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  • La morte dal cielo: gli 80 anni delle bombe su Cosenza

    La morte dal cielo: gli 80 anni delle bombe su Cosenza

    Il 12 aprile 1943 la città di Cosenza subì un bombardamento in pieno giorno, con le conseguenze che ancora oggi accompagnano queste azioni militari: distruzioni di case e infrastrutture, decine di morti tra la popolazione civile. Nel centro storico viene distrutto il seminario arcivescovile e subisce danni anche il Duomo.
    Dopo il bombardamento chi può abbandona la città e cerca rifugio nei paesi vicini, già invasi di sfollati provenienti anche da altre regioni. Seguiranno altre incursioni, altri morti e distruzioni.

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    La bomba a via Popilia

    Complessivamente la Calabria fu oggetto di circa duecento incursioni aeree, fino al settembre 1943, quando in soli dieci giorni gli anglo-americani occuparono la regione. Limitandoci a Cosenza, riportarono gravi danni anche la Biblioteca Civica, il teatro Rendano, la chiesa della Riforma. E tante abitazioni. Alcuni ordigni inesplosi sono ricomparsi nei decenni successivi, ancora nel 2015 a via Popilia fu necessario disinnescarne uno, con l’intervento del Genio militare. Progressivamente sono stati cancellati o rimossi i resti degli edifici colpiti, che per molto tempo hanno caratterizzato alcune zone della città. Fino a quella tragica primavera la Calabria non era mai stata un obiettivo importante. Ma in quei mesi le truppe alleate, dopo la conquista della Libia italiana, stavano organizzando lo sbarco in Sicilia, per dare un colpo definitivo al regime fascista e portare la guerra in Europa, aprire un altro fronte, attaccare da sud la Germania nazista.

    Il bombardamento del 1943 su Cosenza in un libro

    Roberta Fortino, autrice del volume 1943 Cosenza bombardata …e la morte arrivò dal cielo, ricorda nella dedica suo zio che la salvò quando, da bambina, la vide giocare con un ordigno nei pressi di casa. Come accade ancora oggi ai bambini che vivono in zone di guerra. Perché le guerre lasciano tracce lunghe e dolorose. A distanza di ottant’anni la pubblicazione di 1943 Cosenza bombardata…e la morte arrivò dal cielo (editoriale progetto 2000) è quanto mai opportuna. La memoria collettiva non disponeva finora, infatti, di una narrazione adeguata agli eventi.

    Il volume offre molti documenti, alcuni tratti da pubblicazioni estemporanee e difficili da reperire, altri pubblicati per la prima volta e di particolare interesse. Come le testimonianze, tradotte per la prima volta in italiano, dei piloti americani alla guida dei bombardieri, che offrono una prospettiva nuova alla ricostruzione dei fatti.
    Altre carte inedite provengono dall’archivio dell’Associazione nazionale vittime civili di guerra. Ciò conferma che le strade della ricerca storica sono molteplici e tortuose. E, per quanto riguarda la storia recente di Cosenza e della Calabria, decisamente poco battute ed esplorate.

    Storia e sentimenti

    Sui libri di storia difficilmente si trova narrata la fatica della ricostruzione, della vita tra le macerie, dell’attesa di notizie dai campo di prigionia o dal fronte, che intanto si era spostato sempre più a nord, tagliando fuori migliaia di soldati calabresi dalle proprie famiglie. Nemmeno l’allegria assurda dei superstiti e il desiderio di ricominciare a vivere trovano spazio nelle pagine degli studiosi, che non considerano i sentimenti degni di attenzione.

    Elsa Morante ha dedicato una delle sue ultime fatiche, La Storia, proprio alla vita delle persone più umili, in quei drammatici anni. E ha immaginato la prima parte del romanzo proprio a Cosenza, collocandovi la vita ordinaria di una famiglia modesta.
    La memoria ufficiale, invece, si affida alle commemorazioni periodiche, alle targhe, alle lapidi, di cui in questo libro si raccontano con molti particolari le tappe, fino alla realizzazione nei luoghi dove sono ancora oggi visibili.

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    La scultura di Baccelli in onore di cinque bambini uccisi dalle bombe in piazza Spirito Santo (oggi piazza Cribari) è scomparsa

    Una scheda particolareggiata ricostruisce anche la storia paradossale, tipicamente calabrese, del monumento alle vittime di Cesare Baccelli, andato “perduto” durante uno spostamento all’interno di un cantiere. Una pagina di valore simbolico, non isolata, dato che sono note gustose analoghe vicende, relative ad altri monumenti smarriti, evaporati nel cielo azzurro. Lo stesso cielo in cui si allontanavano gli aerei americani, dopo aver seminato morte e distruzione.

  • La Via Crucis dei giovani tra le macerie

    La Via Crucis dei giovani tra le macerie

    È la via dei fallimenti, delle speranze interrotte, delle strade ritrovate. Parlano le ragazze e i ragazzi, i giovani intrappolati in dinamiche più grandi di loro. Un calvario sociale e personale.
    Intrecci di storie nella Storia, quella del nostro Tempo.
    La prima Via Crucis cittadina itinerante dopo la pandemia coincide anche con l’inizio del mandato di monsignor Giovanni Checchinato.

    La Via Crucis può aiutarci

    Un chiaro indirizzo e sguardo rivolto ai giovani del nostro territorio. Gli adulti sembrano in disparte ma in realtà sono i protagonisti e gli artefici di un modello sociale capace solo di generare frustrazioni, incomunicabilità, repressione.
    Rappresentano società in cui le ragazze e i ragazzi ci comunicano di non rispecchiarsi. Questa non è una novità: non serve una Via Crucis, ma forse può aiutarci. Ascoltare quei brandelli di solitudini, vite spezzate, atterrite, incastrarli tra i condomini e i rivoli della nostra città ci restituisce un puzzle amaro. Dove siamo noi adulti, cosa abbiamo costruito, cosa abbiamo ricercato nella costruzione della felicità (apparente)? Cosa offriamo a chi cerca oggi lavoro appena uscito dall’università o dalla scuola? È una Croce che si fa strada tra le macerie di una società, di una città tra le città che giorno dopo giorno ha perso il senso di comunità.

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    Monsignor Giovanni Checchinato, l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano

    Gioventù spezzate

    Ci sono le storie di chi non riesce a concludere gli esami all’università, di chi non si sente all’altezza delle altrui aspettative, di chi si chiude in sé, di chi non riesce a farcela. Le storie di chi non vede riconosciuto il proprio orientamento sessuale dai genitori. Ci riscopriamo Cirenei o forse dovremmo iniziare a sentirci tali. Interpellati come Simone, chiamati a portare la Croce, a non girarci dall’altra parte. Con l’umiltà di chi arriva da una giornata di lavoro e si ritrova catapultato nella Storia.
    Cirenei del nostro Tempo, capaci “di agire”, chinare il capo e lavorare per cambiare rotta. Di osservare.
    Il cambio di rotta passa per quella croce con i drammi del nostro tempo. Simone ne è cosciente, forse più di noi. Comprende che sta entrando nella Storia che va al di là di ogni credo. È la Storia degli ultimi, degli oppressi, degli emarginati, degli sconfitti, degli umiliati, dei respinti ai mari e ai confini, dei giovani che non sappiamo ascoltare o che abbiamo smesso di ascoltare.

    Un Occidente senza senso

    Quei giovani, quelle ragazze e ragazzi ieri ci hanno sbattuto in faccia a noi adulti il senso di un mondo occidentale senza senso.
    I suicidi, le molte forme di bullismo, l’incomunicabilità tra generazioni e tra pari. Sono, tutti, problemi che non possiamo schivare.
    Le nostre classi, le nostre scuole, le nostre università sono comunità prima ancora che luoghi dove giudicare, mettere voti. Peggio ancora, come pensa qualcuno, infliggere mortificazioni e umiliazioni. Sono luoghi dove accogliere, crescere insieme, fortificare amicizie, superare prevaricazioni, soprusi. Imparare a non restare in silenzio.
    Forse si storce il naso a sentirsi colpevolizzati come adulti in quelle riflessioni, forti sicuramente, insistenti a volte. Forse come ieri sera qualche schiaffo dobbiamo tenercelo per ripartire e capire, ricostruire ritrovando la bussola. Cirenei del nostro Tempo per una strada di riscatto.

