Secondo appuntamento, oggi pomeriggio alle 17.30 a Villa Rendano, con il ciclo di incontri dal titolo Giugno, il mese del benessere. A promuovere l’iniziativa è il Comune di Cosenza, con il coordinamento dell’assessore alla salute, Maria Teresa De Marco, e la collaborazione della Fondazione Attilio e Elena Giuliani, presieduta da Walter Pellegrini. Si parlerà di “Intolleranze e allergie alimentari”.
A Villa Rendano per parlare di benessere: i relatori
Dopo i saluti istituzionali del sindaco Franz Caruso e dell’assessore De Marco, nella storica dimora del pianista calabrese si alterneranno al tavolo dei lavori alcuni apprezzati professionisti come l’allergologo Saverio Daniele e lo specialista in pediatria Salvatore Chiappetta.
Interverranno, inoltre, la biologa nutrizionista Antonella De Luca, la testimonial Rossana Del Santo, la psicologa e psicoterapeuta Anna Scaglione e il docente dell’Istituto d’istruzione superiore “Mancini-Tommasi”, Carmelo Fabbricatore. A moderare i lavori, Anna Laura Mattesini.
La città della prevenzione
Anche stavolta a Villa Rendano l’obiettivo di Giugno, il mese del benessere sarà quello di aprire, con il contributo dei qualificati relatori presenti, un’importante riflessione su una delle problematiche sanitarie più attuali e diffuse e sulle quali è imprenscindibile avviare un percorso di tempestiva ed attenta prevenzione. L’amministrazione comunale mira a fare di Cosenza la città della prevenzione e del benessere, individuale e collettivo, attraverso la promozione di corretti ed equilibrati stili di vita.
Un palermitano a San Fili, il paese delle magare dove vive Brunori, può fare molte cose. Sposarsi, mettere radici, pensare e realizzare un progetto fotografico che nel 2023 è diventato un libro dal titolo Lullaby and last goodbye, edito da 89Books. Vincendo un prestigioso premio in Giappone: il Tifa, Tokyo International Foto Awards, primo posto nella categoria “People”.
Nel 2013 Pierluigi “Pigi” Ciambra inizia questo racconto per immagini. Rivolge verso le sue figlie l’obiettivo della sua macchina fotografica e ne esce fuori molto di più di un diario familiare. Ha subito la forza di essere riconoscibile come prodotto culturale in grado di superare il contesto domestico. E ne è testimonianza l’attenzione riservatagli in giro per l’Italia e non solo.
Pierluigi Ciambra
Era mio padre
Non c’è solo l’amore di un padre e la voglia di documentare la crescita delle sue figlie. Dietro vive il canto dell’infanzia di Ciambra. I profumi e la luce di Palermo, gli abbracci di un papà che gli trasmette la passione per la fotografia. Pierluigi lo perde troppo presto. Da allora si è portato dietro questa mancanza. Un lutto di un genitore così giovane quando sei così piccolo lascia un segno indelebile dentro. Gli anni passano ma senti di dovere fare qualcosa, riprendere in qualche modo quel percorso drasticamente interrotto. Senti la necessità di elaborare il lutto a modo tuo. E non ti aiuterà un libro di Freud per uscire fuori da quel buco nero. Una delle alternative al lettino dello psicanalista può essere riannodare i fili col tuo linguaggio.
Uno degli scatti del progetto fotografico di Pierluigi Ciambra
Pierluigi Ciambra: il mio diario familiare
«Quando sono nate le mie figlie – commenta Pierluigi Ciambra – mi sono rivisto in lui. Ho capito il suo desiderio, anzi la sua esigenza, di conservare la memoria di quegli attimi. Così ho iniziato a fotografarle quotidianamente. Le bambine crescono e scoprono un mondo ai loro occhi incontaminato, e lo fanno con la libertà di chi svela enormi misteri senza schemi e congetture, con l’ingegno istintivo della curiosità infantile, coinvolgendoti nella loro realtà fiabesca. Raccontare il loro sguardo sul mondo e, al tempo stesso, mettere a nudo la mia ricerca interiore e il processo di riconciliazione con il mio passato sono le motivazioni alla base di questo mio progetto fotografico».
La formazione di Pierluigi dà il senso del suo percorso: diploma al corso di fotografia all’Istituto europeo di Design di Roma e poi laurea in Antropologia alla Sapienza. Lullaby and last goodbye nasce anche in questo contesto di studio e buone letture, dove il punto di partenza è l’inevitabile confronto con chi ha già fatto del diario familiare una storia universale.
L’immaginario onirico di Lullaby and last goodbye
Da Alec Soth a Tarkovskij
Nell’intervista rilasciata sul portale web del Tokyo international foto awards si definisce un un «photobook Nerd che ama leggere saggi di fotografia e monografie, non solo dei grandi fotografi, ma anche dei di quelli meno conosciuti. Lullaby and last goodbye si porta dentro almeno una canzone dei Cure e un pezzo di tanti progetti fotografici amati da Pierliuigi: Picture from Home di Larry Sultan , Sleeping by the Mississippi di Alec Soth, e poi Immediate Family di Sally Mann, The adventures of Guille and Belinda and the enigmatic meaning of their dreams di Alessandra Sanguinetti.
Ma c’è anche tanto cinema nei suoi scatti. Da Stanley Kubrick, citato in una delle immagini più potenti, fino al suo regista preferito: il russo Andrej Tarkovskij e il suo tempo sospeso.
C’è vita oltre Instagram
Sono le 17:45 di un pomeriggio qualsiasi a Cosenza, la città che ci tiene ad essere chiamata Atene delle Calabrie. Alle 18 la Ubik ospita la presentazione di Lullaby and last goodbye. Lentamente la gente arriva. I fotografi Andrea Bianco e Claudio Valerio di lì a poco dialogheranno con Pierluigi. Il solito rito del firmacopie, qualche chiacchiera con gli amici, i curiosi. «Un libro di fotografia?» Domanda un passante. Sì, c’è vita oltre Instagram per buone foto e storie che meritano di essere raccontate.
Da sinistra Andrea Bianco, Pierluigi Ciambra e Claudio Valerio
Via Padre Giglio numero 27, via Rivocati numero 94, piazza Archi di Ciaccio numero 21, via Monte San Michele numero 6, corso Telesio numero 17, sono gli indirizzi di alcune delle sedi del movimento di Comunione e Liberazione a Cosenza, negli anni che vanno dal 1976 al 1989, quando ne facevo parte.
Giovani e impegnati
Ognuno di questi indirizzi è legato a momenti diversi di vita del nostro gruppo di amici, perché eravamo anche amici, dato che passavamo insieme molto tempo, tra gli incontri, i volantinaggi, le manifestazioni pubbliche, la vendita militante della nostra stampa. Per fortuna eravamo amici, quindi abbiamo vissuto con una certa leggerezza o forse incoscienza, la decisione di proporci in città e nella neonata Università della Calabria, ancora in costruzione, come la risposta ai dubbi esistenziali, sociali e politici non solo nostri, ma dell’intera umanità.
Il Polifunzionale dell’Unical
Comunione e liberazione: ciclostili mistici
Oggi guardo con indulgenza a quel gruppo di ragazzini che eravamo, in mezzo ad altri gruppi, animati dalle stesse certezze granitiche, ma con riferimenti diversissimi e opposti. Queste convinzioni, queste letture della realtà del nostro tempo venivano messe a punto negli incontri, che avvenivano nelle sedi ricordate prima e in altre ancora.
