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  • Villa Rendano: un 2023 carico di appuntamenti

    Villa Rendano: un 2023 carico di appuntamenti

    Per tutto il 2023 Villa Rendano sarà teatro di un nutrito e variegato cartellone di eventi che in parte verrà realizzato in collaborazione con il comune di Cosenza
    È partita la stagione culturale della Fondazione Attilio ed Elena Giuliani che quest’anno celebra il decennale della sua costituzione.

    La fondazione compie dieci anni

    «Sarà un anno ricco di iniziative, che spazieranno dal ricordo di importanti anniversari, in campo storico, politico, istituzionale, artistico e musicale, alla presentazione di libri, alla poesia, con l’ambizione di essere, ancor più di quanto non sia avvenuto in questi mesi, un punto di riferimento per il territorio, offrendo ai cittadini l’opportunità di conoscere e approfondire temi e questioni cruciali nella quotidianità del nostro tempo». Così Walter Pellegrini, il presidente della Fondazione “Attilio ed Elena Giuliani”, annuncia le attività culturali del 2023, il decimo della prestigiosa Istituzione cittadina.

    L’hi tech per iniziare

    Il calendario è iniziato il 25 gennaio, alle 17,30, con i docenti dell’Università della Calabria Domenico Talia e Antonio Palmiro Volpentesta, intervenuti sul tema Interconnessione planetaria: dall’alba di Internet alla comunicazione globale, ricostruendo le tappe che hanno portato da Arpanet a Internet.
    L’interconnessione planetaria è stato il tema inaugurale di Storia in Villa, un contenitore culturale in cui troveranno spazio altri importanti anniversari che la Fondazione intende proporre all’attenzione generale.

    Storia In Villa: da Pinocchio a Zeffirelli

    Tra i tanti, i centoquarant’anni dalla prima pubblicazione di Pinocchio, gli ottocento anni dal primo presepe realizzato da San Francesco d’Assisi, il duecentocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, i cento anni dalla nascita di don Milani, i quarant’anni dall’arresto di Enzo Tortora, i sessant’anni dalla tragedia del Vajont e dalla morte di J.F. Kennedy, i trent’anni dell’Unione europea, il settantacinquesimo anniversario della nascita di Peppino Impastato, il decennale della morte di Margherita Hack e di Nelson Mandela, il centenario della nascita di Franco Zeffirelli, i cinquant’anni della storica sentenza della Corte Suprema americana sull’aborto.

    I protagonisti di Cosenza

    Nella programmazione di Storia in Villa sono previsti anche i ricordi di alcune figure prestigiose, purtroppo scomparse, che con la loro azione hanno segnato la vita culturale, artistica, sociale e civile non solo della città dei Bruzi.
    Si comincerà con un “medaglione” dedicato al giornalista Emanuele Giacoia, elemento di punta della Rai calabrese e protagonista di molte trasmissioni sportive nazionali. Si proseguirà quindi con il poeta Franco Dionesalvi, il regista Antonello Antonante, il giornalista Raffaele Nigro e lo scrittore, giornalista e commediografo Enzo Costabile.
    Altri ricordi di figure importanti saranno programmati nel corso dell’anno e proseguiranno anche durante il 2024.

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    Antonello Antonante (foto Alfonso Bombini 2020)

    Libri in Villa

    Libri in Villa verrà realizzato in collaborazione con il Comune di Cosenza e sarà lo spazio dedicato ai volumi di maggiore successo, a livello nazionale, meridionale e regionale.
    Tra i primi appuntamenti, il 2 marzo, l’incontro con Mimmo Gangemi, che presenterà il suo romanzo L’atomo inquieto, edito da Solferino.
    Il 29 marzo, invece, sarà la volta della giornalista Rai Annarosa Macrì, con il suo ultimo romanzo edito da Rubbettino.

    I venerdì e il Cineforum a Villa Rendano

    Continueranno, inoltre, I venerdì di Villa Rendano, gli approfondimenti tematici di Villa Rendano, coordinati dal giornalista Antonlivio Perfetti, che stanno riscuotendo enorme successo.
    Fiore all’occhiello della programmazione 2023 sarà anche il Cineforum, coordinato da Franco Plastina, attraverso il quale la Fondazione intende offrire ai numerosissimi amanti del cinema presenti in città un appuntamento settimanale con la proiezione di film e documentari.
    Il programma prevede anche un ricordo di Massimo Troisi, del quale quest’anno ricorre il settantesimo anniversario della nascita, con la proiezione del film Il Postino.

    Un ricordo di Sergio Giuliani

    Nel 2023 ricorre anche il decennale dell’avvio delle attività della Fondazione “Giuliani”, che verrà celebrato con una giornata in ricordo del fondatore, Sergio Giuliani, e l’istituzione di alcune borse di studio, in memoria del filantropo e benefattore cosentino, destinate a studenti particolarmente meritevoli.

    Il conferimento della cittadinanza onoraria a Sergio Giuliani

    Poesia e territorio

    Un evento particolarmente importante sarà anche il Festival della poesia I padri della parola, realizzato in collaborazione con la Regione Calabria e che si svolgerà a Cosenza in primavera. Vi parteciperanno alcuni tra i maggiori poeti italiani con il coinvolgimento delle scuole superiori dell’area urbana cosentina.
    Riprenderà, inoltre, il progetto I borghi, che prevede anche in questo caso il coinvolgimento degli studenti delle scuole superiori della provincia di Cosenza, chiamati a descrivere le realtà, la cultura e le tradizioni dei rispettivi territori.

    Consentia itinera: le novità del Museo di Villa Rendano

    Per quanto riguarda il Museo Consentia itinera, a partire dal mese di febbraio numerosi e interdisciplinari saranno i laboratori educativi e creativi destinati ai bambini ed alle famiglie, grazie al finanziamento dell’Agenzia per la Coesione Territoriale.

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    Una sala del museo multimediale Consentia itinera

    Tra i temi affrontati, le antiche lavorazioni artigiane trasferite ai piccoli da abili maestri (pietra, argilla e legno), la cura del patrimonio e della legalità (con visite nei luoghi degradati del centro storico e proposte di recupero), le scoperte scientifiche (con incontri ed esperimenti rivolti ai “piccoli scienziati” ma ancora laboratori creativi lungo la linea del tempo) attività sulla storia di Cosenza) e incontri di musica partecipati e interattivi.
    Nel mese di marzo 2023, infine, la Fondazione Giuliani inaugurerà, nelle sale multimediali del Museo Consentia itinera, la nuova mostra digitale sulla scienza e la tecnologia dal titolo Urania. Scienza e cultura realizzata in collaborazione con il Museo Galileo di Firenze e con il contributo economico del Mur.

  • Petrolini sul grande schermo, il recupero parte da Paola

    Petrolini sul grande schermo, il recupero parte da Paola

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    Ettore Petrolini è stato tra i più grandi attori ed autori del teatro comico italiano. La sua originalità si è espressa soprattutto con vena satirica in parodie e comicità, tra macchiette dei teatri minori e personaggi di operette e riviste di varietà che hanno trovato posto nelle sue commedie. Molti monologhi, per fortuna incisi su dischi dell’epoca, danno modo ancora oggi di apprezzare la modernità della sua irridente verve comica.
    Ma Petrolini fu anche interprete di cinque film tra il 1913 e il 1931. La produzione cinematografica, per quanto rada, ha permesso comunque di immortalare il suo magistrale estro su pellicola. E il recupero di quei film passa oggi dalla Calabria grazie a Gianmarco Cilento.

