Forse il dato politico meno sviscerato, ma probabilmente il più rilevante, è quello per cui Roberto Occhiuto sta, molto semplicemente, guardando da un’altra parte. Forse gli conviene, così potrà sempre dire di non essersene occupato direttamente. Ma è anche una distrazione obbligata. Se in pochi mesi ti sei caricato sulle spalle il potere e la responsabilità di occuparti, direttamente o quasi, di sanità, rifiuti, acqua e depurazione, in Calabria, difficilmente potrai dedicare tempo a liste e tatticismi in vista delle amministrative.
Amministrative, lo stress test di giugno per il centrodestra in Calabria
In mezzo c’è pure il malcelato tentativo di non restare impelagato in beghe di partito come accaduto a qualche suo predecessore. Però il decantato «primato della politica» non lo si può rivendicare solo quando serve a farsi eleggere presidente della Regione e dimenticarsene subito dopo. Dunque le Amministrative del prossimo 12 giugno, che riguardano 75 Comuni della Calabria e oltre 360mila elettori, saranno comunque un test importante per i partiti. A partire proprio dalla coalizione del governatore. Che, dopo la sconfitta di ottobre a Cosenza, non sembra già più una corazzata.
Aria pesante nel capoluogo
Occhiuto sarà anche rinfrancato dal recente sondaggio di Swg che lo piazza, per gradimento, al sesto posto in Italia e al secondo nel Sud. Ma è aria fresca, ben più lieve e passeggera di quella che si respira, per esempio, a Catanzaro. Non è un dettaglio che nel capoluogo di regione non ci sia, ai nastri di partenza, il simbolo del partito di Occhiuto, Forza Italia, che alle Regionali ha costituito l’unica trincea elettorale azzurra in Italia. Ci sarà la lista “Catanzaro Azzurra” prodotta in casa forzista dall’asse Mangialavori-Polimeni. Ma a sostegno di un candidato a sindaco, Valerio Donato, che viene dal Pd. E ora ha dalla sua anche la Lega (col simbolo “Prima l’Italia) e altri pezzi di centrodestra.
Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco
Lo sgambetto di Tallini e il pasticcio di FdI
Il redivivo Mimmo Tallini sta da un’altra parte: proverà a vendicarsi del suo ex partito spingendo la lista di “Noi con l’Italia” a sostegno di Antonello Talerico, come lui fuoriuscito da Forza Italia dopo le Regionali. Sta altrove anche Fratelli d’Italia. Le intransigenze romane contrapposte al possibilismo locale in questo caso hanno prodotto un pasticcio da cui i meloniani sono usciti facendo mettere la faccia a Wanda Ferro. Una candidatura solitario-identitaria, la sua. Ma forse è passato un po’ in cavalleria un passaggio politicamente rilevante. Si tratta di quello consumato, nel giro di mezza giornata, tra Occhiuto e l’assessore regionale di FdI Filippo Pietropaolo. Appena è filtrata l’ipotesi di una sua candidatura a sindaco di Catanzaro, il governatore ha paventato per lui il ritiro delle deleghe. A quel punto tutto è sfumato in un attimo. Palesando una certa scompostezza politico-istituzionale.
Domenico Tallini
Amministrative in Calabria, la prova dei Nicola nel centrosinistra
Quello catanzarese è il test più importante ma va considerato che nel capoluogo, è storia recente, quando si arriva al ballottaggio le carte si rimescolano parecchio. La partita è dunque più che aperta. Lo sanno bene i due Nicola, Fiorita e Irto, che si apprestano a saggiare la consistenza elettorale dell’agognato «campo largo». Il segretario regionale del Pd, chiamato alla prima vera prova da leader del partito, è conscio che molti dem, esplicitamente o meno, si siano già accasati con Donato. E il prof che (ri)prova a diventare sindaco, riuscito nell’obiettivo di tenere insieme Pd-M5S senza appartenere a nessuno dei due partiti – il precedente di Amalia Bruni non è entusiasmante, diciamo – dovrà contenere le emorragie non solo al centro ma anche a sinistra, visto che l’area radicale sostiene non lui ma Francesco Di Lieto.
Nicola Fiorita (primo da sinistra) in conferenza stampa con Francesco Boccia e Nicola Irto (secondo e quarto da sinistra). Foto Ansa
Strabismo a 5 stelle
Il campo largo, in chiave Amministrative, non ha avuto grande successo fuori dal capoluogo. I 5stelle, piuttosto evanescenti nelle candidature alle Amministrative di tutta Italia, sembrano più disuniti che mai: in consiglio regionale strizzano un occhio e mezzo al governatore, sui territori sembrano più attratti dai candidati dell’area De Magistris che da quelli del Pd. L’unica altra eccezione è rappresentata da Pizzo, dove un candidato (Emilio de Pasquale) ha raccolto attorno a sé i dem, l’area De Magistris, i 5stelle e pure qualcuno di Coraggio Italia.
Tutti divisi ad Acri e Paola
Niente unità, né per il centrosinistra né per il centrodestra, ad Acri e Paola, i due centri del Cosentino sopra i 15mila abitanti che andranno al voto per le Amministrative. Nella cittadina di San Francesco il centrodestra ha schierato Emira Ciodaro, ma Fratelli d’Italia, senza simbolo, ha virato su Giovanni Politano. Il quale, per inciso, ha stretto un accordo – anche in questo caso coperto dalla mancanza di simboli – pure con il Pd.
Centrodestra unito a Palmi, debacle Pd a Villa
Si è concretizzata a Palmi (oltre 18mila abitanti nel Reggino) una delle poche candidature unitarie del centrodestra (quella di Giovanni Barone). Tutt’altra situazione a Villa San Giovanni dove il centrodestra sta con Marco Santoro, vicino al deputato Francesco Cannizzaro, ma l’Udc si è schierato con Giusy Caminiti. In riva allo Stretto a fare più rumore è la debacle del Pd: l’aspirante sindaco dem ha ritirato all’ultimo la candidatura scagliandosi contro una parte del suo stesso partito.
L’opposizione in consiglio regionale: a sinistra Alecci, al centro Amalia Bruni e a destra Francesco Afflitto, consigliere M5S che ha votato a favore della multiutility voluta da Occhiuto
Coerenza trasversale a Soverato
A chiudere il giro dei trasversalismi verso le Amministrative è Soverato, dove c’è da eleggere il successore di Ernesto Alecci. L’attuale consigliere regionale del Pd da sindaco ha governato anche con Forza Italia. Gli azzurri jonici ora si sono sfaldati. Mentre in lizza c’è il vice di Alecci, il facente funzioni uscente Daniele Vacca. Che, coerentemente, tiene insieme pezzi di Pd e di centrodestra.
Il calabrese Luigi Strangis vince l’edizione 2022 di Amici. Il talent targato Maria De Filippi incorona il giovane artista lametino che ha saputo dimostrare tutto il suo valore. Madre calabrese e padre napoletano, il ventenne ha frequentato il liceo musicale a Lamezia Terme. Grazie a Rudy Zerby, che lo ha portato nella sua classe, è riuscito a coronare il suo sogno: partecipare e vincere.
Il cantante calabrese ha battuto in finale il ballerino Michele Esposito. Luigi Strangis porta a casa pure un premio in denaro del valore di 150mila euro. Serena è la terza classificata dell’edizione 21 di Amici.
Diciamolo una volta per tutte e senza timore: di verdeggianti paesaggi e panorami mozzafiato non se ne può più. Abbattiamo, assieme a pregiudizi e stereotipi, anche la retorica visiva sulle bellezze della Calabria. Basta bergamotti in ogni dove, basta celebrazioni sui Bronzi, basta foto di mari e monti. Soprattutto basta borghi.
Se la Regione è un po’ confusa, ma diciamo anche indecisa, tra il puntare sulla «valorizzazione delle aree industriali» di cui ha parlato Roberto Occhiuto a Expo Dubai, oppure sui «marcatori identitari distintivi» riproposti nelle scorse settimane alla Bit di Milano, rilanciamo la nostra controproposta per dare una scossa alla narrazione turistica della Calabria: gli horror tour.
Il lungomare Ginepri “interrotto” a Lamezia
Piuttosto che continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto, o ad accusare chi la polvere la solleva provando a spazzarla via, potremmo per una volta a volgere a nostro vantaggio il «carattere di mitomani» che Corrado Alvaro riconosceva ai meridionali come inesorabile eredità dei Greci.
Ci sono sui territori tracce visibilissime, ma davvero poco sfruttate, che si possono unire fino a farne degli itinerari che rendono piccola piccola, quale effettivamente è, la retorica della riserva indiana cui siamo puntualmente sottoposti dagli osservatori esterni. Sempre tanto compiaciuti delle nostre quotidiane miserie quanto pronti a insegnarci come uscirne.
Abbiamo già focalizzato alcune di queste brutture nella Locride. Ora, risalendo sulla statale 106 jonica e poi passando sull’altra costa, proviamo a indicarne delle altre. Nella consapevolezza che si tratti di un itinerario parziale e incompleto, ma pur sempre di un punto di partenza.
Soverato: perla jonica e cementificata
La cementificazione intensiva di Soverato, per dire, è un elemento che finora nessuno ha pensato di tramutare in motivo di attrazione. Se la chiamano «perla» come non più di altre tre o quattro località costiere della regione, e se per una settimana di agosto si chiedono affitti (in nero) a livello Elon Musk, allora facciamone altri di appartamenti. Coliamo più cemento e alziamo nuovi pilastri fino a nasconderlo del tutto, questo sopravvalutato orizzonte jonico, ché un po’ ha stancato.
L’urbanizzazione spinta di Soverato vista dalla Statale 106
Gli esperimenti di architettura ultramoderna già realizzati sulle colline attorno a Squillace dimostrano che fare peggio di com’è oggi è difficile, ma ce la possiamo fare e magari ne avremo anche un profitto. Per esempio puntando sulle aree interne, come quelle che si trovano muovendo verso l’altra costa per una strada poco battuta, una sorta di “Due Mari” dei poveri.
