella cucina di Mannarino non può mancare un piccolo orto di aromi e spezie, perché «a fare la differenza è sempre la qualità della materia prima».
    I suoi piatti forte sono tutti a base di pesce, primi piatti in particolare; da qui il suo soprannome “Linguino”.
    «La cucina inizia nella testa, passa dal cuore e finisce nelle mani. Il tutto condito – dice – da una giusta dose di amore, territorio e passione».

    Il lato oscuro dell’essere cuoco è lo «stress piscofisico, i sacrifici, il rinunciare agli affetti più cari: amici e famiglia». «È una scelta di vita – spiega – non può essere altrimenti». E sull’esito del Campionato non ha mai avuto dubbi. «Mi aspettavo di vincere sia per la mia propensione a creare piatti nell’immediatezza, sia per le qualità di Danilo, il mio compagno di squadra».
    Mannarino è già proiettato all’edizione dei Campionati 2023, resta solo da scegliere la categoria tra singoli, squadre o street food.

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    Daniele Mannarino e Danilo Liparoti

    Il sacro fuoco dei fornelli

    Ha sempre saputo che nella vita avrebbe fatto il cuoco. La sua prima frittata Danilo Liparoti l’ha preparata a cinque anni, rimediando anche una scottatura. Ma non si è arreso. Anzi. Testardo e determinato ha iniziato a lavorare a 13 anni e mezzo, nonostante le lacrime della madre che ora è la sua supporter numero uno.
    Malgrado i 24 anni d’età ha più di quindici competizioni culinarie alle spalle e nove anni di esperienza nelle principali località turistiche calabresi, italiane con una parentesi in Svizzera. A segnarlo maggiormente il periodo livornese. Entrato in cucina da 17enne aiuto cuoco di brigata è diventato quasi subito il capo cuoco.
    «Una soddisfazione- ricorda – ma allo stesso tempo una grande responsabilità. Non è facile dare ordini a persone più grandi di te».

    Per Danilo cucinare «è sperimentazione, essenzialità, colore. Il blu su tutti». Blu come il mare, blu come il pesce, ingrediente base per le sue specialità di antipasti e primi piatti.
    Oltre a materie prime di qualità e aromi (il finocchietto è il suo ingrediente segreto), nella cucina di Liparoti non manca mai la buona musica. «La cucina è passione, se non si sta bene d’umore non si conclude nulla».
    Per Liparoti non esistono esperienze negative: «Ogni volta si impara qualcosa di nuovo». Come quella volta che dopo un piatto tornato indietro ha passato giornate a rifarlo finché non è uscito perfetto: «Perché la soddisfazione passa dal sacrificio».
    «A Rimini la gara si è svolta in un contesto corretto e leale ma il livello della competizione è stato altissimo. E sentire il proprio nome accoppiato ad una medaglia è stata un’emozione indescrivibile».

    La determinazione di Danilo la si legge negli occhi. Il suo sogno è avere un giorno una struttura tutta sua. Il suo chef di riferimento? «Sicuramente Cannavacciulo».
    La sua strada da sei anni si è incrociata con il suo compagno di gara Daniele Mannarino. Oggi entrambi sono le punte di diamante del Fellini Restaurant di Cosenza che con la sua cucina raffinata e ricercata ha conquistato i palati dei cosentini dopo appena sei mesi dall’apertura.

    Cucina di strada

    È stato cuoco del Fellini Restaurant anche Mimmo Trentinella, terzo classificato nella categoria Street Food insieme a Luca Grillo e Biagio Girolamo. (FOTO 4)
    E se è praticamente impossibile avere una foto dei piatti della competizione a causa dei diritti esclusivi della FIC, per il suo street food Trentinella condivide la foto di una delle tante prove fatte prima di arrivare a Rimini.
    Mesi e mesi di ricerca per sfornare un pan brioche di semola farcito con crema di melanzana cotta sottovuoto al microonde insaporita con aglio e menta, stracotto di maialino nero, cipolla caramellata di Tropea, ‘nduja e caciocavallo Dop; il tutto pastellato e fritto. (FOTO 5)

    «Lo street food – spiega Trentinella – è sempre stato un mio pallino, sin da ragazzo». Negli anni Mimmo ha viaggiato molto in Europa per il suo lavoro. «Ad attrarmi sono sempre state le cucine di strada tipiche dei mercati inglesi, polacchi e francesi che, poi, è anche un modus operandi tipico di una parte del Mezzogiorno d’Italia, basti pensare alle pizze fritte campane o agli sfincioni siciliani». Le regioni del Sud hanno tutte un grande potenziale.

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    Luca Grillo, Biagio Girolamo e Mimmo Trentinella

    Cuochi e chef

    Trentinella è diventato cuoco per una sorta di sfida con la sua famiglia: lui uscì di casa ed entrò nel primo ristorante aperto. E lì capì quale sarebbe stata la sua strada.
    A 42 anni Mimmo è meno disincantato di tanti suoi colleghi. È pragmatico e lavora con un obiettivo ben chiaro nella testa: «Tramandare la passione per la cucina ai più giovani che oggi sembrano aver perso mordente».
    Guai a chiamarlo chef. Come il compianto Tonino Napoli dice: «Siamo tutti cuochi, cucinieri. Chef significa capo, cuoco è colui che fa da mangiare con amore».

  • Sette note in nero: la Pasquetta di sangue di Ciccio Fred Scotti

    Sette note in nero: la Pasquetta di sangue di Ciccio Fred Scotti

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    È notte fonda. Sono le prime ore del 13 aprile 1971. Ciccio Scarpelli è nel vecchio pronto soccorso dell’Annunziata di Cosenza, dove l’ha portato un operaio a bordo del suo furgone. L’uomo, un 37enne grande e grosso, è gravemente ferito da quattro proiettili.
    « Ci’, chin’è statu?», Ciccio chi è stato?, gli chiede un infermiere che lo conosce. «’Nu fissa», uno scemo, un povero coglione, risponde l’omone agonizzante.

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    La tomba di Ciccio Scarpelli, alias Fred Scotti

    Ciccio Scarpelli non vedrà l’alba. Operato d’urgenza, spira alle 6,15 del mattino. «Il ganzo di malavita era stato ucciso dallo scemo del quartiere», commenta Paride Leporace nel suo Cosangeles (Cosenza, Pellegrini 2021), in cui rievoca la vicenda.
    Questo ganzo, a modo suo, era una celebrità: molti cosentini ne ascoltavano gli stornelli e le tarantelle con cui si esibiva nelle bettole o alle fiere. I più lo conoscevano col suo nome d’arte: Fred Scotti.

    La riscoperta di Fred Scotti

    Confinato a lungo nelle cronache nere e nelle leggende metropolitane, Fred Scotti riemerge all’inizio del millennio grazie all’iniziativa di Pias Germany, un’etichetta indipendente tedesca, che macina di tutto: dall’alt rock al folk. L’iniziativa è furbesca e mescola ambizioni commerciali e intenzioni colte: la riscoperta degli antichi canti della malavita calabrese. Infatti, grazie a questa trovata, la label ha venduto oltre centomila album agli italiani emigrati in Germania.

    La copertina de “La musica della mafia”

    La Pias ha pubblicato, tra il 2000 e il 2009, quattro compilation che raccolgono i classici di questo repertorio.
    Nel primo cd, La musica della mafia vol I-Il canto di malavita, sono contenute due canzoni di Fred Scotti: Tarantella guappa e Canto di carcerato.
    Un breve passaggio delle note di commento all’album, curate da Goffredo Plastino, docente di musicologia a Newcastle, si sofferma sul cantautore cosentino: «Molto curiosa è la storia del più grosso interprete del canto di carcerato Ciccio Scarpelli alias Fred Scotti, che finì ammazzato il 13 aprile del 1971, per aver molestato la donna di un mafioso».