Come tutte le sedi dei gruppi e dei movimenti politici, l’arredo era piuttosto precario e approssimativo: sedie spaiate, un tavolo, qualche scaffale per la carta e l’inchiostro, necessari per l’indispensabile ciclostile, il top della tecnologia comunicativa degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Preparare un volantino e vederlo uscire, una copia alla volta, dal rullo del ciclostile, era un’operazione solenne, mistica, iniziatica. Solo pochi eletti avevano il permesso e la capacità di manovrare il prezioso apparato, da cui dipendeva il nostro apostolato, la nostra presenza.
Il Pantheon ciellino a Cosenza
Sui volantini e pure sui manifesti confezionati artigianalmente, con un pennarello, bisognava ricordarsi di scrivere “manoscritto in proprio”, in fondo, altrimenti si violava non so quale norma del Codice civile. Ne conservo pochi, di questi sbiaditi foglietti, forse se facessi visita all’Ufficio politico della Questura potrei recuperare gli altri, ammesso che in Questura abbiano un archivio ordinato. L’Ufficio politico raccoglieva amorevolmente tutte le stampe, di tutti i gruppi, anche i più sfigati, quelli a cui nessuno dava credito. Per poi studiarli, analizzarli e classificarli, secondo il livello della nostra e altrui pericolosità per l’ordine costituito. Mi piacerebbe anche sfogliare la graduatoria dei gruppi acquisita agli atti.
L’arredo era simile anche nelle sedi degli altri gruppi, di sinistra o di destra.
Monsignor Oscar Romero
Cambiavano i poster alle pareti, i ritratti dei santi protettori, Marx, Che Guevara, Evola. I gruppi cattolici tradizionali, ospitati negli oratori parrocchiali, accanto ai simboli religiosi, appendevano un ritratto di monsignor Camara, oppure di monsignor Romero, o di madre Teresa o di Escrivà de Balaguer, secondo le simpatie e gli orientamenti.
Noi ciellini, notoriamente movimentisti, avevamo le sedi, perché le sale parrocchiali erano riservate all’Azione cattolica. Sto elencando questi particolari perché essendo nato nel 1961 temo che le persone un po’ più giovani di me facciano fatica a immaginare cosa fosse la realtà dei gruppi di quei fatidici decenni.
Per questo, per colmare la distanza, insieme all’editore Demetrio Guzzardi, che era uno degli spericolati ragazzi di cui sopra, abbiamo predisposto tante schede, come quella che riporta gli indirizzi sopracitati. Le schede fanno parte di un mio libro di 152 pagine, e ci sono quelle dedicate ai libri, alle riviste, a case editrici, luoghi e iniziative (Ciellini ad Arcavacata (1976-1989), Cosenza, editoriale progetto 2000, 2023).
Lo abbiamo fatto soprattutto per noi, per riflettere, dopo quarant’anni, sulla nostra storia, su momenti decisivi per la nostra formazione e la vita successiva, che abbiamo deciso di spendere in Calabria, anche dopo il distacco da Comunione e Liberazione, per una serie di situazioni che sarebbe lungo spiegare. Se non lo si fa dopo quarant’anni, il punto sulla vicenda, poi bisogna affidarsi ai posteri, vallo a sapere se i posteri ne avranno voglia.
Demetrio Guzzardi
Formidabili quegli anni a Comunione e liberazione
In quegli anni, in quelle brutte sedi, abbiamo conosciuto gli amici della vita, e pure, in qualche caso fortunato, le compagne della vita. Anche solo per questo ci è sembrato che ne valesse la pena, di affrontare l’impresa, scavando nella memoria e nelle vecchie carte.
Alcune persone non ci sono più, di altre si sono perse le tracce. Con qualcuno ancora capita di incontrarsi e parlare. Non so se è lo stato d’animo dei commilitoni, dei reduci, quello che si prova, quando ci si incontra tra persone legate da una profonda esperienza di militanza e di appartenenza. Esiste ancora oggi un sentimento di questo tipo? Come spiegarlo a chi non l’ha vissuto? Proprio ora che le appartenenze sembrano così vaghe, fluide, affidate ai gruppi sui social. Non usavamo tessere, a differenza di altri movimenti, ma l’appartenenza ci sembrava scolpita nella roccia.
Facendo questo libro, dalle bozze alla stampa, mi sono chiesto quali luoghi, quale sentimento di appartenenza avranno nella memoria i ragazzi, quelli che oggi hanno venti o anche trent’anni.
Quando non c’erano i social
I luoghi fisici forse non sono insostituibili, noi ne abbiamo cambiato tanti, ma negli appartamenti ci ritrovavamo a parlare, a confrontarci. Poi continuavamo a parlare pure dopo gli incontri e i volantinaggi, tornando a casa, spesso a piedi. A volte a passaggi o a piedi siamo andati a Bivio Morelli, un sobborgo fuori dai confini comunali che ai tempi era poco urbanizzato e con ampie zone verdi. Lì facevamo una sorta di volontariato, soprattutto con i ragazzini del posto, che secondo noi erano un po’ isolati. Non eravamo gli unici in città a organizzare attività simili. Lo facevano anche altri gruppi, non solo tra i cattolici.
Tutte queste iniziative, incontri, manifestazioni, vendite militanti, presupponevano che le persone si vedessero e avessero tempo e voglia di parlare, di ascoltare almeno, anche per pochi minuti. Oggi le opportunità di comunicare sono infinite e meravigliose, rispetto al nostro glorioso ciclostile. Il problema è convincere l’interlocutore a spostare lo sguardo dal cellulare, togliere le cuffie dalle orecchie, e magari scendere dal monopattino elettrico o da altri aggeggi, che non ho nessuna intenzione di provare a utilizzare.
Oggi i movimenti e i gruppi sono un’altra cosa, mi pare. Tanti, specie quelli politici giovanili, non esistono più, almeno nelle arcaiche forme della militanza e dell’appartenenza a me note. Altri navigano in rete, pare che perfino nelle parrocchie siano in funzione gruppi social, per gli avvisi, per far circolare dei testi, per comunicare gli orari del catechismo. Fede in rete: Hai incontrato Gesù? Sì, No, Non lo so. (Barrare una sola casella).
Le ragazze e i ragazzi di pomeriggio si muovono come formiche operose, secondo gli interessi e l’estro del momento, tra palestre, scuole di calcio, corsi di danza, di musica e di inglese. I bambini vengono trasbordati da una ludoteca all’altra, hanno in agenda tante di quelle feste che fanno concorrenza ai Vip più invidiati. Quale messia potrebbe riuscire a dirottarli verso un cortile, verso un oratorio, verso un centro sociale per un dibattito politico (brividi di orrore al pensiero)? Se anche un volenteroso evangelizzatore si esibisse in una serie spettacolare di miracoli, magari in piazza Bilotti, credo che, al massimo, gli chiederebbero quale ultima versione sta utilizzando. Per la Play Station miracolosa. Questo effetto speciale del miracolo, che applicazione è?
Scuole d’inglese al posto delle sedi di CL
Credo che alcune ex sedi ospitino, attualmente, scuole di alta formazione per la lingua inglese. Ce ne sono così tante in città che, andando a spasso, ci si dovrebbe sentire come a Piccadilly Circus. Invece, per fortuna, mi sento rassicurato quando mi ritrovo nella solita atmosfera mediorientale delle strade della mia giovinezza. Tutti col naso sul cellulare, ci mancherebbe, ma nel consueto pittoresco chiacchierare ad alta voce dei fatti propri e altrui. Privacy in salsa calabra.
Davanti ai bar ci sono i tradizionali gruppi maschili che presidiano il territorio, ci sono i plotoni di ragazzi, e quelli di mezza età in fuga dai problemi di famiglia, poi i vecchi, veterani della riserva. Le ragazze seguono altri misteriosi percorsi, i due schieramenti si vedranno di notte. Di notte niente più libri sul comodino. Solo gli sfigati possono leggere di notte.
