L’attuale composizione del Consiglio della Regione Calabria ha ormai vita breve, dopo la pronuncia della magistratura sul caso Talerico vs Fedele. Il primo – così come un’altra esclusa, Silvia parente – contestava l’eleggibilità della seconda, la cui candidatura era arrivata mentre ricopriva il ruolo di direttrice generale della Provincia di Catanzaro. I giudici del tribunale ordinario del capoluogo gli avevano già dato ragione in primo grado. E oggi la Corte d’Appello, a cui Fedele si era rivolta, ha confermato quella decisione: «Sono ineleggibili a consigliere regionale i titolari di organi individuali ed i componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale anche sull’amministrazione della Provincia».
Uno di troppo
A questo punto Talerico dovrà solo notificare la vittoria in tribunale al presidente dell’aula Fortugno, Filippo Mancuso. Poi, tramite la giunta elettorale, toccherà a quest’ultimo procedere alla surroga della uscente Fedele con l’avvocato catanzarese. Che, dal canto suo, ha già messo in chiaro le cose: di entrare in Regione da consigliere di Forza Italia non ci pensa nemmeno, sebbene illo tempore fosse candidato proprio in una lista berlusconiana. Scarso feeling con il coordinatore regionale del partito Giuseppe Mangialavori, ha tenuto a chiarire non appena conquistata l’agognata poltrona.
Occhiuto e Mangialavori in campagna elettorale
Non c’è due senza tre
Non sarà il problema principale per Roberto Occhiuto, ma è pur sempre un forzista ufficiale in meno in squadra. E sebbene il neo eletto abbia confessato a LaCNews24 l’intenzione di confrontarsi col governatore e Mancuso per comprendere quali possano essere i suoi «spazi di agibilità politica», il futuro di Talarico non pare tinto di azzurro. Il suo colore, più probabilmente, sarà il blue navy scelto da Carlo Calenda e Matteo Renzi per il loro Terzo Polo. In Regione, d’altra parte, un gruppo che fa riferimento proprio a Calenda è già nato di recente e può contare su Giuseppe Graziano e Francesco De Nisi. E siccome non c’è due senza tre, con l’addio di Fedele e l’arrivo di Talerico potrebbe presto ampliarsi.
il consigliere regionale Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)
Fedele vs Talerico: le ripercussioni oltre la Regione Calabria
Anche a Palazzo De Nobili l’uscita di scena di Valeria Fedele – almeno fino all’eventuale contrordine della Cassazione, cui si rivolgerà nel tentativo estremo di riprendersi la poltrona a Reggio – non passerà inosservata. Il neo consigliere regionale – che dopo averlo sfidato alle amministrative ora sostiene Nicola Fiorita e i suoi, usciti vincitori dalle urne – ora avrà un peso politico molto maggiore. Ed è difficile escludere folgorazioni sulla via di Talerico tra qualche collega in aula. Una maggioranza nella maggioranza che farà piacere a Calenda, a Fiorita e Occhiuto chissà.
Lo chiamano Terzo polo: è la compagine nata dalla federazione del partito di Matteo Renzi con quello di Carlo Calenda. Qualche giorno ad un convegno di Renew Europeil primo ha annunciato che non vi è alternativa al “partito unico”. Il secondo ne ha tracciato l’orizzonte: entro primavera per un manifesto comune e a settembre una costituente del contenitore liberaldemocratico italiano. Con una postilla: «Se incominciamo a fare a chi più è liberale, i liberali rimangono un circolo di sfigati che fanno training autogeno tra di loro. Il circolo più è esclusivo meno persone ci sono dentro».
Le ultime parole famose
Insomma, al solito, l’ex europarlamentare del Pd e oggi senatore del Terzo Polo non le manda a dire. Così come è chiaro nel rapporto tra la sua forza politica ed il M5S.
«Lo dico agli amici del Pd, c’è solo un modo per gestire i 5 Stelle: cancellarli!» twittava Calenda lo scorso luglio. «Penso che il M5s dovrebbe sparire» affermava ad agosto. Mentre lo scorso mese, alla domanda se andrebbe al governo con il M5S, ha risposto: «Manco morto». Un disamore politico corrisposto, questo. Il presidente del M5S, Giuseppe Conte, giusto qualche giorno fa ha dichiarato: «Dico al Pd che il M5S non starà mai con Renzi e Calenda».
Con tutti tranne…
Insomma, quello che ha dettato Calenda pareva un percorso lineare. Lo ha ribadito anche sui territori, tant’è che lo scorso marzo annunciò a Catanzaro: «Ci sarà anche una lista di Azione nella competizione elettorale per le amministrative di Catanzaro di tarda primavera (…) Siamo pronti a dialogare con tutti, salvo che con l’estrema destra e il Movimento Cinque Stelle (…) non ci alleiamo con i 5 stelle e con la destra estrema perché è contrario ai nostri valori e ai nostri principi. Non lo facciamo a livello nazionale, non lo faremo a livello locale».
Raffaele Serò
Pochi mesi dopo alle Amministrative del capoluogonon vi fu traccia della lista di Azione. Divenne consigliere comunale, però, il segretario provinciale Raffaele Serò. Era nella lista Io scelgo Catanzaro della coalizione civica di Antonello Talerico, quest’ultimo poi approdato, invece, in Noi con l’Italia di Maurizio Lupi. Entrambi sostengono la maggioranza di Nicola Fiorita (esprimendo anche un assessore in Giunta, Antonio Borelli), così colorita e variegata che contempla anche il M5S, con buona pace dei niet di Calenda.
Donato in Azione
Non è l’unico grattacapo per Azione nel capoluogo, patria del trasformismo politico e della liquidità (se non liquefazione) dei partiti.
Ad agosto, dopo la scoppola elettorale alle Amministrative catanzaresi di giugno, il candidato sostenuto dalla Lega e da Forza Italia (e al ballottaggio anche da Fdi), Valerio Donato, già dirigente cittadino del Partito Democratico, ha aderito ad Azione, specificando di aver avuto una lunga interlocuzione «con i dirigenti nazionali e regionali di Azione».
A dicembre, poi, insieme ai consiglieri comunali Gianni Parisi e Stefano Veraldi, Donato ha annunciato la costituzione del gruppo consiliare “Azione-Italia Viva-Renew Europe” con egli stesso come capogruppo.
Alle spalle del segretario
Piccolo particolare: il collega consigliere-segretario provinciale di Azione, Serò (loro avversario elettorale fino a pochi mesi prima), non è stato nemmeno avvertito. Tant’è che ha sbottato: «Nella mia veste di coordinatore provinciale di Azione con Calenda comunico che alcun gruppo di Azione è stato costituito in Consiglio comunale da parte di terzi. Pertanto, non si comprende l’iniziativa dei consiglieri Valerio Donato, Giovanni Parisi e Stefano Veraldi, autori di una nota stampa con la quale danno atto di avere costituito il gruppo di Azione, addirittura estromettendo il sottoscritto e senza consultare lo scrivente».
Niente più gruppo
Risultato: nell’ultimo consiglio comunale Donato (che nelle more si è anche auto-candidato come membro del Csm) e i suoi hanno comunicato che non ci sarebbe stata la costituzione del gruppo di Azione. Insomma, un gran caos. Ad acuirlo, i continui punzecchiamenti stampa dell’ex esponente Udc, Vincenzo Speziali, vicino al terzo polo, per cui il “fascicolo Catanzaro” andrà certamente preso in carico. Non pervenuta politicamente e numericamente Italia Viva. Il coordinatore cittadino Francesco Viapiana alle amministrative ha ottenuto, nella lista Riformisti-Avanti!, poco più di cento voti.
Calenda con Donato e Veraldi
L’asse a Vibo
Se la maggioranza variegata a Catanzaro farà storcere il naso a Calenda e disinteressare Renzi, figuriamoci il rassemblement vibonese.
Alle imminenti elezioni provinciali il candidato sarà il segretario provinciale di Italia Viva Giuseppe Condello (sindaco di San Nicola da Crissa). A suo sostegno anche Azione, che vede come leader locale l’ex candidato a sindaco del Pd e oggi consigliere comunaleStefano Luciano (membro anche della segreteria regionale dei renziani).
Luciano nell’assise vibonese ha costituito il gruppo “Al centro” con i consiglieri comunali Giuseppe Russo, ex Pd ed ex Fi, e Pietro Comito, vicino al consigliere regionale di Coraggio Italia Francesco De Nisi.
Giuseppe Condello
A sostenere Condello ci saranno oltre al Pd (con critiche al segretario provinciale Giovanni Di Bartolo e canoniche spaccature) anche il M5S, che a Vibo esprime due consiglieri: Silvio Pisani e l’ex candidato sindaco e candidato regionaleDomenico Santoro, politicamente silente dopo l’ultima disfatta elettorale.