Cemento à gogo sulla collina che sovrasta il mare a Squillace
La Calabria delle rotonde e delle pale eoliche
Andando per provinciali e colline ben curate si passa in mezzo ad Amaroni, Girifalco, Cortale e Jacurso. E si contano decine di rotonde – che disciplinano un traffico inesistente – e centinaia di pale eoliche – che ancora non risolvono il caro bolletta. Così si attraversa senza annoiarsi l’istmo di Marcellinara, il famoso punto più stretto d’Italia. Poi si spunta a Maida, dove sorge uno dei centri commerciali più larghi della Calabria.
L’immancabile eolico tra lo Jonio e il Tirreno
Lamezia tra zucchero e il porto d’Arabia
Avvicinandoci alla principale porta d’ingresso della Calabria– che vabbè, è anche quella d’uscita per tanti nostri cervelli – si può osservare cosa abbiano lasciato certi sogni industriali degli anni belli. Come l’ex zuccherificio a ridosso della stazione di Lamezia, con annesso murales neorealista. O il famigerato pontile dove le navi che dovevano rifornire la mai realizzata Sir non sono evidentemente attraccate neanche una volta.
L’ex zuccherificio di Lamezia
Ora, invece che portarci le comitive ad ammirare tanta identitaria decadenza, vorrebbero fare da quelle parti un porto turistico intitolandolo a uno sceicco arabo. E tutti hanno ovviamente paura che la cosa finisca peggio di com’è andata con i pezzi di lungomare lametino che oggi, in un capolavoro di esistenzialismo non colto dai tour operator, collegano un nulla all’altro di questo tratto di costa.
Il pontile ex Sir a Lamezia Terme
Il cemento da patrimonio Unesco a Vibo
Lo stesso vuoto alberga in una struttura ammirabile all’ingresso di Pizzo. Sta subito sotto l’autostrada e non c’è, tra agrumeti e fichi d’india, nemmeno una via d’accesso per arrivarci e visitarne le cavità antropologiche. La medesima poco valorizzata bruttezza caratterizza un edificio che forse doveva ricordare una nave e che incombe sulla suggestiva insenatura della Seggiola. Invece poco più a Sud, a Vibo Marina, non si sono fatti intimidire e col cemento sono andati fino in fondo. C’è un quartiere, il Pennello, in cui l’abusivismo ha toccato vette di audacia così alte che meriterebbe di essere almeno proposto a patrimonio Unesco.
Il mega-albergo vuoto di Pizzo
Salendo verso il capoluogo vibonese, poi, si può notare, senza che incredibilmente nessuna guida ne faccia vanto di fronte a manipoli di turisti dell’orrido, come a svettare sulla città non sia il castello Normanno-Svevo, nella zona dove probabilmente si trovava anche l’Acropoli di Hipponion, ma le quasi gotiche antenne radiotelevisive che qualche anno fa, invece di proporre un tour congiunto museo-tralicci, qualcuno si è spinto a sequestrare per fosche ipotesi di elettrosmog.
Panorama con antenne a Vibo Valentia
È inutile: non sappiamo proprio valorizzarci. Altrimenti non si spiega perché un cartello mancante in pieno centro a Vibo, che dovrebbe indicare l’itinerario di un parco archeologico in larga parte inaccessibile e infestato da erbacce e spazzatura, non diventa una Mecca del situazionismo o un luogo feticcio degli amanti del teatro beckettiano.
Cemento “selvatico” lungo la Statale 18
Il cemento anarchico della Statale 18
La teoria delle potenzialità inespresse della Calabria continua procedendo lungo l’altra mitologica statale, la 18. Se avessimo avuto anche noi un Guccini sarebbe stata leggenda come la 17, la via Emilia e pure il West messi insieme. Ai lati di questa strada il cemento spunta dalla vegetazione come fosse selvatico. Genuino e autoctono, niente lo trattiene: è potente, anarchico e futurista al tempo stesso. C’è dentro tutto il Novecento e se ne possono ammirare diversi avanguardistici esempi andando in auto dal Vibonese verso la Piana. Ma purtroppo nessuno ha pensato a dei tour organizzati con accompagnatori che indichino a quali cosche di ‘ndrangheta sia assegnato ogni singolo chilometro.
Soffrono di un imperdonabile abbandono turistico anche cattedrali mancate come la stazione ferroviaria di Mileto, un ibrido metallico tra post barocco e brutalismo, e la Fornace Tranquilla, una fabbrica abbandonata dove un ragazzo africano è stato ammazzato per una lamiera. Da anni, e ancora oggi, alla Tranquilla sono interrate tonnellate di rifiuti tossici. Altrove sarebbe meta di pellegrinaggi di dark tourism, noi invece l’abbiamo dimenticata.
Come la ex statale 110, una strada che fin dai tempi dei Borbone univa le due coste alle montagne delle Serre e che a causa di alcune frane è chiusa da qualche anno. Un ignoto esteta ne ha decorato i margini con copertoni e bombole di gas. Incompreso, come le tante monumentali bruttezze che in Calabria abbiamo sotto la finestra e che facciamo finta di non vedere.
L’ex zuccherificio di Lamezia
Località Seggiola a Pizzo calabro
Cemento a due passi dal mare in località Pennello a Vibo marina
Il cartello mancante nel parco archeologico di Vibo (foto Antonio montesanti)
L’irruzione del cemento a Mileto
La stazione di Mileto
Cancello con avvisi delle Ferrovie alla stazione di Mileto
Porte girevoli, conflitti di interesse e lobbying. Sono tutte questioni che tengono banco nel dibattito pubblico di questi mesi, soprattutto a seguito delle attività extraparlamentari del leader di Italia Viva e senatore Matteo Renzi. In particolare, destò molto scalpore la nomina dell’ex presidente del Consiglio nel Cda della Delimobil, società di car sharing operante in Russia, partecipata dalla banca statale Vtb. Certo, appena scoppiato il conflitto in Ucraina, Renzi lasciò quel Cda, ma l’assenza di una regolamentazione di queste attività per i parlamentari continua ad essere evidenziata dagli addetti ai lavori e non solo.
Il leader di Italia Viva, Matteo Renzi
Lobby e silenzi
Manca prima di tutto una legge sulle lobby. In Calabria ne venne approvata una nel 2016, ma non è mai stata applicata. Per i deputati della Repubblica, invece, il 12 aprile 2016 è stato approvato dalla Giunta per il Regolamento un codice di condotta che dispone “Qualora un deputato assuma una carica o un ufficio successivamente alla proclamazione, deve renderne dichiarazione (al Presidente della Camera, ndr) entro il termine di trenta giorni”. In caso di violazione di quanto disposto, è previsto che ve ne venga dato annuncio in Assemblea con conseguente pubblicazione della violazione sul sito web della Camera dei Deputati. Insomma, un corpus normativo molto flebile, a fronte di situazioni che possono essere più che rilevanti.
Il Viscomi dimezzato: parlamentare e lobbista
Antonio Viscomi, deputato del Pd ed ex vicepresidente della Regione Calabria rappresenta un caso emblematico. Possiede dal 31 marzo (deposito atto il 20 aprile) di quest’anno 50mila euro di quote della Entopan Innovation srl, società di progettazione, sviluppo, gestione e startup di interventi di innovazione tecnologica. Di questa società, dal novembre 2019 è anche consigliere di amministrazione, così come lo è dal gennaio 2020 di un’altra società che partecipa con quote alla prima, la Entopan srl.
Dall’ottobre 2019 al gennaio 2020, Viscomi è stato anche nel Cda di Ehic srl; inoltre, dall’ottobre 2019 al marzo 2022 è stato nel Cda di Harmonic Innovation Hub srl; dall’ottobre 2021 al marzo 2022, poi, è stato presidente del Cda di Harmonic Innovation Research srl, tutte società “satelliti” di Entopan. Tra le dichiarazioni sulle cariche ricoperte sul sito della Camera, però, tutte queste cariche non risultano contenute in atti pubblicati ed è ipotizzabile, quindi, che Antonio Viscomi non abbia provveduto a dichiararle come previsto dalla citata normativa parlamentare.
Entrambe le società in cui Viscomi ha attualmente cariche del Cda (Entopan e Entopan Innovation) si occupano, tra le altre cose, di instaurazione di regolari rapporti di collaborazione con Università e/o centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari. Tra le attività svolte, risulta anche lo svolgimento di attività di reti di relazioni, lobbying e marketing. Si legge nelle relative visure camerali, che le attività della società “si rivolgono alle imprese, agli enti, ai territori, alle comunità ed alle competenze che intervengono nelle diverse fasi che compongono l’intera filiera della ricerca e dell’innovazione”.
I potenziali conflitti d’interesse di Viscomi
Un business redditizio perché a fine 2020 Entopan Innovation srl, con un capitale sociale di oltre 4 milioni e 300 mila euro, ha fatturato 1milione e 971mila euro, mentre la Entopan srl, con un capitale sociale di 380mila euro, a dicembre 2019 aveva un fatturato di 1milione e 652mila euro.
Certo, nel 2021 Entopan Innovation ha avuto il ruolo di advisor nell’ingresso di Cdp Ventura Capital Sgr spa (Fondo Nazionale Innovazione) – società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti partecipata al 70% dalle società pubbliche Cdp Equity e al 30% da Invitalia – nella società calabrese Altilia srl, con un investimento di quasi 3 milioni di euro nel campo dell’intelligenza artificiale.
La sede di Cassa Depositi e Prestiti
Nello stesso anno, la Entopan Innovation ha ricevuto un affidamento diretto dal Ministero della Cultura (a guida dell’esponente Pd, Dario Franceschini), per un importo certamente più modesto, 2800 euro oltre Iva. In entrambi i casi, però, la presenza del parlamentare Pd Antonio Viscomi nel Consiglio di Amministrazione della società, pare rappresentare un elemento di forte conflitto di interesse.
Gli amici di sinistra…
Viscomi non è l’unica presenza politica in questa galassia societaria. Già, perché presidente di Entopan srl è Francesco Cicione, molto vicino all’ex sottosegretario e deputato verdiniano Pino Galati. Cicione è stato vicesindaco di Lamezia Terme nella giunta di centrosinistra di Gianni Speranza dal 2008 al 2014. «Fare impresa è fare politica, e fare impresa così come la facciamo è la più alta forma di Carità» ha dichiarato il fondatore di Entopan Francesco Cicione in una intervista. «Operiamo in favore di imprese, start-up, spin-off, territori e comunità, accompagnando i processi lungo l’intera filiera dell’innovazione».
