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  • Il sindaco del rione Santa Lucia

    Il sindaco del rione Santa Lucia

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    Nelle rughe di Faustino Olivito detto “il Caporale” sono scolpiti settant’anni di storia cosentina. I solchi sulla sua fronte sono un reticolato di strade e vinelle, personaggi e aneddoti, profumi, voci, panni stesi al sole e minestre fumanti sui fornelli: c’è dentro la vita di Santa Lucia, uno dei quartieri più suggestivi e chiacchierati della città vecchia.

    Lo chiamano “il sindaco” perché ha l’autorevolezza della memoria storica. E poi ha le chiavi. Faustino è il custode delle chiavi della piccola chiesa di origine medievale dedicata a Santa Lucia, la santa protettrice degli occhi e della vista da cui prende il nome il quartiere. Gliele consegnò anni addietro don Giacomo Tuoto quando era parroco e rettore del Duomo. Sapeva di metterle in mani sicure per garantire a chiunque di visitare quel luogo sacro così importante per i cosentini, nonostante durante la pandemia la statua della Santa sia stata portata nella cattedrale per evitare affollamenti e non sia ancora tornata nella sua casa.

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    Faustino ci pare le porte della chiesa di Santa Lucia (foto Benedetta Caira)

    Faustino con le sue chiavi è l’emblema della resistenza, di chi non scappa e resta aggrappato a ciò che rimane, tra cumuli di macerie e spazzatura, palazzi sventrati dai crolli, vicoli deserti, topaie spacciate per alloggi e date in affitto ai rom.

    Faustino e la festa di Santa Lucia

    Ogni 13 dicembre, giorno della festa di Santa Lucia, lui rinnova il rituale e apre il portone della chiesa ai fedeli che di anno in anno sono sempre meno. E invece ricorda quando la folla era così tanta che la gente doveva sostare sulla scalinata a fare la sua preghiera mentre la piccola navata della chiesa era gremita. A ogni ora a partire dall’alba, veniva celebrata una messa. C’erano i venditori di candele, se ne vendevano migliaia, «ce n’erano di vario tipo – ricorda Faustino – quelle più semplici costavano 50 lire. Tutti i fedeli accendevano i ceri in chiesa e le cassette delle offerte erano sempre piene».

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    Niente più candele accese all’interno della chiesa

    Era una festa solo religiosa, un momento di raccoglimento in cui la comunità si ritrovava, ma oltre ai canti risuonavano tra i vicoli zampogne e tamburi. «Gli zampognari arrivavano da Laino Borgo o da Serra San Bruno all’inizio di dicembre e restavano in città per un paio di settimane, proprio qui sopra – Faustino indica una viuzza – si affittavano letti e loro alloggiavano lì». Non camere ma letti, in quelli che erano B&B ante litteram.

    Il tempo si è fermato

    La piccola chiesa di Santa Lucia, con il suo rosone in pietra, resta un punto di riferimento, nonostante sia stata privata della statua tanto amata dai fedeli, un colpo che ha impoverito il quartiere e ridotto ulteriormente i momenti di socialità. «Spesso arrivano cosentini emigrati, che vivono lontano dalla Calabria e tornano qui per ritrovare la magia di questo luogo, l’atmosfera della loro infanzia. Io apro la porta della chiesa – dice Faustino – e per molti è una emozione grande rivivere il ricordo della festa».

    Faustino “il sindaco” arriva ogni mattina presto e apre le porte della sua piccola putica. Il negozio di alimentari ha oltre cento anni perché fu suo padre ad aprirlo. Qui – come in un incantesimo – il tempo sembra essersi fermato. Cristallizzato a quando – dove adesso non c’è più nessuno – arrivavano i bambini col grembiule a comprare il panino. «Ci mettevo dentro una fetta di mortadella o di salame e costava trenta lire». Le bottiglie di moscato di una marca che non esiste più, la grossa bilancia su cui si posavano gli occhi curiosi degli scolari in attesa della merenda avvolta nella carta oleata, vecchie lattine impolverate e gli adesivi con le réclame che oggi più nessuno conosce.

    Il quartiere che non c’è più

    In vendita sugli scaffali ci sono ormai solo detersivi e poco altro, in questo luogo del cuore Faustino torna ogni mattina non perché deve, ma perché non può farne a meno. «Ci hanno lavorato mio padre, mio zio, mio fratello che ora è in America. Io ci sono entrato quando ero un bambino, ora ho 81 anni: la mia vita l’ho fatta tutta qui dentro. A questo quartiere sento di appartenere nonostante oggi sia irriconoscibile: disabitato, abbandonato».

    Gli occhi di Faustino brillano, sembra quasi di vederle le immagini che scorrono nella sua memoria. Con il dito indica i palazzi, ricostruisce pezzi di storia a partire dai cognomi o dai soprannomi. Si ferma, ricorda meglio, aggiunge un dettaglio. «Ogni casa era abitata. Dove adesso le porte sono sbarrate o murate vivevano intere famiglie. Si festeggiavano continuamente nascite di bambini».

    Sacro e profano

    Santa Lucia ccu l’uacchi pizzuti, fammi truvari na cosa perduta era la preghiera dei fedeli davanti alla statua della Santa, lo ripetevano in coro i bambini scendendo dai gradini di pietra, senza comprenderne neanche bene il significato. «Era bello qui – racconta Faustino – perché era un posto pieno di vita. I negozi di alimentari non si contavano, poi c’erano calzolai, sarti, il quadararo, cinque cantine che vendevano vino. E poi – e i suoi occhi sorridono – c’erano le signorine».

    Vico IV Santa Lucia era luogo di perdizione e peccato. Le prostitute stavano sull’uscio delle loro case ad aspettare i clienti, spesso in abiti così dimessi che si faceva fatica a non confonderle con le massaie intente a scambiarsi confidenze e ricette poco più in là. Molte di loro avevano nomi d’arte e soprannomi fantasiosi e ammiccanti. Tanto bastava ad accendere l’immaginario dei ragazzini che le spiavano da lontano o contravvenivano al divieto di superare i confini imposti dai genitori.

    «Erano clienti del mio negozio – ricorda Faustino – e io le ho sempre rispettate. Sapevo, ma facevo finta di non sapere». La più bella? Franca, detta “la ballerina”, «mezza bionda, bellissima». Molte di quelle signore sono cresciute, diventate mamme e nonne, invecchiate sugli usci delle porte delle loro case, incipriando il viso e ossigenando i capelli nel tentativo di rimanere appetibili, osservando questa parte di città perdere pezzi, crollare, sparire insieme a loro.

    Faustino nel deserto di Santa Lucia

    Continuando arrampicarsi sui gradini, ci si spinge nel cuore del quartiere, si attraversano le sue stratificazioni. Un gruppo di bambini rom trascina un fascio di rami che serviranno per scaldare la notte gelida, montagne di rifiuti, scorci meravigliosi di pietre antiche, case senza tetto, stendipanni carichi di indumenti appena lavati. Da una finestra una signora ci invita a salire: «Ho ammelato mo’ mo’ i turdilli, venite a provarli!».

    Ci si perde tra le strettoie e si incontrano più gatti che esseri umani. Sparse qui e lì ci sono tracce di vite e di devozione: fiori finti e lumini spenti davanti a immaginette sacre ed edicole votive abbandonate. Da lontano si sente una strina, voci di bambini, murales, colore. Poi, d’improvviso, ancora deserto: edifici vuoti, macerie e spazzatura, un cane che abbaia sfinito. Solo il muschio a colorare il grigio dei mattoni, sui portoni i cognomi scritti a penna, sovrapposti a quelli di chi abitava qui quando tutto era integro.

