Tag: arte

  • Fenomenologia di Brunori Sas: quando le canzoni (e non solo) diventano patrimonio identitario

    Fenomenologia di Brunori Sas: quando le canzoni (e non solo) diventano patrimonio identitario

    «C’è una identità che scalpita per essere rappresentata, che ha bisogno di un portavoce, di un ambasciatore, di un condottiero», dice con convinzione Olimpia Affuso, sociologa dell’Unical e vice coordinatrice del corso di studio di Media e società digitale, fornendo una spiegazione possibile all’impazzimento collettivo verso Dario Brunori.
    È pressoché sicuro che il cantautore cosentino non si senta un condottiero, eppure durante l’ultima edizione del Festival della canzone ha incarnato la rappresentazione di un territorio e di una cultura anticamente relegati alla pena del silenzio o, peggio, incatenata ai ceppi di una narrazione nefasta.

    I commenti social

     

    Brunori Sas e la nuova narrazione della Calabria

    Per una manciata di giorni questa narrazione si è spezzata e al suo posto sono emerse dolcezze e poesia e appresso a loro un inatteso orgoglio. Ma le cose sono sempre più complesse di quanto appaiano e per muoversi con disinvoltura dentro l’articolata fenomenologia brunoriana c’era bisogno di uno sguardo in grado di cogliere le sfumature psico-sociali.

    Paola Bisciglia, psicologa e psicoterapeuta, Giap Parini, sociologo e direttore del Dispes e la già citata Olimpia Affuso, sono stati i compagni di un viaggio dentro un fenomeno collettivo fatto di entusiasmo, rivendicazione e senso di appartenenza, tutti sentimenti che hanno trovato in Brunori Sas il riferimento. E considerata la veemenza fideistica che a un certo punto ha invaso i social, c’è il rischio che possa vagamente avverarsi la profezia espressa con la consueta intelligente autoironia dallo stesso Dario: quella di immaginarsi come una Madonna portata a spalla e con i devoti che attaccano banconote al suo mantello, come ancora avviene durante certe processioni nei nostri paesi.

    Cultura alta e cultura pop

    Questo richiamo divertito a una religiosità devozionale ancora viva in Calabria non è stato il solo riferimento a radici culturali profonde, come quando sapientemente, nel corso di una intervista, ha spiegato l’affascino e i riti magico-religiosi per neutralizzarlo, citando, senza citarlo davvero, De Martino. Sud e magia sul palco dell’Ariston, un passaggio tra cultura alta e quella pop, che ha suscitato non solo il sorriso, ma la rivendicazione orgogliosa «di una storia di cui ci vergogniamo», dice Paola Bisciglia, spiegando che la parola necessaria a comprendere alcune cose è proprio questa: la vergogna da cui vogliamo riscattarci.

    «Si ha l’impressione che i calabresi detestino la Calabria e invece la amano, ma se ne vergognano», continua la psicologa. Poi arriva Brunori, che con la sua autenticità parla a una platea nazionale raccontando della scirubetta, «che per noi è come una cosa intima, solo nostra, e lui lo fa sfidando e vincendo quel senso di pudore che noi abbiamo per le cose che consideriamo private e da non esporre, come il dialetto, l’inflessione cosentina che Dario ha disinvoltamente esibita, la perifericità dei luoghi. In sintesi, ha ridefinito in positivo i limiti».

    La psicologa avverte che tutto questo è avvenuto senza strategia, ma con assoluta autenticità e ha fatto scattare la dinamica dell’immedesimazione. Dario «è diventato uno di noi ed è forte la voglia di riconoscersi in lui». Brunori insomma ci dice che non dobbiamo nasconderci, che possiamo parlare di noi, di come siamo davvero, che possiamo rivendicare la nostra indolenza mediterranea, che il nostro ni sicca è espressione del pensiero meridiano fiero e alto. È repulsione infastidita dell’urgenza imposta dalla post modernità, noi che manco abbiamo avuto la modernità.