L’ex sottosegretario Pino Galati
Con lui tra gli amministratori di Entopan, oltre alla moglie, Brunella Chiodo, c’è un altro innesto della citata Giunta Speranza, l’ex assessora Giuseppina Crimi, che è stata anche consigliera comunale a Lamezia dal 2002 al 2014. Nel Cda, inoltre, risulta anche lo stesso ex Sindaco Gianni Speranza.
Tra gli “advisoring” della società, invece, è presente l’ex parlamentare dei Ds, Nuccio Iovene.
…e i “Calabresi nel mondo”
Gli ex assessori comunali di Lamezia, Cicione e Crimi, sono stati al centro del polverone sulla Fondazione “Calabresi nel Mondo”, sul quale pende ancora il processo di primo grado a carico dell’ex Presidente, appunto l’ex deputato Pino Galati, per la presunta gestione illecita e clientelare delle assunzioni.
Oltre alle assunzioni di Crimi (che ne portò alle dimissioni da assessora comunale) e Cicione, risultavano anche quelle del cognato di quest’ultimo, Paolo Strangis e dei rappresentanti di Arci, Gennaro Di Cello e Francesco Falvo D’urso, oggi rispettivamente vicepresidente e graphic designer di Entopan srl.
Nell’elenco degli assunti c’era anche Giandomenico Ferrise, figlio di Aldo Ferrise, anche lui assessore comunale a Lamezia Terme nella Giunta Speranza e oggi socio di Entopan Innovation srl.
«Prima di entrare in Entopan conosceva già Francesco Cicione con cui condivideva valori ed alcune esperienze lavorative. Fondamentale, per la sua scelta di diventare socio di Entopan, è stata la collaborazione comune ad un progetto del 2012: Calabresi nel mondo. Lì è maturata la consapevolezza di avere un bagaglio condiviso di esperienze e valori e la voglia di iniziare insieme un percorso professionale» viene raccontato su Gennaro Di Cello su Effedi.
La galassia societaria di Entopan
Ricapitoliamo: Entopan srl è socia di Entopan Innovation srl (delle quali Antonio Viscomi è componente di Cda). In quest’ultima risultano anche soci oltre, appunto, al parlamentare Viscomi e all’ex sindaco Speranza e i suoi ex assessori Ferrise, Crimi e Cicione, anche la direttrice reggente dell’autorità regionale dei trasporti della Calabria, Filomena Tiziana Corallini, il costruttore Angelo Ferraro, vicepresidente della squadra di calcio Lamezia F.C. e già presidente dei “galatiani” di Alternativa Popolare di Lamezia Terme, l’ex Co.co.co. regionale Vera Tomaino, la cooperativa sociale Inrete (che ha il vicepresidente di Entopan come residente ed il già citato Francesco Falvo D’Urso nel Cda) e l’ex Prorettore dell’Unical, Luigino Filice.
Abbiamo anche la società, iscritta nel registro delle imprese come startup innovativa, Harmonic Innovation srl. «La società ha per oggetto e con carattere prevalente la ricerca di base e pre competitiva, la progettazione, la prototipazione e lo sviluppo di concept e processi edilizi, tipologici ed architettonici, ad alto tasso di innovazione tecnologica, strategica e sociale». «La società, inoltre, potrà realizzare e commercializzare in proprio eventuali interventi immobiliari complessi finalizzati alla valorizzazione della ricerca sviluppata», si legge nella visura camerale.
Le partecipazioni societarie
Le partecipazioni societarie sono, tra le principali, quelle di Entopan srl per 155mila euro, la 2Effe Holding s.r.l. per 117mila euro (del citato Angelo Ferraro, col parente Antonio), 66mila euro di Valerio Barberis, assessore comunale del Pd di Prato (e nome papabile quale futuro Sindaco) e 17mila della Seshat s.r.l. che ha come amministratore unico Pietro Grandinetti, direttore tecnico della Ferraro spa.
Harmonic Innovation hub srl, anch’essa registrata come startup innovativa, ha un capitale sociale più ingente, di quasi 2 milioni di euro. Entopan srl partecipa con quasi 1milione e 300mila euro, 255mila la 2Effe Holding s.r.l. dei Ferraro e 200mila l’ex parlamentare del Pdl, Santo Versace. Presidente del consiglio di amministrazione è un altro ex sindaco di Lamezia Terme, Pasqualino Scaramuzzino (il cui Consiglio venne sciolto per infiltrazioni mafiose), già candidato con “Forza Azzurri” alle ultime elezioni regionali.
Insomma, tra partecipazioni, incarichi ed esponenti pubblici, la galassia di Entopan risulta un incubatore (redditizio) non solo di start-up, ma anche di interessi che certamente metteranno (almeno) in imbarazzo Antonio Viscomi, quale deputato in carica e membro della commissione Lavoro. Oltre che come esponente di quel Partito Democratico che nei mesi ha criticato Matteo Renzi a tutto tondo per i suoi affari extraparlamentari.
Lamezia Terme ha conosciuto nel 1991, nel 2002 e nel 2017tre scioglimenti del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. In una intervista del 2013 l’allora procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli ebbe a dire che «Lamezia è una città dove il legame tra la ‘ndrangheta e alcuni settori della società civile è talmente radicato che non viene percepito come una devianza sociale perché è digerito nello stomaco della città».
Il caso Lamezia
Sia come sia, subito dopo ognuno dei tre scioglimenti alcuni commenti paventavano complotti: «Il consiglio comunale di Lamezia Terme andava sciolto per presunte infiltrazioni mafiose? È l’interrogativo che si pongono in molti dopo aver letto con attenzione e scrupolosità la relazione del ministro dell’Interno… Sono in molti a domandarsi: perché sciogliere il consiglio comunale eletto nel 2015 a guida Mascaro e non quello eletto nel 2010 a guida Speranza? (…) Semplice: Speranza non poteva essere sciolto, “nonostante molti degli attuali amministratori hanno fatto parte, a diverso titolo, della compagine eletta nel 2010″, in quanto esponente politico del centrosinistra, area politica alla quale apparteneva e appartiene l’attuale Ministro dell’Interno», scriveva lameziaoggi.it.
L’ex sindaco di Lamezia, Gianni Speranza
Il Consiglio di Stato (settembre 2019) sciogliendo l’amministrazione Mascaro ha lasciato ai posteri questa analisi generale: «Il contributo determinante della mafia nel condizionare il voto popolare è tale da inficiare irrimediabilmente il funzionamento del consiglio comunale per un suo vizio genetico, essendo difficilmente credibile, secondo la logica della probabilità cruciale, che un consiglio comunale i cui componenti siano eletti in parte con l’appoggio della mafia, per una singolare eterogenesi dei fini, possa e voglia adoperarsi realmente e comunque effettivamente, non solo per mero perbenismo legalitario, per il ripristino di una effettiva legalità sul territorio e per la riaffermazione del potere statuale contro l’intimidazione, l’infiltrazione e il sopruso di un ordinamento delinquenziale, come quello mafioso, ad esso avverso per definizione».
Il sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro
Mafia e zona grigia
Il primo omicidio importante della storia criminale lametina avvenne nel 1970. Il boss locale Luciano Mercuri venne ucciso da un suo affiliato, Tonino De Sensi. Quella data fu l’inizio di una nuova era per la ‘ndrangheta locale che con la droga fece il salto di qualità. Eppure per decine di anni soltanto una minoranza intellettuale ripeteva che a Lamezia la mafia esistesse. La maggioranza dei notabili e dei politici si ostinava a considerare soltanto l’esistenza di «quattro delinquenti» e non della mafia. Così come oggi il mainstream insiste molto sulla presenza a Lamezia della cosiddetta “zona grigia”, una sorta di cuscinetto (o mondo di mezzo) che si frapporrebbe tra le cosche e la società civile e le imprese.
Stereotipi e cliché
Come da anni sta dimostrando nei suoi studi un valente studioso lametino, Vittorio Mete, «a causa della loro natura segreta e illegale, le mafie sono difficilmente (e comunque problematicamente) esplorabili sul piano empirico». Inoltre l’immagine pubblica delle mafie vive su stereotipi e cliché che creano una diffusa banalizzazione. Banalizzando non si riesce né a distinguere le differenze tra i diversi gruppi mafiosi né quelle «tra i singoli mafiosi, ai quali sono indistintamente attribuiti i medesimi tratti: il carisma individuale, il coraggio, lo sprezzo del pericolo, il fiuto per gli affari, l’elevato tenore di vita e altro ancora».
Ci rendiamo conto che le “mafie regionali” sono diverse tra loro. Ma, per restare a Lamezia, non si distinguono tra di loro le varie cosche egemoni che pur presentano enormi differenze, ad esempio in termini di ricchezza, potenza militare, contatti politici, inserimento nei circuiti internazionali della droga. Una grande varietà e mutevolezza sparisce dunque nelle rappresentazioni dell’opinione pubblica e anche di molti studiosi.
Tre tipi di imprenditori
Nella relazione della Dia sul primo semestre 2018 si leggeva che Lamezia «convenzionalmente è ripartita in tre aree, rispettivamente di competenza dei clan Iannazzo, Cerra-Torcasio-Gualtieri e Giampà (cui si affiancano compagini di minor rilievo)». Se dovessimo descrivere i rapporti tra queste cosche e il mondo imprenditoriale lametino è utile ricorrere ai tre tipi principali di imprenditori, a loro volta articolati in sotto-tipi, che studiosi come Mete o Sciarrone hanno delineato.
I subordinati
Il primo di questi tre tipi di imprenditori presente a Lamezia è definito “subordinato”: essi sono assoggettati alla mafia «attraverso un rapporto fondato sull’intimidazione o sulla pura coercizione. Le attività di questi soggetti sono sottoposte al controllo dei mafiosi mediante il meccanismo della estorsione protezione». A loro volta, gli imprenditori subordinati possono articolarsi in due categorie: gli “oppressi” e i “dipendenti”. Gli oppressi sono coloro i quali pagano la protezione mafiosa in cambio della garanzia di poter semplicemente continuare a svolgere la propria attività. I dipendenti, invece, «non solo devono pagare la protezione ai mafiosi come fanno gli oppressi, ma devono ottenere la loro autorizzazione per poter svolgere la propria attività. Questi soggetti svolgono, infatti, la propria attività in settori in cui si concentrano gran parte degli interessi mafiosi della zona, come i lavori pubblici. Per poter operare in questi settori è necessario ottenere il “permesso” della mafia.