    Andrea Bevacqua

  • Onco Med: diagnosi e carezze nel centro storico di Cosenza

    Onco Med: diagnosi e carezze nel centro storico di Cosenza

    Fare in fretta equivale a diagnosi precoce. Parole che ad Onco Med, l’ambulatorio oncologico gratuito nel centro storico di Cosenza, conoscono bene. Sono in tanti a rivolgersi all’associazione che ha sede a pochi metri dalla storica chiazza di pisci (piazza dei pesci).

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    Una ecografia eseguita nell’ambulatorio di Onco Med

    Onco Med: una carezza nel centro storico

    Francesca Caruso è la presidente di Onco Med, vicepresidente è l’oncologo, Antonio Caputo. Francesca ha avuto la forza di trasformare la sofferenza di chi come lei lotta contro il cancro in una carezza verso le persone bisognose di cure e attenzioni. Perché sono tanti, troppi, quelli che non possono accedere a una visita specialistica. Molti fino a poco tempo fa ne avevano la possibilità, oggi è terribilmente cambiato tutto. La pandemia, il caro bollette, l’inflazione, il precariato cronico e tutto il resto hanno innalzato l’asticella di chi ha difficoltà economiche. Quando invece certe malattie, più di altre, sono una lotta contro il tempo. E i tempi della sanità pubblica sono notoriamente troppo dilatati. L’alternativa è il privato con costi spesso proibitivi persino per chi ha redditi accettabili.

    La squadra

    Onco Med è un primo step. Fondamentale. Qui trenta specialisti visitano i pazienti 5 giorni a settimana. «Spesso dopo turni massacranti in ospedale vengono qui e prestano il loro servizio gratuitamente» – spiega Francesca Caruso. Completano la squadra sei volontari di studio. L’ambulatorio è dotato pure di un ecografo.

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    Una delle stanze dell’ambulatorio di Onco Med

    Come nasce Onco Med

    «Abbiamo liste di attesa di pochi giorni. Questa cosa è fondamentale per chi viene da noi» – aggiunge Francesca che spiega la genesi di Onco Med: «Dopo la mia esperienza personale di emigrazione sanitaria e poi il ritorno qui dove ho trovato medici bravissimi. A Roma ricordo un ragazzo che mi ha raccontato di aver venduto i mobili nuovi per le visite della moglie. Quando sarebbero bastate 80 euro per un consulto iniziale, aggiunse. Probabilmente la moglie sarebbe lì lo stesso, oppure no, chi può dirlo! Ma quella storia ha provocato in me un sussulto. Dovevo fare qualcosa. Da lì parlai con il mio oncologo a Cosenza. Partimmo col progetto. Dapprima eravamo in pochi, poi altri amici medici si sono aggregati alla squadra».

    Progetti in cantiere

    «Stiamo lavorando a una proposta di legge regionale per rendere le parrucche oncologiche gratuite o per abbattere un bel po’ i costi come in molte altre regioni d’Italia. Intanto chiediamo alle donne guarite di far rivivere le loro parrucche donandole a chi invece ne ha bisogno adesso». Francesca Caruso ci parla dei progetti in cantiere. Che non sono finiti: «Estetica oncologica è un servizio di skin care e make up che Onco Med vuole offrire ai pazienti. Abbiamo attivato prestigiose collaborazioni con grandi imprese nazionali e internazionali del settore. Persino dalla Corea del Sud, Paese leader nella cosmesi».

     

    Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.

  • Urania: scienza e hi tech a Villa Rendano

    Urania: scienza e hi tech a Villa Rendano

    Che ci fa Urania a Villa Rendano?
    Già: Urania è una musa, figlia di Zeus e Mnemosine, protettrice della geometria e dell’Astronomia.
    Ma non è solo mitologia. Urania è anche letteratura: alzi la mano chi non ha mai sfogliato uno dei volumetti della mitica collana di fantascienza.
    L’Urania di Villa Rendano è un robottino prodotto dal graphic computer, che ricorda (altra citazione fanta-dotta) Maria, la profetessa di Metropolis, ma stavolta con le fattezze più gentili.

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    Una sala del percorso multimediale

    Urania: un percorso multimediale a Villa Rendano

    Ma tra mitologia e fantascienza, che in questo caso indicano la stessa materia, c’è la scienza, quindi la cultura.
    Infatti, Urania è anche la nuova, recente iniziativa di Villa Rendano, inaugurata di recente su impulso della Fondazione Attilio e Elena Giuliani. Si tratta di un percorso multimediale che arricchisce Consentia Itinera, il museo, multimediale anch’esso, dedicato a Cosenza, che è uno degli asset della Villa.
    Ma andiamo con ordine.

    La presentazione di Urania a Villa Rendano

    Pubblico e parterre delle grandi occasioni e dibattito denso e animato come si deve.
    Urania è partita in pompa magna con i saluti di Walter Pellegrini, editore e presidente della Fondazione Giuliani, e le presentazioni degli addetti ai lavori che hanno reso possibile l’iniziativa.
    E cioè: Anna Cipparrone, la direttrice di Consentia Itinera, Peppino Sapia, docente Unical e responsabile di AgoraLab, un progetto per la divulgazione della cultura scientifica, Roberto Ferrari, direttore del Museo Galileo, Giovanni Di Pasquale, il responsabile della ricerca relativa al progetto, e Gianfranco Confessore e Giuliano Corti, i suoi produttori.

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    La presentazione del progetto Urania a Villa Rendano

    L’esordio

    L’esordio, o sarebbe meglio dire l’anteprima, di Urania si è svolta nelle sale del piano superiore di Villa Rendano (il piano nobile, si sarebbe detto una volta), dove una serie di filmati con effetto 3d hanno introdotto gli spettatori a una storia delle scienze in pillole, raccontata in maniera chiara ma non semplicistica.
    Tra l’altro con un bel filo conduttore: il silicio.

    Il progresso trasparente

    Il silicio è uno dei componenti del vetro, il primo motore tecnologico del progresso. Ed è uno degli elementi chiave degli iperconduttori su cui si basa la tecnologia digitale. Cioè la vita di oggi.
    Dal vetro degli specchi antichi a quello del telescopio di Galileo. Fino ai primi chip e agli attuali microprocessori. Il salto, anzi, il volo è di millenni. Ma Urania, la robottina, lo racconta con grazia ed eleganza, grazie all’animazione digitale raffinata.
    Il tutto dura pochi minuti. Poi tornano le luci nelle sale senza tempo della Villa.

  • Pasqua Citeriore: acqua nova, cuculi, cuzzupe e muccellati

    Pasqua Citeriore: acqua nova, cuculi, cuzzupe e muccellati

    Nel 1876, Vincenzo Dorsa, insegnante di latino e greco al liceo Telesio di Cosenza, scriveva sulla Pasqua nella Calabria Citeriore:

    «Ed eccoci alla Pasqua. La precede ed inaugura il sabato santo, col fantoccio di cenci, la vecchia dalle sette penne, che si lacera o brucia, coi pani ornati dell’uovo di rito, con l’acqua nuova che si attinge alle fontane. L’acqua e l’ovo adunque col sole di primavera trionfante dell’inverno, nella occasione della Pasqua, ricordando la origine del mondo che si rinnova mercè l’opera riparatrice di Cristo. Perciò in Calabria ogni famiglia si provvede allora dell’acqua nuova: la ripone in un orciolo nuovo, e questo adorna di nastri e di fiori, munisce di un briciolino di sale appesovi a un filo come rimedio contro le malie, e manda al prete per benedirla.

    Di poi ciascuno della famiglia, cominciando dai genitori, ne saggia un poco; e quando le campane della Chiesa suonano a festa per celebrare la resurrezione di Cristo, di quell’acqua spruzzano la casa, dicendo ad alta voce: esciti fora sùrici uorvi, esciti forza tentaziuni, esca u malu ed entri u bene, e picchiano imposte di porte e di finestre, casse e le altre masserizie, invocando così la buona fortuna e l’abbondanza».

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    Fontana di San Giuseppe a Castrovillari (foto Gianni De Marco)

    Pasqua, Cosenza e la sua provincia

    Il racconto di Dorsa sulla Pasqua a Cosenza e dintorni proseguiva così: «In tali momenti l’affetto da scabbia a Cetraro si getta a bagnarsi nel mare vicino, credendo acquistare con questa purificazione la sua guarigione; a san Pietro in Guarano scende a bagnarsi nel fiume, però di notte, prima dell’alba della domenica e senza proferire parola alcuna. Ed albeggiando la Pasqua le contadine di Aprigliano scendono al loro Crati col cucùlo adorno di uova, rivoltano le pietre che trovano alla riva, si siedono e innanzi a quelle acque mangiano di quel pane e di quelle uova. L’acqua nuova intanto si conserva come cosa sacra, e poiché si crede rimedio contro le malie se ne spruzza anche sul fuoco o sulla lucerna quando la legna o il lucignolo scoppiettano, per iscongiurare tali infauste manifestazioni del fuoco che parla, come dice il Calabrese».

