Tag: cosenza

  • Anpi Presila: c’è sempre tempo per essere partigiani

    Anpi Presila: c’è sempre tempo per essere partigiani

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    Mancava fino a poco tempo fa. Ma da ottobre dello scorso anno anche la Presila cosentina ha la sua sezione dell’Anpi, associazione nazionale partigiani d’Italia. Il presidente è Massimo Covello, ex segretario regionale della Fiom. Adesso è il responsabile dell’ufficio studi Formazione e Archivio storico della Cgil. A I Calabresi spiega perché questo territorio ha bisogno di riannodare il suo legame con la Resistenza.

    La Presila ha un deficit di memoria storica?

    «È stata una delle aree calabresi a più alta intensità di lotta sociale e di protagonismo antifascista. E non solo. Tornerei indietro al pensiero garibaldino e alla lotta dei briganti traditi dalla unificazione dello Stato nazionale, elemento che ha visto crescere tra le masse diseredate uno spirito di lotta. Purtroppo la memoria è un po’ sbiadita in questi anni».

    Molti ritengono, anche a sinistra, che l’Anpi sia anacronistica?

    «Non condivido per nulla chi ha un pensiero di questo tipo. C’è sempre tempo per essere partigiani. Significa aderire a una lezione etica e politica che sta dentro i valori della Costituzione. L’Anpi oggi è un soggetto che deve e può essere rafforzato con una visione moderna e prospettica. C’è bisogno di difendere valori come la libertà, l’inclusione, la valorizzazione delle differenze».

    Non è una battaglia di retroguardia?

    «Restano sempre meno, purtroppo, le persone che hanno condotto in prima persona la lotta partigiana. La realtà ci insegna che la lezione di questa lotta – pluralismo, democrazia, libertà – non sono venuti meno. Anzi, il fatto che negli anni recenti sia entrato in un cono d’ombra l’antifascismo e abbia prevalso un revisionismo carico di un lettura distorta della storia, ha prodotto e sta producendo risultati e fenomeni negativi».

    zona-rossa-addio-presila-lascia-gagarin-conte-meloni
    Pietro Ingrao a Pedace prima e dopo la caduta del regime fascista. In alcune foto compare Cesare Curcio

    Quanti conoscono una figura come Cesare Curcio?

    «Non solo Cesare Curcio (che nascose Pietro Ingrao). Penso a Edoardo Zumpano, Salvatore Martire, Luigi Prato. Tutti espressione della lotta partigiana qui in Calabria. Senza dimenticare due militari come Filippo Caruso e Mario Martire che, nell’esercizio delle loro funzioni, anche prima dell’8 settembre decidono di schierarsi dalla parte dei resistenti all’occupazione nazifascista».

    C’è stato un antifascismo “minore” al Sud?

    «Gli studi storici più recenti hanno dimostrato che non è vero. Poi è ovvio che lottare contro il Fascismo ha significato in alcuni luoghi imbracciare le armi e unirsi alla lotta partigiana, in altri resistenza per l’affermazione di alcuni valori. Noi abbiamo confinati politici per avere mostrato la loro estraneità e contrarietà al regime di Mussolini. A Casali del Manco c’è stata una cellula molto forte della Resistenza. Che era trasversale: comunista, socialista, in alcuni frangenti anarchica, anche bordighista e cattolica».

    Poi, improvvisamente, cosa è cambiato?

    «Possiamo individuare una data: il 1989 e il crollo del Muro di Berlino. Da lì c’è stato un revisionismo anche a sinistra quasi come se ci fosse una colpa da espiare. Con una interpretazione della storia assolutamente inaccettabile. Le conseguenze sono ben visibili. Comprese le istituzioni locali della Presila vocate a un approccio governista dei problemi, svendendo quei valori di riscatto sociale cari alla generazione dei vecchi gruppi dirigenti.
    Mi vengono in mente Rita Pisano, Pietro D’Ambrosio, Peppino Viafora, Oscar Cavaliere, Eleandro Noce. Anche nella loro storia amministrativa erano ancorati a quella cultura della politica come servizio e riscatto sociale. Invece negli ultimi anni l’obiettivo è stato l’occupazione del sistema istituzionale. E la classe politica locale e regionale? Indifferente ai destini collettivi».

    E la destra ormai è entrata nella ex fortezza rossa

    «Addirittura una delle candidate più votate è una leghista, una delle forze con più consensi è Fratelli d’Italia. Casali del Manco rischia di essere una palude in cui tutte le idee sono uguali. Si è tutti gli stessi e l’unica cosa che conta è l’intercessione per avere accesso a benefici privati invece di promuovere benefici collettivi».

    Un assessore regionale leghista, che smacco per la sinistra?

    «Questa è la conferma della confusione e del grande smarrimento. Che io leggo come una responsabilità storica di quei partiti che, a parole, dicono di rifarsi alla storia della Resistenza. Poi come sia arrivata a diventare assessore la dottoressa Staine è questione politicista. Il suo legame con il territorio non esiste se non per essere nata a Celico e avere origini pedacesi».

    zona-rossa-addio-presila-lascia-gagarin-conte-meloni
    Emma Staine

    In pochi hanno trovato spazio nelle istituzioni?

    «Sono stati consiglieri regionali Enzo Caligiuri, Ciccio Matera e Giuseppe Giudiceandrea. Il problema non sono gli uomini e le donne, ma le idee per cui ci si impegna in un percorso. L’Anpi nasce qui per dire alle giovani generazioni che questa storia oggi sbiadita e messa in disparte merita di essere riportata in auge, valorizzando il patrimonio accumulato nella Biblioteca Gullo, nel Fondo storico Curcio, Zumpano, Malito. Sono patrimoni librari e documentali misconosciuti. Il nostro intento è metterli in circuito, coinvolgere le scuole in un lavoro di approfondimento e ricerca».

    anpi-di-presila-ce-sempre-tempo-per-essere-partigiani-da-finire
    Lo studio di Fausto Gullo nella casa-museo che ospita la biblioteca omonima a Macchia nel Comune di Casali del Manco

    Le elezioni si avvicinano e l’Anpi Presila che farà?

    «L’Anpi da statuto non sarà della partita elettorale. Noi vogliamo dare un contributo alla comunità con idee, teorie, valori. Certo, sarebbe una contraddizione se uno si iscrive all’Anpi Presila e poi concorre con Fratelli d’Italia o con la Lega. Intanto siamo in prima fila per la raccolta firme contro l’autonomia differenziata. In quello saremo parte della lotta, eccome».

  • Conservatori vaticani alla carica: Müller arriva a Paola

    Conservatori vaticani alla carica: Müller arriva a Paola

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    Il 2 dicembre del 2022 il cardinale Gherard Ludwig Müller ha presentato nel Convento di San Francesco di Paola il suo ultimo libro: Il Papa, Missione e Ministero.
    Accolto con tutti gli onori dai frati Minimi, l’alto prelato, dopo aver celebrato messa, ha ricevuto i calorosi saluti del correttore provinciale dell’Ordine, padre Francesco Trebisonda. L’appuntamento ha interessato un uditorio ristretto ma consapevole di partecipare ad un evento significativo.
    Non fosse altro per la caratura del big vaticano, che negli ultimi anni si è schierato in maniera aperta contro l’attuale pontefice Bergoglio, rappresentando l’ala intransigente della Chiesa.

    Dopo papa Ratzinger

    Questo episodio, in relazione alla morte del papa emerito Benedetto XVI, assume una nuova luce nel contesto di una guerra che si è riaperta tra le due fazioni, quella progressista e l’altra più tradizionale, all’ombra della cupola di San Pietro.
    Padre Georg, segretario particolare di Ratzinger, ha dato fuoco alle polveri: a salma ancora da inumare dell’ex pontefice, ha rilasciato dichiarazioni non certo tenere verso papa Francesco.

    muller-san-francesco-di-paola-rimonta-conservatrice-vaticana
    Padre Georg con Benedetto XVI

    Parole al veleno, le sue, con cui ha anticipato l’imminente uscita di un suo libro pieno di rivelazioni sconcertanti sulla convivenza dei due papi.

