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  • Antonello Antonante: dal teatro tenda di Giangurgolo fino alla comunità dell’Acquario

    Antonello Antonante: dal teatro tenda di Giangurgolo fino alla comunità dell’Acquario

    Ci sono giorni duri, di quelli in cui non basta nascondersi. Ieri Cosenza ha perso due figure straordinarie della propria storia recente. Quasi contemporaneamente alla morte di Franco Dionesalvi, poeta e intellettuale immerso nell’azione politica, se n’è andato anche Antonello Antonante, attore, autore e regista teatrale.

    Antonello Antonante e la tenda di Giangurgolo

    In un colpo questa città ha perso due protagonisti di una stagione culturale e politica ormai decaduta e lontana. Ma i fermenti che ancora agitano le idee, le visioni e i progetti attuali sono i semi di quel tempo fertile. Dove oggi sorge una banca, una volta c’era un teatro sotto una tenda da circo, con le sedioline di legno scomode, gli spettacoli coraggiosi, il pubblico estasiato. Era la tenda di Giangurgolo, di cui Antonante era uno dei protagonisti. Le storie di quelle persone non sono fatte solo di recite, ma di battaglie vere, per tenere vivo un alito di cultura. Furono quelle persone e Antonello tra loro, a portare a Cosenza il Living Theatre, la recitazione della compagnia teatrale sperimentale di New York travolse corso Mazzini, stupì, scandalizzò, scosse i cosentini, li sedusse, li attrasse, li lasciò sgomenti.

    Ma la stagione della Tenda di Giangurgolo era al suo termine e Antonello Antonante cominciò a pensare a un teatro stabile. Trovarono un enorme magazzino su via Galluppi. Si trattava di un deposito di medicinali e per giorni il lavoro comportò lo sgombero di tutto quel materiale. Solo dopo e lentamente quello spazio prese le sembianze di un teatro. Era nato l’Acquario. Sulle tavole di legno di quello spazio salirono in tanti, esponenti nazionali e stranieri, piccole esperienze locali.

    Dario Fo e Antonello Antonante

    Dall’Acquario al Rendano

    In quel teatro risuonarono le voci di Dario Fo e Franca Rame, di Paolo Rossi e Paola Borboni, di Toni Servillo e Alessandro Bergonzoni. Ma anche la compagnia del centro Rat viaggiò molto, con tournée in Polonia, Armenia, Danimarca, Inghilterra, Svezia, Stati Uniti, Malesia, Svizzera, Tunisia. Erano i tempi dei viaggi fatti a bordo di un furgone scassato, della battuta gridata passando davanti al Rendano che annunciava che un giorno o l’altro quel teatro sarebbe stato loro. E in parte fu davvero così, quando sotto la sindacatura di Salvatore Perugini, Antonello Antonante fu chiamato a fare il direttore artistico del teatro della città.

    Un cosentino alla guida del Rendano, quello che molti anni prima, durante la notte di Natale, per salvare il suo teatro sotto una tenda da circo era salito su una impalcatura attaccata ad un palazzo vicino per spiegare dalla finestra a uno scemo che non doveva buttare petardi, altrimenti sarebbe andato tutto a fuoco. Immaginate la scena: Antonello che bussa alla finestra di una famiglia per dire che certe cose non si fanno. Era teatro pure quello. Ed era magnifico.

  • Centrodestra alla resa di conti: faide, inciuci e batoste mentre Occhiuto tace

    Centrodestra alla resa di conti: faide, inciuci e batoste mentre Occhiuto tace

    Il centrodestra calabrese ha scelto i cavalli sbagliati su cui puntare alle Amministrative di questi ultimi tre anni. Nonostante abbia “sbancato” per due volte di seguito alle Regionali, nei capoluoghi di Provincia “roccaforti” della destra, come Cosenza e Catanzaro, ha ceduto lo scettro a coalizioni di sinistra. Certo, alla gauche non sono mancati “aiutini” dal campo avverso. Ora “sottobanco”, ora con litigi, divisioni e ripicche. Protagonista, in entrambi i casi, un notabilato che inizia ad arrancare in vista delle Politiche. Saranno queste ultime a rappresentare la vera resa dei conti interna al centrodestra in corso da mesi.

    La carta del “Papa straniero” a Reggio

    Quasi due anni fa il tavolo nazionale del centrodestra vedeva Matteo Salvini, forte del vento in poppa e del voto d’opinione raccolto alle Regionali calabresi del 2020, puntare i piedi per realizzare un sogno: avere un sindaco leghista a Reggio Calabria. Fumo negli occhi per il deputato azzurro Francesco Cannizzaro. Quest’ultimo bramava di piazzare un suo uomo, invece ha dovuto subire il “Papa straniero” Nino Minicuci, originario di Melito Porto Salvo e già direttore generale del Comune di Genova. Ed è proprio in Liguria che Minicuci ha trovato i suoi maggiori sponsor politici, dal segretario regionale della Lega, Edoardo Rixi, al presidente di Regione, Giovanni Toti.

    Antonino Minicuci
    Antonino Minicuci

    Vantava una notevole esperienza tecnica Minicuci. Però non gli ha garantito una volata per sfilare Reggio Calabria a quel Giuseppe Falcomatà che ben pochi (anche tra i suoi) volevano veder rieletto. In primis per il “caso Miramare”, che lo ha portato alla sospensione dalla carica dopo la condanna in primo grado nel relativo processo.

    Al primo turno Minicuci prese il 7,1% in meno rispetto alle sue 10 liste, mentre al ballottaggio straperse a favore del candidato del Pd. «Non ha vinto Falcomatà, ma abbiamo perso noi e la responsabilità è di tutti» dichiarò Cannizzaro in conferenza stampa, Una non troppo velata stoccata contro il senatore Marco Siclari. «Io non ho fatto neanche un giorno di mare mentre qualcuno è andato alle Eolie», aggiunse riferendosi al suo avversario interno. Ossia quello che, con la deputata Maria Tripodi, si era schierato subito a favore del “Papa straniero”.

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    Cannizzaro e la vice presidente della Giunta regionale, sua cugina Giusy Princi

    Profumo di sgambetto nel centrodestra reggino

    Nonostante la sospensione del sindaco per la Severino, l’inchiesta per i brogli elettorali e vari scossoni politico-partitici il centrosinistra governa ancora la città in riva allo Stretto con relativa tranquillità. Ma accade perché in Forza Italia i notabili (i citati Siclari e Tripodi, ma anche l’ex consigliere regionale da 10mila preferenze Domenico Giannetta) sono troppo impegnati a de-Cannizzarizzare il partito in vista delle Politiche. Insomma, sgambetti in vista per “Ciccio Profumo”, nonostante il pennacchio da responsabile di Forza Italia per il Meridione. E nonostante  abbia intascato già la nomina come vice di Roberto Occhiuto per sua cugina Giusy Princi.

