Tag: ambiente

  • STRADE PERDUTE | Mare, castello, 106… e un fiore per Bergamini nel Roseto

    STRADE PERDUTE | Mare, castello, 106… e un fiore per Bergamini nel Roseto

    Il fiore all’occhiello è fiore di Roseto. Calembour a parte, Roseto Capo Spulico si distingue, rispetto a tanti altri luoghi, per qualcosa di nemmeno troppo descrivibile. Esiste una “chimica” dei luoghi? Credo di sì. E credo possa dirlo anche chi, a differenza mia, non vi sia legato per questioni familiari. Anche Roseto ha almeno quattro anime: quella costiera, quella del centro storico, quella delle campagne e quella del suo passato. Virtuosamente, mi pare anche singolare nel suo essere un paese, sì, molto legato alle sue radici, ma pure proiettato con tenacia in avanti.

    A picco sul mare

    Ne è diventato ormai simbolo il castello federiciano a picco sul mare, quel Castrum Petrae Roseti che, in realtà, per quanto scenografico, è più correttamente una torre, una semplice torre, che non ebbe più che funzioni doganali, d’avvistamento, d’accampamento e deposito d’armi (nonché, nel Settecento, di ambigua osteria), e il cui valore immobiliare fino alla fine del Novecento è sempre stato irrisorio. Chi vuol sognare, però, ha il diritto di farlo ed è giusto lasciarglielo fare (anche perché se non sogni ad occhi aperti qui, dove vuoi sognare?).

    roseto-capo-spulico-castello-federico-ii-solo-torre-doganale
    Tetti nel centro storico di Roseto (foto L. I. Fragale)

    Il tariffario di Roseto

    La più remota riproduzione del castello è appunto quella settecentesca, firmata da Jean Louis Desprez per i resoconti di viaggio dell’abate Saint-Non (Voyage pittoresque ou Description des royaumes de Naples et de Sicile, Paris, 1781-1786), in cui l’autore raffigura uno sbarco piratesco ai piedi del maniero. Poi tre fotografie scattate precisamente tra il 1864 e il 1937. Infine… La pletora post-boom economico, la sovraesposizione a buon mercato, unita ad una congerie di favole discutibili, in merito a ipotetici misteri esoterici legati all’edificio.

    Restiamo con i piedi per terra: sulle questioni più strettamente storiche del castello ho già scritto e scriverò altrove, mentre qui voglio almeno ricordare una curiosità. Su un muro esterno del castello era fissata una grande lapide con il tariffario per chi transitasse da lì, esattamente uguale a quelli, superstiti, di Acerra e di Battipaglia. Non può non venire in mente la gag del «chi siete?, quanti siete?, cosa portate?, sì, ma quanti siete?, un fiorino!»… più o meno così anche a Roseto si snocciolavano i prezzi a seconda della quantità di bestie trasportate, o a seconda che si fosse studenti, ebrei o prostitute con una, due o tre bisacce (e così pare nascessero talvolta i cognomi…).

    roseto-capo-spulico-castello-federico-ii-solo-torre-doganale
    Il centro storico di Roseto Capo Spulico visto da lontano

    Quel giorno a Roseto morì Donato Bergamini 

    Una strada di transito, dunque, da tempo immemorabile. Chissà come sarebbe andata a Donato Bergamini se la dogana fosse stata ancora attiva, chissà che piega avrebbe preso quel processo… Benché mai nemmeno lontanamente interessato al calcio, a quella storiaccia penso spesso, perché altrettanto spesso mi trovo a passare su quel chilometro.

    La lapide in ricordo di Donato Bergamini ai bordi della strada dove perse la vita

    Quale chilometro, poi? La strada non è più quella del 1989, tutto è cambiato. Vi sono due lapidi lungo la nuova 106: una più vecchia, in un punto pericoloso della strada; una più nuova, in un luogo che permette la sosta a chi volesse lasciare un fiore. In realtà l’incidente accadde in un terzo posto, lungo il tracciato vecchio della 106, un punto che – ripeto – non esiste più. Per una specie di damnatio memoriae stradale.

    Tutta quella strada resta sospeso in una sorta di limbo spazio-temporale. Non vi è stato costruito più nulla, né sul lato della spiaggia né sulle colline. Per fortuna. La spiaggia è una lingua pietrosissima e provvidenzialmente poco affollata, anche in alta stagione, che prosegue silenziosa dalla Pietra della Tina e dell’Incudine, fino agli scogli della Galera, della Pavolina e infine della Grilla. Mare, ça va sans dire, pulitissimo e notoriamente tale.

    Colline e villaggi residenziali

    Le colline sono quelle impervie e disabitate di Valmaco, Derròita, e Fontana della Vigna. Uniche tracce di antropizzazione sono due villaggi residenziali tagliati meravigliosamente fuori dal mondo e immersi nei boschi di pino e nella macchia mediterranea: il Villaggio Santa Maria e il Villaggio Baiabella (il secondo è prevalentemente un villaggio-fantasma anziché altro, al centro di una pluridecennale vicenda giudiziaria). E, non a caso, quelle colline erano state abitate già nell’antichità, e tracce dei vecchi stanziamenti sono emerse negli anni ’60 del Novecento. Chissà quanta roba è saltata fuori, adesso, per i lavori alla nuovissima tratta della 106… Non ci pensiamo.

    roseto-capo-spulico-castello-federico-ii-solo-torre-doganale
    Scorcio rurale di Roseto Capo Spulico

    Là sui monti di Roseto Capo Spulico

    Gli scogli della Grilla, al di qua del canale Cardone, segnano il confine tra Roseto e Montegiordano. Da lì si può piegare verso l’interno, verso le sterminate e ostiche campagne che formano il trapezio del territorio comunale di Roseto Capo Spulico. Si sale ripidi, ripidissimi, tra i tornanti e i pini di contrada Palvasia, offesa l’estate scorsa da un incendio devastante, che ha cancellato – tra le altre cose – esemplari di ulivi pluricentenari, di cui la zona è fortunatamente ancora ricca.

    A sinistra si passa in mezzo a un paio di case isolate (dove lo stesso cane abbaia puntualmente, da anni, legato ad una catena) e si procede a mezza costa lungo la stradina panoramica. Un bivio: a sinistra si tornerebbe in paese, a destra si sale verso le antenne di Monte Titolo e per le campagne più elevate… il Piano di Commaroso, contrada Giudicepaolo (poi storpiato in Dodici Paoli).

    roseto-capo-spulico-castello-federico-ii-solo-torre-doganale
    L’antica “via ad serram” che conduce da Roseto a Montegiordano (foto L.I. Fragale)

    Ancora un bivio: a sinistra si scenderebbe di nuovo per il paese. A destra si procede sempre più in alto, lungo la meravigliosa “via ad serram” che dalla Contrada Melazzo e dal Vallone di Marino (dall’antica famiglia Marini) porta verso il centro storico di Montegiordano e verso la Basilicata. Una via antichissima, come venivano pensate una volta: direttamente sullo spartiacque, per evitare la costruzione di ponti. Così resta tuttora: una lingua sottile, un su e giù incessante: il vuoto a destra, il vuoto a sinistra.

    La scala mobile nel nulla

    Torniamo indietro all’ultimo bivio e andiamo verso il paese, costeggiando la Mirata e Contrada Collazzone. Si potrebbe piegare a destra per raggiungere i Piani della Marina (in realtà Piani Marini, ancora per l’antica famiglia omonima, così come i vicini Piani Toscani) ma voglio cercare di evitarmi la vista di quel famosissimo scempio che è diventato ormai simbolo dei non-luoghi, dell’incompiutezza e di una certa… fragilità degli equilibri contemporanei, diciamo così: si tratta di quel relitto di scala mobile che resta sospeso nel mezzo di un pendio brullo, unendo il nulla al nulla. Come una drammatica Stairway to Heaven, doveva servire a trasportare i bagnanti dalla spiaggia ad un villaggio turistico in collina. È finita invece sui social del New York Times, nell’estate del 2018.

    Like a rolling stone

    Mentre si scende di quota in auto, i pini e la pietra da taglio lasciano progressivamente il posto ai peri e ai fichi d’India. Il dislivello è tanto e si tappano le orecchie: il primo agglomerato di case è quello del rione della Petr’i Roll’ like a rolling stone. Dopodiché ecco il paese, finalmente. Lo prendiamo alle spalle, dal suo ingresso più antico e autentico, la Porta della Terra (“Terra” intesa come Comune, non come terreni). Per salire verso la Porta si procede a zig zag salendo per i vicoli, ma anticamente doveva esservi una gradinata di quelle adatte anche ai cavalli (e qualche traccia l’ho ritrovata): non esistono mappe del paese precedenti al 1901 e tutto va capito, più che immaginato… il nucleo più antico è ancora chiaramente racchiuso nelle mura di cinta che, viste dall’alto, hanno l’andamento di uno stivale, una calza di Befana.

    Un vicolo di Roseto (foto L.I. Fragale)

    Muri, pietre e frane

    Eppure qualcosa è mutato: troppe frane, nei secoli, hanno ridotto l’estensione dell’abitato. E le stesse mura, in alcuni punti, hanno retrocesso di qualche passo anziché avanzare. Il varco detto “pertuso di Pizzo” (dall’antica famiglia dei Pizzo di Oriolo e di Canna) ne è un segnale, aperto com’è su un tratto di mura troppo sottile per essere coevo alle altre (per esempio a quei brani inglobati in un angolo del Palazzo Mazzario). Muri, pietre: l’antico, a Roseto, lo tocchi con mano (di più antico, forse, vi sono soltanto le note ma ormai impenetrabili grotte sotterranee). Sparito il Convento di Sant’Antonio, resta ancora, d’antico, la Cappelletta dell’Immacolata Concezione e – forse non molti lo sanno – due campane cinquecentesche presso le chiese di San Nicola e quella di Sant’Antonio.