    Oltre all’acqua, poi, c’era l’uovo. «I pani pasquali – prosegue Dorsa – sono rattorti a spire, di forma o lunghi o a corona, con un uovo o più, ma in numero dispari, e in qualche luogo colorate di rosso. Hanno diversi nomi: muccellati (lat. buccellatum), culluri o cudduri, cullacci o cucùli, cucùdi, cannilieri, lunghi circa due palmi, cuzzupe, ecc. Se ne fanno dono alle famiglie in lutto e ai bambini: a questi, se maschi si dà un cucùlo o un canniliere, se femmina uno di forma lunga raffigurante un corpicino, con l’uovo nel viso, che la bambina ravvolge in fasce, e gli copre di cuffietta e nastri il capo. A Castrovillari si chiama ciuciu, in Altomonte ciùcciulu, in Longobardi martiniellu, diminuitivi forse dei corrispondenti nomi propri, come in Roma si chiamavano càjoli, da Cajus, le ciambelle raffiguranti immagini di bambini.

    Il racconto di Dorsa sulle tradizioni locali si faceva più analitico: «Riassumendo le cose esposte; poiché Cristo nel linguaggio simbolico cristiano fu detto il sole della vita dell’anima, in contrapposizione al sole fisico, di cui i pagani celebravano il ritorno primaverile, e risorse in tempo appunto di primavera, è naturale che le genti di allora nel solennizzare la memoria di quel grande avvenimento cristiano gli avessero applicate le mitiche tradizioni immedesimate coi loro costumi, confondendo così in un simbolo la quaresima e la stagione invernale, la resurrezione di Cristo e quella del sole sepolto nel cielo nuvoloso dell’inverno.

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    I germogli di grano portati nei sepolcri a San Giovanni in Fiore

    Pasqua, Cosenza e i sepolcri

    È perciò che a Cosenza dura tuttavia l’uso di offrire ad ornamento dei sacri sepolcri de’ piattellini di grano di fresco seminato e spuntano per efimera germinazione: sono questi i così detti orti di Adone, che offrivano le donne fenicie e le greche, come simbolo della vita che rinasce, nella festa commemorativa della morte e resurrezione del dio Adone, mito solare. È perciò che la pasqua diventava persona mitica nel linguaggio popolare, dice alla quaresima: esci tu vecchia arraggiata, ca trasu iu pasca arricriata; come la quaresima aveva detto già congedando il carnevale: esci tu porcu ‘nzunzatu (lordo di sugna), ca trasu iu netta pulita».

    Alcune tradizioni legate alla Pasqua di Cosenza e della sua provincia si sono perse e altre sono rimaste. Nei paesi era presente una coscienza collettiva, un sostrato culturale tramandato oralmente di padre in figlio, una forza nascosta che dettava norme e regole sociali e faceva sentire gli individui parte di un gruppo. Le comunità erano rette da una serie di modelli indipendenti dalla psicologia dei singoli e che gli uomini accettavano anche se in contrasto con i propri interessi. Si trattava di un complesso inconscio e profondo, radicato nell’esperienza vissuta, stabile e resistente al punto da condizionare la stessa struttura sociale, fatto da istanze sovra-individuali che determinavano il comportamento dei membri della collettività e garantivano legami continuativi con i padri.

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    Processione dei Misteri a Rossano Calabro, oggi Corigliano-Rossano

    La vita sembrava essere governata da regole sociali immutate e immutabili che aiutavano gli individui a sentirsi parte della comunità. Ma gli uomini non sempre si uniformavano alla cultura collettiva fissata nel tempo. Recepivano e assimilavano continuamente novità di pensiero che provenivano dall’esterno. Le montagne e le scarse vie di comunicazione sembravano isolare i paesi dal resto del mondo, ma tutto questo non impediva le relazioni con le altre comunità e il processo di assimilazione di altre culture. Perfino nei borghi più sperduti conoscenze diverse penetravano e finivano per essere ritenute nonostante gli abitanti fossero restii ad accogliere e interiorizzare nuove idee. Le mentalità, all’apparenza immobili, seguivano un loro ritmo evolutivo senza interrompere la continuità che le legava al passato. Pratiche religiose, credenze e miti erano destinati a sotterranee trasformazioni; mutavano di significato di pari passo alla sensibilità comune e si adattavano progressivamente alle nuove realtà.

    Pasqua, Cosenza e la cultura contadina

    Non bisogna confinare le mentalità del mondo popolare nel campo di una storia immobile, in un quadro statico e angusto, considerarle un semplice terreno di coltura e di persistenze arcaiche. È ingenuo pensare che la cultura dei contadini fosse spontanea e si riproducesse di generazione in generazione senza un disegno, che si acquistasse senza sforzo sin dalla nascita, mentre quella dei colti fosse capace di produrre conoscenze perché prodotte dalla ragione e trasmessa da specialisti del sapere. Prese dallo sforzo quotidiano per la sopravvivenza, le classi subalterne sembravano riprodurre meccanicamente abitudini e consuetudini, ma in realtà erano produttrici di culture diffuse con mezzi semplici quali l’oralità.

    Nei villaggi esisteva una complessa dialettica tra gruppi sociali che, di volta in volta e a seconda delle convenienze, si sviluppava sul piano della conservazione o dell’abbandono di pratiche e credenze antiche. Il patrimonio culturale di un territorio nei suoi vari aspetti, rammemorazione compresa, è frutto di una continua lotta. Spesso si considera la memoria di una comunità come un organismo dotato di uno spirito unico, un crogiolo che contiene i ricordi di tutti. In realtà accade spesso che gruppi d’individui non trasmettono le loro esperienze alle generazioni successive, che nel processo di ricostruzione del passato alcuni fatti sopravvivano e di altri si perda ogni traccia.

    Gli uomini non sono in grado di ricordare tutto, ma neanche di dimenticare tutto. Memoria e oblio vanno insieme, l’una non può fare a meno dell’altro. Il tempo, lentamente e inesorabilmente, lavora per fondare certe memorie, per esaurirne il potenziale o, addirittura, per eliminarle. Ricordare e dimenticare è frutto dell’incessante lavoro d’invenzione e reinvenzione della memoria, risultato di continui scontri e patteggiamenti, tanto a livello individuale che collettivo, tra ciò che bisogna ricordare e ciò che bisogna dimenticare.
    Le mentalità si modificano: a volte possono sembrare salde e incontaminate, altre mutano bruscamente per rispondere a nuove sensibilità. In alcuni periodi credenze e valori prima dominanti cessano di esserlo, in altri si avvicendano tra sentimenti opposti, in altri ancora si sovrappongono o s’incastrano tra loro.

    La memoria subisce una continua metamorfosi e una reinvenzione. Gli individui e i gruppi sociali selezionano, reinterpretano e rifondano il passato alla luce di quello che sono diventati, ricordando il passato lo ricreano e gli attribuiscono un senso in relazione alla loro idea del presente. Le credenze si tramandano di generazione in generazione, ma nel processo interpretativo della tradizione subiscono una variazione; le narrazioni sono mutuate da storie che vengono rielaborate e adeguate a nuove realtà, a cui gli individui apportano il proprio personale contributo.

  • Questo rito non s’ha da fare? Il Comune, la Chiesa e il sangue del popolo

    Questo rito non s’ha da fare? Il Comune, la Chiesa e il sangue del popolo

    Quello che mai nessuna amministrazione eletta dai cittadini di Nocera Terinese aveva mai osato fare, è stato compiuto da una Commissione straordinaria.
    I commissari insediatisi dopo lo scioglimento del Consiglio comunale nel 2021, in un sussulto tardo illuminista hanno posto fine a una tradizione antichissima, quella dei Vattienti, le cui radici affondano nel ribollente calderone dei tempi, dove culture subalterne, fede religiosa e ritualità arcaiche si intrecciano e si sovrappongono in modo inestricabile. Prevedibilmente il malumore tra i noceresi è cresciuto rapidamente e a sostenere il disappunto popolare è Fernanda Gigliotti, ex sindaco di Nocera e avvocato.

    I Vattienti fuori da ogni giurisdizione?