    Un quartiere di paradossi

    Una bestemmia sul muro e una Madonnina afflitta in una teca di plastica: nichilismo e devozione. Perché il quartiere di Santa Lucia è da sempre un luogo di paradossi, ossimori, asimmetrie: sante e puttane, nobiltà e miseria, canti e silenzi profondi come abissi. Pieni e vuoti, memoria e rimozione. Ora per esempio, sta per arrivare una pioggia di fondi del Contratto Istituzionale di Sviluppo: 90 milioni di euro, 24 cantieri che in tre anni dovrebbero trasformare il centro storico e migliorare sensibilmente la qualità della vita di chi lo abita: accessibilità, cultura, turismo.

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    Gli abitanti del quartiere si lamentano della mancata raccolta dei rifiuti (foto Benedetta Caira)

    È il momento di tirare fuori le idee, assicurano gli amministratori, perché tutti i progetti validi saranno finanziati. L’ultima volta lo aveva promesso il Contratto di quartiere, non se ne fece praticamente nulla. Si può cautamente ricominciare a crederci. Non sarà facile ritrovare l’ottimismo, ma viene come sempre in soccorso la saggezza popolare: Santa Lucia ccu l’uacchi pizzuti, fammi truvari na cosa perduta.

  • Treni storici fra identità, turismo e l’arte di Rovella

    Treni storici fra identità, turismo e l’arte di Rovella

    Il treno a vapore nella pittura e nella fantasia di Luigi Rovella. È questo il titolo della personale inaugurata ieri, mercoledì 28 dicembre 2022, a Villa Rendano e che chiuderà i battenti il 30 dicembre. Una riflessione a più voci ha preceduto il taglio del nastro. Mostra e workshop sono stati promossi dalla Fondazione Attilio ed Elena Giuliani. Il direttore del museo Consentia Itinera, Anna Cipparrone, ha introdotto i lavori e stimolato la discussione con una serie di domande e riflessioni.

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    Una delle tele di Luigi Rovella esposte a Villa Rendano

    La personale dedicata a Luigi Rovella, artista scomparso prematuramente, si snoda lungo un percorso creativo lungo 4 anni. Dal 2017 al 2020 il pittore ha realizzato dodici tele. Una di queste porta il nome della storica locomotiva a vapore della Sila.

    Deborah De Rose, anima di Interazioni creative, ha ricordato il contributo di Luigi Rovella al “Cose belle festival”: «È stato un protagonista del nostro festival, artista della luce e persona che ci è stato vicina nei momenti topici dell’organizzazione della kermesse». Deborah De Rose ha richiamato alla memoria anche la profonda gentilezza di Rovella: «Non dimentico quando ci diede un bellissimo albero di Natale che aveva realizzato in cartone».

    Due opere di Lugi Rovella che fanno parte della mostra aperta fino al 30 dicembre a Villa Rendano

    Treni e turismo lento

    I treni storici «una volta entrati in crisi come mezzi di trasporto sono diventati destinazioni turistiche». Un fenomeno «partito dal Regno Unito» e che da molto tempo ha contagiato anche l’Europa continentale, Italia compresa.
    Lo ha spiegato Sonia Ferrari, docente all’Unical di Marketing del turismo e territoriale. Subito dopo ha chiamato in causa due treni storici ormai diventati simboli e suggestioni letterarie: Orient Express e Transibieriana. E il treno della Sila? La docente dell’Università della Calabria ha sottolineato come sia un elemento tipico del «turismo lento e sostenibile», in linea con i trend di un settore che costituisce una nicchia importante.

    Treni e letteratura: la morte di Tolstoj

    Dopo aver tratteggiato le suggestioni delle tele di Rovella, Pino Sassano ha compiuto un piccolo tour tra letteratura e treni. Partendo da una riflessione perentoria: «Non esiste uno scrittore dall’Ottocento in poi che non abbia avuto come riferimento il treno». Inevitabile il riferimento del librario e professore a Lev Tolstoj: «La parte finale della sua vita si svolge su un treno, poi l’ultima fermata nella stazione di Astapovo dove muore circondato dal popolo e dai cronisti dell’epoca». Ma Sassano non si ferma alla letteratura. E chiama in causa lo sguardo di Luigi Ghirri, il fotografo che ha rivoluzionato la percezione del paesaggio. E i treni ne sono sempre stati parte integrante.

    Un momento del workshop di ieri a Villa Rendano

    Treni e identità

    Dalla fredda stazione di Astapovo alla fredda stazione di San Giovanni in Fiore. L’ex presidente della Regione, Mario Oliverio, non ha dimenticato il treno che passava dall’altopiano.
    «Ha spostato centinaia di migliaia di persone in un esodo drammatico dal Sud verso il Nord dell’Italia e dell’Europa». In quel treno di sofferenza e speranza «c’è oggi un carattere identitario». Lo stesso che Mario OIiverio vede nel treno storico della Sila, un progetto nato per una sua precisa volontà politica. Quella locomotiva che corre nel “Gran bosco d’Italia” può e deve essere «veicolo di crescita e sviluppo, attrattore turistico come scoperta e non solo come vacanza».

  • Nessuno tocchi Gioacchino: a San Giovanni in Fiore è scontro tra Succurro e… Succurro

    Nessuno tocchi Gioacchino: a San Giovanni in Fiore è scontro tra Succurro e… Succurro

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    Di profeti, veri o falsi che siano, la Calabria ne ha avuti parecchi nei secoli. Il più famoso? Senza dubbio l’abate Gioacchino, personaggio simbolo della silana San Giovanni in Fiore. Il religioso si ritrova adesso al centro di un dibattito che nemmeno le sue tanto decantate doti divinatorie gli avrebbero potuto far prevedere. In città, infatti, sta andando in scena uno scontro tutto politico che lo riguarda. O, meglio, che vede coinvolto il Centro internazionale di studi gioachimiti a lui dedicato. A darsi battaglia sono la sindaca Succurro e… l’ex sindaco Succurro.

    I fondi tagliati dell’85%

    La prima, Rosaria, guida il Comune da un paio d’anni ed è anche presidente della Provincia di Cosenza. Il secondo, Riccardo, è l’attuale presidente – e tra i fondatori – dell’istituto culturale che dal 1982 si occupa di studiare e diffondere le opere e il pensiero di Gioacchino nel mondo con ottimi risultati. Il Cisg, infatti, negli anni ha ricevuto riconoscimenti dal Ministero della Cultura e dalla Presidenza della Repubblica per l’impegno profuso nelle ricerche sull’abate, ancora oggi uno degli autori italiani più studiati all’estero.

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    Rosaria Succurro

    La cosa, però, in municipio pare non interessare quanto in passato. Tant’è che la maggioranza che fa capo alla sindaca ha deliberato poco prima di Natale una drastica riduzione al contributo previsto per il Centro. Da quasi 10.500 euro si passa a 2.000 tondi tondi, un taglio di circa l’85%. Tutto mentre il Comune nello stesso periodo stanzia oltre 70mila euro – costo dell’elettricità escluso – per luci artistiche che illumineranno San Giovanni da qui fino a febbraio inoltrato.

