Wladimiro Parise è uno dei tre operai che fanno parte della classe dirigente del Partito democratico al Sud. Eugenio Marino (di Crotone), responsabile organizzazione dei democratici per il Sud e le isole lo ha scoperto dopo aver condotto uno studio in merito alla classe dirigente delle regioni meridionali.
La notizia è a apparsa oggi sulla home page di Repubblica.it in un articolo a firma di Concetto Vecchio.
Wladimiro Parise è stato segretario del Pd a Casali del Manco, più di diecimila persone a pochi chilometri da Cosenza. E, soprattutto, luogo simbolo della sinistra calabrese. Un territorio che ha espresso nomi del calibro di Fausto Gullo, costituente e “ministro dei contadini”. Qui il partigiano Cesare Curcio ha nascosto Pietro Ingrao e Rita Pisano è stata mai dimenticata sindaca comunista. Oggi anche questa ex roccaforte rossa è un po’ in crisi di identità.
Si chiama Wladimiro perché il padre volle il nome di Lenin. Altri tempi, altre storie, altra politica. Quando le sezioni erano una scuola di partito per tutti: dalla classe operaia ai contadini, passando per gli intellettuali. Parise è uno di quelli che rompe la statistica di un partito che la geografia del voto individua nelle Ztl e composto in larga parte dal mondo delle professioni, avvocati in primis.
Parise ha 50 anni, fa parte dell’assemblea regionale dei Dem ed è tra i membri della segreteria a Casali del manco. Uno che ha mangiato «pane e politica», dice a Repubblica.it.
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Solo tre operai nei dirigenti del PD al Sud: c’è il calabrese Wladimiro Parise
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Ferramonti, la storia dei libri in internamento
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Un campo di internamento può diventare, oltre a un luogo dell’abominio, anche un casuale crocevia di cultura. Quello di Ferramonti di Tarsia è stato, almeno in parte, anche un luogo di questo tipo.
C’è un filo che insospettatamente lega la Calabria a Theodor Mommsen e persino alla storia dell’editoria anastatica e del collezionismo.
Già noto per esser stato un campo sui generis, ricordato soprattutto per la provvidenziale forma di solidarietà che si venne a creare tra i prigionieri, i civili e le autorità locali, Ferramonti fu occasione di prigionia condivisa per almeno quattro particolarissime personalità della cultura, note e meno note. Quattro uomini che la storia ha condotto dapprima nel lager, poi a riemergere in maniera singolare: Ernst Bernhard, Gustav Brenner, Michel Fingesten e Werner Prager. Vi si aggiunge la figura di Israel Kalk, il quale pure varcò le soglie del campo, benché non da prigioniero.
Internati a Ferramonti E c’è intanto una piccola storia conosciuta a pochi, più che altro nel giro dei bibliofili più consumati: Oliviero Diliberto, che appartiene a questo novero, l’ha scoperchiata, ricostruita e divulgata con passione nel suo La biblioteca stregata (Roma, 2003). È, appunto, la storia tormentata della biblioteca privata di Theodor Mommsen, un corpus librario scampato parzialmente a due incendi, poi a divisioni ereditarie, ancora parzialmente a donazioni, a dismissioni da parte di biblioteche pubbliche (scarsamente accorte di fronte alla presenza degli ex libris mommseniani su alcuni doppioni), a trasferimenti transoceanici e, infine, alla vendita incontrollata sulle bancarelle. Uno degli ultimi luoghi di passaggio di alcuni volumi provenienti dalla biblioteca Mommsen fu una libreria antiquaria romana, dalla quale questi riemersero dopo le interminabili peripezie: la libreria Prager.
Werner Prager, da Amsterdam a Ferramonti
Werner Prager, protagonista – forse inconsapevole – di questa storia libresca, nacque nel 1888 a Berlino, dal libraio Robert Ludwig (1844-1914) la cui bottega aprì nel 1872. Assieme alla moglie Gertrud, continuò a gestire la società R. L. Prager e, pensando poi di scampare ai provvedimenti antisemiti, trasferì ingenuamente l’attività da Amsterdam a Roma nel 1937, ovvero solo un anno prima della promulgazione delle leggi razziali che intanto gli impedirono il commercio librario, e in secondo luogo lo costrinsero alla prigionia a Ferramonti.Dopo la liberazione, Prager riaprì la sua libreria, che chiuse poi i battenti nell’anno della sua morte, 1966. Possiamo immaginare conversazioni dotte, a rinfrancare parzialmente la prigionia, tra Prager e i prossimi personaggi che ci vengono incontro. Perché intanto c’è un altro libraio eccellente nella storia di Ferramonti, un uomo che come Prager ha fatto riemergere libri dall’oblio: Gustav Brenner.
Gustavo Brenner, da Ferramonti alla Casa del libro
Brenner, ebreo austriaco, è forse una delle figure più dimenticate della storia dell’editoria italiana. E, al tempo stesso, una delle poche davvero ascrivibili a un’intellettualità autentica, almeno nel panorama culturale della Calabria che lo accolse. La sua storia si lega prima al commercio librario, poi all’esperienza dell’internamento, e poi all’editoria tout court. Gustav Brenner nacque a Vienna nel 1915 da Joseph, libraio in Praterstrasse, e intraprese il mestiere paterno fin quando non lo arrestarono per condurlo dapprima a Buchenwald e poi a Dachau.
Fuggito, maturò in lui l’idea di rifugiarsi a Trieste e poi a Milano. Proprio qui, mentre lavorava presso una casa editrice, lo arrestarono e deportarono nel campo di Tarsia. Lasciò il campo il 31 ottobre 1942: sposatosi nel 1947, aprì a Cosenza la “Casa del libro” in piazza Crispi, ovvero una libreria e casa editrice il cui catalogo offriva già dall’inizio una scelta incentrata sulla storia del Mezzogiorno nonché sull’esoterismo, molto spesso d’impronta massonica (Gustav era affiliato al Grande Oriente d’Italia).
Le ristampe anastatiche
Fu allora che si fece strada anche la sua prima idea di “biblioteca circolante”, in qualche modo antesignana del bookcrossing oggi in voga. A Brenner si dovrebbe riconoscere, tra l’altro, un primato che di solito si attribuisce ad altri, ovvero quello di aver introdotto in maniera sistematica, in Italia, la ristampa anastatica (riedizione, conforme agli originali, di opere difficilmente reperibili). Prima di lui, in maniera sporadica, a mettere in commercio delle ristampe anastatiche era stata certamente la Görlich di Milano, mentre all’estero era stata già messa in atto dal celebre antiquario Kraus, cresciuto nella stessa Praterstrasse (proprio al civico 16 in cui visse Arthur Schnitzler).