    Brunori a Sanremo

    Brunori Ipertesto, segno della contemporaneità

    «Lui ha una caratteristica tipica della contemporaneità: è un ipertesto – dice Olimpia Affuso – dove si collegano testi, codici culturali diversi, parole, immagini e anche tecnologie della narrazione differenti ma con un intento unitario. E questo oggi è la chiave del successo».
    Parini invece osserva il fenomeno da un punto di vista diverso. Per lui Brunori è espressione di una storia solida, capace di rappresentare «una cultura un poco blasé, disincantata, che potrebbe essere la cifra di una certa cosentinità colta, ironica, spesso antagonista, ma non certamente pensiero subalterno. Anzi, si tratta di una cultura forte». Da questo punto di vista il cantautore per Parini «rinverdisce un orgoglio che già c’era e che aveva le sue radici in una città che è stata – e, in parte, è ancora rispetto ad altre aree della regione – colta, moderna, intellettuale».

    La Pizzica e la Tarantella

    L’essere blasé però non aiuta a cambiare le cose: altrove la Pizzica è diventata identità culturale, mentre noi consideriamo la tarantella un ballo tamarro.
    È mancato fin qui il salto per capovolgere il paradigma. La politica non sembra interessata a una operazione di rivendicazione orgogliosa, tocca quindi alla cultura cercare di fare il passo.

    Il sociologo Franco cassano

    «In Puglia c’era un gioco di squadra tra Vendola e Franco Cassano, tra la visione  politica e le aule universitarie», aggiunge Olimpia Affuso, ricordando come Sergio Bisciglia, docente di Sociologia urbana, abbia sottolineato che lo sviluppo turistico della Puglia sia passato dalle università. Il confronto tra la Puglia di Vendola e la Calabria di Occhiuto sembra piuttosto audace ed è vero, come avverte Parini, che tra qualche tempo l’eco sanremese si sarà stemperato, «ma intanto abbiamo trovato un ambasciatore che ha nazionalizzato la Calabria».

    Brunori e la potenza della bellezza

    Di tutto questo adesso resta «la potenzialità politica della bellezza», come conclude Affuso e che è stata rappresentata dall’arte di Dario Brunori.
    Dobbiamo trovare l’intelligenza per trasformare questa bellezza in azione. Ma più di tutto ce la dobbiamo meritare.

     

  • Ecco perché Brunori mi piace ancora di più dopo Sanremo 2025

    Ecco perché Brunori mi piace ancora di più dopo Sanremo 2025

    Ecco perché, dopo questo Sanremo 2025, Dario Brunori mi piace ancora di più, senza che il mio essere “conterroneo” c’entri nulla.
    Da quando me ne ricordo, senza scomodare storiografie che mi sciorinerebbero come da sempre funzioni così, la musica è identitaria, una bandiera tribale. Noi giovani vs genitori e umarell vari, innanzitutto, che all’epoca non avevano etichette stile zeta o millennial, divisi semmai fra quelli che avevano fatto la prima o la seconda guerra, e tutti aspettavano Canzonissima del sabato sera. E poi sorcini, baglionisti e quelli dei Pooh. Canzoni spesso dedicate con tanto amore sulle radio libere da una qualche stella di periferia ad un Marco, anche lui di periferia.

    Roba da disimpegnati un po’ coatti per quelli che noi solo cantautori, ma non tutti, perché Battisti è di destra, salvo ascoltarlo di nascosto. Canticchiandolo pure, ma a voce bassa, per placare quel senso di colpa che tutto vede e tutto sa. Per non parlare del dissing antesignano fra Venditti e De Gregori, con relative tifoserie, e tanto di “scusa Francesco” per un lieto fine da amici antichi. Poi, come canta proprio quello di Rimmel, “elleppì” anche lui ormai cinquantino, a un certo punto ti volti a guardarli, quei tuoi anni. E non li trovi più.

    Brunori: Sanremo 2025 o Frittole?

    Nel frattempo, senza neanche accorgertene, hai perso il contatto, fino allo smarrimento di chi si ritrova catapultato alla Benigni & Troisi nella Frittole del Sanremo 2025. Un mondo dove gli umani, per noi che i Jalisse erano già un’eversione, ma di quelle innocue da sorriso «per pazzi sprasolati e un poco scemi», hanno nomi da esercizio di fantasia un tempo riservato ai pet: Rkomi, Irama, Shablo, e via a chi la spara più sorprendente, fino al Tormento.

    So bene, in qualità di sessantenne a rischio ‘signora mia dove andremo a finire’ di dovermi stoppare qui, risparmiandomi tutta la manfrina sulla fenomenologia di costume, ma…
    Sarà pur vero che ogni epoca ha le sue liturgie, e che con gli anni capita sempre più spesso che ti frulli per la testa quel ritornello dei Rem che fa «it’s the end of the world as we know it», ma il vizio antico di sentirsi parte di qualcosa non muore mai.