    Scorcio del centro storico di Roseto Capo Spulico (foto L.I. Fragale)

    Santi e nobili

    Nel Quattrocento Roseto Capo Spulico doveva presentarsi come un piccolo centro agricolo che ancora voltava le spalle al vicino mare: il processo di “balnearizzazione”, comune a tanti altri paesi costieri sì, ma privi di una storia marittima o di un contesto portuale, avverrà a fine Ottocento, dopo la costruzione della linea ferrata lungo la costa, e la conseguente urbanizzazione attorno agli scali ferroviari. Il tessuto sociale era intriso di una notevole presenza greco-albanese che non deve avere avuto difficoltà nell’integrarsi in un retroterra culturale ancora fortemente bizantino.

    Del secondo sono un esempio alcuni toponimi locali come S. Elia, S. Migalio, S. Cataldo, S. Iorio (S. Giorgio), S. Tòtaro (S. Teodoro) e S. Nicola (cui è intitolata la chiesa madre, mentre S. Rocco deve aver avuto la meglio, come patrono, soltanto dopo la peste del Seicento). Della prima sono invece esempio le tracce relative alle famiglie levantine dei nobili Ungaro, Persiani, Reca-Mazzario, dei montenegrini Marini, dei costantinopolitani Chyurlia e soprattutto dei dalmati Renesi (quelli che combatterono per mezza Europa nonché fianco a fianco con Scanderbeg). Tutte estinte, tutte scomparse prima o dopo.

    Roseto Capo Spulico: dove sono gli intellettuali?

    Francescantonio Mazzario

    Solo quella dei Mazzario riuscì a restare egemone su Roseto per alcuni secoli (e vale la pena ricordare quantomeno le figure del barone Francescantonio e di suo zio Alessandro, intellettuali e avvocati; attivo nella politica locale, il primo; autore di un diario di viaggio nell’Europa del 1836, il secondo. Nel loro palazzo di famiglia – oggi in abbandono dopo una pessima ristrutturazione di una ventina d’anni fa – soggiornarono finanche gli scrittori Henry Swinburne e Craufurd Tait Ramage, a cavallo tra Sette e Ottocento. Ma chi lo sa? Chi se ne accorge? Manca un’intellettualità locale e basta poco ai rapaci di professione per fingersi autorevoli: sulla storia del paese e dei suoi personaggi è stato edito un solo libro, più di trent’anni fa. E un altro è di imminente pubblicazione. In mezzo, un vuoto, in cui talvolta spadroneggia chi stravolge comodamente la storia a proprio consumo, danneggiandola e danneggiando le comunità con operazioncelle di bassa lega che non conferiscono alcun lustro (anzi…).

    Tutto sta a capire i segni, a interpretare, a prevedere e stare in guardia dai questuanti di ieri e di sempre, le cui gioie ingenue ricordano tanto quelle (più oneste e sudate) dei coltivatori diretti immortalati a Roseto nel 1957, quando per la prima volta percepirono le prime pensioni statali. Per fortuna (e con buona volontà), Roseto Capo Spulico ha infilato ormai da qualche anno la via dell’eccellenza: sapendo coniugare – e non è frase fatta – tradizione ed esigenze contemporanee, le più recenti amministrazioni hanno saputo dare ottima prova di sé, tirando fuori il paese da una perifericità che poteva essere rischiosa ed è divenuta, invece, virtuosa.

    Roseto Capo Spulico, 1957. Le prime pensioni ai coltivatori diretti (Museo Etnografico di Roseto C.S.)

     

  • Siccità in Calabria: il peggio deve arrivare

    Siccità in Calabria: il peggio deve arrivare

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Siccità in Calabria: l’emergenza ancora non c’è, ma sicuramente siamo in preallarme.
    Nel suo bollettino di maggio, l’Osservatorio Siccità del Cnr-Ibe ha aggiunto la Calabria tra le regioni che possono registrare nel breve periodo un grado di siccità severo-estremo. Mancano le piogge dei mesi primaverili che, insieme a quelle autunnali, contribuiscono a ricaricare i corsi d’acqua.

    siccita-calabria-tra-danni-agricoltura-rischio-incendi
    Ramona Magno, responsabile dell’Osservatorio siccità

    «In Calabria, per ora, non c’è un allarme», spiega a I Calabresi Ramona Magno, responsabile dell’Osservatorio Siccità.
    Però occorre monitorare i segnali: «Da inizio anno, il deficit si attesta intorno al 30-35%». Una mancanza significativa, ma lontana dai livelli raggiunti in certe zone del Nord. In Piemonte, ad esempio, ci sono stati più di 100 giorni consecutivi senza pioggia.
    L’attenzione deve rimanere alta, perché avremo, molto probabilmente, un’estate rovente, che potrebbe contribuire alle carenze idriche: «I nostri modelli, e anche quelli europei, sono abbastanza concordi nello stimare che questa sarà un’estate più calda e un po’ più secca della media. Ma ancora non ci sono certezze».

    siccita-calabria-tra-danni-agricoltura-rischio-incendi
    La Sila innevata

    Siccità: pioggia e neve salvano la Calabria

    Nonostante tutto, «la Calabria, come più o meno tutte le regioni meridionali, è stata più fortunata perché in inverno e in autunno delle precipitazioni ci sono state», continua Magno.
    La siccità è influenzata da tanti fattori. Quelli che conosciamo meglio sono le precipitazioni e la temperatura. «Poi risultano utili altri indicatori indiretti, come quelli che usiamo noi da satellite, in cui vediamo lo stato della vegetazione quando ci sono precipitazioni scarse e temperature alte», spiega ancora Magno.

    Importante, anche, la presenza della neve, che da noi non è mancata. Anzi, le montagne calabresi ne hanno accumulato una quantità tale da riuscire a ricaricare le falde acquifere. Ciò che non è avvenuto per il Po.
    «La Calabria si è salvata dalla siccità anche perché il centro-est del Mediterraneo ha avuto diverse nevicate nell’inverno. Il fatto che la Calabria sia un po’ più esposta a queste perturbazioni che vengono da oriente – quindi più fredde – ha aiutato».
    Ma è un equilibrio comunque delicato. L’aumento delle temperature in tutto il Mediterraneo porta una diminuzione delle precipitazioni totali annuali.

    Occhio ai fiumi

    Sul lungo periodo, va monitorata la capacità dei corsi d’acqua, per capire l’impatto di tutti questi fattori: «Quando cominciano a essere intaccate proprio le risorse idriche, allora vuol dire che il problema dura già da un po’», precisa Magno.
    Secondo il report settimanale sulle risorse idriche dell’osservatorio Anbi, i livelli della diga di Monte Marello sono in linea con gli anni precedenti.
    Diversa la situazione del bacino Sant’Anna a Isola Capo Rizzuto. Le alte temperature causate dalle ondate di calore hanno favorito l’evaporazione dell’acqua: è ai livelli più bassi da 7 anni a questa parte.

    siccita-calabria-danni-agricoltura-rischio-incendi-esperti-allarme
    Il bacino Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto

    Piove meno, piove più forte

    Non solo piove meno: piove anche in modo diverso. I cambiamenti climatici rendono più frequenti e intense anche le cosiddette bombe d’acqua.
    «Osserviamo spesso periodi sempre più lunghi in cui non c’è pioggia, o ce n’è molta meno del normale, intervallati da momenti in cui le precipitazioni arrivano tutte insieme, concentrate in uno spazio», spiega ancora Magno.
    Queste piogge rendono l’accumulo dell’acqua più complicato, perché mettono le infrastrutture sotto stress. Provocano danni, smottamenti, disagi.
    Tutto succede per lo più in estate. «Su scala annua, in Calabria, come in buona parte del Meridione, diminuisce il totale delle precipitazioni. Tuttavia, è una tendenza che non registriamo in tutte le stagioni», racconta Roberto Coscarelli dell’Istituto di Ricerca per la Protezione idrogeologica del Cnr e responsabile della sede di Crotone.

    Le piogge di quest’estate

    siccita-calabria-danni-agricoltura-rischio-incendi-esperti-allarme
    Roberto Coscarelli

    D’estate, prosegue Coscarelli, si tende a un lieve incremento delle precipitazioni: «I temporali estivi diventano più frequenti. Le proiezioni delle ultime settimane per l’estate in corso prevedono proprio questo: lunghi periodi senza pioggia, anche con temperature molto elevate, intervallati da periodi brevi di piogge intense, che spezzano il buon tempo estivo».
    In generale, sia per le piogge brevi ed intense, sia per i lunghi periodi secchi, si dimezzano quasi i tempi di ritorno: «Un evento, ad esempio, che succedeva mediamente una volta ogni cinquanta anni, adesso accade ogni venticinque».

    I danni all’agricoltura

    È vero che la siccità ancora non ci colpisce a fondo, tuttavia alcune zone iniziano a sentirne gli effetti. La costa jonica è la più delicata, da questo punto di vista.
    «Alcuni territori, soprattutto quelli della fascia ionica, sono notoriamente più prossimi all’aridità e alla desertificazione, anche per le loro caratteristiche climatiche e idrologiche», specifica Coscarelli.
    Non è un caso se il settore agricolo arranca. Coldiretti lamenta da qualche tempo problemi nella produzione ortofrutticola calabrese.

    Un campo riarso dalla siccità

    «La siccità ha fatto registrate una caduta di fiori e frutti negli uliveti. La media regionale del danno si attesta al 10%, mentre la costa jonica a tratti raggiunge picchi di perdite che superano il 60%», riporta un comunicato sulle condizioni dell’agricoltura in tutte le regioni d’Italia. Le coltivazioni più esposte sono quelle di olive, frutta e ortaggi.

    Siccità: anche la rete idrica fa la sua parte

    Buona parte dell’acqua che utilizziamo in casa e per irrigare si disperde, a causa delle condizioni delle tubature.
    In tutta Italia sprechiamo un terzo dell’acqua che passa dalle reti di distribuzione. Ed è proprio al Sud che le infrastrutture sono più fatiscenti.
    «Bisogna sempre fare un conto fra quello che arriva attraverso le precipitazioni e quello che si disperde prima dell’uso. Quindi bisogna essere anche parsimoniosi e cercare di ottimizzare l’utilizzo della poca risorsa», raccomanda Magno.

