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  • Regione, la multiutility può attendere: la maggioranza non ha i numeri

    Regione, la multiutility può attendere: la maggioranza non ha i numeri

    Tutto slitta a dopo Pasqua. Se ne parlerà nella seduta del 19 aprile. La discussione del consiglio regionale sulla multiutility che dovrebbe governare in futuro il ciclo di acqua e rifiuti, sostituendosi di fatto agli Ato provinciali e all’Autorità idrica della Calabria, si era di fatto chiusa. Mancava solo il voto.

    Tutto sembrava andare liscio verso l’approvazione, quando il consigliere del Pd Ernesto Alecci ha sollevato un problema procedurale: per leggi di questo genere, istitutive di un nuovo ente, probabilmente ci vuole una maggioranza qualificata, ovvero il voto favorevole di 21 consiglieri. Panico. Seduta in stand by e poi colpo di scena: il presidente Filippo Mancuso comunica la decisione, di concerto con la Giunta, di rinviare la trattazione del provvedimento alla prossima seduta.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    La seduta lampo in Commissione Bilancio

    È uno stop a sorpresa, di natura diversa da quello paventato nei giorni scorsi – ne avevamo scritto qui – fino a quando il punto, dopo una seduta della Commissione Bilancio in zona Cesarini durata solo 8 minuti, era stato inserito all’odg. Ora la questione riguarda lo stesso iter da seguire in Aula. E di certo non ne sarà contento Roberto Occhiuto che, fino all’ultimo, ha manifestato esplicitamente la volontà di non voler perdere altro tempo.

    Tre ore di dibattito e poi lo stop

    Invece dovrà ancora aspettare per assistere alla creazione della multiutility che, nei suoi propositi, dovrà governare il ciclo di acqua e rifiuti in un unico ambito territoriale regionale. La legge costitutiva dell’Authority è, al pari dell’Azienda zero per la sanità, un provvedimento che Roberto Occhiuto ha posto come pietra miliare sul suo cammino da presidente della Regione. La coalizione di centrodestra, rinfrancata da una pizza serale alla Cittadella, non aveva tradito in Aula nessuna sbavatura difendendo l’Authority dai rilievi dell’opposizione. Ma dopo una discussione di circa tre ore e una lunga sospensione si è deciso di rinviare la votazione.

    Cosa cambierebbe con la multiutility di Occhiuto

    L’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria, ente di governance a cui dovrebbero partecipare obbligatoriamente tutti i 404 Comuni calabresi, a dispetto delle attese non è nata oggi. La legge portata in Consiglio prevede che entro dieci giorni dall’entrata in vigore Occhiuto nomini un commissario straordinario. Quest’ultimo rimarrà in carica fino alla costituzione degli organi ordinari (il direttore generale, il consiglio direttivo d’ambito, il revisore dei conti).

    La nuova Autorità subentrerà subito nei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo all’Aic (prendendosene patrimonio e personale). Stessa cosa, ma con sei mesi di interregno, per tutto ciò (impianti compresi) che fa riferimento alle Comunità d’ambito degli Ato, che dopo il semestre saranno sciolti di diritto e decadranno.

    Tutti gli uomini del presidente

    La multiutility sarà dotata di un’apposita struttura tecnico-operativa. E potrà, inoltre, avvalersi di personale della Regione, degli enti subregionali e degli enti locali. A costituire il consiglio direttivo sono 40 Comuni: ne fanno parte di diritto i cinque capoluoghi, gli altri rappresentanti li eleggeranno, con criteri proporzionali alla popolazione, tutti i sindaci calabresi. Il dg, che dura in carica 5 anni, sarà sempre il presidente della Regione a nominarlo. E nominerà anche «il Comitato consultivo degli utenti e dei portatori d’interesse» formandolo sulla base di una direttiva della giunta regionale.

    Il nodo della Sorical

    Resta il problema dell’acquisizione delle quote private di Sorical. Il settore Assistenza giuridica del consiglio regionale ha evidenziato perplessità sui costi di funzionamento dell’Autorità. Si prevede siano a carico di quota parte delle tariffe dei servizi senza però che qualcuno li abbia quantificati. Ma non mancano anche alcuni dubbi sul passaggio della legge che, in poche righe, autorizza Fincalabra ad acquisire le azioni di Sorical attualmente in mano ai privati.

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    L’acquedotto Abatemarco (dal sito Sorical)

    L’articolo in questione «non fa riferimento alcuno alla disciplina dei rapporti» tra la società in house della Regione e il soggetto misto che gestisce le risorse idriche calabresi. Sorical è in liquidazione. Ma nella relazione descrittiva che accompagna la legge non c’è traccia di informazioni sulle sue condizioni finanziarie «né appare chiaro – hanno rilevato gli uffici di Palazzo Campanella – se allo stato attuale ci siano i presupposti per il superamento della fase liquidatoria». Sull’idrico c’è una trattativa ancora tutta da chiudere. Occhiuto sta cercando di convincere a cedere le azioni i referenti di un fondo governativo tedesco a cui la Depfa Bank ha ceduto i crediti (85 milioni di euro) che vantava verso Sorical.

    Occhiuto vuole oneri e onori

    Lo stesso Occhiuto in Aula non ha fatto riferimento al caso Sorical. Ha risposto, però, all’opposizione rivendicando per sé la nomina del dg dell’Authority – nel modello emiliano, mutuato per questa legge, la rappresentanza legale spetta invece al presidente, che viene nominato dai sindaci – e dicendo in sostanza che «se il governo regionale assume degli impegni vuole scegliere chi questi impegni li deve realizzare». Il concetto è chiaro: Occhiuto sta mettendo la faccia per intervenire su problemi atavici e, dunque, con le grane si prende anche il potere.

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    Roberto Occhiuto

    «Non è una riforma contro sindaci e autonomie locali – ha assicurato – ma proprio loro hanno lamentato per anni di essere stati lasciati soli in questi due ambiti su cui oggi il governo regionale ha il coraggio di intervenire». Dunque massimo rispetto «per la concertazione», anche se l’Anci è stata convocata due giorni prima del Consiglio. Ma su certe cose, specie con il Pnrr alle porte e la Calabria che su acqua e rifiuti «non ha avuto ancora un centesimo», non si può tentennare. Il 19 maggio scade il bando che potrebbe far recuperare i 104 milioni persi a causa dell’errore fatale all’Aic sul bando React Eu. Ma il Duca Conte per ora deve inchinarsi alle procedure e aspettare almeno un’altra settimana.

