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  • Catanzaro: dopo la batosta, il centrodestra prepara la faida

    Catanzaro: dopo la batosta, il centrodestra prepara la faida

    Nei ballottaggi il centrosinistra imperversa un po’ ovunque. A Monza, a dispetto dell’impegno di Berlusconi per il sindaco uscente Dario Allevi (sostenuto anche da Lega e Fdi). E peggio che andar d notte a Verona, dove Damiano Tommasi ha approfittato delle frizioni interne al centrodestra e si è imposto sull’ex sindaco Federico Sboarina.
    A conferma che non c’è due senza tre, le stesse frizioni si sono ripetute a Catanzaro, con un esito altrettanto devastante. Al riguardo, è stato profetico Roberto Calderoli, quando si è lasciato scappare un’espressione piccante: «Comunque vincerà uno del Pd…».

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    Salvini arringa i catanzaresi

    Eppure nel capoluogo regionale Matteo Salvini si era speso assai, anche mediaticamente, per Valerio Donato. E aveva mandato giù un boccone amarissimo. Cioè quel: «Mai sul palco con Salvini» pronunciato proprio dal “suo” candidato.

    La resa dei conti

    Da oggi, però, inizia la resa dei conti nel centrodestra nazionale, in cui la batosta di Catanzaro ha il suo peso.
    Inequivocabile sul punto Flavio Tosi, big veronese passato in Forza Italia: «Se si sono rotti i tavoli a Catanzaro a Parma e anche altrove la causa è Verona. Ovverio: Fratelli d’Italia ha fatto saltare il banco ovunque perché a Verona non c’è stato l’apparentamento su Sboarina».
    Stando a questo ragionamento, la colpa della “botta” di Catanzaro sarebbe delle scelte politiche della commissaria regionale.
    Wanda Ferro, infatti, ha fatto saltare i tavoli di coalizione, ha bruciato nomi come fiammiferi, infine ha ispirato la candidatura di Valerio Donato. Il quale, tra l’altro, è una vecchia conoscenza della deputata meloniana (è stato suo avvocato nel ricorso contro la legge elettorale regionale nel 2014).

    Ma siccome nulla a Catanzaro è lineare, Wanda si è candidata contro Donato, salvo sostenerlo (senza apparentamenti) al ballottaggio.

    Donato il candidato “scaricato”

    Docente della Magna Graecia di Catanzaro e presidente della Fondazione Umg, Valerio Donato ha rivendicato a spoglio ancora in corso la sua matrice di sinistra. In verità, lo ha fatto per tutta la campagna elettorale, nononstante le molteplici iniziative pubbliche con i big del centrodestra.
    Ed ecco che la “Rinascita” ha partorito un topolino.
    Difatti, la lista espressione della sua proposta politica («nettamente bocciata dagli elettori» ha ammesso a scrutinio quasi finito) si è fermata al 4,9% e ha eletto solo Gianni Parisi, l’ex presidente del Sant’Anna Hospital.
    E c’è di peggio: Donato ha avuto il 9,8% di voti in meno rispetto alla coalizione.
    Se non è questo un segnale di sfiducia…

    Fiorita sindaco: l’uomo della rimonta

    Destra e sinistra esibivano la carta “Valerio Donato” da quasi un ventennio alla vigilia di ogni Amministrativa. Forse oggi, alla luce della “remuntada” di Fiorita, si può dire che la carta è stata calata tardi e male.
    Al primo turno Fiorita era indietro di 5.800. Al secondo, ha ribaltato le urne e si è trovato avanti 5.045 schede.

    Nicola Fiorita brinda alla vittoria

    Segno che la proposta civica di Donato è stata soffocata dal notabilato locale di centrodestra. Ma ciononostante non ha sfondato.

    Big allo sbando

    Torniamo a Wanda Ferro: la big meloniana ha postato su Instagram il bacio di Giuda con l’hashtag #quanticenesono. Peccato che il “pasticcio politico” lo abbia imbastito lei.
    Il presidente del Consiglio regionale in quota Lega, Filippo Mancuso, che aveva avuto carta bianca per le Amministrative dai vertici del Carroccio, ha diramato una nota stampa in cui riconosce la sconfitta e fa gli auguri a Fiorita. E tutto lascia pensare che, sotto sotto, Domenico Furgiuele, l’altro boss della Lega, se la rida sotto i baffi.

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    il post di Wanda Ferro su Instagram dopo l’esito del ballottaggio

    Il cerino in mano

    Il coordinatore cittadino di Forza Italia Marco Polimeni, è in un cul de sac.
    È rimasto col cerino in mano dopo la dichiarazione pubblica resa al fianco di Donato e del coordinatore regionale Giuseppe Mangialavori: «Lo dico subito: noi non avremo nessuna intenzione il giorno dopo di venderci e di fare accordi innaturali, il giorno dopo rassegneremo immediatamente le dimissioni e non accetteremo nessun accordo trasversale».
    «Polimeni parla solo per sé stesso» ha dichiarato più di un eletto nella coalizione di Valerio Donato.
    Questa dichiarazione rischia di minare la credibilità politica dell’ex presidente del Consiglio, che secondo i beneinformati era prossimo a diventare portaborse di Michele Comito, il presidente della Commissione sanità del Consiglio regionale, su indicazione di Mangialavori.

    Niente anatre, solo volponi

    Durante il ballottaggio ha tenuto banco la questione “anatra zoppa”. Che, almeno sulla carta, c’è: Valerio Donato ha 18 Consiglieri, Fiorita ne ha 10.
    Ma la politica catanzarese è abituata alle giravolte. La sa lunga Sergio Costanzo, il più votato a Catanzaro. A un quarto d’ora dalla chiusura dei seggi, su Facebook, ha abbandonato il “donatismo” con un’affermazione inequivocabile: «chiunque vinca avrà l’arduo compito di risolvere gli atavici problemi che attanagliano la nostra città e ridare dignità al capoluogo. Vinca il migliore, in bocca al lupo Valerio e Nicola». Un chiaro segnale di consapevolezza del vento elettorale.
    Tra consiglieri che si congratulano e altri pronti a diventare “responsabili” per il “bene della città”, Fiorita dovrà barcamenarsi tra i volponi ritornati in un Consiglio che ha poche novità. Una bella sfida.

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    Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico

    Talerico: l’ago della bilancia

    Antonello Talerico, presidente degli Avvocati di Catanzaro con un ricorso in ballo per subentrare a palazzo Campanella, è riuscito a diventare l’ago (pungente) della bilancia. Nonostante la faida personale con Mangialavori, che spesso lo ha distratto, ha tenuto testa ai due poli al primo turno e ricevuto il sostegno di Carlo Calenda, che ha rivendicato il risultato a doppia cifra di Catanzaro, e di Maurizio Lupi.
    Porta in dote, salvo riconteggi, tre consiglieri oltre lui, pronti a sostenere la maggioranza dopo aver dato una bastonata politica a un centrodestra ostile, con la sola eccezione di Roberto Occhiuto.

    Partitismo gregario

    Nicola Fiorita è risultato forte nella sua impronta civica. Le sue liste Mò e Cambiavento hanno trainato i consensi. Va ricordato che i grillini hanno fatto per primi il suo nome a sinistra, in particolare Paolo Parentela.
    il M5S festeggia il primo ingresso in Consiglio comunale (nonostante il 2,77%) con Danilo Sergi. Il Pd cresce di poco rispetto al 2017 (arriva al 5,8%) ma raddoppia la rappresentanza: Giusy Iemma, la presidente regionale, e il segretario cittadino Fabio Celia. Torna anche il Psi (2,7%) con Gregorio Buccolieri.
    Questo partitismo è risultato gregario. Toccherà al neo sindaco non divenirne prigioniero.

    I fantasmi della campagna elettorale

    Non si sono visti per l’intera campagna elettorale né hanno fornito candidati alla coalizione, nonostante le richieste. Sono spariti e ora ritornano.
    Parliamo del parlamentare del Pd Antonio Viscomi, già candidato nell’uninominale di Catanzaro. Viscomi il primo turno delle Amministrative pubblicò una foto con i risultati dei candidati del Pd di Pizzo.
    «Trovare candidati è difficile» disse ai dirigenti dem di Catanzaro quando gli chiesero di dare un apporto fattivo alla lista.
    Idem per la Consigliera regionale del gruppo misto Amalia Bruni. «Ci sto provando senza riuscirci» avrebbe detto, salvo poi spuntare con tanto di Spritz in mano per le photo opportunity.
    Zero tituli anche per la sardina Jasmine Cristallo, spuntata a favor di intervista tra baci e abbracci soltanto all’ultimo ma il cui apporto – nonostante il “campo largo” da sempre decantato – è stato, secondo fonti dem, assolutamente nullo

  • Nicola Fiorita sindaco di Catanzaro

    Nicola Fiorita sindaco di Catanzaro

    Nicola Fiorita nuovo sindaco di Catanzaro. Scrutinate 90 sezioni su 92. Il candidato di centrosinistra si attesta al 58,59 %, mentre lo sfidante Valerio Donato si ferma al 41,41 %. Adesso Fiorita, docente dell’Unical, dovrà affrontare il difficile scoglio dell’anatra zoppa. Le dieci liste che sostenevano Donato al primo turno hanno raggiunto il 53,81 %.

    Ad Acri trionfa l’uscente Pino Capalbo (51,89 %) su Natale Zanfini (48,11 %). A Paola Giovani Politano è in vantaggio su Emira Ciodaro.

     

  • L’anatra zoppa in salsa catanzarese e il consiglio dei soliti voti

    L’anatra zoppa in salsa catanzarese e il consiglio dei soliti voti

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    Le elezioni del capoluogo di Regione erano le più attese e le più discusse con un centrodestra diviso tra faide personali, giochi nazionali e uno sguardo alle imminenti politiche. E il centrosinistra? Piazze piene, urne non altrettanto.

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    Nicola Fiorita con l’ex presidente del Consiglio e adesso leader del M5S, Giuseppe Conte

    Il ballottaggio

    I risultati ci consegnano un capoluogo tendenzialmente di centrodestra, pur mandando al ballottaggio due docenti di  centrosinistra e sinistra: Valerio Donato, che ha stracciato poco prima della competizione elettorale la tessera del Pd ma avrebbe certamente fatto il candidato sindaco dei dem; e Nicola Fiorita che non è mai stato iscritto al Pd ed in passato ne è stato avversario.
    Quello che caratterizza Fiorita è la capacità di attrarre il voto disgiunto a suo favore, oltre sei punti percentuali (a fronte degli oltre dieci del 2017) rispetto alla coalizione che lo sostiene. Per lui l’impronta civica prevale nettamente. Le “sue” liste Cambiavento e Mo’ che toccano rispettivamente il 7,35% e il 7,23%, a fronte di un Pd che raggiunge il 5,8 (nonostante big e portaborse piazzati in lista per la battaglia elettorale) e un M5S che raggiunge il 2,77%.

    Molto diversa la figura di Donato che ottiene otto punti percentuali in meno rispetto al risultato ottenuto dalle liste della sua coalizione. Una coalizione capitanata dal presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso, che si dimostra il più grande “tutore” politico di Valerio Donato. Ha messo a tacere i malumori leghisti (in due liste civiche oltre al simbolo mancano i militanti ”storici” del Carroccio), il deputato Domenico Furgiuele e lo stesso Matteo Salvini, che non si è fatto vedere per come desiderato dal candidato sindaco. Il risultato, però, si è palesato. La lista Alleanza Per Catanzaro ottiene il 7,56%, mentre Prima L’Italia il 6,38%.