    «Il rito dei Vattienti è da considerarsi fuori da ogni potere laico, sia amministrativo che giuridico, la disposizione del proprio corpo resta al di fuori della giurisdizione dei tribunali e degli enti di governo», sostiene l’ex sindachessa. Da legale, ha sconsigliato i Vattienti di ricorrere al Tar nel tentativo di annullare la decisione dei commissari amministrativi. «Ho spiegato loro che non conviene perché è nei poteri dei commissari assumere decisioni di questa natura, ma soprattutto perché rivolgersi al Tar avrebbe implicato riconoscere che il rito di cui sono protagonisti è subordinato all’autorità giudiziaria».

    In effetti la Gigliotti crede che i Vattienti non debbano dare conto nemmeno alla Chiesa, cui appunto non fanno parte. «Loro si autodeterminano e non hanno bisogno di autorizzazioni, anzi da cittadina io credo che debbano custodire il rito». L’invito dell’avvocato è quello di praticare la mortificazione della carne in forma privata, «esattamente come è avvenuto negli anni della pandemia, quando rispettando l’ordine di non uscire si sono flagellati in casa».

    «Nelle manifestazioni pasquali ancora oggi, nel Sud, si attuano una serie di modalità folkloriche che testimoniano la presenza di un cattolicesimo popolare con caratteristiche diverse dal cattolicesimo “ufficiale”», scriveva Luigi Maria Lombardi Satriani, spiegando come fede e tradizioni popolari trovassero una tacita coniugazione.

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    Particolare dei Vattienti, i flagellanti di Nocera Terinese (foto Alfonso Bombini 2019)

    La Chiesa non ha una posizione ufficiale

    Eppure sul tema non pare esistere una posizione ufficiale della Chiesa, il cui sguardo su questi fenomeni è sempre stato paziente, senza però rinunciare all’impegno educativo. Un riscontro di questa posizione lo troviamo nelle parole di monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei e vescovo di Cassano, che spiega come pur mancando una posizione dogmatica, «non sono mai venuti meno attenzione e rispetto verso le tradizioni popolari e il loro modo di interpretare il rapporto tra uomo e Dio e specificatamente con la Passione di Cristo». Tuttavia subito dopo il vescovo azzarda una domanda che nella sua retoricità disvela quale deve essere la natura della relazione tra umanità e trascendenza. «Ma davvero Dio vuole che ci facciamo male nel rapporto con Lui? Davvero le mie gambe, il mio petto, devono sanguinare perché io possa mostrare la mia devozione?».

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    Monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Cei (foto Alfonso Bombini 2019)

    Monsignor Savino: il senso del dolore

    Va da sé che un cattolicesimo maturo risponderebbe di no a queste domande, che tuttavia meritano un approfondimento, perché come spiega don Savino esse pongono «il problema del senso del dolore, della fatica ineludibile del vivere, della fragilità del nostro corpo, cui non siamo chiamati ad aggiungere altra sofferenza».
    Si trasformino dunque i pezzi di sughero dentro cui i Vattienti piantano cocci di vetro per flagellarsi il corpo in consapevolezze capaci di esigere giustizia e solidarietà per tutti. «Dobbiamo convertire il nostro sguardo versi gli ultimi, le persone che soffrono, verso le vittime delle mafie, del lavoro nero, dello sfruttamento».

    È sempre Lombardi Satriani a rammentarci come i «rituali della flagellazione evochino un retroterra in cui lo spargimento di sangue proprio o altrui, è considerato un atto utile a placare lo sdegno divino e a suscitare un intervento misericordioso». Mentre è sempre monsignor Savino che con le parole del Papa Francesco sottolinea come si «debba restare coerenti col Vangelo». Come dire che il primo atto misericordioso deve partire da qui, tra gli uomini.

  • Lo smemorato Occhiuto e quel Da Vinci a Reggio

    Lo smemorato Occhiuto e quel Da Vinci a Reggio

    Roberto Occhiuto come Saverio Cotticelli? Tra il nuovo commissario alla Sanità (nonché presidente della Regione) e il vecchio qualcosa in comune sembrerebbe esserci: la memoria.

    Quella del generale dei Carabinieri era proverbiale e lo ha reso celebre in tutta Italia: aveva dimenticato di guidare lui la Sanità durante il Covid e di dovere, per questo, redigere un piano su come affrontare la pandemia. I primi, vaghi, ricordi erano riaffiorati soltanto in un’epica intervista della Rai, coprotagonista un fantomatico usciere mai inquadrato. Cose che capitano. Giorni dopo, sempre in tv, Cotticelli per giustificarsi avanzò un’ipotesi stupefacente: qualcuno poteva averlo drogato a sua insaputa per confondergli la mente. Promise anche di indagare su se stesso e pare che l’autoinchiesta si sia conclusa senza rinvii a giudizio.

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    Lo stupore di Saverio Cotticelli per il dettaglio dimenticato

    Occhiuto, favorito anche da un’età inferiore rispetto al predecessore, vuoti di memoria di tale portata ancora non ne ha avuti per fortuna. Né, siamo certi, chiamerebbe in causa misteriosi pusher invisibili come ninja per giustificare i suoi. L’ultimo è arrivato proprio nelle scorse ore. E dietro pare esserci, più che una sostanza psicotropa, un morbo che, prima o poi, colpisce chiunque in politica: l’annuncite.

    Occhiuto e il robot Da Vinci dell’Unical…

    Il presidente Occhiuto aveva lasciato la Cittadella per celebrare l’arrivo del robot Da Vinci all’Annunziata grazie anche alla neoistituita facoltà di Medicina dell’Università della Calabria. Giusto esserci, visto che si tratta di «un investimento realizzato dall’Unical, con risorse messe a disposizione dalla Regione». L’apparecchio, d’altra parte, permetterà senza dubbio di «qualificare l’offerta sanitaria della nostra Regione e abbiamo bisogno che i saperi delle università contaminino l’intero sistema sanitario».

    Ma è proprio quando il clima è di festa che il virus dell’annuncite si insinua nei corpi delle sue vittime prendendo il controllo dei loro ricordi e annebbiandoli. E l’entusiasmo intorno al Da Vinci non ha lasciato scampo ad Occhiuto. «L’installazione di questo robot – ha sottolineato ormai preda del morbo – dà la possibilità al sistema sanitario regionale di offrire gli stessi servizi garantiti in altre Regioni. Finora chi doveva subire un intervento alla prostata era costretto ad andare fuori dalla Calabria, proprio perché il nostro sistema sanitario era sprovvisto di questo robot che ormai è ordinariamente utilizzato sia per questo tipo di interventi ma anche per altri che riguardano, ad esempio, la chirurgia toracica, oncologica o ginecologica».

    Al Gom dal 2016

    Il robot Da Vinci, però, tutto è meno che una novità per la Sanità calabrese e Occhiuto dovrebbe saperlo. Esiste e lo usano da diversi anni con successo al GOM di Reggio Calabria. Si parla di una delle eccellenze del disastrato sistema sanitario della regione, abbastanza poche da non poter sfuggire a chi lo governa.

    In una lunga e interessante intervista del giugno 2018 su Strill.it l’urologo Pietro Cozzupoli raccontava quanto Da Vinci fosse stato utile all’ospedale da quando – a novembre del 2016 – era entrato in servizio. Funziona così bene che ad operarsi a Reggio arrivano anche da fuori della Calabria. Lo ha fatto tempo fa finanche il cardinale Robert Sarah, pur non mancando al Vaticano strutture verso cui indirizzarlo. E, proprio nei giorni scorsi, il Corriere della Calabria ha riportato la notizia di un intervento chirurgico in urologia robotica al Gom che ha salvato la vita di un paziente oncologico guineano arrivato fino a Reggio per operarsi con il Da Vinci.

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    Pietro Cozzupoli (foto CityNow.it)

    «Nella nostra struttura – spiegava il dottor Cozzupoli cinque anni faesistono già due equipe formate da quattro, cinque urologi in grado di eseguire interventi robotici e una equipe infermieristica con competenze multidisciplinari. Non solo, esistono già due altre equipe chirurgiche, di chirurgia generale e di ginecologia, che operano con il robot da Vinci. Perché il nostro robot è multidisciplinare, lavora su varie specialità».
    Ma quando il virus dell’annuncite è entrato in un organismo, non c’è chirurgo o robot che possa rimuoverlo.