    Gianmarco Cilento e il “Progetto Petrolini”

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    Gianmarco Cilento

    Studioso e autore di saggi e monografie incentrati sulla storia e i protagonisti del cinema nazionale, Cilento vive a Paola. Insieme ad una squadra di critici e appassionati come lui – e in collaborazione con l’associazione culturale Ettore Petrolini e Diari di Cineclub – è il promotore di “Progetto Petrolini”. Si tratta di un lavoro di ricerca che culminerà con la pubblicazione di un libro dedicato alla filmografia dell’attore romano.  A curare il volume saranno inoltre Adriano Aprà, Alfredo Baldi, Anna Maria Calò, Nino Genovese, Anton Giulio Mancino, Silvia Nonnato, Domenico Palattella, Davide Persico, Simone Riberto e Marco Vanelli. Si tenterà così di recuperare, prima che sia troppo tardi, l’opera cinematografica di Ettore Petrolini, allo stato attuale parzialmente dispersa.

    I cinque film perduti (o quasi)

    Petrolini disperato per eccesso di buon cuore di Ubaldo Pittei (1913), Mentre il pubblico ride di Mario Bonnard (1920), Nerone di Alessandro Blasetti (1930), Il cortile e Il medico per forza, di Carlo Campogalliani (1931): queste le pellicole che hanno visto l’attore romano protagonista lungo quasi un ventennio. Le prime due sono mute, mentre le altre sono state registrate con il sonoro. E se i due film senza voci sono al momento irreperibili, Nerone e Il medico per forza lo sono parzialmente all’interno del film di montaggio Petrolini, uscito nel 1949. Il cortile invece, dopo decenni d’invisibilità, è stato fortunatamente “ritrovato”. Le ricerche di Cilento hanno infatti appurato che del film esistono addirittura due copie, una conservata al Museo del Cinema di Torino e l’altra alla Cineteca di Bologna.

    Alla (ri)scoperta del Petrolini perduto

    «Compito del progetto – spiega Cilento – è non solo quello di recuperare i due film muti dell’attore romano, ma anche le versioni integrali di Nerone e Il medico per forza. Un lavoro di ricerca sicuramente impegnativo e faticoso, quanto doveroso. Vogliamo evitare che di tali pellicole si possa spegnere definitivamente anche l’ultima speranza di recupero. Per l’estrema complessità si auspica il sostegno di ogni ente pubblico e associazione culturale interessata alla preservazione del patrimonio cinematografico. Recuperare il perduto cinema di Ettore Petrolini, così da poterlo apprezzare noi e tramandarlo alle future generazioni, è la nostra missione. E che questa sia l’inizio di una serie di iniziative volte a promuovere le carriere cinematografiche irreperibili di altri artisti dello spettacolo italiano».

    Alessandro Pagliaro

  • La vita non ha ieri e il domani è già qui

    La vita non ha ieri e il domani è già qui

    «Il Futuro è passato e noi non ce ne siamo nemmeno accorti», dice Vittorio Gassman nel 1974 in C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Un film tanto profetico quanto definitivo sulle “progressive sorti” dell’impegno politico e della visione della storia, del suo divenire, dei destini pubblici e privati di generazioni che volevano tutto e subito.

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    Cesare Luporini interviene al XV Congresso nazionale del Pci (Archivio fotografico del Pci, Fondazione Gramsci)

    Cesare Luporini, a proposito di progressive sorti, afferma che «Leopardi condanna la ragione come facoltà umana sviluppatasi e conquistata col progresso e genitrice di progresso, la ragione che è, nel senso illuministico della parola, filosofia. Questa ragione è facoltà di analisi, calcolo e riflessione. E secondo Leopardi, come riflessione essa arresta l’immediatezza dell’azione e le toglie il carattere eroico; come calcolo produce l’egoismo caratteristico del moderno uomo civile, in opposizione allo slancio, agli impulsi naturali, alle generose illusioni che guidavano i liberi cittadini antichi; come analisi essa scompone le cose (e i sentimenti) e per lei ciò che è grande diventa piccolo e le illusioni si rivelano per tali».

    Il futuro e l’inarrestabile progresso

    Il fluire del tempo, il futuro noi lo si concepiva in un sol modo: come positivo e inarrestabile progresso, certi, forse solo speranzosi o indottrinati, che le contraddizioni economiche e sociali che tale sviluppo avrebbe portato con sé avrebbero rinvenuto nella definizione di un nuovo uomo, di un nuovo sistema di relazioni e gerarchie la sintesi perfetta e lo sbocco del naturale esito delle cose.
    L’impegno, lo strumento, l’orizzonte, la meta, in una sarabanda che incrociava eventi ed esperienze, confronti e soliloqui, certezze e scazzottate: non come eravamo, ma come saremmo stati.

    Uno sguardo a misura d’uomo

    Quando insorse il dubbio, si incrinò la speranza, si abbassò la linea dello skyline? Ciascuno di noi ha un proprio datario, qualcuno anche quello generazionale: alcuni si incrociano, si sovrappongono, altri divergono. Per certo, quando i paradigmi dell’elaborazione, della fede, quella laica, si avvitano su se stessi e il labirinto delle tesi e delle premesse finisce di cozzare di volta in volta contro muri ciechi sempre più respingenti, qualcosa subentra, qualcosa cambia, in corrispondenza altresì di anagrafi e di aggiornamenti, dell’irrompere di nuove culture.
    Magari all’inizio impercettibilmente, poi piano piano in crescendo, si appalesa come sbocco naturale e ineludibile uno sguardo che definire maturo è scontato quanto inadeguato, consapevole altrettanto che maturo: non rassegnato, cioè, e né tantomeno liquidatorio, solo meno ideologico. Insomma, a misura d’uomo.

    L’incarnazione del potere

    Todo Modo di Elio Petri è del 1976. Ed è, ridotto all’osso, una rappresentazione algida del potere e degli uomini che lo incarnavano in quei decenni, dell’”imperativo categorico”, di scardinare quel sistema, di sconfiggere quegli uomini.
    C’è Sciascia, dietro, logicamente, e un uomo di cinema che il cinema lo concepiva come militanza e strumento di cambiamento e di proselitismo, poco importano i rischi di autoreferenzialità, in una sorta di circuito chiuso con spettatori e cultori autocompiacenti.

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    Mastroianni e Volontè in Todo Modo

    Lo presentammo esattamente cinque anni fa. Solo cinque anni fa, già cinque anni fa, accompagnandolo con una ricca discussione, Ugo Caruso, Alfonso Bombini, Franco Plastina e io in un luogo che non c’è più, almeno fisicamente, all’Acquario, a Cosenza.
    Avvertimmo l’esigenza di farlo, forse l’urgenza, e parlammo, davanti a un pubblico devo dire non particolarmente numeroso ma in tutta evidenza molto coinvolto, non solo di cinema.
    Volevamo capire.
    Se e in qual misura ci riuscimmo non so dire, per certo è una esperienza da riproporre, oggi, ovviamente aggiornata: materiale nuovo ce n’è in abbondanza.