  • Stop alla Multiutility di Occhiuto: la legge non arriva in consiglio regionale

    Stop alla Multiutility di Occhiuto: la legge non arriva in consiglio regionale

    Qualcosa dev’essere andato storto. A cosa sia dovuto il cortocircuito tra il vertice della Giunta e quello del Consiglio regionale nessuno, almeno ufficialmente, lo dice. Ma che in questi giorni si sia verificato lo raccontano i fatti. È importante metterli in fila, perché sono fatti che riguardano uno dei provvedimenti più importanti annunciati da quando Roberto Occhiuto è presidente della Calabria, quello sulla creazione di un’unica Autorità di gestione per acqua e rifiuti.

    Sabato scorso, durante la convention nazionale di Forza Italia che ha segnato il ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi, poco prima dell’ora di pranzo è stato il turno di alcuni presidenti di Regione. Occhiuto, introdotto da un gongolante Maurizio Gasparri, ha guadagnato il pulpito azzurro tra gli applausi e ha cominciato a distribuire elogi ai ministri del suo partito.

    I tre grazie

    Uno: «Grazie a Brunetta in Calabria non si assume più con commissioni regionali ma tramite il Formez». Due: «Grazie a Mara Carfagna per il costante supporto relativo alle risorse del Fondo di sviluppo e coesione». Tre: «Grazie a Mariastella Gelmini che è il “censore” delle leggi delle Regioni: molte delle cose che stiamo facendo in Calabria le stiamo facendo attraverso leggi di riforma importanti, che, se non avessimo un rapporto così collaborativo con il governo, spesso passerebbero attraverso la scure dell’incostituzionalità, invece lo risolviamo prima».

    Proprio sulla scia del terzo ringraziamento Occhiuto ha portato ad esempio la legge che punta ad accentrare in una sola Authority – di cui lui nominerà il capo – la gestione del servizio idrico e del ciclo dei rifiuti. Sono settori che in Calabria rappresentano «un problema da 20 anni», mentre «noi – ha aggiunto il presidente della Regione – in pochi mesi stiamo facendo questa riforma e mercoledì la approveremo in Consiglio regionale» (lo dice qui, da 1:59:00 in poi).

    La multiutility in Consiglio? Scomparsa

    Insomma, se uno che ha il vento in poppa come Occhiuto annuncia da un palco così importante che mercoledì si approva la legge, vuol dire che mercoledì si approva la legge. Invece no: nell’ordine del giorno della seduta di consiglio regionale del 13 aprile il punto su acqua e rifiuti scompare dai radar. Ci sono provvedimenti importanti, come quelli riguardanti il nuovo Por 2021-2027 che implica una spesa superiore ai 3 miliardi di euro. Ma tra i 10 punti all’odg di acqua e rifiuti non si fa menzione.

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    Una seduta del Consiglio regionale

    Eppure il disegno di legge approvato dalla giunta su proposta di Occhiuto a Reggio ci è arrivato già da un po’. Per la precisione è stato depositato alla Segreteria dell’Assemblea il 25 marzo, il 6 aprile è passato in Commissione Ambiente e l’8 sarebbe dovuto passare per il parere della Commissione Bilancio, ma questo step era stato dato per saltato per andare subito in Aula. Invece niente.

    I dubbi del Settore Assistenza giuridica

    Anzi: nel frattempo il settore Assistenza giuridica del consiglio regionale ha prodotto un parere che non è esattamente un pollice alzato per il ddl di Occhiuto. Il dirigente di Palazzo Campanella Antonio Cortellaro inanella nella sua scheda di analisi tecnico-normativa diversi dubbi. Segnala alcuni errori sui riferimenti normativi. Esprime varie perplessità.

    Lo fa, per esempio, sul comma che prevede che i costi di funzionamento dell’Autorità siano a carico di quota parte delle tariffe del servizio idrico e dei rifiuti «nella misura definita dallo Statuto». Questi costi, rileva l’ufficio del Consiglio regionale, non sono neanche «quantificati». Dunque, della questione sarebbe bene che si occupasse la competente Commissione Bilancio. La cui seduta è però saltata.

    La questione Sorical in poche righe

    I dubbi più corposi riguardano il passaggio in cui il ddl che in poche righe autorizza Fincalabra ad acquisire le azioni di Sorical attualmente in mano ai privati. L’articolo in questione «non fa riferimento alcuno alla disciplina dei rapporti» tra la società in house della Regione e il soggetto misto (53,5% della Regione, 46,5% del socio privato) che gestisce le risorse idriche calabresi.

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    Cataldo Calabretta, commissario della Sorical

    La stessa Sorical è in liquidazione ma neanche nella relazione descrittiva che accompagna la proposta di legge c’è traccia di informazioni sulle sue condizioni finanziarie. «Né appare chiaro – rilevano gli uffici di Palazzo Campanella – se allo stato attuale ci siano i presupposti per il superamento della fase liquidatoria».

    La trattativa da chiudere

    La matassa dell’idrico ha a che fare con le condizioni poste sulle quote da una banca con sede in Irlanda che ha ceduto i crediti nei confronti di Sorical a un Fondo governativo tedesco. Con loro Occhiuto sta cercando di trattare per rendere pubbliche tutte le quote di Sorical. E solo dopo che ci sarà riuscito potrà prendere davvero forma la multiutility di cui parla fin dalla campagna elettorale.

    Se ci riuscisse avrebbe in mano le chiavi di un’enorme macchina amministrativa che accentrerebbe due settori da sempre ingovernabili. Si aggiungerebbero alla gestione della sanità su cui Occhiuto, proprio dalla convention forzista, ha chiesto al governo di avere poteri ancora maggiori. Mentre su acqua e rifiuti, almeno per ora, di ritorno da Roma dovrà capire cosa sia successo sulla strada che dalla Cittadella porta a Palazzo Campanella.

  • Energia gratis contro il caro bollette? La Calabria ci prova

    Energia gratis contro il caro bollette? La Calabria ci prova

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    «Arrivare secondo inizia già a darmi fastidio, voglio arrivare primo nelle cose che faccio». Ha fretta Giuseppe Condello, sindaco di San Nicola da Crissa (VV). Il suo piccolo paese, “balcone delle Calabrie” alle pendici del Monte Cucco, è uno dei primi comuni nella regione che porterà a regime in tempi brevi una comunità energetica rinnovabile solidale, nel quartiere delle case popolari di Critaro.