    Catanzaro: anatra zoppa in vista

    Le dieci liste di Valerio Donato, però, avendo ottenuto il 52,3% hanno portato ad una situazione abbastanza atipica. Si chiama “lame duck” o “anatra zoppa”, praticamente non scatta il premio di maggioranza e, pertanto, spettano meno seggi alla coalizione donatiana che, se vincerà, si troverà ad avere una maggioranza risicata ma, qualora vincesse Nicola Fiorita al ballottaggio, sarebbe un sindaco di minoranza. Non un grande problema in una città dove regna politicamente il trasformismo e il trasversalismo più perverso.

    Nel 2010 a Lamezia Terme il sindaco Gianni Speranza governò con una maggioranza di centrodestra. Nel 2018 ad Avellino il sindaco del Movimento 5 Stelle governò con una maggioranza di centrosinistra. Dal 2021 a Latina il sindaco di Pd-M5S governa con una maggioranza di Lega, Fi e Fdi. Anatra zoppa potrebbe realizzarsi ora a Molfetta che va anch’essa al ballottaggio.

    Difficilmente, quindi, consiglieri comunali neo-eletti dopo una campagna elettorale estenuante, manderanno a casa un sindaco su due piedi, a prescindere da chi a Catanzaro la spunterà al ballottaggio. Una competizione che vede favorito Valerio Donato sui numeri (nonostante il segnale politico di “sfavore” arrivatogli dal voto disgiunto) ma, come ha ricordato sui social Antonello Talerico, nel 1994 Benito Gualtieri partì sfavorito con 9 punti in meno rispetto a Zunzio Lacquaniti, superandolo poi di 3500 voti al ballottaggio. La partita, quindi, è aperta.

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    Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico

    E le altre destre?

    Citando i risultati del 1994, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Catanzaro, Antonello Talerico, ha anche annunciato: «La storia si ripeterà, è già segnata», chiarendo già che sarebbe impossibile un suo appoggio alla coalizione sostenuta dalla sua nemesi politica, il senatore e coordinatore regionale di Forza Italia, Giuseppe Mangialavori. Insomma, una resa dei conti anche personale. Talerico, però, porta in dote un abbondante 13,1%, risultato rivendicato anche dal leader nazionale di Azione, Carlo Calenda (che elegge il segretario provinciale, Raffaele Serò, candidato in “Io Scelgo Catanzaro”), ma anche dal leader di Noi Con L’Italia, Mimmo Tallini. Un bottino certamente ambito e ricercato, che Nicola Fiorita dovrà riuscire a carpire con un valido accordo politico. «Vogliamo incidere sull’amministrazione» è il diktat di Talerico.
    Per quanto riguarda Wanda Ferro, invece, il risultato è stato certamente ragguardevole con un 9,16% (in linea con il risultato ottenuto a Catanzaro città alle regionali) a fronte del 4,82% della lista.

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    Wanda Ferro con la leader nazionale di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni

    Certo, se i consiglieri comunali uscenti legati al consigliere regionale Antonio Montuoro –  tra cui la sua portaborse Roberta Gallo e i parenti degli altri suoi portaborse Antonio Angotti, Emanuele Ciciarello, oltre che a Luigi Levato, candidati nella lista Progetto Catanzaro di Valerio Donato – , avessero “foraggiato” di consenso Fratelli D’Italia, quest’ultima lista avrebbe raddoppiato il risultato. Loro hanno ottenuto 2692, superando i 2777 raccolti dalla singola lista a sostegno di Wanda Ferro.

    Giorgia Meloni risponde pubblicamente a Matteo Salvini dicendo che il centrodestra non è stato unito nei territori, tra cui Catanzaro, «per motivi locali». Wanda Ferro, invece, quasi fosse una partita di ping-pong, specifica che ad orientare Fratelli D’Italia al ballottaggio sarà il ragionamento complessivo fatto dai leader nazionali. Tutto fa pensare, però, che una manina a Valerio Donato arriverà a prescindere.

    La restaurazione in consiglio comunale

    Quello che non vedremo al secondo turno, però, sarà un surplus di impegno dei consiglieri comunali “in bilico”, essendo i giochi già fatti per quanto concerne i seggi. La composizione (potenziale, fino alla proclamazione) del nuovo consiglio comunale, però, è molto simile alla precedente per cui chi parla di “rinascita”, si troverà di fronte un’assise all’insegna della restaurazione.
    Salvo errori, omissioni e potenziali ricorsi, la coalizione di Valerio Donato avrà 18 seggi, una maggioranza risicata, dove oltre a Donato stesso, entrerebbero per Alleanza per Catanzaro gli ex consiglieri di Svolta Democratica, oggi novelli pseudo leghisti, Eugenio Riccio e Manuel Laudadio (quest’ultimo è il figlio dell’ex consigliere e assessore regionale Franco Laudadio). Con loro ritorna in aula (dove è presente, al pari di Riccio, da oltre 15 anni), Rosario Mancuso.
    Con l’altra lista leghista, Prima l’Italia, viene rieletto l’ex esponente di centrosinistra con Calabria in rete ed ex assessore comunale, Rosario Lostumbo, oltre alla new entry Giovanni Costa.
    Con Progetto Catanzaro tornano in aula i già citati ex forzisti ora “montuoriani” Emanuele Ciciarello e Luigi Levato. A casa, invece, la portaborse Roberta Gallo e l’uscente Antonio Angotti. Flop per l’ex candidato regionale Gianluca Tassone, figlio del democristiano Mario.
    Con Catanzaro Azzurra vince la coppia Marco Polimeni e Alessandra Lobello, che rientrano in consiglio comunale. Fuori, invece, gli amministratori uscenti Ezio Praticò, Danilo Russo e Concetta Carrozza.
    Con la lista Riformisti Avanti, ispirata dai fratelli Fabio e Roberto Guerriero, con l’ottimo risultato del 5,56%, entrano l’ex candidato regionale di Forza Azzurri (ma sostenitore del centrosinistra nel 2017) Giorgio Arcuri, e l’ex esponente di Fare per Catanzaro, Stefano Veraldi.

    La lista Cambiamo! di Giovanni Toti riporta in Consiglio l’ex talliniana Manuela Costanzo e l’ex portaborse ed ex assessora comunale Lea Concolino (ora vicina a Francesco De Nisi). La lista Fare per Catanzaro riporta in Consiglio il suo leader Sergio Costanzo, che rimane il più votato in città con 1195 preferenze. Silurata, invece, la sua ex compagna di viaggio, l’uscente Cristina Rotundo.
    Rispetto alle liste dei partiti del centrodestra (e di quella di centrosinistra dei Guerriero), la lista del candidato sindaco, Rinascita si ferma al 4,93% portando in consiglio l’ex Presidente del CdA del Sant’Anna Hospital, Gianni Parisi. Fuori l’ex esponente Udc e consigliere uscente Giovanni Merante, l’ex segretario Pd Antonio Menniti e l’ex grillina Roberta Canino.

    Italia al Centro piazza Francesco Scarpino, già consigliere comunale “abramiano” di due consiliature fa. Rientra con la lista Volare Alto, invece, il consigliere comunale uscente Antonio Corsi.

    Sinistra amarcord

    Più indietro il centrosinistra. Il campo largo è, per ora, solo decantato. La coalizione di Nicola Fiorita avrà 9 seggi incluso il suo. Ritorna in aula con la seconda elezione in Cambiavento, Gianmichele Bosco, già esponente di Potere al popolo e tra i fedelissimi del candidato sindaco. Con lui Vincenzo Capellupo, già consigliere comunale nel Pd dal 2012 al 2017. La new entry (una delle poche dell’assise) è la docente di diritto romano della Umg, Donatella Monteverdi.
    Ritorna in aula con la lista la docente Daniela Palaia e Tommaso Serraino, quest’ultimo sostenuto dall’ex consigliere comunale di centrodestra Roberto Rizza.
    Il Pd si ferma al 5,8%, ma riesce ad eleggere due consiglieri. Fa il botto di preferenze la ex candidata regionale e ora presidente regionale del Pd Giuseppina Iemma e segue il segretario cittadino Fabio Celia, già consigliere comunale di Fare per Catanzaro in una parte della scorsa consiliatura. Flop, invece, per l’ex coordinatore cittadino Salvatore Passafaro, che non viene eletto.

    La presidente regionale del Pd, Giuseppina Iemma con il segretario regionale Nicola Irto

    Con il 2,77% il Movimento 5 Stelle entra per la prima volta in consiglio comunale con l’ex consigliere dell’Italia dei Valori, Danilo Sergi, che porta a casa 434 preferenze, a fronte delle 236 del capolista Francesco Mardente. Da rilevare il ruolo di mero riempilista dell’ex coordinatore provinciale di Catanzaro (per la campagna elettorale regionale) Pietro Maria Barberio con 0 voti. Infine, la lista Catanzaro Fiorita con il 2,7% dovrebbe eleggere l’esponente socialista Gregorio Buccolieri.

    Gli altri…

    Determinante per i futuri assetti dell’assise sarà Antonello Talerico che, oltre a se stesso, e al già citato coordinatore di Azione, Raffaele Serò, riporta in consiglio comunale l’ex azzurra Giulia Procopi, ora con Noi con l’Italia. Dovrebbe entrare con Catanzaro al centro anche il giovane Antonio Barberio. Fuori l’ex capogruppo del Pd Lorenzo Costa, oggi leader del movimento di centrodestra Officine del sud che fa capo al notabile di centrodestra Claudio Parente. Flop per l’ex assessore comunale Mimmo Cavallaro, candidato nella stessa lista, fermo a 88 voti.
    Con Fratelli D’Italia dovrebbe “scattare” solo il seggio a Wanda Ferro, che ritorna in consiglio comunale dopo 11 anni. Nella consiliatura iniziata nel 2006 governava il centrosinistra di Rosario Olivo, che la stessa Ferro votò al ballottaggio insieme a Michele Traversa contro l’ex Udc, Franco Cimino. Da segnalare che qualora la Ferro lasciasse il seggio comunale, le subentrerebbe Anna Chiara Verrengia, figlia di Emilio Verrengia, ex consigliere provinciale dell’Udc e poi di Forza Italia.
    Insomma, una assise con ben poche sorprese, tra blocchi di consenso consolidato e nepotismo, tutto un grande minestrone di Consiglieri che si sono “piazzati” e sono certamente pronti a sostenere qualsiasi sindaco uscirà vincitore dal ballottaggio.

  • Amministrative Catanzaro: Donato è primo, si va al ballottaggio

    Amministrative Catanzaro: Donato è primo, si va al ballottaggio

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    Amministrative a Catanzaro: salvo sorprese, Catanzaro tornerà al voto per decidere chi sarà sindaco tra Valerio Donato, uscito dalle urne con una forbice oscillante tra il 40 e il 44%, e Nicola Fiorita, che invece oscilla tra il 31 e il 35%.
    I due candidati principali hanno staccato la coalizione di Antonello Talerico, che presenta una forbice tra il 13 e il 17% e il monocolore di Wanda Ferro, che non supera il 9%.