    Una variazione di bilancio che fa discutere

    Il caso è scoppiato pochi giorni fa, il 20 dicembre, durante un consiglio comunale di indubbia teatralità, la cui visione si consiglia agli amanti del vernacolo. L’aula si è infiammata quando al centro del dibattito sono finite alcune variazioni di bilancio da ratificare dopo la relativa delibera di Giunta. Soldi spostati da un capitolo all’altro o all’interno dello stesso, col Centro internazionale studi gioachimiti a beneficiare di 8.426,53 euro meno del previsto per il 2022. E gli stanziamenti per la voce “Luminarie e addobbi natalizi” in aumento di 40mila euro.

    Quest’ultima somma, peraltro, coprirà le spese solo per dicembre. Perché, recita la determina 589 del primo dicembre scorso, «oltre al periodo natalizio, è prevista l’installazione delle luminarie artistiche anche in occasione del periodo dei saldi, San Valentino e Carnevale». Ergo, serviranno altri 33.200 euro, impegnati fin d’ora sul bilancio 2023.

    Déjà vu

    Il Comune ha optato, in questo caso, per un affidamento diretto, visto il Natale ormai alle porte. A beneficiarne, una ditta in grado di fornire «installazioni esclusive, originali e dal forte richiamo turistico»: la Med Labor. Più che nella San Giovanni in Fiore del 2022, sembrerebbe di essere nella Cosenza del decennio scorso. Qui si parla di Buone feste florensi, lì si parlava di Buone feste cosentine. Anche all’epoca Rosaria Succurro sedeva in giunta, ma come assessore a Palazzo dei Bruzi. E Med Labor infiammava il dibattito politico (e non solo) come e più di adesso.

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    Palazzo dei Bruzi illuminato dai cerchi luminosi a Natale di qualche anno fa

    L’azienda era, infatti, assisa ad esclusivista o quasi delle forniture di luminarie al municipio bruzio a botte di affidamenti diretti sotto la soglia dei 40mila euro (oltre la quale, per la normativa del tempo, sarebbero state necessarie gare d’appalto aperte a più concorrenti) fatturando somme mai guadagnate prima d’allora. La questione finì pure in un’inchiesta della Procura locale sui cosiddetti “appalti spezzatino”. Nemmeno sfiorata da sospetti Succurro; a giudizio invece, tra gli altri, il titolare dell’azienda insieme ad alcuni dirigenti comunali. La notizia finì al Tg1, ma gli inquirenti fecero un buco nell’acqua: imputati tutti assolti perché il fatto non sussiste.

    La rendicontazione c’è o no?

    Memore senz’altro della buona fattura delle luminarie cosentine, è probabile che la sindaca abbia suggerito Med Labor come «operatore economico con capacità tecniche ed organizzative, che possa fornire quanto richiesto in tempi brevi». Dimenticando, però, l’importanza per San Giovanni in Fiore del Centro studi. E, per di più, senza fornire una spiegazione plausibile al taglio dei fondi.
    Succurro, infatti, nel replicare in aula alle critiche dell’opposizione ha giustificato così la scelta di ridurre lo stanziamento: il Centro non avrebbe rendicontato le attività svolte nell’anno precedente, ragion per cui dargli più dei 2.000 euro rimasti avrebbe potuto creare anche problemi con la Corte dei Conti.

    Succurro vs Succurro

    E qui entra in scena l’altro Succurro, il professor Riccardo, che peraltro di Rosaria è zio. Udite le dichiarazioni della nipote, le ha definite in una nota «fortemente lesive della reputazione e del prestigio del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti». Il giudizio sulla cifra destinata al Cisg dopo la variazione di bilancio? Lapidario: «Mortificante». Non meno severo quello sul perché del taglio ai finanziamenti. «Il sindaco ha affermato che il Centro Studi non ha rendicontato le attività svolte nel 2021. È un’affermazione non vera. Il sindaco mente? Pensiamo non sia informata. Il Centro Studi ha invece rendicontato le attività svolte nel 2021 ed inviato il piano delle attività del 2022 con comunicazioni che gli uffici comunali hanno acquisito agli atti». E con il denaro decurtato prevedeva di realizzare materiale didattico sull’abate Gioacchino da Fiore per le scuole del territorio.

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    Riccardo Succurro

    E l’altro 15%?

    Ad alimentare i dubbi è arrivata un’ulteriore nota, stavolta del Psi locale. I socialisti riportano che «in data 20.07.2022 ed in data 19.08.2022, sono state notificate alla Responsabile del Settore Cultura del Comune due note, aventi per oggetto: “richiesta contributo finanziario per l’attività del CISG”. In entrambe  sono state allegati i seguenti documenti:

    1. Relazione sulle attività svolte dal CISG;
    2. Piano delle attività per l’anno 2022:
    3. Bilancio di previsione per l’anno finanziario 2022.

    Si precisa che i tre documenti inviati sono stati approvati dall’assemblea dei soci ad unanimità».

    Circolano anche immagini di una lettera protocollata che risalirebbe al 28 luglio. Date e protocolli a parte, c’è un dettaglio non da poco: uno dei soci è proprio il sindaco pro tempore di San Giovanni in Fiore. E se anche fossero il professor Succurro o il Psi a non raccontarla giusta resterebbe comunque un dubbio: in assenza delle rendicontazioni, perché dare i 2.000 euro rimasti e non eliminare del tutto il finanziamento, scongiurando così gli eventuali problemi con la magistratura contabile?

    Tressette

    Ma la querelle tra i Succurro non finisce qui. Rosaria nel suo intervento in aula ha aggiunto che la progettualità del Centro dev’essere adeguata alla linea di indirizzo politico dell’amministrazione comunale. Parole che Riccardo ha accolto così:«Il Centro Studi non è un circolo di tressette che dipende dal Comune. Il Centro Studi è un istituto culturale autonomo statutariamente, giuridicamente riconosciuto di valenza nazionale. Il piano delle attività del Centro viene approvato dall’assemblea dei soci dove il Comune è rappresentato. La programmazione pluriennale del Centro è di altissimo livello culturale ed è apprezzata in tutto il mondo».

    Pare che iniziative come il Premio Città di Gioacchino, istituito dalla sindaca e organizzato spendendo qualche decina di migliaia di euro nei mesi scorsi, non incontrino il gradimento del professore. Che alle passerelle di personaggi più o meno illustri continua a preferire lo studio dei testi antichi come omaggio al fondatore della locale abbazia.

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    La tomba dell’abate Gioacchino all’interno dell’Abbazia florense

    Tra zio, nipote e rispettivi enti, insomma, le posizioni sembrano inconciliabili. Qualcuno si diverte a suggerire che per mediare tra le parti si potrebbe piazzare qualche luminaria pure nel Centro Studi. Ma non serve essere «il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato» collocato da Dante nel suo Paradiso per prevedere come andrebbe a finire.

  • Il Duomo di Cosenza e la sua storia in mostra a Villa Rendano

    Il Duomo di Cosenza e la sua storia in mostra a Villa Rendano

    Dalla Cattedrale a Villa Rendano è il titolo di un viaggio multimediale che unisce il fulcro simbolico della devozione cosentina allo storico palazzo che ospita la Fondazione Giuliani, la cattedrale come luogo sacro e l’antico edificio che fu dimora del celebre musicista come tempio laico e culturale. Un percorso virtuale, ovviamente, che si apre all’interno del Museo Multimediale Consentia Itinera di Villa Rendano. E la multimedialità che ne è la cifra caratterizzante non stempera le suggestioni anzi ne amplifica la portata.