    Padre Georg alla carica

    Per quale motivo Georg Genswein ha rotto la pax vaticana, tra l’altro nel momento meno opportuno? Dietro quest’iniziativa forse c’è l’intenzione di aprire un’offensiva mirata a stabilire nuovi equilibri cardinalizi.
    Il tutto in vista di un Concilio, che seguirebbe le ventilate dimissioni di papa Francesco per motivi di salute.
    Infatti, scrive l’arcivescovo tedesco nel suo libro Nient’altro che la verità, di essere rimasto «scioccato e senza parole» quando Francesco gli comunicò: «Lei rimane prefetto ma da domani non torni al lavoro».
    Secondo padre Georg, Benedetto commentò: «Penso che papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode».

    Satana contro Ratzinger e l’inquisitore silurato

    In una intervista rilasciata a Ezio Mauro, Genswein ha rivelato di aver scorto la «mano del diavolo» durante il pontificato di Ratzinger.
    In un’altra dichiarazione alla stampa, il prefetto della Casa Pontificia ha evidenziato che il provvedimento con cui papa Francesco ha ribaltato la liberalizzazione della messa in latino ha «spezzato il cuore» di Ratzinger.

    muller-san-francesco-di-paola-rimonta-conservatrice-vaticana
    Papa Benedetto XVI

    Con queste uscite, l’arcivescovo tedesco ha riacceso le polemiche innescate in precedenza dal cardinale Müller con le sue continue prese di distanza dalla visione di Bergoglio. Per questo motivo, il papa ha destituito Müller da capo della Congregazione per la Dottrina della Fede (cioè l’ex Sant’Uffizio).

    Müller alla riscossa

    Dopo questa decisione, il prelato tedesco ha deciso di non tornare a Ratisbona ma è rimasto a Roma per accrescere il fronte dei conservatori vaticani.
    In questo compito rientra anche il proselitismo, soprattutto nei più importanti centri religiosi e all’interno delle varie confraternite in Italia e nel mondo. Da qui la tappa al Santuario di San Francesco di Paola, dove Müller ha trovato porte aperte e orecchie pronte ad ascoltare le sue tesi radicali. Arricchite dagli spunti polemici, più volte esternati in altre sue pubblicazioni.
    La polemica di Müller colpisce le aperture di papa Francesco al riconoscimento dell’affettività omosessuale, le posizioni papali sul ruolo delle donne nella Chiesa e sui divorziati risposati.

    muller-san-francesco-di-paola-rimonta-conservatrice-vaticana
    La Cappella del Santuario di San Francesco di Paola

    L’ambigua diplomazia di un conservatore

    Ciononostante, lo stesso Müller ha in più circostanze tentato di non rimarcare troppo queste distanze. Anzi, ha messo in risalto la fedeltà al Papa, pur manifestando una linea a volte non coincidente con quella di Bergoglio.
    Tuttavia, non bisogna dimenticare che lo stesso ex inquisitore nel 2015 firmò la lettera dei tredici cardinali in cui si denunciavano irregolarità nello svolgimento del Sinodo sulla famiglia, che avrebbero favorito la prevalenza delle posizioni più avanzate. E c’è da dire che Müller intrattiene rapporti anche con uomini nella Chiesa di stampo progressista, come il peruviano Gustavo Gutiérrez, padre della teologia della liberazione, con cui ha scritto un libro intitolato Dalla parte dei poveri.

    Coppie gay: il no di Müller

    Dopo l’apertura di Papa Francesco alle unioni civili per le coppie omosessuali, Müller dice di aver ricevuto «centinaia di chiamate» di chi la pensa diversamente.
    Teologo e curatore dell’opera omnia di Ratzinger, nominato nel 2012 da Benedetto XVI prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e rimasto in carica fino al 2017, al Corriere della Sera ha spiegato la sua critica al pontefice: «L’ho sempre difeso contro protestanti e liberali, però il Papa non è al di sopra della Parola di Dio, che ha creato l’essere umano maschio e femmina».

    Papa Francesco

    Massoni? Alla larga

    In un’altra occasione ebbe a dire: «Non mi sono piaciute tutte quelle grandi lodi dei massoni al Papa. La loro fraternità non è la fraternità dei cristiani in Gesù Cristo, è molto di meno. Non possiamo prendere come misura della fraternità quello che viene dalla Rivoluzione francese, che è ideologia, come il comunismo. Una religione universale non esiste, esiste una religiosità universale, una dimensione religiosa che spinge ogni uomo verso il mistero. A volte si sentono idee assurde, come quella del Papa “capo di una religione universale”, ma è ridicolo. Pietro è Papa per la sua confessione o professione di fede: “Tu sei Il Cristo, il figlio del Dio vivo”. Questo è il Papa, non il capo dell’Onu».

    «Solo la Chiesa è universale»

    Ancora più netto è sul concetto della relativizzazione:
    «C’è una orizzontalizzazione del cristianesimo, lo si riduce in modo da piacere agli uomini d’oggi, invece così si inganna la gente. Quando ci si trova con persone di altre religioni non possiamo unirci in una fede generalizzata. Si riduce la fede a una fede filosofica, Dio a un essere trascendente, e poi diciamo che Allah o Dio padre di Gesù Cristo sono la stessa cosa. Così come il Dio del deismo non ha nulla a che vedere con il Dio dei cristiani. Ogni appello ad una “fratellanza universale” senza Gesù Cristo, l’unico e vero Salvatore dell’umanità, diventerebbe, dal punto di vista della Rivelazione e teologico, una corsa impazzita nella terra di nessuno».

    Gherard Ludwig Müller

    Caccia ai fedeli

    Questi concetti, esposti in maniera netta e intransigente, non lasciano intravedere una direzione comune con quella di Bergoglio, invece più aperto al dialogo interreligioso. Dopo la morte di Benedetto XVI è in gioco il futuro della Chiesa e la sua proiezione al di fuori dei confini vaticani. Perciò chi vuole riportare la dottrina cristiana in orizzonti più dogmatici, si sta organizzando per acquisire il consenso necessario a delimitare l’espansione di una visione più illuminista, che ha tuttora nel papa il più strenuo sostenitore. In questa ottica si inserisce l’attivismo del cardinal Müller, arrivato anche in Calabria in cerca di interlocutori.

    Alessandro Pagliaro

  • Campora contro Amantea: conto alla rovescia per il divorzio

    Campora contro Amantea: conto alla rovescia per il divorzio

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    La Befana ha portato un comizio agli abitanti di Campora San Giovanni, in vista del referendum previsto per il 22 gennaio.
    Sempreché, beninteso, il Consiglio di Stato, a cui il Comune di Amantea ha fatto ricorso il 19 dicembre scorso, non ci metta lo zampino.
    Infatti, dopo il secondo rigetto del Tar, la parola decisiva spetta a Roma. Toccherà ai magistrati amministrativi di Palazzo Spada decidere se il referendum si farà o meno.
    Intanto, le cose ad Amantea procedono come se nulla fosse.
    Ma andiamo con ordine.

    Graziano e Iacucci in piazza

    I consiglieri regionali Giuseppe Graziano e Franco Iacucci sono stati i mattatori del comizio indetto da Ritorno alle origini di Temesa, il comitato che gestisce la parte “politica” del divorzio tra Campora e Amantea e il conseguente matrimonio con Serra d’Aiello.
    Jonio e Tirreno, centrodestra e centrosinistra, ma core a core, i due hanno arringato il pubblico che ha riempito la piazza della chiesa di Campora.
    A prescindere dai mal di pancia, più o meno tardivi, della politica cittadina. Tra questi, le esternazioni del Pd amanteano, supportate da un tweet della ex deputata Enza Bruno Bossio.

    campora-contro-amantea-referendum-conto-rovescia
    Campora San Giovanni by night

    Le contraddizioni del referendum

    E Amantea? Tolta la lamentela dei Dem, per il resto non si batte quasi colpo. Forse si ipotizza un “contro comizio”, che tuttavia non si terrà a Campora, dove le eventuali opinioni contrarie alla “secessione” non sono rappresentate.
    E la partita sembra già chiusa: al referendum voteranno solo i camporesi più i residenti di Coreca e Marinella. E qui emerge una contraddizione non proprio irrilevante: in caso di scissione, le due frazioni resteranno con Amantea, tuttavia i loro elettori parteciperanno al referendum da cui è escluso il resto dei cittadini.
    L’inghippo si chiarisce subito: Campora non voterà solo come territorio (cioè dal fiume Oliva in giù) ma anche come collegio elettorale, che include gli altri due territori.
    Ma non è questa l’unica contraddizione.