    Qui le procedure amministrative sono state completate. L’istituzione della Comunità risale allo scorso 19 gennaio: nel giro di un mese, secondo i piani della giunta comunale, si procederà all’installazione degli impianti fotovoltaici. Le famiglie coinvolte sono 32. «Prima di Pasqua potremmo installare l’impianto, e ci vorranno 15 giorni. Contiamo di renderlo operativo entro maggio», ci spiega Illuminato Bonsignore, amministratore unico della 3E Environment Energy Economy s.r.l e sviluppatore della Comunità.

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    Un panorama di San Nicola da Crissa

    L’operazione vuole regalare ai cittadini energia pulita, il controllo dei propri consumi e bollette più basse. Stando ai dati del Comune, i beneficiari possono risparmiare tra i 250 ed i 300 euro all’anno. Tutto questo senza spese di installazione, grazie al finanziamento della BCC del vibonese. L’ambizione è quella di estendere la Comunità a tutti i 1000 abitanti del centro entro la fine dell’anno.

    Insieme ad altri Comuni, San Nicola da Crissa punta a diventare uno dei modelli per la transizione ecologica, specialmente nei piccoli comuni. E le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) saranno un pezzo molto importante di questa trasformazione.
    Si tratta di gruppi di soggetti, sia pubblici che privati, che decidono di produrre insieme energia elettrica tramite fonti rinnovabili da utilizzare per l’autoconsumo.

    I benefici delle Comunità energetiche

    Partiamo da una delle questione più sentite degli ultimi tempi, quella del peso in bolletta. I membri di una CER in funzione posso ottenere tre tipi di introiti. Il primo è il Ritiro Dedicato, cioè quello che si ottiene dalla semplice vendita dell’energia prodotta dagli impianti. Il secondo è l’incentivo sull’energia consumata nel momento della produzione, pari a 110 euro al MWh.

    È una questione di equilibrio: «Se produco 100 e riprendo 100, il bilancio non perturba il sistema», ci spiega Daniele Menniti, ordinario del dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale dell’Unical.
    In questo caso, hanno un ruolo decisivo le tecnologie di monitoraggio in tempo reale dell’energia, così come i sistemi di accumulo, che permettono di conservare l’energia in eccesso ed ottenere l’incentivo durante le ore serali.

    Il terzo contributo è di circa 8 euro a MWh, che lo Stato restituisce perché gli utenti utilizzano meno la rete. Come funziona? I membri della CER continuano ad essere legati ai loro vecchi fornitori. Questi aggiungono in fattura i costi di trasporto dell’energia: lo Stato, però, sa che è stata autoprodotta, quindi restituisce i soldi ai beneficiari, per il tramite del Gestore dei Servizi Energetici (GSE).
    Non dimentichiamo, inoltre, che si tratta soprattutto di una lotta contro le emissioni. Le CER, secondo i dati di Legambiente ed Elemens, possono contribuire in Italia per il 30% degli obiettivi climatici per il 2030.

    Come si costituiscono

    Nel concreto, però, come si attiva una Comunità Energetica? A livello normativo, siamo in una specie di limbo: si possono fare, ma non si sa con che parametri potranno essere costituite in futuro.
    Le CER, infatti, sono state introdotte in Italia con l’art. 42 bis del Decreto Milleproroghe del 2019, con una serie di limiti restrittivi che dovevano essere superati con il Dlgs 199/2021, documento che recepisce in maniera completa la direttiva europea intitolata RED II.
    Il problema, però, è che ancora non sono stati stilati i decreti attuativi. Per ora, rimangono alcuni vincoli significativi, come la vicinanza fisica alla cabina secondaria o il limite di potenza degli impianti (attualmente di 200 KW).

    In attesa delle novità, e nonostante la mancanza di un piano energetico regionale, si può comunque creare una Comunità. Il primo passo è l’individuazione delle cabine secondarie, così da delimitarne il perimetro. «Con la normativa attuale possono far parte solo di una CER le persone il cui contatore è collegato a questa cabina», ci spiega Illuminato Bonsignore, che con la sua azienda ha reso possibile la creazione della Comunità di San Nicola Da Crissa. Nel paese, ad esempio, si è scelto di costruire l’impianto fotovoltaico sopra il tetto di una scuola, che era allacciata alla stessa rete del quartiere di Citrato.
    Delineato il perimetro, si può iniziare la ricerca dei membri della comunità, che dovranno fornire i dati dei consumi diurni. La parte più complicata, inevitabilmente, è l’installazione degli impianti. Sia per la lentezza della macchina burocratica, sia per la ricerca dei finanziatori.

    Il PNRR e il piano della Regione

    Il PNRR mette a disposizione 1,6 miliardi per i progetti di condivisione dell’energia nei comuni sotto i 5.000 abitanti: «Sebbene appaiono tanti, sono semplicemente il 10% di quanto ha speso il governo per tentare di combattere il caro bollette, senza neanche riuscirci», riprende Menniti. Se la Regione vuole finanziare i centri più grandi, invece, dovrà usare le sue risorse, come in parte già previsto dal nuovo POR 2021-2027.
    Una volta presentato il progetto e installate le tecnologie necessarie, la Comunità può entrare a regime.

    Le CER garantiscono dei vantaggi economici, ambientali e sociali, dando però una serie di responsabilità all’utente/gestore. «Non basta mettersi insieme, firmando un pezzo di carta. Dobbiamo far si che l’energia condivisa sia la massima possibile, ed essere capaci di consumarla nel momento in cui viene prodotta» ci ricorda Menniti.
    Nonostante l’enfasi da parte della politica, il professore chiede prudenza: «Bisogna stare attenti perché le comunità energetiche non sono la panacea di tutti i mali. Sono comunque un contributo importante, un primo passo verso la democratizzazione dell’energia» e la fine della dipendenza da fonti straniere.

    Di investimenti sulle comunità energetiche ha parlato anche di recente l’assessore regionale Rosario Varì. L’intenzione è di «sostenere i comuni che hanno più di cinquemila abitanti. Nell’ambito del Pnrr abbiamo soltanto per il supporto alle comunità energetiche 121 milioni di euro, la Regione Calabria ne ha stanziati circa 42 per il primo supporto e circa 41 per tutta la tecnologia a supporto», il suo annuncio. Seguito da quello di Roberto Occhiuto secondo cui la prima comunità energetica sorgerà proprio nella Cittadella: «Ho chiesto all’assessore che se ne facciano anche nei nostri aereoporti perché hanno bisogno di energia».