Gustavo Brenner sull’ingresso della sua prima libreria a Cosenza Ma la paternità dell’introduzione sistematica della ristampa anastatica in Italia viene di solito erroneamente attribuita ad Arnaldo Forni: in realtà le primissime pubblicazioni di Forni vedono, sì, la luce nel 1959 ma le sue prime ristampe anastatiche nascono soltanto nel 1966. A voler esser magnanimi, un primo isolato tentativo di anastatica fu messo in atto da Forni nel 1961, mentre Brenner aveva pubblicato già nel 1958 l’anastatica in tre volumi della Storia dei Cosentini di Davide Andreotti (l’edizione, sotto l’insegna della Casa del libro in Cosenza, riporta l’acerba dicitura “ristampa elettro meccanica dell’edizione di Napoli, S. Marchese, 1869”).
Una sfida impari
Detto ciò, resta inconfutabile che Brenner sia stato il primo in Italia e tra i primi in Europa a riprodurre rare opere che, soprattutto tra il Sei e il Settecento, gli autori meridionali avevano fatto stampare presso tipografie perlopiù estere. Certo, l’indirizzo prettamente meridionalistico ed esoterico delle edizioni Brenner non poté competere col respiro più ampio del catalogo Forni e con la più acuta capacità commerciale del bolognese il quale, se pur non aveva nemmeno lontanamente la levatura culturale di un Brenner, poteva dal canto suo avvalersi, nella città universitaria, della collaborazione di un intellettuale di notevolissimo spessore quale Albano Sorbelli, figura con la quale nessuno, in Cosenza, avrebbe potuto misurarsi.
Il Picasso degli ex libris
E Michel Fingesten (già Finkelstein) cosa c’entra con i libri, vi starete chiedendo? Presto detto: è stato, tra l’altro, il più grande ideatore e incisore di ex libris del Novecento. Anzi, qualcuno disse che Fingesten sta all’ex libris come Picasso sta alla pittura. Nato nel 1884 a Butzkowitz, studiò all’Accademia di Vienna, laddove ebbe come compagno di studi nientemeno Oskar Kokoschka. Membro della corrente della “Nuova Secessione”, testimoniò nelle sue acqueforti le atrocità della Grande Guerra.

Michel Fingesten dipinge a Ferramonti Internato nel 1940, continuò a creare opere d’arte persino a Ferramonti, come quel Martirio di San Bartolomeo commissionatogli dall’allora parroco di Bisignano. Ma è l’ex libris la sua specialità e per gli ex libris verrà richiesto il suo talento dai collezionisti di tutta Europa (tra i committenti celebri, addirittura Roosvelt, Stravinsky, Richard Strauss, Rainer Maria Rilke, Bernard Shaw e Paul Valery o, in Italia, Pirandello, D’Annunzio e addirittura Mussolini!).
Israel Kalk e la Mensa dei Bambini
L’altra figura legata a Ferramonti e ai libri, è quella di Israel Kalk. Ebreo lettone, trasferitosi a Milano si dedica a iniziative filantropiche come la Mensa dei Bambini, che accoglie i figli dei profughi ebrei giunti in Italia intorno al 1938-39. Assicura loro una dimora, un pasto quotidiano, l’assistenza medica e il doposcuola. L’attività della Mensa si estende presto all’assistenza per i profughi ebrei anziani e per i deportati nei campi di concentramento dell’Italia meridionale.

Israel Kalk È così che Kalk riesce a recarsi ripetutamente presso il campo di Ferramonti: all’organizzazione del campo dona materiale scolastico, vestiario, medicinali e sussidi, istituendo persino una borsa di studio a tutti gli scolari. Dal 1939 Kalk incomincia a raccogliere un fondo archivistico, costituito non soltanto dai documenti della Mensa ma pure dal ricchissimo materiale inerente all’attività di assistenza presso Ferramonti e dalla sua collezione libraria: 416 volumi, prevalentemente in lingua yiddish, pubblicati tra il 1907 ed il 1977 (narrativa, poesia e teatro, raccolte di proverbi, leggende e fiabe ebraiche, testi sacri e canti liturgici), oggi custodito dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano.
Ernst Bernhard, lo psicanalista delle star
L’ultimo personaggio, Ernst Bernhard, nacque invece a Berlino, da genitori ebrei, nel 1896. Socialista, partecipò alle rivoluzioni bavarese e austriaca. Dopo la laurea in medicina indirizzò i propri interessi verso la psicanalisi, e collaborò con Jung tra il 1935 e il 1936, anno in cui si trasferì a Roma, marcando ancor più del suo maestro l’interesse per l’esoterismo, nonché per la teosofia, la chirologia e l’astrologia. Non è propriamente un bibliofilo, ma ai patrimoni librari e alla stessa storia del libro, ha contribuito con la sua opera di saggista.