I collusi
Nella seconda categoria sono ricompresi i “collusi”. Tali soggetti sono dotati di risorse diverse e più ampie rispetto ai subordinati. Ciò gli consente di istituire “con i mafiosi un accordo attivo, dal quale derivano obblighi reciproci di collaborazione, scambio e lealtà». Anche i collusi possono articolarsi in due sottocategorie: da un lato ci sono gli imprenditori “strumentali”, che sono dotati di ingenti risorse di tipo economico, tecnico, politico o di altro tipo ancora; dall’altro ci sono gli imprenditori “clienti”, che instaurano con i mafiosi rapporti di scambio e collaborazione più duraturi e stabili nel tempo.
Un esempio di imprenditori strumentali è dato dalle grandi imprese nazionali che operano nel campo delle opere pubbliche e che si aggiudicano appalti in terre di mafia. Uno per tutti, i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria (Mete, 2011). Rimanendo sull’esempio di questa stessa grande opera, possono invece considerarsi imprenditori clienti le imprese locali legate alle mafie che lavorano in subappalto.
I mafiosi
Infine, una terza categoria di imprenditori è costituita dagli imprenditori mafiosi propriamente detti. In questo caso, si tratta di persone appartenenti ai gruppi criminali che operano nei mercati legali, sia per guadagnare “legalmente” sfruttando il potere che gli deriva dalla loro posizione, sia come attività di copertura volta al reimpiego di denaro proveniente dai traffici illegali.
Com’è agevole dedurre da queste brevi note, il rapporto tra mafiosi e imprenditori può andare dalla coercizione alla collaborazione attiva. «Tale collaborazione dà generalmente luogo a giochi a somma positiva, cioè interazioni in grado di produrre un’utilità per tutti coloro che prendono parte al gioco».
Zona grigia? Fuorviante
Ora, considerando i molteplici rapporti tra imprese e liberi professionisti da una parte e le cosche operanti nel lametino dall’altra, la prima categoria (i subordinati) e la seconda (i collusi) ci dimostrano che è ormai fuorviante continuare a parlare di “zona grigia”. I subordinati (oppressi o dipendenti che siano) coltivano solo la speranza di mantenere buoni rapporti per poter stare sul mercato; i collusi al contrario instaurano interazioni che dovrebbero essere reciprocamente vantaggiose o complementari con le cosche.
Mentre i subordinati non hanno alcun spazio di autonomia, i collusi svolgono attività autonoma che deve incastrarsi (come la chiave in una serratura) con l’interesse concreto del mafioso di riferimento. Si tratta di raggiungere «un compromesso fra partner che hanno utilità e convenienze differenti, ma complementari». Ora, sia una impresa di qualsiasi dimensione che un qualsivoglia libero professionista (medico, ingegnere, avvocato, commercialista…) intendono ottenere un vantaggio economico entrando in relazione con la cosca mafiosa. Il reddito del professionista e il profitto dell’imprenditore aumentano grazie a questo accomodamento o incastro con il mafioso.
Comanda sempre la mafia?
Il pezzo mancante di questo ragionamento (che mira a confutare la diffusa convinzione che a Lamezia o in altre città calabresi esista una zona grigia) è il seguente. In questi accordi collusivi non sempre i mafiosi sono i soggetti dominanti. Se ci sono imprenditori dotati di grandi risorse, o professionisti di grande prestigio, lo spazio di azione dei mafiosi infatti si riduce sensibilmente. Le interazioni tra mafia e imprenditoria sono così varie per cui il ruolo dei mafiosi cambia a seconda dell’attività.
Gli appalti (e i subappalti) per le opere pubbliche possono essere appannaggio di imprese mafiose o di grandi imprese che trattano, con esiti variabili e incerti, con i mafiosi. Un supermercato, per fare un altro esempio, può essere taglieggiato dai mafiosi o può essere di loro proprietà. Se la “zona grigia” è definita (Rocco Sciarrone, 2011) «un’area relazionale fitta, che si colloca a cavallo tra legalità e illegalità… i professionisti, industriali, pubblici ufficiali e membri della cosiddetta società civile che senza dubbio sono collusi con le organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta, non sono i servitori del potere mafioso ma sono i mandanti delle loro azioni e influenze illecite, perché i loro interessi economici e di potere, spesso coincidono con quelli dei clan».
A Lamezia, così come in altre realtà calabresi, si continua a parlare di “zona grigia” dimenticando del tutto «la parte di società che è compenetrata o collusa con la ‘ndrangheta… che spesso rappresenta la parte più produttiva di essa, almeno nel meridione: il risultato è che qui al Sud si è creato un mercato drogato, con meccanismi particolari e difficilissimi da analizzare e sconfiggere, che rappresenta una parte assai considerevole dell’intera economia dell’area».
Né mondo di mezzo né zona grigia
I mafiosi non chiedono gentilmente, impongono, e come spiegò Puzo ne Il Padrino, «fanno offerte che non si possono rifiutare». Se questo è vero, è chiaro che il commerciante che paga il pizzo per ottenere la pace e tutti coloro che per quieto vivere accettano le richieste mafiose non stanno in un virtuale mondo di mezzo ma si schierano dalla parte della mafia.
Marlon Brando nel film Il Padrino, ispirato al romanzo di Mario Puzo
La cosa è molto evidente, basta seguire la cronaca dei giornali, tra i cosiddetti liberi professionisti. Non ci sono tra di loro collusi ma professionisti che si mettono a disposizione oppure che non lo sono. La stessa cosa avviene con gli imprenditori e i politici. Ci sono aziende che chiudono se non hanno clienti, altre che senza clienti sopravvivono perché rientrano nelle aziende controllate dalla mafia; ci sono politici votati su imposizione dei mafiosi e altri no, e così via.
Da una parte o dall’altra
Alla società civile deve diventar chiaro che in Calabria la guerra ognuno, qualsiasi lavoro faccia, la combatte in uno schieramento legale oppure nell’Antistato, magari per paura, furbizia, accondiscendenza, pigrizia, avidità, qualsiasi sia la motivazione della scelta.
Prendiamo il caso di Clarastella Vicari Aversa, l’architetta che con la sua denuncia ha scoperchiato il vaso di Pandora dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Ha condotto una battaglia in solitudine sostanzialmente per 14 anni, attraverso ricorsi amministrativi, tutti accolti al Tar e al Consiglio di Stato, una quarantina. L’Università disattendeva tutto ciò che disponeva la giurisprudenza amministrativa.
Clarastella Vicari Aversa
La sua battaglia dimostra che i metodi mafiosi non li adoperano soltanto quelli con la coppola che definiamo criminalità organizzata. Dimostra che in Calabria, nonostante sentenze della magistratura per ripristinare il diritto, la sopraffazione, la prepotenza e il potere vengono esercitati in maniera spietata in qualsiasi settore. Lo stesso conclamato disprezzo per la meritocrazia, che osserviamo negli atenei così come nelle scuole e nell’amministrazione pubblica, dimostra come clientelismo e nepotismo, favoritismo e ricatto non siano fenomeni diversi da quelli che adopera chi chiede il pizzo o fa pagare tassi usurai, o concede un fido in banca.
Una società dove le persone perbene, le imprese sane, i professionisti non corrotti, sono costretti a lottare per decenni per non soccombere, significa che la questione “mafiosa” va raccontata in un altro modo. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, è il caso di ricordarlo talvolta a noi calabresi.
Francesco Scoppetta Scrittore ed ex dirigente scolastico
Le elezioni comunali di Catanzaro del 2022 saranno ricordate come quelle della liquefazione del centrodestra. Ex alleati ora in guerra tra loro, simboli di partito messi nel cassetto, consiglieri regionali che se la danno a gambe. Sta succedendo di tutto e da più parti viene indicata una sola e unica colpevole dello sfacelo del rassemblement della destra del capoluogo: la deputata e commissaria regionale di Fratelli D’Italia, Wanda Ferro.
Ferro e il jolly Colace: Fdi e il sindaco di Catanzaro
Da settimane l’establishment romano del partito, dal capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida alla stessa leader Giorgia Meloni, pretendeva la discesa in campo della stessa Wanda Ferro. Lei, però, si è prima dileguata («Se mi candido Tallini mi impallina», andrebbe ripetendo a più riprese) e poi trincerata dietro l’assessore Filippo Pietropaolo, tornato a più miti consigli dopo l’altolà di Roberto Occhiuto sul ritiro delle deleghe assessorili in caso di candidatura.
Risultato? Dopo qualche giorno di totonomi al ribasso, Wanda Ferro ha giocato il jolly: candida a sindaco il dirigente medico Rosario Colace. Eppure i maligni raccontano che quando Noi con l’Italia fece il nome di Colace al tavolo del centrodestra cittadino qualche mese fa la deputata Fdi scoppiò in una grassa risata. Ma si sa, in politica tutto è possibile.
Meloni spernacchiata
Ciconte e Colace a braccetto
Dopo il niet della Meloni sul candidato ex Pd Donato, FdI ha ufficializzato la candidatura di Colace, con tanto di lancio di agenzia di stampa. Eppure quest’ultimo alle comunali del 2017 ha promosso la lista “Alleanza Civica” (unitamente a Franco Granato, ex assessore della Giunta comunale di centrosinistra di Rosario Olivo) schierandosi a sostegno della candidatura a sindaco dell’allora consigliere regionale del Partito Democratico, Enzo Ciconte.
«Con l’amico Ciconte nel momento in cui abbiamo condiviso il programma per la città, un programma che può dare a Catanzaro quella visione di insieme che è mancata in questi anni. Siamo in campo con una lista formata da persone in gran parte esordienti della politica, provenienti da mondi diversi ma unite dall’obiettivo di dare un futuro diverso a Catanzaro» dichiarò Colace in una conferenza stampa insieme al candidato sindaco di centrosinistra e alla presenza dell’allora presidente della Provincia del Pd, Enzo Bruno.
Colace al tavolo con Ciconte in occasione della sua candidatura
Chi c’era se lo ricorda: alla presentazione della lista di Colace a sostegno di Ciconte era presente il figlio piccolo di un candidato con una maglia con su scritto “Vota il mio papà”. Il candidato era Giorgio Arcuri, anche lui fino a ieri dato tra i papabili candidati di Fratelli D’Italia e candidato alle ultime regionali con Forza Azzurri.