    Andamento lento

    La priorità delle varie amministrazioni deve essere l’installazione delle tecnologie rinnovabili, specialmente i pannelli fotovoltaici. Secondo il report di Legambiente Comunità rinnovabili: quale energia per una Calabria proiettata nel futuro?, la crescita degli impianti è stata costante, ma molto lenta: al momento, il tasso annuale di costruzione degli impianti è inferiore all’1%. Una lentezza che si accompagna a quella dell’intera nazione. Secondo il dossier Scacco alle Rinnovabili, per rispettare gli impegni internazionali presi, l’Italia dovrebbe installare almeno 6 GW di potenza da fonti rinnovabili ogni anno. Al 2021, non arriviamo a 1,8 GW.

    «È come se io dovessi regolare il traffico in un centro città, avendo le strade, le autovetture e tutto il resto. Allora mi pongo il problema di creare meno caos», spiega Menniti con un esempio. «Qui non siamo a questo punto. Qui ancora abbiamo installato i pannelli fotovoltaici giusto su qualche tetto, Non abbiamo esaurito la risorsa minimale, la più scontata, che non richiede di pianificare nulla».

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    Una centrale idroelettrica

    Infatti, su 10.438 GWh di energia elettrica prodotta in Regione, il fotovoltaico contribuisce solo con 681 GWh. In generale, il 36% dei consumi non sono prodotti da fonti rinnovabili, secondo i dati messi a disposizione dall’Unical. A farla la padrona sono ancora le fonti termoelettriche tradizionali, che sfruttano il gas: producono 13.000 GWh, 13 volte in più dell’idroelettrico.
    E se è vero che la nostra Regione genera un grosso surplus di energia elettrica rispetto a quella che consumiamo (+180%), bisogna ricordare che questo proviene dall’utilizzo del gas, una risorsa che prendiamo dall’estero, che inquina e sulla quale non abbiamo il controllo. Senza dimenticare che «il 90% per cento dei Comuni che hanno impianti a fonti rinnovabili hanno impianti che non funzionano perché non fanno la manutenzione».

    Le altre comunità energetiche

    San Nicola da Crissa punta a diventare la prima Comunità Energetica Solidale della Regione. «La differenza con quelle normali, fatte dai privati, è che questi investono per guadagnare. In questo caso, invece, nessuno investe. Le famiglie non mettono e non rischiano un euro, e guadagneranno. In questo modo si viene incontro alle famiglie che hanno difficoltà a pagare le bollette, perciò è solidale», specifica ancora Bonsignore.

    Ed è proprio per combattere la povertà energetica che a San Nicola si è scelto di creare la comunità nel quartiere delle case popolari. Il sindaco Condello si è voluto ispirare ad una delle prime esperienze in Italia, la CER solidale di Napoli Est, finanziata dalla Fondazione Famiglia di Maria e operativa dallo scorso 17 dicembre. Un modello che è stato citato anche dal New York Times.
    Gli esempi da cui prendere spunto non mancano nel nostro Paese. Già nel 2018, in Veneto, Coldiretti Veneto e ForGreen hanno iniziato a collaborare alla creazione di una comunità energetica agricola. Esperienza da non confondere con il filone dell’agrivoltaico, un modello che prevede l’installazione dei pannelli fotovoltaici direttamente sui campi agricoli.

    Napoli, i pannelli sui tetti della prima CER italiana

    I progetti in Calabria

    Tutte le regioni, poco alla volta, stanno iniziando a promuovere le comunità. Tornando in Calabria, San Nicola da Crissa non è l’unico progetto regionale che è quasi pronto per l’attivazione. L’Università della Calabria, da mesi, sta lavorando con i piccoli comuni calabresi. La prima convenzione tra Comuni, il dipartimento DIMEG dell’Unical ed il Consorzio Regionale per L’energia e la Tutela Ambientale (CRETA) ne ha coinvolti 16, che stanno vedendo i loro progetti realizzarsi. Dopo pochi mesi, il numero è salito a 60.
    Uno di questi è il comune di Panettieri, cittadina di poco più di 300 abitanti. Qui, un privato ha finanziato un grosso impianto fotovoltaico da 600 KW, che metterà a disposizione dei membri della CER, senza costi aggiuntivi.

    L’Università della Calabria

    Secondo Daniele Menniti, coinvolto direttamente nella loro realizzazione, «anche Francica è pronta. In dirittura di arrivo c’è pure il comune di Triolo, che fu uno dei primi a iniziare il percorso insieme a noi».
    Una strada simile a quella di San Nicola è stata battuta da Amendolara, in provincia di Cosenza. Qui, i costi della costruzione dell’impianto di Fotovoltaica Srl verranno coperti in parte da finanziamenti pubblici, ed in parte con il sostegno di alcune banche.
    Sul loro aumento, comunque, ci sono pochi dubbi. E non solo per motivi ambientali ed energetici, ma anche di opportunità politica. «Ci sono un po’ di movimenti anche su Catanzaro. Molti, in vista delle nuove elezioni, vogliono inserire nel loro programma amministrativo proprio il tema delle comunità energetiche», conclude Menniti.

  • Auto: ibride ed elettriche raddoppiano, ma la Calabria resta poco green

    Auto: ibride ed elettriche raddoppiano, ma la Calabria resta poco green

    Le auto ibride ed elettriche in circolazione in Calabria sono aumentate del 136,8% nel corso del 2021. Erano 6.190 l’anno prima, sono diventate 14.656. I numeri arrivano dall’analisi del Centro Studi di AutoScout24 su base dati Aci. Non è tutt’oro quel che luccica però. Quando si parla di auto, infatti, la Calabria continua a segnalarsi come una delle regioni in cui il parco vetture circolante è particolarmente datato. Basti pensare che, pur raddoppiando nel giro di dodici mesi, ibride ed elettriche restano soltanto l’1’1% delle circa 1.329.400 auto in circolazione, con le elettriche che si fermano addirittura allo 0,1%.

    Il problema delle vetture poco green non è solo questione di alimentazione dei motori. Ce ne sono, si sa, sia a benzina che diesel con un impatto abbastanza ridotto su consumi e ambiente. Solo che in Calabria rappresentano una minoranza. Secondo AutoScout24 da queste parti ne circolano quasi 585mila (il 44% del totale) con una classe di emissioni Euro 3 o inferiore. Addirittura sono oltre 196mila quelle Euro 0 (14,8%). Se poi si va a guardare l’età media dei veicoli si scopre che oltre un’auto su due (53%) ha 15 anni o più.

    È la provincia di Catanzaro, comunque, quella a registrare il maggior numero di ibride ed elettriche in circolazione, con una percentuale dell’1,5%. Seguono Reggio Calabria (1,1%), Cosenza (1%) e, fanalino di coda, Vibo Valentia e Crotone, entrambe con lo 0,9%. Quelle in cui, invece, la crescita di veicoli meno inquinanti è stata maggiore rispetto al 2020 sono Vibo e Cosenza, aumentate rispettivamente del +187,9% e +149,5%.