    È quanto basta per suggerire un parallelismo tra Scotti e una grande leggenda del blues: Robert Johnson, che morì in circostanze non chiarite.
    In realtà, la morte di Scotti ha pochi lati oscuri. E la malavita non c’entra.

    Pasquetta di sangue

    Torniamo indietro e a Cosenza. È quasi la mezzanotte del 12 aprile 1971. Sono le ultime ore della Pasquetta di quell’anno e la città è semivuota.
    Francesco Scarpelli è al circolo Enal, una specie di cantina, del rione Massa, una zona popolare del centro storico che sfocia nella piazza Spirito Santo. Già alticcio, Scarpelli beve una birra dopo l’altra, che accompagna con sarde salate.

    In quel momento, entra nel locale Giuseppe Bruni, un fruttivendolo. L’uomo, come sempre, chiede al gestore se ha degli avanzi da dare al maiale. Scarpelli e Bruni si conoscono e sono l’uno l’opposto dell’altro: corpulento e forzuto il cantautore, mingherlino e remissivo l’ortolano. Proprio questa differenza rende Bruni la vittima ideale delle burle di Scotti, che a volte sfociano in gesti di prepotenza violenta.

    La rissa fatale

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    Ciccio Fred Scotti

    È così anche quella sera: Scarpelli inizia a prendere in giro il malcapitato e lo fa ruzzolare a terra. Bruni ingoia amaro e cerca di non provocare l’omone, ormai vistosamente ubriaco. Scarpelli, che ha perso il controllo e la lucidità, scivola e si lacera il pantalone alle ginocchia.
    «’ngulacchitemmuartu! Mò m’è pagare i cavuzi, unn’ha capì, oi luardu!» (ora mi devi risarcire, sporcaccione che non sei altro), urla Scarpelli al malcapitato. È l’ennesima prepotenza.

    Bruni prende tempo: fammi andare a casa a prendere i soldi. Poi prega il gestore di accompagnarlo, perché ha paura.
    Quando il fruttivendolo e l’oste arrivano a destinazione, trovano Scarpelli davanti all’uscio, impaziente e ancora più arrabbiato. La colluttazione riprende più violenta.
    Le urla richiamano la moglie di Bruni, che tenta a sua volta di separare i due. Ma Scarpelli è incontenibile e picchia la donna.
    Terrorizzato ed esasperato, Bruni estrae una pistola calibro 38 e spara al torace dell’uomo.

    La fuga e l’agonia

    A questo punto, Bruni si dilegua nei vicoli della città vecchia. Scarpelli, invece, si rialza e si dirige verso il Lungo Crati. Urla per il dolore, ma la sua fibra robusta ancora non cede.
    Quest’agonia tragica è una scena già vista: ricorda la morte di Francesco Giuseppucci detto Er Negro, il capo della Banda della Magliana, che arrivò da solo al pronto soccorso, sebbene ferito a morte.
    Ma Scarpelli non è solo: l’oste lo segue e cerca aiuto, finché, appunto, non si ferma l’operaio che lo porta in Ospedale.

    Fred Scotti e il leone

    Nato nel 1933 e cresciuto nei vicoli della Massa, Ciccio Scarpelli è la classica persona “nota” alle forze dell’ordine.
    Entra ed esce dal vecchio carcere di Colle Triglio per piccoli reati: rissa, disturbo della quiete pubblica e ferimenti. Tutto ciò lo qualifica come piccolo delinquente e gli crea una fama da duro negli ambienti di quella malavita che ancora non è mafia. Proprio in galera compone il Canto del carcerato.
    Quando è a piede libero, lavora come operaio al mattatoio comunale e fa anche il custode della Villa Vecchia.

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    Fred Scotti e il leone della Villa comunale

    Quest’ultima attività è alla base di un aneddoto. Scarpelli si prendeva cura di un vecchio leone abbandonato da un circo e chiuso in una gabbia proprio all’ingresso della Villa. E Scarpelli si divertiva con l’animale: spesso gli infilava una mano in bocca senza alcun pericolo, perché il felino era praticamente sdentato.
    Da questo gioco, probabilmente deriva un detto cosentino: “Ammucca liù”, tuttora usato per dare del fesso al prossimo.

    La passione per la musica

    Con altrettanta probabilità, il nomignolo Fred Scotti fu appioppato a Scarpelli dai ragazzi della Cosenza di allora, ispirati dalla fama dell’artista di colore Freddie Scott, diventato una star con la sua Hey Girl.

    Il cantautore americano Freddie Scott

    Il paragone è ingeneroso e un po’ bislacco. Ma ha funzionato sin troppo: non c’è celebrità senza nomignoli e Scarpelli ebbe il suo.
    Lo si vedeva spesso esibirsi nelle bettole di Cosenza con la chitarra a tracolla e riuscì a incidere alcune canzoni, arrangiate dal maestro Luigi Pisciotta, un musicista di Luzzi.

    L’ultima leggenda su Fred Scotti

    La tragica morte è alla base di un altro aneddoto, che sembra una nemesi.
    Eccolo: in piena agonia e in attesa di essere operato, Scotti era stato sistemato in corsia. I suoi vicini di letto sarebbero stati dei malavitosi, ricoverati in seguito a una sparatoria svoltasi alcuni giorni prima davanti alla vecchia stazione ferroviaria, alle spalle di Piazza dei Bruzi.
    Tra questi, un certo Pasquale Garofalo, che Scarpelli aveva sfregiato qualche anno prima.
    “Ucciso da una mano crudele”, recita la scritta sulla lapide di Scarpelli al cimitero di Cosenza. Già: la crudeltà di cui solo le vittime esasperate possono essere capaci.

  • Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Parafrasando un bel film dei fratelli Coen, potremmo che dire che questa “Non è una città per ragazzi”. Eppure quello spazio colorato su via Panebianco era nato esattamente per loro. Era una idea di Mancini, di cui recente si è ricordata la morte e del quale si rivendica vanamente l’eredità. Di quella stagione la Città dei ragazzi è forse la sola cosa che resta. Piazza Bilotti e il ponte di Calatrava, così come viale Parco, nel tempo sono diventati una cosa diversa da quanto immaginato dal vecchio sindaco.
    Oggi, dopo l’immobilismo causato dalla pandemia, alcune pastoie burocratiche e forse anche una attenzione non esattamente vigile, minacciano di impedire il rilancio di quello spazio dedicato alla cultura e alla creatività.

    La concessione

    Accade infatti che nel 2020 le associazioni Teca, la Cooperativa delle donne e Don Bosco vincano un bando promosso dalla fondazione “Con i bambini” per fronteggiare la povertà educativa. Al loro fianco ci sono l’Istituto comprensivo Gullo e l’Unical. I fondi sono cospicui: 850mila euro. Ma per portare a compimento l’iter e realizzare il progetto alle tre associazioni serve avere uno spazio adeguato per un tempo congruo. Il Comune, allora guidato da Mario Occhiuto, concede loro la Città dei Ragazzi, sgravandosi di ogni costo. Poi la pandemia cambia ogni cosa. Palazzo dei Bruzi dopo una sola settimana revoca la concessione e dà due dei tre cubi alle aule della scuola De Matera.

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    Attività in uno dei cubi della Città dei ragazzi

    La stessa clausola che levava gli spazi alle associazioni, però, prevede la “provvisorietà” della revoca degli spazi. E questo alimenta l’aspettativa delle associazioni circa la restituzione, essendo stata dichiarata conclusa l’emergenza Covid.
    «Non vogliamo mandare via i bambini dai cubi – dice Antonio Curcio, dell’associazione Teca – ma immaginiamo di poter riprendere il progetto finanziato non appena l’anno scolastico si concluderà».