Alle amministrative del 2017 Arcuri ottenne 459 preferenze, mentre l’intera lista di Colace a sostegno del centrosinistra 1513, pari al 2,92%. Non elesse alcun consigliere, ma Colace venne eletto altrove: all’Ordine dei Medici, presieduto proprio dall’amico Ciconte.
Colace: un democristiano di… Ferro per Fdi a Catanzaro
Nel 2008 Wanda divenne presidente della Provincia di Catanzaro in una coalizione trainata dal Pdl. A candidarsi contro di lei, sotto il simbolo dello Scudocrociato, vi era proprio Rino Colace, al seguito di Franco Talarico che ottenne 803 preferenze e l’11,3% in uno dei collegi di Catanzaro.
Colace, difatti, dell’Udc è stato segretario cittadino, salvo poi nel 2011 candidarsi al Comune con la lista “Scopelliti Presidente”. Presidente del Consiglio comunale nel 2005, è stato poi nominato amministratore unico dell’Amc, l’azienda dei trasporti del capoluogo.
Dopo l’idillio di centrosinistra, è arrivata anche la nomina, giusto tre mesi fa, come coordinatore per la città di Catanzaro di “Noi con l’Italia”. Colace, però ha abbandonato il movimento dell’ex ministro Maurizio Lupi nelle ultime ore, proprio a seguito della designazione come candidato sindaco di FdI.
Lo sgambetto di Montuoro
Continua a dire di essere di Marcellinara e non di Catanzaro, nonostante abbia preso più del doppio dei voti di Filippo Pietropaolo nel capoluogo alle ultime regionali. Il consigliere regionale di Fdi, Antonio Montuoro nei giorni scorsi ha dichiarato che la lista civica che fa riferimento a lui, Venti da sud, già rodata con successo alle elezioni provinciali, non parteciperà alle elezioni comunali.
Antonio Montuoro insieme a Sergio Abramo
«Nei giorni scorsi ho riunito tutti i componenti del gruppo di riferimento, dopo un’analisi approfondita sulla situazione politica attuale, la maggioranza dei presenti si è determinata scegliendo di mantenere la caratterizzazione civica del proprio impegno, valutando ciascuno in autonomia con quale schieramento partecipare alla competizione elettorale, per offrire alla città il proprio impegno e le proprie competenze» ha dichiarato Montuoro.
Tana libera tutti per i consiglieri comunali uscenti che lo sostengono? Non proprio. In realtà la lista “Venti da sud” avrebbe solo cambiato nome in “Progetto Catanzaro”, a sostegno di Valerio Donato e non al seguito di Fratelli D’Italia, come dimostrano i santini circolanti del consigliere comunale “montuoriano” e signore delle preferenze, Luigi Levato.
Un santino di Luigi Levato
A sgamare ulteriormente la cosa è stato l’esponente del Nuovo Cdu, Vito Bordino, che ha dichiarato pubblicamente: «I rappresentanti di “Progetto Catanzaro” sono in buona parte componenti di Venti da Sud, sigla utilizzata alle Provinciali dall’area Montuoro, che hanno deciso di sostenere Valerio Donato».
Tallini e il capolavoro di Wanda Ferro
Insomma, un chiaro sgambetto a Wanda Ferro da parte di Montuoro con l’intento di attribuirle nel post-voto tutte le responsabilità politiche del flop annunciato, minandone la leadership regionale in vista delle politiche, trovando sponda anche negli altri consiglieri regionali di Fdi.
Nelle more, è intervenuta la stilettata dell’ex presidente del Consiglio regionale e fresco esponente di ‘Noi con l’Italia’, Mimmo Tallini: «Non posso non sottolineare l’ambiguità della posizione di una parte di Fratelli D’Italia che si è “sdoppiata”, restando nel suo partito evidentemente per ragioni di convenienza, ma mandando i suoi grandi elettori ad ingrossare le fila delle liste di Donato. Un capolavoro di ambiguità e trasformismo a cui nessuno era mai arrivato».
Mimmo Tallini, ex presidente del Consiglio regionale
I probabili candidati
Le candidature in Fratelli D’Italia (la lista ufficiale), a meno di una settimana dal deposito delle liste, sono ancora in alto mare. Il tempo stringe, in attesa di sapere se si formerà la “strana coppia” politica con Coraggio Italia di Sergio Abramo (che Wanda nel 2017 era assolutamente ostile nel voler ricandidare, tant’è che non presentò una lista a suo sostegno), tra i candidati è presente Stefano Mellea, ex responsabile per la provincia di Catanzaro di Casa Pound.
Il candidato “daspato” Stefano Mellea
Destinatario di Daspo, nel 2019 predicava l’uscita dall’Ue e dall’Euro. «L’unica cosa che dobbiamo dire a Bruxelles è addio. Ridateci i nostri soldi, il nostro oro e tenetevi immigrati, direttive gender e austerità» dichiarava pubblicamente tre anni fa.
Domani si parte…
Oltre a lui, dovrebbe essere della partita il commercialista Francesco Saverio Nitti, il cui nome compare nelle carte della ‘vicenda Copanello’ in quanto intercettato in talune conversazioni con l’ex parlamentare di Fdi, Giancarlo Pittelli. Nitti è stato anche di recente immortalato a cena con Wanda Ferro ed il deputato Andrea Delmastro a fine marzo, quanto ancora la deputata catanzarese cercava di convincere i vertici del suo Partito della bontà della “operazione Donato”.
Insomma, dal cul-de-sac in cui è finita Wanda Ferro è difficile uscirne, con molti, dentro e fuori il suo Partito, che attendono gli esiti in termini di percentuali di quello che tutti i sondaggi indicano come il primo partito italiano, nella città della commissaria regionale. E non saranno in pochi in Fdi, in caso di flop, come già si è detto, a chiedere le sue dimissioni.
A Catanzaro se non ti chiami Noto, Abramo, Speziali, giusto per citare i big, ben difficilmente farai strada nei posti che contano. Il capoluogo è il regno di poche potentissime famiglie che fanno il bello e il cattivo tempo nella politica e nella pubblica amministrazione senza avere di fatto mai incontrato sulla loro strada una vera opposizione politica e sociale.
Il ponte Morandi a Catanzaro
Catanzaro: il capoluogo senza una stazione
Il dibattito politico catanzarese è fatto di beghe interne, di trasversalismi che durano lo spazio di un mattino e che interessano solo i protagonisti. La borghesia cittadina ha legami storicamente molto forti con il potere e con gli inquilini che si sono succeduti a Palazzo de Nobili, tant’è che a nessuno di loro è mai stato chiesto conto del declino vissuto dal capoluogo di regione che, a poco più di un mese dalle elezioni comunali, non ha più una stazione ferroviaria o un’autostazione degna di questo nome e sono quasi quarant’anni che nel cuore pulsante della movida di Lido non si riesce a realizzare un vero porto turistico.
Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro e presidente dell’omonima provincia
Catanzaro aspetta le elezioni comunali del 12 giugno
Catanzaro vive un declino che interessa tutti i comparti della vita cittadina; anche il glorioso passato calcistico delle Aquile è solo uno sbiadito ricordo.
La destra catanzarese ha “campato politicamente per anni” con la realizzazione di un Parco pubblico che per quanto utile e ben fatto, non può far dimenticare le gravi mancanze in tema di politiche del lavoro, infrastrutture, viabilità, commercio e sicurezza.
Ora partiti e movimenti più o meno civici stanno scaldando i motori in vista delle elezioni amministrative previste per il prossimo 12 giugno insieme ai cinque referendum sulla giustizia che hanno ottenuto il disco verde da parte della Corte costituzionale.
Niente accordo per i meloniani di FdI. Prima sembravano aver virato sull’assessore regionale alle Risorse umane, Filippo Pietropaolo. Poi c’è stata la carta Wanda Ferro sul tavolo, e pare che all’uscente Abramo l’idea non dispiacesse. Infine la scelta è caduta suRino Colace: medico al Mater Domini, ex presidente del Consiglio comunale ed ex amministratore unico dell’Amc, la società di mobilità cittadina. Nella prima dichiarazione pubblica ha parlato subito di «rigenerazione della classe amministrativa cittadina».
Per bocca del coordinatore calabrese Maurizio D’Ettore rivendica autonomia anche Coraggio Italia: «Ove possibile – ha detto – presenteremo nostre liste anche con il simbolo del partito». La sinistra schiera invece un altro avvocato, Francesco Di Lieto, sostenuto anche dalla lista di Carlo Tansi, Tesoro Calabria.
Vincenzo Speziali
Speziali boccia Donato
Il Partito democratico ha scelto di appoggiare la corsa a sindaco di Nicola Fiorita, con il Movimento 5 stelle a comporre l’area civica della coalizione.
In questo momento il quadretto elettorale di Catanzaro è questo, ma non è detto che sia destinato a rimanere così fino alla fine. «Donato? Amabile persona e valevole cattedratico ma la politica è un’altra cosa». Le parole sono di Vincenzo Speziali, membro della direzione nazionale Udc e fresco dimissionario dal ruolo di commissario cittadino dello Scudocrociato che ha preso molto male il diktat romano di confluire sul professore dell’Unicz. «Dobbiamo cercare una figura di centrodestra perché ci sono». Chi? Abramo, («è stimatissimo, persino da Salvini») e poi «c’è sempre Tallini».
Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco
Centrodestra e centrosinistra: l’unità da trovare
Come è facile intuire, l’unità del centrodestra non è ancora cosa fatta. Ma se Sparta piange, Atene non ride. Così il centrosinistra riunitosi intorno al docente leader del movimento Cambiavento, Nicola Fiorita, se da una parte si trova a dovere affrontare la corazzata dell’alfiere Donato («un gattopardo alla testa di una gigantesca opera di trasformismo») dall’altra deve fare i conti con i mal di pancia di una parte della coalizione che non ha mai digerito l’accordo col Movimento 5 Stelle e il superamento delle primarie di coalizione che in un primo momento erano state proposte dal Pd.
Nicola Fiorita, prof universitario e candidato a sindaco del centrosinistra
Un esempio, uno dei più rumorosi, è la fuoriuscita del socialista Fabio Guerriero in polemica con i vertici nazionali Democrat e la decisione di schierarsi al fianco di Donato.