    Amantea vs Campora: il ricorso in pillole

    Le altre contraddizioni sono evidenziate nel ricorso confezionato dagli avvocati Mariella Tripicchio e Andrea Reggio d’Aci, che si sono finora misurati davanti al Tar coi loro colleghi Gianclaudio Festa, Oreste Morcavallo e Giovanni Spataro. Cioè, i difensori, rispettivamente, della Regione, del Comune di Serra d’Aiello e di Ritorno alle origini di Temesa.
    Le elenchiamo sbrigativamente.

    campora-contro-amantea-referendum-conto-rovescia
    Amantea al tramonto (foto Giovanni Gigliotti)

    Non votano gli amanteani

    Il grosso della popolazione, è noto, non voterà. Per il Tar l’esclusione del resto di Amantea non è un problema.
    Anzi, come recita l’ultima ordinanza di rigetto, «non appare contraria alla legge».
    Ma, a prescindere dall’analisi giuridica, restano sul piatto problemi non proprio secondari.

    Il primo: alcune strutture importantiche servono tutta la città, il porto e il Pip, ricadono in Campora e andrebbero via con essa. Come sarà regolata la futura gestione?
    Secondo problema: il debito. Forse, più delle continue accuse di infiltrazioni mafiose, la vera debolezza della città è il buco nelle casse, stimato approssimativamente in quaranta milioni. Come saranno ripartiti? Resteranno tutti in pancia ad Amantea o Campora se ne porterà una parte pro quota? La legge regionale che istituisce il referendum non risolve il problema.
    Come si vede, si tratta di problemi comuni, su cui deciderà una parte.

    La furbata di Graziano

    La proposta di Graziano, c’è da dire, è piuttosto sofisticata a livello normativo. Infatti, l’idea di accorpare Campora e Serra in un nuovo Comune, Temesa, camuffa con abilità la sostanza dell’operazione: ovvero la secessione di Campora.
    Ma soprattutto elude alla grande l’articolo 15 del Tuel, secondo il quale non sono ammissibili scissioni che generino Comuni al di sotto dei 10mila abitanti e, più che le scissioni, sono incoraggiate le fusioni.

    L’eventuale nascita di Temesa sarebbe una fusione di territori, da cui comunque deriverebbe un Comune con una popolazione di poco maggiore a quella di Campora (in totale poco meno di quattromila abitanti). Amantea, al contrario, resterebbe con 10mila e rotti abitanti.
    Ma siamo sicuri che i numeri siano questi?

    Il consigliere regionale dell’Udc, Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Quanti sono gli amanteani?

    Sulla popolazione di Amantea, c’è un balletto di cifre. Il Tuel dà comunque un’indicazione precisa: i numeri devono derivare dall’ultimo censimento valido.
    Al riguardo, i difensori del Comune forniscono un dato, ovviamente quello che fa più comodo al municipio: 13.272 cittadini residenti. Tolti i 3mila e rotti di Campora, ci si avvicinerebbe alla parcellizzazione del territorio e il referendum sarebbe inammissibile.
    Tuttavia, gira un’altra cifra che supera i 14mila ma include gli stranieri residenti.
    Allora occorre specificare: cosa significa “cittadini”? I cittadini italiani o anche i non italiani iscritti all’anagrafe? Non è sovranismo né xenofobia, intendiamoci.
    Sull’interpretazione di questo punto può aprirsi un dibattito infinito con tante posizioni ciascuna di per sé giusta.

    Altri problemi

    Amantea dista da Campora circa dieci km, ma di strada costiera per percorrere i quali bastano dieci minuti.
    Serra d’Aiello, al contrario dista da Campora otto km, ma sono percorribili (si fa per dire) su una vecchia strada tutta curve. In pratica, sono territori non ancora integrati.
    Né sarebbero integrati, riferiscono i bene informati, gli altri territori che dovrebbero entrare in Temesa nel prossimo futuro: Aiello, dove Iacucci è stato sindaco per quarant’anni, e Cleto.
    Non tutti questi motivi hanno rilevanza giuridica, ma pesano a livello politico.

    campora-contro-amantea-referendum-conto-rovescia
    Franco Iacucci

    Di nuovo al voto?

    Resta un ultimo problema sul tappeto: il comma 2 dell’articolo 8 della legge 570 del 1962. Questa norma prevede che i consigli comunali si debbano rinnovare integralmente quando, in seguito a variazioni come quella in corso ad Amantea, i territori varino di un quarto della popolazione.
    Sarebbe così per Amantea, che comunque perderebbe un quarto della popolazione; sarebbe così per Serra d’Aiello, la cui popolazione aumenterebbe almeno di sette volte.
    La norma è stata abrogata o superata? Non risulta.

    Il problema è politico

    Iacucci ha ragione su una cosa: i camporesi si sono sentiti trascurati e hanno agito di conseguenza. Anche, si perdoni il bisticcio, senza guardare le conseguenze.
    Già: Serra è reduce da un dissesto esploso nel 2014 e potrebbe ricascarci assieme a Campora.
    Ancora: la pianta organica del futuro Comune di Temesa potrebbe risultare insufficiente per assumere il personale necessario a gestire il nuovo territorio.
    Sono cose che né il referendum né il riassetto burocratico potrebbero gestire.

    Reperti del Museo di Temesa

    I dolci avvelenati

    Non è solo un problema burocratico, quello che affronterà il Consiglio di Stato. Né lo risolverà il referendum.
    Tra Amantea e quella parte di Campora che vuole la secessione c’è una differenza: gli amanteani stanno trangugiando ora tutti i veleni possibili. Per i camporesi, invece, il veleno verrà dopo, ben nascosto nei dolci della conquistata autonomia.
    Il conto alla rovescia è iniziato e la partita ancora aperta.

  • Da Bruxelles alla Calabria: tutti gli uomini di Cozzolino

    Da Bruxelles alla Calabria: tutti gli uomini di Cozzolino

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    L’Europa è grande e il Qatar è lontano, verrebbe da dire con una battuta.
    Che, tuttavia, non vale nella società globale, come dimostra il recente scandalone che ha colpito l’eurogruppo socialista.
    Riformuliamo: l’Europa è grande e il Qatar è più vicino di quanto non si pensi. E questa vicinanza lambisce anche la Calabria. Per fortuna, la lambisce soltanto.

    Un Cozzolino è per sempre

    Le ultime notizie sul Quatargate riguardano, com’è più che noto, il napoletano Andrea Cozzolino, rieletto per la terza volta all’Europarlamento nel 2019, con 81.328 preferenze.
    Il suo ruolo nello scandalo delle mazzette islamiche non è definito, stando a quanto trapela dalle cronache. E, per elementare garantismo, ci si augura che risulti estraneo ai fatti, che comunque lo sfiorano.
    Ma gli inquirenti belgi, pensano che sotto ci sia qualcos’altro. Altrimenti non avrebbero chiesto la revoca dell’immunità parlamentare, che tra l’altro il Pd è prontissimo a votare.