    A Crotone briciole e pagnotte

    Coeva alla disfatta leghista a Reggio Calabria è stata quella del centrodestra crotonese. A guidarlo era il deputato azzurro (subentrato proprio nel 2020) Sergio Torromino, coadiuvato dal coordinatore cittadino di FI e oggi portaborse di Valeria Fedele, Mario Megna.
    Fi, Lega e Fdi puntarono sull’avvocato Antonio Manica. Noto professionista, ma politico non trainante, tant’è che al primo turno prese l’8,2% in meno delle sue dieci liste che arrivarono al 49,8%.
    Risultato: Manica al ballottaggio prese oltre 4.500 voti in meno rispetto al primo turno. E a imporsi fu il primo (e unico) sindaco arancione della Regione, Vincenzo Voce, espressione del Movimento “Tesoro Calabria” di Carlo Tansi.

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    Vincenzo Voce, sindaco di Crotone

    In Consiglio comunale Fdi non entrò nemmeno, anche se oggi ha dei simpatizzanti nell’assise. La Lega invece perse la sua unica eletta, Marisa Cavallo, planata nel gruppo misto. La causa principale? I dissidi col commissario provinciale dl Carroccio, Cataldo Calabretta.
    E Forza Italia? Elemosina briciole. Anzi, pagnotte. Tutto nel tentativo (recentemente mancato) di entrare nell’esecutivo civico facendo da stampella ad un sindaco con numeri ballerini. Eppure, con la vittoria schiacciante alle ultime Provinciali che ha visto protagonista politico l’ex assessore Leo Pedace, il centrodestra pitagorico aveva di fronte a sé un governo cittadino alla canna del gas. Invece, la canna è diventata un boccaglio, fornito dal citato forzista Megna e i suoi sodali.

    L’anomalia cosentina

    Le comunali di Cosenza, invece, si sono tenute lo stesso giorno delle regionali che hanno portato Roberto Occhiuto alla Presidenza della Regione.
    Il candidato di Forza Italia, Lega, Fdi, Udc e Coraggio Italia è stato Francesco Caruso, già vicesindaco di Mario Occhiuto. Le sue liste al primo turno ottennero il 43,2%, in linea con il risultato del centrodestra alle regionali, pari al 43,7%. Il candidato, però, ebbe il 5,8% in meno delle otto liste a suo supporto. E si ritrovò come sfidante Francesco De Cicco, assessore in carica della sua stessa Giunta comunale. Lo stesso assessore che al secondo turno “abbracciò” Franz Caruso ed il Pd, sempre rimanendo in carica fino alla successiva nomina nel nuovo governo cittadino e risultando decisivo nella vittoria del centrosinistra.

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    Francesco Caruso e Mario Occhiuto durante la campagna elettorale

    Che Mario Occhiuto ed il centrodestra ormai guidato dal fratello Roberto abbiano puntato su un “pupillo” senza revocare dalla Giunta una spina nel fianco da quasi 5.000 voti odora di inciucio tra schieramenti formalmente avversi. Chissà se ricambiato con la successiva vittoria della sindaca di San Giovanni in Fiore e anche lei già assessora della Giunta di Mario Occhiuto, Rosaria Succurro, alle Provinciali bruzie.

    La debacle del centrodestra a Catanzaro

    Non serve dilungarsi, ne abbiamo recentemente parlato a più riprese. Nel capoluogo di Regione andato al voto poche settimane fa, è emersa plasticamente la scarsa capacità del notabilato regionale di puntare su un cavallo vincente. E con essa tutte le frizioni in vista delle politiche.
    Nell’arco della campagna elettorale a favore del docente di sinistra Valerio Donato, il centrodestra è passato da più fasi. La prima, quella in cui era certo di una vittoria marcata al primo turno. La seconda, in cui ha coltivato la speranza (poi realizzatasi) dell’anatra zoppa. Infine, quella della desolazione post ballottaggio.

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    Nicola Fiorita, professore universitario e nuovo sindaco di Catanzaro

    Oggi il sindaco è Nicola Fiorita. E in queste ore dai partiti di sinistra sta ricevendo più telefonate per posti in Giunta che voti alle elezioni, espressione del civismo di sinistra. Un successo, il suo, frutto non solo dell’attrattività della sua figura, ma anche delle faide interne al centrodestra. Che, pur sconfitto, rimane maggioranza nel tessuto sociale della città. Il neo-sindaco rischia di essere prigioniero del “campo largo” rimasto sulla carta. E c’è la possibilità che si veda imporre dal Nazareno la nomina della “sardina” Jasmine Cristallo come sua portavoce. La cosa causerebbe malumori alle decine di aspiranti assessori che ritengono di poter rientrare in quel concetto di “nomine di alto profilo” che Fiorita vorrebbe sia per la Giunta che per le altre caselle. Insomma, i nodi verranno presto al pettine.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Detto questo, la carta bianca data dalla Lega a Filippo Mancuso in questa campagna elettorale appena conclusa, non ha premiato. Così come il tentativo del coordinatore regionale di Fi, Giuseppe Mangialavori, di replicare l’esperienza delle comunali di Vibo Valentia del 2015 con Elio Costa, in cui i partiti del centrodestra si erano “mimetizzati” con sigle differenti dalle originali.

    Il Vibocentrismo regge

    L’avvocata Maria Limardo, dopo una candidatura alle elezioni regionali del 2010 con il Pdl e l’elezione sfiorata con ben 4.736 preferenze nell’allora collegio di Vibo Valentia, è divenuta sindaca di Vibo Valentia nel 2019 al primo turno (con quasi il 60% dei voti) con una coalizione trainata dal suo partito, Forza Italia e dal già citato Giuseppe Mangialavori.

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    Maria Limardo, sindaco di Vibo Valentia

    La Limardo è una mosca bianca di questo centrodestra incapace di esprimere amministratori locali di chiara matrice partitica. Netta nelle decisioni, riesce a gestire le fibrillazioni politico-partitiche senza esserne succube.  è sopravvissuta politicamente dopo lo scossone di Rinascita-Scott che portò la commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro a chiedere pubblicamente la fine della consiliatura (ricevendo, di fatto una pernacchia). E alle ultime regionali ha superato il brutto sgambetto al leader di una importante formazione politica che governa con lei Vibo Valentia. Parliamo di Città Futura e di Vito Pitaro, estromesso dalle candidature a pochi giorni dal voto.

    Insomma, in una politica fatta di equilibrismi ed equilibristi (ma anche di trapezisti e clown, a dirla tutta), il decisionismo della Limardo è un tratto inedito. Che difficilmente, però, un notabilato alla perenne, famelica ricerca di un altro giro di giostra in Parlamento intende valorizzare.

    Roberto Occhiuto si smarca dal resto del centrodestra

    «Dal primo giorno del mio mandato da presidente della Regione ho detto che avrei fatto l’uomo di governo e che mi sarei occupato soltanto dei problemi della Calabria, lasciando ai partiti le scelte in ordine ai candidati sindaco delle città». «Rimango un dirigente politico nazionale del centrodestra, ed è chiaro che mi impegnerò per le prossime elezioni politiche. Ma per scegliere gli aspiranti primi cittadini non sono intervenuto e non interverrò in futuro». Queste le dichiarazioni di Roberto Occhiuto all’Ansa dopo l’ultima tornata amministrativa.