La liaison tra Azione e il M5S nel vibonese non è una gran novità: l’attuale responsabile organizzativo dei calendiani è Pino Tropeano, candidato regionale dei grillini nel non lontano 2020.
Terzo polo in Calabria: i renziani senza bussola
Una nota di colore: nel 2021 Giuseppe Condello, sfidò alle regionali, da candidato del Psi, il segretario provinciale di Iv a Catanzaro, Francesco Mauro, alfiere di Forza Azzurri.
Già, perché il coordinatore regionale di Italia Viva, l’ex senatore Ernesto Magorno, prima dichiarò di aver sostenuto Jole Santelli e, quindi, il centrodestra nel 2020 e poi si lanciò a favore della causa occhiutiana. «Pronto a essere candidato a presidente della Provincia di Cosenza. Data la mia disponibilità al presidente Occhiuto» dichiarò a fine 2021.
Renzi e Magorno in Calabria durante le ultime Politiche
L’anno successivo incontrò il presidente della Regione insieme al presidente di Italia Viva, Ettore Rosato. «Per confermare il sostegno di #ItaliaViva all’azione del governo», dichiararono. Qualche mese fa, nuovamente, Magorno ha aggiunto: «Italia Viva è il primo partito a essere stato ricevuto da quando è iniziata questa consiliatura regionale, un dato non da poco che ci pone come validi interlocutori della Giunta regionale».
Insomma, l’Italia Viva di Magorno è (al pari del capogruppo regionale del M5S, Davide Tavernise) il maggiore spot politico permanente della giunta Occhiuto.
C’è chi dice no
Di diverso avviso l’ex parlamentare grillina Federica Dieni. Giusto l’altro giorno, in riferimento alla pista di pattinaggio a Milano voluta da Fausto Orsomarso, ha dichiarato: «Ma c’è una voce di opposizione in consiglio regionale? Qualcuno che presenti un’interrogazione sulla opportunità di questa scelta? Ecco, se c’è batta un colpo».
Non è la prima volta che Dieni lancia stoccate alla giunta e a Roberto Occhiuto, come quando gli disse: «Occuparsi del territorio non è una concessione». Non proprio in linea con i dettami magorniani.
Federica Dieni
Terzo polo in Calabria, gli strascichi delle politiche
Alle elezioni politiche dello scorso settembre il terzo polo si è fermato in Calabria al 4%, non eleggendo alcun parlamentare. I capilista alla Camera erano Maria Elena Boschi e, a seguire (appunto…) Ernesto Magorno. Già con il deposito delle liste nacque una polemica proprio nell’establishment vibonese che, sentendo odore di disfatta, mise le mani avanti: «Ci è stato spiegato che l’accordo nazionale prevedeva postazioni utili in Calabria solo per il partito Italia Viva di Renzi e pertanto non abbiamo potuto fare altro se non accettare con serenità quanto deciso, rinnovando l’impegno a favore del nostro territorio con la determinazione di sempre ad ascoltare e tentare di risolvere i numerosi problemi dei cittadini vibonesi».
Si salvi chi può
L’affondo dei calendiani sa tanto di sassolino dalla scarpa: «Siamo però con i piedi per terra e dunque affronteremo questa tornata elettorale tentando di guardare oltre il 25 di settembre nella consapevolezza che oggi gli amici di Italia Viva hanno una maggiore responsabilità sul risultato elettorale, posto che hanno avuto il grande privilegio di essere favoriti da un accordo elettorale nazionale che ha penalizzato in Calabria il partito di Azione, riducendone al minimo l’agibilità anche in termini di richiesta del voto». Insomma, si salvi chi può.
Giada Vrenna, ex renziana di Crotone
Terzo polo ma non troppo a Reggio Calabria
E se a Crotone il coordinatore cittadinoUgo Pugliese ha sfiduciato Giada Vrenna, ormai ex consigliera comunale di Italia Viva, non va meglio nel reggino. Il sindaco f.f. di Reggio Calabria, Paolo Brunetti, risulta in quota Iv, mentre quello metropolitano, Carmelo Versace è di Azione. «Brunetti e Versace sono i più capaci, è stata effettuata una scelta saggia. Da parte mia, sarei onorata e orgogliosa di rappresentare la Calabria» disse la Boschi in campagna elettorale. Invece, nessuno slancio in termini di percentuale è venuto dal territorio, con perfidi detrattori che sussurrano: «I due sindaci hanno sostenuto il Pd». Insomma, terzo polo, che pasticcio!
Nel 2020 scoppiava – oltre alla pandemia – la non meno diffusa indignazione dei calabresi per l’agghiacciante domanda posta da Raoul Bova nel corto-marchetta di Muccino per la Regione Calabria: «Dove vuoi che ti porto?». Giusto! Quell’errore grammaticale era assolutamente poco realistico. E io aggiungevo: sarebbe stato tristemente più veritiero un «dove vuoi portata?».
Sia come sia, ne venne fuori un’insopportabile polemichetta sulla rappresentazione da cartolina, sui filtri ferocissimi, le coppole e i gilet, gli agrumi estivi e i fichi in spiaggia: segno che in tanti avrebbero preferito non tanto uno spot turistico ma un servizio in stile Report (tanto i turisti stanno comunque alla larga). Contenti loro, ma bisognava capire che una cosa è la promozione turistica, altra la denuncia.
Tropea o tromba d’aria?
La Tropea da cartolina
Tutta questa premessa per dire che l’Oscar per la cartolina trita e ritrita spetta e spetterà sempre a Tropea (al secondo posto: l’Arcomagno, ma ne parliamo un’altra volta). Tropea, trupìa, tempesta, temporale. Anche le tropee, così come le trombe marine, vengono “tagliate” dagli anziani del posto.
Nella Calabria tirrenica «quando si approssima una tropea, venti improvvisi che in estate-autunno si scagliano a vortice dal mare sulla costa, il più anziano dei contadini la “taglia”, recidendo in tre parti un tralcio di vite. Si rivolge verso la tropea che avanza e in atto solenne, mentre taglia, pronuncia alcune parole rituali» (lo scriveva pure Orazio Campagna, in un eccezionale libro pubblicato nel 1982 e oggi abbastanza introvabile: La regione mercuriense nella storia delle comunità costiere da Bonifati a Palinuro). Ma in questo caso non si tratta di una vera e propria tromba marina. E allora torniamo a Tropea con la T maiuscola e ai suoi dintorni.
La magia delle donne
Poco più a Sud, nel circondario di Palmi, la tromba marina è detta cuda d’arrattu: in questo caso «le donne del luogo, guidate da una che ha poteri magici, corrono sulla spiaggia impugnando nella destra un coltello a punta, col manico d’osso bianco, e con esso sciabulìano ’u celu con larghi, decisi fendenti. Colei che le guida punta il coltello contro la tromba e le urla “Luni esti santu / marti esti santu / mercuri esti santu / juovi esti santu / vènnari esti santu / sabatu esti santu / dumìnica è di Pasca / cuda ’e rattu casca“; e ogni volta che dice “esti santu” traccia nel cielo, sempre in direzione della tromba, una croce, subito imitata dalle altre donne; poi, quando arriva a “dumìnica è di Pasca / cuda d’arrattu casca“, vibra un fendente da destra a sinistra e un altro dall’alto in basso, squarciando così il mostro».
Non solo cristianesimo
E che c’è di strano? Nulla: se nelle invocazioni contro le trombe d’aria i marinai timorati di Dio (e ancor più di Satana)fanno uso, allo stesso tempo, di formule cristiane e di formule salomoniche, dobbiamo ricordare – sto scherzando ma non troppo – che a due passi da qui nacque e morì Antonio Jerocades, l’abate eretico e massonissimo. Anzi, uno dei primissimi “grembiuli” della Penisola.
L’abate Antonio Jerocades
Insomma, lo scriveva – ahinoi – anche il verboso De Martino: ««Il momento magico si articola in raccordi e forme intermedie che concernono il cattolicesimo popolare e le sue accentuazioni magiche meridionali, sino al centro dello stesso culto cattolico». Frasetta adatta all’uditorio marxista del tempo, manca solo “nella misura in cui”. Ma la sostanza c’è. De Martino voleva dire, per farla un pochino pochino più semplice, che il teismo o è contemplato in forme integrali, che comprendano ogni sottospecie di pratica cultuale che vi si possa connettere, o perde coerenza e crolla. Ma, per carità, torniamo a Tropea.
Tropea oltre Muccino
No, scordatevi che io scriva delle bellezze naturali e storiche del luogo oppure della cipolla rossa venduta a peso d’oro (il pomo della concordia… La pietra filosofale? Oppure l’occultus lapis che si rinviene, appunto nelle interiora terrae?). Butterò soltanto un’informazione poco nota: al diavolo i pernottamenti di Garibaldi in almeno 366 luoghi diversi all’anno (almeno 367 negli anni bisestili ma, si sa, lui era più trino che uno), a me pare molto più interessante scoprire che nell’agosto del 1965 a Tropea ha dormito Georges Perec.