    Massimo Veltri
    Professore ordinario all’Unical ed ex senatore della Repubblica

  • L’uomo del cinema aspetta il secolo del Santa Chiara a Rende

    L’uomo del cinema aspetta il secolo del Santa Chiara a Rende

    C’è gente come Tullio Kezich che ha passato una vita al cinema. Altri come Orazio Garofalo non possono farne a meno. Una questione di famiglia. Il Santa Chiara a Rende non è solo il cinematografo più antico della Calabria ancora in funzione. È un luogo predestinato sin dalle origini. Regala sogni ed emozioni dal dicembre del 1925, come La Corazzata Potëmkin di Sergej M. Ėjzenštejn.

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    Orazio Garofalo davanti all’ingresso del cinema Santa Chiara a Rende (foto Alfonso Bombini)

    Il nonno d’America

    Pietro Garofalo lascia Rende per New York nel 1912. È uno tipo scaltro. Dopo le inevitabili difficoltà degli inizi, trova la sua strada. Non se la passa male, gestisce pure un biliardo nel Bronx. Il sogno americano finisce e si sveglia in Calabria nel 1924. Gli resta un bel gruzzolo da investire nell’acquisto di una parte del convento Santa Chiara. Diventerà nel 1925 il cinematografo omonimo.
    Compra un proiettore “Pio Pion”. Oltre 130 posti in sala tutti occupati. Oggi si dice sold out. Al mattino il cinema sparisce e in quel posto si producono fichi secchi.

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    Il proiettore Pio Pion in dotazione al Santa Chiara

    Il buttafuori

    Pietro Garofalo ha tre figli maschi: Italo Costantino, Francesco (che diventerà preseparo di fama) e Antonio. Lavorano col padre. L’ultimo è il buttafuori del cinema Santa Chiara: dopo la prima proiezione trova sempre qualcuno che fa il furbo e vuole restare, gratis, per la seconda. Ci pensa lui. Braccia possenti e spalle larghe. Lo racconta così suo nipote Orazio.

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    Italo Costantino Garofalo

    Il cinema sfida le bombe

    L’epopea del muto, Charlie Chaplin, Stanlio e Ollio segnano gli albori del Santa Chiara. In sala suona l’immancabile orchestrina. I grandi western americani, la Garbo e poi l’arrivo del sonoro sono impressi nella memoria collettiva di una comunità. La sala è talmente piena e i muri sudano dal calore e dall’umidità. Poi arriva la guerra e ferma il cinema. Mancano le pizze coi film. Italo Costantino Garofalo sfida le bombe degli Alleati, corre a Napoli e torna con le pellicole a Rende. Per certi versi sembra una storia alla Theo Angelopoulos de Lo sguardo di Ulisse.

    La tv uccide il grande schermo

    Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono già un classico del Santa Chiara. Proiettano i film di Fellini, poi quelli con la Loren e la Lollobrigida, la “bersagliera” morta da poco. La macchina dei sogni a Rende si ferma alla fine degli anni Settanta. La tv a colori ha invaso le case degli italiani. Il grande schermo comincia ad avvertire i primi contraccolpi. Il Santa Chiara chiude.

    Nuovo cinema Santa Chiara

    Arintha perde il suo storico cinema. Ma qualcosa si muove. Si moltiplicano le riunioni nel centro storico alla presenza dei Principe (Cecchino e Sandro), i due politici che hanno trasformato Rende in una città modello nella Calabria di quegli anni. Il Comune alla fine rileva la sala diventata una specie di magazzino. Resterà tale per tanto tempo.
    Intanto Italo scrive a Giuseppe Tornatore. Il regista de Il Camorrista e di Nuovo cinema Paradiso, risponde all’appello. E butta giù una lettera per Italo e suo figlio, un giovane Orazio. Li incoraggia a non mollare. È il 1996.

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    La lettera del regista Giuseppe Tornatore a Italo Costantino Garofalo

    Bisogna aspettare il 2015 per la riapertura del Santa Chiara. A tagliare il nastro è il sindaco Marcello Manna. La palla passa ad Orazio. Che mette a disposizione la sua competenza e il suo tempo a titolo interamente gratuito.
    Sono circa 235 i film proiettati negli ultimi 7 anni. Cinema d’autore quanto basta. E in attesa dell’inizio delle pellicole Orazio proietta la sua videoarte: un vero maestro nella tecnica del found foutage.

    I giovedì al cinema Santa Chiara

    La passione di Orazio ha inizio con i giovedì del Santa Chiara. Quando Italo prova ad aprire le pizze e prova le pellicole che poi allieteranno le serate del pubblico pagante. Qualcuna è spezzata, rovinata. Cosa fare? Italo non si dà per vinto. Taglia e cuce come un montatore. «I film non perdono coerenza e non hanno interruzioni. Quanta abilità mio padre». Orazio Garofalo ricorda il suo genitore e mentore. Non dimenticherà mai i ritagli delle pellicole, il proiettore 35 mm a manovella e quel fazzoletto di stoffa aperto sul quale si materializzano le immagini in movimento: così nasce l’amore per il cinema.

    La filosofia di Finuzzu

    Il Santa Chiara di Orazio «non è d’essai ma nickelodeon», espressione nata negli Stati Uniti per indicare il carattere economico e proletario della Settima arte a 5 centesimi di dollaro all’ingresso. Il Santa Chiara procede in qualche modo insieme a un altro simbolo della cultura rendese: il Finuzzu film festival. Sulla terrazza di Serafino, presidente del circolo Reduci e combattenti morto lo scorso anno, la nuova commedia all’italiana ha divertito gli abitanti del centro storico insieme ad anguria, dolci e bibite. Perché il cinema, prima di essere legittima masturbazione mentale degli intellettuali (o presunti tali), è soprattutto arte popolare.

  • Addio a Empio Malara, l’uomo che disegnò la Rende futura

    Addio a Empio Malara, l’uomo che disegnò la Rende futura

    L’anagrafe ha archiviato un pezzo importante della storia calabrese contemporanea: l’architetto e urbanista Empio Malara.
    Malara è scomparso la mattina del 19 gennaio alla non tenera – e, per molti, invidiabile – età di 90 anni, dopo averne passato molti a disegnare città, a valorizzarne altre e a sognarne altrettante.

    Un architetto per due città

    Vaga formazione anarchica e solida militanza socialista, il cosentino Empio Malara fece carriera nella Milano non ancora “da bere” degli anni ’70.
    C’è da dire che si trovò bene anche in quest’ultima, dato che, grazie a una solidità professionale quasi senza pari e a una concezione visionaria dell’urbanistica, riuscì a superare indenne gli anni ruggenti del craxismo e la loro fine tragica.
    Milanese d’adozione e cosentino legato alle origini, come i migranti vecchia maniera. E non a caso, i necrologi che lo ricordano sono usciti in contemporanea sulle testate calabresi (va da sé) e sul Corriere.

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    Empio Malara nel suo studio di Milano

    Empio Malara “polentone”

    L’urbanistica è questione di sensibilità ed empatia, coi territori e chi li vive.
    Non a caso, a Milano Malara si concentrò sui Navigli, che voleva pienamente navigabili, anche a scopi commerciali.
    Al riguardo, c’è da scommettere che dietro la rivalutazione dellecase di ringhiera, una volta sinonimo di povertà (di cui resta traccia nei racconti di Giorgio Scerbanenco) ma oggi molto “trendy”, ci sia il suo zampino.
    In ogni caso, Malara ha avuto molti riconoscimenti dalla Milano profonda, a partire da un attestato di benemerenza civica.