    Per questo le associazioni hanno scritto una Pec al Gabinetto del sindaco, per chiedere un confronto. Quella Pec per vie misteriose finisce sulla stampa prima che sul tavolo di Franz Caruso. Ma finisce inaspettatamente anche nel dibattito interno alla commissione consiliare per l’Istruzione. E lì il delegato del sindaco, Aldo Trecroci, annuncia candidamente che quegli spazi resteranno alla De Matera, «perché le scuole hanno la priorità». Scatenando un putiferio.

    Le opposizioni

    «Si sarebbe dovuto parlare di altro, ma incidentalmente Trecroci ha detto di aver ricevuto la chiamata della preside della De Matera, preoccupata per il rischio di perdere gli spazi per le aule della sua scuola», racconta Bianca Rende, posizionatasi dopo la comune vittoria elettorale, tra i banchi dell’opposizione. «Quello che la preside paventa come un rischio è esattamente quanto deve accadere», dice con veemenza la consigliera Rende. Per lei la Città dei ragazzi deve tornare rapidamente alla sua vocazione originaria.

    Non diversa la posizione di Giuseppe D’Ippolito, di Fratelli d’Italia. Quel luogo deve «essere restituito alla sua funzione sociale; chi governa deve valutare in che modo, ma non può essere destinato alle scuole», sostiene. E accusa l’amministrazione di «aver del tutto stravolto la visione manciniana».

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    Franz Caruso sul palco del suo comizio finale insieme ad altri tre sfidanti del primo turno passati dalla sua parte per il ballottaggio: Fabio Gallo, Bianca Rende e Francesco De Cicco (foto A. Bombini) – I Calabresi

    A rievocare l’emergenza che portò gli scolari della De Matera nei cubi della Città dei ragazzi è Francesco Caruso, all’epoca vicesindaco di Occhiuto. Il consigliere per il futuro immagina prioritariamente il ritorno delle associazioni in quello spazio, magari la condivisione del luogo «se necessario» anche con una scuola, domandandosi però «perché mai proprio la De Matera?».

    Troppe deleghe sovrapposte

    Tutti e tre gli esponenti dell’opposizione sparano ad alzo zero sulla frammentazione delle deleghe assegnate dal sindaco a troppi consiglieri. La cosa pare stia creando situazioni complicate, visto che spesso gli ambiti di intervento si sovrappongono. Per esempio questa vicenda vede coinvolte tre deleghe: l’istruzione, il welfare e l’educazione e non si capisce chi comanda. Sul punto specifico la Rende ha le idee chiare. E con disincanto dice ridendo che «a comandare su tutto è Incarnato». Padre e non figlia, si direbbe, visto che quest’ultima in Giunta ha le deleghe ad Urbanistica ed Edilizia.

    Il sindaco e il delegato

    Trecroci è un preside e ha la delega all’Istruzione. A scatenare la tempesta sono state le sue parole. Lui, però, le rivendica con fermezza: «È la posizione della maggioranza, ne ho parlato anche con il sindaco. Per noi le scuole hanno l’assoluta priorità».
    Forse però il sindaco era distratto. «Qui tutti parlano con tutti, salvo con chi decide, cioè il sindaco. Sull’argomento non ho delegato nessuno» dice Caruso, ammettendo che del futuro della Città dei Ragazzi «ancora non ne abbiamo parlato, anche perché fino a quando ci sono le scuole è difficile affrontare la questione». Di sicuro per il sindaco «è necessario rivitalizzare quello spazio, la cui destinazione deve essere partecipata e condivisa».

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    Il sindaco di Cosenza, Franz Caruso (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Si apre il confronto

    «Quello spazio sociale ha avuto anche 120 mila presenze – spiega accorata Lucia Ambrosino, presidente della Cooperativa delle donne – perché non è una realtà solo legata all’area urbana, ma al territorio regionale. La lotta alla povertà educativa si fa assieme alla scuole, ma dobbiamo intenderci su come deve funzionare una idea di comunità».
    Le associazioni sono ottimiste, l’interlocuzione è appena cominciata. Sanno che quel luogo è una opportunità importante che nessuno vuole perdere. «È stata una sorta di aula decentrata, in accordo con le scuole. E lì devono tornare a svolgersi delle azioni come un museo della Scienza e progetti di reinserimento sociale».

    Ma in ballo ci sono 850 mila euro, di cui 84 mila investiti direttamente dalle associazioni. Inevitabile domandare ai rappresentanti se siano disposti a una guerra legale contro il Comune, nel caso la mediazione appena iniziata andasse male. Ambrosini e Curcio sono cauti, nessuno va al tavolo delle trattative con una pistola in mano. Dichiarano di non aver nemmeno preso in considerazione questo aspetto e quindi eludono la questione, esibendo ottimismo e fiducia, di cui presto conosceremo la fondatezza.

    Quale futuro per la Città dei ragazzi?

    Le associazioni sono pronte al confronto «per verificare quanto previsto dalla concessione, cercando di trovare una soluzione alle esigenze reali delle scuole», spiega Antonio Curcio.
    Ma in gioco ci sono parecchi quattrini, il lavoro di un bel po’ di persone e una idea precisa dell’uso di uno spazio sociale. E pure su questo si misura la qualità di una amministrazione.

  • Terremoto ad Acri, tre scosse in pochi minuti avvertite questa mattina

    Terremoto ad Acri, tre scosse in pochi minuti avvertite questa mattina

    Tre scosse di terremoto sono state avvertite questa mattina ad Acri, in provincia di Cosenza. L’evento sismico si è verificato ai piedi della Sila greca nell’intervallo di tempo che va dalle ore 7:11 alle 7:16. Le tre scosse sono state rispettivamente di magnitudo 2.1 (17 chilometri di profondità), 2.6 (15 chilometri di profondità) e 2.3 (16 chilometri di profondità). È quanto si legge nei dati diramati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Non si registrano danni a persone o cose.

  • Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

    Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

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    Appena l’argomento, per qualche insondabile motivo, viene fuori in una discussione, la domanda scatta automatica: «Ma le Province non le avevano abolite?». A quel punto i più informati rispondono con il tono di chi la sa lunga: «Macché… hanno abolito solo le elezioni». Alla fine è così. Eppure delle Province si parla ancora. E se ne parla, con qualche ragione, molto male.

    Non è questione rimandabile all’antropologia dei campanili e nemmeno all’ormai discendente parabola anticasta. È che, evidentemente, anche nei suoi anfratti meno appetibili e più discussi, il potere attira sempre e comunque l’attenzione. Per comprendere le ragioni della lunga agonia di questi enti, intermedi e dunque transitori quasi per definizione, bisogna però andare oltre le gaffe e le liti spicciole a cui ci ha abituati la politica nostrana.

    Le Province dall’Italia preunitaria a oggi

    Senza addentrarsi in discussioni per feticisti dell’ingegneria istituzionale, è utile ricordare che le Province trovano fondamento nell’art. 114 della Costituzione, ma in realtà sono più vecchie della stessa Italia unita: le creò, quando ancora c’era il Regno di Sardegna (1859), Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno del governo La Marmora, mutuando il sistema francese dopo l’annessione di alcune parti della Lombardia.