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    Vincenzo De Luca

    Una posizione molto diversa dai suoi colleghi presidenti di Regione. In Campania Vincenzo De Luca in alcuni comuni ha presentato la lista Campania Libera di sua diretta espressione. E si è preso il merito delle vittorie, tra cui quella di Enzo Cuomo a Portici (con l’80%).

    In Puglia Michele Emiliano rivendica la vittoria locale della «formazione che governa la Puglia» e che ha visto il democrat vicino a molti candidati in questa tornata amministrativa. Tra questi, il sindaco rieletto di Taranto Rinaldo Melucci. «Sicuramente è uno dei risultati più importanti in Italia perché qui la coalizione si è presentata nella stessa formazione che governa la Regione e nella stessa formazione che ci auguriamo possa governare l’Italia nelle prossime elezioni politiche», il suo commento sul voto.

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    Michele Emiliano

    Non differente la situazione a destra. Il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio, in quota Fratelli D’Italia, ha messo il cappello sul risultato delle Comunali. «Il centrodestra ha sciolto il guinzaglio della sinistra sugli elettori» ha dichiarato festeggiando la vittoria del “suo” candidato Pierluigi Biondi a sindaco de L’Aquila.
    Insomma, ragionamenti e azioni diametralmente opposti a quelli di Roberto Occhiuto.
    Tra paura di ammettere sconfitte e rese dei conti, la partita per le politiche è ancora tutta da giocare.

  • Addio a Franco Dionesalvi

    Addio a Franco Dionesalvi

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    Cosenza è una città che ama la nostalgia: da inizio millennio in tantissimi rimpiangono il decennio di Giacomo Mancini.
    Ma quanti sanno che l’evento pubblico più forte con cui la città dichiarò allora la propria voglia di cambiare e modernizzarsi fu una trovata di Franco Dionesalvi?
    Il Festival delle Invasioni fu un’iniziativa forte e, a suo modo, rivoluzionaria. Grossi nomi del rock internazionale e convegni, mostre e proiezioni.
    Un festival multimediale, pensato e realizzato quando l’espressione ancora non esisteva.
    Fu la sfida del piccolo capoluogo calabrese alle kermesse storiche (Umbria Jazz, Villa Celimontana ecc.). Ma quell’esperienza è anche un mito incapacitante: Invasioni, dopo Dionesalvi (che tentò di riorganizzare il Festival nel 2014), è diventato un brand vuoto e incapace di ripetersi ai livelli delle origini.

    Franco Dionesalvi, l’intellettuale della porta accanto

    Dionesalvi non si nasce né ci si improvvisa. Per diventare Franco Dionesalvi occorrono tre cose: l’impegno, lo studio e la coerenza.
    Classe ’56 e plurilaureato (in Giurisprudenza e Pedagogia), Franco aveva accumulato un’esperienza importante, tipica tra l’altro della sua generazione, in cui si mescolavano l’impegno politico, la produzione culturale e la passione civica.
    A Firenze, dove conseguì, la prima laurea, aveva partecipato al Movimento del ’77 e agli Indiani Metropolitani.
    Una volta tornato a Cosenza, Franco mollò quasi subito il mondo forense e si lanciò nell’iperattivismo culturale, tra teatro (la cooperativa sperimentale Nuova Immaginazione) la letteratura (il romanzo La maledizione della conoscenza) e poesia (in particolare, la rivista poetica Inonjia, fondata e redatta con Angelo Fasano e Raffaele De Luca).
    Fu tra i primi obiettori di coscienza e, soprattutto, portò nella sinistra cosentina l’ispirazione libertaria delle esperienze del Centronord.

    La poesia

    Il vento libertario che ispirava Franco soffiava coi polmoni della poesia: in particolare, quella della Beat Generation.
    La città socialista, grazie anche a lui, iniziò a sognare un po’ d’America, quando l’America era l’America, e a emanciparsi dai riti della partitocrazia di provincia e da certe suggestioni d’oltre cortina.

    Non solo Invasioni

    Il Festival è solo il prodotto più vistoso della creatività di Dionesalvi.
    Il vulcanico assessore dell’era Mancini lasciò la sua impronta su iniziative più “solide”: a Cosenza, la Casa delle Culture, realizzata nell’antica sede del primo municipio, e a Rende il Museo del Presente. Entrambi concepiti come spazi aperti a disposizione di tutti i cittadini.
    Due domande sono obbligatorie: quante persone hanno svolto (o partecipato a) iniziative in una delle due strutture? E quanti di loro sanno che quelle strutture furono ideate da Dionesalvi?

    Franco Dionesalvi e la politica

    Per Franco Dionesalvi la politica era un impegno ideale. Poco propenso a “sporcarsi le mani” con l’amministrazione e i suoi inevitabili compromessi, capitolò al corteggiamento serrato di Giacomo Mancini solo nel ’97.
    E poi, terminata quell’esperienza, divenne un consulente “deluxe” della politica rendese e regionale. Ma rifiutò sempre l’impegno elettorale.
    Sempre bonario, mai sussiegoso, concepiva la cultura come dialogo e parlava con tutti, soprattutto con chi criticava le sue idee.
    Il ritorno di Franco a Invasioni fu un tentativo tardivo di ridare qualità a una città che cercava di recuperare qualcosa dei suoi anni d’oro.

    Oltre la politica

    I rimpianti e il cordoglio la dicono lunga: sui social si alternano Marcello Manna, l’attuale sindaco di Rende, e Sergio Crocco, storico capo ultrà e cuore pulsante de La Terra di Piero. Non sono mancate le condoglianze di Franz Caruso, il sindaco di Cosenza, e di Maria Pia Funaro, la sua vice.
    E, con loro, tante persone che, in un modo o nell’altro, avevano conosciuto Franco.
    Su tutto, troneggia l’immagine sorridente di Dionesalvi col sombrero, ispirata dal logo della storica rubrica che l’ex assessore ha tenuto per oltre un decennio sul Quotidiano, prima della Calabria e poi del Sud.
    Si può lottare contro tutti e sopravvivere a tutto. Ma al destino ci si deve arrendere, specie quando si presenta nelle vesti di una malattia letale.
    Franco si è arreso, non senza combattere, come nel suo stile.
    Con lui se ne va forse l’ultimo pezzo significativo degli anni ’90. E non ci si deve meravigliare se, nel suo caso, al cordoglio seguirà l’ennesima nostalgia.
    Ai suoi familiari e a suo fratello (e nostro collega de I Calabresi) Claudio, le nostre più sentite condoglianze.