    La maglia nera per il numero di auto con una classe Euro 3 o inferiore va a Crotone: sono il 46,2% del totale. Non che dalle altre parti vada molto meglio: Vibo Valentia (45,6%), Reggio Calabria (45,2%), Cosenza (44,5%) e Catanzaro (39,2%). Vibo, peraltro, è la provincia con più auto Euro 0 in percentuale: sono addirittura il 16,9%. Quella ad averne di più invece è Cosenza, con le sue 69.933.

  • L’orto digitale con il cuore nella Sibaritide che piace a Microsoft

    L’orto digitale con il cuore nella Sibaritide che piace a Microsoft

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    Negli uffici della multinazionale statunitense Kellog’s a Vimercate, la pausa pranzo produce una ricaduta positiva sull’economia di un piccolo coltivatore calabrese. Nella sede milanese di Banca Intesa il coffee break è a base di spremuta d’arance di Corigliano. I dipendenti della Microsoft a Natale al posto del panettone hanno ricevuto ceste di limoni femminelli prodotti nella piana di Sibari. Marchi come Tiffany, Colgate, Sony, Iliad hanno adottato orti digitali sostenendo la rete di produttori che fanno fatica a rimanere sui mercati, pressati dai costi dell’intermediazione della filiera agroalimentare.

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    Con Biorfarm si può scegliere un albero e adottarlo

    Agricoltura etica e sostenibile

    Una rivoluzione dal basso, portata avanti da contadini che vogliono continuare a coltivare la terra, si battono per avere un guadagno più equo e allo stesso tempo per garantire la qualità e il contatto diretto con i consumatori. Alla guida di questa impresa c’è un giovane calabrese, Osvaldo De Falco, 35 anni, fondatore di Biorfarm, la prima azienda agricola diffusa e condivisa attraverso una piattaforma web con numeri da record: 108 agricoltori e aziende agricole coinvolti in tutta Italia, 55mila utenti della community che adottano alberi, partnership importantissime.

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    Biorfarm ha scelto la strada dell’agricoltura etica e sostenibile

    Addio Milano: il ritorno a Corigliano-Rossano 

    Quella di De Falco è una storia di radici e innovazione. È andato via dalla Calabria per studiare, nel 2014 lavora a Milano nella multinazionale Siemens come consulente finanziario, dopo la laurea in economia e una breve esperienza a New York. Quell’anno suo padre, che ha una piccola azienda di arance e clementine a Corigliano Calabro (che adesso è Corigliano-Rossano), è in difficoltà, rischia di chiudere. Così lui torna per dargli una mano. «Come la maggior parte dei piccoli produttori locali – racconta – mio padre era schiacciato da un sistema che economicamente non è più sostenibile: costretto a vendere per pochi centesimi la frutta che viene poi messa sul mercato a prezzi lievitati. Tutto questo a discapito dei consumatori e della qualità, perché il prodotto viene trasportato diverse volte e stoccato anche per mesi».

    Dal produttore al consumatore 

    È a questo punto che De Falco unisce alla sua passione per la terra le competenze acquisite. Ha un’intuizione: aggregare i piccoli produttori e metterli in contatto diretto con i consumatori, eliminando ogni intermediazione. Così, nel 2015 insieme al suo socio Giuseppe Cannavale, fonda Biorfarm che raccoglie le adesioni degli agricoltori e cresce rapidamente grazie anche alle fortunate operazioni di crowdfunding nel 2018 e nel 2021.

    L’idea è semplice: chiunque, in qualsiasi parte del mondo, può diventare un agricoltore digitale, adottare un albero o un frutteto, seguire le fasi della crescita delle piante e interagire con gli agricoltori, per poi ricevere a casa i prodotti biologici, oppure andare a raccoglierli.

    «Diamo un supporto concreto alla produzione locale – spiega De Falco – perché paghiamo l’agricoltore fino a tre volte di più rispetto alla filiera tradizionale. Il progetto coinvolge i privati, ma soprattutto le aziende. Abbiamo partnership che adottano alberi e frutteti, sono azioni di green marketing che oggi sono molto importanti per trasmettere credibilità e affidabilità. L’adozione dura un anno e poi può essere rinnovata». Ci sono aziende che decidono di destinare la frutta ai dipendenti, di regalarla ai clienti o anche di non ritirarla, per sostenere – senza nulla in cambio – agricoltori che si trovano in un momento di difficoltà. Un’importante casa editrice ha appena acquistato 17mila alberi per un progetto sull’educazione ambientale che coinvolgerà tutte le scuole d’Italia.

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    Gli agricoltori sono pagati fino a tre volte di più

    L’agricoltura dei piccoli produttori

    Chi adotta un albero o un frutteto segue tutto il processo, dalla piantagione alla raccolta, attraverso il “Diario di campagna”, una bacheca con contenuti multimediali postati dall’agricoltore per mostrare ciò che fa quotidianamente e come e dove crescono i prodotti. Entro massimo due giorni dalla raccolta la frutta viene spedita. «Promuoviamo un’agricoltura sostenibile – dice De Falco -supportando i piccoli agricoltori bio che ogni anno rischiano di scomparire e sono preziosi per la tutela del territorio e per salvaguardare la biodiversità ed evitare lo spopolamento delle campagne».

    Dal Trentino alla Sicilia, ci sono i volti e le storie di decine di produttori che fanno parte di questa grande azienda agricola digitale. Dalle mele ai vigneti, dai mandarini ai mirtilli, la community è un’esplosione di colori e profumi, da un angolo all’altro dello Stivale. Ma c’è anche la frutta che non t’aspetti. E arriva soprattutto dalla Calabria, dove si producono giuggiole, feijoa, passion fruit, fichi secchi, kiwi, lime, ribes, zafferano. Non solo uliveti e agrumeti: la biodiversità, parola-jolly da utilizzare nei convegni sull’agricoltura da sempre cari alla politica regionale.

    Uno degli imperativi di Biorfarm è salvaguardare la biodiversità

    Senza finanziamenti o sovvenzioni

    «Mai avuto a che fare con la politica o con gli ambiti istituzionali – precisa De Falco – non chiediamo finanziamenti o sovvenzioni. Biorfarm è apolitica» – sorride. Ma quando si parla dell’agricoltura calabrese, il tono si fa serio: «Abbiamo due grandi problemi: il primo è la mancanza di infrastrutture, il secondo è la mentalità. Perché non si comprende quanto sia importante lavorare insieme, fare rete. Fino ad ora gli agricoltori  non sono stati in grado di farlo, ma ho 35 anni e sono ottimista. Le nuove generazioni riusciranno certamente a fare di meglio».