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    La zona dei Navigli a Milano

    Empio Malara “terrone”

    La parabola professionale di Malara in Calabria evoca il titolo di un film: Ritorno al futuro.
    L’urbanista, già archistar fu ingaggiato da Cecchino Principe per evitare che lo sviluppo di Rende, lanciatissima dall’Unical, diventasse caotico.
    Sensibilità ed empatia significavano una cosa nella Calabria degli anni ’70: immaginare i desideri di sviluppo e crescita economica degli abitanti della zona.

    La Rende avveniristica di Empio Malara

    Malara disegnò una Rende futuribile, in cui i palazzoni coesistevano col verde e, soprattutto, non evocavano certe immagini lugubri da socialismo reale (o, spesso fa lo stesso, da edilizia meridionale doc).
    Uno dei suoi fiori all’occhiello resta Villaggio Europa: un quartiere popolare all’avanguardia, che comprendeva, al suo interno, scuole e strutture sportive.

     

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    Villaggio Europa a Rende

    Nel suo caso, l’architettura diventava il forcipe dell’emancipazione sociale: la povertà non era sinonimo di degrado e la necessità di ricorrere all’edilizia popolare non obbligava ad accontentarsi.

    Un progetto tra due epoche

    Fin qui (e in estrema sintesi) i meriti. Purtroppo, il tempo denuda anche i limiti.
    La visione di Malara nacque in una fase storica in cui ancora non si parlava di “Grande Cosenza” né di città unica.
    Cosenza era ancora al massimo della sua capacità urbana e Rende aveva appena iniziato il suo sviluppo prodigioso. Quindi la Rende ideata dal vecchio Principe e disegnata da Malara era bella ma non ambiziosa: era la prosecuzione ad est di Cosenza, troppo intasata e bloccata dai suoi colli per sviluppare a ovest.

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    Cecchino e Sandro Principe

    Invece, a partire dagli anni ’80, la città del Campagnano si pose un altro obiettivo: far concorrenza al capoluogo per servizi e qualità della vita. Il disegno di Malara restava, ma i motivi ispiratori erano stravolti.

    Le ultime polemiche

    Offrono ancora parecchi spunti di riflessione le polemiche della scorsa primavera tra l’architetto e Sandro Principe.
    Malara, da un lato, rivendicava il suo “disegno” originale, che si basava su un ruolo di Rende importante ma comunque subalterno.
    Principe, dall’altro, ribadiva come la Rende di Malara fosse un sogno degli anni ’70 diventato “altro”, cioè una città autonoma e non “servente”.

    Il ricordo

    Non è questa la sede per approfondire certe dispute. Ma resta evidente che, in questo dibattito tra un amministratore col pallino dell’urbanistica e un urbanista che ha dato forma a un disegno politico, si è riflesso l’eterno dibattito tra tecnici e politici.
    Malara, milanese adottivo se n’è andato anche come cittadino onorario di Rende, reso tale dall’attuale amministrazione che vive un rapporto problematico col passato riformista.
    Di Malara rimane, al netto di polemiche evitabilissime (anche da parte sua), il ricordo di una visione legata al sogno di uno sviluppo mai realizzatosi per davvero.
    Una promessa tradita? Senz’altro. Ma anche una promessa grande.

  • Orrico e Garritano sul palco dell’Unical con il “Pitagora” del prof Bruno

    Orrico e Garritano sul palco dell’Unical con il “Pitagora” del prof Bruno

    Giovedì 2 febbraio, alle 10:30 per le scuole e alle ore 20:30 per tutti, verrà messo in scena al Tau (teatro auditorium Unical) “La fuga di Pitagora lungo il percorso del sole” di Marcello Walter Bruno, interpretato dall’attore e drammaturgo Ernesto Orrico con musiche originali eseguite dal vivo da Massimo Garritano. Sempre il 2 febbraio, ma a partire dalle 17.00, verrà aperta al pubblico la mostra “Unical collage. 10 metri di ponte ricostruiti al Tau”.

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    Il Teatro auditorium Unical (foto Alfonso Bombini)

    Mentre mercoledì 1 febbraio alle ore 12 sarà inaugurata, nel foyer del Teatro, della mostra collettiva “Star arts”, una collezione di scatti ideata e realizzata in collaborazione con l’Associazione Fotografica “Ladri di Luce” di Cosenza.
    Si tratta di tre eventi promossi e organizzati dal dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, l’infrastruttura di ricerca Star (Southern Europe Thomson Back-Scattering Source for Applied Research) e il progetto NoMaH (Novel Materials for Hydrogen Storage).

    Durante la conferenza stampa di presentazione degli eventi sono intervenuti oggi: Riccardo Barberi, direttore del dipartimento di Fisica dell’Unical e responsabile scientifico di Star; Raffaele G. Agostino, vicedirettore del dipartimento di Fisica e responsabile sientifico del progetto NoMaH; Fabio Vincenzi, direttore del TAU; Caterina Martino, co-curatrice di “Unical Collage”; Daniela Fucilla, presidente dei “Ladri di Luce”; Ernesto Orrico e Massimo Garritano.

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    Marcello Walter Bruno, professore all’Unical e studioso di cinema e fotografia

    Marcello Walter Bruno (Carolei 1952 – Lucca 2022) è stato professore associato all’Università della Calabria. Si è occupato di cinema, fotografia, comunicazioni di massa e teatro. Dal 1979 al 1989 è stato programmista-regista della RAI. Negli anni Novanta è stato direttore creativo dell’agenzia “La cosa pubblicitaria”. Ha collaborato come drammaturgo con Giancarlo Cauteruccio/Krypton e Ernesto Orrico e ha recitato il monologo di Paolo Jedlowski Smemoraz. Ha pubblicato i libri Neotelevisione (Rubbettino, 1994), Promocrazia. Tecniche pubblicitarie della comunicazione politica da Lenin a Berlusconi (Costa & Nolan, 1996), Il cinema di Stanley Kubrick (Gremese, 2017). Suoi saggi e articoli sono apparsi sulle riviste Alfabeta, Cinemasessanta, Il piccolo Hans, Duel, Segnocinema e Fata Morgana.

    Ernesto Orrico ha lavorato con Teatro delle Albe, Scena Verticale, Teatro Rossosimona, Centro RAT, Teatro della Ginestra, Carro di Tespi, Spazio Teatro, Zahir, Compagnia Ragli. Ha scritto ‘A Calabria è morta (Round Robin, 2008), le raccolte di poesie Talknoise. Poesie imperfette e lacerti di canzone (Edizioni Underground?, 2018), Appunti per spettacoli che non si faranno (Coessenza, 2012) e The Cult of Fluxus per (Edizioni Erranti, 2014). Ha all’attivo diversi progetti di contaminazione tra musica e teatro tra cui The Cult of Fluxus e Speaking and Looping.