    Emergenza idrica: autobotti in azione a Reggio

    La prova del fuoco

    L’eventuale peggioramento della siccità nella Regione rischia di aggravare un altro problema: gli incendi.
    I terreni più secchi e le alte temperature rischiano di rendere i roghi più indomabili e ampliano le aree bruciate. Le piante stesse potrebbero diventare più vulnerabili con meno acqua a disposizione.
    Sia Coscarelli sia Magno insistono su un punto: sfatiamo il mito dell’autocombustione. È un fenomeno molto raro e, specie sul territorio nazionale, alquanto improbabile.

    Un canadair in azione durante i roghi della scorsa estate

    «L’innesco dipende sempre dalla mano dell’uomo. La propagazione invece è propiziata dalle condizioni climatiche». Cioè, dalle temperature molto elevate, dai venti, e poi dall’aridità e dalla scarsa umidità di un terreno.
    Coscarelli ha pochi dubbi: «Chi innesca questi roghi, sa benissimo quali sono le condizioni climatiche più opportune per estenderli e fare più danni».

    Prevenire la siccità: chi lo fa e chi dorme

    Ogni disaster movie inizia con gli scienziati ignorati dalla società. L’emergenza idrica non fa eccezione.
    Da anni, la comunità scientifica chiede disperatamente ai politici di tutto il mondo di prepararsi al peggio.
    E, ricorda ancora Magno, chi ha voluto si è preparato prima: «In questi giorni si parla di quanto si sta facendo a livello comunale, provinciale e regionale. Ed emerge a malapena solo ora che alcune regioni si erano già mosse».
    Altri, invece, continuano a oscillare da un’emergenza all’altra, refrattari alla pianificazione. Che invece è fondamentale per affrontare i cambiamenti climatici. «Bisogna monitorare la situazione e cercare di essere pronti a intervenire prima che i danni siano eccessivi, come ora succede a Nord, dato che questo è un fenomeno che scende di latitudine».

    In attesa del piano acqua

    Per ora, le Regioni spingono affinché l’esecutivo dichiari il prima possibile lo stato di emergenza. La ministra per il Sud e la coesione territoriale Mariastella Gelmini, ha detto che da sei mesi lavora insieme ai governatori a un “piano acqua”, di cui ancora non si conoscono i dettagli.
    Per i prossimi mesi, non è escluso che possano essere imposti razionamenti idrici in alcune parti d’Italia. Tanti Comuni calabresi, nel frattempo, emettono ordinanze per evitare gli sprechi.
    Bisogna prepararsi a un futuro difficile, dove l’acqua sarà un bene da gestire con cura. Secondo i dati delle Nazioni Unite, dal 2000 sono aumentati del 29% il numero e la durata delle siccità, con un bilancio di 650mila morti dal 1970 al 2019. Un bambino su quattro vivrà in aree con estrema carenza d’acqua entro il 2040.

  • Capistrano vuole sciare “senza” neve: ma i soldi del Ministero fanno miracoli

    Capistrano vuole sciare “senza” neve: ma i soldi del Ministero fanno miracoli

    Da una cabinovia che poteva essere e che non sarà mai, ad una cestovia che attende solo l’erogazione dei fondi per trasportare i turisti su e giù per monte Coppari. D’estate come d’inverno, quando gli stessi turisti potranno usufruire del servizio per raggiungere comodamente la nuova pista da sci, con neve artificiale, che il piccolo comune di Capistrano – poco meno di mille abitanti tra l’altopiano delle Serre e l’Angitola – si è vista finanziare dai fondi previsti dal Cis Calabria con 2 milioni di euro.

    capistrano-vuole-sciare-senza-neve-ma-soldi-ministero-fanno-miracoli
    Il ministro per il Sud, Mara Carfagna

    Il progetto – che ha superato il primo ostacolo dell’iter procedurale previsto, con l’inclusione nella graduatoria regionale tra i 110 considerati a «priorità alta» – prevede la costruzione di una cestovia a due posti che consentirà di risalire fino alla cima del monte, a quota 1000 metri, lungo un percorso panoramico e senza fermate intermedie con un disdivello di circa 500 metri dalla stazione di partenza. Un progetto così ambizioso che va anche oltre l’idea della cabinovia venuta in mente (ma esclusa dalla graduatoria Cis) ai sindaci di Roccaforte e Palizzi nel reggino, e che punta a fare del piccolo centro del vibonese, una nuova meta per gli amanti degli sci in Calabria.

    capistrano-vuole-sciare-senza-neve-ma-soldi-ministero-fanno-miracoli
    Marco Martino, sindaco di Capistrano, mentre si fotografa allo specchio

    Accanto al progetto per l’impianto di risalita permanente infatti, il sindaco Marco Martino – con l’avallo dell’unanimità della sua giunta e del Consiglio comunale – intende mettere in piedi una vera e propria pista da sci con una lunghezza del tracciato prevista in un chilometro. E pazienza se di neve, da quelle parti, se ne vede pochissima. Compresi nel prezzo infatti sono previsti anche 8 cannoni sparaneve nuovi fiammanti che garantirebbero la creazione ex novo della pista e il suo “rimpolpamento” continuo. A dare una mano per la sua conservazione ci dovrebbero pensare, surriscaldamento globale permettendo, le rigide temperature delle colline calabresi.

    «Non c’è niente di strano nell’idea di un impianto di risalita sul nostro territorio, né di una pista da sci – dice a ICalabresi il primo cittadino di Capistrano, Martino –. Gli interventi da realizzare sarebbero a basso impatto visto che già esiste una sorta di percorso naturale sul costone della montagna su cui intendiamo intervenire. Gli alberi da abbattere sarebbero pochissimi e comunque provvederemo a impiantarne contestualmente degli altri. E poi esistono altri impianti di risalita in Regione, solo il territorio di Vibo ne è sprovvisto. Non vedo particolari vincoli ambientali, siamo fuori dal territorio del Parco delle Serre. Manca solo il nulla osta paesaggistico, ma non c’erano i tempi per richiederlo e presenteremo le carte nei prossimi giorni. Questo progetto rappresenta una splendida opportunità per sviluppare il territorio montano del nostro comune e per porre un freno allo spopolamento».

    L’idea di fondo è quella di sfruttare radicalmente le ricchezze della montagna con la creazione di una serie di percorsi turistici che, con la costruzione della cestovia, sarebbero facilmente accessibili e consentirebbero la creazione di numerosi posti di lavoro. «L’unica nostra speranza di sviluppo è puntare sulla montagna. Il nostro territorio è situato in un posto strategico, a 10 minuti dall’autostrada, e con l’intero patrimonio viario che porta in cima, appena rimesso in sesto. Con la realizzazione dell’infrastruttura potremmo portare i turisti in pochissimo tempo fino alla sommità di monte Coppari».

    capistrano-vuole-sciare-senza-neve-ma-soldi-ministero-fanno-miracoli
    La nebbia avvolge uno dei sentieri che porta al monte Coppari (foto pagina Fb “Sei di Capistrano se”)

    Che per considerarla vera e propria montagna, un po’ bisogna crederci. Almeno se la si prende in considerazione dal punto di vista della capacità di ospitare un impianto sciistico: rare le nevicate, rarissime quelle che consentirebbero di tenere in piedi un tracciato. I cannoni servono a questo. «Sono macchine di ultima generazione – spiega ancora Martino – che prevedono un consumo bassissimo di energia e un limitato sfruttamento di acqua. Anche se quello dell’acqua per noi non rappresenta certo un problema. Il nostro territorio si trova “seduto” su un tesoro di sorgenti, creare la pista da sci è un modo per sfruttare al meglio anche questo nostro asset naturale. E poi abbiamo fatti i conti: a pieno regime lo sfruttamento della cestovia frutterebbe al comune – che su questo progetto non sborserà nemmeno un soldo delle sue casse – circa 1,8 milioni di euro all’anno».

    capistrano-vuole-sciare-senza-neve-ma-soldi-ministero-fanno-miracoli
    Il municipio di Capistrano illuminato con i colori della bandiera italiana

    Montagna violata

    E se il progetto di sviluppo montano messo in cantiere dall’amministrazione di Capistrano comincia a muovere i suoi primi passi anche le associazioni ambientaliste, Wwf in testa, cominciano ad attivarsi per capire fino in fondo che tipo di intervento si intende realizzare e quale impatto ambientale possa avere su un territorio già sull’orlo di una crisi di nervi, con l’ipotesi, tutt’altro che remota, della costruzione di un parco eolico tra i comuni di Monterosso e Capistrano, sullo stesso monte Compari.

    Il progetto, finanziato con i fondi del Pnnr, prevede l’innalzamento di alcune pale meccaniche dell’altezza di circa 160 metri e il contestuale abbattimento di circa 250 alberi di faggi. Progetto a cui le associazioni del posto si sono messe di traverso tanto da mettere in piedi, nel dicembre scorso, la manifestazione “abbraccia un faggio”, nella speranza di evitare l’ennesimo intervento invasivo sulle nostre montagne.

  • Parchi di Calabria: quei tre paradisi a un passo dal cielo

    Parchi di Calabria: quei tre paradisi a un passo dal cielo

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Il Piano di Gaudolino è una prateria chiusa tra Serra del Prete e il monte Pollino. Norman Douglas la percorse sul dorso di un mulo per giungere a Morano. Probabilmente attraversò la via dei Moranesi, ripido sentiero tracciato tra le rocce, in passato – ma ancora oggi – usato per trasferire il bestiame dai pascoli bassi a quelli di alta quota. Oggi quel tracciato resta uno tra i più impegnativi tra quelli affrontati dagli escursionisti. Nemmeno per Douglas deve essere stato comodo restare saldamente sulla groppa del mulo scendendo da lì. Tuttavia il viaggiatore inglese nelle sue pagine parla di un «senso di pace» attraversando quello che oggi è il parco più grande d’Italia.