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    Valerio Donato, candidato sindaco a Catanzaro

    Amministrative Catanzaro, Donato: parleremo anche con Fdi

    «Aspettiamo i risultati finali e ragioniamo su dati veri. Se saranno questi, certamente faremo un’ulteriore battaglia con l’intera area che in qualche misura rappresento di tre liste di centrosinistra, due di centro e cinque di centrodestra». Lo ha dichiarato a caldo Donato alle telecamere di Porta a Porta.
    In particolare, alla domanda se al ballottaggio andrà anche con Fdi, Donato ha risposto: «Io mi rivolgerò, come ho fatto in primo turno, all’elettorato di qualunque schieramento politico per sostenere questa proposta che come obiettivo principale ha la città e il governo della città. I punti centrali sono stati tanti ma soprattutto il lavoro, le politiche sociali, l’attenzione alle fasce di persone fragili, unitamente a servizi essenziali e poi prospettive di sviluppo come il Pnrr ci concede».

    Amministrative e referendum: affluenza in calo, flop sulla giustizia

    Il primo turno delle Amministrative di Catanzaro si è svolto in un clima di disaffezione elettorale registrato dalle statistiche.
    Infatti, l’affluenza alle Comunali di ieri in Italia è stata del 54,72%, secondo i dati definitivi relativi agli 818 comuni gestiti dal Viminale.
    Alle precedenti elezioni omologhe era stata del 60,12%.
    Discorso peggiore per il referendum sulla giustizia, rimasto al 20%. Segno che le Amministrative non sono riuscite a trascinare gli elettori al voto anche per i quesiti.

    I primi nove sindaci della Calabria

    Intanto sono nove i sindaci eletti al primo turno in Calabria. I primi tre sono del Reggino.
    A Motta San Giovanni, conferma per l’uscente Giovanni Verduci. Stesso discorso a Placanica, dov’è stato confermato Antonio Condemi. Si cambia, invece, a San Procopio, dove diventa primo cittadino Francesco Posterino.
    Altra conferma nel Vibonese: a Fabrizia resta sindaco Francesco Fazio.
    Un uscente e una new entry nel Catanzarese. Conferma a Isca sullo Jonio per Vincenzo Mirarchi. A Settingiano, invece, diventa sindaco Antonello Formica.
    Nel Cosentino sono tre i sindaci.
    A Cellara diventa primo cittadino Vincenzo Conte. Due conferme a Panettieri e a San Vincenzo La Costa, rispettivamente per gli uscenti Salvatore Parrotta e Gregorio Iannotta.

  • Matti da slegare: i prigionieri del silenzio a Reggio e Girifalco

    Matti da slegare: i prigionieri del silenzio a Reggio e Girifalco

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    Segregati in casa o rinchiusi in manicomio, in Calabria come altrove. Nel ‘900 le famiglie dei “matti” avevano poche alternative. Dovevano tenerli nascosti, rassicurare i condomini, sfuggire agli sguardi e alle occhiate compassionevoli. Oppure internarli. Non si era ancora imposta la necessità di un linguaggio meno incline alla barbarie. Non si discuteva se fosse più giusto chiamarli disabili, diversamente abili o persone con disabilità. Li definivano “spastici”, “handicappati”, “anormali psichici”. Questi termini coprivano un arco ampio di casi, dalla sindrome di Down al ritardo mentale, passando per le menomazioni fisiche e i disturbi della personalità. Addirittura qualcuno scambiava ancora le sofferenze cerebrali per possessioni demoniache.

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    Reggio Calabria: l’Istituto di rieducazione per anormali psichici, manicomio cittadino (foto Rosario Cassala)

    «Ti chiudo a Girifalco»

    Il paesino di Girifalco, a partire dalla seconda metà dell’800, divenne così un’antonomasia. Se Gorgonzola è sinonimo di formaggio e Verona evoca l’amore di Giulietta e Romeo, «ti chiudo a Girifalco» in Calabria voleva dire che non stavi bene con la testa e rischiavi di finire in manicomio. Oggi lo stigma del disagio psichico rimane. Chi ne soffre, tende a dissimulare. E i suoi parenti lo circondano con una silenziosa cappa protettiva.

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    Girifalco, un internato e un cane sdraiati nel cortile della struttura (foto Rosario Cassala)

    Eppure il clima intorno alle patologie psichiatriche sembra in parte mutato. Il merito è dei tanto vituperati anni Settanta: il decennio del “Vogliamo tutto” e dell’insurrezione contro i poteri dello Stato impose anche conquiste civili e diritti inediti: lo statuto dei lavoratori, il divorzio, l’interruzione di gravidanza. E la legge 180 del 1978, che poi ha portato alla chiusura dei manicomi.

    La Calabria da manicomio di Lombroso

    «La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere», scrisse Franco Basaglia, padre della rivoluzione nell’ordinamento negli istituti psichiatrici.

    In Calabria il manicomio di Girifalco fu istituito nel 1881, quando le teorie di Cesare Lombroso si stavano radicando nel resto del Paese: la forma del cranio dei calabresi, le arcate sopraccigliari, l’irregolarità del volto e degli zigomi sarebbero segni evidenzianti la nostra natura di “razza criminale”. Lombrosiani furono i direttori del manicomio. A esso lo storico Oscar Greco ha dedicato un’opera monumentale, I demoni del Mezzogiorno (Rubbettino Editore).

    «Quando avviai la ricerca nell’archivio di Girifalco – spiega Greco, docente universitario di Storia contemporanea – provai sensazioni forti. Mi ritrovai tra le mani le cartelle cliniche, quindi la vita delle persone, le ingiuste detenzioni, gli assurdi principi lombrosiani in base ai quali furono internati tanti uomini e in particolare moltissime donne che di folle non avevano niente. Furono recluse solo perché non accettavano la condizione di madre, angelo del focolare e tutto ciò che nella cultura maschilista dell’epoca le relegava in una condizione di subalternità. In più, da calabrese prima ancora che da studioso, rimasi sbigottito dinanzi alle descrizioni aberranti delle caratteristiche somatiche dei malati».

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    In manicomio a Reggio Calabria si finiva pure per la propria identità non conforme alla morale comune (foto Rosario Cassala)

    La legge Basaglia e il lager calabrese

    Potrà sembrare strano, ma all’epoca erano proprio le convinzioni protosocialiste a ritenere valida questa catalogazione sociale di impronta razzista. La ricerca di Greco sta adesso riguardando la fase finale dell’esperienza di Girifalco, quella della sua chiusura. «Ci sono dei chiaroscuri. La legge Basaglia – prosegue Greco – affidava alle Regioni il compito di provvedere ai loro cosiddetti pazzi. Possiamo immaginare la Regione Calabria, con ancora l’eco della rivolta di Reggio, quali provvedimenti adottò negli anni successivi al 1978. Praticamente nessuno! Nel 1992 un deputato dei Verdi, Edo Ronchi, effettuò delle ispezioni. A Girifalco non lo lasciarono entrare, lui chiamò i carabinieri ed entrò con i militari nel manicomio. Scoprì un lager».

    Una vita da pazzi

    Da quel momento iniziò un «doloroso percorso di chiusura. Si rimossero le sbarre dalle finestre, però – continua Greco – mancava il personale che si occupasse di questi pazienti. Il manicomio non era più una struttura provinciale, bensì terra di nessuno. Si assistette a fughe e suicidi. Oggi sono rimasti circa 20 pazienti, perlopiù anziani. Alcuni di loro, quattro per la precisione, erano presenti già ai tempi dell’approvazione della legge Basaglia. Sono ormai istituzionalizzati in quel luogo. Per loro il tempo è stato scandito dai cicli dei diversi direttori. Quando con la memoria ripercorrono il passato, identificano ogni periodo con la qualità dei pasti nel refettorio, se si mangiasse meglio o peggio.

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    Nel cortile del manicomio di Reggio Calabria (foto Rosario Cassala)

    Fuori da lì non hanno più parenti. Se uscissero, chi se ne prenderebbe cura? Non concepiscono una vita diversa da quella della clinica psichiatrica, perché le loro esistenze si sono svolte al suo interno. Hanno perso una dimensione della libertà, anche se mi chiedono come si stia fuori. Un paziente, in particolare, mi dice spesso che i veri pazzi siamo noi, quelli che viviamo all’esterno, nel cosiddetto mondo dei normali».

    Il paese della follia

    Un ulteriore radicale cambiamento di scenario potrebbe avvenire dal prossimo 1° luglio, quando a Girifalco aprirà la Residenza Esecuzione Misure Sicurezza, attigua all’ex manicomio. In Calabria ce n’è già una.
    «C’è grande attesa. Su questo tema – chiarisce Greco – la comunità è spaccata. Girifalco tiene molto a essere riconosciuto come paese della follia. E ne va orgoglioso. Anche in anni precedenti alla Basaglia, promosse un inedito modello di integrazione. La Rems è diversa. Non ci sono i pazzi “buoni”, bensì quelli potenzialmente “cattivi”, provenienti dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, che si sono macchiati di crimini. È un carcere a tutti gli effetti, un’istituzione totale. Grandi sbarre, recinzioni altissime, videosorveglianza. Gli abitanti di Girifalco hanno dovuto accettare questo tipo di struttura e sperano che, come è già avvenuto un secolo fa col manicomio, la Rems possa diventare anche un’occasione di lavoro».

    Lo stereotipo capovolto

    Questo Comune ha saputo ribaltare i pregiudizi regnanti intorno al disagio psichico. Sin dall’inizio, infatti, la direzione del manicomio favorì la coesistenza dei pazienti col resto della popolazione e un percorso terapeutico fondato sulle porte aperte e sull’ergoterapia, cioè il trattamento basato sul lavoro collettivo. «È un paese che vive – conclude lo storico – e si è costruita una sua identità nel rapporto con la follia. Ha pure istituito un premio letterario che ha scelto la pazzia come tema. È stato ideato dallo scrittore Domenico Dara.
    I suoi primi romanzi, per esempio Appunti di meccanica celeste (Nutrimenti Edizioni), sono ambientati a Girifalco. È la sua Macondo».

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    Un uomo rinchiuso a Girifalco mostra i suoi appunti (foto Rosario Cassala)

    Prigionieri del silenzio

    Un eccezionale lavoro di ricerca sulle immagini e i corpi è stato realizzato da un altro calabrese, il fotografo Rosario Cassala. Negli anni Ottanta produsse un reportage negli istituti calabresi che all’epoca si chiamavano ancora di “igiene mentale”. In quello di Reggio, tanto per citare uno dei nomi delle pazienti, fu ricoverata da giovane persino la mistica Natuzza. Cassala ha voluto guardare negli occhi gli internati.

    «In un manicomio – racconta il fotografo – sono entrato per la prima volta da bambino. C’era un mio zio ricoverato. Contro il volere di tutti, lo andai a trovare. Ci ritornai perché avevo avuto l’impressione che a queste persone mancasse l’anima, che fossero state private della dignità. In tutti questi anni ho mantenuto riservate le foto, perché alcune riviste le pubblicarono in modo strumentale, ripetendo la solita lamentazione retorica sulla Calabria degradata. Fingevano di non sapere quanto in realtà sia più complessa e vasta la problematica del disagio psichico. Così mi decisi a far sparire queste fotografie. Dopo 37 anni ho iniziato a tirarle fuori. Ormai rientrano nel patrimonio storico. Parlano da sole».

    Uno spettacolo che non si dimentica

    All’epoca in cui entrò nelle strutture psichiatriche, assistette a scene traumatizzanti. «Soffrii tantissimo. C’erano persone – spiega Cassala – che mangiavano le proprie feci, altre legate mani e piedi ai letti di contenzione. Sebbene avessero questi comportamenti anomali, mi soffermai molto sulla loro serietà. Diversi pazienti si trovavano in manicomio non perché soffrissero davvero di un disagio psichico. Erano senza famiglia oppure avevano litigato con qualcuno, erano andati in escandescenze e così li avevano buttati lì.