  • Asp alla sbarra: di nuovo in aula il “Sistema Cosenza”

    Asp alla sbarra: di nuovo in aula il “Sistema Cosenza”

    Bilanci falsificati e assunzioni clientelari all’Asp di Cosenza, riparte il processo. L’esistenza di un presunto “sistema” di corruttele nell’azienda sanitaria ha portato dirigenti, funzionari e commissari della sanità calabrese al banco degli imputati. Ad accendere i riflettori sulle presunte anomalie amministrative sono state le centinaia di segnalazioni (su delibere, determine, contenziosi, atti ingiuntivi, soccombenze, fatturazioni ai privati) partite dal collegio sindacale.

    L’organo di controllo dal 2015 al novembre 2018 era composto da: Sergio Tempo in rappresentanza della Regione Calabria; Santo Calabretta (Ministero dell’Economia e delle Finanze); Sergio De Marco (Ministero della Salute); Nicola Mastrota, responsabile Ufficio Bilancio dell’Asp Cosenza. Tempo, unico dei membri del collegio a non essere confermato nel suo incarico dalla Regione Calabria allora guidata da Mario Oliverio, in qualità di presidente aveva puntualmente trasmesso i verbali con relativi rilievi sulle problematiche contabili alla Regione, al Mef, al Ministero della Salute e alla direzione dell’Asp di Cosenza. Venne però ignorato.

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    La cittadella regionale di Germaneto

    Asp Cosenza, i verbali del collegio dei revisori

    I revisori del collegio sindacale dell’Asp di Cosenza, nei loro rilievi, mostravano preoccupazione per i 575 milioni di euro di debiti (su un valore della produzione di 1 miliardo e 200 milioni di euro) con crediti per almeno 80 milioni di euro che non erano stati cancellati per «evitare un più consistente risultato economico negativo».
    Voci (falsamente) in attivo che nel 2016 lievitano fino a diventare 94 milioni di euro. Nel bocciare il bilancio 2015 il collegio sindacale allertò gli organi competenti che all’Asp di Cosenza «la perdita sistemica degli ultimi bilanci di esercizio, – si legge nelle conclusioni della relazione del 29 maggio 2017 – denota squilibri strutturali del bilancio, in grado di provocare nel tempo il dissesto finanziario, se l’Ente non sarà in grado di adottare le misure necessarie».

    Mesi dopo il collegio, nel verbale n. 5 del 20 aprile 2018 rileva la persistenza al 31/12/2015 dello squilibrio finanziario, già rilevato nell’esercizio 2014, «in contrasto con una sana e ordinata gestione, situazione del tutto inconciliabile rispetto agli obiettivi di rientro programmati dal piano sanitario regionale».
    L’allarme con le dimostrazioni «dell’esistenza di una crisi irreversibile di liquidità» è ribadito nella Relazione al Bilancio Consuntivo del 2016 sul quale esprime parere contrario all’approvazione.

    Allo stesso modo, rilevando al 31 dicembre 2017 gli stessi squilibri finanziari del passato, il collegio sindacale sollecita approfondimenti «al fine di scongiurare il rischio della duplicazione di pagamenti e/o pagamenti non dovuti». E denuncia come l’Asp di Cosenza non sia in grado «di identificare con certezza la matrice sulla cui base i pagamenti vengono liquidati». Un’incertezza che «espone la stessa al rischio di remunerare più di una volta lo stesso importo per il medesimo pagamento». E si ripercuote ancora oggi, inevitabilmente, sulle capacità di garantire ai cittadini prestazioni sanitarie adeguate.

    Indagati dirigenti di Regione Calabria e Asp Cosenza

    Nessuno però sembrò accorgersi di quanto stesse succedendo ai piani alti dell’Asp di Cosenza, «perché non erano state scaricate le mail» (è la tesi difensiva di uno degli imputati). Poi, però, gli approfondimenti investigativi della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Cosenza diedero uno scossone. Il 5 febbraio 2021 sei tra dirigenti e funzionari dell’Asp bruzia e della Regione Calabria si videro applicare la misura del divieto di dimora (3 in Calabria e 3 a Cosenza). Nove, invece, gli avvisi di fissazione dell’interrogatorio a seguito del quale il gip Manuela Gallo decise di interdire dai pubblici uffici 7 indagati per un anno e altri due per sei mesi.

    Al termine delle indagini, nel novembre 2021, gli iscritti nel registro degli indagati furono 18. Le accuse a vario titolo per loro erano: abuso d’ufficio, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Per 15 è arrivato il rinvio a giudizio nel processo ancora in corso presso il Tribunale di Cosenza. La prossima udienza si terrà il 14 aprile.

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    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Tra gli imputati, con il trascorrere del tempo, qualcuno è andato in pensione. Altri continuano a lavorare tra l’Asp di Cosenza e la Regione Calabria, ricoprendo ruoli simili a quelli che li hanno condotti alla sbarra.
    In teoria, non si potrebbe agire diversamente. I dirigenti sotto processo possono solo essere cambiati di ruolo, ma non rimossi. Altrimenti, in caso di assoluzione, spetterebbe loro un risarcimento.

    Le assunzioni anomale all’Asp di Cosenza

    Fidanzate privilegiate. Le relazioni sentimentali intrattenute, secondo la Procura di Cosenza, avrebbero favorito due donne assunte a tempo indeterminato negli uffici dell’Asp con la qualifica di dirigente. Si tratta di Giovanna Borromeo e Cesira Ariani. La prima è la compagna dell’ingegnere dell’Asp di Cosenza Gennaro Sosto. La Procura aveva richiesto anche per lui la sospensione dai pubblici uffici. Il gip ha rifiutato e Sosto, in seguito, è risultato estraneo ai fatti oggetto d’inchiesta. Borromeo fu prelevata dalla graduatoria di Catanzaro e nominata dirigente amministrativo all’Asp di Cosenza.

    Ariani invece era la dolce metà dell’allora dirigente generale Raffaele Mauro. Questi avrebbe indotto la commissione esaminatrice, da lui stesso costituita, a  conferirle l’incarico di responsabile dell’UOS Risk Management e governo clinico su proposta di Remigio Magnelli (direttore delle Risorse Umane dell’Asp di Cosenza) e previa verifica da parte di Fabiola Rizzuto quale responsabile del procedimento. Il tutto, però, «individuando criteri di selezione indebitamente discriminatori».

    Alle loro discusse nomine si aggiunge quella di Maria Marano, che pur non essendo laureata in Medicina ha ricoperto l’incarico di responsabile dell’unità Ausili e Protesi. Un ruolo che le ha consentito di firmare (e far firmare) anche gli impegni di spesa e il rilascio delle autorizzazioni per la fornitura di pannoloni, cateteri, traverse, materassi antidecubito, letti ortopedici, ecc..

    I bilanci falsificati all’Asp di Cosenza

    Sui bilanci 2015–2016–2017 dell’Asp di Cosenza, secondo la Procura, il “Sistema” si sarebbe attivato per attestare «falsamente fatti dei quali l’atto era destinato a provare la verità». Tra questi appaiono gli accantonamenti nel fondo rischi e la situazione di cassa rilevabile dalla sezione Disponibilità liquide dello Stato patrimoniale.
    In più, per garantirsi l’impunità, gli imputati avrebbero alterato (o fatto alterare) alcune voci di bilancio. Avrebbero utilizzato una serie di giroconti eseguiti al solo scopo di alleggerire artatamente la voragine delle perdite. E trucchetti, se confermati, ai limiti del puerile: 7 milioni di euro in rosso trasformati in “denaro disponibile” cancellando il simbolo meno davanti alla cifra.

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    Il nodo dei bilanci dell’Asp di Cosenza

    Intanto la mancata approvazione dei bilanci consuntivi relativi agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021 pesa come un macigno sulla contabilità dell’Asp di Cosenza. Che è quella più vasta della Calabria, quindi influenza la rendicontazione finanziaria della sanità dell’intera regione. Un concetto, questo, cristallizzato anche nelle intercettazioni captate durante le indagini: in una conversazione tra indagati gli inquirenti registrano la frase «se sballa Cosenza, sballa tutto», quasi i due presagissero un’apocalisse contabile.

    Dal canto suo, il nuovo commissario Antonio Graziano, in sella da maggio 2022, lo scorso settembre ha affermato di aver stornato debiti fittizi e crediti fasulli riuscendo così ad approvare il bilancio di previsione 2023, con tanto di avanzo di gestione.
    I conti però non tornano ai revisori. L’attuale collegio sindacale nel verbale ricco di omissis del 21 dicembre 2022 «in riferimento al Bilancio di Previsione anno 2023, esprime parere non favorevole, per come già evidenziato per i precedenti bilanci dal precedente Collegio».