Lo annotò nei suoi diari, come in un Tripadvisor privatissimo: «La spiaggia è assai lontana, molto bella, in basso; la camera è grande, persiane chiuse a causa del caldo». Ne tracciò persino una mini-planimetria (il foglietto, per la precisione, sta a Parigi, Bibliothèque de l’Arsenal, Fonds privé Georges Perec, Lieux où j’ai dormi, 48.6.2, 14r). Questo per dire che si può rispondere a Muccino, eccome. Ma con argomenti di qualche auspicabile spessore. E certo, mi direte voi (?): Perec nel ’65 non era ancora nessuno, stava appena esordendo con Les Choses. Dici niente!, vi rispondo io.
Appunto dai diari di Georges Perec
Massoni e sedie impagliate
Ma abbandoniamo sia le cartoline sia i dagherrotipi: lasciamo stare Tropea, gli agosti calabri, e dirigiamoci verso l’interno, per tornare a Nord. A occhio e croce, la strada più difficile è quella che da quaggiù passa per Soveria Mannelli, e allora facciamola. Aggiriamo Girifalco, anche perché di massoneria ho già parlato troppo e non sarei il primo a ricordare che proprio in questo paese sorse la primissima loggia d’Italia, la Fidelitas (anno Domini 1723, appena sei anni dopo la fondazione della loggia madre a Londra: ah, la precocità!).
Passiamo invece per Migliuso, amenissima frazione rurale della più lontana Serrastretta. A dividerle, una strada non proprio intuitiva. Ulivi, ulivi, ulivi, panorami meravigliosi e una trattoria dove – e poi se la prendono con Muccino! – dei bambini tornati da scuola suonano la fisarmonica; dove ordino un secondo senza contorno e la signora mi porta anche le patatine: «tanto… le dovevo fare per i bambini, le faccio pure per Voi». E dire che Serrastretta passerà alla storia più che altro per essere il paese degli impagliatori di sedie e, ancor di più, per aver dato i natali ai genitori di Iolanda Gigliottiin arte… vabbé, che ve lo dico a fare?
Sedie serratrettesi doc
Incappucciati
Ma non c’è tempo per riposare le terga sui manufatti locali… pieghiamo per Gimigliano e non c’è niente da fare, impossibile restare lontani da un po’ di sano anticlericalismo calabro e di esoterismo locale: qui nacque Tiberio Sesto Russilliano (o, meglio, Rosselli) il quale, senza farla lunga, nel 1519 pubblicò l’Apologia contro i chierici, ovvero l’Apologeticus adversus cucullatos (si, lo so, “cucullatos” sta per “incappucciati” ma non bisogna fraintendere, qui si riferisce proprio alla pretonzoleria). E qui nacque pure il cucullatissimo francescano (abbastanza eretichello) Annibale Rosselli, morto a Cracovia nel 1592, autore di un monumentale commento in sei tomi al Pimandro attribuito a Ermete Trismegisto.
Insomma, la Calabria centromeridionale non ha partorito solo Mino Reitano. Rimettiamoci in cammino: passiamo per Carlopoli, Castagna e per la bella frazione di Colla. I boschi si fanno mano mano più fitti e siamo già a Conflenti, Martirano Lombardo, Martirano non lombardo, San Mango d’Aquino, paesi arrampicati sopra gli orridi dell’ultimo tratto del Savuto o, per i più superficiali, sopra gli omonimi svincoli autostradali delle tratte più infelici dell’Italia d’oggi. Altra storia.
Considerando che la Befana preferisce il chilometro zero, stanotte avrà fatto rifornimento in Calabria. Calze gonfie come palloncini, giocattoli, monetine di cioccolata, carbone di zucchero, ma soprattutto caramelle e gelatine. E non parliamo dei soliti marchi, quelli super pubblicizzati e famosi in tutto il mondo. Oggi la Calabria può offrire una gamma di golosità, con prodotti dop e ingredienti genuini, che ha pochi avversari in Italia: Silagum. Il nome ha certamente meno appeal rispetto alla celebre griffe degli iconici orsetti gommosi, ma è un’azienda che produce 2.500 tonnellate di caramelle l’anno e da trent’anni è una realtà economica della zona industriale lametina, la cosiddetta ex Sir, a lungo un deserto buio di capannoni vuoti.
Lo stand milanese di Silagum a Tuttofood 2021
Silagum, le caramelle vendute in Russia e Stati Uniti
Trenta operai, quasi tutti del lametino, e tre turni di lavoro spalmati su ventiquattro ore, perché l’impianto di estrusione, made in Francia, che fornisce le rotelle di liquirizia, lavora giorno e notte. Cinque milioni di euro di fatturato e un grosso investimento per eliminare la plastica dagli incarti. Le caramelle calabresi sono vendute in Francia, Inghilterra, Finlandia, Russia, Stati Uniti. Sono apprezzatissime in Canada ed esportate finanche in Sud Africa e Giappone.
Primo e secondo tempo
C’è un primo e un secondo tempo nella cronistoria della Silagum. Nata a fine anni Ottanta per iniziativa della Compagnia delle opere, l’associazione imprenditoriale legata al movimento Comunione e liberazione, grazie ai generosi fondi della De Vico (la legge 44), ha rappresentato un esperimento pilota calabrese dell’imprenditoria giovanile.
Resta una delle poche superstiti di quell’ondata a distanza di trent’anni. Il tutor è stato il patron del cioccolato Agostoni (prodotto dalla fabbrica lombarda Icam), che è ancora tra i cinque soci. Nel 2005 scoppiava il caso Why Notsu intrecci tra potere, fondi pubblici, istituzioni e presunte logge massoniche. L’inchiesta di De Magistris coinvolgeva protagonisti della politica italiana e anche la Compagnia delle opere. Anni di processi e clamori e un finale di assoluzioni.
Il secondo tempo della fabbrica di caramelle inizia proprio nel 2005, quando entra in azienda Claudio Aquino come direttore commerciale. «Ci sono vari step – spiega – per portare un’azienda al successo. Il primo passo è fare un buon prodotto, poi devi metterlo sul mercato, devi saperlo presentare, dargli un vestito giusto». Aquino, oggi alla guida del marketing ma anche amministratore delegato, sulla vicenda Why Not e fondi pubblici taglia corto. Parla la realtà attuale.
Nessun sostegno pubblico
«La Compagnia delle opere ha promosso Silagum all’origine, l’ha favorita creando l’incontro tra i soci calabresi e il nostro socio di Lecco Antonio Agostoni, che resta un sostenitore e un punto di riferimento. Silagum è un’azienda che cammina con le proprie gambe, è una società a capitale privato, che non gode di sostegni pubblici». La fabbrica è ancora lì, nella ex Sir, dove qualche capannone si è animato nell’ultimo decennio. Il trasporto è soprattutto su gomma ma per le destinazioni oltreoceano ed orientali, le caramelle calabresi viaggiano su container, partono da Napoli e non da Gioia Tauro «per scelte logistiche dei nostri clienti» precisa Aquino.
Operai della Silagum nello stabilimento di Lamezia Terme
Silagum: gli inizi con le caramelle al luna park
«Gli inizi – dice Aquino – sono stati tutti in salita, l’azienda produceva per conto terzi, senza marchio. Si faceva fatica – racconta – ad avere un prodotto di qualità perché mancavano know how e personale specializzato. Le caramelle venivano vendute sfuse nei mercati, nei luna park, nelle fiere. Con caparbietà non ci siamo arresi e abbiamo portato avanti il nostro progetto e abbiamo cominciato ad avere un’identità e importanti riconoscimenti». Oggi il marchio Silagum viene esportato in molti Stati, circa il 30% della produzione è destinato ai mercati esteri.
La Calabria dentro
«Abbiamo puntato – commenta Aquino – a farci riconoscere sugli scaffali, prima avevamo un intermediario che rivendeva a marchio suo e non c’era legame con il consumatore. Oggi chi sceglie Silagum sceglie un prodotto di qualità, è questa la nostra forza e il nostro orgoglio». Caramelle profumate e coloratissime, con la Calabria dentro: bergamotti, limoni e arance che provengono da Gioia Tauro e Reggio e poi la liquirizia dop di Naturmed. Siamo molto attenti alle materie prime – precisa Aquino – le gelatine contengono il 20 per cento di succo di frutta e siamo gli unici produttori di rotelle di liquirizia bio».