    Massimo Garritano è un musicista e compositore. Ha all’attivo numerose incisioni discografiche tra cui: Doppio Sogno (Dodicilune Rec. 2014), Present (Manitù Rec. 2016), Talknoise (Manitù Rec. 2018). È autore di musiche per film muti, balletti, reading e spettacoli teatrali. Dal 2006 è assistente collaboratore per i corsi preaccademici del Conservatorio di Cosenza. Docente di chitarra jazz al Conservatorio di Potenza (2016, 2017), Cosenza (2017, 2018, 2019) e di composizione jazz al Conservatorio “Tomadini” di Udine (2019). Dal 2021 insegna al Conservatorio di Milano.

  • Aliva, salvare la Natura è un’arte

    Aliva, salvare la Natura è un’arte

    Si chiama Aliva perché produce oggetti di artigianato di design fatti in ferro e, appunto, legno degli scarti di potatura degli ulivi. Un nome semplice, per un progetto che semplice non è. Perché va ben oltre gli aspetti economici, cui pure ogni azienda – anche la più piccola – deve badare. Aliva si è data una missione: raccontare la storia dei territori proteggendone al contempo la natura. Come farlo? Realizzando prodotti con il legno di alberi secolari senza che uno solo di essi venga abbattuto. Di più, piantandone uno per ogni oggetto realizzato. E, con parte del ricavato, formando gratuitamente i contadini sulle migliori tecniche per proteggere le loro piante.

    Fare impresa e difendere l’ambiente è l’idea di quattro giovani calabresi; Antonio Centorrino, Vincenzo Fratea, Gabriel Gabriele e Marco Macrì. «In Aliva – ci racconta Antonio – sono quello che “fa il pr”, curo i rapporti con le aziende e ho disegnato la linea dei prodotti. Chi li ricrea è Vincenzo, artigiano e falegname a Dinami da 25 anni, ne ha 36. Gabriel è uno sviluppatore di Gimigliano e si occupa di tutta la “struttura” web e della sua evoluzione; Marco, di Catanzaro Lido, è il nostro esperto di comunicazione digitale, curerà la promozione e dei social.».

    Secoli in cenere

    Aliva l’hanno creata durante la pandemia, giorni di call, bozzetti, prove scartate. Ma il seme da cui è germogliato il progetto risale al giorno in cui uno di loro stava osservando il suocero accatastare i rami appena potati nel suo piccolo uliveto. Pezzi di alberi che erano là da secoli e di lì a poco sarebbero diventati cenere in qualche caminetto o stufa.
    Perché non farli ancora vivere in un’altra forma, magari una che raccontasse qualcosa del territorio in cui l’albero era cresciuto? La risposta è stata Aliva. Ossia prendere quella legna – ritenuta troppo fresca per usi diversi dal finire nel fuoco – e utilizzarla invece per creare complementi d’arredo. Oggetti, cioè, dalle dimensioni abbastanza contenute da non soffrire l’eccessiva “giovinezza” di una materia prima che, in pratica, non costa nulla.

    Storia e modernità

    «Siamo partiti con l’idea di utilizzare legna di cui ci sono milioni di tonnellate all’anno gratuite. Già ora abbiamo almeno 50 aziende agricole che ce la darebbero gratis, in quale altro ambito puoi avere tutta quella materia prima senza pagarla? Anche volendo comprarla, spenderemmo meno di dieci euro a quintale e con una quantità del genere facciamo centinaia di prodotti. Abbiamo studiato come potere utilizzare il legno più fresco in maniera funzionale».
    E così dai rami di un albero potato a Borgia è nato, ad esempio, Dinami, il primo oggetto prodotto da Aliva. Incarna a pieno lo spirito del progetto: è uno speaker passivo in legno secolare da utilizzare con gli smartphone. Storia, modernità e nessun albero tagliato.

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    Il primo esemplare di Dinami, lo speaker passivo realizzato da Aliva

    Aliva: dalla potatura all’artigianato di design

    Ne saranno realizzati soltanto mille esemplari al massimo, tutti su ordinazione, e di ognuno sarà tracciabile l’intera filiera. «Non siamo noi ad occuparci dell’albero che useremo, ma un potatore certificato da un ente nazionale. Ce ne sono quattro, noi ci affidiamo alla prestigiosa “Scuola Potatura Olivo” del dottor Pannelli. In Calabria sono solo cinque i potatori certificati da Pannelli, più altri 14 con attestati di altri enti. Non ci siamo autocertificati perché pensiamo che la collaborazione con un ente esterno autorevole aiuti anche a dar valore a quello che facciamo. Non vogliamo che qualcuno compri qualcosa che facciamo semplicemente per l’estetica. Il valore e il senso dei nostri prodotti è un altro».

    Si parte sempre solo e soltanto da scarti di potatura. Poi si trasformano in oggetti dal design minimalista legati a un personaggio, un luogo, un mito da ricordare o scoprire. La Torre dell’orologio nel caso di Dinami, piccolo centro di meno di mille anime nel Vibonese e sede dell’azienda, che ha ispirato l’omonimo speaker. Oppure Kaulon, il portachiavi a forma di tassello di mosaico; l’orologio Milone, simile ai cerchi delle Olimpiadi in cui trionfava il campione crotonese, e quello Demetra, richiamo a un’antica statuetta esposta al museo di Cirò Marina. E poi ci sono i vasi ornamentali Castore e Polluce, omaggio alle colonne dell’omonimo tempio perduto rimaste all’interno di Villa Cefaly a Curinga. Infine, la lampada da tavolo Amendolara, ispirata alle forme della Torre spaccata del paese ionico.

    Tre regioni per cominciare

    Una Calabria straordinaria eppure a basso costo, insomma, diametralmente opposta a quella tanto cara – in tutti i sensi – alla Regione di questi tempi. «Non sono le classiche icone tipo la Cattolica di Stilo o il monastero di Tropea. Pensiamo abbiano pari valore, ma siano meno stereotipate. Ne doneremo una copia alle comunità anche come stimolo: sarebbe bello se grazie ai vasi Castore e Polluce, ad esempio, qualcuno riprendesse le ricerche del tempio».

    Gli oggetti appena elencati compongono la collezione Kalavrìa e un esemplare di ognuno andrà in omaggio ai Comuni che li hanno “ispirati”. In arrivo anche la Trinacria e l’Apulia, così da dedicarne una a ciascuna delle tre regioni che insieme hanno l’86% degli uliveti italiani. «Il valore storico degli ulivi nelle altre regioni è inferiore, hanno poco da raccontare. Non c’è legame storico, ideologico, identitario. Per i pugliesi l’ulivo è un simbolo iconico, è nella loro bandiera».

    Un albero piantato per ogni oggetto venduto

    Ma è proprio in Puglia che si è consumata una vera e propria ecatombe di ulivi secolari, oltre venti milioni le vittime della Xylella. Aliva prova a dare il suo contributo anche qui. Grazie alla collaborazione con l’associazione pugliese OlivaMi, per ogni oggetto venduto dall’azienda calabrese si pianterà in Salento un nuovo ulivo. E sulla collaborazione, in generale, Antonio, Vincenzo, Gabriel e Marco puntano tantissimo, proprio alla luce di quanto accaduto in Puglia. Lì la Xylella ha fatto scempio degli alberi proprio perché i contadini non parlavano tra loro, spesso per vecchi asti tra confinanti, ed ognuno ha agito per sé con risultati nulli. È mancato il collante, ruolo di cui vorrebbe farsi carico, invece, Aliva in Calabria.