    Identità oltre la fede

    Il percorso era stato già presentato in occasione dell’evento celebrativo degli ottocento anni della Cattedrale di Cosenza e inaugurato alla presenza del compianto monsignor Nolè, allora Vescovo della città. Adesso sarà nuovamente fruibile il 25 e 26 di Dicembre.
    Il museo è una delle tappe dell’impegno rivolto alla riscoperta e valorizzazione del centro storico di Cosenza attraverso percorsi immersivi che coniugano ricerche scientifiche e concettuali con il potenziamento del valore sociale e del senso identitario.
    Da questo punto di vista lo spazio dedicato al Duomo è potentemente significativo per il ruolo che il luogo rappresenta in termini di fede e di identità cittadina. Il Duomo, infatti, non è solo la chiesa principale del capoluogo, ma anche il centro, non solo simbolico ma quasi anche urbanistico, della città antica.

    Sette sale a Villa Rendano per raccontare il Duomo di Cosenza

    Nelle sette sale del Museo si troverà concentrata la storia pluricentenaria della Cattedrale e saranno raccontati gli sforzi compiuti per edificarla e nel tempo abbellirla, passando per tappe di straordinario significato come la donazione della Stauroteca da parte di Federico II, fino alla devozione speciale dedicata dalla popolazione cosentina all’icona duecentesca della Madonna del Pilerio, per arrivare ai monumenti funebri dedicati a Isabella d’Aragona e ad Enrico VII di Hohenstaufen, alle trasformazioni della facciata che l’edificio ha conosciuto nel corso del XIX e XX secolo, fino  le tombe dei martiri dei moti del 1843 presenti nella cappella del SS. Sacramento.

    Cosa fare per visitare la mostra

    In occasione del Natale questo viaggio nella storia e nella fede della città di Cosenza viene riproposto alla città dalla Fondazione Giuliani, a consolidare un impegno che lega quest’ultima al suo centro storico.
    Per informazioni e prenotazioni: prenotazionivillarendano@gmail.com

  • Ecco Medicina all’Unical: la parte clinica sarà all’ospedale di Cosenza

    Ecco Medicina all’Unical: la parte clinica sarà all’ospedale di Cosenza

    «Parte Medicina all’Unical». È questo il titolo della nota stampa diramata dall’Università della Calabria e postata dal rettore Nicola Leone sulla sua pagina Facebook.
    «Medicina e Chirurgia TD (con cliniche all’Annunziata) – Il corso appartiene alla classe delle lauree magistrali LM-41 (Medicina e Chirurgia) e consente allo studente, al termine dei 6 anni e con il superamento di pochi esami aggiuntivi di ottenere un doppio titolo: sarà infatti dottore in Medicina e Chirurgia, con accesso quindi alla professione di medico, e in Ingegneria informatica, curriculum bioinformatico (laurea triennale)». Sono informazioni contenute nella nota stampa dell’Ateneo di Arcavacata.

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    L’Università della Calabria

    Medicina, Unical verso una svolta storica

    «Si tratta di una svolta storica – ha commentato il rettore Nicola Leone – che segue la riforma della proposta didattica di due anni fa. Un passaggio motivato principalmente da due necessità: dare risposta alla crescente domanda di formazione sanitaria che arriva dagli studenti calabresi, e andare in soccorso del territorio che vive da anni una profonda emergenza in campo sanitario, contribuendo allo sviluppo della sanità regionale e favorendo la crescita di competenza in settori strategici della medicina». I corsi di tutti i sei anni saranno quindi nel campus e i tirocini saranno svolti all’ospedale dell’Annunziata, che sarà interessato da un processo progressivo di clinicizzazione.

    «Il progetto – che è stato sostenuto anche dal governatore della Regione e commissario ad acta per la sanità, Roberto Occhiuto – porterà all’ospedale cosentino nuove risorse e valorizzerà i medici già presenti in ospedale, che potranno essere coinvolti nei processi formativi dell’università».

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Medicina, Unical incassa via libera del Coruc

    L’Unical ha già stanziato un primo investimento per l’assunzione di otto ricercatori universitari che svolgeranno attività di didattica e di ricerca in ateneo e che – dopo la firma della convenzione con l’Azienda ospedaliera di Cosenza – potranno prestare servizio clinico in ospedale, unitamente a tre professori medici già nell’organico dell’Unical. I settori disciplinari degli otto ricercatori sono stati prescelti su specialità mediche ad alta migrazione sanitaria e relative a posti attualmente vacanti nell’organico ospedaliero.
    Il Coruc – Comitato regionale di coordinamento delle università calabresi – ha dato il via libera all’istituzione di quattro nuovi corsi di laurea proposti dall’Unical e che entreranno nell’offerta formativa a partire dall’anno accademico 2023-2024, subito dopo il via libera dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e del Ministero dell’Università e della ricerca, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi.

    Al via pure la laurea in Infermieristica

    L’offerta formativa d’area sanitaria dell’Unical si amplierà nel prossimo anno accademico con l’avvio del corso di laurea in Infermieristica (L/SNT1 – Lauree in professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica). Il corso, che abilita alla professione di infermeria, prevede che le attività di tirocinio si svolgano presso le strutture dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, dell’Asp e dell’Inrca, offrendo così un ulteriore contributo alla struttura con il rafforzamento delle risorse umane disponibili. Gli studenti di Infermieristica svolgono infatti, nel corso del triennio, 1800 ore di tirocinio in corsia e sul territorio. L’attivazione del corso viene incontro alla forte domanda di formazione che arriva degli studenti calabresi, molti dei quali sono costretti a lasciare la Calabria per frequentarlo, e alla richiesta di risorse umane che arriva dal territorio: si stima in regione una carenza di quasi 3mila infermieri.

  • Dal Colosseo a Cosenza vecchia: così Giorgio Pala vuol cambiare piazza Toscano

    Dal Colosseo a Cosenza vecchia: così Giorgio Pala vuol cambiare piazza Toscano

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    Un signore distinto si aggirava nei mesi scorsi tra i vicoli del centro storico di Cosenza, incuriosito e affascinato dalle pietre antiche di Corso Telesio. Quel signore si chiama Giorgio Pala, è un architetto di fama nazionale, che recentemente ha lavorato al restauro del parco archeologico del Colosseo. Cosa ci facesse da queste parti è presto detto: il suo studio romano si è aggiudicato i lavori di riqualificazione di piazzetta Toscano e per qualche mese ha frequentato la parte vecchia della città in cerca dell’idea migliore per ripensare questo luogo.

    I soldi del Cis per piazzetta Toscano

    Una partita da un milione e duecentomila euro (soldi previsti dal Piano Sviluppo e Coesione del Ministero della cultura) per mettere mano all’opera più controversa della città, con la sua spigolosa copertura di ferro e di vetro nata per “custodire” l’area archeologica sottostante (i resti di una domus romana tornati alla luce dopo i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale), ma da decenni oggetto di polemiche per lo stato di inesorabile degrado in cui versa. I fondi sono quelli del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis) al cui iter per la destinazione alla città dei Bruzi aveva dato un forte impulso la Cinquestelle Anna Laura Orrico, in veste di sottosegretaria nel governo Conte bis.