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    Un ritratto di Urbano Rattazzi: fu lui a istituire le Province in Italia

    Da 95 sono poi arrivate a essere 110. Oggi nelle regioni ordinarie sono 76, più 14 città metropolitane. A cui si devono aggiungere 6 liberi consorzi (le ex province della Sicilia non trasformate in Città metropolitane), 4 province sarde, le 2 province autonome di Trento e Bolzano, 4 del Friuli Venezia Giulia che servono però solo alla geografia e alla statistica non essendo enti politici autonomi.

    In Calabria erano 3 fino al 1992. Poi in quell’infornata – che comprendeva Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato e Verbano-Cusio-Ossola – rientrarono anche Crotone e Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale è arrivato il rinnovo dei loro consigli provinciali, come pure di quelli di Catanzaro e Cosenza. In quest’ultima, come a dicembre anche a Crotone, ora è cambiato anche il presidente. A breve ce ne sarà uno nuovo pure a Catanzaro.

    Il consiglio ogni due anni, il presidente ogni quattro

    A proposito di elezioni, dal 2014 in poi (riforma Delrio) sono arrivate un po’ di novità. Tra queste il fatto che i consigli provinciali si rinnovano ogni due anni mentre il presidente ogni quattro. La giunta provinciale non esiste più. E a eleggere sia i consiglieri che il presidente sono sindaci e consiglieri comunali del territorio, il cui voto “pesa” in base alla popolazione del Comune di appartenenza. È un aspetto che sembra bizzarro, ma non è certo quello più paradossale delle “nuove” Province, enti in cui spesso il fattore politico va oltre la classica dialettica maggioranza/opposizione.

    Centrodestra alla riscossa

    I risultati di queste ultime votazioni, in Calabria, pendono molto verso il centrodestra. A Cosenza c’era stato un sostanziale pareggio tra i consiglieri. Poi la Presidenza è andata alla sindaca di San Giovanni in Fiore (area Forza Italia) Rosaria Succurro. Divisioni e disastri targati centrosinistra hanno chiuso la partita già prima del voto anche a Crotone, dove ha vinto il sindaco di centrodestra di Cirò Marina, Sergio Ferrari. A Catanzaro, nonostante le divisioni già striscianti e ora esplose in vista delle Comunali, i consiglieri restano in maggioranza di destra. Nei prossimi mesi si dovrà scegliere il successore di Sergio Abramo. A Vibo ha trovato conferma  il peso forzista, ma ne ha acquistato parecchio anche Coraggio Italia.

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    Rosaria Succurro, fresca di elezione a presidente della Provincia di Cosenza

     

    Reggio in attesa di funzioni

    Poi c’è Reggio, dove la Provincia ha ceduto il posto alla Città metropolitana. Da novembre, cioè dalla condanna di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”, la regge il facente funzione Carmelo Versace, che è un dirigente di Azione di Carlo Calenda. In teoria le Città metropolitane avrebbero anche più funzioni delle Province. Quella di Reggio è però l’unica in Italia a cui la Regione non le ha ancora attribuite, nonostante debba farlo per legge.

    Vibo e i conti che non tornano

    La Provincia di Vibo è famigerata per il disastro finanziario in cui è stata cacciata. Sta ancora cercando di uscire dal dissesto dichiarato nel 2013. Uno spiraglio di luce si era visto a novembre, quando la Commissione liquidatrice ha approvato il Piano di estinzione dei debiti: default chiuso con una massa passiva quantificata in 14,8 milioni di euro distribuiti a circa 1.200 creditori. A fine marzo però è venuto fuori che serve un nuovo Piano. Ci si è accorti che i prospetti contabili andavano aggiornati e che la massa passiva totale era in realtà di 25 milioni di euro. Dunque ne ce sono ancora altri 11 da liquidare.

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    Salvatore Solano stringe la mano a Papa Francesco

    La necessità di un aggiornamento l’ha segnalata alla Commissione lo stesso presidente della Provincia di Vibo, Salvatore Solano, finito nel processo “Petrolmafie”. Lui ha sempre dichiarato fiducia nella giustizi,a ma anche la sua totale estraneità alle accuse che gli vengono contestate. Forza Italia però, che pure lo aveva scelto nell’ottobre del 2018, lo ha scaricato politicamente.

    Catanzaro, da ente modello al rischio dissesto

    Problemi di natura diversa li ha invece Abramo, che si accinge a chiudere tra ben poche glorie il suo ciclo da sindaco e da presidente della Provincia di Catanzaro. L’ente che visse un’epoca descritta come d’oro con Michele Traversa e poi con Wanda Ferro era considerato infatti un modello di buona amministrazione. Fin quando, proprio con Abramo, è scoppiata la bolla dei derivati, operazioni di swap contratte nel 2007 (con Traversa) per oltre 216 milioni di euro e ora annullate in autotutela da Abramo. Che si ritrova con la grana dei ricorsi presentati al Tar dalle banche, e con il rischio del dissesto e di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi dei dipendenti.

    Sede_Provincia_di_CatanzaroSulle disgrazie politiche del centrosinistra un po’ ovunque e da ultimo a Cosenza, così come sull’esordio non felicissimo della presidente Succurro che ha subito assegnato un incarico (gratuito) al marito, non serve indugiare oltre. Può invece essere utile ragionare sui contorni del limbo politico-amministrativo in cui sono stati costretti questi enti, schiacciati tra Regioni e Comuni e menomati da interventi legislativi molto discutibili.

    Cinque miliardi in meno per le Province

    Partiamo dai tagli, iniziati già dal 2010 e dunque ancora prima della Delrio. Secondo uno studio della fondazione Openpolis ammontano a ben 5 miliardi di euro i trasferimenti statali decurtati negli anni. Con una conseguenza prevedibile: «Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%)».

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    La sede dell’ex Provincia, oggi Città metropolitana, di Reggio Calabria

    La Calabria si contraddistingue per un forte accentramento verso la Regione delle funzioni che erano prima delle “vecchie” Province. Unica eccezione la Città metropolitana, che ne ha invece mantenute molte. Per farsi un’idea dell’importanza che invece hanno le poche funzioni rimaste oggi in capo alle “nuove” Province è sufficiente menzionare due settori chiave.

    Due settori chiave

    Innanzitutto la manutenzione dell’edilizia scolastica: si parla a livello nazionale di 5.179 edifici (che ospitano di 2,6 milioni di studenti), il 41,2% dei quali si trova in zona a rischio sismico. Nella nostra regione il 10,4% risulta vetusto, il 3,8% è in zona sottoposta a vincolo idrogeologico. E poi le strade provinciali, una di quelle cose che attirano su questi enti maledizioni e improperi perfino dai cittadini più morigerati. In Calabria le Province gestiscono 7.713 km di strade, molte delle quali in zone di montagna e disagiate: il 44,75% dei 2.578 km di strade della Provincia di Cosenza è sopra i 600 metri sul livello del mare, così come il 47,34% (su 1.690 km totali) di quella di Catanzaro, il 30,5% (su 818 km) di quella di Crotone, il 25% (su 875 km) di quella di Vibo e il 16,95% (su 1752 km) di quella di Reggio.

    Il paradosso delle nuove Province

    Dare risposte alle giuste rivendicazioni degli utenti, in queste condizioni e con pochi fondi a disposizione – le tasse principali che vanno alle Province sono quelle per Rc e trasferimento dei veicoli – diventa dunque complicato. E il problema del passaggio delle funzioni – e dei beni ad esse collegati – resta completamente irrisolto. La Delrio nasceva come norma transitoria verso il (poi fallito) referendum renziano del 2016 che avrebbe dovuto eliminare le Province dalla Costituzione. Invece quella legge, che doveva essere provvisoria, disciplina ancora oggi il funzionamento di questi enti.