    Eva Kaili

    Il cerchio magico

    Cozzolino è finito nel tritacarne essenzialmente per il suo rapporto con Francesco Giorgi, uno dei principali indagati e compagno di Eva Kaili, la ex vicepresidente del Parlamento Europeo finita per prima nei guai.
    Giorgi vanta una lunga carriera nel sottobosco dorato dei portaborse europei: ha iniziato come segretario di Antonio Panseri, anche lui tra i principali indagati, ed è passato, dal 2019 in avanti, alla corte di Cozzolino col ruolo di assistente accreditato.
    Tradotto in parole povere: non come collaboratore del gruppo ma della persona.
    Resta legittima una domanda: basta una vicinanza a rendere sospetta una persona? Forse no. E, in effetti, il teorema per cui Cozzolino potrebbe essersi sporcato di fango solo perché datore di lavoro di chi il fango lo maneggiava regge male.
    Ma c’è da dire che l’inchiesta belga non è partita da una “normale” operazione di polizia, ma è la traduzione giudiziaria dei rapporti degli 007.

    qatargate-cozzolino-calabria-tutti-supporter-pd
    Francesco Giorgi, assistente di Cozzolino e compagno di Kalili, anche lui nei guai

    Cozzolino e la Calabria

    L’eventuale allargarsi dell’inchiesta su Cozzolino chiarirà i reali sospetti sull’eurodeputato.
    Dai dubbi giudiziari alle certezze della politica, sono invece palesi i rapporti tra Cozzolino e la vecchia dirigenza del Pd Calabrese, che nel 2019 è ancora un gruppo forte di potere.
    Lo provano anche i consensi ottenuti da Cozzolino in Calabria: 21.570, circa un quarto degli 81mila e rotti complessivi.
    Ancora: questi 21mila e rotti diventano più vistosi se paragonati a quelli ottenuti da Cozzolino in Campania: 37mila circa.
    Non occorre essere esperti in statistica per capire che il Pd calabrese si sia mobilitato alla grande in favore dell’eurodeputato napoletano.

    qatargate-cozzolino-calabria-tutti-supporter-pd
    Cozzolino durante una recente visita in Calabria

    I grandi elettori

    Parliamo del Pd calabrese del 2019, che ancora amministra e tiene ben saldi i cordoni della borsa.
    Tra i grandi sostenitori di Cozzolino figurano ex big del livello di Carlo Guccione e Nicola Adamo. E, sostengono i bene informati, anche Mario Oliverio avrebbe fatto la sua parte. A scorrere l’elenco, si ha l’impressione di un partito di fantasmi, perché il potere di allora è semplicemente evaporato.

    L’altro segretario

    La forza del rapporto tra Cozzolino e la Calabria, in particolare il vecchio zoccolo duro del Pd cosentino, emerge da un altro nome: Vittorio Pecoraro, l’attuale segretario provinciale dei Dem cosentini.
    Pecoraro, formatosi a Roma, inizia la sua carriera come renziano al seguito di Stefania Covello. Poi prende la via di Bruxelles. Manco a farlo apposta, sulle ginocchia di Cozzolino, con il medesimo ruolo di Giorgi. Cioè come segretario accreditato.
    Nel 2021, tuttavia, il giovane cosentino lascia la struttura europea e passa a Invitalia.
    Siccome Roma è più vicina a Cosenza di Bruxelles, Pecoraro si mette a disposizione del partito, che punta su di lui per mettere fine al commissariamento con un congresso travagliato (e un po’ bizzarro).

    qatargate-cozzolino-calabria-tutti-supporter-pd
    Vittorio Pecoraro

    Largo ai giovani

    Quella di Pecoraro non è una scelta della base. Ma è dovuta, in buona parte, all’esigenza politica di curare il legame con l’eurodeputato, che in proporzione agli elettori, ha preso più voti da noi che a casa sua.
    Infatti, i risultati elettorali del giovane segretario sono stati piuttosto deboli: i suoi 28mila e rotti consensi ottenuti alle ultime politiche grazie alla coalizione a quattro guidata dal Pd, lo hanno piazzato terzo dopo la grillina Anna Laura Orrico e l’azzurro, anzi gentiliano, Andrea Gentile. E c’è di peggio: Gentile jr non si è limitato a superare Pecoraro ma, addirittura, lo ha doppiato coi suoi 65mila e rotti voti.

    Il legame vacilla

    A questo punto è lecito chiedersi: che succederà, ora che Letta ha scaricato Cozzolino? A livello giudiziario, niente.
    A livello politico, invece, emerge un paradosso: un ex uomo di Cozzolino guida una segreteria importante di un partito pronto a considerarsi parte lesa anche dall’eurodeputato, se del caso.
    Non resta che aspettare, con una buona dose di garantismo e di scaramanzia gli sviluppi del pasticciaccio europeo. Che, forse, non travolgerà politicamente il Pd calabrese solo perché è già travolto di suo.

  • Guarascio, che batosta a Reggio: salta l’appalto da quasi 120 milioni

    Guarascio, che batosta a Reggio: salta l’appalto da quasi 120 milioni

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    Tempi duri per Eugenio Guarascio. A Cosenza, come presidente della locale squadra di calcio deve fare i conti con le contestazioni dei tifosi. A Reggio Calabria, invece, ha visto sfumare un appalto da quasi 120 milioni di euro potenziali che, soltanto pochi mesi fa, considerava ormai cosa sua. Ecologia Oggi Spa, l’azienda del patron rossoblu, non si occuperà infatti della raccolta dei rifiuti in riva allo Stretto, come pure la ditta dell’imprenditore lametino aveva dichiarato con una nota a fine ottobre. La gestione della spazzatura reggina resterà di competenza della piemontese Teknoservice, che se n’era già occupata negli ultimi tempi e continuerà a farlo per i prossimi 48 (che potranno diventare 60) mesi.

    L’appalto finisce in tribunale

    L’assegnazione a Teknoservice e non ad Ecologia Oggi del servizio è figlia di una lunga battaglia giudiziaria che ha visto pronunciarsi il Tar prima e il Consiglio di Stato poi. A scontrarsi, da un lato il Comune e l’azienda piemontese, dall’altro quella calabrese. Guarascio contava molto sull’aver fatto un’offerta migliore dal punto di vista economico. La cosa, però, non si era rivelata sufficiente perché da quello tecnico la proposta di Teknoservice risultava decisamente superiore a quella dei rivali. Il problema per i piemontesi, però, era che la commissione chiamata a valutare le offerte e aggiudicare l’appalto non era stata sufficientemente accurata nel motivare le proprie valutazioni. E così, di fatto, le aveva rese contestabili.

    Teknoservice già al lavoro

    L’aggiudicazione definitiva dell’appalto, pertanto, era rimasta sub iudice. Teknoservice aveva iniziato a lavorare solo grazie a un’ordinanza emanata dal Comune per tamponare l’accumulo di rifiuti che la mancata assegnazione del servizio avrebbe comportato. Poi, nelle scorse settimane, la sentenza del Consiglio di Stato sembrava aver riaperto i giochi per Ecologia Oggi. In realtà, le cose non stavano come Guarascio e i suoi avevano dichiarato. I giudici avevano sì respinto i ricorsi dei piemontesi e Reggio, ma anche chiesto al Comune di motivare meglio i perché della prima scelta pro Teknoservice. E le motivazioni sono arrivate: non c’erano difformità nell’offerta rispetto a quanto richiesto, come lamentava Ecologia Oggi.

    guarascio-ecologia-oggi-fuori-reggio-rifiuti-teknoservice
    Un mezzo della Teknoservice

    Il Comune conferma: l’offerta tecnica era regolare

    L’ulteriore istruttoria seguita alla sentenza ha consentito – si legge in una determina pubblicata a San Silvestro – di«affermare la validità dell’Offerta tecnica della Teknoservice srl, rispetto alle finalità prefissate dalla stazione appaltante, essendo stato dimostrato, in punto di equivalenza funzionale e di effettiva idoneità al conseguimento dei prefissati obiettivi di raccolta differenziata, che le modalità di raccolta ivi proposte soddisfano pienamente le indicazioni operative recate dalla lex specialis (che di per sé ammetteva varianti ed ottimizzazioni rispetto al progetto posto a base di gara, purché funzionali agli obiettivi dell’Amministrazione comunale».