    Mia nonna fu molto forte, riuscì a riportare fuori mio zio, suo figlio. Ma fu uno dei pochi. Quando continuai ad andare dentro, lui era stato ormai dimesso. Avrei potuto darmi pace: ormai il problema che avevamo in famiglia, era risolto. Invece continuai a recarmi in quei luoghi. La mia vita è rimasta segnata da quell’esperienza. Ma non me ne sono pentito. Sono orgoglioso di essere riuscito a rendere evidenti quelle persone nella loro corporeità, rispettandole».

    I Basaglia di Cosenza

    In giro per la Calabria non sono poche dunque le sensibilità come quelle dello storico Oscar Greco e del fotografo Rosario Cassala, maturate in anni di approccio diretto. Pochi sanno, per esempio, che nel secolo scorso, tra i primi a inquadrare questa problematica con lo sguardo dell’amore, del rispetto e della dignità umana, furono Piero Romeo e Padre Fedele Bisceglia. Molto conosciuti, a Cosenza e oltre, per il loro ruolo di leader del tifo organizzato, per i viaggi solidali in Africa e il sostegno fattivo agli indigenti, sinora non è mai stato approfondito l’approccio al disagio mentale che ebbero all’interno della mensa dei Poveri, sorta negli anni Ottanta su corso Mazzini a Cosenza e poi trasferita nei pressi del santuario del Crocifisso. Oltre a un piatto caldo e a un letto per non trascorrere la notte all’aperto, nell’Oasi Francescana tantissime persone fragili trovarono amicizia, ascolto, accompagnamento.

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    Un uomo ricoverato a Girifalco (foto Rosario Cassala)

    Piero aveva un album delle loro fotografie. Lo custodiva con scrupolosa riservatezza. E tra uno scatto e l’altro, inseriva la propria immagine e quella di tanti altri suoi amici, concittadini che presumevano di essere “normali”. Ai volontari e agli ultrà cresciuti intorno a lui, ai pochi che le mostrava, amava ripetere che dietro ognuna di quelle foto c’erano delle storie umane profonde. E che di ogni persona bisognava imparare a interpretare il linguaggio e le richieste. Guai a farsi beffe di loro: «Il confine è sottile. Lo oltrepassiamo ogni giorno. E nemmeno ce ne accorgiamo».

     

    Tutte le immagini dell’articolo sono tratte dal reportage “Prigionieri del silenzio – Viaggio nei manicomi calabresi” di Rosario Cassala. Si ringrazia l’autore per averne concesso l’utilizzo.

  • Faide, figli e portaborse: Catanzaro pronta a votare

    Faide, figli e portaborse: Catanzaro pronta a votare

    A Catanzaro – nonostante la decantata riscoperta o, comunque, il solito riscatto della “catanzaresità” tipico delle elezioni amministrative – il voto sta assumendo sempre più i tratti di una sfida nazionale. Lo dimostra l’attenzione mediatica di molte testate nazionali, decisamente maggiore a quella rilevata nella scorsa tornata del 2017. Ma anche la sfilata di leader che si sono presentati – o che a breve arriveranno – nella città dei tre colli.

    Certo, alcuni di loro (si vedano Giorgia Meloni e Enrico Letta) arrivano con la premura di mettere toppe a profondi imbarazzi. Sono lì a cercare di arginare spaccature. O, anche, a salvare il salvabile. Altri poi, come ad esempio Matteo Salvini, sono stati praticamente bollati come “indesiderati” dai relativi candidati.
    Quanto ai partiti, invece, a impazzare sono scissioni, riesumazioni, liquefazioni, sdoppiamenti, camuffamenti di simboli, giochi delle tre carte. In sintesi: un gran casino.

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    Gli assessori Danilo Russo e Alessandra Lobello con il presidente del consiglio comunale Marco Polimeni (al centro)

    Catanzaro alle elezioni: Azzurri sbiaditi

    Forza Italia è stato il partito di riferimento del ventennale sindaco Sergio Abramo. Ha dominato elettoralmente in città per decenni, ma ora si cela dietro il brand Catanzaro Azzurra, una lista a favore dell’ex Pd Valerio Donato. La capeggia il presidente del consiglio comunale uscente ed ex portaborse di Baldo Esposito: Marco Polimeni. Il senatore Giuseppe Mangialavori ha affidato a lui il coordinamento cittadino di Forza Italia dopo l’uscita dell’ex presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini, dell’assessore Ivan Cardamone (andati in Noi con l’Italia) e dello stesso sindaco Abramo (finito in Coraggio Italia).

    Mimmo Tallini, ex presidente del consiglio regionale

    In Catanzaro Azzurra alle elezioni si presenteranno vari assessori uscenti. Quella al Turismo, Alessandra Lobello, il cui padre, Francesco, è stato nominato autista del già citato Baldo Esposito nel 2020. Ma anche Nuccia Carrozza (Pari opportunità) e Danilo Russo (Personale). Insieme a loro, il consigliere comunale Ezio Praticò e lo storico consigliere provinciale e comunale Giulio Elia, nel 2020 nominato portaborse dell’esponente di centrosinistra Francesco Pitaro.

    Curiosità: in lista è presente il lametino Paolo Marraffa. È parente di Cettina Marraffa, già presidente del movimento apostolico sciolto dal Vaticano lo scorso anno (poco prima delle dimissioni del vescovo Bertolone) e figlio della attivista del M5S di Lamezia Terme, Dora Rocca. Insomma, di storici forzisti non se ne vedono. Sarà per questo che, finora, Roberto Occhiuto non si è pronunciato sulle elezioni amministrative di Catanzaro, limitandosi a fare gli auguri a tutti i candidati. Né risultano in programma discese di big azzurri.

    Coraggio Italia: la faida

    Coraggio Italia in Regione sostiene il centrodestra di Occhiuto. A Pizzo il centrosinistra. A Vibo Valentia si colloca all’opposizione dell’esecutivo guidato dalla forzista Maria Limardo. E a Catanzaro? È letteralmente scoppiato, facendo emergere la faida tra Sergio Abramo e Francesco De Nisi.

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    Francesco De Nisi (a sinistra) con Valerio Donato

    Il “big” Frank Santacroce, uscito dal partito dopo le Regionali e dato in un primo momento in avvicinamento alla Lega, è main sponsor di “Azione Popolare” a sostegno di Antonello Talerico. Sergio Abramo, rimasto politicamente vicino al deputato Maurizio D’Ettore e al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, dopo un primo avvicinamento al citato Talerico, è divenuto sponsor della candidatura della meloniana Wanda Ferro. E ha inserito (curiosamente) i candidati espressione di Coraggio Italia, come il membro della direzione nazionale Dario Gareri, nella lista con il simbolo di Fratelli D’Italia.

    Le scelte di De Nisi per le elezioni a Catanzaro

    Francesco De Nisi, consigliere regionale di Coraggio Italia, invece è divenuto il mese scorso segretario regionale di Italia al Centro. A capeggiare l’omonima lista che sostiene Valerio Donato è la consigliera comunale uscente e signora delle preferenze nel quartiere Aranceto, Anna Altomare, con il supporto attivo dell’ex assessore comunale allo sport Giampaolo Mungo, condannato in primo grado per traffico di influenze.

    De Nisi ha nominato coordinatore per Catanzaro di Italia al Centro è il consigliere comunale Andrea Amendola, ex autista del già citato Tallini e indagato per truffa nell’ambito dell’inchiesta Gettonopoli. Amendola è ispiratore della lista Catanzaro prima di tutto, formazione in cui si candidano l’assessora comunale all’Ambiente uscente Lea Concolino (il cui parente Salvatore Aloi è portaborse di De Nisi, mentre lei stessa lo è stata di Tallini negli anni scorsi) e la consigliera comunale ex talliniana Manuela Costanzo. Con loro anche Danilo Gironda, cugino di Valerio Donato e fratello del consigliere comunale Francesco Gironda rinviato a giudizio per corruzione nell’ambito del processo “Corvo”.

    Il consigliere comunale Francesco Gironda, cugino di Valerio Donato

    Viscomi si smarca

    Non farà notizia, ma occorre dirlo: il Pd si è diviso. Volti noti, storici dirigenti e amministratori sono transitati con il candidato Valerio Donato. Alcuni di loro sono candidati nella lista Rinascita e nella lista Avanti, promossa dai fratelli Fabio e Roberto Guerriero. Sono molto vicini al ministro Andrea Orlando, ma ora strizzano l’occhio a Matteo Renzi e Italia Viva.

    Antonio Viscomi (a sinistra) con Nicola Fiorita

    Sta facendo discutere tra i dem, però, il mancato apporto alla lista per le comunali, a sostegno di Nicola Fiorita, del deputato del Pd Antonio Viscomi. «Non è riuscito ad indicarci nemmeno un nome per la lista» si lamentano i dirigenti locali. Eppure, nonostante l’invito del responsabile enti locali del partito, Francesco Boccia, a candidarsi in prima persona, Viscomi se l’è data a gambe. Lapidaria la sua chiosa: «Ci si candida dove si vive». Peccato che nemmeno nella “sua” Pizzo abbia dato seguito all’invito del nazionale, a differenza della ex candidata alle regionali e oggi presidente regionale del Partito, Giusy Iemma.

    Portaborse e parenti

    A “sbarrare la strada” della Iemma su Catanzaro ci hanno pensato i malefici del Partito. Ricandidatura quindi per la giovane esponente dem Arianna Luppino, compagna dell’ex portaborse cicontiano Andrea Iemma, fratello di Giusy. A proposito di portaborse, nella lista Pd per le comunali troviamo Nadia Correale, cognata del segretario cittadino Fabio Celia (che è candidato capolista), nonché sorella di Giuseppe Correale, portaborse del consigliere regionale Ernesto Alecci.

    Il segretario provinciale del Pd Domenico Giampà con il segretario regionale Nicola Irto

    Presente anche Fabrizio Battaglia, figlio di Marziale, consigliere comunale di Isca sullo Ionio, già vicepresidente della Provincia e oggi autista del citato Alecci. Posto in lista pure per Giancarlo Devona, anch’esso portaborse di Alecci, ma con un particolare: è di Crotone, città dove è stato assessore comunale, mentre oggi il fratello Andrea è consigliere.

    Fabrizio Battaglia è il figlio di Marziale Battaglia, autista di Ernesto Alecci

    Elezioni, la balena bianca si è arenata a Catanzaro

    La collocazione dell’Udc in vista delle amministrative di Catanzaro ha riempito le pagine dei giornali locali per settimane. Da una parte, Vincenzo Speziali (con il placet del segretario nazionale Lorenzo Cesa) aveva la delega a comporre la lista in città a sostegno di Antonello Talerico. Dall’altra, il consigliere uscente Giovanni Merante e il presidente nazionale Antonio De Poli spingevano per sostenere Valerio Donato.

    Risultato: Merante è candidato con la lista espressione del candidato sindaco ex Pd, ma dello scudocrociato si sono perse le tracce su tutti i fronti. I big che si erano avvicinati al partito – come l’ex candidato regionale Baldo Esposito ed il consigliere comunale e provinciale Sergio Costanzo – hanno virato verso altri lidi. L’ex presidente della commissione Sanità alle prossime elezioni sostiene Catanzaro Azzurra. Costanzo, invece, è a capo della lista del suo movimento, Fare per Catanzaro, insieme alla consigliera uscente Cristina Rotundo.