    L’unione fa la forza

    «Premessa: il nostro primo obiettivo è il profitto. Siamo micro ma pur sempre un’azienda e come tale senza profitto non possiamo sostenerci. Ma ci siamo detti “perché non legare tutto a un progetto ambientale-sociale?”, si potrebbe ottenere un risultato migliore. Se l’obiettivo fosse distribuire corsi di formazione guadagneremmo di più. Ma il nostro non è greenwashing,: non siamo un’azienda che ha sputtanato l’ambiente per 50 anni e poi trova un testimonial green per ripulirsi. Noi non dobbiamo pulirci nulla». Tant’è che i corsi di formazione, li offriranno loro gratis ai proprietari di uliveti con parte del ricavato delle vendite.

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    La prima potatura da cui è partita la produzione di Aliva

    A insediare gli alberi, infatti, non c’è solo la xylella, ma incendi, malattie, altri parassiti e incuria. E insegnare a occuparsi di prevenzione o affidare la potatura a personale qualificato è il modo migliore per preservare le piante. «Io vivo a Bovalino superiore, ma sono originario di Gioia Tauro. Zone piene di uliveti, ma non ho mai avuto la percezione che tra tutti quelli che hanno alberi ci fossero connessioni. Che ci costa provare a essere noi quel collante? Ai Comuni a cui doneremo i primi esemplari che produrremo chiediamo di collaborare alla creazione di un osservatorio sullo stato di salute degli ulivi nel territorio. Il progetto è ambizioso, si tratta di monitorare quasi in tempo reale lo stato di salute degli ulivi in Calabria, Sicilia e Puglia. Il nome del laboratorio lo abbiamo già: SalvOliva».

    La sfida comincia ora

    Nel frattempo, dopo le prime uscite ufficiali alla Fiera dell’Artigianato di Milano e a RaccontArti a Catanzaro, tocca affrontare un’altra sfida, quella del mercato. Con una confezione che più green non si può per ogni prodotto, ovviamente: cartone riciclato ed un letto di foglie di ulivo al suo interno.

  • Cardeto, quando vince il cibo dei resistenti

    Cardeto, quando vince il cibo dei resistenti

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    Capita sempre più spesso che a Cardeto arrivino turisti. Una volta chi parlava straniero era un emigrante che aveva quasi dimenticato la strada di casa, non i suoi profumi. Oggi succede di incrociare giapponesi, tedeschi: molto spesso si perdono al bivio che sta all’ingresso del paese. A sinistra si va verso l’Aspromonte, a destra si scende verso la sponda destra del torrente Sant’Agata, terra di cardi e di greco antico.

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    Giovanna, Marcello e Irene, la famiglia de Il tipico calabrese

    Un motivo per questo via-vai c’è, un piccolo ristorante a metri zero, perché l’orto è proprio accanto. Si chiama Il Tipico Calabrese, ed è gestito da Giovanna Quattrone e Marcello Manti. Lui faceva il graphic-designer nelle Marche e poi ha deciso di tornare. Lei è la grande custode delle tradizioni di famiglia.

    Cardeto su TasteAtlas

    Ora che il loro nome è apparso nelle classifiche mondiali di TasteAtlas, con un lusinghiero 4,8 su 5, forse è il caso di rileggere loro storia, esempio di Calabria resistente, attenta alla memoria e alla cultura contadina, con un piede nel futuro. Io l’ho raccontata nel libro A sud del Sud, ma ogni volta si arricchisce di nuovi capitoli.

    È Cardeto un paese di castagneti a filiera con pianori a nord e a sud, fagioli, grano e pere dai mille nomi. Solo Marcello vi spiega le differenze fra una e l’altra, e vengono in mente quei frutti che facevano il profumo nelle case dei contadini, buon augurio nel giorno del matrimonio. E del resto in lingua grecanica capra e albero si possono dire in decine di modi, qui servirebbe Gerhard Rohlfs, il glottologo tedesco che faceva da interprete fra i calabresi di valli diverse.

    Entrare al Tipico disorienta: potrebbe essere un Museo, una Biblioteca (Marcello ha una invidiabile collezione di libri sulla Calabria), una sala di musica dove gli strumenti antichi non sono impolverati ma usati spesso. La cucina? Lì Giovanna e Marcello vi tengono per mano stagione per stagione, la ‘nduja è l’unico prodotto non paesano, quei quaranta minuti che ci vogliono da Reggio non sono mai spesi male, anche per via del panorama. A poco a poco Il Tipico è entrato nelle guide di tendenza, premiato più volte da Slow Food. Ora, addirittura, TasteAtlas.

    I canti delle donne di Cardeto

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    Contadine calabresi (foto Alan Lomax)

    Resta una storia da ripetersi, fatevela raccontare da Marcello, perché ha una sua magia. Intorno al ‘53 arrivò a Cardeto dalla montagna uno scassato pullmino Volkswagen: a bordo c’erano Alan Lomax, l’antropologo che aveva scoperto Woody Guthrie, accompagnato dall’etno-musicologo Diego Carpitella.
    Avevano sentito parlare dei canti delle donne di Cardeto: loro ogni mattina per andare sui campi a lavorare ci mettevano due ore (quindi 4 a fine giornata). Lomax registrò quelle melodie per studiarle, offrendo dei soldi in cambio. Anche oggi c’è qualche vecchietta che dice: «Vu’ ricordati u’mericanu ch’ ‘ndi pavava m’ cantamu? Vi ricordate l’americano che ci pagava per cantare?».

    Il giro del mondo

    Poco prima della pandemia, nel gennaio 2020, Anna Lomax, figlia di Alan, anche lei antropologa, è tornata sulle tracce del padre, ha incontrato Marcello e gli ha consegnato i nastri originali. Ha detto: «Ora capisco perché mio padre tornava senza soldi in America». Dentro il ristorante c’è una targa, i canti di Cardeto – come quelli dei pescatori della tonnara di Vibo – sono così di nuovo a casa dopo aver fatto il giro del mondo.
    Grazie a quel 4,8, è il momento di fare un brindisi in musica.

  • Paolo Orlando, il reggino che sceglie i film che vedrai al cinema

    Paolo Orlando, il reggino che sceglie i film che vedrai al cinema

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    Il fiuto per i film su cui puntare si è sviluppato in anni di lavoro sul campo, ma è nato probabilmente sulle colline di Arcavacata. Era nella prima generazione di studenti del progetto pilota di un Dams a Sud, tra i cubi dell’Università della Calabria, dove si è laureato con una tesi su Stanley Kubrick.
    Paolo Orlando oggi è il direttore della distribuzione di Medusa film e in questa fine anno ha buoni motivi per gioire. Guarda i successi in sala, è continuamente collegato con i report di Cinetel.

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    Paolo Orlando

    È un “grande giorno” per il cinema italiano. Il film con Aldo, Giovanni e Giacomo, diretto da Massimo Venier, ha festeggiato un magnifico Natale, con un incasso di oltre un milione e 100mila euro nel giorno di Santo Stefano. A firmare la colonna sonora della commedia ambientata sul lago di Como, è il cantautore calabrese Dario Brunori, che già aveva collaborato con il trio in Odio l’estate.
    Il box office è da record. Se la partenza è questa, si spera anche in un grande anno del ritorno del pubblico in sala nella post pandemia. Il terreno è già tastato da diversi titoli di questa fine 2022. L’omaggio al teatro di Roberto Andò con il suo La stranezza, la commedia piccante Vicini di casa, il family Il ragazzo e la tigre.