  • Vergini: un rifugio per donne e bimbi nel cuore antico di Cosenza

    Vergini: un rifugio per donne e bimbi nel cuore antico di Cosenza

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    «Sei stata al mare?». «Sì, quello!». Fabiana punta il ditino contro una parete. Ti avvicini e capisci cosa indica. Un paesaggio marino in una cornice di legno. Ha appena due anni ed è una delle piccole inquiline della casa famiglia, per minori e donne in difficoltà, che ha sede nel complesso delle Vergini di Cosenza.

    Venti ospiti in tutto, stanze al completo. Eppure c’è un silenzio irreale tra il chiostro quadrangolare, il cortile e la chiesa, edificati nei primi decenni del Cinquecento, progettati dal capomastro della Valle del Crati Domenico La Cava. Fabiana ha i capelli lunghi e lisci e un visino mariano.
    Questo luogo ha una storia tutta al femminile. Il suo simbolo potrebbe essere la “Madonna della tenerezza”, esposta su un altare minore della chiesa. È una delle opere più antiche di tutta la città, un’icona di stile bizantino di fine Duecento, probabilmente realizzata da Giovanni da Taranto, simile e diversa dalla Madonna del Pilerio del Duomo Bruzio, detta galactrofusa, perché allattante.

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    La madonna Odigitria, l’icona bizantina della chiesa delle Vergini

    Questa Vergine Odigitria invece non allatta il suo bambino, lo presenta al mondo indicandolo con una mano e appoggia la guancia sul suo capo. Un dipinto ingiustamente meno noto e che da solo basterebbe ad attirare viaggiatori e turisti in quantità.

    Calata della corda: fuga d’amore 

    Un altro simbolo del posto è il coro ligneo settecentesco delle suore di clausura cistercensi. Un balconcino decorato con teste d’angelo, sostenuto da una volta di stucchi dorati. Dal 1811 il monastero ha ospitato fanciulle orfane, che quando si innamoravano, tentavano la fuga calandosi da una finestra, dando così il nome a uno dei luoghi mitici della toponomastica popolare: la zona della Calata della corda, tra via Liceo e Piazza dei Follari, dove un tempo c’era il mercato dei bozzoli della seta.

    Monastero di clausura e orfanotrofio

    Il complesso e articolato edificio è stato monastero di clausura, orfanatrofio, istituto educativo femminile. Oggi fa capo alla Fondazione di diritto privato Santa Maria delle Vergini, presieduta da Alessandra De Rosa. Oltre alla casa famiglia, c’è un asilo Montessori, gestito dall’associazione PappaMusic. I bambini del nido e dell’asilo bilingue giocano nel chiostro insieme con i piccoli ospiti della casa famiglia.
    Del complesso fa parte il Palazzo Sersale, costruito alla fine del 1400, grande protagonista della storia cittadina, perché ospitò l’imperatore Carlo V.

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    Il largo Vergini

    L’arte del cucito con la prof ucraina

    Destini cuciti e intrecciati. In questa cornice di narrazioni, appare ancora più significativo il laboratorio “L’arte del cucito”, ospitato nel vecchio refettorio dell’istituto. Le lezioni sono terminate a giugno e adesso si sta preparando una mostra. A guidare le corsiste, di diverse nazionalità ed età, dai venti ai settanta anni, è la costumista ucraina Natalia Kotsinska. Le associazioni “Maschere e volto”, che si occupa di teatro, e “Anteas”, attiva nel volontariato, coordinano il progetto. «Nonostante il bacino di utenza fosse vario, le corsiste si sono perfettamente integrate», spiega Imma Guarasci, direttore artistico di “Maschere e volto”.
    «Ha trovato il modo di integrarsi pure chi ha avuto inizialmente difficoltà nel comunicare per via della lingua, come nel caso di due giovani siriane. Una cosa bella è che nella scelta delle stoffe e dei colori per la realizzazione degli abiti, ognuna di loro è riuscita a recuperare elementi della tradizione della propria terra d’origine», spiega ancora Imma Guarasci, soddisfatta di un’esperienza nata sia per fornire competenze professionali, sia per far incontrare donne dal vissuto difficile.

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    La costumista Natalia Kotsinska dirige il corso di cucito

    Non ci sono più suore alle Vergini. Le “figlie di Sant’Anna” arrivarono nel 1887, dopo che erano andate via le monache di clausura cistercensi. Le ultime due sorelle hanno abitato qui fino allo scorso settembre. Hanno portato con sé tanti ricordi, nomi e vicende di ragazze cresciute tra queste mura.

    Un rifugio per mamme e bambini 

    Gina Nudo le ha conosciute bene. Lei è la decana delle educatrici. È qui da vent’anni.
    «Quando accogliamo le donne assegnate alla casa famiglia, cerchiamo innanzitutto di tranquillizzarle. Sono di varia nazionalità, sono tutte spaventate quando arrivano. Il nostro è un lavoro difficile, ma bisogna usare ogni giorno il cuore e le regole in giusta misura. Fare famiglia, appunto. Io e la mia collega, Giovanna Maio, ci occupiamo della vita quotidiana, intratteniamo i piccoli, ascoltiamo le vicende drammatiche, guidiamo mamme e bambini in un percorso di rinascita. A volte ritornano negli ambienti dai quali erano scappate ed è una grande tristezza».

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    L’educatrice Gina Nudo

    In molti casi però, continua Gina, e il suo viso si illumina, trovano la propria strada. «Spesso, quando termina il periodo di assegnazione da parte del tribunale, vogliono tornare da noi. Significa che siamo riusciti a costruire una rete di protezione e affetto».
    Sonia, 40 anni, è qui con sua figlia adolescente. Nella loro stanza ci sono libri, qualche ricordo, nessuna fotografia. «Quando siamo scappate da casa nostra non ho pensato agli oggetti, l’importante era salvare noi stesse».

    Fabiana torna a sorridere

    La madre della piccola Fabiana, una giovanissima donna originaria di un paese dell’est europeo, è in un angolo della stanza, ascolta e annuisce. «Da quando sono qui sono tornata a sorridere – sta raccontando Sonia, – perché ho ripreso a fidarmi di chi mi sta accanto».
    «Posso dire la stessa cosa», interviene la madre di Fabiana: «In questo luogo ho conosciuto mia figlia per la prima volta, mi dedico a lei, la vedo rinascere, gioca, ride, parla, mangia le polpette, mentre prima si rifiutava di masticare».

    I tricicli dei piccoli ospiti che frequentano l’asilo

    Il soggiorno è in una nuvola di profumi speziati. Afia, donna africana, sta cucinando per sé. Fa concorrenza alle cuoche storiche della casa famiglia, le sorelle Spadafora, Rosanna e Beatrice, che nutrono con amore.