Caramelle al limone prodotte dalla Silagum
La causa ambientalista
Il futuro? Roseo, quasi come una gelée alla fragola. «Il post pandemia è stato naturalmente difficile – ammette Aquino – siamo una piccola realtà e abbiamo subìto gli aumenti dei costi delle materie prime. Non possediamo la forza delle multinazionali, ma cerchiamo di innovarci. Da poco è stato fatto un grosso investimento per avere confezioni in carta eliminando la plastica. Siamo molto orgogliosi di dare il nostro contributo alla causa ambientalista».
Sulle difficoltà e le lamentele di una Calabria arretrata nella produzione e nei trasporti, il presidente del cda della Silagum non segue la consueta linea di molti colleghi imprenditori: «Se hai in testa una cosa e sai che può funzionare, la fai, anche se sei in Calabria. Al centro dell’attenzione non devono esserci le difficoltà, ma bisogna mettere in risalto le caratteristiche positive e le peculiarità. Anche Sperlari, che è di Cremona, ha le sue difficoltà. Diverse dalle nostre, ma le ha. Le caramelle Silagum sono tra le più buone in commercio ed è su questo che dobbiamo puntare».
La Calabria dei campanili è sempre pronta alle battaglie fratricide. Accade così che l’annuncio della nascita di una nuova facoltà di medicina presso l’Unical, susciti le urla di sdegno dell’università di Catanzaro, che pure non vedrà sguarnita la sua offerta formativa. A guidare il campanilistico malcontento catanzarese sono i politici della città, in modo del tutto trasversale, dalla parlamentare Wanda Ferro a Nicola Fiorita, che prima di diventare sindaco insegnava proprio all’Unical, passando per gli altri due ex candidati a guidare Catanzaro: Valerio Donato e Antonello Talerico.
L’Università della Calabria
Le preoccupazioni catanzaresi sono del tutto evidenti: fin qui una sola facoltà di medicina non trovava concorrenti nel raccogliere iscritti, da domani invece ci sarà da sgomitare, ma forse nemmeno tanto, se i numeri che circolano sono esatti e raccontano di una significativa quantità di studenti calabresi che si iscrivono a facoltà di medicina fuori dalla regione.
Una questione politica (e non solo)
Del resto è difficile non valutare positivamente l’aver gettato il seme che potrebbe alleviare la tragedia in cui versa la sanità calabrese, visto che una facoltà di medicina apre a futuri scenari importanti in termini di miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Basti pensare al collegamento tra la facoltà e il nuovo – e ancora ipotetico – ospedale di Cosenza, che diventando policlinico universitario, godrebbe di competenze di primo livello. Poiché la cronaca certe volte vuole diventare ironica, a portare a casa il risultato della nascita di una nuova facoltà di Medicina è stato un presidente cosentino della Regione, di cui ancora si rammentano le parole di plauso per la chiusura di 18 ospedali.
L’ingresso del vecchio ospedale dell’Annunziata a Cosenza
E qui nuovamente si apre l’altra partita, apparentemente campanilistica, ma in verità del tutto politica. Infatti l’annunciata apertura della nuova facoltà di Medicina all’Unical rimette in discussione la scelta dell’area dove edificare il nuovo ospedale. Nel meraviglioso mondo della teoria il Comune di Cosenza avrebbe indicato la zona di Vaglio Lise, mettendo da parte la zona di Contrada Muoio che invece piaceva all’ex sindaco della città. Tuttavia il crudele mondo della realtà frappone non pochi ostacoli alla sua realizzazione, basti pensare che quei terreni sono della Provincia, e ancora non è chiaro se li abbia già ceduti allo scopo.
I cugini di Campagnano
All’orizzonte spunta un nuovo motivo per mettere in discussione la scelta fatta dal consiglio comunale di Cosenza: che senso avrebbe edificare un nuovo e moderno ospedale lontano dalla facoltà di medicina? Ed ecco che il rigurgito del mai sopito campanilismo tra Rende e il capoluogo è già pronto a riaffiorare.
La questione va assai oltre uno scontro tra campanili, perché con tutta evidenza la nascita di un nuovo ospedale comporterebbe la crescita tutt’attorno di servizi ed infrastrutture che porterebbero economie al territorio. Per Cosenza non si tratterebbe della perdita di un “pennacchio”, ma di opportunità materiali. D’altra parte non si è mai vista una facoltà di Medicina separata dal nosocomio.
La matrioska dei campanilismi
A ben guardare, quindi, la nascita di Medicina all’Unical riapre i giochi e pone prepotentemente Arcavacata in cima alle possibilità di scelta: un luogo baricentrico nella già concreta idea di area urbana, rapidamente raggiungibile perché servita dall’autostrada, senza contare che i terreni su cui l’ospedale sorgerebbe potrebbero essere quelli già in possesso dell’università. Tutte ragioni che razionalmente dovrebbero spazzare via altre ipotesi.
Il campanilismo è come una matrioska: c’è quello tra Cosenza e Catanzaro e più dentro quello tra Cosenza e Rende e più dentro ancora quello tra i politici che devono decidere.
Ma ci sarà tempo per le barricate e le grida, perché intanto il nuovo ospedale è solo una bella intenzione. E, come dice il proverbio ebraico, «mentre gli uomini progettano, Dio ride».
Siamo quasi giunti alla fine di questo lungo anno in cui, in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, si sono moltiplicate le più disparate iniziative per celebrarne la figura. Tra i maggiori intellettuali del secolo scorso, è stato capace con la sua opera di suscitare ampi dibattiti nell’Italia edonistadel boom economico. Leonardo Sciascia lo definì «personaggio fuori dal tempo». E Rossana Rossanda scrisse, all’indomani della sua morte: «Detestato da tutti in vita quanto ipocritamente compianto da morto, pronto a essere strumentalizzato da più parti».
È stato scoperto dalle nuove generazioni e riscoperto da chi, insieme con lui, aveva vissuto quegli anni di forti mutamenti antropologici, ma non era stato in grado di comprenderne completamente il messaggio.
Giancarlo Cauteruccio, attore e autore teatrale
L’omaggio del regista, scenografo e attore Giancarlo Cauteruccio per Pasolini è qualcosa di veramente sconfinato, intendendo questo termine nella sua accezione letterale di “penetrazione nel territorio altrui”, perché le periferie nell’immaginario comune sono considerate spazio “altro” e separato dal resto della città.
Cauteruccio, approda – traforando con effetti di luci, musica e parole – nei sobborghi, considerati corpi estranei rispetto ai più decorosi e curati centri urbani. Delle periferie, Cauteruccio, secondo una sua concezione artistica d’avanguardia, vuole evidenziare il cuore pulsante, spesso nascosto tra il degrado di un’edilizia che si allontana da ogni ideale di bellezza.
Un Cauteruccio “de borgata”
Pasolini ha saputo raccontare le periferie come nessun altro, trasformando i “borgatari” nei protagonisti dei sui racconti e dei suoi film. L’operazione di Giancarlo Cauteruccio si colloca da un punto di vista artistico-intellettuale in linea con il pensiero pasoliniano, con la differenza che il ruolo dei protagonisti è assegnato alle facciate fatiscenti dei caseggiati periferici, immagine di un sottoproletariato urbano che racconta sempre una storia di emarginazione. Il regista mette in scena un’operazione diteatro-architettura, un’estetica rappresentativa legata alle nuove tecnologie delle arti sceniche, capace di trovare nei luoghi urbani e naturali, quindi sconfinando rispetto agli spazi tradizionalmente intesi come aree delle rappresentazioni sceniche, i suoi palcoscenici ideali.
Lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini
Cauteruccio, calabrese di Marano Marchesato, è uno dei registi più innovativi nell’area della seconda avanguardia teatrale italiana. Esplora nuove specificità linguistiche nella relazione con le moderne tecnologie, crea nuovi processi artistici in un confronto costante con lo spazio, il corpo e la parola. Quella di Cauteruccio è una poetica che si basa sulla commistione tra arte e tecnologie, riuscendo, grazie ai media digitali contemporanei, a intaccare l’esperienza della percezione sensibile. Si tratta di una sperimentazione avviata fin dagli anni ’70 del secolo scorso, con performance artistiche che hanno raggiunto New York e Mosca. E tuttora Cauteruccio mantiene un ruolo da protagonista nel campo del rinnovamento del teatro contemporaneo.
Teatro Studio Krypton
Per più di tre decenni ha diretto il Teatro Studio di Scandicci e nel 1982 a Firenze, con Pina Izzi, ha fondato Teatro Studio Krypton ancora oggi attivo e apprezzato a livello internazionale. Il regista è stato un pioniere del videomapping, attraverso il quale è riuscito a trasformare le superfici, sulle quali sono proiettate le immagini, in nuovi palcoscenici in cui nascono e si sviluppano nuove forme drammaturgiche, modificando la concezione dello spazio, rendendolo, grazie alla luce, plastico, una sorta di tela da dipingere con pennellate leggere.