    Nel frattempo la retorica dei tagli ha prodotto un altro paradosso: sono nati moltissimi nuovi enti (circa un migliaio tra unioni di Comuni, autorità di bacino, consorzi e quant’altro) proprio per aiutare i Comuni nella cogestione dei servizi. Un decennio di propaganda e di sperimentazioni normative sulle Province ha dunque generato un evitabile caos istituzionale. E un vuoto riempito solo dall’inettitudine delle classi dirigenti nazionali e locali.

  • Aiko, Giuseppe e le api: miele e sushi da Tokyo ad Aprigliano

    Aiko, Giuseppe e le api: miele e sushi da Tokyo ad Aprigliano

    «Scusi, sa dove si trova la Apricus
    «Chi?!?»
    «Gli apicoltori!»
    «Ma chi, Aiko? La giapponese? Seguitemi, vi accompagno»

    Quando anche Google Maps si era arreso al dedalo di viuzze di una delle tante contrade di Aprigliano, dal finestrino della sua auto un uomo fa segno di seguirlo, superando quello che sembrava un confine oltre il quale il mondo finisce. E invece la strada si fa sterrata, costeggia un burrone e poi si affaccia sulla vallata.

    Bisogna rallentare, fermarsi. È una terrazza naturale sulla valle del Crati con l’eco del fiume che gorgheggia in basso, il verde interrotto dalle macchie bianche dei fiori di erica, il contorno delle montagne incastrato nel blu del cielo. Aiko e Giuseppe ci vengono incontro con larghi sorrisi, indossano gli scafandri gialli. Sembrano astronauti sbarcati su un nuovo pianeta. Poco più giù ci sono le arnie colorate disposte le une accanto alle altre. «Questo è il nostro mondo. È qui che trascorriamo le nostre giornate. È la vita che abbiamo scelto, seguendo quello che più ci piaceva» – dice Aiko.

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    Un amore calabro-giapponese nato in Irlanda

    Aiko Otomo è una cuoca e apicoltrice giapponese naturalizzata in Calabria. Nella prima parte della sua vita viveva a Tokyo e faceva l’infermiera. Nel 2001 si trasferisce in Irlanda per imparare l’inglese. Qui incontra Giuseppe De Lorenzo, anche lui è in Irlanda per studiare. «Ci siamo innamorati e quindi da quel momento in poi non ho più imparato l’inglese, ma l’italiano», dice con il candore di una bambina. Le loro vite s’intrecciano, tornano in Italia, prima in Emilia Romagna, poi si trasferiscono in Sardegna. Aiko tiene dei corsi in cui insegna a preparare il Sushi, che va tanto di moda in Italia in quegli anni. Giuseppe è un’insegnante. Ma la passione comune è quella per la natura.

    «Cercavamo un posto in cui impiantare un apiario – racconta Giuseppe – quindi cinque anni fa abbiamo deciso di tornare in Calabria dove io avevo questi terreni ereditati dai miei nonni. Si trovano in una posizione ideale per il nostro progetto, ci siamo detti che era il luogo giusto. Tornare in Calabria, fare qualcosa di bello nel mio paese di origine, è perfettamente in linea con la nostra idea di puntare sulla biodiversità, preservare questa terra, perché la Calabria ne ha bisogno».

    Per godere dello spettacolo della vita negli alveari è necessario equipaggiarsi e poi superare ogni reticenza, avvicinarsi, mettere il naso nella routine delle api, lasciarsi ipnotizzare dal bombito che prima è ronzio e poi diventa musica. Ma bisogna stare attenti, «oggi le api sono nervose, forse per via del vento», avverte Giuseppe. Nella vallata le fronde degli alberi ondeggiano, ma il lavoro negli alveari prosegue nonostante tutto. «Adesso è un paradiso, ma quando siamo arrivati era una discarica: c’erano carcasse di auto rubate e spazzatura, abbiamo bonificato e trasformato il terreno e oggi qui produciamo tre tipi di miele, cera, polline e propoli».

    Sushi calabrese ad Aprigliano

    Quando Aiko non si occupa delle api, è ai fornelli. Sperimenta, contamina la cucina giapponese con ingredienti calabresi. Partecipa ad eventi in cui presenta percorsi gastronomici originalissimi: il morsello giapponese, il sushi con erbe spontanee o formaggi dei caseifici locali, una rivisitazione dei dorayaki con il fagiolo poverello di Mormanno e le fragole di Curinga, ravioli al vapore col suino nero di Calabria, yakimeshi con la cipolla di Tropea, shumai di maiale con lo zafferano di Castiglione. «Semplicemente cucinare non mi diverte – dice – a me piace farlo utilizzando ingredienti nuovi, magari sperimentare utilizzi inediti di prodotti a km 0 o anche meno».

     

    Quando è quasi ora del tramonto in pochi minuti sull’erba è servita una colazione a base di tè verde con riso integrale tostato e matcha e deliziosi dorayaki con crema a base di borragine, una pianta che cresce spontanea a queste latitudini.
    L’ospitalità calabro-nipponica viene amplificata dalle loro risate e dai loro sguardi d’intesa. «Ci piace vivere qui, abbiamo trovato un equilibrio e il nostro ritmo è quello della natura» – dice Aiko. «Il suono delle api è magico, è rilassante, molti credono abbia proprietà curative. A un certo punto non si riesce più a farne a meno».

    Apicoltori idealisti

    Il legame col Giappone resiste attraverso la cucina, la passione per la calligrafia, gli amici che vengono in Italia a trovarla e i ciliegi, che fioriscono anche da queste parti e la fanno sentire a casa.
    «Io e Aiko ci siamo innamorati dalle api e siamo impegnati a curarle. Non è semplicemente un lavoro, ma una missione. Vogliamo dare il nostro contributo perché sono a rischio estinzione» spiega Giuseppe. «L’apicoltura è essenziale per la vita sulla terra. Le api stanno morendo e hanno bisogno del nostro aiuto, per questo è necessario difenderle».

     

    Un impegno che si concretizza anche attraverso iniziative e progetti di sensibilizzazione sull’importanza della biodiversità. La prossima tappa di questo percorso sarà il 20 maggio, in occasione della Giornata mondiale delle api. Tra Rogliano e ad Aprigliano si terranno convegni, seminari, corsi di apicoltura, jam session, degustazioni di miele, passeggiate nella valle del Savuto e fra le sorgenti del Crati.
    Il sole sta calando, le api si rintanano nelle arnie per riposare, cominciano a vedersene sempre meno intorno alle piante. Sembra che tutto finisca e invece è solo il momento di raccogliere nuove energie.

  • Manna non faccia come Sandro: ora Rende sposi Cosenza

    Manna non faccia come Sandro: ora Rende sposi Cosenza

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    Una serie di articoli pubblicati da I Calabresi affronta il tema, che mi sta tanto a cuore, di uniformare la città Cosenza Rende.
    L’amico Massimo Veltri mi ha sollecitato di intervenire per contribuire a promuovere azioni politiche e amministrative dirette a rivitalizzare il centro storico di Cosenza e sostenere l’Università della Calabria, condizioni necessarie per unire Cosenza e Rende.

    Cosenza vecchia-i calabresi
    Il centro storico di Cosenza

    Da pochi giorni, grazie all’amministrazione del sindaco Marcello Manna, anch’io sono diventato cittadino di Rende, la città che ho disegnato per più di vent’anni, a partire dai primi anni 60’ fino alla metà degli anni 80’ del secolo scorso.
    Un disegno, quello originario di Rende, contenente una normativa diretta a realizzare una città parco coniugata con il capoluogo in modo omogeneo e unitario incentrata sull’interscambio gomma ferro.