    Uno normale

    È il bisogno di identità, bellezza, direbbe qualcuno. Già, l’identità, quella cosa che ti fa sentire protetto, al sicuro delle tue certezze quando diventa faticoso inseguire il mondo, e decidi che “sì, io mi fermo qui”.
    Ecco perché, dopo questo Sanremo 2025, Dario Brunori mi piace ancora di più, senza che il mio essere “conterroneo” c’entri nulla. «Cazzo, uno “normale”!», ho pensato nel vederlo cantare su quel palco in giacca elegante quanto basta e chitarra! Venghino signori, venghino, non c’è trucco e non c’è inganno!

    Anche qui, so bene che nel dizionario, peraltro molto a rischio, woke il termine normale è fastidiosamente avvertito come sinonimo di una qualche forma di conservatorismo, e che necessita pertanto di una dichiarazione di accezione. Ebbene, nel mio personalissimo, quanto insindacabile dizionario, normale sta per privo di orpelli ed eccessi, in sintonia con la propria natura, che si esprime senza cedimenti al mainstream. Il che non vuol dire che in quanto artista l’uomo non promuova se stesso, ma in maniera percepita come espressione di un autentico sé. Comunque, roba rara, qui a Frittole.

    Tutto ciò confermerà probabilmente da quale parte della storia mi trovi, un vecchio grumpy insensibile all’edonismo griffato a tanto ad apparizione del Sanremo System, con un certo fastidio per gli epigoni a cascata. L’indizio da terzo posto è comunque quello di essere in tanti, non solo televotanti, e certo, mi fa anche molto piacere, come un friccico ner core, l’illusione di essere calabrese come lui.

    Attilio Lauria

  • Fotografia Calabria festival al via il 26 luglio

    Fotografia Calabria festival al via il 26 luglio

    Ai nastri di partenza la III edizione di Fotografia Calabria Festival, il primo Festival diffuso dedicato alla fotografia contemporanea in Calabria, ideato e promosso dall’Associazione Culturale “Pensiero Paesaggio”. Dal 26 luglio al 25 agosto il comune di San Lucido (CS), piccolo centro del basso Tirreno calabrese, si prepara ad accogliere tra le proprie strade e i vicoli del centro storico, in location uniche e speciali, i numerosi progetti – alcuni inediti, altri in anteprima italiana – dei fotografi internazionali ospiti del Festival, oltre ad eventi, talk e workshop dedicati al mondo della fotografia.

    IL TEMA: FOTOGRAFIA DI FAMIGLIE

    Fotografia di famiglie è il tema e il titolo di Fotografia Calabria Festival 2024. Una scelta non casuale in cui singolare e plurale non hanno solo un senso grammaticale, ma anche sociale. La fotografia scelta come il linguaggio attraverso cui osservare il tema della famiglia e delle sue rappresentazioni, un linguaggio che in ogni parte del mondo viene utilizzato all’interno dei nuclei familiari proprio per fissare dei momenti, per custodire piccole e grandi storie. Un medium che ci permette di riappropriarci di istantanee che spesso restano cristallizzate nei database dei nostri devices o negli album lasciati in qualche mobile di casa, che riaccendono la nostra memoria.

    Fotografia Calabria festival al via il 26 luglio
    Uno scatto (tratto dal libro Lullaby and last goodbye) di Pierluigi Ciambra che esporrà al Fotografia Calabria Festival