Cauteruccio e Pasolini eretico
Dalla Calabria a Firenze, le facciate dei palazzi sono illuminate nel nome di Pasolini. Proiezioni di luci compongono parole che diventano “corpo gettato nella lotta” di nuove percezioni emotive. Una messinscena che non ha nulla a che fare con l’idea di teatro di Pasolini perché, come afferma lo stesso Cauteruccio, «Io non affronto Pasolini nella sua specificità teatrale, quanto nella sua condizione di “sconfinamento”. Pasolini sconfina nelle espressioni, nelle arti e nella sua visione complessiva della comunicazione. Affronta condizione estreme, radicalizzando il linguaggio. Dal cinema alla poesia, al suo rapporto con il dialetto, con la pittura, con la musica, con la politica, è tutto un rapporto di sconfinamento rispetto ai canoni tradizionali».
Il non-teatro di Pasolini
Sulla produzione teatrale pasoliniana Cauteruccio ha una visione in linea con una concezione di non rappresentabilità: «Il suo teatro, dal mio punto di vista, non si trasforma mai in una scrittura scenica, riuscendo a concretizzarsi, di fatto, solo da un punto di vista del puro esercizio di lettura. La scrittura rimane nel libro non riuscendo mai a confluire in quei nuovi concetti d’avanguardia degli anni ’60 e ’70». Il regista non porta in scena né Pasolini né le sue tragedie, ma “teatralizza” il suo concetto di Pasolini: «Affronto Pasolini dal punto di vista delle sue tematiche generali: lui ha una grande visione delle arti e della periferia e riesce a creare continue immagini, ma nel teatro la parola rimane ancorata a se stessa. Il suo modello è la tragedia antica, ma nel dialogo nega l’immagine ed io non mi riconosco in questo».
Cauteruccio proietta Pasolini sulla facciata del teatro Politeama a Catanzaro
Luoghi sconfinati: da Catanzaro a Firenze
Realizzare l’idea dello “sconfinamento” per Cauteruccio è un’azione artistica fatta di effetti luminosi proiettati, un omaggio che si concretizza attraverso un’estetica estrema e, proprio per questo, in grado di raccontare la visione poetica, ma anche quella più strettamente intellettuale di Pasolini. «L’operazione “Luoghi Sconfinati” – afferma il regista calabrese – è partita nel mese di settembre da Catanzaro, ed è stata fatta come omaggio estetico. Si tratta d’immagini proiettate sulla facciata del teatro Politeama, un progetto di teatro-architettura che vede scenari visuali ed elaborazioni video proiettate sulla facciata del principale teatro cittadino. Una performance che, insieme ai testi e alle musiche, trasforma ogni passante in uno spettatore di un’opera immersiva».
La locandina di “Luoghi sconfinati”
Dopo Catanzaro il progetto si ètrasferito a Firenze, sviluppandosi nei quartieri periferici della città. Le periferie vivono le contraddizioni dei luoghi estremi: gli assembramenti di una gioventù problematica e l’accavallamento di architetture prive di poesia. La criticità delle periferie risiede nell’assenza di bellezza, ma proprio grazie al teatro-architettura si può mettere in relazione l’aspetto materiale della periferia con quello visionario della poesia.
Ragazzi di vita
La periferia per Pasolini è un luogo poetico e, allo stesso modo, nelle nostre periferie possiamo riconoscere i “ragazzi di vita”, grazie alla multietnicità incontrare un qualche “Alì dagli occhi azzurri”. Lo stesso che Pasolini profetizzava nel 1962,anticipando gli sbarchi sulle spiagge di Palmi, Crotone e più in generale su tutte le coste che si affacciano sul Mediterraneo.
A distanza di mezzo secolo dalla sua morte possiamo affermare che la più grande eredità lasciataci da Pasolini è la sua straordinaria attualità. Era un uomo che aveva piena coscienza dei processi sociali in atto, capace di una visione profetica sul futuro. Ed è proprio questo che ci consente di mantenere con lui un dibattito aperto, vivo e non privo di contraddizioni.
Come ogni anno Il Sole 24 Ore ha pubblicato il suo report sulla qualità della vita nelle 107 province italiane. E come ogni anno quelle calabresi si ritrovano nei bassifondi della classifica. Fanalino di coda, 107esima su 107, è infatti Crotone. Ma le altre quattro rappresentanti della Calabria non vanno molto meglio. Vibo si piazza al 103esimo, Reggio una posizione più su, Catanzaro 96esima. Cosenza, la meglio piazzata, tiene alto il nomignolo della regione alla posizione numero 95.
Il quotidiano di Confindustria analizza la qualità della vita attraverso sei macrocategorie, suddivise a loro volta in molteplici indicatori. Ma da qualsiasi punto si analizzi la classifica è impossibile non notare come, invece di progredire, i nostri territori registrino un arretramento.
Qualità della vita a Cosenza
Prendiamo il caso di Cosenza, punta di diamante della regione alla luce dei risultati. La provincia bruzia peggiora in 5 categorie su 6. Rispetto all’anno precedente scende di due posizioni in classifica per quanto riguarda Ambiente e servizi (ora è 58esima), Cultura e tempo libero (posizione n°98). Si ritrova 103esima per Ricchezza e consumi, prima era cinque posti più su, e 80esima (da ex 71esima) nella categoria Demografia e società. Precipita di ben 44 posizioni in classifica (ora è 85esima) anche in quella Giustizia e Sicurezza anche per l’incapacità di riscuotere i tributi dei Comuni che la compongono. In questa specifica sottocategoria, infatti, è la terzultima in tutta Italia.
Si registra, al contrario, un bel balzo in avanti nella classifica che riguarda il settore Affari e lavoro. In questo caso la provincia di Cosenza guadagna 16 posizioni rispetto all’anno precedente, grazie anche a una percentuale sopra la media nazionale per quel che riguarda l’imprenditorialità giovanile. Ma anche qui c’è poco da esultare. Cosenza, infatti, anche nella sua performance migliore tra le 6 macrocategorie non va oltre l’80° posto in classifica.
I dati di Catanzaro
A Catanzaro, invece, si può festeggiare per i pochi furti negli appartamenti: solo in altre tre province italiane ne denunciano meno. Va molto peggio nei tribunali però, con la provincia che si piazza al penultimo posto nazionale per durata delle cause civili e i reati legati a stupefacenti; quartultima invece per la quota cause pendenti ultratriennali, con una durata media che è due volte e mezza quella del resto d’Italia. La provincia del capoluogo regionale comunque può essere soddisfatta rispetto al recente passato. Migliora infatti in tre macrocategorie: Affari e lavoro (50°; + 20 rispetto al 2021), Ambiente e servizi (41°; + 10) e, seppur di poco, Cultura e tempo libero (95°; + 2). Sarà, in quest’ultimo caso, per le 8,8 librerie ogni 100mila abitanti, contro le 7,7 della media nazionale.
(foto Antonio Capria)
Reggio Calabria, la più lenta nei pagamenti
A Reggio Calabria invece le fatture si pagano più tardi che in tutto il Paese: se altrove la media è di 10 giorni oltre i canonici 30 usati come indicatore, sullo Stretto il tempo extra sale a tre settimane. Certo, la provincia reggina è tra quelle più soleggiate (15°), ma l’apporto al clima di Madre Natura contrasta con il terzultimo posto nella categoria Ambiente Servizi (l’anno scorso era 25 posti più su in classifica). Reggio è terzultima anche per quel che riguarda Cultura e tempo libero, addirittura un gradino più giù se si parla di Ricchezza e consumi.
Nubi minacciose sull’Arena dello Stretto a Reggio Calabria
Sale invece di ben 40 posizioni (ora è 58esima) nel settore Affari e Lavoro, nonostante sia 101esima per tasso di occupazione. Sale anche di 23 posizioni, piazzandosi 52esima, in Giustizia e Sicurezza. Anche qui pesa parecchio la lunghezza delle cause in tribunale, così come il numero altissimo di cause civili, circa il 40% in più che altrove.
Vibo Valentia non è una provincia per donne
Vibo invece è la migliore d’Italia per imprenditorialità giovanile sul totale delle imprese registrate, ma anche la peggiore di tutte quando si parla di qualità della vita per le donne. Paradossale, inoltre, che la provincia della Capitale del libro si piazzi nei bassifondi quando si parla di Indice di lettura (87°), Offerta culturale (105°) e librerie (7,3 ogni 100mila abitanti, in Italia la media è di 7,7). In più è la seconda provincia del Paese per numero di estorsioni, quella col maggior numero di cause pendenti ultratriennali e con le cause civili che durano di più. Il valore, in quest’ultimo caso, è di 1.453, in Italia si ferma a 561,9.