L’atmosfera mi tranquillizza sul successo dei corsi di inglese di altissimo livello. Forse quelli che superano gli esami, B2 e C2, poi vanno via, a Piccadilly Circus, Oxford, Cambridge e dintorni. Cosa dovrebbero fare, a Cosenza, col loro impeccabile accento di Oxford?
Una manifestazione di Comunione e liberazione
Che fine hanno fatto volantini, megafoni e striscioni?
I cellulari e la rete ci assicurano il posto nel terzo millennio, ma cosa ci portiamo dietro? Con quale bagaglio affrontiamo la globalità? Abbiamo lottato con sgomento per padroneggiare il Pc e il mouse, trenta anni fa, sapendo che era in gioco il nostro posto nel mondo.
La mia classe di ferro, 1961, la più numerosa del secolo, conserva ancora memoria del tempo arcaico del ciclostile, del telefono a gettoni, delle contrapposizioni ideologiche. Tutti tenevamo a essere diversi, a sbandierare i nostri testi sacri. Ogni gruppo aveva i suoi.
Dovremmo fare ancora uno sforzo per recuperare il nostro vissuto. Cosa accadeva nelle sedi degli altri gruppi? Quale modello di ciclostile utilizzavano? Cosa pensavano, gli altri, di noi? Cosa ne è stato dei più fieri e intransigenti contestatori? Quale buco nero ha inghiottito tutti i volantini, i megafoni, gli striscioni, le tessere e le agende su cui stavamo a scrivere come forsennati? E la nostra pretesa di leggere la realtà e giudicarla era solo assurda? Quelli che ci giudicavano degli esaltati avevano ragione? Bisogna stare con i piedi per terra? Cosa rimane di quegli anni? Come raccontarli ai ragazzi e alle ragazze della movida notturna?
Dopo qualche pausa qua e là negli ultimi anni, il 2023 segna il ritorno del Festival delle Invasioni a Cosenza, più moderno che mai eppure dal retrogusto nostalgico. La kermesse che ha caratterizzato le estati bruzie da una ventina d’anni a questa parte torna alle atmosfere post-punk e ai suoni elettronici degli albori. A dimostrarlo, la presentazione di oggi pomeriggio a Palazzo dei Bruzi, col programma svelato dopo settimane d’attesa.
L’organizzazione del festival
Il compito di organizzare il Festival che vide tra i suoi ideatori il compianto Franco Dionesalvi questa volta è toccato a Paolo Visci. È lui il direttore artistico di questa edizione, ma un contributo è arrivato anche dal consigliere comunale Francesco Graziadio. La logistica, invece, sarà cura di “L’altro teatro”, ossia Pino Citrigno e Gianluigi Fabiano.
Invasioni 2023 sarà una due giorni di musica nel centro storico di Cosenza. I concerti si terranno infatti in piazza XV marzo e nella Villa Vecchia. Le date scelte dal Comune sono il 13 e il 14 di luglio.
Cosenza, Invasioni 2023: il programma
Questo il programma del Festival delle Invasioni 2023 a Cosenza:
«Emme’ a Dario, Saverio e Settimio su Rainews!!!».
Spesso, in Calabria, perché un “evento” – scusate la parola – “culturale” – scusate la parola/2 – sia riconosciuto come tale serve un passaggio sulla Rai – fosse anche quella regionale («Compa’ ti ho visto al tg3»). In questo caso era il circuito nazionale e gli screenshot dei tre dioscuri – sì, è un paradosso – di Scena Verticale e della Primavera dei Teatri hanno riempito le chat ammirate dei cosentini in preda o meglio vittime del vorticoso zapping domenicale tra conflitto russo-ucraino, cronaca nera morbosa e celebrazione kitsch dello scudetto partenopeo.
Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano
Dal Pollino a New York
Domenica sera finiva a CastrovillariPrimavera dei teatri, 23esima edizione, mentre oggi inizia e finisce a New York l’evento – scusate la parola/3 – in occasione dell’uscita della prima compilation della Respirano Records, l’etichetta che il cosentino Luigi Porto ha fondato nella Grande Mela in pieno lockdown: la compilation ospita artisti di NYC e Cosenza. Si tratta di «un lavoro di ricerca durato un paio d’anni, ma abbiamo messo insieme dei bei pezzi e alcuni sono secondo me dei capolavori, alcuni di artisti sconosciuti al grande pubblico, stili differenti ma affini all’art rock/psichedelia», spiega Porto, che da oltre dieci anni lavora e vive di musica a Manhattan (sì, si può fare!).
Cervelli in fuga per scelta
In queste ore va lì in scena il release party nello studio della Respirano (nata nel 2021 da un’idea dello stesso Porto, in seguito affiancato dal compositore newyorkese Ray Lustig), una “monthly studio” night con un giro di diversi artisti che ruotano attorno, una sorta di mini Factory incentrata uptown Manhattan. Sette progetti newyorkesi e cinque made in Cosenza nella prima compilation, intitolata No Need To Fear: piedi nell’isolotto più bello del mondo, ma testa e braccia e cuore saldamente in Calabria, o nelle varie subcolonie occupate da cervelli (e strumenti) in fuga, spesso per scelta e non per necessità come invece piacerebbe e farebbe comodo a certa narrazione lacrimevole.
New York
Connettere New York e Cosenza
Non per essere ombelicali, ma tra i nomi degni di nota oltre a Porto segnaliamo i bruzi Gintsugi – al secolo Luna Paese, cosentina di nascita che da tempo vive in Francia – con le sue atmosfere intimiste e dilatate; Al The Coordinator, ovvero Aldo D’Orrico, poliedrico cantautore e chitarrista nato e cresciuto a Cosenza; Remo De Vico, compositore e sound designer anche lui nato e cresciuto a Cosenza, dove ha fondato il laboratorio elettroacustico del Miai; infine Paolo Gaudio, batterista, compositore e sound designer, classe 1991, che invece vive e lavora a Milano.
Per una volta non è la fuffa de «il/la cosentin* che fa le sue cose all’estero» ma è proprio un lavoro internazionale che connette Nyc con Cosenza. Bravi.
Primavera dei teatri: un dovere morale
Primavera dei Teatri, al contrario, non è una performance di una serata bensì quella che definiremmo una manifestazione lunga, riconosciuta e storicizzata. E soprattutto ospitata da sempre in Calabria, toponimo che indica la location – scusate la parola/4 – ma anche il sostegno istituzionale.
Eppure la novità di quest’anno è stata tornare «alla sua collocazione primaverile, anche prendendoci il rischio di non attendere l’avviso pubblico regionale sugli eventi – spiegano Dario De Luca, Saverio La Ruina e Settimio Pisano– che da anni sostiene economicamente il festival per due terzi del suo budget. Primavera dei Teatri, che apre ogni anno la lunga stagione festivaliera in Italia, deve poter assolvere alla funzione di presentare e accompagnare i debutti nazionali. (…) Inoltre (…) nasce da un dovere morale verso i cittadini di una regione carente di offerte culturali. (…) La grande sfida è stata e rimane quella di avvicinare la gente comune» al palcoscenico e a ciò che gli ruota intorno.
Ospiti da tutta Italia
Se a New York ci sono i cosentini come ospiti, a Castrovillari gli ospiti sono le compagnie teatrali di tutta Italia. Il festival diretto da La Ruina, De Luca e Pisano ha presentato oltre 40 momenti di spettacolo dal vivo tra teatro, danza, musica e performance accompagnati da residenze creative, workshop, reading, presentazioni di libri e convegni: 16 debutti assoluti, 4 anteprime, 4 coproduzioni e 3 progetti internazionali. Lo stesso De Luca ha proposto il suo Re Pipuzzu fattu a manu – Melologo calabrese per tre finali con Gianfranco De Franco, mentre La Ruina ha portato in scena il suo ultimo lavoro Via del Popolo, nelle stesse ore in cui veniva candidato come migliore novità al premio Le Maschere del Teatro italiano.