    NOVE FOTOGRAFI

    Sono nove i fotografi e le fotografe, provenienti dall’Italia e dal resto del mondo, che presenteranno i propri progetti al Festival. A partire da Sofia Uslenghi, nata a Reggio Calabria e considerata uno dei nomi più interessanti nel panorama contemporaneo italiano, presenta My Grandmother and I, progetto che, in linea con i temi della sua produzione, documenta il rapporto con le sue radici, in questo caso con la figura della nonna materna: sovrapponendo i suoi autoritratti con le fotografie delle nonna il progetto presenta una grande carica emotiva ed affettiva. Tim Smith, fotografo documentarista che risiede nel Manitoba, in Canada, porta al Festival In The World But Not Of It, un lavoro di ricerca e documentazione in corso da oltre quindici anni sulla comunità degli Hutteriti del Nord America, gruppo anabattista la cui cultura si preserva tramite uno spontaneo isolamento dalla società e un’economia basata sull’autosufficienza. Dal Canada proviene anche la fotografa Catherine Panebianco che in No Memory Is Ever Alone sceglie di utilizzare le diapositive Kodak scattate da suo padre negli anni ’50 e ’60, mantenendole fisicamente nel proprio panorama odierno, restituendoci una storia d’amore sulla propria famiglia, una mappatura lunga una vita intera fatta di matrimoni, viaggi in strada, bambini, vacanze, notti di gioco. Filippo Venturi, fotografo documentarista e artista visivo, è tra i nomi italiani più riconosciuti nel campo delle sperimentazioni visive con l’Intelligenza Artificiale, a Fotografia Calabria Festival porta in mostra He Looks Like You, che vede protagonisti suo padre Giorgio e suo figlio Ulisse mentre giocano e condividono momenti ed esperienze: si tratta però di falsi ricordi, visto che il padre è morto cinque anni prima della nascita del figlio. Una serie di momenti che non sono mai esistiti, in luoghi che non saranno mai raggiungibili, un tentativo di trovare consolazione e di superare le frontiere dell’esistenza attraverso l’arte e la tecnologia, generando immagini che fondono illusione, sogno e ricordo.

    Altra fotografa calabrese, proveniente nello specifico da Catanzaro, è Noemi Comi, protagonista con Album di Famiglia, progetto che è stato realizzato su commissione di Fotografia Calabria Festival 2024 in partnership con Lomography Italia. Il progetto ha visto protagoniste, su tutto il territorio nazionale, famiglie composte da coppie omosessuali, monogenitoriali, con figli nati con la tecnica della fecondazione in vitro o adottati, ma anche famiglie senza figli: tra le famiglie compaiono Luca Trapanese con la figlia Alba, Fabian Albertini, fotografa e artista di fama internazionale e tante altre, Album di Famiglia propone una riflessione necessaria alla luce dei diritti civili ottenuti negli ultimi anni in tema di matrimonio, adozione e maternità che vanno a portare una profonda modificazione del tessuto sociale del nostro Paese. Hyun-min Ryu, nato a Daegu in Corea del Sud, dove vive e lavora, presenta Kim Sae-hyun, progetto – le cui foto sono state anche scelte per il visual della nuova edizione del Festival – in cui l’artista ha voluto catturare la crescita di suo nipote e in cui le caratteristiche del ritratto tradizionale sono mescolate con un’operazione concettuale “autoreferenziale”, interessato alla somiglianza e alla distorsione tra il soggetto della fotografia e il risultato finale della stessa. La fotografa australiana Carole Mills Noronha con The place he goes sceglie invece di documentare il percorso del padre attraverso l’Alzheimer e la demenza, un modo per generare dei ricordi più duraturi della sua vita e del suo lento svanire nel corso del tempo. Pierluigi Ciambra, fotografo nato in Sicilia e con base a Cosenza, presenta al Festival le foto del suo libro edito da 89Books, Lullaby and last goodbye, un progetto iniziato nel 2013 in cui descrive attraverso la fotografia il processo di crescita delle sue figlie, le dinamiche familiari, lo sviluppo delle identità e le loro diverse personalità, un lavoro già pubblicato in varie riviste ed esposto in diverse gallerie in Italia e in Europa.  La fotografa austriaca Franzi Kreis, con il supporto del Forum Austriaco di Cultura, porta al Festival Generation Beta – The Great Opera, in cui sedici persone di Roma e di Vienna raccontano le storie delle proprie famiglie attraverso tutti gli alti e bassi della vita: le donne illustrano la vita delle proprie madri, gli uomini quella dei propri padri.

    IL PREMIO FOTOGRAFIA CALABRIA FESTIVAL

    Come consuetudine il Festival ha indetto anche per questa edizione il concorso per fotografi emergenti, il cui tema centrale riprende quello dell’edizione di quest’anno, “Fotografia di famiglie”. La vincitrice è la fotografa finlandese Lydia Toivanen con il progetto “From One Innocent Look”, che racconta la sua peculiare storia familiare, cresciuta in una piccola comunità religiosa con 12 tra fratelli e sorelle. Per lei in palio un premio in denaro oltre all’allestimento della mostra e alla pubblicazione nel catalogo del Festival. A giudicare i lavori è stata una giuria d’eccezione composta da: Anna Catalano (fondatrice e direttrice artistica Fotografia Calabria Festival), Gabriella Macchiarulo (responsabile mostre Archivio Luce Cinecittà), Antonio Mirabelli (art advisor, docente LUISS e giornalista), Maysa Moroni (photo editor Internazionale), Diego Orlando (direttore artistico InsideSouth e curatore).