    Sergio Costanzo con Valerio Donato (a destra)

    Anche qui, un piccolo particolare: Costanzo è a processo per truffa per la sua presunta assunzione fittizia presso l’azienda Zoomarket di Salvatore La Rosa (anch’esso imputato). Secondo gli inquirenti, Costanzo avrebbe ricevuto un rimborso complessivo, da gennaio 2016 a dicembre 2018 di 78.749,00 euro. Per questo la Giunta comunale, su proposta dell’assessore Danilo Russo (oggi, come si è detto, candidato con Catanzaro Azzurra nella stessa coalizione di Costanzo) ha deliberato con atto 275 del 22 giugno scorso di costituirsi parte civile nel processo penale (R.G.N.R. 4961/2018 pendente dinanzi al Tribunale di Catanzaro) a carico, tra gli altri, proprio del consigliere comunale Costanzo. La circostanza starebbe causando non pochi imbarazzi al candidato sindaco Donato.

    Wanda e i giovani

    Alla fine è venuta Giorgia Meloni a mettere una toppa dopo le giravolte “donatiane” di Wanda Ferro, con l’imprimatur ad una candidatura di rappresentanza partitica della commissaria regionale.
    Una candidatura “fake”, perché la deputata catanzarese ben poteva essere la candidata unitaria di tutto il centrodestra fin dalla prima seduta delle trattative ai tavoli tra i big. Ha preferito, però, concentrarsi su “trame” che hanno condotto alla creazione della candidatura di Valerio Donato (il quale, fino a poche settimane prima, ospitava le riunioni sulla candidatura di Nicola Fiorita nel suo studio), salvo poi usare come “scudo umano-politico” prima l’assessore regionale Filippo Pietropaolo poi Rino Colace, l’ex coordinatore di Noi con l’Italia.

    Luana Tassone, ex attivista del Movimento 5 stelle

    Oggi, con una sola lista composta prettamente da giovani (i portatori di voti e consiglieri uscenti vicini al consigliere regionale Antonio Montuoro sono candidati nella lista “Progetto Catanzaro” con Valerio Donato), svolge una campagna elettorale per “contarsi” (e per contare?). Tra i candidati troviamo personalità politicamente curiose come Carmen Chiefalo, commessa che sui social si dichiara di centrosinistra, Elisabetta Condello, che su Facebook scrive di lavorare come “Fan di Marco Carta”, cantante per cui, evidentemente, stravede. Ma anche l’ex attivista del M5S Luana Tassone (in lizza per diventare candidata sindaca dei pentastellati nel 2017) e l’estetista Maria Giovanna Moniaci.

    Pittelli e Pietropaolo

    Oltre loro, però, troviamo i “pittelliani”. Già, perché tra i candidati spunta Francesco Saverio Nitti, il commercialista comparso nelle intercettazioni della “vicenda Copanello” con l’ex parlamentare imputato nel maxi-processo Rinascita-Scott, Giancarlo Pittelli. Presente anche Luca De Nardo, che della figlia di Pittelli è il fidanzato.
    Gaetana Pittelli, inoltre, ha in comproprietà con l’assessore regionale Filippo Pietropaolo (usufruttuario risulta il padre Giancarlo) un immobile a Catanzaro, in piazza Roma 9. Un indirizzo non casuale, dato che la “Roma 9 s.r.l.” era la società che aveva proprio Pietropaolo quale amministratore unico.

    Luca de Nardo candidato di Fdi e fidanzato con la figlia di Giancarlo Pittelli

    Tramite la società veniva acquistato un «immobile di cui figuravano solo formalmente intestatari lo stesso avvocato Pittelli e Pietropaolo Filippo, nella qualità di amministratore unico della Roma 9 s.r.l., ma sostanzialmente destinato alla nuova allocazione dello studio Pittelli» (come si legge nel decreto di perquisizione e sequestro datato 26 novembre 2008 della Procura di Salerno, emanato nell’ambito dei procedimenti a carico delle toghe catanzaresi).

    Nessun amico da sistemare

    E se la Meloni a Catanzaro ha dichiarato che Wanda «non ha amici degli amici da sistemare» con le elezioni, allora verrebbe da chiedersi come mai il figlio di Michele Traversa, Cesare, sia portaborse dell’assessore Filippo Pietropaolo, mentre la compagna (nuora dell’ex parlamentare e sindaco) Valentina Talarico è assunta presso aziende riconducibili allo stesso assessore regionale. E verrà anche da chiedersi se il risultato che conseguiranno sarà offerto in dote dalla Ferro all’ “amico” Valerio Donato nel probabile ballottaggio, con buona parte delle critiche a Lega e Forza Italia che, per dirla alla Meloni, «non stanno nella loro metà campo».

    Cesare Traversa
  • FUORI RECINTO| Calabria incompiuta, terra di eccellenze e di precarietà

    FUORI RECINTO| Calabria incompiuta, terra di eccellenze e di precarietà

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    Arrivare all’aeroporto di Lamezia è prendere subito confidenza con una certa idea di Calabria: una sorta di anticamera di ciò che attende il viaggiatore, inoltrandosi, dopo il volo, nei diversi territori. Aver attraversato i precari tendoni di plastica, crea l’effetto del viaggio nel provvisorio-permanente: l’ampliamento del nostro aeroporto “internazionale”, per sopperire agli angusti spazi dentro un’aerostazione realizzata ormai oltre cinquant’anni fa, che diventa simbolo del non finito anche in una struttura pubblica! Un luogo sempre malamente rimaneggiato. In cui muovendosi tra i negozi delle eccellenze, dagli orafi, agli editori, ai pasticceri, dichiara il doppio volto della Calabria dei contrasti. Le eccellenze e la precarietà, il chiaro e lo scuro.

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    L’aeroporto di Lamezia

    L’incompiuto, il precario e le eccellenze

    Così, nella seconda parte del viaggio, ci rivolgiamo, brevemente, anche al neocommissario al sistema aeroportuale della Calabria, Marco Franchini. Al quale chiediamo se oltre a razionalizzare le priorità trasportistiche, si preoccuperà di dare dignità architettonica a questi incompiuti, irrisolti manufatti: una porta dal cielo, in cui arriva gente da ogni luogo. Proseguiamo dunque, nell’itinerario nella Calabria del buon cibo, dell’accoglienza, dei paesaggi unici e contrastanti, della montagna e del mare, della cultura, dell’arte, della buona impresa, dell’agroalimentare competitivo, di alcune eccellenze nella ricerca.

    Fuori dal gregge

    Una regione che nel contesto del Sud manifesta interessanti potenzialità, soprattutto in questi anni, con ancora tante risorse, energie, da spendere rispetto ad un Nord affaticato che ha sfruttato ormai molte e più carte da giocare. Una Calabria in cui nel “gregge” ci sono pecorelle che restano nel recinto solito, buone, mansuete, obbedienti ai pastori di turno. Mentre diverse altre iniziano a saltare lo steccato e sono quel “fuori recinto” che fanno la differenza e alle quali guardiamo con ammirazione, curiosità, speranza. Viaggiare tra questi contrasti, che sono fondativi e identitari della Calabria, fare spazio alle luci, nelle ombre, è dare visibilità al cambiamento. Che c’è e fa sempre fatica ad emergere. Ed è attribuire valore culturale, sociale, economico allo sforzo di provare a rendere diversa questa terra, una volta e per tutte.

    La Cittadella nel nulla

    Dirigendosi verso Catanzaro, a una decina di chilometri dall’aeroporto, intercettiamo la Cittadella regionale e universitaria. È uno dei tanti luoghi del nulla in cui l’esercizio del potere si palesa nella retorica di un insieme di costosissimi edifici amministrativi e universitari. Con il grande Policlinico ospedaliero, ennesimo palazzone fuori scala in un paesaggio di campagna dai suggestivi tratti arcaici.

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    Il policlinico di Germaneto

    L’incubatore di start up

    A Caraffa troviamo ad attenderci, fuori da un edificio ex industriale riusato, Gennaro Di Cello. Calabrese vivace, intelligente, generoso, sfugge ad ogni classica, rigida classificazione professionale. Autore di preziose ricerche di design grafico (in alcune delle collane più recenti e originali della Rubbettino, c’è la sua firma), uno dei “dominus” di Entopan, il primo incubatore di startup in Calabria, con un livello di innovazione e reti internazionali, pari a quelle di importanti università, con le quali Entopan dialoga e collabora dalla sua fondazione.

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    Il progetto dell’hub per l’innovazione che vuole realizzare Entopan

    I talenti “coltivati” in casa

    Visita allo spazio che odora di “serra” per i talenti calabresi, e non solo, con tante postazioni di lavoro per giovani aspiranti imprese innovative, entusiasmo e visione. In attesa della sede definitiva che, per scelta, sarà un pregevole recupero di un edificio esistente. E tanta speranza di una nuova Calabria che dialoga con il resto del mondo.

    Le eccellenze agricole calabresi

    Lamezia esiste? Qualcuno ha scritto che è solo cartelli stradali, e poi una serie di centri urbani esplosi, tanti capannoni, un grande sberciato ospedale, il pontile Ex Sir, un lungomare incompiuto e ormai già consunto, cui fanno da contrasto quella estesa parte della Piana del Lametino, ricchissima di produzioni agricole eccellenti con aziende che hanno capacità di competizione ed export internazionali.

    La coltivazione di fragole ad Acconia di Curinga

    Il marchio della qualità

    Qui è nata la candidatura di un forte Distretto del Cibo, che raccoglie anche il Reventino – dove nel capoluogo Soveria operano l’editore Rubbettino, il Lanificio Leo, la Sirianni produttore di arredi per scuole e comunità, aziende soprattutto affermate anche fuori dalla Calabria -, e qui si sta lavorando ad un marchio di originalità per le migliori produzioni agroalimentari.

    L’architettura ardita e le ombre

    Verso Catanzaro, la città che si staglia nella sua confusa, articolata morfologia collinare, scorgiamo il bellissimo ponte di Riccardo Morandi, una delle poche ardite architetture viarie di questo geniale progettista, sul cui restauro grava l’ombra di pressioni malavitose, che ci auguriamo non ne pregiudichino la longevità, essendo testimonianza rara di opera d’ingegno. La città capoluogo regionale ha una bellissima passeggiata storica nel centro, ricca di palazzi, di slarghi collettivi accoglienti, chiese di pregio, una interessante offerta museale di arte contemporanea, e una serie edifici modernisti di qualità del geniale architetto Saul Greco, nato a Catanzaro, che ha realizzato opere straordinarie in tutto il mondo.

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    Il ponte Morandi a Catanzaro

    Tra caos urbanistico e rigenerazione

    Un godimento tuttavia alterato, qui come altrove, da una infinita quantità di automobili che intasano ogni spazio destinato al pedone. Pregiudicano una vivibilità alta di questi luoghi. E sono l’esito del perenne, banale, lamento dei commercianti, ovvero “che le strade chiuse al traffico non generano vendite”! Nel caos urbanistico della moderna città “esplosa” di Catanzaro, si intravedono la serie di originali opere di Arte Urbana del collettivo “Altrove”, giovani locali attivissimi nella rigenerazione urbana e culturale, e nella parte bassa, verso il mare, il ristorante stellato di Luca Abbruzzino che ha scelto di realizzare l’alta cucina locale, ovvero la tradizione e il contemporaneo in un mix eccellente e di grande gusto!