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    Il nuovo commissario dell’Asp di Cosenza, Antonio Graziano

    I revisori, nel verbale, ricordano che «l’Azienda risulta sprovvista dei Bilanci relativi agli esercizi 2018/2019/2020/2021». E che «l’adozione dei predetti Bilanci è inscindibilmente propedeutica e collegata alla sistemazione e/o rimodulazione di importanti poste di bilancio, in particolare quelle debitorie». Ergo, hanno bocciato il documento contabile «non ritenendo le previsioni attendibili, congrue e coerenti col Piano di attività 2023, con i finanziamenti regionali nonché con le direttive impartite dalle autorità regionali e centrali».

    Gli imputati del Sistema Cosenza

    Nel frattempo il commissario Graziano continua a rimpinguare l’Asp procedendo con le 450 assunzioni annunciate. Ironia della sorte, a firmare bilanci e assunzioni sono, in parte, gli stessi imputati del Sistema Cosenza. Nei loro confronti, riferendosi in particolare a Remigio Magnelli, Fabiola Rizzuto e Maria Marano, il commissario Graziano nutre estrema fiducia: «Sono validissimi professionisti che lavorano, se ci sarà una sentenza ne prenderemo atto. Siamo garantisti. Collaborano con l’Asp di Cosenza, non hanno ricevuto promozioni, sono nello staff, non abbiamo altre risorse».

    Degli indagati che operano ancora nell’Asp bruzia solo le posizioni di Elio Pasquale Bozzo (direttore del distretto sanitario Cosenza–Savuto) e Alfonso Luzzi (collaboratore amministrativo professionale del settore Risorse Umane del distretto di Rossano) sono state archiviate. L’unico per il quale, invece, non è stata accolta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Mariangela Farro è l’ex commissario ad acta della Sanità calabrese, il generale Saverio Cotticelli.

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    Il generale Cotticelli
    • Raffaele Mauro

      Nato a Cosenza, classe 1954. Medico specializzato in Medicina Legale e Psichiatria, direttore generale dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018, nonché nei primi mesi del 2019. Attualmente a processo con l’accusa di abuso d’ufficio per la vicenda che riguarda i falsi precari dell’Asp di Cosenza assunti pochi giorni prima delle elezioni regionali del 2014 che ha portato al rinvio a giudizio di 142 indagati.

      Posizione attuale: Raffaele Mauro è in pensione dall’aprile 2019. Attualmente lavora in qualità di libero professionista in Lombardia, come psichiatra, in strutture ospedaliere attraverso le cooperative. Come ex direttore generale dell’Asp di Cosenza, non potrebbe, infatti, per legge operare per almeno tre anni nelle strutture accreditate con la stessa azienda sanitaria.

    • Luigi Bruno

      Nato a Cosenza, classe 1961. Laureato in Economia e Commercio con master in Management dei servizi sanitari. È stato direttore del personale e Responsabile Dirigente dei Rapporti Istituzionali del Centro di Riabilitazione socio/sanitaria Fondazione “Istituto Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello fino al 2006 quando la clinica lager fu oggetto di un blitz della Guardia di Finanza che svelò le condizioni inumane nelle quali versavano gli ospiti a fronte di circa 100 milioni di euro scomparsi nel nulla.
      Direttore amministrativo dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018.

      Posizione attuale: Oggi Luigi Bruno lavora a Cirò Marina in una casa di cura privata.

    • Francesco Giudiceandrea

      Nato a Rossano, classe 1963. Medico specializzato in Medicina Legale, cugino dell’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, è stato direttore sanitario dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza negli anni 2016-2017-2018.

      Posizione attuale: Dal 2018 Francesco Giudiceandrea è tornato a lavorare nella Medicina Legale ed è attualmente dirigente medico della struttura dipartimentale Medicina Legale ex ASL 3 Rossano.

    • Maria Marano

      Nata a San Gallo, in Svizzera, classe 1963. Ha conseguito il diploma di laurea in Giurisprudenza nel 1992 e dal gennaio 1994 lavora come collaboratore amministrativo all’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Oggi, Maria Marano è responsabile amministrativo referente per il distretto Jonio Nord, responsabile dell’ufficio Risorse Umane di Trebisacce e lavora nella direzione generale dell’Asp di Cosenza in via Alimena. «È nel mio staff», afferma il commissario straordinario Antonio Graziano. «Si occupa – spiega – di problematiche legate al personale, alle procedure di affidamento di gare, fa il lavoro che ha sempre fatto, ma non fa più Ausili e Protesi».

    • Giovanni Francesco Lauricella

      Nato a Palermo, classe 1953. Direttore dell’U.O.C. Affari legali e contenzioso pro-tempore dell’Asp di Cosenza in carica fino all’agosto 2020. Avvocato noto alle cronache per l’inchiesta sulle “Parcelle d’oro” dell’Asp di Cosenza, nell’ambito della quale è stato assolto. Le indagini – dalle quali emersero oltre 400 incarichi esterni (in tre anni circa 800mila euro) affidati dall’Asp di Cosenza all’avvocato Nicola Gaetano, assolto in Appello – coinvolsero anche Andrea Gentile, figlio dell’ex senatore e sottosegretario Antonio Gentile nonché ex parlamentare in quota Forza Italia insediatosi alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Occhiuto per incompatibilità con il ruolo di presidente della Regione Calabria.

      Posizione attuale: Dal settembre 2020 è in pensione.

    • Antonio Scalzo

      Nato a Cosenza, classe 1962. Dermatologo, specializzato anche in Medicina Legale, è stato direttore sanitario dell’Asp di Cosenza dal 2005 al 2010. Per anni direttore dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale Medicina Legale successivamente nominato direttore facente funzioni dell’UOC Cure primarie dei distretti Valle Crati e Cosenza. Dal 1993 al 2010 ha fatto parte e presieduto le commissioni per l’invalidità dell’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Oggi è in pensione. Antonio Scalzo possiede il 95% della società Autismo Domani che gestisce nell’ex convento Ecce Homo di Dipignano di proprietà del Comune la “Casa di riposo San Pio” in subconcessione dalla società Villa San Pio della moglie Antonella Lorè. Quest’ultima nell’ottobre 2021 quando la struttura fu attenzionata per la morte di un anziano ospite caduto da una finestra sporse denuncia affermando che la firma sul contratto di affidamento fosse artefatta.

    • Carmela Cortese

      Nata a Castrovillari, classe 1956. Medico, specializzata in Medicina del Lavoro, Igiene e Sanità pubblica. Per circa 20 anni ha ricoperto la carica di direttrice del Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro del Pollino – Ionio ed è stata direttrice del dipartimento Prevenzione e Igiene pubblica dell’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Dal 2020 è in pensione. Appare nella lista dei medici consulenti tecnici d’ufficio del Tribunale di Castrovillari, ma senza alcun incarico attivo.

    • Remigio Magnelli

      Nato a San Pietro in Guarano, classe 1959. Laureato in Scienze economiche e sociali con master in Diritto del Lavoro e Pubblica Amministrazione. Torna ad essere direttore dell’Unità Operativa Complessa Gestione Risorse Umane dell’Asp di Cosenza a partire dal 2013 dopo aver ricoperto l’incarico negli anni precedenti. A causa di atti firmati nel 2008 in qualità di dirigente dell’UOC Risorse Umane dell’Asp di Cosenza ha subito una condanna a un anno di reclusione diventata definitiva nel 2019 per falso in atto pubblico. La vicenda riguardava l’assunzione all’Asp di Cosenza di Michele Fazzolari. Quest’ultimo ebbe l’incarico di stabilizzare circa 430 precari dell’azienda sanitaria bruzia, tra i quali anche se stesso, operazione dalla quale scaturì un’inchiesta della Procura di Cosenza che coinvolse anche Antonio Scalzo.

      Posizione attuale: Oggi è direttore del dipartimento amministrativo e direttore Affari Generali dell’Asp di Cosenza, nonché referente del commissario straordinario Graziano. Quest’ultimo lo definisce «una persona in gamba, un valido professionista, sta lavorando correttamente».

    • Fabiola Rizzuto

      Nata a Cosenza, classe 1961. Avvocato, dirigente amministrativo dell’Asp di Cosenza. Dal 2005 è stata responsabile dell’Unità Operativa Semplice Gestione Giuridica del Personale.