L’insegna sbagliata con cui Vibo si è celebrata “Città del libro”
Anche il Vibonese, nonostante tutto, può comunque festeggiare per la qualità dell’aria (19°), uno dei dati che gli permette di risalire 14 posizioni, piazzandosi 78° in Ambiente e servizi. E, anche se non esistono o quasi start up innovative sul territorio, anche in Affari e lavoro la classifica segna un sontuoso +49 nel settore Affari e lavoro: ora Vibo è 52esima, l’anno scorso era 101esima.
Qualità della vita, Crotone ancora nei bassifondi
Infine Crotone, che si conferma fanalino di coda nazionale. Da qui sono in tanti a scappare, il decuplo che dal resto d’Italia: la provincia pitagorica è 107esima per saldo migratorio totale. Ma Crotone è anche ultima per Depositi bancari delle famiglie consumatrici e Spesa delle famiglie per il consumo di beni durevoli. È anche il territorio con la percentuale più alta di beneficiari del reddito di cittadinanza.E poco importa che qui le case costino in media 1000 euro in meno al metro quadro rispetto al resto del Paese.
Crotone e la sua provincia sono anche il posto dove si studia meno: ultima per numero di laureati (o con altri titoli terziari), penultima per anni di studio tra la popolazione over 25, quart’ultima per persone con almeno un diploma. Chi non studia, però, ha poco da fare nel tempo libero: pochissime librerie (104°), palestre e piscine (106°), ancor meno spettacoli (107°). In compenso gli amministratori pubblici sono tra i più giovani del Paese (4°), nonostante da queste parti si registri la più bassa partecipazione elettorale d’Italia. Qui almeno, però, le cause civili durano meno della media (57°). E in mancanza di altri svaghi si passa il tempo tra le coperte: in sole tre province italiane le donne partoriscono prima che a Crotone, dove l’età media delle neo-mamme si attesta a 31 anni, contro i quasi 32 e mezzo del resto d’Italia.
Giustizia lumaca, pirata della strada, incidente e lesioni gravissime (e in parte permanenti), sofferenza, sacrifici, coraggio, perseveranza. Poi il lieto fine, seppur in enorme ritardo. Un giovane calabrese ha impiegato oltre vent’anni per avere il risarcimento che gli spettava. Ora, finalmente, la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che ha chiuso la fase di merito del contenzioso civile: oltre 500mila euro il risarcimento per lui e oltre 80mila quello per sua madre. Tutti per un terribile incidente stradale di cui era rimasto vittima per colpa di un pirata della strada nel lontano 2002.
Un caso da record perfino per l’Italia
A volte la giustizia è veramente lenta, specialmente quella civile. Secondo i dati Cepej del Consiglio d’Europa, nel 2019, quella italiana è stata la più lenta di tutti gli altri Paesi membri. L’andamento migliora, ma resta sempre ancora, mediamente, al di fuori della “legge Pinto”, sulla eccessiva lungaggine dei processi in Italia e per cui si può chiedere un risarcimento allo Stato. Quando si parla di processi civili, infatti, i dati riportano una durata media complessiva dell’intero giudizio pari a 2.655 giorni (più o meno sette anni e tre mesi). Non a caso la riforma della Giustizia in Italia è quasi sempre al centro del dibattito politico. Ma il caso di questo ragazzo di San Gregorio d’Ippona, nel Vibonese, batte tutti i record purtroppo.
Il pirata della strada scappa via
Il giovane nel 2002 si trovava a bordo del suo scooter, era spensierato come solo a 20 anni si può essere, e stava per rientrare a casa in una calda sera d’agosto. All’improvviso lo colpiva un’autovettura non identificata che stava procedendo, in fase di sorpasso, nello stesso senso di marcia a velocità sostenuta. Come emerge dalla sentenza pubblicata dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 30 novembre scorso, il suddetto veicolo nell’impegnare una curva a sinistra ha slittato. travolgendo lo scooter.
Il violento impatto ha sbalzato dalla sella il giovane. facendolo cadere addirittura in un dirupo sottostante in località Carreri, sulla SS 182. Dopo i primi soccorsi da parte di alcuni automobilisti e di un pastore del luogo, il ragazzo è stato trasportato in auto al Pronto soccorso dell’ospedale di Vibo Valentia. Poi lo hanno trasferito d’urgenza nel reparto di neurologia dell’ospedale Annunziata di Cosenza. Lì i medici gli hanno diagnosticato una «tetraplegia c3 e c4 ed insufficienza respiratoria da trauma midollare».
Odissea tra ospedale e tribunali
Per tali lesioni il ragazzo è rimasto in ospedale 560 giorni di fila. Della macchina che lo aveva travolto, però, nessuna traccia. Chi guidava quell’auto è scappato via senza prestargli soccorso ed è tuttora ignoto. E qui all’odissea ospedaliera del ragazzo e sua madre si è aggiunta un’altra infinita battaglia contro la Giustizia, terminata solo nei giorni scorsi dopo oltre 20 anni.
Il tribunale di Vibo in primo grado rigetta il ricorso contro il Fondo per le vittime della strada, a cui aveva richiesto il risarcimento per i danni subiti non conoscendo il nome di chi lo aveva investito stravolgendogli la vita. Era il 2019, la causa era iniziata nel 2012. Oltre al danno, la beffa. Ma il ragazzo, la madre e l’avvocato Francesco Damiano Muzzopappa non si sono arresi. E hanno proposto appello avverso quella sentenza, ritenendola assurda. Finalmente lo spiraglio di luce, per quanto tardivo, è arrivato nei giorni scorsi. Lapidari i giudici di secondo grado, Ferriero, Raschellà e Scalera. Si legge infatti in sentenza: «Il Tribunale di primo grado muove da premesse erronee e perviene a conclusioni altrettanto erronee».
Il pirata della strada è sparito? Paga il Fondo
Altri tre anni di udienze, perizie mediche e tecniche, testimonianze. Infine, le parole tanto attese: «La Corte d’Appello condanna l’assicurazione del Fondo di garanzia per le vittime della strada a pagare al ragazzo la somma totale di 530mila euro a titolo di danno biologico permanente e di 27mila euro a titolo di invalidità temporanea oltre interessi legali; condanna l’assicurazione al pagamento nei confronti della madre del ragazzo a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale della somma di 81mila euro oltre interessi». I giudici di secondo grado hanno anche condannato l’assicurazione al doppio delle spese legali e di giudizio, per circa 50mila euro.
Meglio tardi che mai, ma è una magra consolazione.
Paola Cossu è un cervello in fuga. Da Catanzaro al mondo, sempre alla ricerca di un accrescimento professionale e culturale, sempre in movimento. Paola Cossu è partita dalla Calabria, subito dopo il liceo, perché per seguire il suo percorso era necessario andarsene, come molti figli di questa terra sanno, una scelta obbligata. A Roma si è laureata in Scienze Statistiche. Poi, parallelamente, è diventata AD di Fit Consulting, azienda leader nel settore della mobilità urbana sostenibile, e manager di Paola Turci, artista tra le più originali e coraggiose della musica italiana con quasi 40 anni di carriera. È una calabrese illustre.
Partiamo proprio dalle radici: dove sei nata?
«Sono nata e cresciuta nel centro storico di Catanzaro, in una condizione perfetta: I giardini davanti casa, circondata da giovani come me. Ero una privilegiata, non usavo motorino né mezzi pubblici, avevo tutto lì. Sono nata in un quartiere “bene”: mio padre discendeva da una famiglia nobile di giudici e notai, ma lui era un funzionario Inps e ispettore di vigilanza, mia madre insegnante elementare. Questo mi ha avvantaggiato perché la mia era una famiglia senza pregiudizi, io e mia sorella siamo sempre state estremamente libere in ogni nostra scelta. Sicuramente non era la tipica famiglia del Sud».
Uno scorcio del centro storico di Catanzaro
C’è un ricordo in particolare che leghi a Catanzaro e alla Calabria?
«Ce ne sono tanti, ma sicuramente quelli più legati alla scuola. Mi piaceva tantissimo studiare, ho fatto il liceo scientifico. Ho avuto anche la fortuna di avere professori molto aperti, leggevamo Repubblica in classe con quello di filosofia, negli anni ’80 non era una cosa banale. Ho imparato dai miei prof giovani a essere uno spirito critico e aperto. Mi piaceva tantissimo, avevo la consapevolezza di essere già molto fortunata. Andavo al cinema, a teatro…».
Un posto del cuore, in Calabria?
«Dal 1975 ho una villetta sul mare, a 20 km dalla mia città. È il mio posto del cuore, rappresenta tutta la mia infanzia, la mia adolescenza, i momenti più belli. Ancora oggi che mio padre non c’è più, l’estate è lì, con mia madre e mia sorella. Arrivo, mi metto gli zoccoli e mi sento libera».
Quando hai iniziato a pensare “in grande” e capire cosa volevi fare?