    I WORKSHOP E GLI EVENTI COLLATERALI DEL ESTIVAL

    Ad accendere i riflettori sulla nuova edizione del Festival è stato nel mese di maggio il workshop dal titolo “Residenza Radicale: Esplorazioni fotografiche del territorio”, un nuovo progetto in collaborazione con Amarelli Fabbrica di Liquirizia, che ha visto coinvolti Diego Orlando in qualità di curatore della residenza e i tre giovani fotografi professionisti Nicola Palmisano, Elena Prosdocimo e Michela Mosca, selezionati per raccontare la storia e la realtà imprenditoriale di Amarelli e il suo legame con il territorio.

    Ma saranno tanti altri gli appuntamenti collaterali che arricchiranno a partire dal 26 luglio anche la programmazione della nuova edizione. Tra questi il workshop curato dal fotografo Filippo Venturi, dal titolo “Tra fotografia e Intelligenza Artificiale”, che analizza l’evoluzione dell’immagine confrontando l’uso della fotografia tradizionale con l’I.A., studiando la maniera in cui l’I.A. può ampliare le prospettive creative e influenzare la percezione della realtà. Laura Davì, giornalista e photo-editor, terrà il workshop “Back to the Future”, che si concentrerà sulle analisi delle possibilità proiettive e manipolative delle fotografie, con esempi di pratiche artistiche contemporanee, e il lavoro pratico su un archivio familiare di foto. La fotografa Alessia Palermiti curerà invece un laboratorio tecnico, realizzato in collaborazione con Lomography, “Banco Ottico 4×5 e Scoperta del Dorso Istantaneo LomoGraflok”, che offre una panoramica sull’utilizzo del grande formato. Sempre in collaborazione con Lomography a giugno in programma un laboratorio molto importante con ADISS, centro di ragazzi autistici di San Lucido, partner di progetto del Festival.

    Tutte le informazioni e le modalità di iscrizione per partecipare ai workshop sono disponibili sul sito: www.fotografiacalabriafestival.it/ita/casa#eventi. Tra gli altri appuntamenti inseriti all’interno del cartellone del festival, il 27 luglio in programma la presentazione del romanzo “Il mio posto è qui” di Daniela Porto e la proiezione dell’omonimo film di cui l’autrice è anche regista, realizzato grazie al contributo della Calabria Film Commission.

  • Toglietemi tutto…ma non il mio panorama

    Toglietemi tutto…ma non il mio panorama

    A Fujikawaguchiko, ridente cittadina alle pendici del Monte Fuji, simbolo del Giappone, le autorità cittadine hanno deciso di oscurarne la vista, divenuta insostenibilmente virale con strascico di liti quotidiane pedoni/vigili/automobilisti, a mezzo tendone. Ma poiché si sa che quando si tratta di scattare foto, ragione pressoché unica del suo allontanarsi da casa, l’Homo Turisticus diventa intrepidamente scaltro, starà sicuramente già pensando di aggirare l’ostacolo salendo sul tetto del sottostante minimarket Lawson – un sottostante in senso ovviamente compositivo -, con i vò cumprà locali che già fanno scorta di scale di corda avvolgibili.

    monte-fuji-tendone-combattere-overturism
    Il tendone contro l’overturism a Fujikawaguchiko