Insomma, la partita si preannuncia aperta e agguerrita anche in vista delle politiche del prossimo anno e della necessità di rilanciare la città capoluogo di regione che, a detta di tutte le forze in campo, ha bisogno di un definitivo rilancio politico e amministrativo.
C’era un akita in in ogni angolo d’Italia una decina di anni fa, dopo l’uscita di Hachiko – Il tuo migliore amico. Il meraviglioso cane giapponese del film con Richard Gere non è propriamente un cane da salotto. È un esemplare da lavoro e da caccia, ha un temperamento particolare. Sa essere docile e mansueto, quando il padrone è bravo a comprenderlo e a gestirlo.
Tutti insieme appassionatamente nel Villaggio dei randagi a Caraffa (Cz)
La razza e i lager
La moda della razza è un vizio anche calabrese e sono state tante le famiglie che pur temendo i cani, ne hanno accolto uno in casa durante la pandemia. Tra contraddizioni e fenomeni strani, si intravede però un cambiamento, a detta degli esperti.
Inizia a battere il cuore cinofilo della Calabria. Le associazioni in difesa del randagio non si contano. Da pochi anni opera nella regione Save the Dog, la cui mission è rafforzare l’anagrafe canina e promuovere campagne per la sterilizzazione. I partner locali sono le associazioni Argo e Amici animali Fef di Cosenza.
La Lega antivivisezione non fa sconti ai canili calabresi: i più affollati d’Italia. Seimila cani, denuncia nel suo ultimo rapporto, sono stipati nel crotonese, le cui strutture superano di parecchio i limiti di capienza. Contro i «canili lager» si batte da sempre Aldina Stinchi, 74 anni.
Il Villaggio dei randagi a Caraffa (Cz)
La città dei cani
A Caraffa, alle porte di Catanzaro, ha creato vent’anni fa una città del cane. Si chiama il Villaggio dei randagi dell’associazione Bios e si estende su una superficie di tre ettari e mezzo. Cucce e capanne, punti cibo e acqua, alberi, sentieri e niente cemento. «Il nostro è un modello innovativo, i cani vivono in ampi recinti e in gruppi, messi insieme per compatibilità caratteriali e altre caratteristiche che garantiscono la serena convivenza. In questo momento ospitiamo 150 cani. Vivono in semilibertà e soprattutto non sono costretti a stare nelle gabbie, che reputo qualcosa di arcaico e barbaro».
Ad Aldina venne l’idea del villaggio «dall’osservazione attenta delle leggi sia nazionali sia regionali che, finalmente, impedivano l’uccisione degli animali». Nella dog city di Caraffa si cucinano 45 chili di pasta al giorno e con l’aumento dei prezzi sta diventando sempre più difficile mantenere i ritmi. Non ci sono sovvenzioni istituzionali, ma la solidarietà è tanta, come i volontari.
Le staffette dell’amore
E come la tenacia di Aldina che ha dichiarato una «feroce guerra» alle staffette dell’amore, le adozioni dei cani del Sud Italia nelle città del nord. Un fenomeno di grosse proporzioni ma completamente fuori controllo. I social sono invasi da fotografie di animali domestici, da immagini e post che raccontano storie d’amore tra cani e padroni, e sono pieni zeppi di compravendite e appelli per adozioni. La Lav contava 14mila 599 ospiti dei canili sanitari della regione nel 2017. Poi, denuncia nel suo ultimo rapporto, non è stato più possibile avere dati aggiornati.
Carmela Di Nardo e Billy the kid (ph Concetta Guido)
Il boom col lockdown
Batte il cuore cinofilo calabrese, tra storie tristi e qualche buon segnale. «Credo che in Calabria sia in atto un cambio di mentalità, anche se manca una vera e propria cultura dell’educazione cinofila», dice Carmela Di Nardo, 44 anni, addestratore Enci. «Ritengo che ci siano molte persone competenti. Il numero dei cani adottati è aumentato in maniera considerevole, bisogna dire però che durante il lockdown c’è stata un po’ di leggerezza».
Carmela dedica tutte le sue giornate ai cani. È educatrice, studiosa di etologia e operatrice zooantropologica. Con il suo compagno e partner di lavoro Luca Indrieri, porta la cultura cinofila nelle scuole e negli asili. Un tipo di attività rara dalle nostre parti, dice, che «fatica ad essere riconosciuta e richiesta». Frequentava l’Orientale di Napoli quando nella sua vita è entrato un labrador. «Lo chiamai Biko, come Steven Biko, pensando alla canzone che Peter Gabriel ha dedicato all’attivista sudafricano». Un colpo di fulmine così intenso da farle decidere di cambiare strada, formarsi in cinofilia ed entrare in un mondo colorato ma faticoso.
«La nostra associazione, la Yellowjoy, nata nel 2010, si occupa di educazione di base ed avanzata, aiutiamo la relazione tra il padrone e il suo animale, collaboriamo con il veterinario comportamentale, intervenendo su richiesta nel caso di problematiche come può essere l’aggressività o l’iperattività o anche l’avere paura».
Luca Indrieri, addestratore e compagno di Carmela Di Nardo
Cani giocattolo
Perché loro, i cuccioli, non sono giocattoli e neanche un pacchetto da lasciare in un angolo per intere giornate. «Una volta venivano selezionati per carattere e attitudine, cioè per criteri funzionali e non morfologici. Adesso è il contrario – continua Carmela Di Nardo, – si guardano gli aspetti estetici e così può succedere di scegliere un maremmano come cane di famiglia, anche quando si vive in un appartamento di settanta metri quadrati. È chiaro che in questi casi possono subentrare problemi di convivenza».
In contrada Motta di Castrolibero c’è il campetto di YellowJoy, luogo di addestramento e spazio di socializzazione. Da qui partono escursioni e passeggiate di gruppi di umani e cani in armonia. Qui gli ospiti fanno agility dog e sport condiviso con i padroni. È un giovedì pomeriggio e due levrieri incantano con la loro esile eleganza, un pitbull sta facendo una corsetta a ostacoli e Teseo, un monumentale corso, si prepara all’esposizione internazionale canina di Rende e Vibo Valentia, ripartita dopo un fermo di due edizioni a causa del Covid. Asia e Maia, entrambe simpatiche e argute meticce, Billy the kid e gli altri labrador dell’associazione sfrecciano veloci nell’erba, sembrano impazziti di gioia per poi fermarsi al comando, immobili come statue.
Addestramento di cani nella Sila Grande
La Terra promessa
Carmela, come tanti operatori cinofili, guarda al fenomeno delle staffette con circospezione. Non tutti i cani trasportati a tanti chilometri di distanza dal loro ambiente trovano una sistemazione felice. I canili rifugio esplodono e le staffette che trasportano trovatelli sono ormai quotidiane. Nel 2019 le adozioni, cioè la sistemazione di randagi calabresi, sono state 1492. Quasi totalmente al Nord, sostiene la Lav.
Aldina Stinchi
«Noi ci battiamo in maniera feroce contro questo traffico di animali», dice senza mezzi termini Aldina Stinchi. «Le staffette partono per arrivare a un presunto nord felice che dovrebbe avere la capacità di ospitare migliaia di animali. È qualcosa di indecente e noi non sappiamo che fine facciano tutti i cani. Qualcuno troverà una buona sistemazione, ma gli altri? A volte il cane viene ospitato in una famiglia senza che ne sia stato verificato l’indice di adattabilità. E così viene abbandonato una seconda volta». L’associazione della Stinchi denuncia le collette promosse su Facebook, il business dei canili, che percepiscono soldi pubblici per mantenere i loro ospiti, le condizioni del viaggio verso le terre promesse, «terribili. Per me sono vere e proprie deportazioni».
Gabbie invisibili
A Caraffa di Catanzaro si recuperano nel green cani ammalati, abbandonati, buttati davanti al cancello del villaggio. A contrada Motta, nel campo di Yellowjoy, si insegna caparbiamente che il benessere del cane cammina su sei zampe. In qualche agglomerato cittadino spuntano rari cani di quartiere. Ma le gabbie dei randagi sono dure da abbattere. Sono di ferro ma anche invisibili.
Mors tua vita mea: è stata questa, probabilmente, la sintesi della telefonata intercorsa ieri sera tra l’aspirante sindaco di Catanzaro, Valerio Donato, e Wanda Ferro, che è stata il suo sponsor occulto fin dall’inizio della candidatura (unitamente agli imprenditori Giuseppe Gatto e Giuseppe Grillo).
Il tentativo della deputata e commissaria regionale di Fratelli D’Italia di far digerire a Giorgia Meloni il fronte arcobaleno che si sarebbe formato attorno al docente dell’Università di Catanzaro non è andato a buon fine. Niente matrimonio politico tra Lega e Fi con esponenti storici della sinistra catanzarese, l’ex governatore Agazio Loiero e l’ex candidata regionale Amalia Bruni.
Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco
D’altronde, il paragone tra Donato e Draghi utilizzato da qualcuno per giustificare la fuoriuscita dal centrosinistra “classico”, non può certo essere utilizzato come carta da giocare sul tavolo dei sovranisti. Fdi è in maniera netta all’opposizione del Governo romano, con continue fibrillazioni all’interno del centrodestra. E in Calabria la linea pare debba essere la stessa.
Lo chiamavano “Gaffeur”
Non hanno aiutato nemmeno le continue uscite mediatiche di Donato. In primis quella – attribuita ad una nota stampa a firma del suo comitato promotore – sul trasferimento del Consiglio regionale a Catanzaro, con tanto di uscita piccata degli esponenti reggini di Forza Italia e Lega che, in teoria e fino all’imminente vertice nazionale del centrodestra, sono i principali alleati del fronte simil civico donatiano.
Ciccio Cannizzaro, deputato e responsabile nazionale di Forza Italia per il Meridione, ha definito la proposta di Donato «grottesca». Le dichiarazioni del professore? «Sicuramente rilasciate dopo un’allegra serata con gli amici», con argomenti «di becero populismo per tentare di strappare qualche voto». Non ci è andato più leggero il leghista Giuseppe Gelardi, che ha parlato di una «boutade non certo degna di un candidato sindaco».