    L’arte al Parco

    Superando l’intricato groviglio di viadotti, sovrappassi, ponti che Catanzaro ha realizzato nello scomposto puzzle urbanistico per garantirsi una minima funzionale mobilità, si lambisce il Parco della Biodiversità. Che accoglie opere d’arte di grandi autori contemporanei, tra i quali Antony Gormley, Jan Fabre, Michelangelo Pistoletto. Un luogo che merita una visita apposita. Così come il vicino sito storico, di straordinaria bellezza, in cui queste sculture sono state in un primo tempo installate: la Roccelletta di Borgia.

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    Il Parco della Biodiversità a Catanzaro

    La sfida nell’urna

    A Catanzaro si voterà per le Comunali il 12 giugno. Una campagna elettorale vivace, appassionata, vede contrapposti alcuni candidati come Wanda Ferro, Valerio Donato, e Nicola Fiorita. La sfida è aperta e si gioca sull’equilibrio tra continuità di modelli tradizionali e spinte ad un nuovo e vero volto di una politica sensibile ai giovani, agli artigiani, ai servizi, alla qualità dei luoghi, alla rigenerazione urbana, e culturale, affinché sia la volta buona per iniziare dalle città calabresi a voltare pagina e uscire fuori recinto!

  • Istituzioni a porte girevoli, il caso Lamezia: più commissari che sindaci

    Istituzioni a porte girevoli, il caso Lamezia: più commissari che sindaci

    I sindaci, grazie anche ad una legge elettorale diretta che consente agli elettori di personalizzare la scelta, sono i parafulmini di tutte le problematiche di una città. Ma le istituzioni all’interno dello scacchiere politico cittadino giocano di fatto un ruolo ben più importante. L’autorevolezza di un vescovo, l’efficienza di un procuratore della Repubblica e dei dirigenti dei Carabinieri e della Polizia, rappresentano il vero valore aggiunto di una città “ordinata”.

    Il dato storico, fin dalla creazione di Lamezia

    Lamezia Terme è un caso significativo di questo assunto, non fosse altro per il fatto che già la sua stessa legge istitutiva venne favorita nell’approvazione dall’amicizia dell’allora vescovo Luisi con Aldo Moro (cit. storico Vincenzo Villella). Le istituzioni sottoposte ad un turn-over incessante, al di là dei meriti di chi occupa certe postazioni essenziali, sono un dato storico che comporta solo effetti negativi. Vediamo.

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    Una veduta di Lamezia (alla pagina Facebook Città di Lamezia Terme)

    Il recente addio del vescovo

    Dopo quasi tre anni, il vescovo della Diocesi di Lamezia Terme, Giuseppe Schillaci, ha lasciato la città e la comunità religiosa fino ad oggi rappresentata. Arrivato a Lamezia il 6 luglio del 2019, succedendo a Luigi Antonio Cantafora, il 23 aprile ’22 ha salutato tutti per la nuova destinazione di Nicosia. Il suo predecessore Cantafora ha prestato servizio dal 24 gennaio 2004 al 3 maggio 2019. È l’ennesimo turn over di cui fa esperienza Lamezia, una città difficile la cui caratteristica peculiare comincia ad essere questo fenomeno, il continuo avvicendamento nei posti chiave. Sembra quasi che quando qualcuno cominci a capire la città ed entrare dentro le sue problematiche debba o voglia cambiare sede.

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    Mons. Giuseppe Schillaci

    Dai commissari-burocrati al caos Sacal

    In una città sciolta tre volte e alla quale il Ministero degli Interni ha mandato spesso, è ormai storia non cronaca, commissari-burocrati non adeguati (almeno quanto i commissari calabresi alla sanità), il turn over sembra non finire mai. Le istituzioni soffrono di una “conversazione continuamente interrotta” perché gli attori attorno al tavolo cambiano di continuo. La stessa Sacal, l’ente che gestisce gli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone, negli ultimi due anni ha avvertito scosse nella governance e l’ultimo manager Giulio De Metrio si è appena dimesso. Nominato nel luglio 2020, era stato scelto dall’allora presidente della Regione, Jole Santelli, puntando su una figura esterna alla Calabria. Con l’arrivo del nuovo presidente Roberto Occhiuto e i nuovi indirizzi nella gestione della società aeroportuale, però, al posto di De Metrio è stato scelto un nuovo manager, Mario Franchini.

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    Gli avvicendamenti nelle forze dell’ordine

    Il Tenente Col. Sergio Molinari a settembre 2020 ha assunto il comando del Gruppo Carabinieri di Lamezia Terme subentrando al Ten. Col. Massimo Ribaudo, che si era insediato a fine agosto 2017. A settembre 2020 ha lasciato la città per altro incarico anche il 32enne Pietro Tribuzio, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Lamezia, in città dal settembre 2016. Lo ha sostituito il Maggiore Christian Bruccia, di origini toscane. Un anno dopo, il 24 settembre 2021, viene presentato il maggiore Giuseppe Merola, nuovo comandante del Nucleo investigativo di Lamezia Terme. Il primo dirigente del Commissariato di Polizia di Lamezia Antonino Cannarella arriva l’1 luglio 2021 succedendo al primo dirigente Raffaele Pelliccia designato alla direzione del Commissariato di P.S. di Nola (NA).

    Risultati «brillanti» ma poco tempo

    A quest’ultimo, che era arrivato a Lamezia da Catanzaro a fine gennaio 2020, il Questore, ha spiegato la stampa, “nel corso di una sobria cerimonia di commiato ha dato atto dei brillanti risultati ottenuti dall’Ufficio nel corso della sua, ancorché breve, permanenza, grazie anche al lavoro egregio svolto da tutto il personale che ha saputo dirigere con dedizione e competenza”. Il 25 settembre 2018 dopo oltre cinque anni alla guida del gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme, il tenente colonnello Fabio Bianco ha passato il testimone al tenente colonnello Clemente Crisci. Ad ottobre 2020 il tenente colonnello Luca Pirrera diventa il nuovo comandante del gruppo Guardia di Finanza di Lamezia Terme. Subentra al tenente colonnello Giuseppe Micelli, il quale prosegue nell’incarico di comandante del gruppo tutela entrate del nucleo di polizia economico-finanziaria di Catanzaro.

    Tutti amano Lamezia. Ma da lontano

    Il 13 dicembre 2016 Salvatore Maria Curcio, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, diventa il nuovo Procuratore Facente Funzione presso la Procura di Lamezia, e il 28 giugno del 2017 diventerà il nuovo Procuratore della Repubblica. “Una decisione veramente sofferta per me ma avvenuta per fare spazio alla mia famiglia che troverò a Bologna”. A dirlo un commosso Domenico Prestinenzi nella sua breve cerimonia di commiato, che dopo quattro anni si congeda dalla Procura e dal Tribunale lametino. Al suo posto, sin quando non sarà nominato il sostituto, andrà Luigi Maffia. Prestinenzi ha svolto il suo ruolo a Lamezia dal 2012 ed era subentrato a Salvatore Vitello andato prima a ricoprire il ruolo di vice capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia e poi il ruolo di Procuratore di Siena. Alla guida della procura lametina per tre anni, dal 2009 al 2012, poi vice capo gabinetto al Ministero della Giustizia, poi Procuratore capo a Siena, Salvatore Vitello si sente legato da un vincolo d’affetto alla città di Lamezia, “una città che sente come sua”. Tutti amano Lamezia, ma da lontano.

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    Il procuratore Curcio durante una conferenza stampa con i vertici della Guardia di finanza (foto da Lameziainforma.it)

    A Lamezia più commissari che sindaci

    Intanto la commissione toponomastica insediata dal consiglio comunale, oltre a decidere a chi intitolare la sala consiliare, che oggi si tiene in quella che de facto è la Sala Giorgio Napolitano, dal nome del Presidente che la inaugurò, potrebbe già pensare a come ricordare i nomi dei commissari prefettizi che hanno governato la città tra uno scioglimento e un altro. Dotati di poteri incontrollati essi hanno di fatto amministrato la città, sorta il 4 gennaio 1968, molto più in profondità dei 19 sindaci eletti dal popolo. In tutto sono stati 28, eccoli:

    • Gaetano Fusco e Treno Di Mauro dal 15/11/1968 al 9/10/1970
    • Orfeo Capilupi, Giuseppe Malena, Rocco Carotenuto, Giovanni Lombardo,
      Lucio Messina, dal 30/9/1991 al 21/11/1993
    • Raffaele Milizia, dall’ 8/7/1974 al 1/8/1975
    • Giovanni Manganaro, dal 20/12/1980 al 22/4/1982
    • Corrado Perricone, dal 3/12/1985 all’11/9/1986
    • Sebastiano Cento, Benito Greco, Pietro Lisi, Massimo Nicolò, Dino Mazzorana,
      dal 20/2/2001 al 13/5/2001
    • Sebastiano Cento, Concetta Malacaria, Elena Scalfaro, Giorgio Criscuolo, Paolo
      Pirrone, Mario Tafaro, Giorgio Bartoli, dal 5/11/2002 al 4/4/2005
    • Francesco Alecci, Maria Grazia Colosimo, Desiree D’Ovidio, Rosario Fusaro, dal
      24/11/2017 al 15/10/2021
    • Giuseppe Priolo, Luigi Guerrieri, Antonio Calenda, dal 16/12/2020 sino al 15/10/21

    La contesa milionaria tra il Comune e Noto

    Basti pensare alla vicenda Icom. Solo nel maggio 2017 con la sentenza della Corte di Cassazione, favorevole per il Comune di Lamezia, si concluse definitivamente la spinosa vicenda contro la società di Floriano Noto sulla mancata realizzazione dell’Outlet Center in via del Progresso, denominato “Borgo Antico”. Una vicenda sorta nei due anni e mezzo tra il 2002 e il 2005 (in cui il team commissariale Criscuolo ed altri aveva amministrato la città) e sfociata nella sentenza di primo grado del dicembre 2013. Conteneva una condanna del Comune di Lamezia a un risarcimento ultramilionario che avrebbe letteralmente decretato il fallimento economico della città, sventato in extremis dal sindaco Speranza. Una storia davvero incredibile riassumibile in poche parole: il terreno oggetto del contenzioso fu venduto dal vecchio proprietario per 50mila euro, ma lo stesso appezzamento venne riacquistato solo un mese dopo dall’ing. Noto per la cifra di 4 milioni e 800 mila. Il terreno era agricolo, per il Prg vigente, non edificabile o lottizzabile, inutilizzabile per altre destinazioni, come mai acquistò così tanto valore in poco tempo?