  • Rifiuti a peso d’oro: la Calabria spende più di 2 miliardi in 7 anni

    Rifiuti a peso d’oro: la Calabria spende più di 2 miliardi in 7 anni

    Quando si parla di spazzatura, in Calabria, i propositi sono sempre buoni, ma le certezze sono davvero poche. Per provare a capirci qualcosa conviene dunque partire dalle seconde. Innanzitutto: la Regione non ha al momento adottato nessun nuovo Piano rifiuti. In Calabria è in vigore quello approvato nel 2016 e modificato nel 2019. La giunta Santelli aveva licenziato delle Linee guida di aggiornamento su proposta del “Capitano Ultimo” ma sono rimaste solo un atto di indirizzo. «Il Piano che cambierà la Regione» vagheggiato a novembre 2020 dall’allora assessore Sergio de Caprio in realtà non è mai neanche arrivato in consiglio regionale.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Probabilmente invece ci arriverà, senza grandi ostacoli, quello annunciato da Roberto Occhiuto: la sua giunta ha approvato una delibera con gli indirizzi per un Piano stralcio. Prima di andare a vedere quali siano, proviamo a ragionare su qualche altro dato certo. Il più drammatico riguarda la raccolta differenziata, l’unica via per uscire dal medioevo delle discariche che tutti da anni dicono di voler seguire – lo impone la legge – senza riuscirci.

    Differenziata ferma al 52%

    Nel 2020 (la fonte è la Regione) i calabresi hanno prodotto 715.976 tonnellate di rifiuti urbani (381,3 kg per abitante) ma la differenziata si è fermata a 373.610 tonnellate. Rispetto al 2013 i rifiuti prodotti sono diminuiti (erano 829.792 tonnellate, 422,8 kg per abitante) ed è aumentata la differenziata (erano 122.844 tonnellate). Però siamo ancora al 52,2%, molto poco se si pensa che il target del 65% si doveva raggiungere nel 2012. Esatto: siamo in enorme ritardo rispetto a un obiettivo che andava centrato già 10 anni fa. E che il Piano rifiuti del 2016, quello ancora in vigore, aveva fissato per il 2020.

    Cosenza: rifiuti in Svezia per 300 euro a tonnellata

    Proprio il 2020, scrive il dipartimento regionale Ambiente, è l’anno che ha sancito «la cronicizzazione dell’emergenza per l’esaurimento delle discariche pubbliche e private». Risultato? Sono state incenerite fuori regione 67mila tonnellate di rifiuti, a cui se ne aggiungono altre 2mila conferite in discariche extra-regionali. A costi, dice sempre la Regione, «esorbitanti». Un esempio: la provincia più grande della Calabria, quella di Cosenza, per parecchi mesi ha spedito la sua spazzatura a Mantova e addirittura in Svezia. Al modico prezzo di oltre 300 euro a tonnellata. Il canale svedese si è bloccato da qualche settimana a causa della guerra e, ora, si rischia una nuova emergenza nell’emergenza.

    Emergenza rifiuti in Calabria mai finita

    Già. E pensare che in teoria il settore calabrese sarebbe rientrato nella «gestione ordinaria» dal 2013. Lo stato di emergenza dei rifiuti in Calabria era stato proclamato nel 1997 ed è ufficialmente scaduto il 31 dicembre 2011. Ma nei fatti è sempre rimasto tale. Con un’altra certezza: una montagna di denaro pubblico è stata spesa senza mai fare passi avanti. È utile anche su questo guardare ai numeri, tenendo a mente che il servizio viene coperto con la tassa (Tari) pagata dai cittadini. Nel 2019 i rifiuti calabresi ci sono costati 168,44 euro per abitante (fonte: Catasto rifiuti Ispra su un campione del 42% dei Comuni). Il che significa 319 milioni di euro in un anno. I costi di gestione sono andati quasi sempre crescendo nel decennio: nel 2013 si spendevano 124,15 euro per abitante (245,8 milioni all’anno).

    Sommando i costi per abitante del Catasto Ispra, dopo averli moltiplicati per i residenti rilevati di anno in anno, viene fuori che tra il 2012 e il 2019 la gestione dei rifiuti calabresi è costata in totale oltre 2,2 miliardi di euro. Ancora prima, stando alle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta che se n’è occupata, in più di 13 anni di commissariamento le spese erano «lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti».

    Il termovalorizzatore da raddoppiare

    Già in quel dossier, datato maggio 2011, si parlava del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Sul quale ora Occhiuto vuole puntare per renderlo «più performante e meno inquinante».
    Al di là dell’ammissione implicita del presidente della Regione – «meno inquinante» significa che attualmente inquina e in futuro lo farà pure, ma di meno, e prima poi bisognerà farci i conti – a descrivere la situazione è il documento tecnico allegato dal dipartimento Ambiente alla manifestazione d’interesse per il project financing.

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    Il termovalorizzatore di Gioia Tauro

    Si parte dal «malfunzionamento» attuale del termovalorizzatore – termine meno inquietante dell’«inceneritore» comunque ricorrente anche in questi atti – che «incenerisce quantitativi molto inferiori rispetto alla potenzialità autorizzata di 120mila tonnellate all’anno». A Gioia Tauro viene trattato per produrre energia solo il combustibile solido secondario, l’attuale tecnologia «non consente di termovalorizzare gli scarti di lavorazione». Negli ultimi due anni, inoltre, si sono registrati «continui fermi impianto».

    Il grande problema resta sempre e comunque la mancanza di impianti pubblici sul territorio. Il Piano del 2016 ne prevedeva diversi riuniti in 8 «ecodistretti», ma risulta che «nessuna attività è stata avviata» per quello di Cosenza e le sue due discariche di servizio, così come per quelle previste a Lamezia, Crotone, Siderno e per l’impianto che dovrebbe sorgere nella Piana. «Bloccato», invece, l’iter per la discarica di Melicuccà. Ma secondo il dipartimento la configurazione degli ecodistretti va «integralmente confermata».