    Fede, bellezza e solidarietà

    L’antica storia di questo luogo continua, in chiave multietnica, il suo secolare inno alla Madonna, testimoniato dalle preziose opere conservate nella chiesa a navata unica. La pala che decora l’altare principale racchiude in una ricca cornice dorata una doppia raffigurazione: una rara immagine di Maria morente e la sua assunzione in cielo. Un’opera cinquecentesca probabilmente sconosciuta a molti cosentini, come l’icona bizantina della tenerezza. Il portale di legno della chiesa, in stile barocco, è ricco di figure intarsiate dagli scalpellini di Rogliano di fine Seicento. Il chiostro, dove oggi sono sparsi i giochi di crescita di scuola Montessori, oltre quindici anni fa è stato set del film “Giuseppe Moscati. L’amore che guarisce”, di Giacomo Campiotti, con Beppe Fiorello e Kasia Smutniak.

    Una rara opera d’arte: l’assunzione della Vergine

    Tante vite sono passate da qua, eppure resta uno scrigno di misticismo e silenzio. Nessuno parla a voce alta, una volta varcata la soglia.
    Da qui si va via con un proposito: tornare. Sul portale di pietra che affaccia su Largo Vergini, sotto l’immagine di San Bernardo di Chiaravalle, l’educatrice Gina Nudo saluta e sembra leggere nel pensiero: «Tornate presto».

  • Delitto a Mandatoriccio, confessa il marito

    Delitto a Mandatoriccio, confessa il marito

    Il delitto di Mandatoriccio costato la vita alla 71enne Domenica Caligiuri ha il più scontato dei colpevoli: suo marito Luigi Carlino. L’uomo, 73 anni, fermato poco dopo il ritrovamento del corpo della vittima non ha retto alle domande degli inquirenti. Crollato durante l’interrogatorio, ha confessato di aver ucciso sua moglie. Stando alle informazioni trapelate avrebbe descritto modalità e tempistiche dell’uxoricidio nei dettagli.

    Mandatoriccio, dopo la confessione del marito l’autopsia

    Carlino avrebbe anche fornito ai militari del Reparto territoriale di Corigliano Rossano, che stanno svolgendo le indagini, le indicazioni per fare trovare il coltello con cui ha ucciso la moglie. L’arma, però, non è stata ancora trovata. Il corpo di Domenica Caligiuri si trovava all’interno dell’abitazione della coppia a Mandatoriccio, sul letto matrimoniale sporco di sangue. Ora sarà l’autopsia a dover chiarire ulteriori particolari sull’accaduto e verificare se il racconto del marito corrisponda al vero. Secondo le prime ipotesi, l’accoltellamento della donna risalirebbe a un paio di giorni fa e il movente sarebbe da ricondurre ai frequenti litigi della coppia. Luigi Carlino avrebbe però continuato a comportarsi normalmente, finché i parenti della vittima, non avendo più notizie di lei, hanno allertato le forze dell’ordine. Quindi, la macabra scoperta nella mattinata di oggi.

  • Mandatoriccio, Domenica Caligiuri uccisa a coltellate: i sospetti sul marito

    Mandatoriccio, Domenica Caligiuri uccisa a coltellate: i sospetti sul marito

    I carabinieri hanno trovato a Mandatoriccio il corpo senza vita di Domenica Caligiuri sul letto matrimoniale della casa in cui la vittima viveva col marito. La donna, 71enne, è stata uccisa a coltellate. Il cadavere sarebbe rimasto lì per due giorni senza che il marito dell’insegnante facesse trapelare all’esterno quanto era accaduto. Domenica Caligiuri, insegnante in pensione, secondo i primi accertamenti sarebbe morta giovedì scorso. Da quel giorno suo marito avrebbe continuato a fare finta di nulla, senza avvertire nessuno e comportandosi come se nulla fosse.

    Il marito di Domenica Caligiuri interrogato a Mandatoriccio nega tutto

    Tra moglie e marito, stando alle prime ricostruzioni, i litigi sarebbero stati frequenti. I due coniugi avevano altrettanti figli, che non erano però in casa nel momento dell’omicidio. Il marito di Domenica Caligiuri, rintracciato dall’Arma e tuttora sotto interrogatorio nella caserma del paese, starebbe negando di essere il responsabile dell’omicidio. I sospetti sul suo conto restano però tanti. A dare l’allarme che ha fatto scattare le indagini che hanno portato al ritrovamento del cadavere di Domenica Caligiuri sono stati i parenti della donna, preoccupati per il fatto che da un po’ di tempo non avevano notizie di lei.

  • Ospedale a Vaglio Lise, Caruso: «Pronto entro la fine del mio mandato»

    Ospedale a Vaglio Lise, Caruso: «Pronto entro la fine del mio mandato»

    Eppur si muove. Franz Caruso ha voluto ribattere a quanti da mesi lo accusano di un sostanziale immobilismo con una conferenza stampa sul nuovo ospedale di Cosenza da realizzare a Vaglio Lise. Durante l’incontro, però, la struttura sanitaria ha lasciato spazio a numerosi altri temi. Frecciate all’indirizzo di chi lo ha preceduto, promesse su una città che dovrebbe trasformarsi da qui alla fine del mandato del sindaco eletto in autunno.

    Ora toccherà aspettare per sapere se alle parole seguiranno fatti concreti. Gli impegni presi al cospetto dei giornalisti, d’altra parte, non sono semplici da rispettare, a partire proprio da quello sul nuovo ospedale a Vaglio Lise. Per il sindaco Caruso sarà pronto entro la fine del suo mandato. Quattro anni e mezzo, dunque. E poco importa che lo studio di fattibilità consegnato ai presenti parli di 14-15 semestri necessari tra iter burocratico e lavori veri e propri per vedere l’opera al completo.

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    Il cronoprogramma riportato nello studio di fattibilità

    L’Annunziata cambia pelle

    Di tempo quindi, a quanto pare, ne basterà meno per siglare l’Accordo di programma quadro con Regione e Ministero della Salute, convocare e chiudere la conferenza dei servizi, affidare la progettazione definitiva, quella esecutiva e i lavori, completare il nuovo ospedale. E cosa comporterà il trasloco del nosocomio in un altro quartiere? Un bel po’ di cose. La vecchia Annunziata sarà in parte demolita (non il plesso del ’39) per trasformarsi in una Cittadella della Salute destinata a ospitare uffici, pazienti oncologici e lungodegenti, con una bella iniezione di verde nell’area attualmente occupata dai reparti più “moderni”. Così facendo, si eviterà di depauperare la parte Sud della città risparmiando i costi extra che un nuovo ospedale nella franosa Contrada Muoio – la soluzione auspicata dall’ex sindaco Mario Occhiuto e suo fratello Roberto – avrebbe comportato per le casse pubbliche.