    Per i più il paesino rischia però di essere irrimediabilmente cancellato dalle rotte turistiche: che cosa ci si va fare a Fujikawaguchiko (!) se non si può scattare l’ennesima foto-trofeo uguale a tutte le altre? E così, dopo la sciagurata cancellazione del fortunoso “volano dell’economia” (espressione divenuta virale anche qui fra gli assessori di provincia alla Palmiro Cangini, aka Paolo Cevoli), c’è sicuramente chi si starà già attivando per fondare il “movimento per la liberazione del panorama” con relativo hashtag, #FreedomInstaFujikawaguchiko, mentre il sindacato locale dei B&B si mobiliterà per azioni di sabotaggio notturne e festive contro il tendone della vergogna che rischia di avere effetti disastrosi sulla suddetta economia locale. Secondo la CGIA di Mestre, resasi prontamente disponibile ad una valutazione terza, si tratta di un view point che considerando l’indotto, e al netto della svalutazione galoppante, vale intorno al miliardo di Yen settimanale, nonché parecchissimi posti di lavoro.
    In tanto fermento, gli unici a gongolare sono gli sciami di turisti pre-tendone che hanno visto salire vertiginosamente le quotazioni delle proprie foto, con alcuni che hanno già costituito una cooperativa con relativo punto vendita proprio di fronte al tendone, con possibilità di inserire digitalmente fino a tre familiari per foto all inclusive; per nuclei familiari più numerosi è data la possibilità di contrattare un piccolo extra in loco.
    Ironie a parte, bisogna dire che in epoca di overtourism si tratta sicuramente di un atto che impone una riflessione sulla necessità di riappropriarsi degli spazi cittadini, ponendo allo stesso tempo un limite, se non uno stop, al processo di gentrificazione in corso in tutto quel mondo un tempo benedetto dal turismo.

    Attilio Lauria

  • Con segni e parole, il racconto di un tempo vissuto… “In Bilico”

    Con segni e parole, il racconto di un tempo vissuto… “In Bilico”

    Il potere dei segni e la potenza delle parole. Se coniugate, queste due cose diventano capaci di raccontare storie, stati d’animo, persone e momenti. Insomma, la vita stessa.
    Si corre il rischio di scoprire che il senso profondo di questi tempi è lo stare in “bilico”, come con spietata precisione dice il titolo del libro di Aldo Presta, designer e progettista della comunicazione, e Silvia Vizzardelli, docente di Estetica presso l’Unical, edito da LetteraVentidue.

    In bilico tra i disegni di Presta e le parole di Vizzardelli

    Restiamo sospesi in attesa di eventi, ma più di tutto in allarme, perché questo presente che viviamo e il futuro che si annuncia non ci piacciono per nulla. Questa è la suggestione che viene dai disegni di Presta, tratti semplici eppure densi di significati, capaci di evocare la sospensione, l’attesa, i desideri incompiuti eppure ancora tenacemente coltivati.
    Le parole che sceglie Vizzardelli invece ci introducono in un viaggio attraverso Barthes, Derrida, Foucault. Disegni che danno forma a pensieri, parole scritte che offrono un modo per impadronirsene.  Entrambi i linguaggi vengono a dirci che se il presente non ci aggrada e il tempo che si annuncia ci spaventa almeno un poco allora ci restano poche opportunità: scappare via oppure affrontare i mostri.

    La copertina del libro di Presta e Vizzardelli

    Il difficile equilibrio degli acrobati

    Il sentirsi in “bilico”, come coraggiosi acrobati, di cui parla il libro è forse anche questo: il sentire forte la tentazione di mollare ogni cosa, ma rimanere lo stesso, per tigna, per tenacia, perché è giusto contrastare il declino di una società di cui per forza siamo parte. I disegni di Presta, accompagnati dalle parole di Vizzardelli, raccontano questo: il sentirsi fuori posto in un mondo in cui pare che l’egemonia culturale, come l’avrebbe chiamata il vecchio sardo, sia rappresentata dal pensiero mancato, dall’arretramento delle idee, dalla solitudine nella folla, dalla povertà nell’abbondanza, ma forse soprattutto da una attesa insoddisfatta.
    Solo a un distratto potrebbe sfuggire il senso politico che si disvela pagina dopo pagina, rivelando “l’inappartenenza” ad un mondo fatto ad ogni costo di identità forzate, di certezze inviolabili, di elusione della complessità, di separazioni tra il “noi” e gli “altri”, di mancanza di senso di solidarietà, di progetti condivisi, di comunità.

    Vivere come isole distanti

    I temi sono la dissoluzione della politica come antica pratica collettiva, l’assenza di senso, la perdita dell’idea di bene comune, le domande mancate, la guerra e il clima, il vivere come isole distanti. Il mondo che si palesa attraverso i segni e le parole degli autori è un universo lontano dai libri che abbiamo amato leggere, diverso dal mondo che consideriamo giusto. Per questo gli autori e non solo loro restano, appunto, in bilico, sospesi tra l’impegno cui sono/siamo chiamati e la rinuncia che ci tenta. Stanchi disertori di questo tempo carico di menzogna, ma anche soldatini coraggiosi ancora nella trincea della costruzione di un mondo diverso.
    È tempo di scegliere, sapendo però che il destino di alcuni è quello di essere sempre fuori posto.