    Rifiuti in Calabria? Incenerire per non differenziare

    Quindi l’unica novità, al netto dell’aggiornamento dei target per la differenziata (65% nel 2023, 70% nel 2025 e 75% nel 2030), è il maggiore ricorso all’incenerimento dei rifiuti a Gioia Tauro. Dove, con l’entrata a regime delle ulteriori linee «completate ad oggi all’80%», si dovrebbe arrivare, secondo la Regione, a una «valorizzazione energetica» di circa 270mila tonnellate all’anno, garantendo così «l’autosufficienza» con il trattamento di tutti i rifiuti urbani residui e degli scarti della differenziata. Il termovalorizzatore, di proprietà della Regione, nel Piano stralcio dovrà essere individuato come «di rilevante interesse strategico regionale» e servire tutta la Calabria. Una previsione che, guardando ai propositi sulla differenziata, appare contraddittoria: se dobbiamo incenerire di più vuol dire che pensiamo che non differenzieremo di più.

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    Ecco come si presenta dall’alto e come è suddiviso l’impianto di Gioia Tauro

    Quando la giunta Spirlì voleva stoppare i privati…a parole

    Due digressioni necessarie. La prima: la Ue dice che entro il 2035 dovrà andare in discarica non più del 10% del totale dei rifiuti urbani, mentre la Calabria è oggi oltre il 44%. La seconda: il Tar ha annullato un’ordinanza – l’ennesima «contingibile e urgente» – emanata dalla giunta Spirlì a luglio 2021 dando ragione al Comune e all’Ato di Crotone. Rappresentati dall’avvocato Gaetano Liperoti, gli enti crotonesi si sono opposti alla decisione di portare in discarica fino a 600 tonnellate al giorno pagando 180 euro a tonnellata (dunque fino a oltre 100mila euro ogni 24 ore).

    Si tratta della stessa giunta che aveva garantito di voler stoppare i privati. E che nella stessa ordinanza ammetteva che avremmo pagato nei mesi successivi «prezzi esorbitanti» per portare i rifiuti fuori dalla Calabria. Secondo il Tar però non si possono «adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti». L’emergenza è dunque diventata così stabile da costituire, illegittimamente, la normalità.

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    Un’altra immagine dall’alto del complesso che ospita il termovalorizzatore di Gioia

    Addio Ato, ecco la multiutility di Occhiuto

    C’è poi un’ulteriore, grossa novità: gli Ato provinciali verranno soppressi con l’entrata in vigore della «multiutility» che gestirà l’intero ciclo di acqua e rifiuti. Si tratta di un cambio di rotta rispetto all’impostazione che stava andando nella direzione della gestione locale consorziata tra i Comuni. Alcuni territori sono effettivamente bloccati perfino nella scelta dei luoghi per gli ecodistretti, ma altri stavano facendo dei passi avanti. Adesso, mentre continuiamo a pagare bei soldoni per lo smaltimento, inseguiremo l’autosufficienza incenerendo in un solo impianto i rifiuti di tutta la regione. Ma dimenticando che la normativa europea e il Codice dell’ambiente (art. 182 bis) fissano anche il principio di prossimità: i rifiuti andrebbero smaltiti «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta».

  • Il Duca Conte Occhiuto e la Megacittadella

    Il Duca Conte Occhiuto e la Megacittadella

    A dirla tutta non incute il timore del Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam, né il suo ufficio in cima alla Cittadella è avvolto dal bagliore alienante in cui Fantozzi si ritrova nel finale del suo primo film. Però, a leggere bene le carte senza badare troppo alla narrazione social, Roberto Occhiuto sembra muoversi proprio come il Galattico padrone assoluto della Megaditta che il ragioniere più famoso del cinema italiano appellava «maestà» o «santità».

    È pur vero che, al netto dei calcoli su astensionisti e residenti all’estero, lo ha scelto un popolo che da 50 anni chiede invano di essere ben governato. E va anche detto che in tutte le principali emergenze che schiacciano la Calabria è la Regione l’unico ente che può metterci i soldi. Dunque è anche comprensibile, alla luce dei fallimenti del passato, che chi la guida tenda a prendersi, oltre che le grane, anche il potere. Ma nel caso di Roberto Occhiuto il tasso di accentramento ha già raggiunto in pochi mesi livelli che i suoi predecessori nemmeno si sognavano.

    Roberto Occhiuto mega presidente galattico

    Oltre ai superpoteri nella sanità in Calabria quale commissario e creatore dell’Azienda zero, è pronto un nuovo disegno che darà a Occhiuto il bastone del comando anche in materia di acqua e rifiuti. Non li gestirà lui direttamente. Ma certamente chi lo farà sarà una sua diretta emanazione, una protesi burocratica che assorbirà le competenze che ora sono di altri e rispondono ad altri.

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    La sede della Regione Calabria a Germaneto

    Il disegno di legge approvato in Giunta (potete immaginare su proposta di chi), è arrivato fresco fresco al Consiglio regionale. Si intitola “Organizzazione dei servizi pubblici locali dell’ambiente”. Passerà dall’esame di merito della quarta Commissione (Ambiente) e dovrà avere il parere della seconda (Bilancio). Dopodiché approderà nell’Aula di Palazzo Campanella. Dove, al di là di qualche emendamento che dovrà avere sempre l’ok del Megadirettore, si può star certi che scivolerà liscio verso l’approvazione.

    Rifiuti e acqua in Calabria: Occhiuto e la multiutility

    La proposta prevede la creazione dell’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria, con la partecipazione obbligatoria di tutti i Comuni della regione. Si tratta della «multiutility» di cui Occhiuto parla fin dalla campagna elettorale. Accorperà in un unico ente sia l’Autorità idrica della Calabria (Aic) che i cinque Ambiti territoriali ottimali (Ato) che, molto in teoria, dovrebbero gestire il ciclo dei rifiuti in Calabria. L’Aic è oggi l’ente di governo d’ambito dell’acqua. È entrata in funzione dopo enormi ritardi e, mentre progettava di affidare il servizio idrico a un’azienda speciale consortile, è incappata nella figuraccia del bando per l’ammodernamento delle reti idriche, risultandone esclusa per la mancanza di un allegato.

    Ora l’Aic verrà soppressa, proprio come gli Ato che nelle cinque province stavano tentando, a vario titolo con scarsi risultati, di dare un’accelerata a quei nuovi impianti che da anni non si riescono a realizzare per tirare fuori la gestione della spazzatura dal medioevo delle discariche. Il passaggio è ovviamente anche politico. L’idrico è stretto tra le velleità dell’Aic guidata da Marcello Manna e le difficoltà societarie della Sorical – il ddl autorizza Fincalabra ad acquisire le quote dei privatiaffidata al leghista Cataldo Calabretta. Allo stesso modo gli Ato sono bloccati dalle tante vertenze territoriali e dalle rivendicazioni dei vari sindaci.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Via tutti, comando io

    La soluzione? Semplice: via tutti, in Calabria su acqua e rifiuti comanda Occhiuto. Che, se la legge verrà approvata così com’è, entro dieci giorni dall’entrata in vigore nominerà un commissario straordinario alla guida della Megauthority. Il commissario rimarrà in carica fino alla costituzione degli organi ordinari – tra poco vedremo quali sono – e comunque per non più di 6 mesi, eventualmente rinnovabili.