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    L’ingresso dell’ospedale dell’Annunziata a Cosenza

    Le ragioni dell’Ospedale a Vaglio Lise

    Vaglio Lise invece, ha ripetuto a più riprese Caruso, appare come la soluzione ideale. Il quartiere, innanzitutto, è baricentrico rispetto al resto della provincia e dell’area urbana. Gli investimenti milionari per l’ospedale ridisegneranno la zona in meglio, portando investimenti anche privati che potrebbero finalmente completare il ricongiungimento (con relativa riqualificazione) tra via Popilia e il resto di Cosenza. Parte della superstrada verrebbe interrata per far spazio a verde pubblico, l’ospedale sorgerebbe in un’area pianeggiante (coi risparmi che ne conseguono) sulla falsariga di quelli di recente costruzione a Siracusa, Andria e Pordenone. E la questione espropri parrebbe già risolta o quasi

    Rispunta la metro

    Così facendo riacquisterebbe forse un senso anche l’idea di andare avanti con la realizzazione della metro. Non è un caso che che nelle slide mostrate in conferenza stampa siano spuntati riferimenti a una linea tranviaria che ricorda tanto la maxi opera attualmente in sospeso. Anche le Autolinee si sposterebbero per trovare posto nei dintorni del nuovo ospedale di Cosenza, decongestionando così il centro città dal traffico dei mezzi pesanti extraurbani.

    Ospedale ad Arcavacata di Rende? No, Unical a Vaglio Lise

    E le rivendicazioni di Rende, tornata a chiedere che la struttura sanitaria sorga nei pressi dell’Unical? «Farebbero perdere altri 20 anni, dopo quelli già persi da quando si parlava di realizzare il nosocomio a Mendicino», replica Caruso. Che con Arcavacata – e l’Inrca – vuole invece realizzare un centro di ricerca specializzato in virologia nel nascituro complesso di Vaglio Lise. E magari lavorare perché l’ateneo si doti di una facoltà di Medicina «autonoma» e non a metà con la Magna Graecia di Catanzaro, argomento principe (Principe?) del dibattito anti Vaglio Lise sull’altra sponda del Campagnano.

    L’ospedale, taglia corto il sindaco bruzio, sorgerà a Cosenza: «Non è in discussione farlo fuori dal capoluogo». E Roberto Occhiuto, sostenendo questo progetto «tecnico e politico», potrà passare alla storia proprio come il podestà che realizzò “la prima Annunziata” nel Ventennio. Il paragone farà senz’altro piacere alla parte più nostalgica della maggioranza in Regione.

    Sanità: non c’è solo l’ospedale a Vaglio Lise

    Ma non ci saranno solo la Cittadella della Salute e l’ospedale popiliano nella nuova Sanità cosentina. A via Bendicenti, nell’attuale sede della polizia municipale, dovrebbe trovar posto una casa/ospedale di comunità, a tutto vantaggio del centro storico. E i vigili dove finiranno? Le ipotesi in campo sono diverse: da quella – con tanto di protocollo d’intesa con le Ferrovie siglato nell’ormai lontano 2012 – che li vorrebbe nella stazione ferroviaria di Vaglio Lise, alla caserma accanto a San Domenico, passando per le alternative su via degli Stadi o alle Casermette di via Panebianco. I diretti interessati pare preferiscano il centro città, anche per questioni d’immagine.

    «La città fa schifo»

    Cosenza, insomma, parrebbe destinata a cambiare parecchio. Nel frattempo però, parola di Caruso stesso, la città «fa schifo per quanto è sporca». Gli appalti per la pulizia, d’altra parte, con Ecologia oggi e le cooperative li ha firmati il sindaco che lo ha preceduto, ma l’attuale primo cittadino promette di mettere mano ai prossimi, visto che gli accordi sono prossimi alla scadenza, per ottenere risultati migliori. «Anche con l’aiuto dei cittadini» che finora hanno avuto meno a cuore la raccolta differenziata.

    Allarme debiti

    Certo, bisognerà barcamenarsi tra i problemi economici di Palazzo dei Bruzi per garantire servizi efficienti. E il compito si preannuncia più arduo del previsto. Nei prossimi giorni toccherà approvare il consuntivo 2021 – «l’ultimo della precedente amministrazione, dal preventivo 2022-2024 ci sarà il primo davvero nostro, chiaro e vero, e che non siamo costretti ad approvare». Sul groppone ci sarà un disavanzo maggiore delle ottimistiche previsioni iniziali: 23 milioni e rotti di rosso, contro i 17 ipotizzati prima che i revisori chiedessero di correggere il tiro.

    Un dato «allarmante», ma che paradossalmente, ha sostenuto Caruso, potrebbe essere un vantaggio. Un deficit sotto i 22 milioni avrebbe costretto l’amministrazione a ripianare tutto in 5 anni. Superata quella soglia, invece, il tempo a disposizione raddoppierà.
    Il tempo in più basterà a consegnare per sempre al passato «la città delle transenne e dei cantieri mai chiusi»? Ai posteri l’ardua sentenza.

  • Negozi gratis, la solidarietà batte la crisi a Cosenza e Rende

    Negozi gratis, la solidarietà batte la crisi a Cosenza e Rende

    Ti piace questa maglietta? Prendila, non costa nulla. In cambio, se vuoi, puoi lasciare qualcosa che a te non serve più e metterla a disposizione di qualcun altro. Funzionano così i negozi gratis anche a Cosenza: alla base c’è la sharing economy, l’economia della condivisione, che promuove un uso consapevole e circolare di vestiti, scarpe, oggetti e il loro riutilizzo per evitare che finiscano in discarica.

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    Il negozio gratis all’interno del centro sociale Sparrow a Rende

    Nella provincia di Cosenza esistono due negozi di questo tipo, uno si trova all’interno del centro sociale Sparrow a Rende, l’altro è nel centro storico di Cosenza. Piccole isole di utopia in cui il baratto manda avanti un microsistema economico che non prevede l’uso del denaro. Basta trascorrere qualche ora nel negozietto gratis di corso Telesio per scoprire quanto questo pugno di metri quadri strabordante di vestiti, riesca a raccontare il quartiere.

    Elena e Simona

    Ad accoglierci ci sono Elena e Simona, amiche e “colleghe” in questa avventura. Il negozio è di tutti, è una porta sempre spalancata, è luogo di chiacchiere, di risate, di scambio di informazioni e di sostegno. Arriva una mamma con il passeggino, lo sistema sull’uscio ed entra. Ha bisogno di tutine per il piccolo, di lenzuola e magari di un vestito per lei. «Guarda questo – le dice Elena – lo hanno appena portato. Secondo me ti sta benissimo». Intanto un signore cerca tra le pile di magliette qualcosa di colore blu che sia della sua taglia. «È un nostro cliente affezionato- sorride Elena – conosciamo bene i suoi gusti».

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    Poche e semplici regole nel negozio di Elena e Simona nel centro storico di Cosenza

    Anche per quelle persone che non hanno nulla

    Nel centro storico è confluita la popolazione Rom che per anni ha vissuto nelle baracche sul fiume, si sono mescolate le culture e i bisogni e si è creata una nuova comunità marginale. «Ci sono tante persone che non hanno nulla – spiega Simona – che hanno bisogno di indumenti nuovi e puliti e noi li mettiamo a disposizione. Ci conosciamo tutti, siamo una grande famiglia, per cui sappiamo bene quali sono le necessità di chi abbiamo di fronte». Simona ha 53 anni ed è arrivata nel 2005 dalla Romania dopo una parentesi in Israele dove lavorava come colf.