    Piano di Gaudolino, escursionisti nella neve

    Il turismo calabrese è turismo di mare, dato inevitabile considerati gli ottocento chilometri di costa. Ma nelle aree interne si cela un’anima all’insegna della wilderness. Il termine inglese dovrebbe indicare un’area selvaggia, ma non rappresenta autenticamente quei luoghi, che sarebbe forse più opportuno definire “arcaici”.
    Oggi questa residua arcaicità è sotto la tutela di tre parchi, quello del Pollino, della Sila e dell’Aspromonte.

    Aspromonte, le cascate del Maesano

    Parchi di Calabria: il più antico

    Quello più antico è quello della Sila, le cui radici affondano nel lontanissimo 1923. Un anno dopo l’avvento del Fascismo qualcuno aveva guardato alla Calabria come un’area ricca di biodiversità. Quelli erano tempi in cui forse quel concetto non era nemmeno stato pensato, né si parlava di tutela ambientale. Anzi, la Sila conosceva un saccheggio boschivo intenso. Eppure Francesco Curcio, presidente del Parco della Sila ed ex ufficiale del Corpo Forestale, racconta che storia parte da lì. Era evidente che l’ambiente non fosse una priorità del regime e infatti di quel proposito non si fece nulla. Ma poi fu ripreso «nel 1968, quando nasce il Parco della Calabria, rappresentato da tre aree protette, una per la provincia di Cosenza, una di Catanzaro e infine quella di Reggio».

    Sila, il lago Arvo

    Queste aree solo successivamente assunsero il ruolo di parchi dell’Aspromonte e della Sila. «Oggi il parco si estende per circa 74 mila ettari, prevalentemente boschivi e riconosciuti come area protetta inclusa dall’Unesco tra quelle classificate “Mab” (Man and biosfhere). Al suo interno sono stati classificate ben 175 specie di invertebrati autoctone» spiega l’ex colonello della Forestale.

    La Sila innevata

    Dei tre parchi quello silano è forse quello maggiormente antropizzato. Le ragioni vanno dalla caratteristiche orografiche, che lo rendono più facile sul piano escursionistico, a una maggiore e più frequentata rete stradale. Questo per un verso è un potenziale vantaggio, portando maggiore afflusso turistico. Ma pone anche il problema di coniugare la massiccia presenza dell’uomo con la tutela dei territori. Curcio ne è consapevole e spiega come soltanto con la vigilanza e l’educazione del turista si possa promuovere un turismo sostenibile.

    I boschi assediati dalla processionaria

    A minacciare i boschi della Sila però non è solo il turismo selvaggio, ma anche la presenza significativa della processionaria. Curcio prova a stemperare la preoccupazione, limitandosi a citare i potenziali pericoli per chi toccasse le larve dell’insetto che si nutre degli aghi dei pini. Ma aggiunge di aver sollecitato la Regione a prendere provvedimenti. E in effetti l’assessore Gallo conferma un massiccio impegno di «ben 4 milioni di euro per un piano concordato con le università e gli agronomi, affidato alle maestranze di Calabria Verde che sono state adeguatamente formate». Il piano d’attacco per adesso prevede delle «trappole poste alla base dei pini per raccogliere le larve e nei mesi successivi l’impiego di un prodotto biologico da spargere con le autobotti o gli elicotteri». Lo stesso Gallo, però, cautamente ammette che per vedere risultati ci vorrà parecchio tempo.

    Processionaria in Sila

    Parchi di Calabria: il presidente più longevo

    Domenico Pappaterra è il presidente del parco del Pollino. Guida l’ente sin da 2007 e questo fa di lui il presidente più “vecchio” delle aree protette calabresi. Il Pollino è il parco più grande d’Italia, con 56 comuni, tre province e due regioni: la Basilicata e la Calabria. E Pappaterra rivendica d’essere riuscito a costruire nel tempo una identità unica del parco, «superando le mille difficoltà derivanti dalla sovrapposizioni di competenze di enti differenti». L’area si stende dalle potenti montagne dell’Orsomarso, che si affacciano sul Tirreno, fino alle gole che sfiorano lo Ionio. Il parco è patrimonio Unesco per quanto riguarda le faggete vetuste e al suo interno comprende cinque cime oltre i duemila metri.

    Pini loricati “a guardia” del Pollino innevato

    Il Pollino ha una sua sacralità, fatta di silenzi e luoghi nei quali puoi camminare per una intera giornata senza incontrare altre persone. I pini loricati che si ergono come sentinelle sui crinali imbiancati d’inverno, oppure si stagliano contro al sole come fossili testimoni di epoche lontane. Pappaterra orgogliosamente ricorda che il parco è incluso nella Carta del turismo sostenibile, certificazione rilasciata a dall’Europark federation, ente che rappresenta tutti i parchi europei. Il futuro, spiega, si gioca sulla formazione degli operatori che potranno poi offrire un servizio di guida ai visitatori, mentre ultimamente «il presidente Draghi ha portato alla conferenza dei parchi di Glasgow l’esperienza virtuosa del Pollino».

    La natura ai piedi del Pollino

    Dove osano le aquile

    La pista da sci di Gambarie è breve, ma così ripida che pare che alla fine ti tuffi nello Stretto. L’Aspromonte è un parco difficile, di quelli che esigono buone gambe e ottimo fiato, ma visitarlo significa immergersi in un luogo separato dal tempo, con gole profonde, fiumare antiche e cascate impetuose. Il presidente è Leo Autelitano, che ricorda le faggete vetuste, patrimonio Unesco, gli 89 siti di interesse geologico e naturalistico, l’impegno profuso nel riaprire i centri di accoglienza e il patrimonio faunistico del parco, con l’aquila del Bonelli «che del Parco è il simbolo», il lupo, il capriolo.

    Aspromonte, fiumara Amendolea

    Al fuoco, al fuoco

    L’estate è la stagione del fuoco, dei boschi dati alle fiamme. La Sila forse è l’area boschiva meno interessata, ma Pollino e Aspromonte fanno i conti ogni anno con questo appuntamento. L’opera di spegnimento degli incendi è competenza regionale e specificamente di Calabria Verde. I parchi, però, si sono organizzati in modo omogeneo con squadre di volontari che hanno il compito segnalare tempestivamente gli inneschi.

    Quel che resta degli alberi bruciati in Aspromonte nell’estate 2021

    Sul Pollino le squadre sono 22, dotate di furgoni utilizzabili per un primo intervento, mentre diverse telecamere sono piazzate per tenere sotto controllo le aree a maggiore rischio. Lo stesso accade negli altri parchi, impiegando risorse destinate alle associazioni che con il loro impegno svolgono il compito di vigilanza. In Sila nel 2021 ci sono stati 16 inneschi, 15 dei quali soffocati sul nascere, mentre sul Pollino da quest’anno saranno usati anche velivoli ultraleggeri per monitorare le aree.

    Le guide nei parchi della Calabria

    Chi condusse Douglas attraverso il suo viaggio calabrese oggi sarebbe una guida. Qualcuno, cioè, in grado di muoversi in sicurezza tra i terreni impervi e raccontare al viaggiatore le storie e i costumi del luogo. Oggi i parchi hanno le loro guide e Ivan Vigna, ex coordinatore delle guide della Sila spiega che il primo corso di formazione risale al 2009. Una guida deve conoscere tutti gli aspetti del territorio, quelli naturalistici ma anche relativi alle tradizioni popolari. Dai loro racconti emerge una potenzialità trascurata, quella del turismo montano, figlio meno coccolato delle località marine.

    Rafting sul fiume Lao

    Eppure «la montagna sarebbe in grado di andare oltre il limite dell’alta stagione, vivificando attività nel corso dell’intero anno», spiega Luca Lombardi, coordinatore guide dell’Aspromonte. Una posizione non diversa da quella rappresentata da Andrea Vacchiano, guida del Pollino, per il quale è necessario potenziare le infrastrutture, garantire la praticabilità delle strade anche d’inverno, per dare impulso al turismo invernale, che sul Pollino fin qui è stato penalizzato. Lombardi si spinge oltre, lamentando l’assenza di una reale interlocuzione con le istituzioni regionali, così come di una legge regionale a tutela della professione delle guide. Ma, soprattutto, Lombardi suggerisce un diverso punto di vista. Per lui «parlare di turismo delle aree montane vuol dire parlare dei servizi essenziali, di strade, scuole, uffici postali, altrimenti i paesi si svuoteranno e noi faremo turismo tra case fantasma». Perché una montagna spopolata è una montagna che muore.

    Cavalli nel Parco nazionale del Pollino
  • Mobilità sostenibile: il sogno di Cosenza senz’auto

    Mobilità sostenibile: il sogno di Cosenza senz’auto

    Sono le sette del mattino del 25 giugno 2032, la temperatura è gradevole.
    Cosenza, di solito bollente d’estate, sembra più fresca del solito. Sulla mia bici percorro via Roma fino a piazza Loreto. Le auto parcheggiate ovunque, le doppie e triple file, sono un ricordo del decennio precedente.
    Mi sovviene, quando nel 2021, sono ritornato a Cosenza, quanto invivibile e zeppa di auto, smog, traffico, fosse questa piccola città. Oggi è trasformata in un giardino:  ovunque piste ciclabili, parchi verdi, piazze piene di alberi, percorsi pedonali e autobus pubblici a idrogeno che trasportano cittadini da una parte all’altra.
    Mi sono trasferito a Cosenza Vecchia, come da sempre viene chiamata la parte alta della città. Ma di vecchio qui è rimasto poco, se non le mura restaurate di case e palazzi.