Ernst Bernhard Prigioniero anch’egli, nel 1941 Bernhard poté finalmente lasciare Ferramonti, dove era entrato «col suo I Ching e il suo diario, deciso a vivere in modo consapevole e significativo ciò che il destino gli avrebbe portato». Riprese poi la professione nella capitale e a Bracciano, laddove fondò l’Associazione Italiana di Psicologia Analitica, che portò avanti fino seguendo illustri pazienti quali Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Cristina Campo, Roberto Bazlen, Vittorio de Seta e, tramite quest’ultimo, persino Federico Fellini.
Ferramonti e il paesaggio palestinese
Dai suoi diari di autoanalisi emerge pure un sogno fatto e annotato durante la prigionia (che, a dire il vero, starebbe benissimo sulla bocca del miglior Woody Allen):
«Dal campo in Calabria vengo deportato verso Oriente e arrivo in un campo dove sono completamente isolato e solo.
Penso che mi peserà molto il non avere nessuno di cui prendermi cura e da far progredire. Ma a mio conforto mi viene in mente che là ci sarà pure un corpo di guardia nazista. Potrei prendermi cura di questo».
Soldati all’esterno del campo Ancora, negli anni più maturi della sua professione non mancò di ricordare sporadicamente l’esperienza calabrese:
«Nel 1941, quando ero internato in Calabria, passai il Venerdì Santo solo, sotto un fico, leggendo e digiunando, davanti a me il paesaggio del Mediterraneo, che mi ricordava il paesaggio palestinese. Quando la sera mi avvicinai al campo d’internamento, mi venne incontro il brigadiere della polizia e mi disse: “Dottore, è arrivato il telegramma”. Ero libero. Comprai vino rosso e dolci per i miei compagni di prigionia e nuovi amici, festeggiai con loro l’addio e il giorno seguente partii in tassì, con fichi e cioccolata, per Amantea e la notte seguente per Roma. La domenica di Pasqua arrivai in via Gregoriana, con una completa amnesia di tutto ciò che prima della mia prigionia era avvenuto nella mia abitazione, tanto per quel che riguardava me che i miei pazienti».
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Villa Rendano: un 2023 carico di appuntamenti
Per tutto il 2023 Villa Rendano sarà teatro di un nutrito e variegato cartellone di eventi che in parte verrà realizzato in collaborazione con il comune di Cosenza
È partita la stagione culturale della Fondazione Attilio ed Elena Giuliani che quest’anno celebra il decennale della sua costituzione.La fondazione compie dieci anni
«Sarà un anno ricco di iniziative, che spazieranno dal ricordo di importanti anniversari, in campo storico, politico, istituzionale, artistico e musicale, alla presentazione di libri, alla poesia, con l’ambizione di essere, ancor più di quanto non sia avvenuto in questi mesi, un punto di riferimento per il territorio, offrendo ai cittadini l’opportunità di conoscere e approfondire temi e questioni cruciali nella quotidianità del nostro tempo». Così Walter Pellegrini, il presidente della Fondazione “Attilio ed Elena Giuliani”, annuncia le attività culturali del 2023, il decimo della prestigiosa Istituzione cittadina.
L’hi tech per iniziare
Il calendario è iniziato il 25 gennaio, alle 17,30, con i docenti dell’Università della Calabria Domenico Talia e Antonio Palmiro Volpentesta, intervenuti sul tema Interconnessione planetaria: dall’alba di Internet alla comunicazione globale, ricostruendo le tappe che hanno portato da Arpanet a Internet.
L’interconnessione planetaria è stato il tema inaugurale di Storia in Villa, un contenitore culturale in cui troveranno spazio altri importanti anniversari che la Fondazione intende proporre all’attenzione generale.Storia In Villa: da Pinocchio a Zeffirelli
Tra i tanti, i centoquarant’anni dalla prima pubblicazione di Pinocchio, gli ottocento anni dal primo presepe realizzato da San Francesco d’Assisi, il duecentocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, i cento anni dalla nascita di don Milani, i quarant’anni dall’arresto di Enzo Tortora, i sessant’anni dalla tragedia del Vajont e dalla morte di J.F. Kennedy, i trent’anni dell’Unione europea, il settantacinquesimo anniversario della nascita di Peppino Impastato, il decennale della morte di Margherita Hack e di Nelson Mandela, il centenario della nascita di Franco Zeffirelli, i cinquant’anni della storica sentenza della Corte Suprema americana sull’aborto.
I protagonisti di Cosenza
Nella programmazione di Storia in Villa sono previsti anche i ricordi di alcune figure prestigiose, purtroppo scomparse, che con la loro azione hanno segnato la vita culturale, artistica, sociale e civile non solo della città dei Bruzi.
Si comincerà con un “medaglione” dedicato al giornalista Emanuele Giacoia, elemento di punta della Rai calabrese e protagonista di molte trasmissioni sportive nazionali. Si proseguirà quindi con il poeta Franco Dionesalvi, il regista Antonello Antonante, il giornalista Raffaele Nigro e lo scrittore, giornalista e commediografo Enzo Costabile.
Altri ricordi di figure importanti saranno programmati nel corso dell’anno e proseguiranno anche durante il 2024.
Antonello Antonante (foto Alfonso Bombini 2020) Libri in Villa
Libri in Villa verrà realizzato in collaborazione con il Comune di Cosenza e sarà lo spazio dedicato ai volumi di maggiore successo, a livello nazionale, meridionale e regionale.
Tra i primi appuntamenti, il 2 marzo, l’incontro con Mimmo Gangemi, che presenterà il suo romanzo L’atomo inquieto, edito da Solferino.
Il 29 marzo, invece, sarà la volta della giornalista Rai Annarosa Macrì, con il suo ultimo romanzo edito da Rubbettino.I venerdì e il Cineforum a Villa Rendano
Continueranno, inoltre, I venerdì di Villa Rendano, gli approfondimenti tematici di Villa Rendano, coordinati dal giornalista Antonlivio Perfetti, che stanno riscuotendo enorme successo.
Fiore all’occhiello della programmazione 2023 sarà anche il Cineforum, coordinato da Franco Plastina, attraverso il quale la Fondazione intende offrire ai numerosissimi amanti del cinema presenti in città un appuntamento settimanale con la proiezione di film e documentari.
Il programma prevede anche un ricordo di Massimo Troisi, del quale quest’anno ricorre il settantesimo anniversario della nascita, con la proiezione del film Il Postino.Un ricordo di Sergio Giuliani
Nel 2023 ricorre anche il decennale dell’avvio delle attività della Fondazione “Giuliani”, che verrà celebrato con una giornata in ricordo del fondatore, Sergio Giuliani, e l’istituzione di alcune borse di studio, in memoria del filantropo e benefattore cosentino, destinate a studenti particolarmente meritevoli.

Il conferimento della cittadinanza onoraria a Sergio Giuliani Poesia e territorio
Un evento particolarmente importante sarà anche il Festival della poesia I padri della parola, realizzato in collaborazione con la Regione Calabria e che si svolgerà a Cosenza in primavera. Vi parteciperanno alcuni tra i maggiori poeti italiani con il coinvolgimento delle scuole superiori dell’area urbana cosentina.
Riprenderà, inoltre, il progetto I borghi, che prevede anche in questo caso il coinvolgimento degli studenti delle scuole superiori della provincia di Cosenza, chiamati a descrivere le realtà, la cultura e le tradizioni dei rispettivi territori.Consentia itinera: le novità del Museo di Villa Rendano
Per quanto riguarda il Museo Consentia itinera, a partire dal mese di febbraio numerosi e interdisciplinari saranno i laboratori educativi e creativi destinati ai bambini ed alle famiglie, grazie al finanziamento dell’Agenzia per la Coesione Territoriale.

Una sala del museo multimediale Consentia itinera Tra i temi affrontati, le antiche lavorazioni artigiane trasferite ai piccoli da abili maestri (pietra, argilla e legno), la cura del patrimonio e della legalità (con visite nei luoghi degradati del centro storico e proposte di recupero), le scoperte scientifiche (con incontri ed esperimenti rivolti ai “piccoli scienziati” ma ancora laboratori creativi lungo la linea del tempo) attività sulla storia di Cosenza) e incontri di musica partecipati e interattivi.
Nel mese di marzo 2023, infine, la Fondazione Giuliani inaugurerà, nelle sale multimediali del Museo Consentia itinera, la nuova mostra digitale sulla scienza e la tecnologia dal titolo Urania. Scienza e cultura realizzata in collaborazione con il Museo Galileo di Firenze e con il contributo economico del Mur. -

San Francesco d’Assisi: la macchina del bene a Cosenza
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Una fredda domenica di gennaio non scoraggia Rosellina. Dalle 7:30 è già ai fornelli della mensa dei poveri della parrocchia di San Francesco d’Assisi a Cosenza. Da 35 anni trovano qui un piatto caldo, un sorriso ad accoglierli, una coperta o un indumento della taglia giusta. Con l’arrivo del Covid 19 le regole sono un po’ cambiate: i pasti non possono essere consumati all’interno. Ma solo consegnati al di fuori della struttura.

Pino Cristiano e sua moglie Rosellina, colonne portanti della mensa dei poveri nella chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023) Rosellina e Pino
Pino Cristiano è il marito di Rosellina. Immancabili baffi e un’abilità perfezionata nel tempo: accogliere e fare del bene ai tanti che hanno bisogno. Un particolare racconta perfettamente il suo attaccamento alla causa. Nel 2020 ha subìto una delicata operazione al cuore. Con un grosso cerotto sul petto, a due mesi dall’intervento chirurgico, è tornato in cucina.
Catechista e responsabile della mensa, senza di lui tutto si era interrotto. Sorretto da una grande fede il 67enne ha deciso di andare avanti, nonostante il coronavirus potesse essere estremamente pericoloso, soprattutto nelle sue condizioni di allora. Non poteva mancare. Altrimenti tanti, troppi, non avrebbero avuto un pranzo o una cena completa almeno nel giorno del Signore. Pino e Rosellina sono due simboli di Cosenza capitale italiana del volontariato del 2023.