    Un passato difficile inciso intorno al suo sguardo ma per il futuro ha obiettivi chiari e definiti: «Voglio che mia figlia studi e che possa scegliere il meglio. Ho fatto grandi sacrifici per poterla crescere, ero sola e ho sempre lavorato, anche portandola con me quando facevo le pulizie nelle case e lei era una neonata». Scappa qualche lacrima ma intorno ci sono gli amici di sempre che proteggono con un abbraccio. «Io e Simona siamo due mamme – aggiunge Elena – e siamo due donne che vivono il quartiere con tutte le difficoltà che comporta».

    Un presidio di solidarietà e democrazia

    Questo piccolo negozio gratis rappresenta un presidio importante di solidarietà e di democrazia con la doppia finalità di aiutare sia le persone che l’ambiente, perché il riutilizzo evita che tanti indumenti vengano buttati via. Il negozietto gratis è aperto tutti i sabati dalle 17 alle 20, negli stessi orari è possibile portare vestiti o altri oggetti da mettere a disposizione, bisogna ricordare che il negozio è autogestito per cui chi porta sistema e chi prende non lascia in disordine.

    «Purtroppo ci capita spesso di trovare delle buste di indumenti abbandonate qui davanti alla saracinesca – dice Simona – questo non va bene perché noi siamo attente al decoro di questo luogo, nessuno deve avere l’idea che qui ci si possa liberare di ciò che non si sa dove mettere. I nostri clienti meritano vestiti usati ma non logori, possibilmente stirati e profumati di bucato».

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    Il negozio gratis del centro sociale Sparrow all’aperto

    Negozi gratis: da Cosenza allo Sparrow di Rende

    Stesse regole nel negozio gratis di Rende che ha già una storia perché è nato oltre cinque anni fa e ha spazi molto più ampi, si trova infatti all’interno del centro sociale Sparrow. Qui tutti i venerdì dalle 16 alle 18 è possibile scegliere tra migliaia di capi e accessori oppure portare i propri vestiti non utilizzati.

    L’ideatrice di questo progetto è Sonia Genovese che ha importato l’idea da Berlino, dove si trovava per un programma Erasmus. «Viviamo in una società in cui si accumula sempre di più e le cose vanno a finire nella discarica anche quando potrebbero ancora essere utilizzate – spiega -. Rimettendo in circolo gli indumenti evitiamo di riversarli nell’ecosistema e svolgiamo una funzione sociale perché questo è un luogo di confronto e di aggregazione». Nel negozio gratis di Rende gli utenti sono studenti universitari, migranti, amanti del vintage, appassionati di riciclo e infine tanti pensionati.

    Punto di riferimento per gli anziani del quartiere

    «Questo è un fenomeno in crescita – aggiunge – . Siamo diventati un punto di riferimento per molti anziani del quartiere che trascorrono qui qualche ora: prendono, lasciano indumenti, ci aiutano a mantenere in ordine, insomma è un modo per riempire compagnia il loro pomeriggio». All’interno dello Sparrow, nello spazio in cui il negozio gratis è allestito, si accumulano anche i giocattoli e i vestiti per bambini. «Ci sono famiglie che vengono anche da fuori provincia perché sanno che qui potranno scegliere e portare a casa tutto ciò che può servire, tutto gratis e senza limiti».

    I migranti pieni di gioia

    E negli anni i vissuti e le storie si sono susseguiti, alcuni particolarmente commoventi. Come quella volta in cui una famiglia di migranti era piena di gioia e di stupore di fronte all’idea che fosse tutto gratuito. «Hanno videochiamato i parenti nel loro paese di origine – ricorda Sonia – e i bambini mostravano con estrema felicità ai cuginetti i giochi, per farsi dare un consiglio su cosa prendere».

    Condivisione e solidarietà che sono la norma, «perché – precisa l’ideatrice – qui nessuno guadagna nulla, rimettiamo in circolo vestiti e oggetti usati per dargli una nuova vita e questo è un atto che porta gioia a chi dona e a chi riceve». Unico obbligo: prendersi cura del luogo e delle cose, non sprecare, non sciupare, mettere in ordine. «C’è chi viene a prendere, c’è chi viene a lasciare ma l’autogestione in questi casi produce effetti inaspettati – conclude – perché il negozio praticamente funziona da solo, senza bisogno di mediazioni». Un’altra economia è possibile».

  • Vedi Cosenza e poi muori: la città ammazza re

    Vedi Cosenza e poi muori: la città ammazza re

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    Gli storici cosentini hanno raccolto nei secoli narrazioni utili per dare solide fondamenta all’identità cittadina.
    Il bisogno di infondere l’orgoglio di appartenenza a una comunità, li ha spinti a volte a inventare un passato glorioso e mitico. I caratteri originali della città vengono sottolineati sin dalla sua fondazione.

    La “pastetta” degli dei

    Cosenza era stata voluta dagli dei, che l’avrebbero protetta e resa immortale. Il suo territorio era pieno di ricchezze e i fiumi, soprattutto il Crati, possedevano acque miracolose. La città aveva una posizione felice e, come la grande Roma, era circondata da sette colli a cui erano legate varie leggende.

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    La statua di donna Brettia, la leggendaria liberatrice di Cosenza

    Condottieri a Cosenza: in principio era Ercole

    Uno dei miti sulla fondazione di Cosenza narra che Brettio, figlio di Ercole e di una ninfa acquatica, giunse alla confluenza del Crati e del Busento dopo un giro estenuante per tutta l’Europa.
    L’illustre rampollo si innamorò del luogo e vi edificò una città, che chiamò Brettia. Altre storie raccontano di Brettia, o Bruzia, donna giovane e coraggiosa che aveva aperto le porte della fortezza a nobili guerrieri lucani. Incoronata regina, governò tanto saggiamente che il suo popolo per riconoscenza diede il suo nome alla città.

    Guerrieri fieri e tosti

    I cosentini, in quanto discendenti dalla stirpe di Ercole e dei Bruzi, erano un popolo di fieri guerrieri, orgogliosi della loro indipendenza e della loro patria. Tutti quelli che avevano osato sfidarli avevano pagato un caro prezzo.
    Tre grandi condottieri dell’antichità, come testimoniavano le fonti storiche, vi avevano trovato la morte: Alessandro il Molosso re d’Epiro, Alarico re dei Goti e Ibn Ahmad Ibrahim, più semplicemente Ibrahim II, emiro saraceno.

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    Monete con l’effige di Alessandro il Molosso

    Alessandro il Molosso: prima vittima dei Bruzi

    Tito Livio narra che l’esercito di Alessandro il Molosso, giunto al confine tra il territorio dei Bruzi e dei Lucani presso Pandosia, dovette ritirarsi su tre alture a causa delle continue piogge. In tal modo, divise le truppe che non potevano aiutarsi a vicenda. Due colonne consegnarono vilmente le armi e passarono al nemico.
    Ma Alessandro, con un’impresa ardita, ruppe l’accerchiamento e uccise il capo dei Lucani.
    Le acque impetuose del fiume costrinsero lui e i suoi uomini ad affrontare un guado tanto pericoloso che uno dei suoi soldati, impressionato dalla tumultuosità delle acque, imprecò chiamandolo Acheronte.