    Cosenza futuribile e bella

    Le strade, i vicoli, le piazzette, si sono rianimate. Sono piene di gallerie d’arte, negozi selezionati, ristoranti biologici e vegetariani, nuovi artigiani digitali, centri di ricerca, giovani studenti di Accademie e luoghi per la creatività e l’innovazione.
    Mi sorprendo a pensare che i fondi del Pnrr sono stati spesi bene al Sud. Che il New Green Deal e il New European Bauhaus sono serviti non solo a cambiare i luoghi, ma anche le coscienze di cittadini e amministratori

    mobilita-cosenza-allarme-caos-inquinamento
    Traffico su via Misasi

    Un brutto risveglio

    Mi sveglio: sono le sette del mattino del 25 giugno 2022, e mi sorprendo a pensare, che bel sogno che ho fatto. Ma non so ancora, incredulo, se davvero affacciandomi non sia accaduto qualcosa di magico, miracoloso nella notte.
    Mi rompe un timpano l’ennesimo clacson di un autobus bloccato dal solito villano parcheggio in doppia fila, negli spazi della caotica piazza Riforma, un folle crocevia di auto in quantità assurde, smog e caldo. Purtroppo ho sognato: la realtà amara è sotto i miei occhi e orecchie!
    E torno a riflettere su quanto questa pregevole località calabrese, potenziale capofila di un radicale rinnovamento dei modelli urbanistici meridionali, sia sorda ai tantissimi campanelli di allarme che provengono dalla grande massa di auto.

    Inquinatori e incivili

    Le macchine fendono le vie ogni giorno, occupano con prepotenza spazi pedonali, inquinano, non rispettano le – estinte – strisce pedonali.
    Provocano enorme disagio a chiunque desideri, già oggi, muoversi in maniera ecologica: a piedi, in bici, coi pochi mezzi pubblici.
    Nel caos degli innumerevoli fioristi, fruttivendoli (ma davvero i cosentini consumano tutti questi ortaggi?) legali e abusivi, nello slalom tra plateatici di bar, caffetterie, friggitorie e parcheggi assurdi, la città muore, letteralmente soffocata. E vedere un vigile urbano che provi a snellire solo qualcuna di queste situazioni è come trovare un terrestre su Marte.

    mobilita-cosenza-allarme-caos-inquinamento
    Polizia municipale in azione

    Ribadire che sulla mobilità si gioca il presente e futuro delle città e delle comunità urbane, non è affatto scontato. Sembra uno dei tanti problemi, invece questo è: il problema. A Cosenza, a Catanzaro, a Reggio. Ovunque le città abbiano assunto dimensioni disumane e sproporzionate rispetto alle reali esigenze abitative e di spostamenti.

    Cattive abitudini

    Alcuni dati inconfutabili: solo il 26,40% dei cittadini di Cosenza-Rende si muove a piedi o in bici, ben il 60,90% lo fa in automobile, e circa un ulteriore 12,86% usa i mezzi pubblici.
    A Cosenza il verde pubblico occupa appena il 2,2% dell’area urbanizzata. Lo standard per abitante è pari a 11,9 metri quadri, ma questo perché parte della superficie comunale ha zone naturalistiche (il Crati, il Busento, aree agricole, orti, ecc.).
    Nella realtà, il verde è ben al di sotto dello standard minimo urbanistico e sotto la media per densità di tutte le tipologie di aree verdi (dati Istat e Por Calabria 2014-2020).

    Le auto sono la principale fonte di inquinamento da polveri sottili a Cosenza

    Tra le 8 e le 12 e tra le 17 e le 19, i picchi di traffico hanno impennate preoccupanti. Creano caos, con quantità significative di autobus extraurbani e mezzi in entrata e uscita da Cosenza per raggiungere le attività di rango provinciale del capoluogo.
    Il parco auto è vetusto e presenta un 54,70% di auto a benzina, il 41,12 diesel, il 3,78% tra metano e gpl, e solo lo 0,4 ecologico.

    Allarme polveri sottili

    Un dato preoccupante emerge dai dati atmosferici, che collocano Cosenza tra le categorie A e B, le più instabili. Infatti, la percentuale di pm (polveri sottili) va oltre i 2,5 micron e in alcune zone, tocca i 10. Ciò, come provato, significa che le particelle da 10 micron sono inalabili e si accumulano nei polmoni. Quelle da 2,5 micron, invece, possono finire nel sangue e raggiungere varie parti dell’organismo (fonte Ministero Salute).
    Da questa lettura impietosa deriva la necessità di una Agenzia della Mobilità Urbana di Cosenza, dedicata esclusivamente a questa delicata tematica. Un rimedio che va ben oltre un generico assessorato o un ulteriore carico di personale già sovraccarico.

    Ripensare la città

    Ma esso non può essere scollegato dal ripensamento complessivo della struttura urbanistica della città. Ragionando a compartimenti stagni e solo per specialismi, si torna sempre al punto di partenza. Cioè, si risolvono in forma parziale e non organica i problemi urbanistici generali.

    mobilita-cosenza-allarme-caos-inquinamento
    Una panoramica di Cosenza

    Non è una città perfetta quella cui aspirare, ma una rinnovata comunità in equilibrio, educata e rieducata, anche con robuste campagne di marketing urbano-civico. Per realizzarle, occorre che l’auspicata, necessaria, Agenzia si dia un tempo (una legislatura) per progettare e poi testare (una seconda legislatura) il nuovo sistema di mobilità sostenibile.

    Un obiettivo minimo

    Concretamente: per stare nei parametri europei Cosenza deve raggiungere, entro dieci anni, il 35% di auto circolanti, il 35 % di pedoni e bici.
    Inoltre la città, si deve dotare in maniera corposa di ciclovie, pedovie, parchi urbani e un 30% di mezzi pubblici elettrici (ancora meglio a idrogeno) con nuove linee dedicate e parcheggi di interscambio per ridurre l’ingresso di mezzi privati in città. Infine, serve una robusta cura di verde. Ovunque. Comunque.

    La volontà oltre gli ostacoli

    Una rivoluzione sostenibile a Cosenza (e altrove) è possibile solo se esiste il desiderio collettivo di sfidarsi. Oltre la normalità quotidiana, oltre la rinuncia e la rassegnazione, oltre la banalità dell’impossibile.
    Oltre quel generico «non si può fare», «non ce la faremo mai», pretesto sempre buono per non fare davvero nulla.
    I sogni si realizzano solo con una ferrea volontà politica e civica. Al 2032 mancano dieci anni, tanti per sperare, per fare, per cambiare.

  • Mare da bere? Il potenziamento del depuratore può attendere

    Mare da bere? Il potenziamento del depuratore può attendere

    In questi giorni avremmo dovuto assistere all’inizio dei lavori di potenziamento del depuratore di Paola. Un progetto ambizioso: 4 milioni di euro sono stati investiti per migliorare l’impianto esistente, in località Pantani, e per allacciare 8 zone della città alle reti fognarie. Tutto rimandato.
    In teoria, è quasi tutto pronto: il progetto prevede di aumentare la portata dell’impianto da 38mila a 50mila abitanti equivalenti. La gara d’appalto è stata vinta dalla Mansueto Snc, che si occuperà sia della gestione che della manutenzione del depuratore di Paola. C’è già l’ok a progetto esecutivo e relative modifiche. Eppure, è ancora tutto fermo.

    Cinque anni senza autorizzare il depuratore di Paola

    Sullo sfondo, ci sono le elezioni comunali, che ancora devono vedere un vincitore. Al primo turno c’è stata la batosta per il sindaco uscente, Roberto Perrotta, che non è riuscito ad arrivare al ballottaggio per pochi voti. Il 25,2% non è bastato per garantirsi un posto al secondo turno. Il prossimo 26 giugno saranno Emira Ciodaro e Giovanni Politano a sfidarsi per ottenere la poltrona di primo cittadino.
    Sul depuratore di Paola, quindi, ci sarà una nuova amministrazione a prendere le decisioni. E ci sono ancora delle questioni rimaste in sospeso.

    Il lungomare di Paola

    Il Comune non ha l’autorizzazione per lo scarico delle acque reflue del depuratore. «Scaricano, ma l’autorizzazione non c’è. La richiesta è del lontano 2017», racconta Chiara Polizza, referente locale della associazione Mare Pulito, che si è confrontata con l’amministrazione sul progetto.
    Il Comune ha presentato ben 5 anni fa la domanda alla Provincia per l’impianto esistente. Sostiene di non aver mai ricevuto una risposta. Non è un dettaglio di poco conto: senza un’autorizzazione vera e propria, non si capisce chi dovrebbe fare le analisi delle acque reflue, fondamentali per capire le performance del depuratore.

    Il tempo corre

    Un’altra questione irrisolta è quella della manutenzione, che fino almeno al 30 settembre prossimo sarà sotto le mani della Ecotec, la società che ha gestito il depuratore di Paola fino a questo momento e che ha ottenuto una nuova proroga del contratto. «Però il Comune voleva implementare il lavoro della Ecotec con la nuova ditta assegnataria dei lavori». Così come andrà deciso chi deve fare le analisi delle acque (e con quale frequenza) del depuratore di Paola.

    https://www.facebook.com/watch/?v=432000725112992&ref=sharing

    Salvo miracoli, è difficile pensare che i lavori possano partire durante l’estate. «Il processo di attivazione di una linea richiede 4 settimane. La depurazione è un processo naturale, sono batteri che mangiano la parte organica, la trasformano in minerale. Per avere una colonia di batteri che soddisfi il fabbisogno, bisogna avere il tempo di farli crescere. È un processo che va attivato per tempo» ci spiega Luigi Sabatini, co-presidente del comitato scientifico di Legambiente.
    Per ora, la situazione sul Tirreno cosentino è di calma apparente. Il mare è pulito, anche se ci sono già stati i primi avvistamenti delle chiazze marroni in alcune spiagge, a Paola come nel resto del territorio della provincia.