Elisa, Francesco e Damiano volontari nelle cucine della chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza (foto Alfonso Bombini) Non solo a Natale si fa del bene
«Pochi ci danno una mano in cucina, siamo sempre gli stessi». Pino ne parla come un dato di fatto, senza lamentarsi, come si addice a chi si rimbocca le maniche e agisce. Comunque lui c’è. Sempre. Le uniche parrocchie a fare un turno al mese sono quella di Loreto e quella di Laurignano.
Domenica a preparare le porzioni per i bisognosi sono arrivati di buon mattino tre ragazzi: Elisa da Spezzano Albanese, Francesco e Damiano abitano a Terranova da Sibari. Erano già stati in questa mensa dei poveri di Cosenza il 24 dicembre. Hanno deciso di tornare. Non sono tanti quelli che lo fanno lontano dal Natale o dalla Pasqua. Durante le feste religiose si sente il bisogno di donare tempo agli altri. Purtroppo l’indigenza e la fame non hanno un calendario prestabilito. Le trovi puntualmente a due passi da te. O nelle case diroccate della parte vecchia della città. Dove lingue, suoni e odori si mescolano in questo grande suk della sopravvivenza.
Il francescano
Don Francesco Caloiero dal 1983 è parroco nella chiesa di San Francesco d’Assisi, tre anni fa ha superato il 50esimo di sacerdozio. Frate minimo e cappellano militare, ha partecipato a cinque missioni: Bosnia, Albania, Macedonia, Kosovo, Iraq. Non ha mai dimenticato le «colline piene di lapidi a Sarajevo». Era il 1996 e la guerra era finita da poco.

Don Francesco Caloiero, parroco della chiesa di San Francesco d’Assisi a Cosenza (foto Alfonso Bombini 2023) Prima di celebrare messa a I Calabresi affida una critica perentoria e senza appello: «Ci troviamo in un quartiere senza legalità e le istituzioni sono completamente assenti». Parole sostenute dal tempo passato nel tessuto sociale più problematico della comunità. Non solo mensa dei poveri nella sua parrocchia. «Martedì e giovedì – spiega – sono due giorni di consegna dei pacchi alimentari. Grazie alle donazioni private, gli aiuti del Rotary e del Banco alimentare. Purtroppo capita sempre più spesso di finire le scorte e non poter dare un sostegno a tutti».
I poveri aumentano con il lockdown
La situazione è peggiorata con il lockdown imposto per via della pandemia. Pino Cristiano ricorda perfettamente il baratro di tante famiglie italiane e straniere: «Consegnavamo 500 pacchi alimentari due volte a settimana. Alcuni li portavo io stesso a casa di persone che non avevano mai chiesto aiuto; gente che ha sempre lavorato. Piccoli impieghi precari e a nero, ma riuscivano a far quadrare in qualche modo i conti. Il Covid ha cambiato tutto in peggio».

Mario Parise allestisce da sempre il presepe della chiesa di San Francesco a Cosenza (foto Alfonso Bombini) Zio Mario
Mario Parise è un’altra presenza quotidiana nelle attività della parrocchia. Tutti lo chiamano zio Mario. Noto in città per il suggestivo presepe che allestisce ogni anno. Si occupa della distribuzione dei pacchi alimentari. Ha stabilito un rapporto diretto con i meno abbienti, ha modi pacati e una grande sensibilità quando qualcuno bussa alla porta della solidarietà: «So che c’è imbarazzo e per questo sono io a chiedere di cosa hanno bisogno». Prima del 2020 «tanti venivano pure per fare una doccia e la barba, ne hanno tanto bisogno coloro che vivono in strada». Disposizioni, evidentemente applicate ai luoghi religiosi, impediscono di ripristinare questo servizio. Ma tra mille difficoltà la macchina del bene non si ferma mai a San Francesco d’Assisi.

Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.
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Il rivoluzionario e il Garofano: Lo Giudice, l’ultimo dei craxiani
Enzo Lo Giudice, paolano doc scomparso nel 2014, fu l’avvocato di Bettino Craxi ai tempi di Tangentopoli.
Infatti, era diventato noto, soprattutto negli ultimi anni, per la sua difesa a spada tratta nelle aule del Tribunale di Milano del leader del Garofano.
Eppure Lo Giudice non fu solo il difensore del segretario del Psi.Lo Giudice marxista e rivoluzionario
Nel 1968, l’avvocato fu tra i fondatori della rivistaServire il Popolo e dell’Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti).
Quest’ultima era una formazione extraparlamentare piccola e combattiva, molto critica nei confronti de Pci. E vi militò, come padre fondatore, anche Aldo Brandirali, diventato in seguito esponente di spicco di Comunione e Liberazione.
Enzo Lo Giudice, così lo racconta Stefano Ferrante nel suo libro La Cina non era vicina, era un organizzatore di rivolte dei contadini calabresi e dei senza casa.
Enzo Lo Giudice Il Tirreno in rosso
A quei tempi Paola e Cetraro erano diventati i centri principali delle “lotte proletarie” del Meridione. Lì erano di casa l’attore Lou Castel (interprete de I pugni in tasca) e il regista Marco Bellocchio, che proprio sul Tirreno cosentino girò il documentario Paola-Il popolo calabrese ha rialzato la testa. Queste vicende sono tornate da poco alla ribalta grazie al libro di Alfonso Perrotta, Maoisti in Calabria che ripercorre con notizie inedite quell’epoca avventurosa .
Gli esordi: dalla sinistra alla rivoluzione
Ma riavvolgiamo il nastro. Sin da giovanissimo Enzo Lo Giudice coltivò la passione per la politica.
Figlio di ferroviere, aderì al Psi. Militò nella corrente di sinistra di Lelio Basso. Già collaboratore de La parola socialista, il periodico di Pietro Mancini, Lo Giudice passò nel Psiup. «Era un periodo – disse una volta – in cui rinnegavamo la linea revisionista di tipo elettorale che aveva corrotto il Pci dopo la svolta di Salerno di Togliatti nel 1944».Avvocato e scrittore
Arrestato nel 1971 durante un comizio, Enzo Lo Giudice si alternò tra l’avvocatura (fu tra i difensori nel processo napoletano ai militanti dei Nuclei armati proletari), e la scrittura. Pubblicò il romanzo Donna del Sud e i saggi Sud e Rivoluzione, La questione cattolica, Processo penale e politica, Il diritto dell’ingiustizia, La democrazia impossibile o dell’utopia.
Nel 1978 difese anche l’anarchico calabrese Lello Valitutti, testimone della morte di Giuseppe Pinelli ai tempi della strage di Piazza Fontana a Milano. Valitutti era finito in carcere perché accusato di appartenere al gruppo estremistico insurrezionale Azione rivoluzionaria.
L’anarchico Lello Valitutti In ricordo di Bettino
Tra i promotori della Fondazione Craxi, Lo Giudice ha raccolto nel libro Le urne e le toghe (2002) alcuni contributi del segretario del Psi sui temi della giustizia e del ruolo della magistratura in Italia.
Sull’argomento il nostro era ferratissimo: proprio Craxi gli aveva affidato le difese più ardue da tutte le accuse del pool di Mani pulite, in particolare quelle di Antonio di Pietro.
Quello tra Lo Giudice e Craxi fu un incontro di storie diverse: il rivoluzionario e il riformista si trovarono uniti in una battaglia impossibile a garanzia della libertà politica, in una Italia che voleva sostituire il giustizialismo alla giustizia.Veleno su Tangentopoli
Da qui il giudizio tranchant di Lo Giudice su Tangentopoli, ribadito nel 2003 in una intervista a Critica sociale.
«Craxi – ha dichiarato l’avvocato – è stato giudicato colpevole in un processo senza contraddittorio sulla base di semi-prove precostituite fuori dal dibattimento, nel quale l’imputato è stato privato del principale diritto di difesa, quello di interrogare e fare interrogare i suoi accusatori».Un processo “rosso” a Craxi
Più dura l’accusa politica: «La linea della sinistra è stata traslata nella giurisdizione che ha avuto come programma “la questione morale”, in forza della quale i giudici sono diventati sacerdoti ordinati dal popolo alla grande missione. Craxi era “un delinquente matricolato” e doveva essere condannato comunque».
Per questo suo impegno più “politico” che “legale”, Craxi volle manifestargli in una notte di dialoghi ad Hammamet tutta la sua amicizia: «Lei non riesce a darmi del tu – gli disse una volta – eppure io finalmente ho trovato un amico. Che io lo sia per lei, già lo so».
Bettino Craxi ad Hammamet A tu per tu col leader in disgrazia
In alcuni scritti, in parte inediti, Lo Giudice parla del suo rapporto intimo e allo stesso tempo rispettoso col segretario del Psi. Soprattutto dei lunghi dialoghi intercorsi nel residence-prigione della Tunisia.
In particolare, sono illuminanti le parole sul “dispiacere” che Craxi provava in “esilio” a causa della diaspora in atto nel partito.
Nei tanti momenti di sconforto, il pensiero che forse lo assillava di più era quello di non aver potuto compiere il “miracolo” dell’unità socialista – anche con il Pci che avrebbe dovuto “socialdemocratizzarsi” – per ricollocare l’antica famiglia della sinistra riformista nell’ambito della grande tradizione socialista italiana ed europea.La rivoluzione abortita dalle toghe
«In una delle conversazioni notturne ad Hammamet – scrive Lo Giudice – Bettino Craxi mi confidò il suo cruccio: la falsa rivoluzione dei magistrati aveva interrotto l’impegno principale del suo lavoro politico, l’impresa storica della riunificazione di tutti i socialisti nel grande partito riformista, strumento di modernizzazione del paese». La prospettiva craxiana «era l’allargamento dello spazio in cui collocare la forza autonoma socialista che si liberava dalle regole rigide dell’economia capitalistica e dal massimalismo e dal dogmatismo della sinistra radicale».

I pubblici ministeri Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo insieme al procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli L’utopia umanitaria di Bettino
Ancora: «Craxi era convinto che i grandi interessi generali del popolo lavoratore avrebbero alla fine sostenuto il primato degli ideali socialisti. Il sistema della libertà e la carta dei diritti umani avrebbero potuto battere il fronte degli opportunismi politici». Queste riflessioni trovavano riscontro nell’analisi a posteriori di Lo Giudice in uno dei suo scritti: «Il nostro paese soffre per il basso livello culturale della lotta politica, dalla quale provengono odi, risse e veleni».
Perciò «nella confusione incestuosa di destra e sinistra si va aprendo uno spazio dove ha diritto di vivere l’autonomia socialista, unica alternativa valida, sia come teoria che come pratica politiche».L’alternativa socialista secondo Lo Giudice
L’alternativa socialista, conclude l’avvocato, «ha un suo programma risolutivo di questa tenaglia economica che è grave perché non riduce ma amplia il divario ricchezza-povertà. Serve, dunque un soggetto politico che conti, capace di raccogliere l’esigenza del partito già manifesta e quella ancora potenziale ma che si avverte in ogni angolo del paese».
Malato da tempo Enzo Lo Giudice si è spento a Paola. La sua città lo ha onorato dell’intitolazione di uno spazio antistante il Tribunale.Resta tuttavia ancora non “comprensibile” il motivo della celebrazione dei suoi funerali al Convento di San Francesco, per un ateo convinto come lui, che aveva sempre manifestato ostilità nei suoi scritti nei confronti della religione e dell’operato della Chiesa.
Alessandro Pagliaro
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L’uomo del cinema aspetta il secolo del Santa Chiara a Rende
C’è gente come Tullio Kezich che ha passato una vita al cinema. Altri come Orazio Garofalo non possono farne a meno. Una questione di famiglia. Il Santa Chiara a Rende non è solo il cinematografo più antico della Calabria ancora in funzione. È un luogo predestinato sin dalle origini. Regala sogni ed emozioni dal dicembre del 1925, come La Corazzata Potëmkin di Sergej M. Ėjzenštejn.

Orazio Garofalo davanti all’ingresso del cinema Santa Chiara a Rende (foto Alfonso Bombini) Il nonno d’America
Pietro Garofalo lascia Rende per New York nel 1912. È uno tipo scaltro. Dopo le inevitabili difficoltà degli inizi, trova la sua strada. Non se la passa male, gestisce pure un biliardo nel Bronx. Il sogno americano finisce e si sveglia in Calabria nel 1924. Gli resta un bel gruzzolo da investire nell’acquisto di una parte del convento Santa Chiara. Diventerà nel 1925 il cinematografo omonimo.
Compra un proiettore “Pio Pion”. Oltre 130 posti in sala tutti occupati. Oggi si dice sold out. Al mattino il cinema sparisce e in quel posto si producono fichi secchi.
Il proiettore Pio Pion in dotazione al Santa Chiara Il buttafuori
Pietro Garofalo ha tre figli maschi: Italo Costantino, Francesco (che diventerà preseparo di fama) e Antonio. Lavorano col padre. L’ultimo è il buttafuori del cinema Santa Chiara: dopo la prima proiezione trova sempre qualcuno che fa il furbo e vuole restare, gratis, per la seconda. Ci pensa lui. Braccia possenti e spalle larghe. Lo racconta così suo nipote Orazio.