      Posizione attuale: Oggi è responsabile dell’area giuridico economica della Gestione Valorizzazione Sviluppo Formazione Risorse Umane del distretto Cosenza-Savuto. Di fatto sembrerebbe le sia stato affidato il ruolo del coimputato Remigio Magnelli e ricopra attualmente la carica di facente funzioni della UOC Gestione Risorse Umane. Il commissario straordinario dell’Asp di Cosenza Antonio Graziano afferma: «Fa il suo lavoro, con dignità ed onore».

    • Aurora De Ciancio

      Nata a Montalto Uffugo, classe 1955. Laureata in Scienze Politiche. Direttore dell’UOC Gestione Risorse Economiche Finanziarie dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza dal 2013. Ha ricoperto anche la carica di commissario Asp Cosenza per un breve periodo. Di recente la Procura di Cosenza, nell’ambito di un’altra inchiesta che riguarda i doppi pagamenti di fatture in favore di privati convenzionati con il sistema sanitario regionale, ne ha chiesto il rinvio a giudizio insieme al noto imprenditore cosentino Francesco Dodaro e alla moglie Valeria Greco per un credito da circa 450mila euro ritenuto fittizio vantato dalla Medical Analisi Cliniche di Cosenza.

      Posizione attuale: Da luglio 2022 è in pensione.

    • Nicola Mastrota

      Nato a Mormanno, classe 1975. Laureato in Economia Aziendale e Scienze Politiche. Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Bilancio e programmazione economica dell’ASP di Cosenza. Si è occupato: del Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza 2019 – 2021; di documenti e allegati del bilancio consuntivo; dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci consuntivi; di documenti e allegati del bilancio preventivo.

      Posizione attuale: È ancora in servizio all’Asp di Cosenza quale collaboratore amministrativo professionale, presta servizio in un ufficio amministrativo di Trebisacce.

    • Bruno Zito

      Nato a Catanzaro, classe 1964. Zito è un manager che è stato dirigente generale del dipartimento Organizzazione Risorse Umane della Regione Calabria e direttore generale reggente del dipartimento Salute della Regione. La prima nomina al dipartimento Tutela Salute arriva nel 2013 su proposta dell’allora assessore al Personale, Domenico Tallini. Per quest’ultimo la magistratura ha di recente richiesto la condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo Farmabusiness.

      Coinvolto nel caso Lo Presti (responsabile del Dipartimento Tutela Salute e del Servizio di Emergenza della Regione Calabria arrestato con l’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), viene assolto perché il fatto non sussiste, dopo essere stato accusato di falso ideologico e abuso d’ufficio.
      Riporta invece una condanna della Corte dei Conti, per danno erariale, per aver autovalutato le proprie performance nel 2011 e nel 2013 attribuendosi punteggi altissimi. Grazie ad essi aveva conseguito la massima indennità di risultato incassando indebitamente oltre 30mila euro.

      Posizione attuale: Bruno Zito è oggi dirigente del settore 5 della Regione Calabria: Fitosanitario, Caccia, Pesca, Feamp (Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura), Punti di entrata Porto di Gioia Tauro e Corigliano.
      Il settore che dirige è articolato in 5 unità operative: Affari generali e Gestione del personale, Fitosanitario e vivaismo, Patrimonio ittico e Pesca, Patrimonio Faunistico e Caccia, Porto di Gioia Tauro.

    • Vincenzo Ferrari

      Nato a Catanzaro, classe 1974. Commercialista e Revisore Contabile, dirigente della Regione Calabria dal 2008. Ha ricoperto tale incarico al dipartimento Tutela della Salute e Politiche sanitarie, settore area Economico – Finanziaria, servizio “Gestione FSR, Tavoli di monitoraggio”; al settore Programmazione Economica, servizio “Controllo dei Bilanci e delle aziende del SSR”.
      In forze al dipartimento Tutela Salute della Regione Calabria è stato inoltre dirigente dei settori “Gestione FSR, Bilanci aziendali, Contabilità”; “Controllo di Gestione, Monitoraggio Flussi Economici, Patrimonio, Beni e Servizi”.
      Inoltre nel dipartimento Organizzazione, Risorse Umane e Controlli della Regione Calabria è stato dirigente del settore Provveditorato Economato, Bollettino Ufficiale, Polizia Urbana.

      Le sue principali mansioni e responsabilità riguardavano: la gestione del Fondo Sanitario Regionale, controllo delle movimentazioni dei relativi capitoli di bilancio e verifica della copertura finanziaria della spesa sanitaria; trasferimento mensile delle risorse finanziarie alle aziende del SSR; verifica e controllo dei documenti contabili (bilanci preventivi e consuntivi) delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere; analisi sul controllo dei Collegi Sindacali; monitoraggio e controllo degli acquisti di Beni e Servizi effettuati dalle Aziende del SSR; valutazione dei fabbisogni di acquisto e determinazione delle tipologie di beni e servizi da sottoporre a gara centralizzata tramite la Stazione Unica Appaltante regionale; gestione del patrimonio immobiliare disponibile delle Aziende del Servizio sanitario regionale.

      Posizione attuale: La Giunta regionale all’unanimità, con deliberazione n. 507 della seduta del 22 novembre 2021, ha assegnato Vincenzo Ferrari al dipartimento Presidenza della Regione Calabria.

    • Massimo Scura

      Nato a Gallarate (VA), classe 1944. Ingegnere con master in Formazione per direttori generali e Managerialità integrata, ex direttore generale delle aziende sanitarie di Siena e di Livorno è stato commissario per il Piano di rientro dal debito sanitario della Calabria dal 2015 al 2018. Sindaco del Comune di Alfedena, in provincia dell’Aquila, quando è stato nominato commissario alla sanità calabrese, all’età di 71 anni, era già in pensione e sostituì il generale della Guardia di Finanza Luciano Pezzi.

      Posizione attuale: In pensione.

    • Antonio Belcastro

      Nato a Cotronei, classe 1959. Laureato in Scienze Economiche e Sociali. Ex direttore generale del Dipartimento Salute della Regione Calabria, è stato dirigente regionale responsabile dell’emergenza Covid in Calabria.
      Negli anni ha ricoperto la carica di direttore generale, direttore amministrativo e commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera Mater Domini di Catanzaro, di direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, di direttore generale e direttore amministrativo dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza.

      Nel corso della propria carriera ha insegnato Amministrazione dei Servizi socio-sanitari; Organizzazione e Programmazione sanitaria; Ordinamento Amministrativo e attività della Pubblica Amministrazione; Finanziamento dei sistemi sanitari all’Università Magna Graecia di Catanzaro e Programmazione e controllo delle Aziende Ospedaliere all’Università della Calabria.

      Posizione attuale: Oggi è alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, ma in aspettativa fino al 28 febbraio.

    Maria Teresa Improta

  • Frank Gambale e  il grande jazz al Tau dell’Unical

    Frank Gambale e il grande jazz al Tau dell’Unical

    Ci sono un australiano, due francesi e un ungherese. Ma, soprattutto, c’è la grande musica in programma domenica 2 aprile alle 21 nel Tau dell’Unical. Il teatro dell’Università della Calabria ospiterà, infatti, il quartetto di Frank Gambale. Ossia un autentico mostro sacro del jazz contemporaneo.

    Frank Gambale e non solo: il resto del quartetto

    Non che i tre insieme a lui siano da meno. Ad accompagnare il chitarrista di Canberra ci saranno musicisti di indiscutibile talento e caratura internazionale. Primo tra tutti Hadrian Feraud, bassista francese che un genio come John McLaughin – col quale ha lavorato in passato – reputa una sorta di reincarnazione del mito di ogni bassista degno di questo nome: Jaco Pastorius. Detterà insieme a lui il ritmo un altro grandissimo: il batterista Gergo Borlai, che in carriera si è esibito, tra i tanti, con musicisti del calibro di Terry Bozzio, Scott Henderson e Al Di Meola. Dulcis in fundo, spazio alle tastiere per Jerry Lionide, uno che è salito per ben due volte – una sul gradino più alto – sul podio dei migliori pianisti del celeberrimo Montreal Jazz Festival.