Gianfranco De Franco
Primavera dei teatri oltre le «splendide cornici»
Contro i numeri zero delle sagre mordi e fuggi con tanto di neomelodico nella «splendida cornice» di un borgo magari resiliente – scusate la parola/5 –, ecco invece una mole non indifferente di nomi, cifre – stilistiche e di presenza – e copertura mediatica che smentiscono il mantra delle prefiche calabre («qui non si può fare nulla»).
Capannoni abbandonati restituiti alla fruizione artistica, tributi in morte a Renato Nicolini e Franco Scaldati e in vita alla iconica – scusate la parola/6 – Patrizia Valduga. Momenti di sogno, silenzio e aggregazione, riflessione, risate e commozione.
Certo serve sostanza ed esperienza per riempire di magia un festival. «Che lavoro fai?». «L’attore». «Ok, ma il vero lavoro?». «Questo. Questo che vedi». Anche in Calabria si può.
Iniziamo dall’ultimo capitolo del dibattito sulla Grande Cosenza. Per la precisione, dal convegno, intitolato senza troppa fantasia Fusione dei Comuni, svoltosi a Rende il 31 maggio. Cioè nella città che più teme di confluire nel Comune unico assieme a Cosenza e Castrolibero perché considera la fusione un’annessione tout court al capoluogo.
E forse e così e i timori non sono infondati. Tuttavia, nel dibattito, promosso dai gruppi di opposizione, non è emerso un no secco. Ma il classico “ni”: un disegno di legge regionale alternativo a quello proposto da Pierluigi Caputo e approvato a Palazzo Campanella il 23 maggio.
Ni, in questo caso non è “sì ma”, bensì un altro modo per dire no. Infatti, il ddl, elaborato dal demagistrisiano Andrea Maria Lo Schiavo e dal grillino Davide Tavernise, rimette dalla finestra ciò che la legge Omnibus aveva cacciato dalla porta: il ruolo centrale (ovvero il potere decisionale) dei Comuni e, soprattutto, dei cittadini. Che possono dire sì o no alle fusioni anche a discapito delle delibere dei loro municipi.
Tutto il contrario di quel che prevede la recente, criticatissima, normativa della Regione, che invece bypassa Consigli e Giunte e dà un valore consultivo ai referendum popolari.
Pierluigi Caputo, il primo firmatario della legge Omnibus
Grande Cosenza: c’è chi dice nì
Facciamo una carrellata del tavolo rendese: tolti i due consiglieri regionali, che non hanno rapporti diretti con l’area urbana, sono tutti protagonisti di primo piano della politica Rendese. A partire da Sandro Principe, che incarna la memoria storica della città, a finire a Massimiliano De Rose. Passando per l’evergreen Mimmo Talarico.
Nessuno di loro può dire no all’idea della grande Cosenza. Soprattutto per un motivo: il progetto fu lanciato negli anni ’80, in piena golden age del socialismo rendese, dall’allora sindaca Antonietta Feola. E, per quel che riguarda Principe, è doveroso ricordare i dibattiti (e i bracci di ferro) col vecchio Giacomo Mancini sull’area urbana e, in prospettiva, sulla città unica.
Durante il dibattito rendese le associazioni hanno dichiarato guerra e si preparano alle carte bollate per stoppare il referendum. Parrebbe, così ha confermato il docente Unical Walter Nocito, con buone possibilità di successo.
Ma il problema reale non è giuridico né tecnico (anche se diritto e amministrazione hanno un peso non proprio secondario): è politico.
Sandro Principe
Le leggi? Pesano ma…
Il dibattito sulla fusione, variamente definita “a freddo” o autoritaria, si può dividere in due fasi: prima e dopo il 22 maggio, giorno della contestata approvazione della legge Omnibus.
Nel prima, si sono sentiti tutti in dovere di impartire lezioni di Diritto costituzionale. Sulle quali non è il caso di impegnarsi troppo. Giusto una battuta per dire che la legge Omnibus è costituzionale solo perché il Titolo V della Costituzione, riformato nel 2000, è piuttosto ambiguo e permette queste e altre soluzioni. Meglio ancora: la fusione a freddo è legittima come lo è l’autonomia differenziata.
Il dato più importante della legge per la città unica è la deadline: 1 febbraio 2025. Venti mesi in cui organizzare i referendum (di cui la Regione può non tener conto), predisporre il nuovo organigrammi amministrativi. E, infine, andare al voto in un quadro mutato del tutto, con aggregazioni politiche diverse e leadership storiche che saltano. Mettiamo da parte (per ora) le dietrologie e andiamo al succo: i numeri.
Il grande massacro a Cosenza
Per Cosenza, sulla carta, non cambia nulla. Quindi cambia tutto. Il Consiglio comunale della nuova città avrà 32 componenti. Gli stessi dell’attuale capoluogo.
Ma questi consiglieri saranno spalmati su 109.149 abitanti, in pratica la somma delle anagrafi dei tre Comuni in fusione.
Caliamo questi numeri nella realtà politica delle tre città. Franz Caruso è diventato sindaco di Cosenza nel 2021 con 14.413 voti. Cioè col 57,6% dei votanti.
A questo punto calcoliamo in maniera ipotetica gli aventi diritto al voto della città unica, che con una certa prudenza sarebbero il 75% degli abitanti. Cioè 81mila e rotti. Quindi, per diventare sindaco della città unica Caruso dovrebbe prendere 48mila voti e rotti. Più di tre volte tanto.
Franz Caruso (foto Alfonso Bombini)
Manna è stato confermato sindaco di Rende nel 2019 con 9.217 voti, ovvero il 57,13% dei votanti. Nella nuova città dovrebbe prenderne più o meno come Caruso. Ma per lui lo sforzo sarebbe enorme: sei volte tanto i voti del 2019.
La situazione più estrema è quella di Orlandino Greco, tornato sindaco di Castrolibero alcuni giorni fa con 4.143 voti, ovvero il 77,7% dei votanti. Proiettare il suo dato sulla città unica è una cattiveria inutile…
Ma il vero gioco al massacro riguarderebbe i consiglieri. Sui quali si può fare un calcolo grossolano, astratto ma semplice: la divisione degli aventi diritto per 32. In parole povere, ci vorrebbero 2.531 elettori per fare un consigliere.
Questa soglia, grossolana e astratta metterebbe in serie difficoltà tutti i mattatori del voto delle tre città, a partire da Francesco Spadafora, il consigliere cosentino più votato. O, sempre per restare a Cosenza, un altro big delle urne come l’immarcescibile Antonio Ruffolo, alias Mmasciata, alias Lampadina.
Una strana legge
I sostenitori della legge Omnibus hanno quindi ragione su un punto: chi contesta lo fa anche per il timore di perdere la poltrona. Comprensibile in chi è sindaco da poco e gestisce una situazione finanziaria pesante (Caruso) o in chi è tornato primo cittadino da pochissimo, con tante voglie di rivalsa (Greco),
Anche i critici hanno la loro buona fetta di ragioni: il meccanismo della legge Omnibus non è quel modello di democrazia. A dirla tutta, innesca un processo senz’altro dirigista (direbbero quelli bravi), che funziona davvero dall’alto verso il basso e dà alla Regione (o meglio, a chi ne controlla la sala dei bottoni) un potere di impulso notevole, praticamente inedito in Italia.
Per di più, questo meccanismo sarebbe replicabile su tutto il territorio, con i dovuti adattamenti, se l’esperimento cosentino andasse bene. E ciò scatena le critiche più tardive, ad esempio quella di Fausto Orsomarso, che ha steccato nel coro del centrodestra all’ultimo momento utile.
Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)
I maligni (e bene informati) sussurrano due cose. La prima riguarda il rapporto tra il senatore di Fdi e Orlandino: quest’ultimo avrebbe sostenuto il Faustone di Calabria nella corsa a Palazzo Madama e SuperFausto si sarebbe “disobbligato”. La seconda tocca, invece, i rapporti tra il senatore meloniano e vari sindaci di Comuni bonsai, che potrebbero cessare di esistere in seguito a fusioni più o meno “coatte”. I soliti maligni riferiscono di solidi legami, maturati durante gli assessorati regionali di SuperFausto.
Ovviamente nessuno ce l’ha con Orsomarso: il suo, se confermato, è solo un esempio ripetibile sulla totalità dei consiglieri regionali attuali. In pratica, le fusioni biturbo potrebbero devastare la cinghia di trasmissione del potere e dei relativi consensi dal Pollino allo Stretto. Di più: potrebbero diventare uno strumento particolarmente acuminato e low cost in mano ai vari inquilini dei piani alti di Germaneto per disegnare il territorio regionale a proprio uso e consumo.
Fausto Orsomarso (foto Alfonso Bombini)
Cosenza, grande ma zoppa (e artritica)
Torniamo al presente più immediato. L’area urbana che si appresta a diventare città è una zona in crisi grave. Politica, amministrativa e di leadership.
Andiamo con ordine. Il dissesto di Cosenza è più che noto. E sono altrettanto note le attuali difficoltà finanziarie del capoluogo, che proprio non riesce a smaltire il suo passivo. Detto questo, Rende sta meglio ma non troppo: nonostante gli annunci dell’attuale amministrazione, la città del Campagnano non è ancora fuori dal predissesto. Nei fatti, la situazione è uguale a quella cosentina (sebbene con prospettive meno gravi): tasse a palla.
Passiamo al livello politico. Al momento, il Comune più stabile è Cosenza. Rende, al contrario, è decapitata a livello politico e decimata a livello amministrativo dalle inchieste della magistratura. E la situazione potrebbe peggiorare: i soliti maligni, che coincidono coi bene informati, considerano prossimo lo scioglimento per mafia.
Dalle vicissitudini giudiziarie emergono i problemi di leadership. Sotto quest’aspetto, l’unico a non avere guai è Franz Caruso. Il quale, tuttavia, a dispetto di una lunga militanza nell’area socialista, non ha il peso necessario per guidare l’eventuale amalgama tra le tre città.
Sindaci nei guai
Sul caso di Marcello Manna, che da sindaco alla fine del secondo mandato (quindi non ricandidabile a Rende), avrebbe potuto coltivare altre ambizioni, sono necessarie considerazioni più complesse. È vero che Manna, “nato” col centrodestra, ha goduto in realtà di un appoggio bipartisan. Tuttavia, i suoi incidenti giudiziari (per i quali è doveroso il massimo garantismo) azzoppano non poco ogni ipotesi, reale o virtuale.
Orlandino Greco
Più sfumato il discorso su Orlandino Greco (per il quale vale il medesimo garantismo). Il neo ri-sindaco di Castrolibero affronterà entro la fine dell’estate alle porte l’ultima udienza del processo di primo grado in cui è imputato per presunti fatti di mafia. È un primo cittadino sub iudice, le cui vicende potrebbero condizionare non poco, nell’ipotesi peggiore, la stabilità amministrativa del suo Comune.
Discorso simile, ma non troppo, per il convitato di pietra del dibattito furioso che ha accompagnato l’approvazione della legge Omnibus: Mario Occhiuto. Secondo molti, l’ex sindaco di Cosenza è il potenziale primo-cittadino “ombra” della città unica. Tuttavia, la recente condanna in primo grado, frena le ambizioni, che il diretto interessato non ha confermato (ma neppure smentito in pubblico).
Rende l’anello debole della grande Cosenza
In tutto questo, come già detto, l’anello debole è Rende, di cui ancora non è certa l’uscita dal predissesto ed è invece probabile, così dicono i malevoli, lo scioglimento per presunte infiltrazioni mafiose.
Se ciò avvenisse, Rende arriverebbe alla fusione senza alcuna guida politica, neppure quella supplente dell’attuale facente funzioni Marta Petrusewicz. Ma, anche a prescindere dai terremoti giudiziari, la città del Campagnano rischierebbe di perdere non poco del proprio peso socio-economico. Vediamo come.
Innanzitutto, perché diventerebbe la periferia est della nuova città unica, che nella versione attuale non include Montalto Uffugo. In seconda battuta, perché rischierebbe di perdere non pochi servizi, che finirebbero inghiottiti dal dissesto del capoluogo. Infine perché la mancata inclusione di Montalto esaspererebbe la competizione, già in corso, tra i due territori ad est dell’area urbana.
Marta Petrusewicz
Montalto contro Rende?
Questa competizione, in primo luogo è fiscale: le zone industriali di Rende e Montalto hanno una perfetta continuità geografica. Ma Montalto costa meno a livello di tasse e ciò, nel recente passato, ha provocato l’“emigrazione” di varie attività da Rende.
A questo si deve aggiungere l’attrattiva delle nuove infrastrutture, progettate nel territorio montaltese: la stazione ferroviaria per l’alta velocità e il nuovo svincolo dell’autostrada. Tutto ciò potrebbe trasformare la concorrenza, già aggressiva, in dumping vero e proprio. Fuori dalla città unica, Montalto continuerebbe a crescere a danno di Rende.
La mappa politica della città unica (senza Montalto)
Inizia la battaglia
I tre sindaci interessati dalla fusione promettono guerra. E le associazioni iniziano a muoversi con una certa cattiveria.
Tutti i pronostici, al momento, sono prematuri. Giusto una considerazione per chiudere: da oggetto del desiderio, la grande Cosenza è diventata motivo di discussioni infinite. Che però non spostano di una virgola la portata del problema: l’anomalia di una delle province più grandi d’Italia che fa capo a una città sempre più piccola e frazionata in 150 Comuni, di cui solo 14 superano i 10mila abitanti. Qualcuno, prima o poi, dovrà metterci mano. O no?
Sessant’anni fa, nel 1963, a Cosenza, viene pubblicato il primo dei Quaderni di cinema del circolo Mondo Nuovo. L’informazione si ricava dal terzo, dato alle stampe a Cosenza nel febbraio 1964. Un fascicolo di 54 pagine, con testi di Guido Aristarco, Pio Baldelli, Tommaso Chiaretti, Adelio Ferrero, Giampiero Mughini.
Antonio Lombardi, tappezziere e agit prop
Antonio Lombardi, animatore del circolo Mondo Nuovo, presenta il terzo numero dei Quaderni, dedicato ai problemi della critica della settima arte, precisando che il secondo fascicolo è stato stampato in 500 copie, «testimonianza del successo della nostra iniziativa e in direzione della diffusione e della divulgazione della cultura cinematografica». Nello stesso testo Lombardi annuncia che il quarto numero è già in preparazione e sarà dedicato a Cinema italiano 1943-1963.
Da Fellini a Moretti
Per tutto il periodo della sua attività, tra il 1960 e il 1980, il circolo Mondo nuovo dedica una particolare cura al cinema, organizzando rassegne di film e dibattiti, a cui interviene un pubblico non solo giovane (i fondatori del circolo sono ragazzi poco più che ventenni). Si era nella stagione d’oro, registi italiani come Fellini, Visconti, Antonioni, Pasolini e tanti altri erano studiati e imitati, premiati nei concorsi internazionali.