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    L’ex sindaco di Lamezia, Gianni Speranza

    La lotta in difesa del Tribunale

    L’unica eccezione positiva in questo quadro di turn over incessante è rappresentato da Giovanni Garofalo, il nuovo presidente del Tribunale di Lamezia Terme dal luglio 2021, che ha occupato il posto lasciato nel settembre 2020 da Bruno Brattoli andato in pensione e che era arrivato, da Roma, il 19 settembre 2012. Brattoli è stato alla guida del Tribunale per otto anni e si era insediato nel Palazzo di giustizia lametino in un periodo non facile, perché “si lottava” contro la sua paventata chiusura. L’allora presidente plaudì la forza dimostrata dai lametini, interni o esterni al Tribunale, che ne scongiuravano la chiusura con proteste, sit-in e flash mob. Prima di tutti il futuro sindaco avvocato Paolo Mascaro. Prima di Garofalo a ricoprire le funzioni di presidente f.f. è stata la dottoressa Emma Sonni. Il nuovo presidente Gianni Garofalo proviene dal Tribunale di Cosenza ma ha fatto il giudice al Tribunale lametino dal maggio 1991 all’aprile 2000. La cerimonia di insediamento è avvenuta nell’aula intitolata a Giulio Sandro Garofalo, padre del nuovo presidente.

    https://www.ansa.it/calabria/notizie/2021/07/07/giustiziagianni-garofalo-nuovo-presidente-tribunale-lamezia_898d5cfa-a75a-4216-8530-b8f5a877f31c.html

    L’alternanza tra Mascaro e… Mascaro

    Se l’avvicendamento nei posti chiave delle istituzioni è una costante lametina, non può sorprendere per niente la vicenda Mascaro, il sindaco che i lametini hanno eletto già due volte, nel 2015 e nel 2019, e che però sta amministrando alternandosi con i commissari prefettizi che nominano. Anche al Comune le porte sono girevoli, si entra e si esce come nelle commedie di Georges Feydeau. La prima volta vinse il 31 maggio 2015 sul medico Tommaso Sonni, con oltre 16mila voti e quasi il 60% delle preferenze. Ma già due anni dopo, il 22 novembre 2017, arrivò il definitivo scioglimento dell’Ente per presunte infiltrazioni mafiose emerse in seguito all’operazione antindrangheta “Crisalide” contro le cosche Cerra-TorcasioGualtieri.

    L’onta del commissariamento

    Sarebbe bastato (adoperando il senno di poi) che nel giugno 2017 (senza aspettare novembre), allorché arrivò la commissione d’accesso al Comune, il sindaco Mascaro si fosse dimesso, obtorto collo e per protesta, per evitare alla città la lunga litania dei commissari. Nel giro di pochi mesi sarebbero state indette nuove elezioni, Mascaro si sarebbe presentato di nuovo e avrebbe ancora vinto facile magari lamentando il solito complotto. Invece no. Prima subisce l’onta (lui e la città) del terzo scioglimento per mafia, e poi comincia a chiedere ragione per via giudiziaria. Tutto lecito ma a spese di una città che resta attonita a guardare.

    Il record di entrate e uscite dal Comune

    Una prima vittoria di Pirro l’assapora quando il Tar del Lazio il 22 febbraio 2019 annulla lo scioglimento del Comune. “Riscattato l’onore di una città”, esulta su Facebook il sindaco. “Merito di una magistratura che ha combattuto e combatte la criminalità debellandola e sconfiggendola, di una comunità che ha contrastato e contrasta quotidianamente il malaffare, di tante donne e uomini liberi che dedicano e sacrificano, con coraggio e passione, la loro vita per il territorio che amano”. Ma tutto passa perché l’11 aprile la sospensiva accolta dal Consiglio di Stato presentata dall’Avvocatura contro la sentenza del Tar lo costringerà a lasciare per una seconda volta la guida della città. Insomma, una pratica che Mascaro già nel 2017 poteva definire con una dignitosa ritirata “tattica”, pur gridando ai quattro venti la sua estraneità alle vicende accusatorie, si trascina, ai danni della città, sino a metà ottobre 2021. Con un record di entrate e uscite dal Comune per quattro volte in meno di sei anni. Può un’amministrazione comunale calabrese sopravvivere ad un turn-over (o ad uno choc-stress) come questo?

    Mascaro festeggia la seconda vittoria elettorale nel dicembre del 2019

    La seconda vittoria e il “complotto”

    Il “complotto” contro Lamezia, secondo i sostenitori del sindaco, fa registrare la seconda tappa in data 25 novembre 2019. Quando l’avvocato Mascaro batte l’amico Ruggero Pegna con quasi il 70% delle preferenze. È la sua seconda vittoria dopo quella del 2015. A dicembre dello stesso anno i lametini dunque vedono tornare il sindaco per la terza volta in poco più di quattro anni a palazzo Madamme.

    Il nuovo stop e a Lamezia tornano i commissari

    Ma non è ancora finita perché passa un anno e il 16 dicembre del 2020 il Comune viene nuovamente commissariato. Il Tar dispone infatti la ripetizione del voto in sole 4 sezioni. Allora, mentre si discutevano confusamente i problemi di convalida di qualche consigliere comunale per pregresse posizioni debitorie nei confronti del Comune, nessuno credeva che il ricorso presentato dagli oppositori Massimo Cristiano e Silvio Zizza (M5S) per il riconteggio dei voti potesse essere accolto. E invece le vicende di una scheda ballerina fanno ottenere dal Tar la sentenza che sancisce (sia pure in modo parziale) il riconteggio dei voti in 4 sezioni (su 78). Una sentenza, quella del Tar, confermata a maggio 2021 dal Consiglio di Stato (a cui si era rivolto solo Zizza).

    Quattro volte sindaco in meno di sei anni

    Niente che in pratica possa sovvertire la vittoria del sindaco Mascaro. Ma è una ulteriore perdita di tempo per consentire il mini turno elettorale, dove si recano a votare (il 3 e 4 ottobre 2021) 1.113 elettori su 2.255 aventi diritto. Trecento giorni dopo lo scioglimento disposto dal Tar per brogli elettorali in 4 sezioni, l’avvocato Paolo Mascaro torna sindaco. È la quarta volta in meno di sei anni, un record. Nel bilancio di fine mandato, il commissario Giuseppe Priolo passando a lui le consegne, ha messo in risalto le “potenzialità di una grande città come Lamezia che per la posizione che occupa e per le infrastrutture dovrebbe essere la capitale della Calabria“. Bontà sua.

    Francesco Scoppetta
    Scrittore ed ex dirigente scolastico

  • Tramonte e Cristiano: uccisi a Lamezia Terme senza un perché

    Tramonte e Cristiano: uccisi a Lamezia Terme senza un perché

    Quella di Stefania Tramonte sarebbe dovuta essere una storia come tante altre. Ha 42 anni e una voce squillante. Vive a Lamezia Terme («non potrei farne a meno») e ogni mattina per lavoro va a Catanzaro. È sposata (con Pasquale, “una benedizione” lo definisce) e ha due figli (Matteo e Christian, di 11 e 8 anni). Le piace stare con gli amici e ha imparato a fare tesoro delle piccole cose. Se le chiedi un bilancio della sua vita ammette di avere sofferto, ma non ha dubbi nel definirsi anche fortunata e circondata d’amore. Tante giovani donne calabresi potrebbero riconoscersi in queste parole.
    Ma quella di Stefania, suo malgrado, non è una storia come tante altre. Non lo è da una dannata notte di 31 anni fa.

    L’agguato a Lamezia

    Le tre del mattino, giù dal letto, una fugace colazione e poi di corsa fuori di casa, senza svegliare la moglie Angela e le tre bambine – Maria, Stefania e Antonella, di 13, 11 e tre anni. Il 40enne Francesco Tramonte fa il netturbino al Comune di Lamezia e anche quella notte raggiunge Palazzo Sacchi, sede del centro della nettezza urbana. Prende le consegne e si dirige al piazzale dove il camion è già pronto. Alla guida c’è il 36enne Eugenio Bonaddio, autista della Sepi, la ditta privata che gestisce la raccolta dei rifiuti. A bordo anche un ragazzone di 28 anni, Pasquale Cristiano, che non dovrebbe stare lì: il medico gli ha sconsigliato il lavoro notturno sui mezzi per un problema di epilessia, ma – vai a capire il destino – c’è un’emergenza e lui si mette a disposizione. Partono.

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    Mamma Angela con Antonella, Stefania e Maria Tramonte anni prima della tragedia

    Intorno alle cinque sono nella zona di Miraglia, a Sambiase, dove l’illuminazione pubblica è cosa rara e la sensazione di degrado e abbandono soffocante. Il camion accosta, vanno per scendere quando notano l’ombra di un uomo dietro i cassonetti: ha corporatura media, porta lunghi capelli pettinati all’indietro e la barba incolta, indossa un giubbotto scuro e paio di jeans. Soprattutto, imbraccia un fucile da guerra. Il suo ghigno è spaventoso, complice il canino inferiore destro più lungo e appuntito degli altri denti. Intima ai tre netturbini di scendere, loro obbediscono.

    All’alba del 24 maggio 1991 Lamezia Terme diventa il teatro di uno spaventoso massacro. Il killer spara 22 volte: i proiettili di kalashnikov calibro 7.62 centrano Francesco 12 volte e Pasquale 7. Non hanno scampo. Se la cava con qualche ferita Eugenio Bonaddio che riesce a mettersi in salvo. Dopo l’inferno di piombo è l’ora dell’odore del sangue e del silenzio.

    L’ultima notte di Tramonte e Cristiano

    È un collega del padre a bussare alla porta di casa Tramonte e dare la notizia alla moglie: «Hanno ammazzato vostro marito su un camion», le dice. «Mia madre è rimasta scioccata, incredula e senza parole». Poi le lacrime, la disperazione e la ricerca del coraggio per parlare con le figlie. «Sono rimasta di ghiaccio», aggiunge. Poi ricorda «la confusione, l’arrivo di una vicina di casa, poi un gran viavai di tantissime persone: abitavamo in quel quartiere da una vita, non ci riusciva a credere nessuno». Anche a casa Cristiano è così. «Il padre e il fratello pensano a uno scherzo di cattivo gusto: cosa c’entra Pasquale con quelle cose?».

    Appunto. Ci pensa spesso Stefania: «Erano due puri: sono stati due martiri». Dalla memoria riaffiora un ricordo: «Un giorno mio padre racconta che un collega si è fatto male a una mano e rischia di perdere un dito – dice – non dimentico la paura che provai pensando che potesse accadere a lui. Figuriamoci una morte così». Un omicidio non è mai giustificabile, ma ci sono delle circostanze in cui è più facile immaginare che possa capitare. «Me lo ha detto anche il figlio di un poliziotto: lui aveva paura quando suo padre usciva di casa con la pistola. Mio padre invece aveva in mano una scopa».

     

    Era mio padre

    «Non se lo meritava, papà – dice Stefania – E poi era una bella persona, era un giocherellone, aveva l’animo di un bambino, e infatti tutti i bambini erano innamorati di lui». Racconta i giri sull’Ape a tre ruote con i nipoti, i picnic improvvisati in montagna: «Era divertente, lo ricordano tutti così. Mi sento fortunata ad avere ereditato questo tratto». Era anche affettuoso con le sue figlie e la moglie Angela: «La baciava sempre. Eravamo una famiglia umile, però felice, soprattutto delle piccole cose. Siamo ancora così». Forse perché cercano di non smarrire il ricordo di Francesco: «Con Maria condividiamo gli stessi ricordi, Antonella invece era troppo piccola, non ha memoria di quegli anni, è una cosa che mi fa soffrire. Però parliamo sempre di lui, anche per i miei figli è una presenza viva».

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    Francesco Tramonte con la sua famiglia

    Lo shock e il dolore sono enormi, ma bisogna andare avanti. Angela si rimbocca le maniche: «Abbiamo avuto solo lei come punto di riferimento, s’è dedicata completamente a noi. Avrebbe potuto fare la bidella, ma non ha voluto privarci anche della sua presenza. Abbiamo vissuto con la pensione di mio padre: ha fatto la scelta giusta, è stata una madre straordinaria». La loro vita è cambiata per sempre, «ma ce l’abbiamo fatta». Anche perché, lo sottolinea spesso Stefania, «mi sono sempre sentita amata, dai miei compagni di scuola di allora, dai miei amici, dalla mia famiglia, dalle persone comuni: sono sempre stati tutti molto comprensivi, attenti, vicini».