    Costa meno, ma Ecologia Oggi è fuori

    Quanto proposto da Teknoservice, insomma, non sarà economico quanto il progetto di Ecologia Oggi (il ribasso rispetto alla base d’asta si ferma a un 1,08%) ma decisamente più efficace rispetto alla concorrenza per ottenere i risultati auspicati dell’amministrazione reggina. «Tant’è vero – si legge ancora nell’atto del Settore Ambiente – che la considerevole diversità quali-quantitativa delle due offerte tecniche si traduce in un forte distacco nei punteggi attribuiti ad esse (59,480 per Teknoservice Srl contro 46,218 per Ecologia Oggi Srl)».

    guarascio-ecologia-oggi-fuori-reggio-rifiuti-teknoservice
    Un estratto dell’atto che assegna l’appalto a Teknoservice

    Non esistono, quindi, motivi ostativi all’aggiudicazione della gara, i precedenti rilievi risultano sanati dall’istruttoria extra. A raccogliere i rifiuti per i prossimi 4 anni sarà dunque Teknoservice, in cambio di circa 93,5 milioni di euro, oneri di sicurezza inclusi. Ai quali si aggiungerà un’ulteriore ventina abbondante di milioni nel caso il contratto sia esteso a un quinto anno.

  • Duonnu Pantu e il monsignore: l’irriverente blasfemia di un prete pornografo

    Duonnu Pantu e il monsignore: l’irriverente blasfemia di un prete pornografo

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    In questa storia sono certi due elementi: lo scenario e uno dei due protagonisti.
    Il primo è la Cosenza della seconda metà del ’600. Cioè il capoluogo di una provincia importante del vicereame di Napoli.
    Cosenza non è ricca, ma è una meta ambita dei nobili smaniosi di far carriera, che l’hanno trasformata in un loro quartiere-dormitorio. Soprattutto, ha un filo diretto con Napoli e Madrid, perché è città demaniale. Cioè è protetta dalla corona e non è sotto il dominio del solito principe o duca.

    Il secondo elemento certo è Gennaro Sanfelice, che diventa arcivescovo di Cosenza nel 1661.
    Il terzo elemento è incerto, perché avvolto tuttora in un mito popolare in cui realtà e immaginazione si intrecciano fino a diventare indistinguibili: è Duonnu Pantu, l’altro protagonista.

    duonnu-pantu-arcivescovo-prete-porno-contro-potere
    Il palazzo Sanfelice (Napoli)

    Sanfelice, un nobile in carriera

    Gennaro Sanfelice è un nobile napoletano di grande blasone. È il fratello minore di Giovanni Francesco, duca di Lauriano.
    Ma, soprattutto, è il cugino di Giuseppe Sanfelice, che fa una gran carriera nella Chiesa dell’epoca.
    Gennaro, forte di una preziosissima laurea in “Utroque” (Giurisprudenza, che allora era il passepartout per il potere e quasi un obbligo per gli aristocratici), arriva a Cosenza nel 1650, come vicario del potente cugino, nominato arcivescovo da papa Alessandro VII.
    Poi Giuseppe diventa nunzio apostolico in Germania e Gennaro regge l’arcidiocesi fino al 1661, quando il cugino muore.
    A questo punto, il papa formalizza l’attività di Gennaro e lo fa restare a Cosenza come arcivescovo.

    Un vescovo progressista

    Giuseppe Sanfelice arcivescovo di Cosenza

    Non c’è troppo da scandalizzarsi per tanto nepotismo, che allora era una prassi socialmente accettata.
    Anzi, il nepotismo dell’epoca, esplicito e sfacciato, dà i punti a quello attuale, giustificato con le formule più ipocrite.
    Tuttavia, l’arcivescovo Gennaro non è solo un figlio di papà. È un uomo di carattere, che dimostra di essere tagliato per il ruolo a cui l’hanno destinato gli studi e il blasone.
    Appena ha le mani libere, Sanfelice mette ordine nella diocesi. Soprattutto, difende le prerogative del vescovo (cioè le sue) e mette un freno alle ingerenze della Santa Inquisizione.
    Il suo merito più grande è lo stop alle persecuzioni dei valdesi, che dopo il pogrom di Guardia Piemontese erano proseguite per circa un secolo a San Sisto e a Vaccarizzo.
    Come mai uno così tosto diventa una macchietta? Chiediamolo a Duonnu Pantu.

    Il prete pornografo

    Di Donnu Pantu sono certe due cose: i versi pornografici in vernacolo e la sua zona d’origine, Aprigliano, un paese tra Cosenza e la Sila.
    Sulla sua identità storica restano parecchi dubbi, alimentati dalle solite contese tra studiosi, a partire da Lugi Gallucci (il primo interprete che nel 1833 ha messo ordine nella produzione pantiana) per finire con Oscar Lucente, raffinatissimo intellettuale e storico dirigente del Msi, entrambi di Aprigliano.
    Per convenzione, Duonnu Pantu è il nome d’arte di Domenico Piro, sacerdote apriglianese morto poco più che trentenne a fine ’600.

    Antica veduta di Aprigliano

    Un trio di preti

    A riprova che il nepotismo è un doc dell’Italia di allora, anche don Domenico appartiene a una famiglia di sacerdoti: nel suo caso gli zii materni Giuseppe e Ignazio Donato.
    I tre, oltre che somministrare sacramenti, sono specializzati in pasquinate. Infatti, sono conosciuti con un nomignolo: gapulieri, ossia criticoni.
    Piro, a differenza degli zii, si specializza nella pornografia, che racconta in alcuni poemi (la Cazzeide e la Cunneide) pieni di riferimenti colti e volgarità estreme e caratterizzati da un uso virtuosistico dei versi in dialetto.
    Ma c’è di più: Piro è un gaudente e un goliarda a tutta forza, come prova la sua polemica con l’arcivescovo.

    Contestatore avant la lettre

    Alla base del dissidio tra Piro e Sanfelice – che, da buon napoletano, è piuttosto tollerante – ci sarebbe stato un piccolo tumulto nel collegio del Seminario di Cosenza, raccontato tra l’altro nel poemetto La briga de li studienti.
    In pratica, alcuni studenti poveri, costretti ad accontentarsi della mensa, rubano le vettovaglie ai ricchi. Un “esproprio proletario” in piena regola.
    Piro resta coinvolto nella bagarre e finisce in cella di rigore proprio per ordine dell’arcivescovo.

    La poesia: un’arma per la libertà

    La poesia è un’arma potente, sia quando commuove sia quando ridicolizza.
    Duonnu Pantu, dopo alcuni giorni di gattabuia, indirizza una supplica (Lu mumuriale) a Sanfelice. L’arcivescovo convoca il giovane prelato e gli annuncia l’imminente liberazione.
    Ma la tentazione di fare un’ennesima burla è forte. E Piro non è tipo che sa resistere: infatti, mette sulla porta della cella un cartello con la dicitura “si loca”, cioè affittasi.
    Sanfelice non si fa volare la mosca al naso, riconvoca Piro e gli chiede il perché della scritta. «Monsignore, visto che me ne vado, resta vuota, quindi si loca», è la risposta beffarda.
    «Bene», replica l’arcivescovo, «ci resterete voi finché non arriverà il nuovo inquilino».

    duonnu-pantu-arcivescovo-prete-porno-contro-potere
    Versi sparsi di Duonnu Pantu

    La sfida: prete trasgressivo vs arcivescovo

    A questo punto, la sfida entra nel vivo e Pantu gioca un’altra carta. Il prigioniero si è accorto che nel cortile davanti alla cella si radunano tutti i giorni dei ragazzini.
    Li chiama, gli insegna dei versi e gli affida un compito: recitarli ogni sera sotto casa dell’arcivescovo.
    Eccoli: «Bonsegnù, Bonsegnù, fùttete l’ossa/ lu vicariu allu culu e tu alla fissa/ vi ca si nun me cacci de sta fossa/ iu dicu c’hai prenatu la patissa» (Monsignore, monsignore… se non mi tiri fuori dico che hai ingravidato la badessa).
    Dopo alcuni giorni di questo battage, l’arcivescovo cede. Ma non vuole capitolare. E fa una proposta a Duonnu Pantu.