Italo Costantino Garofalo Il cinema sfida le bombe
L’epopea del muto, Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio segnano gli albori del Santa Chiara. In sala suona l’immancabile orchestrina. I grandi western americani, la Garbo e poi l’arrivo del sonoro sono impressi nella memoria collettiva di una comunità. La sala è talmente piena e i muri sudano dal calore e dall’umidità. Poi arriva la guerra e ferma il cinema. Mancano le pizze coi film. Italo Costantino Garofalo sfida le bombe degli Alleati, corre a Napoli e torna con le pellicole a Rende. Per certi versi sembra una storia alla Theo Angelopoulos de Lo sguardo di Ulisse.
La tv uccide il grande schermo
Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono già un classico del Santa Chiara. Proiettano i film di Fellini, poi quelli con la Loren e la Lollobrigida, la “bersagliera” morta da poco. La macchina dei sogni a Rende si ferma alla fine degli anni Settanta. La tv a colori ha invaso le case degli italiani. Il grande schermo comincia ad avvertire i primi contraccolpi. Il Santa Chiara chiude.
Nuovo cinema Santa Chiara
Arintha perde il suo storico cinema. Ma qualcosa si muove. Si moltiplicano le riunioni nel centro storico alla presenza dei Principe (Cecchino e Sandro), i due politici che hanno trasformato Rende in una città modello nella Calabria di quegli anni. Il Comune alla fine rileva la sala diventata una specie di magazzino. Resterà tale per tanto tempo.
Intanto Italo scrive a Giuseppe Tornatore. Il regista de Il Camorrista e di Nuovo cinema Paradiso, risponde all’appello. E butta giù una lettera per Italo e suo figlio, un giovane Orazio. Li incoraggia a non mollare. È il 1996.
La lettera del regista Giuseppe Tornatore a Italo Costantino Garofalo Bisogna aspettare il 2015 per la riapertura del Santa Chiara. A tagliare il nastro è il sindaco Marcello Manna. La palla passa ad Orazio. Che mette a disposizione la sua competenza e il suo tempo a titolo interamente gratuito.
Sono circa 235 i film proiettati negli ultimi 7 anni. Cinema d’autore quanto basta. E in attesa dell’inizio delle pellicole Orazio proietta la sua videoarte: un vero maestro nella tecnica del found foutage.I giovedì al cinema Santa Chiara
La passione di Orazio ha inizio con i giovedì del Santa Chiara. Quando Italo prova ad aprire le pizze e prova le pellicole che poi allieteranno le serate del pubblico pagante. Qualcuna è spezzata, rovinata. Cosa fare? Italo non si dà per vinto. Taglia e cuce come un montatore. «I film non perdono coerenza e non hanno interruzioni. Quanta abilità mio padre». Orazio Garofalo ricorda il suo genitore e mentore. Non dimenticherà mai i ritagli delle pellicole, il proiettore 35 mm a manovella e quel fazzoletto di stoffa aperto sul quale si materializzano le immagini in movimento: così nasce l’amore per il cinema.
La filosofia di Finuzzu
Il Santa Chiara di Orazio «non è d’essai ma nickelodeon», espressione nata negli Stati Uniti per indicare il carattere economico e proletario della Settima arte a 5 centesimi di dollaro all’ingresso. Il Santa Chiara procede in qualche modo insieme a un altro simbolo della cultura rendese: il Finuzzu film festival. Sulla terrazza di Serafino, presidente del circolo Reduci e combattenti morto lo scorso anno, la nuova commedia all’italiana ha divertito gli abitanti del centro storico insieme ad anguria, dolci e bibite. Perché il cinema, prima di essere legittima masturbazione mentale degli intellettuali (o presunti tali), è soprattutto arte popolare.
Pietro Garofalo L’ingresso del cinema nel 1956 Italo Costantino Garofalo riceve la targa per i 50 anni di attività del cinema La targa imposta durante il regime fascista “Casablanca” proiettato al Santa Chiara nel 2015 Orazio Garofalo nel cinema Santa Chiara (foto Alfonso Bombini) Il Santa Chiara è stato uno dei primi cinema in Calabria a ripartire dopo il lockdown -

Addio a Empio Malara, l’uomo che disegnò la Rende futura
L’anagrafe ha archiviato un pezzo importante della storia calabrese contemporanea: l’architetto e urbanista Empio Malara.
Malara è scomparso la mattina del 19 gennaio alla non tenera – e, per molti, invidiabile – età di 90 anni, dopo averne passato molti a disegnare città, a valorizzarne altre e a sognarne altrettante.Un architetto per due città
Vaga formazione anarchica e solida militanza socialista, il cosentino Empio Malara fece carriera nella Milano non ancora “da bere” degli anni ’70.
C’è da dire che si trovò bene anche in quest’ultima, dato che, grazie a una solidità professionale quasi senza pari e a una concezione visionaria dell’urbanistica, riuscì a superare indenne gli anni ruggenti del craxismo e la loro fine tragica.
Milanese d’adozione e cosentino legato alle origini, come i migranti vecchia maniera. E non a caso, i necrologi che lo ricordano sono usciti in contemporanea sulle testate calabresi (va da sé) e sul Corriere.
Empio Malara nel suo studio di Milano Empio Malara “polentone”
L’urbanistica è questione di sensibilità ed empatia, coi territori e chi li vive.
Non a caso, a Milano Malara si concentrò sui Navigli, che voleva pienamente navigabili, anche a scopi commerciali.
Al riguardo, c’è da scommettere che dietro la rivalutazione dellecase di ringhiera, una volta sinonimo di povertà (di cui resta traccia nei racconti di Giorgio Scerbanenco) ma oggi molto “trendy”, ci sia il suo zampino.
In ogni caso, Malara ha avuto molti riconoscimenti dalla Milano profonda, a partire da un attestato di benemerenza civica.
La zona dei Navigli a Milano Empio Malara “terrone”
La parabola professionale di Malara in Calabria evoca il titolo di un film: Ritorno al futuro.
L’urbanista, già archistar fu ingaggiato da Cecchino Principe per evitare che lo sviluppo di Rende, lanciatissima dall’Unical, diventasse caotico.
Sensibilità ed empatia significavano una cosa nella Calabria degli anni ’70: immaginare i desideri di sviluppo e crescita economica degli abitanti della zona.La Rende avveniristica di Empio Malara
Malara disegnò una Rende futuribile, in cui i palazzoni coesistevano col verde e, soprattutto, non evocavano certe immagini lugubri da socialismo reale (o, spesso fa lo stesso, da edilizia meridionale doc).
Uno dei suoi fiori all’occhiello resta Villaggio Europa: un quartiere popolare all’avanguardia, che comprendeva, al suo interno, scuole e strutture sportive.
Villaggio Europa a Rende Nel suo caso, l’architettura diventava il forcipe dell’emancipazione sociale: la povertà non era sinonimo di degrado e la necessità di ricorrere all’edilizia popolare non obbligava ad accontentarsi.
Un progetto tra due epoche
Fin qui (e in estrema sintesi) i meriti. Purtroppo, il tempo denuda anche i limiti.
La visione di Malara nacque in una fase storica in cui ancora non si parlava di “Grande Cosenza” né di città unica.
Cosenza era ancora al massimo della sua capacità urbana e Rende aveva appena iniziato il suo sviluppo prodigioso. Quindi la Rende ideata dal vecchio Principe e disegnata da Malara era bella ma non ambiziosa: era la prosecuzione ad est di Cosenza, troppo intasata e bloccata dai suoi colli per sviluppare a ovest.
Cecchino e Sandro Principe Invece, a partire dagli anni ’80, la città del Campagnano si pose un altro obiettivo: far concorrenza al capoluogo per servizi e qualità della vita. Il disegno di Malara restava, ma i motivi ispiratori erano stravolti.
Le ultime polemiche
Offrono ancora parecchi spunti di riflessione le polemiche della scorsa primavera tra l’architetto e Sandro Principe.
Malara, da un lato, rivendicava il suo “disegno” originale, che si basava su un ruolo di Rende importante ma comunque subalterno.
Principe, dall’altro, ribadiva come la Rende di Malara fosse un sogno degli anni ’70 diventato “altro”, cioè una città autonoma e non “servente”.Il ricordo
Non è questa la sede per approfondire certe dispute. Ma resta evidente che, in questo dibattito tra un amministratore col pallino dell’urbanistica e un urbanista che ha dato forma a un disegno politico, si è riflesso l’eterno dibattito tra tecnici e politici.
Malara, milanese adottivo se n’è andato anche come cittadino onorario di Rende, reso tale dall’attuale amministrazione che vive un rapporto problematico col passato riformista.
Di Malara rimane, al netto di polemiche evitabilissime (anche da parte sua), il ricordo di una visione legata al sogno di uno sviluppo mai realizzatosi per davvero.
Una promessa tradita? Senz’altro. Ma anche una promessa grande. -