In una registrazione relativa alle origini del circolo, Antonio Lombardi, circa venti anni fa, mi aveva raccontato le sue prime incursioni nel mondo della critica cinematografica, nel clima di grande emozione suscitato dai fatti di Ungheria del 1956. Quel momento rievocato di recente da Nanni Moretti ne Il sol dell’avvenire, che spinse tanti intellettuali e semplici militanti ad allontanarsi dal Partito comunista italiano e a cercare nuove strade. In quel clima di delusione, di ripensamento, di ricerca di nuove modalità espressive, si costituisce il gruppo di amici, a Cosenza, che darà vita a Mondo nuovo, che sorge ispirandosi all’omonima rivista fondata da Lucio Libertini.
Vittorio De Sica, icona e maestro del cinema
La Ciociara che divide
Ragazzi appassionati di politica e del nuovo linguaggio del cinema, così racconta Lombardi:
«A proposito di Chiaretti nel 1960 facemmo una discussione, a Mondo nuovo, su La ciociara di De Sica, tratto dall’ultimo per me grande romanzo di Moravia. Per me il film valeva poco. Chiaretti invece ne scrisse in termini positivi, allora per la prima volta presi la macchina da scrivere e mandai una lettera a Chiaretti, che Libertini pubblicò insieme alla replica di Chiaretti (Libertini mi conosceva, era venuto a Cosenza ad inaugurare Mondo nuovo). Chiaretti nella replica mi invitava a leggere le posizioni critiche di Galvano Della Volpe nella sua Critica del gusto. Insomma queste riviste non ortodosse mi hanno formato, riviste nate da posizioni minoritarie, come quelle di Libertini, polemico con la dirigenza socialista fin dal 1948, quando si era schierato con Tito contro Stalin, e fondato l’Unione socialista indipendente, un piccolo partito, durato fino al 1956».
Una Olivetti sgangherata
Lombardi senza nessuna timidezza va, dal suo primo intervento, oltre i confini della sua città, è convinto che sia necessario, da subito, allacciare rapporti con gli intellettuali e gli autori, partecipando agli incontri più innovativi e importanti, come quelli a Porretta Terme. Sarà sempre questo il suo modo di operare, diretto e personale, con la Olivetti ormai sgangherata che ha utilizzato fino alla fine, per molti anni dopo la chiusura del circolo.Il testo di Tommaso Chiaretti pubblicato sul Quaderno numero 3, La critica cinematografica tra industria culturale ed organizzazione di partito, è la relazione tenuta a Porretta Terme al convegno Cinema e critica oggi (10-12 settembre 1963). Lo stesso vale per il testo di Guido Aristarco, Realismo, decadentismo e avanguardia nel cinema contemporaneo.
I Quaderni di cinema partoriti nella fucina di Mondo Nuovo
Nella registrazione già citata Lombardi racconta: «Nel 1964 ho fatto un viaggio importante, prendendo contatto con persone come Chiaretti, chiedendogli di collaborare con Giovane critica» di Giampiero Mughini.
Insomma abbiamo dedicato qualche pagina a Chiaretti, che in quel momento non se la passava bene. Questo viaggio nasceva da uno precedente, nel 1963, quando sono stato invitato a Porretta Terme, al Festival del cinema libero, in cui si alternavano proiezioni e dibattiti. Il Festival del 1963 era dedicato alla critica cinematografica, Aristarco era invitato a parlare dell’avanguardia, Chiaretti sul rapporto tra organizzazione partitica e industria culturale.
Intellettuali, borghesi, avanguardisti
C’era anche Giuseppe Ferrara, che ancora non era passato alla regia. Dibattito animatissimo, con una frattura tra gli intellettuali di sinistra, tra chi propendeva per un’integrazione nel sistema dell’industria culturale. E chi invece voleva mantenere le distanze. Era in discussione ben altro, non la critica cinematografica, Mughini non colse questo aspetto. Il nocciolo della questione era la possibilità di fare opposizione di sinistra in Italia. Il capofila della critica ad Aristarco era Lino Miccichè, critico cinematografico de L’Avanti. Sui Quaderni di Mondo nuovo abbiamo pubblicato integralmente la relazione di Aristarco, e lui non perdeva occasione di citarla. Dibattito proseguito a lungo sui giornali, intanto sono andato in giro per capire cosa di pensava in giro.
L’intervento di Chiaretti, Le ragioni dell’avanguardia, a questo proposito mi aveva colpito anche l’intervento di un altro critico, Mario De Micheli, autore de Le avanguardie artistiche del ‘900. Si dibatteva dell’avanguardia sempre a partire dalla crisi dello stalinismo. Il problema non era solo liquidare l’avanguardia come prodotto borghese, decadente, De Micheli e Chiaretti rileggono la crisi che tra gli intellettuali si apre nel 1848 e giunge al culmine nel 1871.
Questi intellettuali non arrivano a posizioni veramente rivoluzionarie, ma sono degli irregolari, a livello artistico questa è l’avanguardia. Molti critici ritengono che il realismo moderno non sia la continuazione del grande realismo borghese ottocentesco. De Micheli e altri pensano a un incontro tra le manifestazioni dell’avanguardia, con le rotture dei linguaggi tradizionali, solo da questa sintesi nasce il moderno realismo rivoluzionario. Ad esempio Majakovskij e Brecht, con il futurismo e l’espressionismo.
Mughini per Mondo Nuovo
Mondo nuovo aveva stretti legami con il Centro universitario cinematografico, CUC, di Catania, animato da Giampiero Mughini, che invia agli amici cosentini un suo contributo per il Quaderno, Vecchio e nuovo nella critica cinematografica.
Gli autori del terzo numero dei Quaderni di cinema sono critici militanti, noti e affermati già in quegli anni, spesso al centro di polemiche roventi, accompagnate da risvolti giudiziari. Nel 1953 Guido Aristarco, direttore di Cinema nuovo, viene arrestato per vilipendio delle forze armate, per aver pubblicato sulla rivista da lui diretta un soggetto cinematografico, L’armata sagapò, relativo alla condotta dei militari italiani in Grecia durante la seconda guerra mondiale. Aristarco e Renzo Renzi, autore del testo, trascorrono quarantacinque giorni nel carcere militare di Peschiera. Sono condannati a scontare rispettivamente quattro mesi e mezzo e otto mesi, ma rimessi in libertà grazie alla mobilitazione della stampa e dell’opinione pubblica.
Il regista e attore Nanni Moretti
Quel che resta del cinema a Mondo Nuovo
Nonostante la diffusione in centinaia di copie dei Quaderni di cinema non sono riuscito a trovare gli altri numeri, il primo, il secondo e il quarto, quelli che sicuramente sono stati pubblicati. Nemmeno nelle biblioteche pubbliche sono consultabili, almeno non risultano nel Sistema bibliotecario nazionale, SBN. Potrebbero trovarsi forse in qualche fondo librario non catalogato. Come accade spesso per gli archivi dei gruppi e delle associazioni, gli animatori del circolo, ragazzi estranei alla cultura ufficiale, all’epoca non si preoccupavano di depositare le copie dei propri stampati, né evidentemente di consegnarli direttamente alle biblioteche pubbliche.
Questo terzo fascicolo, recuperato fortunosamente, apre le porte di un mondo ormai lontano, per certi versi superato, gravato da schematismi ideologici oggi incomprensibili. Ma ci conduce nel cuore del dibattito politico e artistico degli anni Sessanta, seguito con interesse a Cosenza da centinaia di persone. Come nelle palazzine del quartiere romano, dove Silvio Orlando nell’ultimo film di Nanni Moretti, si interroga sul suo ruolo di segretario di sezione del P.C.I. davanti al dramma del popolo ungherese.
Probabilmente sarebbe ancora possibile reperire queste pubblicazioni in qualche biblioteca privata, anche molto lontano da Cosenza, dato che il circolo Mondo nuovo e Antonio Lombardi in particolare, intratteneva una fitta corrispondenza con centri e persone di ogni parte d’Italia. Sarebbe un modo per recuperare uno dei tanti tasselli dispersi della vita culturale cittadina, non per municipalismo, ma al contrario per documentare i legami e gli scambi che da Cosenza si intrecciavano con le più vivaci energie del tempo.