    Da Reggio al grande schermo

    Paolo Orlando, 52 anni, reggino, nella grande fabbrica italiana del cinema, che ha il suo quartier generale a Roma, lavora dal 2001. Oggi fa parte della rosa ristretta dei manager. Dal 2019 insieme con il vice-presidente e amministratore delegato Giampaolo Letta, condivide scelte e strategie. Visiona quintali di pellicole ed è presente a tanti festival, da quelli più importanti ai cosiddetti minori, le vetrine del cinema che verrà. Da Cannes, Venezia e Berlino a Giffoni e Saturnia.

    Anche all’invito del Reggio Calabria film festival ha risposto volentieri. Un buon motivo per tornare a respirare l’aria del mare dello Stretto e per fare visita ai suoi genitori.
    Nella città brutia è stato nel febbraio scorso, in occasione dell’anteprima nazionale di un film a lui caro, “Una femmina” del regista cosentino Francesco Costabile, la storia di Rosa la ribelle, l’attrice cariatese Lina Siciliano, che non accetta il clima e la brutalità mafiosa in cui è costretta a crescere.
    Ciò che colpisce dei titoli Medusa è la perfetta osmosi tra il cinema più impegnato e i prodotti che possono piacere a un grande pubblico.

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    Lina Siciliano sul set di “Una femmina” (foto Francesco Spingola)

    Come si sceglie un film?

    «Le scelte nascono da un’idea condivisa, a partire dall’amministratore delegato, fino a coinvolgere tutte le varie funzioni aziendali. Medusa ha sempre avuto la costante coesistenza di titoli dall’alto potenziale commerciale, quindi trasversalmente nazionalpopolari, e di tutto ciò che aveva a che fare con un mondo più art house che passava sia per gli esordi del cinema italiano, sia per il consolidamento di grandi autori. Le congiunture degli ultimi dieci anni hanno modificato l’approccio, anche perché il pubblico ha manifestato un’attenzione particolare al prodotto di qualità».

    Cosa è cambiato? E come si sceglie un listino Medusa?

    «Abbiamo provato a far coesistere quello che più naturalmente ci viene bene, cioè la commedia popolare, con un cinema più ricercato, più impegnato. L’esigenza è, quindi, quella di comporre un listino che sia il più eterogeneo possibile e che vada a intercettare al meglio le tipologie di pubblico È in quest’ottica che nascono film come Perfetti sconosciuti, 2016, oppure film family, un sottogenere della commedia che il cinema italiano non frequentava e che è stato rianimato con Dieci giorni senza mamma (di Alessandro Genovesi, con Fabio De Luigi e Valentina Lodovini, ndr).
    Gli esempi più recenti sono la distribuzione di Un altro giro diretto da Thomas Vinterber, Oscar come miglior film straniero, e Nostalgia di Mario Martone con Pierfrancesco Favino, Tommaso Ragno e un bravissimo Francesco Di Leva».

    Un decennio di risultati, insomma, prima che il covid fermasse tanti progetti. Un esempio per tutti: La grande bellezza e l’Oscar per il miglior film straniero riconquistato dal cinema italiano.

    «Sì, tutta la produzione di Sorrentino fino a Youth è passata da noi. Ma penso anche a Tornatore, a Virzì, a Pupi Avati e ad altri nomi illustri del cinema italiano».

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    Paolo Sorrentino con l’Oscar vinto con il suo La grande bellezza

    Il tuo primo incontro con il cinema è stato in Calabria. Sei stato allievo di Marcello Walter Bruno, semiologo e critico di “Segno cinema”, uno che con i suoi studenti amava discutere di tutte le forme d’arte. È scomparso lo scorso luglio, ed è stato un dolore per chiunque l’abbia conosciuto, ascoltato, letto. È inevitabile chiederti se il tuo intuito abbia a che fare con questo background.

    «L’intuito o sensibilità, io preferisco questa definizione, sicuramente trae le sue origini dal mio percorso di studi ad Arcavacata.
    Con Marcello Walter Bruno fu un incontro folgorante. Lui e un altro docente in particolare, Roberto De Gaetano, sono stati gli attizzatori di questa fiamma. Marcello ha avuto il grande merito di proporre un metodo che utilizzo tuttora: il modo che io ho per approcciare un progetto, a partire dalla sua sceneggiatura, è quello di scomporlo. Ed esattamente era questa la maniera di procedere nello studio dei grandi autori italiani come Visconti o del cinema americano, da Coppola fino ad arrivare a Kubrick. Quando l’ho scelto come relatore, lui stava lavorando proprio al suo libro sul regista (un volume cult uscito qualche mese dopo la morte di Kubrick, per la Gremese n.d.r.).

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    Warren Clarke, Adrienne Corri, Malcolm McDowell e Stanley Kubrick durante le riprese di Arancia meccanica, 1971

    Io ero affascinato dal rapporto di Kubrick con Max Ophüls, il meno conosciuto di tutti i registi teutonici che tra gli anni ’40 e ’50 emigrarono nel cinema americano. Marcello mi aveva suggerito un approfondimento stilistico, ma io sono andato oltre e ho portato avanti una mia tesi, secondo la quale le influenze ophulsiane non riguardavano soltanto la tecnica ma arrivavano alle tematiche. Quindi il mio lavoro aveva questo piano suicida, perché toccare un mostro sacro è da suicida, di dimostrare che Kubrick aveva pescato a piene mani nel cinema del regista tedesco. Ho lavorato per sei mesi notte e giorno ed ero pronto a laurearmi, quando Marcello mi chiese altri tre mesi di approfondimento. Io ero completamente sfinito e non accettai».

    Come andò a finire?

    «Non bene. In sede di commissione di laurea bocciò la proposta del presidente del Dams di conferirmi la lode. Lui che era il mio relatore. Ecco Marcello era preciso, netto, era trasparente. E anche queste sue qualità sono state un lascito, oltre al metodo di lavoro, a cui cerco di ispirarmi».

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    Marcello Walter Bruno

    Qual è oggi la tua visione della Calabria? Pensi anche tu che potrebbe essere un set naturale, a cielo aperto?

    «Sono nato a Reggio Calabria ma all’età di sette anni sono andato a vivere a Roma, per poi trasferirmi a Cosenza negli ultimi anni di scuola. La mia è sicuramente una visione poco campanilista che non mi impedisce di vedere le grandi potenzialità e insieme i grandissimi sprechi e anche gli scempi che vengono fatti da tutti i punti di vista. È sicuramente vero che negli ultimi tempi si è mosso qualcosa. Con la Calabria film commission sono nati progetti che hanno prodotto risultati importanti. C’è stata tutta una serie di film girati nella regione che hanno guadagnato il panorama nazionale e internazionale, partecipando a festival, riscuotendo premi, ottenendo attenzioni da parte della critica.