Orrico e Garritano sul palco dell’Unical con il “Pitagora” del prof Bruno
Giovedì 2 febbraio, alle 10:30 per le scuole e alle ore 20:30 per tutti, verrà messo in scena al Tau (teatro auditorium Unical) “La fuga di Pitagora lungo il percorso del sole” di Marcello Walter Bruno, interpretato dall’attore e drammaturgo Ernesto Orrico con musiche originali eseguite dal vivo da Massimo Garritano. Sempre il 2 febbraio, ma a partire dalle 17.00, verrà aperta al pubblico la mostra “Unical collage. 10 metri di ponte ricostruiti al Tau”.

Il Teatro auditorium Unical (foto Alfonso Bombini) Mentre mercoledì 1 febbraio alle ore 12 sarà inaugurata, nel foyer del Teatro, della mostra collettiva “Star arts”, una collezione di scatti ideata e realizzata in collaborazione con l’Associazione Fotografica “Ladri di Luce” di Cosenza.
Si tratta di tre eventi promossi e organizzati dal dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, l’infrastruttura di ricerca Star (Southern Europe Thomson Back-Scattering Source for Applied Research) e il progetto NoMaH (Novel Materials for Hydrogen Storage).Durante la conferenza stampa di presentazione degli eventi sono intervenuti oggi: Riccardo Barberi, direttore del dipartimento di Fisica dell’Unical e responsabile scientifico di Star; Raffaele G. Agostino, vicedirettore del dipartimento di Fisica e responsabile sientifico del progetto NoMaH; Fabio Vincenzi, direttore del TAU; Caterina Martino, co-curatrice di “Unical Collage”; Daniela Fucilla, presidente dei “Ladri di Luce”; Ernesto Orrico e Massimo Garritano.

Marcello Walter Bruno, professore all’Unical e studioso di cinema e fotografia Marcello Walter Bruno (Carolei 1952 – Lucca 2022) è stato professore associato all’Università della Calabria. Si è occupato di cinema, fotografia, comunicazioni di massa e teatro. Dal 1979 al 1989 è stato programmista-regista della RAI. Negli anni Novanta è stato direttore creativo dell’agenzia “La cosa pubblicitaria”. Ha collaborato come drammaturgo con Giancarlo Cauteruccio/Krypton e Ernesto Orrico e ha recitato il monologo di Paolo Jedlowski Smemoraz. Ha pubblicato i libri Neotelevisione (Rubbettino, 1994), Promocrazia. Tecniche pubblicitarie della comunicazione politica da Lenin a Berlusconi (Costa & Nolan, 1996), Il cinema di Stanley Kubrick (Gremese, 2017). Suoi saggi e articoli sono apparsi sulle riviste Alfabeta, Cinemasessanta, Il piccolo Hans, Duel, Segnocinema e Fata Morgana.
Ernesto Orrico ha lavorato con Teatro delle Albe, Scena Verticale, Teatro Rossosimona, Centro RAT, Teatro della Ginestra, Carro di Tespi, Spazio Teatro, Zahir, Compagnia Ragli. Ha scritto ‘A Calabria è morta (Round Robin, 2008), le raccolte di poesie Talknoise. Poesie imperfette e lacerti di canzone (Edizioni Underground?, 2018), Appunti per spettacoli che non si faranno (Coessenza, 2012) e The Cult of Fluxus per (Edizioni Erranti, 2014). Ha all’attivo diversi progetti di contaminazione tra musica e teatro tra cui The Cult of Fluxus e Speaking and Looping.
Massimo Garritano è un musicista e compositore. Ha all’attivo numerose incisioni discografiche tra cui: Doppio Sogno (Dodicilune Rec. 2014), Present (Manitù Rec. 2016), Talknoise (Manitù Rec. 2018). È autore di musiche per film muti, balletti, reading e spettacoli teatrali. Dal 2006 è assistente collaboratore per i corsi preaccademici del Conservatorio di Cosenza. Docente di chitarra jazz al Conservatorio di Potenza (2016, 2017), Cosenza (2017, 2018, 2019) e di composizione jazz al Conservatorio “Tomadini” di Udine (2019). Dal 2021 insegna al Conservatorio di Milano.
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Quel panino “ghiegghiu”: Mi ‘ndujo risponde a papàs Lanza
Il panino della discordia continua a far parlare di sé. Dopo la “scomunica” di papas Pietro Lanza, arriva la nota stampa della rinomata catena di fast food. Che cita Checco Zalone e Kierkegaard per difendere il suo panino ghiegghiu.

Papàs Pietro Lanza ha scatenato le polemiche sul nome del panino Terroni di Calabria
«E se non hanno offeso e scandalizzato nessuno le battute ed il gergo nazional-popolare di Zalone al quale non vogliamo minimamente paragonarci, toccando ed unendo tutti col e nel sorriso su temi di stringente attualità, così come nessun calabrese si è mai sentito offeso, anzi, dallo striscione con la scritta Terroni di Calabria col quale qualche anno fa abbiamo inaugurato le nostre sedi a Roma, onestamente non vediamo – fa sapere il management di Mi ‘Ndujo – come e perché possa e debba sentirsi addirittura offesa la grande e gloriosa comunità arbëreshe per un progetto di panino al quale, così come ci siamo da sempre caratterizzati, abbiamo proposto di dare un nome ironico, auto-ironico, divertente, incuriosente e che da oltre 7 secoli non offende nessuno, ma proprio nessuno».
«U ghiegghiu, il panino senza intenti dispregiativi»
«Non soltanto, non vi era – si legge nella nota stampa di Mi ‘Ndujo – e non vi è alcun intento offensivo e dispregiativo nella scelta di uno dei nomi più diffusi e riconosciuti per identificare, ripetiamo ironicamente, la comunità italo-albanese ma quel termine, depurato da qualsiasi strascico negativo di centinaia e centinaia di anni fa, unisce oggi in un sorriso e nel richiamo all’esistenza, in Calabria, di una minoranza linguistica che insieme alle altre arricchisce la stessa forza culturale e identitaria distintiva regionale».
Il dibattito social
«Prendiamo atto – continua la nota stampa di Mi ‘ndujo – dell’interessante dibattito che si è scatenato sui media e sui social, grazie al progetto del nostro panino, su quali siano le migliori strategie ed i migliori strumenti attraverso i quali recuperare eventuali ritardi ed errori del passato per investire meglio e diversamente sulla tutela linguistica e culturale della minoranza linguistica. Nutriamo rispetto e leggiamo con attenzione».