    Cecchino Principe e Giacomo Mancini

    Un risultato ottenuto sul piano tecnico per merito del sindaco Francesco Principe, che dopo il disegno del piano di Rende mi autorizzò a partecipare al piano di Cosenza coordinato da Marcello Vittorini. Nasceva così l’impianto omogeneo e unitario della città Cosenza Rende facilitato nella realizzazione delle super strade e autostrade propiziate da Giacomo Mancini.

    La visione urbana di Marcello Vittorini estendeva linearmente l’impianto del primo piano di Rende e il suo autorevole parere convinse Giacomo Mancini ad accettare il sito di Rende, il luogo suggerito da me e proposto da Francesco Principe dove realizzare l’Università della Calabria.

    I due magneti e il contraccolpo

    Collocare l’Università residenziale assegnata a Cosenza nella parte terminale del territorio di Rende garantiva la continuità dell’asse attrezzato, il campo urbano tra le due strade statali 19, parallelo alla ferrovia. Ma determinava un contraccolpo negativo per il centro storico di Cosenza, indirettamente ne favoriva l’abbandono.

    Ad oggi, come è stato più volte rilevato dai precedenti interventi, la situazione nel campo urbano di Cosenza Rende è la seguente: vi sono due rilevanti magneti urbani, uno è il centro storico di Cosenza praticamente spento, l’altro è il magnete urbano ancora attivo composto dall’Università. Un disegno intelligente di pianificazione urbana dovrebbe puntare a riattivare il magnete urbano del centro storico di Cosenza e nel contempo sostenere l’attività del magnete urbano dell’Università.

    Manna deve fare l’opposto di Sandro Principe

    Ora che sono cittadino di Rende posso dare dei suggerimenti al sindaco Marcello Manna affinché promuova il restauro del centro storico di Cosenza, ponga rimedio alla decrescita di Cosenza, rilanci il disegno omogeneo e unitario della città Cosenza Rende, restituisca parte dei vantaggi derivati a Rende dalla presenza dell’Università, assegnata a Cosenza.

    Principe e Manna nel loro più celebre duello televisivo

    Riattivare il centro storico di Cosenza è essenziale per Rende e per sostenere l’attività dell’Università. È essenziale potenziare l’Accademia Cosentina, le Biblioteche, il Duomo e tutte le altre attività culturali presenti nel centro storico di Cosenza come prima azione di rigenerazione urbana di interesse nazionale.

    Per riattivare il centro storico di Cosenza occorre connetterlo con l’Università in modo da rendere accessibili i due magneti urbani più significativi della Calabria. Significa in breve adottare un comportamento urbano opposto di quello praticato dal sindaco Sandro Principe quando mirava a fare di Rende un’isola, una città universitaria “con un numero di abitanti uguale al numero degli studenti”.

    Cosenza Rende, la capitale culturale della Calabria

    Se Rende cambia strategia e si coniuga con Cosenza e Cosenza, a sua volta, promuove seriamente il restauro del centro storico e realizza il riuso della ferrovia da Cosenza Casali alla stazione di Quattromiglia, basterà attrezzare con navette l’accesso alle dette stazioni dai due magneti urbani per connettere centro storico e università con il trasporto pubblico.

    L’interno della Biblioteca civica di Cosenza

    Se il disegno omogeneo e unitario tra Cosenza e Rende si ripropone, si riattiva il magnete urbano del centro storico, si potrà garantire il riassetto dell’asse attrezzato, il sostegno del magnete urbano dell’Università, e si potrà ambire, grazie anche alla posizione geograficamente baricentrica della città Cosenza Rende all’interno del territorio regionale, a conquistare il ruolo di capitale culturale della Calabria.

    Empio Malara

  • L’Unical, Rende e la decrescita infelice di Cosenza

    L’Unical, Rende e la decrescita infelice di Cosenza

    La cittadinanza onoraria di Rende all’architetto Empio Malara ha fatto andare su tutte le furie Sandro Principe. Dal canto suo l’urbanista che ha dato il volto alla città d’oltre Campagnano dell’era Cecchino Principe, ha risposto per le rime. La polemica ha avuto almeno il merito di riportare all’attenzione il dibattito sulla città unica tra Cosenza e Rende e gli altri, Unical compresa.

    Cosenza ormai caduta in basso da molti anni: perde abitanti ed è meno vivibile. Una decrescita infelice a tutto vantaggio di Rende. Lo stato delle cose della città di Telesio è raccontato in un video dall’architetto Pino Scaglione, che insegna Progettazione urbana all’Università di Trento. Un quadro senza sconti: Cosenza sempre più in basso, l’Unical che di fatto si disinteressa della questione dell’area urbana e Rende che gongola. Ma fino a quando?

     

     

     

  • Palazzo dei Bruzi, fantasmi in Giunta: record di atti annullati

    Palazzo dei Bruzi, fantasmi in Giunta: record di atti annullati

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    Nove delibere di Giunta nello stesso giorno tutte annullate, con ogni probabilità, a Cosenza non si erano mai viste finora. Ma per tutto c’è una prima volta e a intestarsi il record sono Franz Caruso e i suoi assessori. Sono loro i protagonisti di una seduta (e dei relativi atti) che, forse perché si è svolta l’1 aprile, sembra quasi uno scherzo. Se finora i cittadini conoscevano concetti come il silenzio-assenso adesso dovranno confrontarsi con uno ben più all’avanguardia: i presenti-assenti.

    La Giunta del primo aprile a Cosenza

    Ma torniamo alla Giunta dell’1 aprile, perché quel giorno a Palazzo dei Bruzi c’era parecchio di cui parlare. Tant’è che di sedute se ne sono tenute due, una la mattina e l’altra il pomeriggio. Gli argomenti all’ordine del giorno erano, appunto, nove:

    • il programma della Fiera di San Giuseppe 2022
    • il regolamento sugli oneri di urbanizzazione
    • la firma di un protocollo green
    • gli scuolabus
    • gli interventi contro il rischio frana a via Petrarca
    • la gestione del canile
    • la donazione di una statua in ricordo delle vittime dei bombardamenti del ’43
    • l’attivazione del tempo pieno in un grosso istituto scolastico cittadino
    • la necessità di un prelievo inatteso di circa 350.000 euro dalle (magre) riserve comunali.

    Presenti e assenti

    In sala c’è anche il neo segretario generale Virginia Milano, oltre a buona parte degli assessori. Nell’elenco dei partecipanti in ognuna delle nove delibere che produrrà la seduta si legge che a mancare sono solo Maria Teresa De Marco e Francesco Giordano. Gli altri otto – Franz Caruso incluso – stando alla lista rispondono tutti «presente» all’appello, anche se un paio collegandosi via internet da altrove. I due in videoconferenza sono Massimo Battaglia e il vice sindaco Maria Pia Funaro. O, meglio, sarebbero. Dieci giorni dopo dall’albo pretorio si apprende che in realtà Battaglia era assente. E che in sala – tantomeno in collegamento – non c’era neanche Veronica Buffone.

    I presunti presenti

    Gli assessori scomparsi

    Tutto sbagliato, tutto da rifare quindi. La Buffone in sala potrebbe essere stata un ologramma capace di ingannare i colleghi. O, più semplicemente, la X nella sua casella è finita per sbaglio su “presente”, può capitare. Battaglia potrebbe aver finto di partecipare da principio, per poi spegnere webcam e microfono e dedicarsi ad altro, salvo venire scoperto o confessare a distanza di giorni. Se una X al posto sbagliato, poi, può capitare, perché non due? Nel secondo caso, però, si accompagna alla scritta «Si precisa che il Vice Sindaco Maria Pia Funaro e l’Assessore Massimiliano Battaglia partecipano alla seduta in video-conferenza, ai sensi dell’art. […]» e l’ipotesi della crocetta fuori posto perde un po’ di credibilità.