Ciccio “Profumo” Cannizzaro
Salvini? Non sul palco, ma con le liste
Durante un confronto televisivo con gli altri candidati, poi, Valerio Donato si è lasciato sfuggire questa frase: «Se dovesse venire Salvini farà la sua attività politica, ma non potrà vedere a fianco di Salvini la mia persona». Insomma, niente comizio congiunto su un palco, ma ben due liste, allestite dal presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso (Alleanza per Catanzaro e Prima Catanzaro) pronte a foraggiare Donato in termini di consensi.
L’evidente contraddizione ha mandato in escandescenze il leader leghista. Uno che tre anni fa a Lamezia Terme, città del suo unico (e oggi molto silente sulle amministrative del capoluogo) deputato Domenico Furgiuele, non esitò a ritirare la lista per delle dichiarazioni dell’allora candidato sindaco Ruggero Pegna proprio contro Salvini.
Domenico Furgiuele
In tutto questo marasma è intervenuto in maniera tranchant un rappresentante di un partito semi-alleato del fronte donatiano, il commissario cittadino dell’Udc con delega (di Lorenzo Cesa) alla presentazione della lista Vincenzo Speziali. Per lui «Il professor Donato confermerebbe anche un’altra sua pecca, oltre al berlinguerismo e al relativo moralismo, ammantato dalla cattedraticità, ovvero di essere un noto gaffeur».
Palermo e Catanzaro
Le dinamiche nazionali, checché ne dicano i feticisti del civismo catanzarese, incidono eccome. Ecco perché, nonostante il passo in avanti di Lega, Forza Italia, Italia al Centro e Udc (almeno in parte) a favore di Valerio Donato, Wanda Ferro è rimasta in un imbarazzato silenzio. Si è lasciata scappare a inizio mese solo un sibillino «l’importante è mai con il M5S e con il Pd». Senza pensare, però, che mezzo Pd era già dentro le liste del docente, comunicati stampa alla mano. E che c’era dentro pure Italia Viva, altro elemento di mugugni interni alla coalizione.
Da due mesi, invece, a Palermo i meloniani hanno candidato come sindaca la loro deputata, Carolina Varchi. La sua candidatura in solitaria ha ricevuto il placet dei vertici nazionali, in primis del responsabile organizzativo (che già si occupò delle liste regionali in Calabria) Giovanni Donzelli. La Varchi, giusto qualche giorno fa, ha dichiarato: «Stiamo valutando tutte le opzioni per tenere compatto il centrodestra, che è il nostro perimetro. Evidentemente la nostra storia rende non percorribile la strada di una campagna elettorale in compagnia degli esponenti di Italia Viva».
Telefono bollente
Già, perché il tavolo nazionale del centrodestra ‘rianimato’ da Berlusconi è chiamato a risolvere le spaccature sui territori. Ma difficilmente la Meloni – a differenza di un Salvini in affanno, che arriva a tollerare di essere preso a pesci in faccia in diretta tv da un ‘suo’ candidato in un capoluogo di Regione – digerirà la candidatura di Valerio Donato, nonostante le sollecitazioni. E le telefonate roventi di questi giorni tra il cognato di Giorgia Meloni, il deputato Francesco Lollobrigida, Wanda Ferro e Fausto Orsomarso, lo dimostrano.
La leader nazionale di FdI, Giorgia Meloni
Ecco perché anche a Catanzaro, fino a una determinazione del tavolo nazionale di centrodestra dal quale dovrebbe spuntare un nome unitario (e nuovo?) sia a Catanzaro che a Palermo, il diktat della Meloni alla Ferro rimane quello di correre da soli con un proprio candidato.
Wanda si “nasconde” dietro Pietropaolo
A differenza di Palermo, però, su Catanzaro non c’è stata la discesa in campo del deputato del luogo che, nel caso della Calabria, è anche commissario regionale. Wanda Ferro ha deciso di trincerarsi dietro il nome di Filippo Pietropaolo, il “suo” candidato (e di Michele Traversa) alle elezioni regionali, non eletto e poi ripescato come assessore regionale al Personale della Giunta Occhiuto.
Piccolo particolare: dei circa 4500 voti raccolti, soltanto 716 sono stati presi nella città di Catanzaro, a fronte dei quasi 1700 del consigliere eletto, Antonio Montuoro (che di candidarsi non ci pensa nemmeno). Pietropaolo, inoltre, nel 2014 quale candidato regionale del Pdl prese poco più di 800 voti a sostegno dell’allora candidata presidente, Wanda Ferro. Non è, quindi, da considerarsi un candidato forte.
Filippo Pietropaolo, neo assessore regionale nonostante la sconfitta elettorale
C’è da dire, però, che quello che tutti i sondaggi danno come primo partito italiano, con percentuali oltre il 21%, non si può certamente permettere di ottenere percentuali da prefisso telefonico sbagliando candidato in un capoluogo di Regione che esprime un deputato-commissario regionale del partito.
Ecco perché Wanda è in un cul-de-sac: da sponsor (più o meno) occulto dell’ex Pd Valerio Donato, può diventare (glielo si sta chiedendo in queste ore) la candidata probabilmente di una buona parte del centrodestra, che ritroverebbe unità attorno alla sua figura grazie ai tavoli romani. In ballo c’è la credibilità (e la faccia) di Giorgia Meloni al Sud e la candidatura in Parlamento della Ferro, di Orsomarso e della combriccola sovranista nostrana. Insomma, la Meloni è stata chiara: non si gioca a fare le comparse.
“Venti da sud” vola via?
Un santino di Venti da Sud a sostegno di Donato
La lista civica Venti da sud, stilata dal consigliere regionale di Fratelli d’Italia Antonio Montuoro, intanto ha partecipato pochi giorni fa alla riunione della coalizione di Valerio Donato. Alcuni candidati, inoltre, hanno già fatto circolare il loro santino con la scritta “Donato Sindaco”. Un passo affrettato oppure un calcolo per andare verso una Forza Italia che senza Mimmo Tallini a Catanzaro è un contenitore tutto da riempire? Lo vedremo.
È un fatto che all’interno del gruppo di Montuoro sono presenti i consiglieri comunali uscenti Roberta Gallo, sua portaborse in Regione (e già portaborse del portavoce di Mimmo Tallini nel 2020), Emanuele Ciciarello, la cui moglie Lucia Arturi è anch’essa sua portaborse in Regione, Antonio Angotti, la cui sorella è suo componente interno di struttura. Oltre a loro c’è anche Luigi Levato, già capogruppo di Forza Italia a Catanzaro, eletto nel 2017 con circa 1.300 preferenze personali.
Giuseppe Mangialavori e Silvio Berlusconi
Insomma, un team di portatori di consenso di tutto rispetto (che Pietropaolo, Ferro e Traversa non hanno). E che, però, come si è detto, potrebbe tornare alla “casa madre” e non soggiacere alla disciplina di partito. Lo stesso Montuoro è stato vicepresidente della Provincia in quota Forza Italia.
Quindi, non sorprenderebbe tale decisione che, certamente, porterebbe Wanda Ferro a scegliere tra la fedeltà romana al partito che l’ha eletta nel 2018 (con la “spintarella”, di recente pubblicamente vantata, del senatore Giuseppe Mangialavori) e lo stantio trasversalismo furbetto catanzarese dal quale è gemmata la candidatura di Valerio Donato.
Dall’ordinanza del Gip Vincenzo Quaranta sull’inchiesta “Magnifica”che ha decapitato l’Università ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria emerge quello che si potrebbe chiamare il manuale della clientela perfetta. Circostanze tutte da passare al vaglio della magistratura giudicante, ma le intercettazioni agli atti riaprono, a distanza da tre anni dall’inchiesta “Università bandita” che ha coinvolto l’ormai ex rettore dell’Università di Catania, interrogativi sulle presunte distorsioni del mondo universitario.
Non per soldi ma…
Pasquale Catanoso
L’ex rettore dell’ateneo reggino, Pasquale Catanoso, dalle carte parrebbe essere il garante di un sistema di potere ben radicato e con profonde relazioni politiche e istituzionali.
«Emerge un quadro istituzionale sconcertante. Nulla avviene nella legalità in sede di selezione, tutto è soffocato da logiche clientelari e di favoritismo», scrive il giudice per le indagini preliminari. Quali possano essere le finalità perseguite le spiega, invece, il pubblico ministero negli atti di inchiesta: «Ciò che li spinge ad una gestione così illegale della cosa pubblica non è “la mazzetta” ma un’utilità ben più articolata, fatta di prestigio, presenza e notorietà in ambito professionale e disponibilità di risorse materiali da investire nei propri progetti».
Trimarchi dirige il centro di ricerca in Economia e Management dei Servizi. In un’intervista al magazine economico Costozero dello scorso dicembre affermava che «bisogna avere una visione laica della cultura». Dalle carte dell’inchiesta, però, emergerebbe ben poco di laico. Ad esempio, l’interessamento di Trimarchi per una studentessa che avrebbe partecipato al concorso di dottorato in architettura della “Mediterranea”. Nell’ordinanza il Gip rileva «quanto sia radicata l’abitudine ad interferire con le dinamiche di selezione tra candidati di un concorso, quale il dottorato, aperto ad esterni e interni all’Ateneo che lo bandisce, nell’ottica di sistemazione dei propri pupilli».
Seconda per principio
È proprio in questo sistema che si sarebbe mosso Trimarchi, indagato insieme alla sua presunta pupilla Francesca Sabatini. La ragazza, estremamente competente e che sarebbe potuta arrivare prima nella graduatoria di merito, secondo quanto riferiscono tutti gli altri indagati nelle intercettazioni (che la mettono al secondo posto solo «per principio», secondo quanto si legge nell’ordinanza) – si ritrova invece in questo presunto, ma potenzialmente abietto, sistema di spintarelle.
A fine luglio del 2018 l’Università Mediterranea dà il via a una selezione per il dottorato di ricerca in “Architettura e territorio”. Inizialmente le borse di studio sono 6 (su 8 posti), poi divenute 8 su 10 posti: tre finanziate dall’ateneo reggino, altrettante dalla Magna Graecia e due da fondi POR Calabria 2014/2020. Tra le vincitrici del dottorato con borsa di studio di Catanzaro c’era proprio Sabatini, arrivata seconda con un punteggio 104/120.