    Tramonte e Cristiano, morti che riguardano tutti

    D’altra parte, le cittadine e i cittadini di Lamezia hanno condiviso anche la rabbia e la paura con le famiglie di Tramonte e Cristiano: «Da quel giorno si sono sentiti in pericolo: hanno pensato che se avevano ucciso degli innocenti in quel modo sarebbe potuta toccare a chiunque».

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    Pasquale Cristiano

    Lamezia si sente vulnerabile, cerca una spiegazione. Anche gli investigatori si interrogano. Perché quella notte? Perché Tramonte e Cristiano? E perché con quelle modalità?
    Lo scenario che si va via definendo è sconvolgente. Cristiano e Tramonte non erano un obiettivo, sono rimasti vittime della necessità dei boss di compiere un gesto dimostrativo per affermare che i rifiuti sono affar loro: poteva esserci chiunque su quel camion. In altri termini, Lamezia scopre che si può morire così, senza motivo. Anche per questo migliaia di cittadini sfilano per le vie della città.

    L’illusione delle indagini

    Le indagini intanto sembrano procedere speditamente. «I giornali scrivevano che c’era un testimone, che la pista era quella giusta», ricorda Stefania amareggiata. E un testimone, in effetti, c’è. Bonaddio, l’autista del camion, è impaurito ma fornisce un identikit del killer. Per gli investigatori è Agostino Isabella, di Sambiase, considerato vicino alle cosche. Bonaddio lo riconosce e, nel giro di poche ore, il caso sembra chiuso. Finché l’autista di fronte a un nuovo riconoscimento esita e tra le quattro persone dietro il vetro ne indica due diverse: uno è Agostino Isabella, l’altro il fratello che gli somiglia molto. «Che devo dire? – commenta Stefania – Certo, con Bonaddio ci siamo conosciuti e abbiamo sperato nella sua testimonianza, ma non ne abbiamo mai parlato: ogni tanto ci incontriamo, ma non abbiamo nessun rapporto».

    La Corte d’appello di Catanzaro

    La verità però è che «tutta l’indagine non è stata fatta bene, diciamo che sono stati commessi troppi errori». Isabella l’11 maggio 1992 viene comunque mandato a processo ma la Corte d’Assise di Catanzaro lo assolve il 19 giugno 1993 per non aver commesso il fatto. Le motivazioni descrivono però un omicidio di ’ndrangheta maturato nella lotta tra clan per “assicurarsi l’appalto del servizio di nettezza urbana”, che fino ad allora “era stato conferito con dubbia legalità e con dispendio sproporzionato di pubblico denaro a imprese non immuni da sospetti di contiguità al mondo mafioso”.

    Un messaggio bestiale per Lamezia

    E c’è di più: “Il barbaro eccidio – scrivono i giudici – volle essere un significativo messaggio, tanto più efficace quanto più permeato da bestiale efferatezza, rivolto a tutti, pubblici e privati operatori; un messaggio che preannunziava nuovi equilibri mafiosi e dei quali non poteva non tenersi conto nello spendere i miliardi della nettezza urbana”. Tutto questo in un quadro di esternalizzazione (dal 1988), nonostante il Comune fosse “in grado di attivare in proprio il servizio”. Insomma, è stato un atto di terrorismo mafioso per regolare gli affari nel settore dei rifiuti in una città piegata e in crisi (il 20 settembre 1991 ci sarà lo scioglimento per mafia del consiglio comunale, il 1992 si aprirà con il duplice omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano).

    Nel 1993 si aprirsi una nuova stagione: quella del vescovo Vincenzo Rimedio e della sindaca Doris Lo Moro – eletta anche grazie ai voti di Vincenzo Cristiano, il papà di Pasquale, che decide di candidarsi – durante la quale il Comune organizza una commemorazione ogni 24 maggio. Nel 2000 Vincenzo Cristiano muore, l’anno successivo il centrosinistra frana alle elezioni e inizia un periodo di lenta rimozione della storia dei due netturbini. Fino all’elezione a sindaco nel 2005 di Gianni Speranza che riaccende una luce su Tramonte e Cristiano. Tuttavia qualcosa nella memoria deve essersi inceppato se Stefania – il 7 dicembre 2006 – avvia una piccola grande rivoluzione personale. “Conservo ancora il ritaglio del giornale di quel giorno”, rivela.

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    Il ritaglio conservato da Stefania Tramonte

    La svolta di Stefania Tramonte

    In un teatro cittadino viene organizzata la presentazione di un libro a cui partecipano, tra gli altri, il sindaco Speranza, Maria Grazia Laganà, la moglie del vicepresidente del consiglio regionale Franco Fortugno ucciso l’anno prima, e il presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione. Quando l’incontro sta per terminare dal palco chiedono se qualcuno tra il pubblico ha delle domande. Si alza una ragazza, le tremano le gambe, ha la voce incerta: «Sono la figlia di una vittima della ‘ndrangheta, vorrei sapere chi ha ucciso mio padre». Cala il gelo nella sala. «Vorrei sapere se ci sono indagini in corso».

    È Stefania Tramonte. «Non avevo mai parlato di mio padre in pubblico fino a quel giorno – ricorda oggi che invece è diventata la voce della famiglia – mi faceva troppo male. Ho sentito una forza dietro le spalle che mi spingeva. Dovevo farlo, da troppo tempo era tutto insabbiato». Le viene quasi da sorridere: «Ho parlato due secondi – parla di sé con tenerezza – perché poi mi sono messa a piangere». Prendono la parola alcuni studenti, ma dalla sala cresce la protesta: datele una risposta. L’inchiesta è arenata, non ci sono novità. Tocca a Speranza lanciare un appello (l’ultimo lo scorso anno lo ha promosso il festival Trame): riaprire le indagini! Tutta la città ha bisogno di conoscere una verità sinora impossibile visto che non s’è celebrato neppure il processo d’appello. Il pubblico ministero ha presentato l’appello in ritardo e la sentenza di assoluzione è divenuta esecutiva il 18 luglio 1996.

    Gazzetta del Sud, 15 maggio 2016, in occasione dei 25 anni del duplice delitto

    «Non so se era tutto programmato – afferma sconsolata – ma mi dispiace non avere mai avuto l’occasione di chiedere una spiegazione al pm Luciano D’Agostino. Ma all’epoca cosa avrei dovuto fare? Non conoscevamo le procedure. Oggi cosa posso dire? Alcune indagini sulla massoneria su certi magistrati mi fanno riflettere». Ma non prova «odio né rabbia, e ne sono fiera. Vedere in carcere gli assassini non mi darebbe pace. Tanto il vero ergastolo lo stiamo vivendo noi, con un dolore che durerà tutta la vita, e niente potrà restituirmi mio padre. Ma è giusto conoscere la verità».

    Dopo 31 anni

    Sono trascorsi 31 anni da quella dannata notte e non è stato facile. «Devo dire grazie a mio marito, che ha accettato la tristezza, le lacrime, il panico quando era tutto difficile. Ma da qualche tempo le cose vanno meglio: sono mamma, so che devo stare bene per i miei figli. E poi è giusto per me». L’aiuta anche avere incontrato sulla sua strada la famiglia Cristiano, forse perché lo considera un po’ un lascito di suo padre.

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    Maria Tramonte, Antonio Cristiano e la piccola Francesca

    «Un giorno mia madre con la macchina urta e danneggia il gradino davanti a una casa. Ci fermiamo e lasciamo un biglietto per dire al proprietario che siamo disponibili a rimborsare i danni. Era la casa di Rosa e Vincenzo, i genitori di Pasquale Cristiano. Non lo sapevamo. È stato il primo di una serie di segnali che ci hanno fatto percepire per sempre la presenza di papà e Pasquale». Di certo non il più sorprendente: «Mia sorella Maria – rivela – ha sposato il fratello di Pasquale. Si sono conosciuti al cimitero e si sono innamorati. La loro bambina si chiama Francesca, come papà». È stato importante questo accompagnarsi reciprocamente tra le famiglie di Francesco e Pasquale. «Ma papà mi manca, sempre. Vorrei abbracciarlo, vorrei stringere quel corpicino fragile che è stato bombardato da quei colpi di fucile. Bombardato. Non se lo meritava, nessuno se lo merita». Nessuno.

  • Ex Forza nuova candidato “all’insaputa” di Donato: «Il mio riferimento è Mancuso»

    Ex Forza nuova candidato “all’insaputa” di Donato: «Il mio riferimento è Mancuso»

    La confusione sotto il cielo di Catanzaro era già notevole. Ora ad aggiungere altro clamore alla campagna elettorale per le Comunali del 12 giugno c’è anche il caso del candidato ex Forza Nuova. Che Valerio Donato, professore universitario fuoriuscito dal Pd e sostenuto da buona parte del centrodestra, ha evidentemente messo in lista a sua insaputa. Gioacchino Di Maio (detto Jack) è stato coordinatore regionale del movimento neofascista guidato da Roberto Fiore. E di fare passi indietro, come gli ha chiesto – a liste depositate – il “suo” candidato a sindaco, non ne vuol sapere. La sua replica è tutta da leggere.

    Il prof se ne accorge solo ora?

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    Il “santino” elettorale dell’ex Forza nuova per le Amministrative di Catanzaro del 12 giugno

    Si rivolge «a chi, nonostante i valori di democrazia e libertà di cui si fa portavoce, nega il pluralismo costituzionale delle idee». E rispetto alle dichiarazioni postume di Donato, che «suscitano perplessità e ilarità», rileva: «Il Prof si è accorto solo ieri sera che tra le sue liste si nascondeva colui che ha orgogliosamente ricoperto il ruolo di coordinatore regionale di Forza Nuova, un movimento politico legalmente riconosciuto che partecipa da venti anni alle elezioni amministrative, politiche ed europee».

    Contro il «sistema» ma con Fi e Lega

    Il presente di Di Maio «è La casa dei Patrioti» e la sua battaglia, anche «a fianco di persone di estrazione ideologica opposta», è contro «i partiti di sistema, fomentatori professionali di odio e divisione». Evidentemente per lui non sono tali Forza Italia e la Lega, main sponsor della coalizione di cui fa parte. Tanto più che proprio l’ultima mutazione salviniana, “Prima l’Italia”, dà nome e simbolo alla lista in cui è inserito.

    Il «partito di Bibbiano e del Dio vaccino»

    Comunque, oltre a lanciare invettive contro il Pd – «il partito che ha reso l’Italia il laboratorio del globalismo mondiale», quello «del metodo Bibbiano», che propaganda «il Dio vaccino» – Di Maio dimostra comunque di giocare a carte scoperte.

    Catanzaro, Forza nuova e la «stima» di Mancuso

    «Se ho accettato – spiega senza giri di parole – è perché il mio riferimento, il Presidente Filippo Mancuso (presidente del consiglio regionale, ndr), immune da visioni ideologiche che impediscono la corretta visione della realtà, ha sempre manifestato fiducia e stima nei miei confronti e ha valutato la mia persona degna di partecipare alla competizione elettorale, perché l’unica finalità è e deve essere il bene comune».

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    Filippo Mancuso

    Un ideale è per sempre

    Dunque nessun dietrofront ma «solo passi in avanti». A confermarlo, ribadendo che Di Maio non si ritira, è anche il segretario provinciale della Lega, Giuseppe Macrì: «I suoi rapporti con Forza Nuova sono ormai totalmente inesistentiha detto Macrì – essendosi egli dimesso da ogni incarico ricoperto in passato». Benché lo stesso Di Maio abbia specificato: «Non sarà di certo una candidatura a farmi rinnegare gli ideali di una vita».