Qualche anno fa si sarebbe scritto okkupato con quella “k” d’ordinanza sulle pareti. Oggi l’ossatura dei centri sociali è profondamente cambiata. Mutata nei linguaggi e nei codici, non nello spirito e nell’impegno di luoghi come Sparrow a Rende. Spa sta per spazio precario autogestito, arrow in inglese è la freccia. Ma non può sfuggire il riferimento al pirata dei Caraibi più famoso del cinema. Interpretato da Johnny Depp.
L’ingresso del centro sociale occupato Sparrow a Rende (foto Alfonso Bombini)
Da Zenith a Sparrow
Federico è uno degli attivisti della prima ora. Sparrow nasce con gente come lui, allora studente di Scienze politiche all’Università della Calabria: «La lotta sociale autogestita aveva come base il Polifunzionale, il nostro collettivo si chiamava Assalto». Anni di impegno politico, quelli dell’Onda, per questi ragazzi con l’Aula Zenith diventata catalizzatore di esperienze antagoniste.
Federico, uno dei fondatori dello Sparrow (foto Alfonso Bombini 2023)
«Occupata durante la Riforma Moratti, poi rioccupata – ricorda – con le mobilitazioni contro la Gelmini». Cambiano i Governi, resta il solito vizio tutto italiano di mettere mano, provocando danni, alla pubblica istruzione.
Sparrow cresce e resiste, gli accenti sono sempre quelli delle tante Calabrie di stanza all’Unical. Studenti, precari, creativi, sindacati di base come i Cobas con una sede fino a poco tempo fa proprio nel centro sociale. Pochi giorni fa Sparrow ha compiuto dieci anni. Cifra tonda, da farci una festa di due giorni. E così è stato. Nonostante le insidie di una pioggia fuori stagione.
Antonino Campennì, insegna Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università della Calabria (foto Alfonso Bombini)
Difendere spazi di libertà
Antonino Campennì, professore di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Unical, spiega perché un presidio così va difeso: «Negli ultimi anni i motivi per vivere un centro sociale sono aumentati. Dalla crisi del 2008 tante cose sono cambiate. Gli spazi di libertà si sono ridotti ulteriormente», complice anche «il lockdown e lo Stato autoritario». Il prof lo dice da «vaccinato». Chiama in causa uno dei problemi centrali delle nostre vite: il capitalismo securitario e quello della sorveglianza.
Oggi la sfida è salvaguardare un perimetro che sia «inattaccabile dai condizionamenti esterni, dalle logiche del mercato, dove- aggiunge Campennì – puoi comprare una birra e ascoltare un concerto con pochi euro».
L’ex succursale abbandonata del liceo Pitagora «poteva essere demolita e capitalizzata, gettata nel calderone delle speculazioni immobiliari ed edilizie, comunque sottratta ai cittadini. Noi siamo qui da dieci anni e lo abbiamo impedito».
Uno dei numerosi live allo Sparrow (foto Alessandro Aiello)
Punk e metal a via Panagulis
Quel che resta del movimento Punk, Skin, Hardcore e Metal dell’area urbana ha subito trovato spazio e ospitalità nell’occupazione di Via Panagulis. Mario, adesso vive e lavora in Spagna, ci racconta la musica che gira intorno allo Sparrow: «In dieci anni sono state centinaia le band underground nazionali e internazionali passate da noi (Hobophobic, Hexis, The Devils, Stormo, Bull Brigade, Arsenico, Plakkaggio, Bunker 66 solo per citarne alcuni). E molte sono partite dalla sala prove autogestita per suonare poi in tutta Italia come Shameless, Eterae, Across e recentemente i Guasto».
Tra il 2014 e il 2015 matura l’idea di una sala prove autogestita, pensata soprattutto per quei gruppi con poca o nessuna dotazione economica. Il diritto alla musica fuori dalla logica del mercato.
Creativi e resistenti
Sparrow è un fortino di resistenti dove hanno radici una serie di esperienze diverse. Dal 2017 prova e mette in scena spettacoli il Kollettivo Kontrora. La pandemia ha un po’ limitato, come era prevedibile, tutte le attività negli anni precedenti organizzate nel centro sociale. Il cinema ha ripreso il suo corso con le ultime proiezioni di una retrospettiva dedicata a David Lynch. Sudore e fatica sono i protagonisti nelle stanze adibite a palestra con un piccolo ring. Qui Carlo allena i suoi ragazzi alla nobile arte. Boxare per resistere. Intanto il negozio gratis continua ad essere uno dei fiori all’occhiello di Sparrow. Un altro pezzo di sharing economy in città. Migranti, studenti, pensionati, famiglie in difficoltà e appassionati del vintage trovano qualcosa da donare o prendere per sé. Non è cosa da poco. Combattere la crisi con la condivisione, percorrendo strade poco battute. Come ha fatto Sparrow in questi primi 10 anni.
Ma dove sta la differenza tra un racconto e un romanzo? Risponde a questa domanda Peter Cameron con la sua consueta asciuttezza: «Nel primo caso il lettore arriva subito nella scena, nel secondo ci sistemiamo, ci accomodiamo e prendiamo qualcosa». Da bere. Il sottinteso era davvero facile da capire.
Lo scrittore americano ha parlato del suo ultimo libro (Cosa fa la gente tutto il giorno?), ospite del Premio Sila ‘49 di scena ieri a Palazzo Arnone, sede della Galleria Nazionale di Cosenza. Un “colpaccio” letterario internazionale per un premio che rappresenta uno dei punti di riferimento per la scena culturale calabrese. E del resto il nome di Cameron è lì a testimoniarlo.
Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila
Saluti di Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila. Poi subito l’intervista al narratore che si divide tra New York («energia di chi crea») e il Vermont. Caos e pace. Un po’ la sintesi della scrittura.
Intervistato dall’agente letterario Marco Vigevani, ha sentenziato: «Non ci sono personaggi banali, dipende sempre dalla prospettiva con la quale li guardi».
Un racconto a Cosenza?
Non poteva mancare una domanda tutta cosentina di Vigevani. «Come ambienterei un racconto a Cosenza? In realtà – risponde lo scrittore – per me è davvero molto difficile rispondere a questo interrogativo, d’altronde io non scrivo in maniera consapevole: devo aspettare che qualcosa in me sedimenti, che le immagini diventino storie. Tuttavia – conclude – adesso che ho avuto modo di ascoltare le mie parole in italiano, grazie alle letture dei miei libri, capisco perché a queste latitudini io piaccia molto: i miei romanzi e i miei racconti sono molto più belli nella vostra lingua».
È così, dunque, che il Premio Sila ’49 apre alla letteratura straniera, con un incontro che inorgoglisce ed entusiasma tutti. Compresi la direttrice del Premio Gemma Cestari e il presidente della Fondazione Premio Sila Enzo Paolini che chiudono con queste parole: «Peter Cameron ci ha dimostrato amicizia, siamo molto contenti che sia qui. Le storie che scrive a New York e in Vermont abitano nei nostri cuori, potrebbero essere state scritte a Cosenza, sono universali. Non le dimenticheremo, così come non dimenticheremo questo momento, il primo, con uno scrittore di fama internazionale, di una lunga serie».
Pubblico numeroso a Palazzo Arnone per Peter Cameron
Tra i suoi libri, compaiono testi come Anno bisestile, Il weekend, Andorra, Un giorno questo dolore ti sarà utile, In un modo o nell’altro. Autore molto amato in Italia. E il grande successo di pubblico dell’evento organizzato dalla Fondazione Premio Sila ne è prova. Così come il lunghissimo firma copie prima di lasciare Palazzo Arnone. Goodbye mister Cameron.