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    La parlamentare del M5S, Anna Laura Orrico

    Due giunte, altrettanti progetti

    La struttura attuale, progettata dall’architetto Marcello Guido e realizzata negli anni ’90, è danneggiata in più parti, la manutenzione è complicata e costosissima, i resti romani hanno finito per essere ricettacolo di sporcizia, coperti da erbaccia e buste di spazzatura. Nel 2018 l’allora sindaco Occhiuto annuncia un finanziamento per «una rivisitazione» dell’opera che – garantiva il primo cittadino – l’avrebbe resa «più funzionale, accessibile, visitabile anche nella parte archeologica». Nulla, però, è accaduto.

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    Le erbacce sotto la copertura che impedisce la piena fruizione dell’area

    A distanza di anni, con una nuova giunta in sella, riecco il Cis con un altro progetto. Anzi, due: Pala e il suo team, infatti, nell’aggiudicarsi i lavori hanno presentato due proposte (con una identica previsione di spesa) per la riqualificazione urbanistica e funzionale di piazzetta Toscano con la valorizzazione dei reperti. La prima opzione prevede di salvaguardare l’attuale copertura. La seconda, invece, propone di “smontare” l’opera realizzata in ferro e vetro e dare una nuova vita all’area lasciando la piazza aperta e il parco archeologico fruibile dai visitatori.

    La promessa di Alimena: lavori al via ai primi di gennaio

    Chi deciderà? A scegliere la migliore tra le due proposte presentate dal prestigioso studio romano dell’architetto Pala, aggiudicatario dell’appalto, sarà la Conferenza dei servizi che vedrà riuniti intorno allo stesso tavolo tutti gli enti che a vario titolo sono interessati al futuro di piazzetta Toscano. L’ultima parola sulla riqualificazione di quest’area dall’immenso valore storico e artistico, spetta però alla Sovrintendenza, che potrà porre il suo veto nel caso in cui non ritenga garantita la tutela dei reperti.

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    Il consigliere comunale con delega al centro storico Francesco Alimena (PD)

    Pare quindi che il 2023 sarà l’anno del restyling della vituperata piazzetta, l’apertura dei cantieri è prevista per i primi di gennaio, «la tempistica è chiara, già a metà del mese i lavori partiranno» garantisce Francesco Alimena, oggi consigliere comunale con delega alla città vecchia ma sostenitore dei Cis fin dalla prima ora. «Stiamo per cambiare il volto del centro storico – dice – e questa volta non si tratta di proclami ma di fatti».

  • Un panettone di Amantea tra i migliori d’Italia

    Un panettone di Amantea tra i migliori d’Italia

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    Un piccolo primato di Natale tutto calabrese: Gambero Rosso ha premiato il panettone tradizionale dell’Antica Salumeria Mazzuca di Amantea.
    La notizia è fresca, fragrante come un dolce appena sfornato: la prestigiosa rivista, sinonimo da decenni di gastronomia di qualità, ha inserito il panettone artigianale amanteano tra i primi della sua selezione.
    La quale è avvenuta in maniera particolare, cioè attraverso un assaggio “alla cieca”. In pratica, i gourmet assaggiano i prodotti senza conoscerne la provenienza e li valutano.

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    L’assaggio del panettone

    Un’emozione dolce

    L’aspetto più particolare (un “primato nel primato”) è che questo panettone proviene da una città di mare.
    I segreti di questo piccolo successo? Gli ingredienti: «Abbiamo usato le bacche di vaniglia del Madagascar e il burro di Normandia, che è più gustoso perché ha un quantitativo di panna. E poi canditi di alta qualità», spiega Alfonso Mazzuca, che gestisce da anni l’esercizio di famiglia nella centralissima via Margherita.
    A dirla tutta, non è la prima volta che l’Antica Salumeria ha ottenuto riconoscimenti: «Produciamo panettoni da circa quattro anni e siamo stati premiati per quello al cioccolato».
    Il riconoscimento di quest’anno è arrivato a sorpresa: «Ho inviato le prime produzioni di novembre a vari amici in tutt’Italia, come faccio sempre», prosegue Mazzuca.

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    Il bancone dell’Antica Salumeria Mazzuca

    Poi la sorpresa: «Mi hanno contattato da Gambero Rosso per comunicarmi che avrebbero inserito il panettone nel loro test alla cieca». Ed ecco il bel risultato.

    Piccola tradizione, grandi soddisfazioni

    Iniziò tutto nel ’36, quando Alfonso Mazzuca, il nonno dell’attuale titolare, si spostò da Gallo, una frazione del vicino San Pietro in Amantea, per sposare un’amanteana.
    Fu allora che nacque la salumeria. Che, a partire dal ’92, si è specializzata nella gastronomia artigianale di alta qualità.
    Il riconoscimento di Gambero Rosso corona anni di sacrificio e dedizione. Per chi lavora tanto e duro, il miglior regalo di Natale.

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  • Borbone contro Massoni: una storia calabrese

    Borbone contro Massoni: una storia calabrese

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    Dell’arretratezza dei Borbone si parla spesso e troppo.
    Tuttavia, senza per questo voler dare ragione ai neoborbonici e ai revisionisti alla Pino Aprile, non sempre era così. Anzi, in alcune cose l’ex dinastia napoletana era piuttosto avanti. Ne citiamo due: le opere pubbliche in project financing e l’autocertificazione.
    Un esempio delle prime fu la ferrovia Napoli-Portici, realizzata col concorso di un imprenditore francese che sostenne buona parte delle spese.
    Ma questa non riguarda la Calabria.
    L’“autocertificazione”, invece, fu un’idea di Ferdinando I, ’o Re Nasone, per stanare massoni e carbonari dai ruoli di comando. E ci tocca da vicinissimo.

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    Ferdinando I di Borbone, ‘o Re Nasone

    Borbone e Massoni: lo strano rapporto

    È il caso di fare chiarezza su un punto: il rapporto tra i Borbone di Napoli e la massoneria non è mai stato chiaro e lineare, ma molto condizionato dalla politica pontificia.
    All’inizio, cioè sotto don Carlo, il primo, illuminato esponente della dinastia, c’è una certa tolleranza, come ovunque.
    Anzi, molti pezzi grossi della nobiltà napoletana si dilettano nelle logge. Come, ad esempio, Raimondo di Sangro, il principe di Sansevero, il quale prende piuttosto sul serio la “grembiulanza”, al punto di riempire la celebre cappella di famiglia di simboli esoterici.
    Certo, esistono già le prime bolle papali (In eminenti apostolatus specula, del 1738, e Providas romanorum, del 1751).
    Ma i regnanti (e le varie chiese nazionali) le interpretano con larghezza. Poi, a fine secolo, le cose cambiano.

    Una “catena d’unione” massonica

    La grande paranoia dei Borbone

    La rivoluzione francese, col suo carico di novità esplosive, è all’origine della rottura.
    I Borbone si adeguano, anche per via di uno choc familiare enorme: l’esecuzione di Maria Antonietta di Francia, sorella maggiore di Maria Carolina, moglie di Ferdinando e Regina di Napoli.
    I traumi successivi, cioè la Repubblica Partenopea e il decennio napoleonico, cementano un’equazione d’acciaio nella nobiltà lealista napoletana: massone uguale a giacobino e giacobino uguale a carbonaro.
    Dopo la repressione dei moti costituzionali del 1821, la situazione precipita del tutto: lo staff borbonico vede davvero massoni e carbonari ovunque. E quindi jacubbine.