«Ho fatto poche scelte nella mia vita, ma tutte molto convinte. Quando mi sono diplomata volevo andare via dalla Calabria, non perché non la amassi, ma perché sapevo che per quello che volevo fare io era impossibile restare. L’unica facoltà che non c’era e che era solo a Roma: Scienze Statistiche. Ero obbligata, i miei mi hanno capita. Il primo anno un po’ di ambientamento, poi in casa con altre ragazze, infine ho preso un appartamento con mia sorella. Dopo la laurea, con una tesi super sperimentale sui titoli azionari, con un prof che sceglieva ogni anno uno studente soltanto per fargli fare tesi così. Ero felicissima, ci ho messo un anno e mezzo per finire ed è stato faticosissimo».
Roma, La Sapienza: l’ingresso della facoltà di Scienze Statistiche
E dopo?
«Dopo ho deciso che dovevo cominciare a guadagnare qualcosa e ho cominciato con lezioni private di statistica, matematica finanziaria, redazione di tesi. Quindi ho lavorato per una compagnia di assicurazioni e dopo qualche mese ho incontrato il mio attuale socio. Mi ha proposto di entrare in una società di progetti europei sulla mobilità sostenibile con sede a Orte, disse che c’era da lavorare e da viaggiare tanto. I miei non erano molto convinti, preferivano che rimanessi nelle assicurazioni, ma sono sempre stata allergica all’idea che qualcuno mi dicesse cosa dovevo fare o non fare, è il mio carattere.
Questa mia caparbietà mi ha quindi portato a viaggiare, a imparare bene l’inglese, a scrivere progetti per la Commissione Europea. Dopo tre anni sono diventata socia perché lui mi aveva detto che se avessi raggiunto gli obiettivi stabiliti mi avrebbe regalato una quota. E così dal 3 per cento nel 1998 sono passata a diventare amministratore delegato di Fit Consulting nel 2003. In cinque anni. Avevo 33 anni».
Quali pensi siano le sfide realistiche in questo settore, data l’urgenza del cambiamento climatico?
«Io sto lavorando su diversi piani, due fondamentali. Il primo riguarda una gestione dinamica degli spazi della città per tutti, non possono più essere ad uso esclusivo di una categoria: per la logistica e per il trasporto pubblico. Di giorno uso lo spazio per una cosa, la sera per un altro. Tutte le infrastrutture della città devono essere messe a servizio: mobility hub, cioè spazi dove trovi la fermata del bus, la ricarica elettrica, il car sharing, la bicicletta.
Il secondo riguarda l’e-commerce, che ha cambiato davvero non tanto i processi logistici, ma proprio l’abitudine delle persone: sono diventate compulsive. Il delivery deve diventare più lungo possibile, non è pensabile né sostenibile che la consegna sia per forza in un giorno. Amazon ha voluto soddisfare il singolo cliente nella sua singola necessità. Ma se tu acquisti un bene e lo vuoi domani, hai un impatto forte sull’ambiente, quindi è urgente responsabilizzare il cliente sulla sua scelta di acquisto. Bisogna lavorare sulle persone. L’acquirente ha un potere enorme, così si possono capovolgere i poteri».
A proposito di logistica, cosa pensi del Ponte sullo Stretto?
«È una stronzata. Un programma europeo ha finanziato un ponte grandioso, quello che congiunge Svezia e Danimarca, e quello ha un senso prima di tutto perché non ci sono appalti, subappalti e subappaltini. Secondariamente, lì ci sono le infrastrutture che consentono di gestire la domanda. Ma se tu fai il ponte che arriva a Messina e a Messina non ci sono le infrastrutture che smaltiscono il volume di traffico è una proposta fuori dal mondo. È una megalomania propagandistica e opportunistica. Bisogna creare ferrovie, migliorare le strade, promuovere il turismo».
Il ponte di Øresund, che – insieme a un tunnel sottomarino – collega Svezia e Danimarca
Come hai incontrato, invece, Paola Turci?
«Nel 1996, tra gli album Una sgommata e via e Volo così. Lei aveva un fan club gestito da un’altra persona che mi ha chiesto di aiutarla. Dall’immediata stima reciproca è nato un affetto grande. Negli anni abbiamo costruito e tenuto viva la passione di tutti i fan che la seguono, cercando di darle continuità. Il mondo della musica è molto difficile: puoi avere il miglior discografico che vuoi, ma devi avere la tua fanbase, le persone che ti amano e comprano i tuoi dischi».
Qual è la qualità che più apprezzi in lei, come persona ancor prima che come artista?
«È una persona fragile e forte allo stesso tempo. Le vuoi bene perché, al di là dell’enorme talento che le ha fatto sempre mantenere un livello artistico alto senza mai scendere a compromessi, Paola è una persona libera. La sua libertà è la sua forza ed è anche la sua generosità: i fan lo avvertono. Ho una grandissima stima di lei. Fare la sua manager richiede tanta attenzione, riuscire a tutelarla e a farle esprimere il meglio. Il suo nuovo progetto teatrale sta andando benissimo, la prima cosa che lei mi ha chiesto è stata il teatro. Sta facendo sold out dappertutto, sarà un grandissimo successo. È lei con le persone davanti, ma non è più la musica. È una cosa diversa. Paola ha tantissimo coraggio, non ha paura. La frase più significativa di questo spettacolo è: “Pensate quello che volete di me: io sono libera”».
Paoa Cossu con Paola Turci
Un’ultima domanda, a risposta secca: in cosa la Calabria è imbattibile e in cosa è pessima?
«Il calore, la generosità, l’ospitalità e la simpatia, la genuinità delle persone sono qualità per cui la nostra regione è imbattibile. I calabresi accolgono a braccia aperte, come faceva mio padre. La cosa che invece assolutamente non apprezzo è il vittimismo: è il freno più grande allo sviluppo della nostra terra».
Il centrodestra calabrese ha scelto i cavalli sbagliati su cui puntare alle Amministrative di questi ultimi tre anni. Nonostante abbia “sbancato” per due volte di seguito alle Regionali, nei capoluoghi di Provincia “roccaforti” della destra, come Cosenza e Catanzaro, ha ceduto lo scettro a coalizioni di sinistra. Certo, alla gauche non sono mancati “aiutini” dal campo avverso. Ora “sottobanco”, ora con litigi, divisioni e ripicche. Protagonista, in entrambi i casi, un notabilato che inizia ad arrancare in vista delle Politiche. Saranno queste ultime a rappresentare la vera resa dei conti interna al centrodestra in corso da mesi.
La carta del “Papa straniero” a Reggio
Quasi due anni fa il tavolo nazionale del centrodestra vedeva Matteo Salvini, forte del vento in poppa e del voto d’opinione raccolto alle Regionali calabresi del 2020, puntare i piedi per realizzare un sogno: avere un sindaco leghista a Reggio Calabria. Fumo negli occhi per il deputato azzurro Francesco Cannizzaro. Quest’ultimo bramava di piazzare un suo uomo, invece ha dovuto subire il “Papa straniero” Nino Minicuci, originario di Melito Porto Salvo e già direttore generale del Comune di Genova. Ed è proprio in Liguria che Minicuci ha trovato i suoi maggiori sponsor politici, dal segretario regionale della Lega, Edoardo Rixi, al presidente di Regione, Giovanni Toti.
Antonino Minicuci
Vantava una notevole esperienza tecnica Minicuci. Però non gli ha garantito una volata per sfilare Reggio Calabria a quel Giuseppe Falcomatà che ben pochi (anche tra i suoi) volevano veder rieletto. In primis per il “caso Miramare”, che lo ha portato alla sospensione dalla carica dopo la condanna in primo grado nel relativo processo.
Al primo turno Minicuci prese il 7,1% in meno rispetto alle sue 10 liste, mentre al ballottaggio straperse a favore del candidato del Pd. «Non ha vinto Falcomatà, ma abbiamo perso noi e la responsabilità è di tutti» dichiarò Cannizzaro in conferenza stampa, Una non troppo velata stoccata contro il senatore Marco Siclari. «Io non ho fatto neanche un giorno di mare mentre qualcuno è andato alle Eolie», aggiunse riferendosi al suo avversario interno. Ossia quello che, con la deputata Maria Tripodi, si era schierato subito a favore del “Papa straniero”.
Cannizzaro e la vice presidente della Giunta regionale, sua cugina Giusy Princi
Profumo di sgambetto nel centrodestra reggino
Nonostante la sospensione del sindaco per la Severino, l’inchiesta per i brogli elettorali e vari scossoni politico-partitici il centrosinistra governa ancora la città in riva allo Stretto con relativa tranquillità. Ma accade perché in Forza Italia i notabili (i citati Siclari e Tripodi, ma anche l’ex consigliere regionale da 10mila preferenze Domenico Giannetta) sono troppo impegnati a de-Cannizzarizzare il partito in vista delle Politiche. Insomma, sgambetti in vista per “Ciccio Profumo”, nonostante il pennacchio da responsabile di Forza Italia per il Meridione. E nonostante abbia intascato già la nomina come vice di Roberto Occhiuto per sua cugina Giusy Princi.