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    Il Frank Gambale Quartet

    Un modello per i più grandi

    La star del concerto al Tau, però, non può che essere Frank Gambale. Basterebbe citare quello che dicono di lui artisti come il compianto (e un po’ calabrese) Chick Corea: «Tutto ciò che tocca con la sua chitarra diventa oro, lo è sempre stato. Frank è il mio chitarrista preferito». Oppure l’opinione di divinità delle sei corde come Pat Metheny: «Mi piacerebbe prendermi un mese di pausa e studiare con Frank Gambale». L’australiano, infatti, ha letteralmente inventato e dato il suo nome a un nuovo modo di usare il plettro e suonare la chitarra: la Gambale Sweep Picking Technique. Una piccola grande rivoluzione che ne ha fatto un esempio da seguire anche per un figlio d’arte come Dweezil Zappa: «Studiare la tecnica Sweep Picking di Frank Gambale mi ha permesso di suonare le parti più difficili della musica di mio padre che lui stesso non suonò».

    Frank Gambale al Tau dell’Unical

    Dagli anni ’80 ad oggi Frank Gambale ha pubblicato oltre 300 canzoni e una ventina abbondante di album, tutti con quello stile che Rolling Stone – la bibbia del rock, più o meno – ha definito «feroce» per intensità. Nella sua musica hanno trovato spazio il jazz e il rock, con incursioni nel funk e il rythm&blues e contaminazioni che richiamano sonorità latine e brasiliane. Un artista a tutto tondo, insomma, che con i suoi virtuosismi alla chitarra ha scritto pagine importanti e portato un vento di freschezza nella scena jazz (e non solo) degli ultimi decenni.

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    L’interno del Tau

    Non capita tutti i giorni di ospitare musicisti di questo valore alle nostre latitudini. Un motivo in più per non perdere il suo concerto domenica 2 aprile al Tau dell’Unical e la rassegna JazzAmore che vedrà il Frank Gambale Quartet tra i protagonisti. Costo del biglietto: 20 euro.

  • Una villa romana fantasma nel cuore di Rende

    Una villa romana fantasma nel cuore di Rende

    Se nel lontano 1887 le autorità avessero proseguito la ricerca sui resti romani trovati a Rende, forse la storia della città del Campagnano sarebbe stata diversa.
    Quei resti appartenenti a un’antica villa, che risaliva al primo secolo dopo Cristo, si trovano a contrada Molicelle, grosso modo tra il Centro Polifunzionale dell’Università della Calabria e via Settimio Severo.
    Li avessero scavati allora, l’intera zona sarebbe stata musealizzata e forse l’Unical non sarebbe sorta (o sarebbe sorta altrove).
    Di questa villa “fantasma”, scoperta e dimenticata nel classico battito di ciglia, resta un’importante documentazione, conservata negli archivi di Stato di Roma e Cosenza. Vecchi fascicoli che hanno raccolto polvere per decenni, anch’essi a loro modo “rovine” della memoria collettiva.

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    L’archeologa Rossella Schiavonea Scavello

    La riscoperta della villa romana di Rende

    Queste rovine le ha scavate un’archeologa, Rossella Schiavonea Scavello, fresca di dottorato presso l’Unical.
    La studiosa ha dato un primo resoconto della sua particolare ricerca, fatta con macchina fotografica e scanner anziché con pala e piccone, in La scoperta di una villa romana in contrada Molicelle, un saggio pubblicato nel 2015 nella raccolta Note di archeologia calabrese, edito da Pellegrini.
    Ma veniamo al racconto di questa vicenda archeologica a dir poco bizzarra.

    Il cavaliere, i contadini e le oche

    Oggi Magdalone è un toponimo, che indica una zona a cavallo tra Rende e Montalto Uffugo.
    Nel 1887 era un cognome importante: quello del cavalier Giovanni Magdalone.
    Nato nel 1833 e imparentato per parte di madre con Donato Morelli, patriota e supernotabile di Rogliano, il cavaliere possedeva praticamente tutta Arcavacata e una buona fetta del centro storico di Rende.
    I suoi contadini, diretti da un tale Francesco Pellegrini, menzionato come «custode delle oche», fecero la scoperta e la comunicarono a Magdalone, che a sua volta la comunicò al prefetto di Cosenza.

    La planimetria di contrada Molicelle a fine ‘800

    La villa romana fantasma

    Cos’avevano trovato, probabilmente per caso, i contadini di Magdalone? Innanzitutto i resti di un muro esterno, lungo 12 metri e largo 50 centimetri, che doveva essere l’edificio principale di questa struttura.
    Poi, vicinissimi, i residui di un colonnato e dei capitelli in stile jonico, più la prima chicca: un pavimento a mosaico fatto di tanti quadratini bianchi e neri.
    A tre metri di distanza, un trapetum, con due anfore interrate, simili a quelle ritrovate a Pompei. Infine, delle monete con l’effige di Augusto, delle statuine di marmo e un satiro in bronzo.
    Più una seconda chicca, che “apparenta” questa villa fantasma a quella di piazzetta Toscano, nel centro storico di Cosenza: dei tubi in ceramica con un marchio: Clemes Gauri, che probabilmente portavano l’acqua calda in un bagno termale.
    Questo logo d’epoca, secondo Scavello, potrebbe riferirsi a una famiglia importante di San Pietro in Guarano, che gestiva una fabbrica di materiali per l’edilizia. E quindi forniva tutti i ricchi intenzionati a costruire nel Cosentino.

    I resti romani di piazza Toscano prima di essere coperti dall'attuale struttura
    I resti romani di piazza Toscano prima di essere coperti dall’attuale struttura

    Villa o monastero?

    Il tutto, a cinquanta centimetri sotto terra. Per secoli ci si era coltivato sopra e nessuno si era accorto di nulla, o quasi.
    Fatto sta che Giovanni Magdalone, eccitato per la scoperta, si rivolge alle autorità. E queste affidano le ricerche a un big dell’archeologia dell’epoca: Luigi Viola, direttore del Museo di Taranto impegnato nello stesso negli scavi di Torre Mordillo a Spezzano Albanese.

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    L’archeologo Luigi Viola

    Viola visita gli scavi di Molicelle assieme al prefetto il 16 giugno del 1887 e certifica che quei resti sono di età romana. In questo modo, mette la parola fine a un piccolo giallo, scatenato da Fedele Fonte, sacerdote e scrittore dell’epoca.
    Secondo Fonte, quelle rovine sarebbero appartenute al monastero dei Santissimi Pietro e Paolo, andato distrutto nel 1500. Questa notizia, riportata dai giornali dell’epoca, fa un certo scalpore. Soprattutto, attira a Molicelle torme di popolani convinti di assistere a un miracolo.
    In realtà, di questo monastero esistono tracce storiche che indicano una zona diversa: contrada Rocchi. Molto rumore per nulla, quindi.

    Una scoperta minore?

    Partita col botto, la scoperta di Magdalone si arena e, pian piano, perde d’interesse. Forse perché la Calabria di allora ha un altro scoop archeologico che attira tutte le attenzioni (e le risorse). Si tratta di Sibari, di cui in quegli stessi anni entrano nel vivo gli scavi.
    In fin dei conti, quella di Molicelle è “solo” una delle tante villae di cui si sospetta l’esistenza nel Cosentino. Alcune sono state più “fortunate”: ad esempio, quella di Muricelle, a Luzzi, scavata nel 1989, e quella di Squarcio, a Bisignano, scoperta nel 2014.
    Di Rende, invece, nessuna notizia. Tranne quelle trovate da Scavello che ha ricostruito con pazienza tutto il carteggio ottocentesco.
    Viola promette una relazione, almeno per consentire la pubblicazione della scoperta. Tuttavia, sollecitato dalle autorità nel 1894, fa un passo indietro: non ha il personale, si giustifica, che possa scriverla. E la storia finisce qui.

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    La pianta della villa “fantasma”

    I reperti perduti della villa Romana di Rende

    E che fine hanno fatto le monete, i tubi di ceramica e le statue? Persi, o meglio privatizzati: sono finiti agli eredi del cavalier Magdalone.
    E cosa resta degli scavi? Quasi nulla: se li è ripresi la terra. Tutto da rifare.
    «Le uniche tracce provengono dalle riprese aeree dell’aeronautica militare contenute in Google Earth, nelle quali si notano ancora le planimetrie», spiega Rossella Scavello. Inoltre, ci sono «le testimonianze di alcuni anziani del luogo».

    Ma riprendere a scavare è un’altra cosa. Soprattutto, presenta altre difficoltà: «Con la nascita dell’Università, l’area si è parecchio urbanizzata, quindi occorrerebbe sapere dove scavare di preciso». Allo scopo, si dovrebbe iniziare «con metodi non invasivi: le riprese dei droni, il magnetometro e il georadar».
    Nulla di infattibile o di troppo costoso. Certo, servirebbe la classica buona volontà. Ma questa è un’altra storia…