    Giunta, Consiglio e regole anticovid a Cosenza

    L’assessore allora, forse, potrebbe essere assente per un’altra ragione: con la fine dello stato d’emergenza il 31 marzo dovrebbe venir meno la possibilità di partecipare alle Giunte da remoto. Per il Consiglio comunale e le commissioni consiliari è così, lo aveva comunicato il presidente dell’aula Catera, Giuseppe Mazzuca, ai colleghi il 29 marzo. Permettere la Giunta (una dozzina di partecipanti, burocrati inclusi) a distanza e obbligare al Consiglio (una quarantina abbondante di politici a cui aggiungere uscieri, funzionari, municipale, giornalisti, eventuale pubblico) in presenza nello stesso comune dà l’idea del controsenso. L’assenza di Battaglia “perché in collegamento dopo il 31 marzo” parrebbe più plausibile, quindi.

    Non c’è due senza tre?

    Fatto sta che una raffica di annullamenti si abbatte sulle delibere del primo aprile. Tutti riportano come motivazione l’utilizzo di una «dicitura errata». Per rimarcare il concetto, nel caso non si capisca, gli uffici ci inseriscono pure qualche refuso extra: «assessori M. Battaglia e V. Buffone solo (sic) assenti», «in quanro asessori (sic) M. Battaglia e V. Buffone solo assenti». Fino al capolavoro: «annullato per dicitura errata assesssori (sic) M.Battaglia e», con Buffone scomparsa di nuovo. E pazienza se gli assenti erano di più e uno di loro era dato per presente.

    Se fosse davvero stata la partecipazione a distanza a non valere per Battaglia, infatti, allora sarebbe stata assente (almeno in teoria) anche Funaro, collegata da remoto come il collega secondo i documenti. Fosse così, andrebbero annullati pure gli annullamenti. E annullare l’annullamento di un atto non farebbe tornare valido l’atto stesso? A quel punto toccherebbe anche annullare le nove delibere approvate oggi per sostituire le vecchie? Sembra roba da Le 12 fatiche di Asterix. Ma ci scapperebbe l’ingresso nel Guinness dei primati.

    La realtà è un’altra ancora. Innanzitutto, alle sedute non ha mai partecipato nessuno in video-conferenza, né la mattina né il pomeriggio. Durante la prima, in cui si è parlato di tutto tranne della Fiera, c’erano tutti fisicamente, tranne De Marco e Giordano. Alla seduta del pomeriggio, invece, mancavano in quattro: gli assenti di qualche ora prima, più Battaglia e Buffone. E Funaro era presente sul posto entrambe le volte, anche se nelle motivazioni degli annullamenti nessuno ha ritenuto di citare l’errore che la faceva figurare in videoconferenza. Questa l’ultima versione ufficiale sull’albo pretorio, stando alle delibere ripubblicate. A meno che non annullino anche quelle, s’intende.

  • Irtolandia: il nuovo Pd puzza già di vecchio, inciuci e sardine

    Irtolandia: il nuovo Pd puzza già di vecchio, inciuci e sardine

    Un anno fa Nicola Irto era il candidato in pectore del centrosinistra alla presidenza della Regione Calabria. Sul suo nome, però, arrivò il veto del Movimento 5 Stelle. E il Nazareno, in virtù della ricerca spasmodica – più nazionale che locale – di una alleanza organica con i grillini, lo sacrificò. A nulla valse il supporto offertogli da Dalila Nesci, pronta a candidarsi a primarie di coalizione (suscitando le ire dei suoi colleghi).

    Irto si ritirò con tanto di nota polemica offerta alla stampa. «La volontà di militanti ed elettori è svilita», dichiarò. Per poi annunciare di non voler «starsene zitto e buono» e denunciare i «piccoli feudi» del Pd. Poco dopo ne divenne il segretario regionale al motto di “Rigenerare il Pd”. Ma il partito pare essere solo all’ennesima situazione di stallo dove regna il tutti contro tutti.

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    Francesco Boccia, responsabile enti locali del Pd

    Irtolandia, in attesa delle politiche

    Oggi, il Pd è “Irtolandia”, un mondo dove lo scenario politico interno che viene raccontato è quasi idilliaco. L’unanimismo (spesso forzato) nelle decisioni interne e nell’elargizione di pennacchi partitici riempie le rassegne stampa quotidiane con roboanti annunci di assunzioni di responsabilità.
    Il tutto è chiaramente funzionale alle imminenti elezioni politiche che vedranno lo stesso capogruppo regionale del Pd candidato capolista (probabilmente al Senato). Irto, attualmente impegnato in un tour sui territori di presentazione del suo libro, è già proiettato verso uno scenario extracalabrese. E pazienza se ad accompagnarlo sono i mugugni di alcuni suoi colleghi eletti a Palazzo Campanella.

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    L’ex ministro Peppe Provenzano e Jasmine Cristallo

    I possibili intoppi rappresentati dal vedersi catapultati rivali interni nazionali pare averli scongiurati. Francesco Boccia è commissario regionale del Pd in Puglia e Stefano Graziano candidato segretario regionale del Pd campano. Con tali cariche avranno certamente diritto di opzione nei listini bloccati delle rispettive regioni. Ma per Irto sarà comunque complicato tenere le redini del partito con una lotta tra possibili “quote rosa” imposte da Roma e dirigenti locali, dato il risicato numero di posti per il Parlamento.

    Dema e Cristallo

    Il Nazareno, soprattutto per via dell’ex ministro Peppe Provenzano, tenta in tutti i modi di trovare spazio alla “sardina” di Catanzaro, Jasmine Cristallo. Il suo omologo bolognese, Mattia Santori, è consigliere comunale e si occupa di oche e frisbee. Lei è prima finita (con sorpresa dei più) nell’ormai noto sondaggio commissionato da Roma sui papabili candidati sindaci di Catanzaro espressi dal Pd. Poi avrebbe “suggerito” (tramite Boccia) al candidato sindaco Nicola Fiorita di offrirle un qualche ruolo nella campagna elettorale. Da qui al listino, però, ce ne passa. Certo è che se Fiorita dovesse diventare sindaco potrebbe essere suo grande sponsor. Sarà questo uno dei motivi del “boicottaggio” dei dem al “loro” candidato sindaco? Si vedrà.

    Altra questione è Luigi de Magistris, radicato praticamente “solo” in Campania ed in Calabria. Il centrosinistra a trazione Pd potrà concordare qualche patto di non belligeranza, inglobando qualche candidato dell’ex pm (la cosentina Anna Falcone?) in virtù del decantato campo largo? Sulla carta un accordo simile è già in atto nel capoluogo di regione, dove Dema e il Pd andranno a braccetto. Difficile, però, che l’uscente-effervescente Enza Bruno Bossio non usi (politicamente) il bazooka per farsi spazio, unitamente alle altre donne interne al Partito con l’ambizione di un giro di giostra in Parlamento.

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    Stefano Graziano, ex commissario del Pd in Calabria

    Ciao ciao Graziano

    Unica nota accolta con sollievo unanime all’interno del Pd è il bye bye a Stefano Graziano. Dell’ormai ex commissario regionale del Pd per ben tre anni, con in mezzo due elezioni regionali stra-perse, non rimarrà certo un buon ricordo tra i militanti, eccezion fatta per le portaborse di Amalia Bruni, da lui stesso indicate. Oltre alle elezioni calabresi, Graziano perse pure la sua in Campania nell’autunno del 2020. E dire che a sostenerlo c’erano vari big locali del suo partito: il sindaco di Caserta e presidente dell’Anci Campania, Carlo Marino; il vicesindaco Franco De Michele, presidente dell’Ente Idrico; il consigliere comunale e membro del C.d.a. del Consorzio Asi, Gianni Comunale.