A Crotone briciole e pagnotte
Coeva alla disfatta leghista a Reggio Calabria è stata quella del centrodestra crotonese. A guidarlo era il deputato azzurro (subentrato proprio nel 2020) Sergio Torromino, coadiuvato dal coordinatore cittadino di FI e oggi portaborse di Valeria Fedele, Mario Megna.
Fi, Lega e Fdi puntarono sull’avvocato Antonio Manica. Noto professionista, ma politico non trainante, tant’è che al primo turno prese l’8,2% in meno delle sue dieci liste che arrivarono al 49,8%.
Risultato: Manica al ballottaggio prese oltre 4.500 voti in meno rispetto al primo turno. E a imporsi fu il primo (e unico) sindaco arancione della Regione, Vincenzo Voce, espressione del Movimento “Tesoro Calabria” di Carlo Tansi.
Vincenzo Voce, sindaco di Crotone
In Consiglio comunale Fdi non entrò nemmeno, anche se oggi ha dei simpatizzanti nell’assise. La Lega invece perse la sua unica eletta, Marisa Cavallo, planata nel gruppo misto. La causa principale? I dissidi col commissario provinciale dl Carroccio, Cataldo Calabretta.
E Forza Italia? Elemosina briciole. Anzi, pagnotte. Tutto nel tentativo (recentemente mancato) di entrare nell’esecutivo civico facendo da stampella ad un sindaco con numeri ballerini. Eppure, con la vittoria schiacciante alle ultime Provinciali che ha visto protagonista politico l’ex assessore Leo Pedace, il centrodestra pitagorico aveva di fronte a sé un governo cittadino alla canna del gas. Invece, la canna è diventata un boccaglio, fornito dal citato forzista Megna e i suoi sodali.
L’anomalia cosentina
Le comunali di Cosenza, invece, si sono tenute lo stesso giorno delle regionali che hanno portato Roberto Occhiuto alla Presidenza della Regione.
Il candidato di Forza Italia, Lega, Fdi, Udc e Coraggio Italia è stato Francesco Caruso, già vicesindaco di Mario Occhiuto. Le sue liste al primo turno ottennero il 43,2%, in linea con il risultato del centrodestra alle regionali, pari al 43,7%. Il candidato, però, ebbe il 5,8% in meno delle otto liste a suo supporto. E si ritrovò come sfidante Francesco De Cicco, assessore in carica della sua stessa Giunta comunale. Lo stesso assessore che al secondo turno “abbracciò” Franz Caruso ed il Pd, sempre rimanendo in carica fino alla successiva nomina nel nuovo governo cittadino e risultando decisivo nella vittoria del centrosinistra.
Francesco Caruso e Mario Occhiuto durante la campagna elettorale
Che Mario Occhiutoed il centrodestra ormai guidato dal fratello Roberto abbiano puntato su un “pupillo” senza revocare dalla Giunta una spina nel fianco da quasi 5.000 voti odora di inciucio tra schieramenti formalmente avversi. Chissà se ricambiato con la successiva vittoria della sindaca di San Giovanni in Fiore e anche lei già assessora della Giunta di Mario Occhiuto, Rosaria Succurro, alle Provinciali bruzie.
La debacle del centrodestra a Catanzaro
Non serve dilungarsi, ne abbiamo recentemente parlato a più riprese. Nel capoluogo di Regione andato al voto poche settimane fa, è emersa plasticamente la scarsa capacità del notabilato regionale di puntare su un cavallo vincente. E con essa tutte le frizioni in vista delle politiche.
Nell’arco della campagna elettorale a favore del docente di sinistra Valerio Donato, il centrodestra è passato da più fasi. La prima, quella in cui era certo di una vittoria marcata al primo turno. La seconda, in cui ha coltivato la speranza (poi realizzatasi) dell’anatra zoppa. Infine, quella della desolazione post ballottaggio.
Nicola Fiorita, professore universitario e nuovo sindaco di Catanzaro
Oggi il sindaco è Nicola Fiorita. E in queste ore dai partiti di sinistra sta ricevendo più telefonate per posti in Giunta che voti alle elezioni, espressione del civismo di sinistra. Un successo, il suo, frutto non solo dell’attrattività della sua figura, ma anche delle faide interne al centrodestra. Che, pur sconfitto, rimane maggioranza nel tessuto sociale della città. Il neo-sindaco rischia di essere prigioniero del “campo largo” rimasto sulla carta. E c’è la possibilità che si veda imporre dal Nazareno la nomina della “sardina” Jasmine Cristallo come sua portavoce. La cosa causerebbe malumori alle decine di aspiranti assessori che ritengono di poter rientrare in quel concetto di “nomine di alto profilo” che Fiorita vorrebbe sia per la Giunta che per le altre caselle. Insomma, i nodi verranno presto al pettine.
Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria
Detto questo, la carta bianca data dalla Lega a Filippo Mancuso in questa campagna elettorale appena conclusa, non ha premiato. Così come il tentativo del coordinatore regionale di Fi, Giuseppe Mangialavori, di replicare l’esperienza delle comunali di Vibo Valentia del 2015 con Elio Costa, in cui i partiti del centrodestra si erano “mimetizzati” con sigle differenti dalle originali.
Il Vibocentrismo regge
L’avvocata Maria Limardo, dopo una candidatura alle elezioni regionali del 2010 con il Pdl e l’elezione sfiorata con ben 4.736 preferenze nell’allora collegio di Vibo Valentia, è divenuta sindaca di Vibo Valentianel 2019 al primo turno (con quasi il 60% dei voti) con una coalizione trainata dal suo partito, Forza Italia e dal già citato Giuseppe Mangialavori.
Maria Limardo, sindaco di Vibo Valentia
La Limardo è una mosca bianca di questo centrodestra incapace di esprimere amministratori locali di chiara matrice partitica. Netta nelle decisioni, riesce a gestire le fibrillazioni politico-partitiche senza esserne succube. è sopravvissuta politicamente dopo lo scossone di Rinascita-Scott che portò la commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro a chiedere pubblicamente la fine della consiliatura (ricevendo, di fatto una pernacchia). E alle ultime regionali ha superato il brutto sgambetto al leader di una importante formazione politica che governa con lei Vibo Valentia. Parliamo di Città Futura e di Vito Pitaro, estromesso dalle candidature a pochi giorni dal voto.
Insomma, in una politica fatta di equilibrismi ed equilibristi (ma anche di trapezisti e clown, a dirla tutta), il decisionismo della Limardo è un tratto inedito. Che difficilmente, però, un notabilato alla perenne, famelica ricerca di un altro giro di giostra in Parlamento intende valorizzare.
Roberto Occhiuto si smarca dal resto del centrodestra
«Dal primo giorno del mio mandato da presidente della Regione ho detto che avrei fatto l’uomo di governo e che mi sarei occupato soltanto dei problemi della Calabria, lasciando ai partiti le scelte in ordine ai candidati sindaco delle città». «Rimango un dirigente politico nazionale del centrodestra, ed è chiaro che mi impegnerò per le prossime elezioni politiche. Ma per scegliere gli aspiranti primi cittadini non sono intervenuto e non interverrò in futuro». Queste le dichiarazioni di Roberto Occhiuto all’Ansa dopo l’ultima tornata amministrativa.
Vincenzo De Luca
Una posizione molto diversa dai suoi colleghi presidenti di Regione. In Campania Vincenzo De Luca in alcuni comuni ha presentato la lista Campania Libera di sua diretta espressione. E si è preso il merito delle vittorie, tra cui quella di Enzo Cuomo a Portici (con l’80%).
In Puglia Michele Emiliano rivendica la vittoria locale della «formazione che governa la Puglia» e che ha visto il democrat vicino a molti candidati in questa tornata amministrativa. Tra questi, il sindaco rieletto di Taranto Rinaldo Melucci. «Sicuramente è uno dei risultati più importanti in Italia perché qui la coalizione si è presentata nella stessa formazione che governa la Regione e nella stessa formazione che ci auguriamo possa governare l’Italia nelle prossime elezioni politiche», il suo commento sul voto.
Michele Emiliano
Non differente la situazione a destra. Il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio, in quota Fratelli D’Italia, ha messo il cappello sul risultato delle Comunali. «Il centrodestra ha sciolto il guinzaglio della sinistra sugli elettori» ha dichiarato festeggiando la vittoria del “suo” candidato Pierluigi Biondi a sindaco de L’Aquila.
Insomma, ragionamenti e azioni diametralmente opposti a quelli di Roberto Occhiuto.
Tra paura di ammettere sconfitte e rese dei conti, la partita per le politiche è ancora tutta da giocare.
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