    La “vendetta massonica”: un dettaglio del rito del Cavaliere Kadosh

    I Borbone alla riscossa: le Giunte di scrutino

    Una scoperta consente di ricostruire la persecuzione borbonica contro i grembiuli del Regno delle Due Sicilie.
    L’ha fatta Lorenzo Terzi, giornalista e funzionario dell’Archivio di Stato di Napoli. Terzi, noto al pubblico per varie ricerche specialistiche, ha trovato i documenti dell’attività delle cosiddette Giunte di scrutinio.
    Queste Giunte borboniche erano commissioni d’inchiesta istituite con un decreto del 12 maggio 1821.
    In origine erano quattro e avevano il compito di esaminare «la condotta degli ecclesiastici, pensionisti e funzionarj pubblici; come anche quella degli autori di opere stampate e le massime in esse insegnate».
    Ad esse se ne aggiunsero una quinta (decreto del 16 aprile 1821), che si occupava dei militari, e una sesta (decreto del 24 maggio successivo) destinata alla Marina.

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    Un interrogatorio della polizia borbonica (con relativa tortura)

    Grembiuli di Calabria

    Nel fondo del Ministero di Grazia e Giustizia custodito dall’Archivio di Stato di Napoli c’è un documento importante che riguarda la Calabria Citra, cioè il Cosentino.
    Contiene gli scrutini (cioè i controlli) della Camera notarile di Cosenza.
    I membri della Camera notarile setacciati dalla Giunta borbonica sono il presidente Pasquale Rossi, il cancelliere Tommaso Maria Adami, gli ufficiali di prima classe Giovan Battista Adami e Francesco Rossi, gli ufficiali di seconda classe Francesco Memmi e Giovanni Litrenta, i componenti Pasquale Gatti e Nicola Del Pezzo e il bidello Giuseppe Pettinati.

    L’autocertificazione

    Come funzionavano le Giunte di scrutinio? Nessun interrogatorio pesante né torture. Niente sbirri né inquisitori.
    Più semplicemente, la Giunta competente per territorio inviava dei questionari ai funzionari sotto scrutinio. Questi, a loro volta, dovevano rispondere entro un mese, pena la decadenza dal ruolo e la perdita di stipendio o pensione.
    Solo in caso di dichiarazioni false si passavano i guai, che potevano essere seri.
    In pratica un’autocertificazione.

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    Il verbale dell’interrogatorio di Pasquale Rossi

    Le domande dei Borbone

    Il questionario era composto da sei domande.
    In primo luogo, si chiedevano allo scrutinato informazioni sulla sua carriera. Poi si entrava più nel dettaglio: si chiedeva, quindi, al soggetto sotto esame se fosse o fosse stato massone o carbonaro e, se si, con che ruoli e quando.
    Ancora: gli si chiedeva se avesse fatto attività o propaganda sovversiva, dentro o fuori le logge (o, nel caso dei carbonari, le vendite).

    L’insidia massonica

    Tanta paura non era proprio immotivata. Durante il decennio francese, Gioacchino Murat aveva potenziato il Grande Oriente di Napoli e se ne era proclamato gran maestro.
    Murat, che di sicuro non era un intellettuale in vena di finezze esoteriche, usava la massoneria per raggruppare i liberali e fidelizzare quel po’ di borghesia che faceva carriera negli uffici pubblici. In pratica, aveva creato una specie di “Partito della Corona”.
    Tornato a Napoli, re Ferdinando evitò la ripetizione dei pogrom orribili seguiti alla caduta della Repubblica Partenopea e limitò le epurazioni.

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    Gioacchino Murat

    Al contrario, adottò nel Regno delle Due Sicilie il nuovo modello di amministrazione creato dai francesi, funzionari e impiegati inclusi.
    Ma ciò non risolveva, dal suo punto di vista, il problema della sicurezza, perché i ranghi della burocrazia e dell’esercito pullulavano di carbonari o massoni e il Regno borbonico era costretto a tenerseli in pancia, soprattutto per mancanza di alternative.

    Pochi massoni, molti carbonari

    In realtà, dopo la cacciata dei francesi i massoni non erano tantissimi. Il motivo è facile da intuire: le epurazioni e le repressioni, rafforzate dalle scomuniche, incutevano timore.
    Inoltre la massoneria non aveva scopi eversivi.
    Perciò, chi aveva voglia di trescare o menare le mani, preferiva la carboneria, che invece questi scopi li aveva. Rischio per rischio, tanto valeva osare sul serio.
    Non è il caso di approfondire troppo i rapporti tra carbonari e liberi muratori. Basta dire solo che la carboneria nacque come costola scissionista della Libera Muratoria e aveva strutture e riti simili. Direbbero quelli bravi: la stessa sociabilità.

    Una congiura carbonara

    E che i Borbone temessero i carbonari, lo prova un fatto curioso. Cioè la costituzione dei Calderari, una specie di carboneria reazionaria legata alla Corona e che, tra le varie cose, curava i rapporti con la parte filoborbonica della camorra.

    Massone a chi?

    Nel caso dei giuristi cosentini, è facile intuire che gli scrutinati fecero a gara a negare tutto.
    Anzi, Pasquale Rossi rivendicò di essere stato maltrattato dai Francesi quando faceva il magistrato a Lago. Discorso simile per Nicola Del Pezzo, che parlò del suo ruolo di consigliere giudiziario, ovviamente a favore della monarchia borbonica.
    Occorre notare un dettaglio: il Pasquale Rossi della Camera notarile di Cosenza non è antenato diretto dell’illustre intellettuale cosentino, sebbene la cronologia e l’omonimia gettino qualche suggestione.
    Il Pasquale Rossi “nonno” fu in effetti carbonaro, massone e, quindi cospiratore. Ma era di Tessano, mentre il presidente Rossi era di Cavallerizzo.

    Iniziazione massonica (scena tratta da “Un borghese piccolo piccolo, di Mario Monicelli)

    Repressione napuletana

    Non esistono dati precisi sulle epurazioni borboniche. Di sicuro, l’autocertificazione aveva uno scopo diverso dal punire massoni e carbonari.
    Semmai, l’obiettivo era tenere per le parti basse i presunti cospiratori, con dichiarazioni verificabili sulla base delle soffiate e dei metodi poco ortodossi dell’occhiuta polizia borbonica.
    In realtà le epurazioni furono poche. E poche pure le condanne. I Borbone usarono le Giunte di scrutinio per prevenire un pericolo potenziale, ma per il resto non avrebbero potuto fare a meno dei funzionari “impiantati” dai napoleonici.
    Una soluzione alla napoletana, insomma, con cui ’o re Nasone scaricò le grane sui suoi eredi. E che grane.

  • Un Natale con Donna Pupetta (e nipoti)

    Un Natale con Donna Pupetta (e nipoti)

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    Me l’hanno chiesto e strachiesto, in questi mesi di silenzio del giornale: che fine ha fatto Donna Pupetta? Sta bene? Tornerà a fare sentire la sua voce rauca e i suoi colpi di tosse? Non c’è da preoccuparsi, Pupetta sta benissimo, chi l’ammazza? Però ora, dovete capirla, è alle prese con i nipoti venuti da Roma per Natale, i nipoti biondi. Perché poi – come ho già detto – ci sono i nipoti bruni, quelli che a Roma al massimo ci studiano ma che sono nati e cresciuti a Cosenza.