    Il depuratore di Paola e l’interventismo regionale

    Lo stesso Roberto Occhiuto si è mostrato attento alla situazione del depuratore di Paola. Ad aprile, durante un punto stampa con i giornalisti, il presidente della Giunta regionale l’aveva citata, insieme a Fuscaldo, come città particolarmente problematica, dove «forse anche edifici pubblici non sono collettati. Un inquinamento che non è arginabile nemmeno dal buon funzionamento dei depuratori».
    Per quest’estate, non si vedono rivoluzioni in vista. «Io spero che si riuscirà ad avere un mare almeno per il 40-50% più pulito», aveva dichiarato il presidente.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Però, da quando si è insediata la nuova giunta, la Regione ha incarnato un nuovo interventismo sul tema, e in generale sulla salvaguardia dell’ambiente.
    Lo scorso 17 marzo, la Regione ha preso in mano la gestione dei fanghi da depurazione nei comuni più in difficoltà sulla fascia tirrenica, tra Tortora e Nicotera. L’ultimo intervento “muscolare” è del 17 giugno. Con un’ordinanza, Occhiuto ha deciso che il Corap dovrà sovrintendere la gestione di 14 impianti, fino al prossimo 30 settembre.
    Il commissario Sergio Riitano gestirà i depuratori di:

    • Nocera Terinese
    • San Lucido
    • Ricadi
    • Fuscaldo
    • Pizzo
    • Tropea
    • San Nicola Arcella
    • Belvedere Marittimo
    • Guardia Piemontese
    • Sangineto
    • Belmonte Calabro
    • Parghelia
    • Zambrone
    • Briatico

    In queste strutture la Regione ha «accertato il mal funzionamento di sezioni impiantistiche deputate alla depurazione delle acque reflue con la conseguente compromissione del processo di trattamento e con conseguente pericolo per la salute umana e per l’ambiente». Occhiuto ha annunciato ulteriori dettagli sull’ordinanza per la mattina di lunedì 20 giugno.

    La caccia agli abusivi

    Per prendere il toro per le corna, la Regione ha rafforzato i controlli sui corsi d’acqua, sia con l’aiuto di Arpacal, sia con la stazione zoologica Anton Dohrn, con cui ha  stipulato una convenzione per la tutela del mare e delle coste calabresi, a novembre 2021.
    Durante l’anno c’è stata la mappatura di corsi d’acqua, scarichi, vari siti inquinati. «La Regione Calabria, attraverso Arpacal ha recentemente attivato un piano di rafforzamento per il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee. Quest’ultima attività consentirà una classificazione delle acque sotterranee della Calabria secondo quanto previsto dalla Direttiva Acque», ci ha raccontato Michelangelo Iannone, direttore scientifico di Arpacal.

    depuratore-deep
    Uno scatto relativo all’operazione Deep

    Il fermento ha portato a nuovi interventi delle forze dell’ordine, per colpire gli scarichi abusivi o irregolari. Lo scorso 24 marzo è stata la volta della operazione Deep. I carabinieri hanno messo i sigilli a 5 impianti nelle province di Catanzaro, Cosenza e Vibo Valentia.
    Un mese dopo, gli inquirenti si concentrano sulla provincia di Reggio Calabria, con l’operazione Deep 1. I Carabinieri hanno controllato 48 strutture in provincia di Reggio Calabria, dichiarandone irregolari 14. Per tre di queste è scattato il sequestro, insieme ad un impianto di sollevamento (a Campo Calabro) e a un canale di collegamento delle acque reflue (Sant’Agata del Bianco). Le operazioni Deep 2 e Deep 3 hanno continuato su questa falsariga.

    Avanti piano

    I passi avanti sono evidenti, ma ci vorrà molto tempo e lavoro per avere un quadro preciso. E, come sottolineato dal generale Salsano alla Gazzetta del Sud, non basta la repressione. Continuare a potenziare il monitoraggio renderà più facile individuare i siti problematici. Michelangelo Iannone, presentandoci i dati, ci ha raccontato che su 102 impianti controllati dai tecnici dell’Agenzia nel 2021, «oltre un terzo è risultato irregolare per la mancata conformità dei parametri sia chimici che biologici». Di questi, 11 sono nella provincia di Cosenza.

    paola-depuratore-stallo-il-potenziamento-puo-attendere

    Anche sui comuni non collettati non sono stati fatti grandi passi avanti dai tempi dell’ultima procedura di infrazione europea contro l’Italia sul trattamento delle acque reflue. In Calabria ci sono quasi 150 centri che hanno zone scollegate dalla rete fognaria, stando ai dati del Commissario Straordinario Unico per la Depurazione.
    La Calabria è l’unica Regione dove persino il capoluogo ha delle parti di città non coperti dalla rete fognante. Avremmo dovuto metterci in regola nel lontano 2005, ma non è successo.

    I fanghi spariti e la manutenzione inesistente

    La Calabria è piena di «impianti fermi, impianti da efficientare, ed impianti inesistenti». Ci ricorda Sabatini, citando il caso del depuratore di Pizzo Calabro, in località Carcarella: una delle strutture commissariate dalla Regione. «Da 5 anni monitoro la situazione dei depuratori. Per me, non è cambiato nulla. Quello che c’era nel 2016, c’è nel 2022. Ci sarà qualche piccola novità, come Priolo, che è riuscito a sistemare qualche impianto. Ma niente che stravolge la situazione attuale»
    Quelli che ci sono, potrebbero fare molto di più: «Su una capacità totale di 3 milioni di abitanti equivalente, viene servito 1 un milione di abitanti, l’acqua dovrebbe essere ottima, ma non è così».

    Un’altra incognita è quella dei fanghi prodotti della depurazione. Nel senso che i dati sono quasi inesistenti. Le città li comunicano a macchia di leopardo, quando non mancano del tutto. Sul sito della Regione, i dati dei report provinciali sono aggiornati al 2017. E, senza dati costantemente aggiornati e accessibili, non si può valutare a fondo le condizioni di un impianto. I fattori da valutare sono tanti, così come le cose che possono andare storte.
    I fanghi incastrati nelle tubature degli impianti contribuiscono a renderli più inefficienti. Dalle ultime inchieste è emerso che oltre 22mila tonnellate di scarti stanno bloccando gli impianti di tutta la Regione.

    paola-depuratore-stallo-il-potenziamento-puo-attendere

    La manutenzione è un altro dei punti focali: dovremmo aver imparato la lezione, dopo anni di malagestione in tutto il territorio. «Tutti i comuni dichiaravano quantità di fanghi inferiore rispetto a quello che ci aspetta dalla letteratura scientifica. Per ogni metro cubo di acqua trattata dovrebbe uscirne fuori 2 kg di fanghi», ci spiega Sabatini.
    Il sistema attuale, ad esempio, non incentiva allo smaltimento regolare dei fanghi. Chi se ne occupa, di solito, riceve un pagamento forfettario, che non è legato alla quantità di fanghi che vengono lavorati: «Fingere di depurare bene aiuta a risparmiare. I fanghi devono essere pagati in base alla misura».
    Legambiente propone da tempo di non affidare allo stesso soggetto la gestione e la manutenzione dell’impianto. Una scelta che viene fatta spesso, per semplicità, ma che carica di spese e lavoro un solo soggetto.

    Il peso dell’acqua inquinata

    Sappiamo che è un problema vasto, che non riguarda solo gli scarichi abusivi. In mezzo ci stanno infrastrutture fatiscenti, progetti mai finiti, paesi non collegati alla rete fognaria, impianti dimensionati male, e altri che non dividono il trattamento delle acque nere e quelle bianche. E una diffusa insensibilità verso ciò che ci circonda, e che ci tiene in vita.
    Stare a contatto con l’acqua contaminata è sempre un rischio. In particolare, ingerirla può far insorgere delle malattie gastrointestinali. «Importante in termini di possibili ricadute sulla salute può essere la presenza di sostanze in grado di interferire col sistema endocrino, specialmente nelle acque potabili», spiega Iannone. Un fattore monitorato costantemente dall’Arpacal è quello legato alla presenza di metalli pesanti, «alcuni dei quali sono causa riconosciuta di patologie neurologiche».

    I contaminanti, poi, possono finire nel cibo che mangiamo. «Metalli pesanti, sostanze come PFAS, pesticidi ed altre vengono continuamente monitorate, sulla base delle indicazioni dettate dalla legge, proprio allo scopo di mettere in evidenza l’eventuale presenza di tali inquinanti, con il fine ultimo di identificare e rimuovere la causa dell’inquinamento», precisa ancora Iannone.
    Poi, ci sono le evidenze economiche. Un turismo che plana, ma non decolla mai. Non è un caso se, come riportato dal Sole 24 Ore il 15 giugno, il Sud, in generale, è la macro regione dove ci sono meno turisti. Mancano sia i viaggiatori interni, che esterni. E se il trend è in risalita, è difficile pensare che possa avere un impennata in tempi brevi, se le infrastrutture sono queste.

  • Sognando la Calabrifornia: l’esercito del surf sulle onde di Jonio e Tirreno

    Sognando la Calabrifornia: l’esercito del surf sulle onde di Jonio e Tirreno

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Ne ha fatta di strada quest’onda. È nata sulle coste africane e ha viaggiato per migliaia di chilometri prima di arrivare con tutta la sua potenza ad impattare qui, sul litorale calabrese, e farsi cavalcare dalle tavole dei surfisti che l’hanno attesa e sognata per giorni.
    Sono circa trecento i surfisti in Calabria. Impossibile però contarli uno ad uno, lasciano le loro tracce solo nei gruppi whatsapp e sulle pagine social che documentano memorabili giornate in mare. È risaputa la ritrosia a rivelare coordinate precise riguardo alle spiagge su cui arrivano le onde buone, per salvaguardarle dal sovraffollamento. Perché se si è in troppi a lanciarsi in acqua non ci si diverte, o peggio, si rischia di farsi male.

    Il sogno di essere parte della natura

    «Ci studiamo le previsioni del tempo, cerchiamo di conoscere con largo anticipo l’arrivo della mareggiata e una volta individuata ci prepariamo a raggiungerla”. Antonio Ciliberto, più noto come Tony Cili, 34enne di Crotone, è un vero waterman, un appassionato di sport acquatici. Lo si può vedere su Instagram planare sulle onde, felice come un bambino, perché il surfista più bravo è quello che si diverte di più.