    Nell’udire questo nome, il Molosso rammentò una profezia di morte che legava il suo destino al mitico fiume. Incalzato dai nemici non poté far altro che avanzare nelle acque infide. A quel punto, un soldato lucano lo colpì al petto con una freccia ed egli, caduto da cavallo, fu trascinato dalla corrente presso il campo dei nemici.
    Il suo corpo fu brutalmente tagliato in due parti: una fu inviata a Cosenza e l’altra trattenuta per essere orrendamente oltraggiata.
    Mentre i miseri resti erano bersaglio di pietre e dardi, una donna, piangendo disperata, pregò quei soldati rabbiosi di fermarsi: il marito e due suoi figlioli, prigionieri dei nemici, non sarebbero mai stati liberati per lo scempio che si stava compiendo sulla salma del re.
    Metà del corpo del Molosso fu quindi seppellito a Cosenza, l’altra metà rimandata in patria alla compagna Cleopatra e alla sorella Olimpiade.

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    Il funerale di Alarico

    Alarico: il barbaro eccellente

    Il racconto della morte di Alarico risale alla cronaca di Jordanès. Il re visigoto, dopo avere saccheggiato Roma, era sceso in Calabria per raggiungere Reggio, imbarcarsi con i suoi uomini per occupare dapprima la Sicilia e poi procedere alla conquista dell’Africa.
    Ma una tempesta nello Stretto distrusse le navi e costrinse i Visigoti a tornare indietro. Alarico morì improvvisamente a Cosenza e i suoi uomini lo seppellirono sotto il letto del Busento con l’armatura, il cavallo, il tesoro e gli schiavi che avevano deviato le acque del fiume e scavato la fossa.

    Ibrahim II l’esotico

    La fine di Ibrahim II è tramandata da diversi storici arabi e latini.
    Nel settembre del 902, l’emiro, dopo avere espugnato Taormina, attraversò lo Stretto e, alla testa dei suoi uomini, iniziò ad occupare la Calabria.
    I saraceni non incontrarono particolare resistenza e il primo ottobre giunsero a Cosenza attestandosi sulle sponde del Crati.
    Dopo ventidue giorni d’assedio, il feroce principe cominciò a soffrire di una terribile dissenteria e morì nello stesso mese. I capitani del suo esercito offrirono il comando al nipote Ziyadat Allah, il quale decise di tornare in Sicilia per seppellire l’avo.

    Miti e realtà: la parola alle fonti

    Non abbiamo motivo di dubitare della presenza di questi condottieri a Cosenza. Tuttavia, le fonti su cui sono state ricostruite le loro vicende sono scarne, poco credibili e contraddittorie.
    Nonostante ciò, gli storici locali le hanno accettate e liberamente manipolate arrivando spesso a conclusioni diverse e fantasiose.
    L’impianto che caratterizza i racconti su Alessandro il Molosso, Alarico e Ibrahim è sempre lo stesso: condottieri spietati e sanguinari trovarono a Cosenza la strenua resistenza di coraggiosissimi cittadini. Se questa non bastava, interveniva direttamente il castigo divino.

    Soldati saraceni in un dipinto d’epoca

    Una storia per creduloni

    La trama intessuta dagli storici locali sugli ultimi giorni di vita dei tre grandi condottieri a Cosenza era semplice e ingenua.
    Il Molosso, Alarico e Ibrahim, giunti da lontano per compiere le loro scorrerie, una volta in città morivano.
    Erano guerrieri temuti e conosciuti per la loro brutalità e la loro ferocia.

    L’arabo sanguinario

    Di Ibrahim II, ad esempio, si raccontavano, storie di smisurata efferatezza.
    Quando alcuni astrologi gli predissero la morte per mano di un fanciullo, fece uccidere tutti i paggi della sua reggia.
    Venuto a conoscenza che un eunuco aveva rubato un suo fazzoletto di seta, non sapendo chi fosse l’autore del furto, fece sopprimere tutti e trecento gli eunuchi della sua corte.
    Accecato dalla gelosia, fracassò il cranio di un fanciullo che amava e gettò nella fornace i sei compagni con cui viveva.

    Un giorno, fece trafiggere trecento ribelli berberi, strappò i loro cuori con le proprie mani e li fece infilzare in una funicella appesa come un festone su una delle porte di Tunisi. Mandò a morte ciambellani, ministri, cortigiani, segretari e assistette personalmente all’esecuzione di otto suoi fratelli.
    Faceva strangolare, murare vive e decapitare mogli e concubine e sopprimere tutte le figlie femmine. Condannava a morte coloro che rifiutavano di convertirsi: fece tagliare in due un cristiano che non voleva abiurare e appendere le due metà su pali.
    Comandò che i giudei portassero sulle spalle una toppa bianca a forma di scimmia e i cristiani una a forma di maiale. Inoltre, gli stessi dovevano appendere sull’uscio delle loro case tavole con questi animali dipinti.

    Condottieri e propaganda a Cosenza

    Gli storici cosentini volevano comunicare con le storie del Molosso, Alarico e Ibrahim un messaggio chiaro: mentre nelle altre città del Sud gli abitanti terrorizzati fuggivano vilmente davanti all’invasore, i cosentini, degni figli dei fieri Bruzi, affrontavano i nemici senza paura.
    Cosenza era una città di uomini liberi, sempre pronti a battersi contro coloro che volevano soggiogarla e, quando le forze del nemico erano soverchianti, poteva contare sul buon Dio che faceva morire i capi degli invasori.
    Potenti eserciti che avevano espugnato grandi città e fortezze, giunti a Cosenza, capoluogo vulnerabile e povero di abitanti, venivano fermati. I cosentini non solo riuscivano a proteggere la loro città, ma l’intera penisola dalla violenza di uomini rozzi e malvagi.

  • In fiamme auto del capogruppo del Pd a San Giovanni in Fiore

    In fiamme auto del capogruppo del Pd a San Giovanni in Fiore

    Un incendio sulle cui cause sono in corso accertamenti ha distrutto, nella notte, a San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, l’auto di un avvocato, Domenico Lacava, di 53 anni, già candidato sindaco e attualmente capogruppo del Pd nel Consiglio comunale del centro silano. L’auto era parcheggiata in via Panoramica, in una zona centrale della cittadina. Le fiamme si sono propagate anche ad un’altra autovettura posteggiata nelle vicinanze che è stata seriamente danneggiata. Sono in corso le indagini dei carabinieri intervenuti sul posto e le verifiche dei vigili del fuoco per stabilire le cause che hanno scatenato l’incendio. Al momento non si esclude alcuna ipotesi sulle cause del rogo.