    Eleganza e sobrietà

    E le nipoti femmine? Quelle si distinguono in due categorie, un po’ più libere dai condizionamenti geografici. C’è la nipote copia conforme della nonna Pupa e c’è la nipote con un passato di trasgressioni che Pupa faticherebbe a riassumere in un proprio incubo. Tra le due nipoti, una tacita disapprovazione reciproca, mascherata dal legame di sangue. Da una parte potete osservare le Hogan d’ordinanza (vi prego, smettetela, ci siete rimaste solo voi e qualche estetista della più profonda provincia circumvesuviana, che ritenete erroneamente ai vostri antipodi). Dall’altra, potete ammirare una memorabile collezione di sbronze a suon di Negroni, innocenti cannette in non modica quantità, e molte strisce ben poco pedonali, sul servizio buono di piatti ben scaldati all’uopo.

    Donna Pupetta, in tutto ciò, supervisiona, forse ha fatto finta di non sapere: ormai sono grandi, ‘ste nipoti («Azzilio! – rivolgendosi al primogenito, referente per diritto antico – ma picchì ‘su piattu è vrusciatu ‘i sutta?» ha chiesto spesso, in passato, tornando dalla settimana bianca in Sila, anzi, in Zila, ignorando che la settimana era più bianca a casa sua).

    Roma vs Cosenza: nipoti a confronto

    Generalizziamo, su: la nipote con le Hogan ha studiato a Roma. Ma non ha vissuto a Roma. Ha vissuto solamente nel raggio di 100 metri da Piazza Bologna. Hic sunt leones, forse sarà scritto al di là di quella cortina. E il latino, innamorata di Roma, lei lo sa (ma lo ha imparato al Telesio, anzi, al tzelàsio). Per inciso: Roma non si è mai accorta di lei.

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    Roma, l’ingresso della metro a piazza Bologna

    La nipote (ex) sballata ha studiato a Roma, pure lei. Ma poi chissà perché – il richiamo della terra o delle entrature paterne? – è tornata alla base. In genere, dopo il picco della trasgressione e magari un paio di amori o un viaggio all’estero particolarmente catartico (crediamoci), fa finta di mettere senno e allora assume una posa da gattara chic, sorta di futura Donna Pupetta declinata in gauche caviar, e va ad abitare in una delle molteplici case sfitte rientranti nel cospicuo patrimonio paterno e materno (distinguere le due cose, sempre), possibilmente nel centro storico, che fa un po’ bohémien, purché la dimora sia inserita in un vecchio palazzo nobiliare e non certo in un rione subalterno.

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    Manifesto pubblicitario della ditta Mancuso & Ferro, inizi ‘900 (Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia)

    Sigaretta in bocca, cellulare tenuto a fatica tra l’orecchio e la spalla, capelli spettinati, l’altra mano ha finalmente ritrovato in camera da letto il posacenere-ricordo del bisnonno-bene, dopo aver perlustrato casa ciabattando in sandali etnici usati a mo’ di pantofola, proprio due guanti quando scivolano sulle cementine colorate (purché Mancuso&Ferro D.O.C.). Talvolta arriva anche a figliare. Altrimenti, come minimo, “e se nasce una bambina poi…“ la chiamerebbe Cosenza (il discorso vero, sentito con le mie orecchie, era leggermente diverso ma la sostanza non cambia). Di più simpatico, rispetto a sua cugina hoganifera, è che lei almeno parla senza vergogna il più sboccato dialetto. Vivaddio.

    A spasso con Donna Pupetta: Cintuzzu e i Bee Gees

    Faccio un giro con i nipoti e le nipoti di Pupetta e mi mostrano – come se non le conoscessi – certe “meraviglie” di Cosenza (questi esemplari sociali sono sempre fierissimi di questa città, non c’è niente da fare). E va bene, se non fosse che ogni due secondi tirano fuori Roma. Anzi, non Roma. Una certa Roma. Quella per me più orrenda, banale, vuota, rispetto a quell’altra Roma che si potrebbe conoscere e che spesso gli stessi romani conoscono poco. A Cosenza mi fanno rivedere la statua in onore di Cintuzzu, vicino alla Fontana di Giugno. Ma mi dicono che in verità sarebbe Giacomo Mancini, ora pro nobis. Boh, sarà, a me sembra Cintuzzu.

    Poi girano intorno alla rotonda alla fine di viale Cosmai, in tempo per non sporcarsi di Rende – dicono – e mi mostrano tre sagome in ferro arrugginito. Penso, ogni volta: sembra un monumento ai Bee Gees, vista la posa. E invece no, in ricordo della vittima – Sergio Cosmai, appunto – si è fatto un monumento al commando dei criminali. Stayin’ alive proprio per niente. E vabbé, de gustibus. Torniamo verso il centro e mi tocca sentire le lodi al ponte di Calatrava. Ponte? Avevo sempre creduto fosse un monumento alle disfunzioni erettili. Chiederemo all’andrologo dell’architetto (ma il suo Padiglione Quadracci, a Milwaukee, conferma e rafforza la mia idea, visto che ha tanto di controparte presente).

    Fallo!

    Certo non è un caso che il ponte sia stato messo simbolicamente lì, “tra Gemma a Felicetta”, ultimo di ben cinque ponti sul Crati nel giro di un chilometro. Poi niente fino a Castiglione (eccettuato quello della Silana-Crotonese): non sarebbe stato più utile altrove? Eureka: deve essere un’onta vendicativa da parte dell’architetto spagnolo nei confronti del machismo calabro, di cui dovrebbe risentirsi anzitutto il cosentino medio (maestro dell’I me mine harrisoniano, ma in salsa Laqualunque), e poi l’Accademia del Peperoncino di Diamante, che dovrebbe spalmare di piccante l’antenna del ponte o inviare creme all’architetto. Per uso esterno. Detto ciò, dopo il balanico Elmo di Paladino (ho scritto proprio balanico, non balcanico), cosa riserverà nel futuro il fallico arredo urbano cosentino? E se l’Elmo sta a metà tra il Comune e don Giacomo, allora cosa vorrebbe significare?

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    L’Elmo in piazza dei Bruzi

    Boh, a Pupetta non piace tutta questa novità («era meglio la fontana di Giugno», appunto). Ai suoi figli piacevano le colombe rapaci di Piazza Kennedy. Nipoti maschi e femmine adorano il ponte (e ci si potrebbe fare due domande sui loro più reconditi desideri). Comunque sì, i nipoti e le nipoti di Donna Pupetta adorano Cosenza alla follia e se ne riempiono la bocca, sempre a vocali più sguaiate. E quant’è bèlla Cosènza e quant’è bèlla la Sila. E basta, cambiate disco!

    Donna Pupetta e la pasta alla Giancaleone

    Così anche le nuove e giovani pupette più o meno romane saltano da una vigilia di Natale ad una cena fuori con le amiche mai perse (benché ad ogni incontro sembra che non si vedano da una vita), ovviamente nella facile ricerca di una pasta alla Giancaleone, misteriosamente onnipresente in tutti i menù cosentini, addirittura presentata quale piatto tipico della città. Ma chi se ne frega della pasta alla Giancaleone, vogliamo dirlo? Lo dice Donna Pupetta: «Io, ai tempi miei, non l’ho mai sentita – cof cof – tutto diverso, tutto cambiato». E c’ha ragione, Donna Pupetta. A noi cosa resta? I settantenni con lo smanicato, le signore con la sigaretta elettronica e il tavolo del cenone con sopra il baccalà e sotto una selva di Hogan.