Cosenza è la città dei Bruzi, dei sette colli, dell’imponente castello normanno, della stauroteca donata da Federico II di Svevia, dei natali del filosofo naturalista Bernardino Telesio. È un centro di interesse storico-culturale in una regione a vocazione turistica che nel suo corredo naturale vanta meravigliosi altopiani e coste marine a perdita d’occhio.
Cosenza, però, è anche una città che ancora combatte contro i sacchi di immondizia abbandonati negli angoli delle strade. Un banale gesto di inciviltà che, nel quadro del più complesso tema della riduzione dei rifiuti, è tra le sfide che uniscono in battaglia un gruppo di attivisti provenienti da varie associazioni della città che, non a caso, è anche la capitale italiana 2023 del volontariato.
Rifiuti abbandonati nella parte vecchia della città di Cosenza (foto Francesco Bozzo)
“Munnizza social club”
Rifiuti è proprio il titolo di una recente mostra, voluta da un collettivo di associazioni e cooperative, denominato Munnizza social club, in collaborazione con GAIA (Galleria Arte Indipendente Autogestita), un suggestivo spazio dedicato all’arte, a pochi passi dal duomo romanico-bizantino, nel cuore della città vecchia. L’iniziativa presenta il lavoro di cinque artisti (Federico Scoponi Morresi, Antonio Spadafora, Nando Segreti, Francesco Bozzo e Rosanna Maiolino) interpreti, ognuno a suo modo, con fotografie, sculture e istallazioni, dei rifiuti, come parte residuale dello sfrenato consumismo da cui siamo costantemente corrotti”, ma anche come “negazione del margine e della periferia”. Il fotografo Francesco Bozzo, ad esempio, realizza un reportage dedicato ai cumuli di immondizia stipati negli angoli più disparati della città, forse dove un tempo c’erano i bidoni di conferimento del residuo urbano, ormai scomparsi con la raccolta differenziata.
La differenziata dal basso
Nonostante il nome informale e canzonatorio, Munnizza social club esordisce sul territorio bruzio presentando, nel giugno 2022, un documento dal titolo Proposte ed idee per il capitolato speciale d’appalto del bando per l’affidamento del servizio integrato di igiene urbana della città di Cosenza, rivolto all’amministrazione comunale e sottoscritto da numerose associazioni cittadine. Il documento contiene otto proposte concrete, dal piano di comunicazione alle modalità di conferimento nelle isole ecologiche, per migliorare il sistema di raccolta differenziata cittadino – specie nei quartieri periferici, lasciati, secondo i firmatari, in uno stato di abbandono – e per avviare attività di recupero e riuso dei materiali, in ottica circolare.
Un cartello non basta a fermare gli incivili (foto Francesco Bozzo)
Il R-party entra nei quartieri
Da allora, il club, anche se l’interlocuzione con l’amministrazione si è fermata alle parole, ha proseguito la sua azione sul territorio, con eventi dimostrativi e di sensibilizzazione sul tema della riduzione dei rifiuti e della cultura del riuso e della riparazione. Non a caso, la mostra Rifiuti, cornice di eventi a tema, come dibattiti e presentazioni di libri, ha chiuso in bellezza, il 7 maggio, con un R-party, che ha portato in piazza numerose realtà cittadine al motto di “ridurre riusare, riciclare”. Le associazioni radunate in piazza Piccola sono molte e varie. C’è chi si batte per la difesa dell’ambiente, ma anche per l’inclusione sociale, i diritti delle donne, la sicurezza alimentare, contro le discriminazioni e gli sprechi. Le attività vanno dai laboratori per bambini alla ciclofficina, senza tralasciare spazio per il cibo, la socialità e il divertimento.
L’anima creativa dei bruzi
La città ha una speciale vocazione alla creatività e alla contaminazione. Tra le originali iniziative dei R-Party trova spazio un mercatino Sbarattino, dove chiunque porta qualcosa che non usa più, ma che è ancora in buone condizioni, per essere barattato con qualcos’altro o venduto a prezzi popolari. Poi sono presenti le associazioni, tra queste, la Terra di Piero e Verde Binario. La Terra di Piero, impegnata tra le tante cose in attività umanitarie in Africa, propone la costruzione di un telaio artigianale per cucire una coperta gigante che andrà a coprire interamente piazza Bilotti, come atto dimostrativo contro l’infibulazione femminile. Verde Binario, realtà attiva già dal 2002, porta in piazza la pratica del “trashware”: in risposta all’obsolescenza programmata, vecchi computer vengono riparati e rimessi in funzione grazie all’utilizzo di software libero, salvandoli dal cassonetto.
Conzalab: riparare vuol dire partecipare
Tra le realtà che animano l’appuntamento R-Party, alla sua quarta edizione dal 2022, troviamo il ConzaLab, un laboratorio che promuove espressamente il valore della riparazione (conza vuol dire in cosentino “aggiusta”). ConzaLab è uno spazio, aperto al pubblico ogni sabato mattina dove, con la collaborazione di ex riparatori di professione e volontari, si può portare ad aggiustare di tutto, dal frullatore allo smartphone. Il laboratorio, alla stregue dei vari repair café in voga in molte città europee così come a New York, punta sulle potenzialità dello scambio di conoscenze e della partecipazione sociale, legate all’atto del riparare, in contrapposizione al solipsistico consumo usa e getta. Oltre al ConzaLab per riparare gli oggetti elettronici ed elettrici di uso comune e di piccole dimensioni, è presente anche il CuciLab per rattoppare e rammentare vestiti e tessuti ancora servibili.
Volontari di Plastic free impegnati a Cosenza (foto Francesco Bozzo)
Plastic Free: i cittadini puliscono la città
Ai party cosentini, spesso organizzati nei quartieri periferici, è abbinato anche un evento clean up di raccolta dei rifiuti organizzato dalla rete Plastic Free. Si tratta di un’associazione di volontariato nazionale, animata da responsabili locali, attiva dal 2019 con lo scopo di informare e sensibilizzare sulla pericolosità dell’inquinamento da plastica.
I referenti cittadini riescono a organizzare, tra i comuni di Cosenza e Rende, una decina di raccolte all’anno, oltre a realizzare giornate di sensibilizzazione nelle scuole con materiale messo a disposizione dall’associazione. L’ultimo evento cittadino si è svolto lo scorso 23 aprile lungo le rive del Crati nel centro storico della città, a pochi passi dalla confluenza dei due fiumi (Crati e Busento), dove la leggenda vuole sia seppellito Alarico e il suo tesoro. Al re dei Goti è dedicata in questo luogo anche una statua dell’artista Paolo Grassino. I volontari in questa occasione hanno rimosso dalla riva ben 55 sacchi di rifiuti e 10 pneumatici.
Prossimi passi della rete dal basso
La rete dal basso cosentina non vuole fermarsi, tuttavia, agli atti dimostrativi. Il dialogo con l’amministrazione comunale continua, specie sul tema del diritto alla riparazione e del riuso. L’ambizione è mettere insieme tutte le realtà attive sul territorio, incluse le istituzioni, per progettare un centro del riuso diffuso. A dimostrazione che si fa sul serio, a novembre del 2022 una delegazione del Munnizza Social Club è stata a Capannori (Lucca), per visitare il centro Daccapo, una dei primi esempi, in Italia, di organizzazione strutturata di un vero e proprio villaggio del riuso. La collaborazione per soluzioni innovative tra amministrazione comunale, società civile e gestore dei servizi di raccolta ha fatto di Capannori il primo comune “rifiuti zero” in Italia.
Dai cumuli di immondizia ai “rifiuti zero” la strada è lunga, ma creatività, partecipazione e lotta, a Cosenza, non mancano.
Nicoletta Fascetti Leon
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