    «Da piccolo vedevo nei film i surfisti e sognavo di diventare uno di loro. Adoro le emozioni che questo sport riesce a darmi, adoro sentirmi parte della natura». Ci vuole il fisico, certo, ma questa è un’attività che aiuta a mantenersi in forma. Fino a quando si può praticare? «Spero di poter continuare a surfare fino a 100 anni», scherza Tony. «Del resto in altri paesi mi è capitato di vedere 85enni ancora energici».

    Sport, ma anche stile di vita

    Per entrare nel mondo del surf bisogna familiarizzare con lo slang e comprendere i riti e i tempi di una passione che non è semplicemente sport, ma stile di vita. La Calabria, con i suoi 800 km di coste bagnate dal mar Ionio e dal mar Tirreno offre “spot” con onde di qualità da est a ovest e una gamma inesauribile di scorci da scoprire. Bovalino, Copanello, Squillace, Gizzeria, Roseto Capo Spulico sono solo alcune delle località predilette da chi fa surf. E ogni spiaggia ha un nome in codice a prova di intercettazione: Munnizza, Madami, Certi campetti, Lavazza, La torre, Le serre, Lo scoglio, Zinno point, Copa, Il traliccio, Il parcheggio e molti altri.

    Le stagioni del surf in Calabria

    Da ottobre ai primi di aprile – proprio mentre le mareggiate minacciano le linee ferroviarie e i centri abitati – i surfisti s’infilano le loro mute e si lanciano sulle onde. Si ritrovano dalla sera prima, dormono nei pressi della spiaggia in macchina, nei camper, nei furgoni, aspettano l’alba per scrutare l’orizzonte, pronti a tuffarsi. Da maggio lo Jonio va “in letargo”, mentre il Tirreno riceve mareggiate anche nei mesi estivi.

    surf-calabria-la-grande-onda-del-turismo-ancora-da-cavalcare
    Mimmo Gaglianese, uno dei pionieri del surf in Calabria

    In Calabria il surf è arrivato in ritardo rispetto a quanto accaduto nel resto d’Italia. Le prime tavole sono comparse negli anni ’90 e oggi in acqua cominciano ad entrare le seconde generazioni. Come nel caso di Mimmo Gaglianese, uno dei pionieri, che ha trasmesso al figlio la sua grande passione. Molto è cambiato in questi anni in cui le spiagge più ambite sono state “colonizzate” da surfisti che arrivano da altre regioni, in particolare Lazio, Campania e Puglia.

    surf-calabria-la-grande-onda-del-turismo-ancora-da-cavalcare
    La passione di suo padre Mimmo ha contagiato anche Marco Gaglianese, qui in azione

    Un’opportunità per il turismo

    Dietro il surf c’è un potenziale turistico che per il momento in Calabria viene ignorato. «Potrebbe essere strategico per allungare la stagione da ottobre ai primi di maggio: praticamente dove finisce l’interesse del turista tradizionale comincia quello del surfista». A spiegarlo è Gianpaolo De Paola, cosentino, in arte Gizmo. «Ma bisognerebbe preservare i punti costieri dove riceviamo onde di qualità. Servirebbe quindi un cambio di passo rispetto a quello che la politica ha fatto fino ad oggi». I pennelli, le famigerate T, spezzano il moto ondoso oltre a creare danni alle spiagge. «Se non ci fossero interessi che evidentemente remano contro, le barriere sommerse potrebbero rappresentare un’alternativa rispettosa della linea costiera. Noi ci spostiamo. Viaggiamo – continua De Paola – e constatiamo come le altre regioni portino avanti esperienze virtuose che risolvono il problema dell’erosione costiera ma hanno un impatto positivo sul turismo».

    surf-calabria-la-grande-onda-del-turismo-ancora-da-cavalcare
    Guerino “Papà” Preite osserva le onde prima di entrare in acqua

    La grande famiglia del surf in Calabria

    Con gli anni la “comunità” dei surfisti calabresi ha imparato a condividere informazioni, esperienza e – vincendo la tradizionale diffidenza – persino le spiagge. «Siamo una grande famiglia. Rimaniamo in contatto attraverso i social e ci aggiorniamo sulle previsioni del tempo. Al momento giusto ci diamo appuntamento e in attesa che arrivi la mareggiata trascorriamo le notti insieme, parcheggiamo vicini i nostri camper o i furgoni e magari accendiamo il barbecue», racconta Gianpaolo.

    All’appuntamento con le onde bisogna arrivare preparati, non basta la prestanza fisica, la caratteristica fondamentale da possedere si chiama acquaticità. E poi bisogna conoscere le correnti e imparare a gestire la paura che in certi momenti – quando ti trovi nel mezzo di onde alte due metri – toglie il fiato. «Sottostimare le dimensioni di una mareggiata o sovrastimare le proprie capacità può mettere a rischio la vita», chiarisce De Paola.

    L’adrenalina vince la paura

    A lui è successo. «Mi trovavo a Guardia Piemontese, un’onda anomala alta circa quattro o forse cinque metri mi ha seppellito. Quando sono riuscito a risalire per prendere fiato ho visto arrivare un treno di altre onde che mi hanno di nuovo mandato giù. Mi ci è voluto parecchio per riprendermi. Sono esperienze di puro terrore che chi pratica surf conosce bene, ma è l’adrenalina che ti fa amare questo sport e ti fa pensare: bene, non sono morto. Voglio rimettermi alla prova». Dopo esperienze di questo tipo si esce dal mare un po’ ammaccati, ma spesso ad avere la peggio sono le tavole che si lesionano a contatto con il fondale.

    Gianpaolo “Gizmo” De Paola

    Tavole da surf made in Calabria

    Francesco Cerra vive a Catanzaro ed è uno shaper, ovvero realizza artigianalmente tavole da surf ed è l’unico in Calabria. «Ho cominciato nel 2017. Avevo voglia di riprodurre una tavola a cui ero molto affezionato – spiega – e che si era rotta. Ho imparato a farlo da me, da autodidatta». È il fondatore dell’associazione Copa Bay Surf di Squillace che oltre a riunire un nutrito gruppo di surfisti, organizza corsi e promuove attività sociali e ambientali come la pulizia delle spiagge e della pineta. «Costruisco e riparo le tavole per i miei amici. È un modo per sentirmi ancora di più parte di questa comunità di surfisti».

    surf-calabria-la-grande-onda-del-turismo-ancora-da-cavalcare
    Francesco Cerra è l’unico in Calabria a realizzare tavole da surf

    I prezzi? Modici: “Non è il mio lavoro principale per cui l’obiettivo non è certo guadagnare tanto, ma rientrare nelle spese per l’acquisto dei materiali: si aggirano tra 350 e 400 euro. Nei negozi specializzati le tavole arrivano a costare da 500 fino a 900 euro». Anche Cerra s’interroga spesso sulle potenzialità del surf in Calabria. «Siamo una regione baciata da mari diversi e onde di qualità che ormai già da anni attirano appassionati da altre parti d’Italia. Sarebbe bello riuscire a rendere tutto questo una opportunità di sviluppo turistico».

    La lezione delle mareggiate

    Dall’album dei ricordi escono le foto più belle degli ultimi anni, giornate indimenticabili che hanno sempre lo sfondo blu del mare in tempesta. «Il 2014 è stato un anno perfetto – racconta emozionato – con tante mareggiate sullo Ionio provenienti da sud-est. Ricordo una giornata a Bova, era Pasquetta, in modo del tutto inatteso ci siamo ritrovati in tanti a surfare e poi a festeggiare assieme». Questa dimensione della socialità è certamente tra le cose da preservare, nello sport e nella vita. Che si rincorrono sempre, proprio come le onde migliori.
    Perché il surf è una grande metafora: attendi il momento giusto, cavalca l’onda, prendi con filosofia anche le sconfitte. Sembrava solo una mareggiata e invece era una lezione di vita.

    surf-calabria-la-grande-onda-del-turismo-ancora-da-cavalcare
    Antonio “Tony Cili” Ciliberto
  • Brunello e Chianti? Origini calabresi per il Sangiovese secondo uno studio

    Brunello e Chianti? Origini calabresi per il Sangiovese secondo uno studio

    L’origine del Brunello di Montalcino e del Chianti? Se non è calabrese, poco ci manca. Per ora è solo un’ipotesi. Ma c’è chi ritiene, spiegandolo, che il Sangiovese abbia origini meridionali. Appunto tra il Pollino e lo Stretto.

    sangiovese-origini-calabresi-vitigno-brunello-chianti
    Manna Crespan, ricercatrice del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria

    Le parole delle dottoressa Manna Crespan, ricercatrice del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), giorni fa aveva avanzato questa ipotesi. E il parterre è stato il Concours mondial de Bruxelles, ospitato proprio in Calabria. La notizia non è sfuggita ai giornalisti di Repubblica.
    Quello della Crespan è uno studio genealogico della vite e dei vitigni. La ricercatrice – si legge sul pezzo di Repubblica.it – cita anche i nomi assunti dal Sangiovese anche in Calabria: Nerello a Savelli (Crotone); Nerello campotu a Motta San Giovanni (Reggio Calabria); Puttanella a Mandatoriccio (Cosenza); Corinto nero a Scalea (Cosenza).
    La Crespan poi continua: «In provincia di Arezzo il Sangiovese era conosciuto con l’appellativo di “Calabrese”».

  • Strade perdute| Da Laino al Tirreno: quel passaggio a Nord-Ovest che sa di Abruzzo

    Strade perdute| Da Laino al Tirreno: quel passaggio a Nord-Ovest che sa di Abruzzo

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Perché complicarsi la vita? Riformulo: perché considerare che certe scelte significhino necessariamente complicarsela? Ovviamente anche stavolta il riferimento non è ai massimi sistemi ma alle strade. È una questione di forma mentale, quella che induce a recepire pigramente la geografia delle rotte in compartimenti stagni: “i paesi della costa” vs. “i paesi dell’interno”, come se i due gruppi fossero a sé stanti, quasi senza possibili vie di comunicazioni in mezzo, neppure metaforiche.
    Allora vediamo che succede se si prova ad andare da Laino Castello fin sulla costa tirrenica senza toccare autostrade e, per quanto possibile, strade statali.