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    Le origini (e le virtù) della pasta alla Giancaleone restano avvolte nel mistero

    Forse dobbiamo quasi quasi tutelarla, Donna Pupetta, che resiste alle mode a salvaguardia della tradizione: il presepe barocco del suo bisnonno, ogni anno tirato fuori da qualche cassapanca, i torroncini di Renzelli (acciaio puro, delizia di miele e zucchero su ricetta – palesemente – di qualche dentista), la lotta eterna tra i fichi di Bertini e quelli di Garritano, oppure i cuddrurìaddri che nessuno fuori di qui sa pronunciare… ma smettiamola pure noi col tentativo di insegnarlo: anche noi abbiamo scocciato. E semmai cerchiamo di abbandonare certe pronunce raccapriccianti: ad esempio i profìtterol, il gattò di patate e le graffe.

    Auguri alla “Gloria” e zuppa a Santo Stefano

    Sono certo che una Pupetta mi chiamerà per farmi gli auguri. Il 24. E, da brava cosentina, da ferrea tradizione lo farà rigorosamente alle 21:00. E mi inviterà, e ne sarò onorato, per il 26. Giornata della zuppa santé o, meglio, sandè. Speriamo bene…
    Intanto: buon Natale di cuore a tutte le Pupette di Cosenza, consapevoli e non, attuali e future.

  • Costa tirrenica, fa più danni l’uomo o lo tsunami?

    Costa tirrenica, fa più danni l’uomo o lo tsunami?

    L’allarme tsunami diramato in tutta fretta dalla Protezione civile il 4 dicembre scorso ha mandato in fibrillazione tutti i comuni della costa tirrenica. Hanno chiuso scuole, uffici, bar e tutto ciò che si trova sul lungomare. Poi, cessato l’allarme, i residenti hanno cominciato a porsi domande. Basta la caduta di un costone dello Stromboli per diramare un allarme tsunami? Basta un’onda di un metro e mezzo per chiudere scuole e attività produttive? E le mareggiate invernali con onde fino a 9 metri, come quelle di qualche settimana fa, dove le mettiamo? È fin troppo logico e chiaro che qualcosa nelle nostre coste è cambiato, e di molto. Il problema sta tutto nell’erosione costiera che colpisce l’intera Calabria da almeno venti anni. Procede rapida, ma poco o nulla hanno fatto i nostri amministratori pubblici per cercare di fermarla o, almeno, arginarla.

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    Un’eruzione dello Stromboli ha destato allarme sulla costa tirrenica calabrese

    La speculazione edilizia sulla costa tirrenica

    Paghiamo il prezzo della speculazione edilizia degli anni ’80, quando la sabbia del mare servì per costruire villaggi e alberghi. E paghiamo anche il saccheggio dei fiumi. Milioni di metri cubi di sabbia trasportata per millenni dai corsi d’acqua servirono per costruire ogni sorta di edificio. Poi la prima grande mareggiata portò a gettare a mare migliaia e migliaia di massi di cemento. Sarebbero dovuti servire a difendere la linea ferroviaria e, naturalmente, tutto ciò che di abusivo si era realizzato lungo le coste. Ditte legate alla cosca di Cetraro bucarono montagne e colline per trasportare massi che non servirono a fermare la furia delle mareggiate che anno dopo anno divoravano decine di metri di spiaggia. Poi, in nome del turismo, ecco la nascita di chioschi e stabilimenti balneari che tolsero altra spiaggia. Un disastro annunciato.

    La febbre dei porti

    Come se non bastasse, arrivò la corsa ai porti. Negli anni ’90 la portualità ricevette dall’Europa e dai governi milioni a non finire. A lucrarci su furono tanti, i risultati positivi pressoché nulli. L’erosione continuava, ma bracci a mare distrutti poi dalle mareggiate nascevano comunque. Cittadella del Capo, Diamante, Belvedere, Scalea, Fuscaldo, Paola, Campora San Giovanni: ogni Comune presentò un progetto per avere il proprio porto. Alcuni ebbero anche qualche autorizzazione che li indusse a gettare massi per costruire i bracci, ma solo i comuni di Campora e di Cetraro riuscirono a costruirli. Peccato che non lo abbiano fatto nel migliore dei modi, tant’è che ogni anno si registrano insabbiamenti, con relativo esborso per liberare i pescherecci incagliati.

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    Una ruspa in azione all’imbocco del porto di Cetraro per evitare che le barche si incaglino

    Costa tirrenica, arrivano le dune

    Adesso arrivano le dune a difesa di caseggiati e lidi balneari, chissà se tutte autorizzate. I lidi, lasciati soli, fanno da sé. Ed ecco in azione decine di ruspe che per km, lungo tutte le spiagge, si mettono al lavoro per alzare dune di difesa. Questo vuol dire un grave danno alla vegetazione dunale, alle stesse dune naturali. Così facendo, paradossalmente, si favorisce ancora l’erosione costiera. Il mare non trova alcun ostacolo e avanza, inglobando pezzi interi di spiaggia.

    Franano le colline

    Il prolungarsi delle piogge rende i terreni collinari più fragili; massi e pietrame si staccano e ostruiscono la linea ferroviaria e le strade. La tragedia di Ischia ha portato a riflettere (speriamo) sulla speculazione edilizia su quell’isola, ma il problema riguarda l’intero Sud ed i cambiamenti climatici stanno mettendo in evidenza tutte le criticità. Due frane hanno interessato altrettanti paesi della costa nei giorni scorsi. Una si è verificata a San Lucido: è crollato un costone roccioso che sovrasta il tracciato ferroviario della galleria San Lucido-Paola e ha rischiato di interrompere il traffico ferroviario. L’altra è avvenuta a San Nicola, con Italia Nostra a organizzare un sit-in lungo la strada provinciale per smuovere le autorità.

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    La frana a San Nicola vista dall’alto

    L’associazione ambientalista, in un comunicato del 12 dicembre scorso, spiega che «la Provincia di Cosenza nella persona del dirigente Gianluca Morrone e del responsabile del Servizio tecnico viabilità, Settimio Gravina interviene sulla questione specificando che “l’evento franoso che ha causato l’interruzione della SP n.1 è dovuto allo smottamento di un gran quantitativo di materiale terroso di riporto ed usato come riempimento di un impluvio naturale per la realizzazione di un’area di parcheggio di proprietà della Società Immobiliare Mediterranea S.P.A”».

    Una goccia nel mare di cemento

    La cosa, si legge ancora nel comunicato, ha portato la stessa Provincia a diffidare l’azienda affinché provveda «ad eseguire con la massima urgenza i lavori di messa in sicurezza della scarpata sovrastanti la strada provinciale , mediante la realizzazione di tutte le opere necessarie al consolidamento del versante». In caso contrario, «qualora si dovessero prorogare i tempi di ripristino della viabilità la Provincia si determinerà ai fini giuridici per la richiesta di eventuali risarcimenti anche per il disservizio creato all’utenza», riporta ancora Italia Nostra.

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    La protesta a San Nicola dopo la frana

    Ma non basterà mettere una toppa a San Nicola, perché tutto il territorio collinare è stato devastato. Basta guardare le nostre colline per vedere a che livelli di cementificazione si è giunti. E lo capiremo meglio nei prossimi mesi se il maltempo non si fermerà.