    La tentazione più forte

    La libertà in cambio di una poesia dedicata alla Madonna. Ma, per cortesia, niente volgarità.
    La leggenda narra che Pantu abbia eseguito il compito più o meno alla lettera. Ma di questa poesia resta solo un verso, in cui il Nostro racconta a modo suo la verginità della Madonna: «E nzinca chi campau la mamma bella/ de cazzu nun pruvau na tanticchiella» (ossia: «Finché campò la mamma bella…»). Già: alle tentazioni Pantu non sa resistere.
    Ma c’è da dire che l’arcivescovo mantiene comunque la promessa. Ciò fa pensare che, sotto sotto, anche lui sia stato al gioco.

    duonnu-pantu-arcivescovo-prete-porno-contro-potere
    La targa commemorativa sulla casa di don Domenico Piro

    L’ultima tentazione di Pantu

    La leggenda attribuisce a Pantu una morte degna della sua vita. O, almeno della sua poesia.
    Malato di tisi e agonizzante, il giovane sacerdote sente gli amici e i parenti bisbigliare in attesa del suo trapasso.
    Piro si risveglia di botto e chiede beffardo: «Si parrati ’i cunnu miscatiminnici puru a mia» (cioè: se parlate di… fatemi partecipare),
    Poi chiude gli occhi e raggiunge Sanfelice, morto due anni prima.

  • BIOGRAFIE |  Il prof Francesco Coppola, padre della pedagogia calabrese

    BIOGRAFIE | Il prof Francesco Coppola, padre della pedagogia calabrese

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    Persino gli addetti al settore (sedicenti e non) hanno dimenticato questa figura preminente nel panorama pedagogico del Mezzogiorno. Francesco Coppola – anzi, per l’esattezza Francesco di Paola Vincenzo Coppola – nacque ad Altomonte il 6 giugno del 1858 da Vincenzo Gerardo e Maria Carmela Riccio, in una nobile casata di antiche radici napoletane, sulla quale tantissimo scrisse qualche decennio fa Franz von Lobstein nel suo Settecento calabrese.

    Una famiglia di nobili e tre mogli

    Se i suoi avi furono subfeudatari di Altomonte e agenti del Principe di Bisignano, in tempi più recenti i cugini in primo grado di suo padre erano stati i parlamentari Ferdinando Balsàno (1836-1869, arciprete, deputato nella IX legislatura del Regno) e l’ancor più noto Giacomo Coppola (1797-1872, senatore dal 1863, Ministro delle finanze durante il Governo Garibaldi). Tra i fratelli del suo bisnonno Luzio Coppola, spiccavano infine Reginaldo (1730-1810), vescovo di San Marco Argentano nel 1797, il domenicano Giacomo, l’abate Luigi, Silvio (sindaco d’Altomonte) e quella Isabella che, sposando Domenico Andreassi di Montegiordano, diventerà capostipite degli omonimi nobili amendolaresi e perciò anche degli ultimi Mazzario di Roseto Capo Spulico.

    altomonte-palazzo-coppola
    Altomonte, palazzo Coppola: casa natale del pedagogo.

    Fatta questa premessa familiare, va pur detto che tuttavia proprio il milieu nobiliare dovette star stretto al Coppola. Il quale, in rotta con i suoi, scappò da Altomonte e abbandonò presto la famiglia d’origine sposandosi, la prima di tre volte, a diciotto anni (in data 30 settembre 1881) con la giovanissima lungrese Lucrezia D’Aquila, che morirà al terzo parto, appena sette anni dopo. Dopo la prematura scomparsa di quest’ultima, Coppola convolerà a seconde nozze il 15 agosto 1884 con Mariangela Italia Irene Diodati. Nuovamente vedovo, sposerà infine, il 21 novembre 1908, Ortensia Fera.

    Francesco Coppola, una vita per l’insegnamento

    Il professore dedicò l’intera sua esistenza all’insegnamento e, più in generale, all’istituto della Scuola, inteso come la più alta e nobile delle missioni civili. Benemerito primo direttore didattico delle scuole di Spezzano Albanese, educò – dapprima nella sua residenza di Palazzo Scorza, a Spezzano Albanese, nella piazza oggi intitolata a Giacomo Matteotti – generazioni di allievi, dalle elementari alle superiori e provvide pure con solerzia alla refezione scolastica del Ricreatorio per i figli dei richiamati in guerra.

    Un commosso e nostalgico ritratto della personalità e delle abitudini quotidiane del “Professore” per antonomasia, fu dato alle stampe nel 1982 da Arcangelo Barbati, nel suo Immagini del passato. A Spezzano Albanese dal 1912 al 1923, di cui una copia mi fu donata una quindicina d’anni fa dal nobile cavaliere Giuseppe Alfredo Coppola, suo nipote.

    Le opere di Francesco Coppola

    Medaglia d’Oro al Merito Civile, conferita il 30 maggio 1912 dal Ministero della Pubblica istruzione per i suoi alti meriti educativi e di direzione nel campo della Scuola, Coppola fu peraltro scrittore elegante, linguista, critico e studioso non comune di problemi pedagogici. Pubblicò infatti diversi saggi di pedagogia, tra cui è doveroso citare almeno La morale dei fanciulli. Trattatello di doveri e diritti per le scuole elementari (Castrovillari, 1887), dedicato al suo Maestro (il celebre filosofo Andrea Angiulli, educatore insigne e di spiccato animo anticlericale, a sua volta allievo di Bertrando Spaventa nonché affiliato alla loggia Fede Italica, all’Oriente di Napoli) ed espressamente ricalcato sugli Elements d’education civique et morale di Gabriel Compayré (Paris, 1881); e un saggio su Rousseau: Giangiacomo Rousseau. La sua vita, i suoi tempi e la sua fede pedagogica (Castrovillari, 1887), opera che anticipa, pioneristica, tutta una successiva e fortunata letteratura sul medesimo tema.

    Ancora, tra le altre sue opere, tutte oggi piuttosto introvabili persino sul mercato antiquario e nelle biblioteche conservative, vanno menzionate Racconti e biografie di uomini illustri, per servire di storia patria nelle scuole elementari (Milano, 1887), Brevi racconti di storia patria sui fatti principali dell’unificazione d’Italia, per la terza classe elementare (Milano, 1889), Primizie storiche tratte dalla storia ebraica, greca e romana, per la seconda classe elementare Inferiore (Milano, 1889), Storia nazionale da Carlo 8° ad Umberto 1° (Milano, 1894), Storia Nazionale dalla fondazione di Roma alla scoperta dell’America per la Quarta classe elementare (Milano-Roma, 1894), Storia d’Italia dal 1848 al 1870 per la terza classe elementare (Milano-Roma, 1895), Racconti e biografie di storia patria, ad uso della Quarta classe elementare (Milano, 1897).

    colophon-francesco-coppola
    Colophon della Morale dei fanciulli. Trattatello di doveri e diritti per le scuole elementari (1887), opera d’esordio di Francesco Coppola

    Un massone con una missione

    Di tempra laica (era affiliato alla loggia massonica Agostino Casini, all’Oriente di Spezzano Albanese, all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia), considerava la Scuola «l’unica, vera, grande missionaria per la redenzione delle classi umili nell’inquieta ed incerta società» italiana dei suoi tempi.

    Lasciò almeno undici figli, tra cui è opportuno segnalare almeno i due di primo letto, Gustavo Luigi Ugo e Alfredo Gerardo: il primo, istitutore nel 1905, affiliato dal 27 maggio del 1912 ad una loggia cosentina del Grande Oriente d’Italia, sottotenente di Fanteria nel 1917, fu poi segretario presso il Liceo Classico di Cosenza nel 1919 e infine segretario presso il Ministero della Pubblica Istruzione e, fino al 1931, presso quello delle Finanze in Roma, laddove – già vedovo della nobile cosentina Regina Monaco – scomparve prematuramente nella sua abitazione di Monteverde; il secondo, già prigioniero in Austria e primo segretario comunale di Spezzano Albanese, venne assassinato da sconosciuti.

    Spezzano Albanese, palazzo Scorza, al cui primo piano visse e morì Francesco Coppola.
    Spezzano Albanese, palazzo Scorza, al cui primo piano visse e morì Francesco Coppola.

    A lui e a suo padre è intitolata una via di Spezzano Albanese: il bastone dal pomo d’argento accompagnò il Professore fino alla sua ultima puntuale passeggiata pomeridiana. Francesco Coppola muore a Spezzano Albanese il 7 maggio 1926 e riposa nella cappella di famiglia, presso il cimitero locale.