Per garantirle un posto al dottorato, il docente Umg si sarebbe letteralmente “fatto in quattro” unitamente all’allora rettore della Mediterranea, Pasquale Catanoso. Secondo la Procura, i candidati “favoriti” hanno conseguito «indebiti e ingiusti vantaggi patrimoniali, legati alla remunerazione e alla progressione di carriera discendenti dall’ammissione al corso di dottorato in architettura e territorio – XXXIV Ciclo dell’Ateneo».
Le intercettazioni
Proprio due giorni fa, Trimarchi ha scritto sul suo profilo Facebook: «Miei cari, per circostanze complesse non ho più il cellulare. Per salvare insieme la galassia accontentiamoci dei messaggi su fb, ig, linkedin, etc.».
Quello stesso cellulare durante le indagini è stato oggetto di intercettazioni, dalle quali emergerebbe il forte interesse del docente affinché non una, ma due “sue” candidate la spuntassero all’esito del concorso di dottorato, con relativa borsa di studio triennale. Un desiderio, però, che dovrà ridimensionare perché l’allora rettore Catanoso spiega di poter “garantirgli” soltanto un posto sul totale di quelli banditi.
Inoltre, in altra conversazione, il professore dell’Umg specifica di aver già segnalato due anni prima una ragazza (non indagata), chiamandola “la mia dottoranda”, pur essendo all’Università di Reggio Calabria, dove Trimarchi non è docente.
Trimarchi e Catanoso, ignari di avere i telefoni sotto controllo, ne parlano l’1 agosto 2018. Il primo si duole perché negli anni precedenti solo uno dei candidati che ha segnalato, si legge nell’ordinanza, «è stato effettivamente favorito»:
«Trimarchi: senti, volevo anticiparti una cosa banale ma, importante che posso dirla solo a te… Quest’anno avrei due candidate per il dottorato Catanoso: eh Trimarchi: in forza delle tre borse che fa… Reggio ogni tanto Catanoso: se puoi… fartene una… no veramente, vabbè poi ti spiego perché… se puoi mettine una Trimarchi: se posso preferisco due Catanoso: comunque il concorso è… rigoroso si… il concorso è rigoroso Trimarchi: sono sono bravissime queste qua… mi… mi vergognerei di presentarle insomma… so proprio brave, però mi sembrava carino parlarne con te Catanoso: il concorso è rigorosissimo… si il concorso è rigorosissimo… perciò ti voglio… capito? Trimarchi: va bene, perché io… l’anno scorso, una su tre… due anni fa una su tre… ricordiamocelo Catanoso: si ma non c’entra… poi ti dico Trimarchi: lo so che non c’entra lo dico anch’io non c’entra niente, però… voglimi bene, va bene? Ciao Ciccio grazie…»
Una sì, due no
Massimiliano Ferrara
Michele Trimarchi – un mese dopo, il 4 settembre 2018 – in un’ulteriore conversazione telefonica intercettata, parla con un altro indagato, Massimiliano Ferrara, direttore del dipartimento di Giurisprudenza. Si lamenta perché da due anni non fa parte della commissione esaminatrice per la selezione dei candidati per il dottorato in architettura. Manifesta all’interlocutore la speranza che stavolta lo inseriscano, anche perché «ha due candidate» da far entrare. Il problema che paventa Trimarchi è che il rettore gli ha fatto, invece, intendere che due candidati sarebbero stati troppi. Ma quest’ultimo, afferma, «non deve rompere i cogl…». Così annuncia di voler parlare della questione con il coordinatore del dottorato, Gianfranco Neri (altro indagato nell’inchiesta).
«Trimarchi: no, la situazione è questa qua, allora, io sono al collegio nel dottorato, ovviamente ci rimango, quest’anno… ora non ho capito perché loro per due anni non mi hanno messo nella commissione… quest’anno gli avevo detto, eventualmente gli avevo detto eventualmente di met… dovrei avere due candidate visto che ogni anno diamo tre borse da Catanzaro Ferrara: eh ma ci sono le tue candidate? Trimarchi: eh Ferrara: si sono candidate? Hanno presentato la domanda? Trimarchi: si si serie… si si certo Ferrara: e… entrato sempre quello del DarTe no? Trimarchi: del DarTe si, tanto conoscendomi bene sai che non faccio candidare gente scarsa cioè… Ferrara: ma che stai scherzando? Trimarchi: però appunto io vedo di capire che cosa succede in questa tornata di dottorati… Pasquale mi ha subito detto… ah però… due sono troppi qua e la… e Pasquale deve rompere i coglioni Ferrara: che cazzo vuole dire… e si perché quelli che candidano quegli altri sono belli…? Trimarchi: e non me lo dire a me… io adesso ne parlo direttamente con Neri che rimane il coordinatore del dottorato e confido che non mi rompano i coglioni dopodiché ne parliamo con calma, però insomma dovrebbe essere una cosa tranquilla, quindi adesso guarda, facciamo così, io appena capisco com’è la situazione perché non so manco quando saranno le prove di ammissione al dottorato…»
Rapporti da salvaguardare
Alla fine, Trimarchi deve ridimensionare la sua “pretesa”, come gli ha anticipato Catanoso ad agosto. Quest’ultimo, però, in sede di concorso, pare adoperarsi comunque a favore della Sabatini. Così scrive il Gip: «Il Catanoso ha manifestato un fortissimo interesse a che la candidata Sabatini superasse il concorso, anzi l’ha preteso, si è fatto in quattro per assicurare la vincita del concorso, ritenendo che da tale fatto dipendessero le sorti dell’Università reggina. Le conversazioni hanno fatto emergere l’interesse del Catanoso a favorire la Sabatini, uno dei candidati catanzaresi, al fine di non compromettere i rapporti con Catanzaro, per assicurarsi la futura collaborazione sul piano dello stanziamento di somme da destinare al dottorato di ricerca».
La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria
Nella tarda serata della data di conclusione della prova orale per l’ammissione al dottorato, il 19 settembre 2018 alle ore 22, Catanoso chiede al direttore generale dell’Università, Ottavio Amaro, se siano passati candidati di Catanzaro, riferendosi proprio alla Sabatini, la candidata “segnalata” da Trimarchi.
«Catanoso: è passato qualcuno di Catanzaro? Amaro: si è stata la prima, la più brava mi hanno detto Catanoso: eh brava si va bene va bene Amaro: la Sabatini Catanoso: vabbè, grazie Ottavio»
Massima riservatezza
Il concorso è stato bandito, come si è detto, nel luglio 2018, mentre le prove sono state a settembre. Quattro mesi prima dell’emanazione del bando, risulta dall’ordinanza del Gip una conversazione tra il coordinatore Gianfranco Neri (indagato) e Trimarchi circa lo stanziamento delle borse di studio finanziate dalla ‘Magna Graecia’ a favore del dottorato reggino (una delle quali, come risulta dagli atti, andrà alla “segnalata” Sabatini).
Come scritto dal Gip, «l’intervento del Trimarchi risulta essere stato decisivo per lo stanziamento ma non è possibile però ipotizzare, a livello di gravità indiziaria, a carico del Trimarchi il compimento di atti contrari ai doveri del proprio ufficio con riferimento alla fase dello stanziamento delle borse/fondi». «Non si conoscono – prosegue il giudice – le dinamiche che sono state attivate dallo stesso Trimarchi, anche se è emerso come lo stesso Rettore (Giovambattista De Sarro, ndr) avesse chiesto di tenere il massimo riserbo sulla questione (non si individua l’esigenza di cotanta segretezza)». Sempre nell’ordinanza si legge che «il Trimarchi nella veste di professore ordinario e quindi di pubblico ufficiale è sicuramente nella condizione di poter influenzare le scelte dell’Ateneo catanzarese in tema di stanziamento di borse di studio in favore di altri Atenei».
Il rettore De Sarro
A differenza di quanto sostenuto dal pubblico ministero, però, per il Gip «gli elementi che si hanno portano a ravvisare, secondo le valutazioni che sono proprie della presente fase procedimentale, la fattispecie di cui all’art. 318 e 321 cp in relazione alla quale il Trimarchi riveste la qualità di corrotto e il Catanoso (ma anche Neri, Amaro e Tornatora) la qualità di corruttore».
Ecco il testo della conversazione telefonica, datata 28.3.2018, tra Neri e Trimarchi sullo stanziamento dei fondi per le borse di studio: «Trimarchi: Sentimi sono riuscito finalmente a parlare con il Rettore e ha detto va bene. Neri: va bene d’accordo… Trimarchi: Quindi stasera gli mando una lettera, ha detto naturalmente di fare…far stare la cosa nel più massimo silenzio possibile Neri: D’accordo Trimarchi: perchè loro c’hanno sai Neri: D’accordo»
Subito dopo aver parlato con Trimarchi, riportano gli atti, Neri chiama la moglie del Dg dell’Università ‘Mediterranea’ Ottavio Amaro, la docente Marina Tornatora per renderla edotta di quanto gli hanno comunicato.
«Neri: Senti ho sentito Michele Trimarchi… Tornatora: si Neri: Si, il quale mi ha detto che ha parlato con il Rettore e che… domani mattina… che sta tutto a posto per lui va bene, domani mattina ci comunicheranno questa cosa…Mi diceva, ma lo dirà pure a te di avere il massimo… massima riservatezza su questa cosa perché il Rettore vuole così, il Rettore di Catanzaro…»
Il silenzio del rettore
Nessun commento è pervenuto al momento da parte del rettore dell’Università di Catanzaro, Giovambattista De Sarro. Nè è chiaro se nella prossima seduta del C.d.a. universitario o del Senato accademico si parlerà del “caso Trimarchi”.
Certo è che l’Umg già tre anni fa, nell’ambito dell’inchiesta “Università Bandita, venne scalfita con l’inserimento tra gli indagati di docenti dell’ateneo catanzarese.
Allora si mise tutto sotto il tappeto, ma certamente De Sarro dovrebbe spiegare come mai avrebbe imposto il silenzio sui fondi “sollecitati” da Trimarchi a favore del dottorato in architettura dell’Università di Reggio Calabria. Al tramonto del suo settennato, su De Sarro (che, si sottolinea, non è indagato) pende questa situazione assai scomoda. I molteplici organi istituzionali dell’Ateneo o i rappresentanti degli studenti gliene chiederanno conto?
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