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    Gianni Amelio al Festival di Venezia

    Penso ad Anime nere di Francesco Munzi, tratto dal romanzo di Gioacchino Criaco e al “mio” Una femmina del regista Francesco Costabile. C’è un nuovo rigurgito di nuovi autori che hanno trovato origine in produzioni locali e, inoltre, non dimentichiamo che uno dei più grandi autori italiani viventi, parlo di Gianni Amelio, è calabrese. Ecco, mi sembra che ci sia più di un elemento per essere fieri. Se poi è un set a cielo aperto bisognerà vedere. La cosa più importante è non disperdere ciò che sinora è stato fatto».

    Anche sotto l’ombrellone, quando arrivi in Calabria per trascorrere qualche giorno di vacanza, guardi immagini e sceneggiature. È vero che spesso coinvolgi i tuoi familiari e i tuoi amici nella visione di un trailer, di un cortometraggio divertente, della bozza di un manifesto?

    «Sì, spesso, coinvolgo persone a me vicine, ascolto i pareri di amici, familiari e anche di figure target. Per esempio, se deve uscire un film per famiglie, mi capita di mostrare il trailer a un bambino e di chiedergli cosa ne pensa».

    Un’attrice, un volto nuovo femminile del cinema, sulla quale punteresti molto?

    «Mi fa molto piacere parlare di un’attrice che secondo me ha un potenziale che adesso sta venendo fuori, anche se già da qualche anno era evidente, e che, non vorrei essere blasfemo, ma potrebbe essere una nuova Monica Vitti. È Pilar Fogliati (vista in Forever Young, in Corro da te e nella serie Netflix Odio il Natale, ndr).
    È molto giovane ed ha tantissime caratteristiche, riesce ad essere fragile, divertente, quindi comica, ma anche intensa e drammatica. È per queste sue doti che ricorda lo stile Vitti».

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    Pilar Fogliati

    Quale sarà il film italiano del nuovo anno, il film che lascerà qualcosa di importante nel pubblico, il più amato, il più visto?

    «A saperlo! Magari! Posso anticipare alcuni film su cui riponiamo speranze. Uno di questi è Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese tratto dal suo romanzo, un film con un supercast, sulla ricerca della felicità, del motivo per essere felici e che uscirà a fine gennaio. È la storia di una sorta di gestore di anime, Toni Servillo, che offre sette giorni per far ritrovare la forza di vivere a persone che stanno per suicidarsi. È una storia intrigante e interessante. Subito dopo, a febbraio, usciremo con Laggiù qualcuno mi ama, il docufilm di Mario Martone su Massimo Troisi, che proprio nel 2023 avrebbe compiuto settanta anni. È stato realizzato con documenti inediti e testimonianze di colleghi e amici e che tra l’altro vedrò per intero proprio stasera, quando finiremo questa intervista, perché sinora ho visto dei pezzi. Stasera vedrò il film finito».

    Cosa ti manca di Reggio Calabria?

    «Ciò che mi manca di più in assoluto sono i miei genitori, poi ci sono anche altri affetti, amici, che rivedo sempre volentieri. Una cosa che mi lega moltissimo a Reggio è il mare, perché è qualcosa di ancestrale, che va oltre qualunque deturpamento della realtà. Sì, è anche il mare a mancarmi molto».

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    L’Arena dello Stretto a Reggio Calabria

    Il mare della Fata Morgana che avvicina le sponde e incanta, culla di reperti riemersi, il mare archeologico che fa venire in mente proprio la testa di Medusa, quella cara a Versace, che inchioda la sguardo, come fa un bel film con il suo pubblico.

     

     

  • Treni storici fra identità, turismo e l’arte di Rovella

    Treni storici fra identità, turismo e l’arte di Rovella

    Il treno a vapore nella pittura e nella fantasia di Luigi Rovella. È questo il titolo della personale inaugurata ieri, mercoledì 28 dicembre 2022, a Villa Rendano e che chiuderà i battenti il 30 dicembre. Una riflessione a più voci ha preceduto il taglio del nastro. Mostra e workshop sono stati promossi dalla Fondazione Attilio ed Elena Giuliani. Il direttore del museo Consentia Itinera, Anna Cipparrone, ha introdotto i lavori e stimolato la discussione con una serie di domande e riflessioni.

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    Una delle tele di Luigi Rovella esposte a Villa Rendano

    La personale dedicata a Luigi Rovella, artista scomparso prematuramente, si snoda lungo un percorso creativo lungo 4 anni. Dal 2017 al 2020 il pittore ha realizzato dodici tele. Una di queste porta il nome della storica locomotiva a vapore della Sila.

    Deborah De Rose, anima di Interazioni creative, ha ricordato il contributo di Luigi Rovella al “Cose belle festival”: «È stato un protagonista del nostro festival, artista della luce e persona che ci è stato vicina nei momenti topici dell’organizzazione della kermesse». Deborah De Rose ha richiamato alla memoria anche la profonda gentilezza di Rovella: «Non dimentico quando ci diede un bellissimo albero di Natale che aveva realizzato in cartone».

    Due opere di Lugi Rovella che fanno parte della mostra aperta fino al 30 dicembre a Villa Rendano

    Treni e turismo lento

    I treni storici «una volta entrati in crisi come mezzi di trasporto sono diventati destinazioni turistiche». Un fenomeno «partito dal Regno Unito» e che da molto tempo ha contagiato anche l’Europa continentale, Italia compresa.
    Lo ha spiegato Sonia Ferrari, docente all’Unical di Marketing del turismo e territoriale. Subito dopo ha chiamato in causa due treni storici ormai diventati simboli e suggestioni letterarie: Orient Express e Transibieriana. E il treno della Sila? La docente dell’Università della Calabria ha sottolineato come sia un elemento tipico del «turismo lento e sostenibile», in linea con i trend di un settore che costituisce una nicchia importante.

    Treni e letteratura: la morte di Tolstoj

    Dopo aver tratteggiato le suggestioni delle tele di Rovella, Pino Sassano ha compiuto un piccolo tour tra letteratura e treni. Partendo da una riflessione perentoria: «Non esiste uno scrittore dall’Ottocento in poi che non abbia avuto come riferimento il treno». Inevitabile il riferimento del librario e professore a Lev Tolstoj: «La parte finale della sua vita si svolge su un treno, poi l’ultima fermata nella stazione di Astapovo dove muore circondato dal popolo e dai cronisti dell’epoca». Ma Sassano non si ferma alla letteratura. E chiama in causa lo sguardo di Luigi Ghirri, il fotografo che ha rivoluzionato la percezione del paesaggio. E i treni ne sono sempre stati parte integrante.

    Un momento del workshop di ieri a Villa Rendano

    Treni e identità

    Dalla fredda stazione di Astapovo alla fredda stazione di San Giovanni in Fiore. L’ex presidente della Regione, Mario Oliverio, non ha dimenticato il treno che passava dall’altopiano.
    «Ha spostato centinaia di migliaia di persone in un esodo drammatico dal Sud verso il Nord dell’Italia e dell’Europa». In quel treno di sofferenza e speranza «c’è oggi un carattere identitario». Lo stesso che Mario OIiverio vede nel treno storico della Sila, un progetto nato per una sua precisa volontà politica. Quella locomotiva che corre nel “Gran bosco d’Italia” può e deve essere «veicolo di crescita e sviluppo, attrattore turistico come scoperta e non solo come vacanza».