  • Un dicembre che brucia troppo a Fuscaldo

    Un dicembre che brucia troppo a Fuscaldo

    Uno scuolabus in fiamme non è solo inquietante. Ricorda scenari di guerra. Al di là delle cause non ancora accertate, c’è un valore simbolico per l’uso quotidiano del mezzo: trasporta bambini. Gli stessi che ne hanno, probabilmente, visto lo scheletro fumante infine rimosso dalla strada. Solo poco tempo fa sempre uno scuolabus era stato preso di mira da vandali. Entrambi i mezzi sono in uso a una ditta privata. Lo conferma il sindaco Giacomo Middea a ICalabresi.

    Fuscaldo-scuolabus-fiamme-strano-dicembre
    Il piccolo camion con gli aghi di pino andati in fiamme a Fuscaldo

    Mercoledì scorso l’ultimo e strano episodio: bruciano improvvisamente gli aghi di pino nel cassone di un piccolo furgone di proprietà del Comune. Era parcheggiato nel cortile di una scuola media. Mesi fa, invece, sono state squarciate le gomme di un mezzo destinato al servizio di raccolta dei rifiuti. Fatto già accaduto pochi anni fa. Una serie di eventi uniti dal fatto di essere tutti avvenuti a Fuscaldo, cittadina sul mar Tirreno tagliata a metà dalla Statale 18.

    Una “rompiscatole” a Fuscaldo

    Nel silenzio quasi generale spunta Annamaria De Luca. Dopo 20 anni vissuti a Roma, vince un concorso da dirigente scolastico e torna a Fuscaldo. Lavora proprio nella scuola primaria intitolata a sua zia, Angela Maria Aieta, desaparecida durante la dittatura della giunta militare di Videla in Argentina. Annamaria è una di quelle che tanti in paese considerano una “rompiscatole”. Perché non si gira dall’altra parte e fa dell’impegno civile un valore non negoziabile.
    E lei quando vede l’autobus in fiamme avvia subito una diretta su Facebook sollevando il caso. Da giornalista, collabora anche con La Repubblica e il Sole 24Ore, conosce bene la potenza di un messaggio lanciato sui social.

    Fuscaldo-scuolabus-fiamme-strano-dicembre
    Annamaria De Luca, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo di Fuscaldo (foto Alfonso Bombini)

    «Nemmeno Libera parla»

    «I carabinieri indagano, ma una presa di posizione dei cittadini me l’aspettavo. A parte Italia Viva, nessuno ha inteso dire qualcosa, nemmeno Libera». La dirigente scolastica prova a spiegare cosa succede: «È veramente uno scenario non europeo, di un paese in guerra. Forse c’è una guerra che noi non vediamo, forse siamo in guerra. Di certo devono tenere fuori da questa merda i bambini, loro non c’entrano niente. Non posso permettere che vedano scene di questo tipo. Cerchiamo di dare speranza ai ragazzi, facciamo il giardino dei giusti e l’Aula natura, e poi si trovano di fronte a un’immagine del genere. È disarmante».
    Il Giardino dei giusti è stata una sua idea. Lo ha inaugurato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri nel 2020. Anche questo presidio di legalità ha subito un attacco da parte di ignoti che hanno tagliato gli alberi.

    Le parole del sindaco

    Giacomo Middea viene da Alleanza nazionale. Un passaggio con il Pdl e poi il transito in Forza Italia. Avvocato penalista, da un anno e tre mesi è sindaco di Fuscaldo con una civica di centrodestra. Non si fa mancare un esponente del Pd in maggioranza.
    Sulla questione dello scuolabus in fiamme pronuncia delle parole chiare: «Al momento non abbiamo certezze sulla natura di questo atto. Ma dubito si tratti di autocombustione. Se fosse un gesto doloso sarebbe orribile perché colpisce studenti e ragazzi. Immagini terribili. Siamo pronti a costituirci parte civile se in futuro dovessero essere accertate eventuali responsabilità. Lo faremo immediatamente».

    Il sindaco di Fuscaldo, Giacomo Middea (foto Alfonso Bombini)

    «Intervenga la Direzione distrettuale antimafia»

    Middeo fa il suo mestiere: il primo cittadino. Sa che Fuscaldo è un territorio “caldo”, non più di molti altri paesi lungo la costa.
    Ma non ci sta quando qualcuno vuole dipingere la sua comunità come una terra in piena emergenza criminalità. Non nega la sua presenza. Anzi: «L’inchiesta Tela del Ragno più di dieci anni fa ha allungato i riflettori su questo comune perché c’erano alcune consorterie ritenute tali dalla Dda che operavano ed erano nate nel nostro territorio. Sono fenomeni ad oggi isolati. Mai, però, abbassare la guardia».

    In più circostanze dice di «avere chiesto pubblicamente che fosse implementato il numero di carabinieri a Fuscaldo» e invocato l’arrivo «della magistratura per impedire che determinati fenomeni di malavita organizzata che oggi sono isolati possano diventare consolidati». Le sue parole diventano ancora più perentorie: «Urge un intervento deciso della Direzione distrettuale antimafia». Basta solo questo per capire che il clima non è dei migliori a Fuscaldo. Malgrado i quasi 20 gradi di un dicembre molto caldo. Forse troppo.

    Un tratto del lungomare di Fuscaldo (foto Alfonso Bombini 2022)
  • La mia Cristina

    La mia Cristina

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Era un buco assurdo il garage dove abbiamo fatto nascere, come un figlio, il primo Quotidiano, all’inizio di Cosenza, poi della Calabria (oggi Quotidiano del Sud).
    Sulla porta del bagno minuscolo un collega spiritoso, mi pare che fosse Franco Ferrara – rientrato dal nord per partecipare alla nuova impresa, – aveva scritto “chiamate internazionali”. Io e Cristina siamo diventate amiche da subito, avevamo un’intesa profonda e la prova del nostro legame l’ha data il tempo. Non si è mai affievolito. Dal 1995 a poco fa e per sempre.

    Per gli altri

    Il nostro primo direttore è stato Pantaleone Sergi, all’epoca inviato speciale di Repubblica. Era inebriante fare un giornale ben curato, di personalità, di bella penna e agguerrito sulla cronaca. Il primo numero uscì con uno scoop della cronista Mara Martelli, che tramortì la concorrenza: il pentimento del boss Franco Pino. Insieme con i nostri collaboratori eravamo sguinzagliati in città, all’università, nelle caserme, nei teatri ed eravamo così entusiasti che non contavano le ore di lavoro, giorno e notte. Ogni volta che scrivevamo un pezzo su un fatto che ci coinvolgeva o ci turbava particolarmente, una strage familiare, storie di miseria e efferatezza, o anche il racconto di un luogo, o un pezzo culturale, era naturale leggerci a vicenda prima di pubblicare.

    Cristina aveva il mestiere dentro, aveva fatto un corso a Roma e possedeva il sacro fuoco. Imparò subito a concepire e disegnare le pagine, lavorando accanto a Lucia Serino -già giornalista professionista e con un bel background,- tanto da diventare in breve tempo un punto di riferimento. Ha scritto troppo poco rispetto a quanto avrebbe dovuto. Tutta protesa per gli altri, impegnata nella fattura quotidiana del giornale, un lavoro immane, finiva per avere poco tempo e lei non ci stava a scrivere due righe tanto per farlo. In ogni cosa metteva qualità e soprattutto nella scrittura sarebbe stato necessario farlo.

    L’esempio della grazia

    È difficile parlare della collega Cristina Vercillo, perché innanzitutto ho perso una persona cara. Prima che la malattia la fiaccasse fino a non darle più la forza di parlare al telefono, facevamo chiacchierate lunghissime. Parlavamo di libri, dei fatti del giorno, di film, di alimentazione oncologica, di fastidiosi effetti collaterali, con la voglia di scambiarci opinioni e consigli su ogni singolo argomento, senza cambiare tono, senza scomporci. Anzi, alcuni fatti politici nazionali e internazionali riuscivamo ad indignarla assai, a farle vibrare le parole per poi tornare alla melodia vocale che la contraddistingueva, lei che prima di scegliere il giornalismo era stata pianista.