  • E vissero tutti felici e contenti

    E vissero tutti felici e contenti

    Quello su Ponte Flaminio a Roma era sicuramente più acrobatico e d’impatto, ma il graffito sotto il ponte dell’autostrada a Rende (borderline con Cosenza, per i non autoctoni) ha dalla sua la resilienza, roba che non ci avrebbe scommesso nemmeno il fabbricante dello spray indelebile: come si fa a promettersi amore eterno e gravitazionale proprio con la materia dell’impermanenza?!? Ma come ogni effimero che in questo Paese si fa lentamente definitivo, qualche giorno fa il graffito amoroso ha festeggiato i (primi?) 20 anni, anniversario che ha messo fine anche all’enigma che ci attanagliava durante il lento procedere verso il noto ingorgo a croce uncinata della rotatoria (!) più avanti: chissà che ne sarà stato di Stellina e del suo temerario graffitaro… ebbene, la statistica può finalmente segnare un punto a favore dell’ammmore siderale, con la prima coppia, fra le migliaia che pronunciarono il fatidico io e te tre metri ecceteraeccetera, di cui si ha notizia essere giunta fino a noi. L’autodenuncia – non si sa quanto incauta o celebrabile da un qualche assessore in vena di carrambate -, arriva dal solito post di FB, commentato equamente da entusiasti, e altro a cui pensare. E mentre i protagonisti faranno a questo punto il tifo per “l’arte” che sopravvive al suo creatore, a noi non resta che aspettare il seguito della saga familiare per i prossimi ingorghi, c’è ancora un pezzo di ponte intonso…

    Attilio Lauria

  • Il talento fotografico dei Mr Ripley

    Il talento fotografico dei Mr Ripley

    Ma insomma, mi rivolgo a chi l’ha vista, e a quellichenon rivolgo l’invito a vederla: sbaglio, o alla fine una serie così strepitosamente fotografica come Ripley, in cui ogni inquadratura è un titillamento per le papille oculari, si concede anche il gusto di fare il verso a noi (a qualcuno di noi) fotografanti?
    C’è una Leica che appare fra gli oggetti che Ripley posiziona in ogni stanza dove gli capita di alloggiare, quasi allestisse un set, e con la quale – in una scena lunga quanto il tempo di un click distratto alla finestra su otto puntate -, gli scappa addirittura di scattare una foto! Così come gli altri oggetti di design da esibire, anche la macchina fotografica nella trama ha una funzione d’uso del tutto relativa rispetto al suo fare status, ma un’altra interpretazione, più maliziosa, è possibile. Anzi, due: e se rimandasse alla credenza, diffusa anche tra i fotografanti, che il possesso conferisce il prestigio della credibilità autoriale? O a quell’altra credenza-corollario che la fotografia sia questione di attrezzo?
    Chissà… Certo è che alla protagonista femminile, Marge, flaneur che oggi scriverebbe un blog piuttosto che una guida in forma di libro su Atrani, viene riservata un’assai più modesta Kodak Brownie 127, una di quelle in bakelite dal design Deco, lente fissa e zero regolazioni che compare sempre abbastanza di sfuggita, ma evidentemente adatta allo scopo se l’americana in costiera arriva infine alla pubblicazione.

    Attilio Lauria

  • Sguardi a Sud… dell’Irlanda: le note di Corsi conquistano Mendicino

    Sguardi a Sud… dell’Irlanda: le note di Corsi conquistano Mendicino

    Il concerto Saint Patrick Harp – Concerto per Arpa Celtica e Armonica del celebre musicista Stefano Corsi, tenutosi presso il Teatro comunale di Mendicino, ha trasportato gli spettatori in un viaggio attraverso le terre leggendarie d’Irlanda durante le celebrazioni di San Patrizio.
    Promosso dalla compagnia Porta Cenere con la direzione artistica di Mario Massaro, lo spettacolo rientrava nel ricco calendario della sesta edizione di Sguardi a Sud come evento fuori programma, confermando ancora una volta la volontà di abbracciare una visione artistica multidisciplinare.

    Mendicino come l’Irlanda

    Nel settore del teatro di prosa, il pubblico di Sguardi a Sud ha già avuto l’opportunità di immergersi in spettacoli coinvolgenti, presentati da compagnie provenienti da tutta Italia. Un viaggio attraverso il talento e la sperimentazione teatrale che ha catturato l’attenzione di spettatori di ogni età. Tuttavia, la vera novità di questa sesta stagione è stata la sezione dedicata alla musica, che ha ulteriormente arricchito l’offerta culturale della kermesse ospitando artisti di fama internazionale.