L’interno di uno dei locali della catena Mi ‘ndujo Restiamo imprenditori
«Ma, attenzione, noi restiamo dei semplici e piccoli imprenditori, certo innamorati della nostra terra, di sicuro appassionati promotori della nostra identità più viscerale, senza dubbio convinti sostenitori del valore culturale, economico e di riscatto sociale della nostra biodiversità e della nostra enogastronomia di qualità, ma pur sempre – scandiscono – dei normali imprenditori».
Alle istituzioni, laiche e religiose, compete e competerà occuparsi con sempre maggiore determinazione della valorizzazione del patrimonio culturale arbëreshe che sappiamo benissimo non coincidere con un panino, ci mancherebbe altro o con l’enogastronomia tipica che però apre porte e finestre culturali, sociali, turistiche ed economiche.
La compagnia di Acri, Bisignano e Luzzi
«Ma i panini nei quali – si legge ancora nella nota stampa – continuiamo a mettere prodotti e nomi dialettali e proverbiali di quella Calabria non oicofobica e che non si vergona di se stessa (come ad esempio i panini Acri, Bisignano e Luzzi tre panini cu i cazzi, proverbio antico che non ha mai offeso nessuno) sono stati e restano anche quegli strumenti con i quali stiamo restituendo tanta dignità e fierezza, anche lessicale e dialettale, fuori e dentro la regione ad intere generazioni di calabresi, terroni e ghiegghi, che con un semplice sorriso, senza pesantezza ed a testa alta sanno chi sono, lo dicono, ci scherzano e vogliono competere col mondo, senza pianti, mugugni, lamentele, divisioni, cliché e tabù di un’epoca che fortunatamente non appartiene loro».
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Il Consiglio di Stato boccia Temesa: Amantea è salva
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Non è la prima volta che il Consiglio di Stato azzera decisioni amministrative che sembravano scontate.
Così è avvenuto per l’affaire Temesa, cioè il divorzio tra Amantea e la sua popolosa frazione di Campora San Giovanni, che tiene banco da mesi nelle cronache regionali e ha incuriosito anche la stampa “che conta”.
Alla fine, Palazzo Spada ha accolto le contestazioni del Comune di Amantea, che invece il Tar aveva rigettato per due volte. Il referendum previsto per il 22 gennaio è bloccato e la città tirrenica, al momento, è salva. La parola torna al Tribunale amministrativo, che dovrà pronunciarsi nel merito.Tre contro uno
Ma cosa contesta il Comune tirrenico al comitato Ritorno alle origini di Temesa, al Comune di Serra d’Aiello e alla Regione Calabria?
Il ricorso al Consiglio di Stato batte su quattro punti, che si riepilogano per sommi capi.
Il primo è il debito che obera le casse amanteane. Al riguardo, c’è già un’istanza di dissesto del commissario prefettizio che risale al 2017. La cifra, tuttora, non è quantificata con certezza. Ma i “si dice” sono inquietanti: il debito monstre oscillerebbe tra quaranta e cinquanta milioni.Che fine farà questo buco? Resterà tutto ad Amantea oppure sarà diviso in proporzione agli abitanti? La legge regionale che indice il referendum tace.

Consiglieri di Stato in seduta Il rebus degli abitanti di Amantea
Sul secondo punto, le cose si complicano. Innanzitutto, perché c’è un balletto di cifre sull’attuale demografia amanteana.
Secondo i dati provvisori dell’Istat, i residenti sarebbero 13.850. Nell’ultimo ricorso al Consiglio di Stato, il Comune ne dichiara 13.272. Questa battaglia si gioca sulle decine: nel primo caso, in seguito alla secessione di Campora, Amantea si terrebbe di poco sopra i 10mila residenti, nel secondo rischierebbe di scendere sotto soglia.
Ciò renderebbe inammissibile il referendum, perché il Tuel vieta la costituzione di Comuni sotto i 10mila abitanti.
Ma il problema non riguarda solo le cifre lorde.Lo scoglio degli stranieri
La difesa di Amantea contesta, al terzo punto, che si debbano calcolare gli stranieri residenti, cioè iscritti all’anagrafe.
Questo perché la legge parla di “cittadini residenti”.
La cifra che balla, in questo caso, si aggira attorno ai 400 abitanti. Non proprio bruscolini.
Campora San Giovanni, panorama notturno Il problema dei votanti
Quarto punto: per creare il nuovo Comune di Temesa, sono chiamati al voto gli abitanti di Campora, circa 3.100, quelli di Coreca e Marinella e i residenti di Serra d’Aiello.
Sul primo aspetto, emerge una contraddizione: se Campora si staccasse, Amantea si fermerebbe alla foce del fiume Olivo, quindi manterrebbe Coreca e Marinella.
Ma gli abitanti di queste due frazioni, a differenza del resto di Amantea, sono chiamati comunque a votare.E non finisce qui: considerato che a Campora sono ubicati il porto e il Pip, due strutture strategiche che riguardano tutta la città, perché è esclusa dal referendum la maggioranza dei cittadini?
La salvezza dal Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha ribaltato le decisioni del Tribunale amministrativo di Catanzaro e risolto per via burocratica un problema politico.
Certo, occorrerà aspettare la sentenza del Tar per dire l’ultima. Ma tutto lascia pensare che i confini di Amantea resteranno intatti.È vero, infatti, che Amantea ha tentato due ricorsi d’urgenza, cioè di bloccare il referendum finché non si fosse chiarita la situazione legale. Ma è altrettanto vero che i motivi inseriti nei ricorsi sono, per dirla in avvocatese, “di merito”. Cioè toccano la sostanza del problema e quindi anticipano la sentenza.

Scorcio del centro storico di Amantea (foto di Camillo Giuliani) Campora e Amantea: ora tocca ricucire
Amantea ha trovato a Roma il giudice che i tedeschi cercavano a Berlino.
Ma ciò non vuol dire che la situazione resti rose e fiori, perché, giova ripeterlo, alla base dei malumori dei camporesi c’è un problema politico.
Infatti, perché due big regionali come Franco Iacucci e Giuseppe Graziano hanno sposato la causa di Temesa?
Le dietrologie, al riguardo, si sprecano in riva al Tirreno. Ma salvarsi in Tribunale non basta. Ora è il momento di ricucire i rapporti.
E questo Enzo Pellegrino, l’attuale sindaco di Amantea, lo sa benissimo.