    Cristina era così. Curiosa, colta, aggiornata, dotata di spirito critico, di una visione pluriangolare delle cose, cauta, mite, coerente e disposta a sacrifici e rinunce inenarrabili pur di continuare ad essere quella che era. Parlare con lei è sempre stato come farlo con me stessa. L’unica accortezza era di non essere troppo brusca perché Cristina è l’esempio della grazia, ed è sempre ritornata in un carapace irraggiungibile dinanzi ad ogni forma di aggressività.

    Un mistero. Mantenere, da caporedattore centrale, gli equilibri di intere redazioni, che in alcune fasi sono come miniere, controllare ogni virgola del giornale, moltiplicare l’udito e lo sguardo, tamponare ogni intemperie e poi essere naturalmente una creatura delicata e sensibile. È stato duro il distacco da lei quando sono andata via dal Quotidiano, verso altre esperienze professionali. E quando sono tornata a prestare la mia collaborazione per la cura di rubriche e delle pagine culturali della Domenica, (chiamata dal direttore Ennio Simeone prima e dal direttore Matteo Cosenza e dal caporedattore Lucia Serino poi), la mia amica Cristina era felicissima.

    È stata lei ad accompagnarmi in Umbria quando mi sono sposata. Ammiravo il suo senso d’orientamento, il viaggio era un’altra cosa che aveva dentro, che amava. Io, lei, Gabriella d’Atri. Piano piano, chilometro dopo chilometro, a raccontarci, a ridere. Loro emozionate quanto me. Da quel momento in poi le noie, le delusioni, le sofferenze sul lavoro (che pur ci sono) sono diventati discorsi tra amiche più che tra colleghe. Sfoglio i vecchi album e sorrido, nelle poco foto in cui compare si copre il viso. È proprio lei, bella, una gran classe, sempre dietro le quinte.

    I suoi affetti

    Ci siamo sempre fidate ciecamente l’una dell’altra e oggi che leggo tante testimonianze sul suo eccezionale modo di essere, sulle eccelse qualità professionali, sono orgogliosa e penso a suo padre, il dottore Giuseppe Vercillo, a sua sorella Roberta, ai suoi amati nipoti Alessandro, GianMarco, Emanuela e a queste carezze dell’anima che gli sono giunte. Che possano portare loro un po’ di sollievo dinanzi a un dolore sconfinato! In ogni telefonata c’erano loro, i suoi affetti. Suo padre sempre accanto.

    La vita è beffarda. Quando ho combattuto io contro il mio alieno, Cristina c’era. Poi è toccato a lei. Ancora non posso crederci.
    I nostri alieni erano diventati amici come noi. Parlavamo di terapie, spirito di sopportazione, medicamenti con grande naturalezza. E la paura… sì, quella era onnipresente ma eravamo bravissime a lasciarla in un angolo e a confidarci un peccato di gola, alla faccia della dieta oncologica, o il desiderio di un viaggio, di una lettura, di tante cose che avremmo potuto fare…. No, non posso credere che Cristina non sia più su questa terra. Pensare alla sua forza nella sofferenza è un cortocircuito di ammirazione e dolore profondo.

    Anima bella

    Ho scritto queste righe perché so che a lei farebbe piacere leggerle, nonostante la sua proverbiale riservatezza, perché Cristina sa che arrivano da un sentimento vero e senza tempo, senza luogo. Durante la malattia era contenta di ricevere i messaggi affettuosi. Ascoltava tutti, leggeva tutti. Avrebbe apprezzato i saluti di tanti colleghi che sono piovuti sui social e sulle varie testate. Laura De Franco l’ha chiamata anima bella. E così è. Quando ho ricevuto, la sera di Santo Stefano, la notizia della sua morte dalla nostra amica Marienza, un angelo che le è stata accanto fino all’ultima fiammella, è stato come essere trafitta da una stalattite.
    In quel momento l’ho immaginata abbracciata a sua madre Flora. Strette strette.

  • Ospedale e facoltà di medicina: la Sanità del tutti contro tutti

    Ospedale e facoltà di medicina: la Sanità del tutti contro tutti

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

     

    La Calabria dei campanili è sempre pronta alle battaglie fratricide. Accade così che l’annuncio della nascita di una nuova facoltà di medicina presso l’Unical, susciti le urla di sdegno dell’università di Catanzaro, che pure non vedrà sguarnita la sua offerta formativa. A guidare il campanilistico malcontento catanzarese sono i politici della città, in modo del tutto trasversale, dalla parlamentare Wanda Ferro a Nicola Fiorita, che prima di diventare sindaco insegnava proprio all’Unical, passando per gli altri due ex candidati a guidare Catanzaro: Valerio Donato e Antonello Talerico.

    unical
    L’Università della Calabria

    Le preoccupazioni catanzaresi sono del tutto evidenti: fin qui una sola facoltà di medicina non trovava concorrenti nel raccogliere iscritti, da domani invece ci sarà da sgomitare, ma forse nemmeno tanto, se i numeri che circolano sono esatti e raccontano di una significativa quantità di studenti calabresi che si iscrivono a facoltà di medicina fuori dalla regione.

    Una questione politica (e non solo)

    Del resto è difficile non valutare positivamente l’aver gettato il seme che potrebbe alleviare la tragedia in cui versa la sanità calabrese, visto che una facoltà di medicina apre a futuri scenari importanti in termini di miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Basti pensare al collegamento tra la facoltà e il nuovo – e ancora ipotetico – ospedale di Cosenza, che diventando policlinico universitario, godrebbe di competenze di primo livello. Poiché la cronaca certe volte vuole diventare ironica, a portare a casa il risultato della nascita di una nuova facoltà di Medicina è stato un presidente cosentino della Regione, di cui ancora si rammentano le parole di plauso per la chiusura di 18 ospedali.

    ospedale-cosenza-giovane-mamma-salvata-medici-neurochirurgia
    L’ingresso del vecchio ospedale dell’Annunziata a Cosenza

    E qui nuovamente si apre l’altra partita, apparentemente campanilistica, ma in verità del tutto politica. Infatti l’annunciata apertura della nuova facoltà di Medicina all’Unical rimette in discussione la scelta dell’area dove edificare il nuovo ospedale. Nel meraviglioso mondo della teoria il Comune di Cosenza avrebbe indicato la zona di Vaglio Lise, mettendo da parte la zona di Contrada Muoio che invece piaceva all’ex sindaco della città. Tuttavia il crudele mondo della realtà frappone non pochi ostacoli alla sua realizzazione, basti pensare che quei terreni sono della Provincia, e ancora non è chiaro se li abbia già ceduti allo scopo.

    I cugini di Campagnano

    All’orizzonte spunta un nuovo motivo per mettere in discussione la scelta fatta dal consiglio comunale di Cosenza: che senso avrebbe edificare un nuovo e moderno ospedale lontano dalla facoltà di medicina? Ed ecco che il rigurgito del mai sopito campanilismo tra Rende e il capoluogo è già pronto a riaffiorare.

    La questione va assai oltre uno scontro tra campanili, perché con tutta evidenza la nascita di un nuovo ospedale comporterebbe la crescita tutt’attorno di servizi ed infrastrutture che porterebbero economie al territorio. Per Cosenza non si tratterebbe della perdita di un “pennacchio”, ma di opportunità materiali. D’altra parte non si è mai vista una facoltà di Medicina separata dal nosocomio.

    La matrioska dei campanilismi

    A ben guardare, quindi, la nascita di Medicina all’Unical riapre i giochi e pone prepotentemente Arcavacata in cima alle possibilità di scelta: un luogo baricentrico nella già concreta idea di area urbana, rapidamente raggiungibile perché servita dall’autostrada, senza contare che i terreni su cui l’ospedale sorgerebbe potrebbero essere quelli già in possesso dell’università. Tutte ragioni che razionalmente dovrebbero spazzare via altre ipotesi.

    Il campanilismo è come una matrioska: c’è quello tra Cosenza e Catanzaro e più dentro quello tra Cosenza e Rende e più dentro ancora quello tra i politici che devono decidere.
    Ma ci sarà tempo per le barricate e le grida, perché intanto il nuovo ospedale è solo una bella intenzione. E, come dice il proverbio ebraico, «mentre gli uomini progettano, Dio ride».