    Laino Castello, il paese degli zampognari

    Laino Castello – il paese che fu – è ricordato più che altro per essere la patria di quegli zampognari (forse meno noti di quelli abruzzesi) che scendevano a Natale in città e paesi di tutta la provincia. Nel frattempo, recentemente vi è stato un tentativo di farlo diventare una sorta di “albergo diffuso”, sullo stile di Santo Stefano di Sessanio, anche questo in Abruzzo. Coincidenze. La mia visita risale a qualche anno prima, quando il centro storico – abbandonato decenni fa per i motivi più vari, ma ufficialmente per via di un sisma – non lasciava più molto da ammirare, se non una desolazione piuttosto evocativa (e, nella desolazione, vi incrocio – fantasma? – il poeta e amico Dante Maffìa, fuggiasco per un giorno dalla sua amata costa ionica).

    Molto di transennato, tutto lasciato all’incuria. Lavori iniziati e lasciati a metà. Erba altissima nei vicoli. La chiesa, integra ma svuotata, faceva ancora una certa impressione (nulla di nuovo, per chi conosce la Chiesa dei Cappuccini, in cima al centro storico di Cosenza, che versa nelle medesime condizioni). E da lì il panorama violento del Viadotto Italia con cui l’autostrada taglia in due il Massiccio del Pollino. Beffarda, poi, colpisce l’occhio una vecchia stella cometa di ferro arrugginito, piazzata in cima all’edificio più in cima del paese fantasma. Chissà da quanti anni sta lì. Dalla Natività alla mortalità.

    laino-castello-prima-tappa-viaggio-avventuroso-verso-mare
    La Grotta del Romito

    Papasidero e la Grotta del Romito

    Lasciamo Laino Castello al suo destino, incrociando le dita per lui, e procediamo verso Papasidero. Raggiungiamo, dopo centinaia di curve, la Grotta del Romito: non è solo testimonianza degli insediamenti preistorici in Calabria, quanto pure la dimostrazione della sopravvivenza di piccoli paradisi naturali. Mica scemo, st’Homo Sapiens… Il più solerte guardiano della zona archeologica è un docile cagnolino che scorta attentamente ogni gruppo di visitatori, dal parcheggio alla grotta e viceversa, senza distogliere lo sguardo nemmeno un attimo. Dalla grotta bisogna risalire di quota, un bel po’, per tornare sulla strada principale (principale, si fa per dire) e non invidio quella coppietta di giovanissimi ciclisti nordeuropei, stremati a mezzogiorno da una salita disumana.

    Avena, la frazione evacuata (?)

    Non lontano dal Romito vale assolutamente la pena (ma quale pena, poi?) allungarsi fino ad Avena, frazione di Papasidero. Non è lontana ma, intendiamoci, mi riferisco sempre a distanze in linea d’aria. Perché visitare Avena? Per fare il paio con Laino Castello: anche Avena è abbandonata, ma in compenso alcuni scorci riescono a ricordare – parola di un affidabilissimo e appassionatissimo gallerista e antiquario bolognese, mica mia – certi quadri di Telemaco Signorini. Un cartello ufficiale all’inizio dell’abitato (o, meglio anche in questo caso, del “disabitato”) parla di zona evacuata ex lege, più o meno nei primi anni Ottanta.

    Nelle case sventrate trovi soltanto bottiglie, bottiglie, bottiglie. Televisori di quarant’anni fa, reti da letto e scarpe spaiate. Eppure nel primo edificio all’ingresso dell’agglomerato – poco prima di quella piazzetta che, non so perché, mi fa pensare a Leopardi, al Sabato del villaggioqualcuno sembra abitare eccome, quantomeno saltuariamente. Con tanto di panni stesi al sole e grasticelle di peperoncino ben curate. E fa bene, chiunque egli sia.

    laino-castello-prima-tappa-viaggio-avventuroso-verso-mare
    Scorcio della frazione Avena di Papasidero (foto L.I. Fragale)

    Abruzzo e Golf

    Papasidero decido invece di attraversarla senza sostare. Diretti verso la costa, subito dopo il paese si passa su un ponte dal nome curioso: il Ponte Golf. Proprio così, un vecchio ponticello su una forra, che ben poco può avere a che fare con attività golfistiche: e infatti è stato denominato in questo modo, in maniera ufficiale, soltanto a causa di una modesta deformazione – ipercorrettismo nell’italianizzazione maccheronica – del più antico idronimo Orfo (‘u g’Orf), ovvero il torrente che vi passa sotto.

    Mi starò suggestionando ma è la terza volta che mi viene da citare l’Abruzzo: la strada tra Papasidero e Santa Domenica Talao mi ricorda enormemente, a tratti, quella che si inerpica da Anversa degli Abruzzi fino a Scanno, scavata nei costoni del meraviglioso canyon nella Gola del Sagittario. Ma è un miraggio frequente, che meriterebbe un pezzo a parte, “Strade che assomigliano ad altre strade”… e, a pensarci bene, altri tratti di questa via dalle montagne al mare mi ricordano invece alcune specifiche curve nella zona del Cippo Pisacane, a Sanza. Ma lasciamo perdere certe stratificazioni della memoria fotografica…

    Restiamo con gli occhi qui: è il luogo ideale per quello che ho sempre ritenuto il più ambiguo, imbarazzante, incoerente dei segnali stradali: Pericolo caduta massi. Ché non si capisce uno cosa dovrebbe fare… rallentare? Peggio, si allunga l’esposizione al pericolo. Accelerare? Meglio di no, vuoi mai che le vibrazioni sveglino il mazzacane che dorme? Fare inversione ad U, se possibile? Ma allora perché non chiudere la circolazione? Il significato di quel segnale è semplicemente: «continuate a vostro rischio e pericolo, noi ce ne laviamo le mani». Ciance bandite, proseguiamo.

    laino-castello-prima-tappa-viaggio-avventuroso-verso-mare
    Il fiume Lao (fonte web)

    Rafting e il brutto che avanza

    Sulla destra, scendendo verso la costa, mi incuriosisce quella lunghissima, vistosissima tubatura che scende orrenda, a precipizio, dritta dalla cima di un monte giù lungo i dirupi del Ciminnito, costeggiando ciò che resta dell’antica Torre dello Scirro. Non è altro che la condotta che mette in collegamento la poco poetica “Camera Valvola” dell’Enel, sul monte Rininella (in agro di Orsomarso), con la centrale idroelettrica giù sulla riva del fiume Lao (e sì, siamo nella Riserva Statale del Lao, delizia per chi fa rafting, e non solo per loro). Ma la centrale e la tubatura annessa preannunciano il brutto che si fa vivo, inevitabilmente, quando ci si avvicina agli insediamenti più intensivi.

    E pensare che dietro quel monte, proprio a un passo e mezzo dalla “Camera Valvola”, cade a pezzi l’antico convento di Santa Maria di Scòrpano, avvolto da erbe infestanti e rovi. Si è deformato, col tempo, finanche il toponimo (ora Scorpari). E anche lassù, ve ne parlerò, mi pare di stare in Abruzzo, ad esempio sui pianori di Campo Imperatore o sulla strada per Roccamorice. E siamo a quattro ricorrenze aprutine.

    Papasidero

    Da qui al mare, sotto un tramonto settembrino, è una bella discesa dolce, lunga e panoramica: ritrovo i due ciclisti che all’ora di pranzo erano boccheggianti sulla salita della Grotta del Romito. Adesso posso invidiarli.
    Ancora più giù, a luccicare sono le foglie di vere e proprie piantagioni di giovani eucalipti che preannunciano la calura della costa. Li avevo presi per piccoli pioppi, per via di questo luccichio alternato e invece no, qui nemmeno il populus tremula, sebbene – che confusione! – la frazioncina appena superata sia, proprio come un piccolo pueblo, Tremoli. Perché semplificarsi la vita?

  • Ambiente: Crotone fa causa alla Regione per 14 milioni

    Ambiente: Crotone fa causa alla Regione per 14 milioni

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]
    Soldi per i rifiuti: troppa attesa inutile e il Comune di Crotone si rivolge al giudice.
    Lo ha deliberato la Giunta guidata da Vincenzo Voce su proposta di Sandro Cretella, l’assessore all’Avvocatura.
    Il motivo di questa decisione è contenuto in una vecchia delibera della Giunta regionale: la 380 del 13 ottobre 2015, emessa in piena era Oliverio.
    In base a questa delibera, Crotone avanza dalla Regione più di 14 milioni. Il credito deriva dall’utilizzo dell’impianto di trattamento di Ponticelli e della discarica di Columbra (privata ma a disposizione del Comune) che per anni ha servito tutte le Ato calabresi.
    Inoltre, alla delibera 380 sono seguiti altri atti, in base ai quali la Regione riconosce cinque euro a tonnellata ai Comuni sedi di trattamento rifiuti e di sette euro a tonnellata per i comuni sui cui territori ci sono discariche pubbliche o asservite al servizio pubblico.
    È proprio il caso di Crotone. Al riguardo, Voce ha dichiarato: «Crotone è stanca di essere considerata la pattumiera della Calabria. Ed oltretutto non aver ricevuto nemmeno quanto le spetta per aver raccolto i rifiuti da altre province al danno (ambientale) aggiunge la beffa. Procediamo giudizialmente per difendere i diritti della città. Soprattutto per spezzare il silenzio che su questa vicenda era calato negli scorsi anni». Perciò l’amministrazione, prosegue il sindaco, «ha deciso di procedere per via giudiziaria per il riconoscimento del benefit a titolo di ristoro ambientale per il disagio subito dal conferimento nelle discariche di rifiuti da altre province».