    Saint Patrick Harp – Concerto per Arpa Celtica e Armonica ha avvolto il pubblico in un’atmosfera carica di emozioni. Non solo grazie alla fusione di questi due strumenti dalle sonorità avvolgenti, ma anche grazie ad una narrazione appassionata e ad un’intensa interpretazione di poesie di autori irlandesi e non solo. Lo spirito festoso e la magia dell’Irlanda hanno pervaso l’aria in un concerto senza precedenti, dove l’arpa celtica e l’armonica hanno intrecciato le loro melodie incantando i presenti.

    Stefano Corsi e l’unione tra arpa e armonica

    Il musicista Stefano Corsi spiega cosa l’abbia ispirato per questo concerto: «Il suono primordiale della corda che si muove e dell’ancia che vibra nell’aria è una melodia ancestrale che risuona attraverso le epoche. Quando ho scoperto che in inglese l’armonica è chiamata mouth harp (arpa da bocca), ho pensato fosse inevitabile unire i due strumenti. Questa affascinante coincidenza linguistica rispecchia la complementarità dei loro suoni. Tengo molto che la gente ricominci ad ascoltare la musica con un buon impianto. Dostoevskij diceva: “La bellezza salverà il mondo”. Io ritengo che salvi chi la cerca».

    Il direttore artistico di Sguardi a Sud, Mario Massaro, svela la magia che avvolge questa kermesse: «Il nostro obiettivo è regalare al nostro affezionato pubblico un’esperienza culturale completa. Sguardi a Sud è un’immersione in mondi sconosciuti e un abbraccio alla bellezza dell’arte che prende vita attraverso prosa, musica e teatro. Il concerto di Stefano Corsi ha trasformato il palcoscenico in un mare di emozioni, lasciando un’impronta indelebile nei cuori di tutti gli spettatori e rendendo ancora più indimenticabile questa stagione».

     

     

  • Dal reportage fotografico alla fanzine

    Dal reportage fotografico alla fanzine

    Proseguono gli incontri organizzati da Zinée con lo scopo di mantenere vivo l’interesse per le fanzine e fornire gli strumenti (per ora teorici) a chi eventualmente pensa di partecipare alla prossima edizione del festival per poter pensare e realizzare la propria fanzine, sia essa fotografica che legata alla scrittura.

    “Fotografia e Storytelling” è il titolo del ciclo di incontri pensato e organizzato dal collettivo Zinée e dal Nucleo Kubla Khan.

    Il prossimo incontro – oggi a Cosenza, martedì 27 febbraio, in via Rivocati 63 –  riguarderà il linguaggio del reportage fotografico, partendo dall’analisi di una singola immagine iconica del celebre fotografo francese Henri Cartier-Bresson, per poi passare alle sequenze di fotografie e alla loro struttura narrativa. Si proseguirà quindi con l’analisi di reportage classici di ampio respiro in stile Life Magazine, fino a pubblicazioni assolutamente contemporanee che riguardano sia la cronaca di guerra che quelle in cui il tessuto narrativo diventa quasi astratto usando differenti registri per raccontare una storia.

  • “Fotografia e Storytelling” a Rivocati

    “Fotografia e Storytelling” a Rivocati

    “Fotografia e Storytelling” è il titolo del ciclo di incontri pensato e organizzato dal collettivo Zinée e il Nucleo Kubla Khan. Si parte martedì 20 febbraio con l’incontro dal titolo: “Dall’idea al corpo narrativo”. Gli altri appuntamenti: “Il reportage fotografico” (27 febbraio); “Coerenza e stile nella scrittura” (5 marzo); “Il registro poetico nella fotografia” (12 marzo). Tutti gli incontri si svolgeranno a Cosenza in via Rivocati 63 alle ore 18:45.
    Zinée è il primo festival delle fanzine organizzato a Cosenza. Si tratta di un collettivo di professionisti e appassionati della fotografia.
    Il Nucleo Kubla Khan «nasce nel 2013 – si legge nel sito – come mosaico di scrittori e lettori. Tra le attività principali compaiono reading, poetry slam, presentazioni di libri, progetti nelle scuole, cineforum, seminari, concerti».