    Graziano, però, è stato subito “recuperato” da Vincenzo De Luca quale suo consulente. Farà l’“Esperto del Presidente in materia di Analisi e programmazione economica degli interventi inerenti alle Reti ed Infrastrutture di interesse strategico regionale”. Oggi, proprio lo stesso De Luca lo sta fortemente sponsorizzando come segretario regionale a seguito delle dimissioni di Leo Annunziata. Andasse in porto, si archivierebbe nei fatti la sua candidatura in Calabria come “risarcimento” per il lavoro svolto nel triennio da commissario regionale.

    I feudi ci sono ancora: il caso Vibo

    Nonostante la mediatica narrazione del Pd come “IrtoLandia” e i congressi celebrati con la curatela del Nazareno che ha imposto l’unanimità nell’assunzione delle varie cariche, sui territori continuano ad esserci quei feudi che Irto aveva denunciato giusto un anno fa. E la situazione non si accinge certo a migliorare.

    Emblematico è il caso del Pd di Vibo Valentia, rimasto orfano del capogruppo in consiglio comunale, Stefano Luciano. «Sono grato a Nicola Irto per avermi scelto in direzione regionale del Pd, ma quanto verificatosi recentemente nel partito cittadino e provinciale non mi ha lasciato sereno, perché ogni spinta verso un radicale cambiamento è stata impedita in ogni modo e con ogni forza», ha dichiarato Luciano prima di abbracciare Azione di Carlo Calenda qualche giorno fa.

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    Giovanni Di Bartolo, segretario provinciale del Pd a Vibo Valentia

    Rigenerazione sì, ma dei parenti

    Già, perché in città è prevalsa la linea di Francesco Colelli e Fernando Marasco (provenienti da Sinistra, ecologia e libertà) e Carmelo Apa, proveniente da Rifondazione Comunista.
    Non certo una “Rigenerazione”, per dirla con Irto, ma il riproporsi delle stesse facce o dei loro parenti. È il caso del consigliere comunale del Pd Stefano Soriano, figlio di Michele, già candidato a sindaco in quota dem nel 2010. Ma anche del consigliere provinciale Marco Miceli che, seppur iscritto al gruppo “Vibo Democratica” (strizzando l’occhio al M5S), ha come padre un dirigente cittadino di lungo corso del Pd (ha guidato la commissione di garanzia dell’ultimo congresso).

    A livello provinciale il “pennacchio” di segretario è andato, invece, a Giovanni Di Bartolo, studente universitario, classe ’96, già “social media manager” dell’ex deputato Brunello Censore. La presidenza del Partito, invece, è toccata all’ex consigliere regionale Michele Mirabello, anche lui ex pupillo di Censore e già segretario provinciale del Partito nel 2013. Per l’uscente segretario provinciale Enzo Insardà, infine, è arrivato il posto di tesoriere regionale del Partito.

    L’ambiguo rapporto con Solano

    A “rigenerarsi” con questo nuovo Pd è certamente il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Salvatore Solano, imputato per corruzione, concorso nel minacciare gli elettori e turbata libertà degli incanti con l’aggravante mafiosa nell’ambito del processo della Dda di Catanzaro “Petrolmafie”.
    Già, perché la consigliera provinciale del Pd Maria Teresa Centro ha accettato di buon grado la delega offertale da Solano (che, ricordiamo, è stato eletto con Forza Italia), unitamente al citato Miceli, supportata dal collega di gruppo comunale Giuseppe Policaro, anch’esso grande supporter di Solano. Insomma, qui il nuovo Pd inciucia quanto e come il vecchio.

    A Catanzaro ritorno al passato

    Una versione amarcord del Pd arriva pure dal Catanzarese. Sui tre colli hanno “incoronato” segretario l’ex consigliere comunale Fabio Celia, che è stato il primo coordinatore del Pd cittadino nel 2010. Dodici anni fa scriveva: «Basta con chi ha generato la morte della politica di centrosinistra in città; basta con chi ha costruito lobby di potere per gestire la politica dell’interesse e dell’affermazione di sé e dei propri amici». Un ottimo intento, che pare cozzare, però, con l’aver piazzato suo cognato Giuseppe Correale prima come portaborse di Francesco Pitaro e ora di Ernesto Alecci.

    Come primo atto, Celia ha nominato un direttivo dal quale nell’immediato si è dimesso più d’uno in dissenso con la linea del Partito. Non proprio un buon inizio. La nomina di Celia è arrivata dopo il passo indietro di Salvatore Passafaro, figlio di ex consigliere comunale, già coordinatore cittadino del Pd  – e futuro capolista, qualora i dem abbiano la forza di stilare una lista alle prossime amministrative nonché protagonista delle primarie farsa (con tesseramento fasullo) del 2019.

    Come segretario provinciale, archiviata la tragicomica era Cuda, è stato collocato Domenico Giampà. Il sindaco di San Pietro a Maida, protagonista della faida per la segreteria provinciale con Enzo Bruno a suon di ricorsi del 2013, è un ex portaborse dell’assessore all’Ambiente Roberto Musmanno, fedelissimo di Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo. Il Pd a guida Giampà ha confermato come presidente l’ex primo cittadino di Satriano, Michele Drosi, già portaborse dell’assessore regionale Francesco Russo nell’era Oliverio.

    Ernesto Alecci, consigliere regionale del Pd

    Il nuovo Pd che guarda a destra

    Piccolo particolare: come membro della direzione regionale il Pd catanzarese ha nominato Eugenia Paraboschi, figlia dell’ex presidente della commissione di garanzia del partito catanzarese, storico comunista di Marcellinara. È proprio in questo paese che Eugenia è stata candidata ed eletta con “Marcellinara da Vivere”, lista di centrodestra con candidato a sindaco l’allora vicepresidente della provincia in quota Forza Italia, oggi consigliere regionale di Fdi, Antonio Montuoro. La Paraboschi correva contro il segretario cittadino del Pd di Marcellinara, Giovanni Torcasio, ed è ancor oggi nel gruppo consiliare con l’esponente dei meloniani. Insomma, c’è molta confusione in questo “nuovo Pd”. Tanto che, in vista delle comunali del capoluogo, molti suoi esponenti hanno già virato a destra con Valerio Donato, chi ufficialmente, chi in maniera felpata.

    A Cosenza tutto rimandato

    A non cedere fino ad oggi all’unanimismo forzato che è stato imposto nelle varie province è stata la federazione del Pd cosentino, che esprime la deputata Enza Bruno Bossio.
    La Commissione nazionale di garanzia ha annullato le fasi propedeutiche alla celebrazione dei congressi alla luce dei vari ricorsi presentati. Tutto rimandato a maggio, in attesa che Bruno Bossio, Bevacqua, Zagarese, Locanto e Iacucci, con la tutela nazionale imposta per il tramite del funzionario Riccardo Tramontana, trovino la quadra.

    Nel mezzo, però, ci son state le elezioni provinciali di Cosenza, che hanno visto vincere il centrodestra di Rosaria Succurro. Il sindaco di Corigliano-Rossano, Flavio Stasi, ha punzecchiato: «Bisognerebbe riflettere su quanti e sulle ragioni di chi, seppur del centrosinistra o del PD, hanno votato centrodestra, visto che è aritmeticamente accertato». Per questa resa dei conti c’è da attendere.
    Intanto il tour di Irto continua, di feudo in feudo.

    La parlamentare del Pd, Enza Bruno Bossio