    La nuova Autorità subentrerà subito nei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo all’Aic (prendendosene patrimonio e personale). Stessa cosa, ma con sei mesi di interregno, per tutto ciò (impianti compresi) che fa riferimento alle Comunità d’ambito degli Ato, che dopo il semestre saranno sciolte di diritto e decadranno.

    La multiutility c’est moi

    Sarà dotata, la multiutility, di un’apposita struttura tecnico-operativa. E potrà, inoltre, avvalersi di personale della Regione, degli enti subregionali e degli enti locali. Über alles, insomma. Gli organi, dicevamo, sono: direttore generale (indovinate da chi sarà nominato…), consiglio direttivo d’ambito, revisore dei conti.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Il consiglio direttivo è costituito da 40 Comuni: ne fanno parte di diritto i cinque capoluoghi e gli altri rappresentanti verranno eletti, con criteri proporzionali alla popolazione, da tutti i sindaci calabresi. Il giorno delle elezioni lo stabilirà con decreto il presidente della Giunta regionale. Lo stesso Occhiuto, come detto, una volta «sentito il consiglio direttivo», nominerà anche il dg, che dura in carica 5 anni. La Regione avrà il potere di vigilanza sugli atti dell’Autorità, il Consiglio regionale eserciterà il controllo sull’attuazione della legge istitutiva e valuterà i risultati che ne scaturiranno.

    Il popolo e il Duca Conte 

    Ma attenzione: nel disegno di legge c’è spazio anche per un articolo intitolato «Tutela degli utenti e partecipazione». Che non si dica che ci si dimentica del popolo. Testuale: «In rappresentanza degli interessi degli utenti dei servizi, ai fini del controllo della qualità del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani, presso il Consiglio direttivo d’ambito dell’Autorità è istituito il Comitato consultivo degli utenti e dei portatori d’interesse».

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    Fantozzi nell’ufficio del mega direttore galattico

    Ok. Ma chi decide la composizione del Comitato? «È nominato con decreto del presidente della Regione ed è formato sulla base di una direttiva della giunta regionale». Le istanze dei cittadini-contribuenti sono insomma nella proverbiale botte di ferro, anche stavolta ci pensa il Duca Conte Roberto Occhiuto. Intanto, per noialtri inferiori, resta il sogno di trovare nel prossimo Burc un decreto che dispone, per l’ultimo piano della Cittadella, l’acquisto di un acquario in cui far nuotare i dipendenti e di una poltrona in pelle umana.

  • I gran rifiuti: Reggio e provincia in cerca di una discarica

    I gran rifiuti: Reggio e provincia in cerca di una discarica

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    Una discarica “di servizio” da realizzare ma ancora in attesa dell’individuazione di un comune disposto ad accollarsela. Un’altra in costruzione da oltre un decennio ma sospesa nel limbo per il rischio di infiltrazioni nell’acquedotto che serve il centro più popoloso della provincia. Poi un impianto di trattamento dei rifiuti profondamente trasformato e (quasi) in consegna. E un altro che resta appeso al braccio di ferro tra la città metropolitana – che lo ha inserito come parte integrante dell’Ato provinciale – e il Comune di Siderno.

    Quest’ultimo, invece, teme i rinculi ambientali che l’opera provocherebbe e si è rivolto ai giudici amministrativi per ottenere una sospensiva ai cantieri. E, ancora, i lavori al termovalorizzatore di Gioia Tauro – l’unico in Regione – che da anni va avanti a mezzo servizio. In questo marasma disordinato e costoso, Reggio e la sua provincia annaspano sotto il peso di un miserrimo 32% di raccolta differenziata. Sono circa 15 punti percentuali in meno della media regionale.

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    Il termovalorizzatore di Gioia Tauro

    Guarascio re dei rifiuti e le proroghe

    È un disastro che pone la città più grande della Calabria appena sopra il fanalino di coda Crotone e che è andato peggiorando – certifica il report annuale di Arpacal – negli ultimi due anni. Un disastro gestito “a monte”, di proroga semestrale in proroga semestrale, da Ecologia Oggi, il gruppo che fa capo al “re dei rifiuti” Eugenio Guarascio. Gruppo che, dopo avere preso in mano l’intero comparto al dileguarsi della multinazionale francese Veolia, ha gestito, di fatto da monopolista, tutti gli impianti presenti nel Reggino. Ma è uscito sconfitto nella gara – l’unica finora espletata dalla Città metropolitana – per la gestione dell’impianto di Sambatello, i cui lavori di rewamping dovrebbero essere completati entro fine anno.

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    L’ingresso dell’impianto di Sambatello

    Reggio città e l’ecodistretto

    Reggio città ha contabilizzato negli ultimi anni una perdita percentuale di quasi 6 punti sul dato della raccolta differenziata. Il suo ecodistretto – tre in totale quelli previsti per tutta la provincia, con Siderno e Gioia – se la passa meglio, almeno in prospettiva: i lavori appaltati nel 2020 per l’impianto di Sambatello dovrebbero essere consegnati entro fine anno. I 41,5 milioni di euro finanziati con fondi Por hanno consentito una profonda trasformazione del sito.

    Si è passati da tecnologia meccanica-biologica a una piattaforma di recupero dei rifiuti con una linea per il secco e una per il trattamento anaerobico dell’organico con produzione di biometano. Un passo avanti importante, per un impianto che si appoggerà alla discarica di Motta San Giovanni per i materiali di scarto frutto della lavorazione del differenziato. Scarti che ad oggi, per la mancanza di siti attualmente attivi, finiscono fuori dai confini provinciali, con inevitabile aumento delle tariffe.

    Melicuccà: la storia infinita

    La mancanza di discariche finali rappresenta uno dei punti più dolenti dell’intera vicenda legata al trattamento dei rifiuti in Calabria e ancora di più nel reggino. In attesa di una ancora lontanissima autosufficienza, sono state previsti i lavori per la realizzazione di due siti distinti: il primo, individuato nel territorio di Melicuccà e destinato a servire gli scarti del termovalorizzatore di Gioia, è diventato, suo malgrado, simbolo ormai storico dell’inefficienza dell’intero comparto.

    Posto a 550 metri di quota sul versante tirrenico d’Aspromonte, il sito di contrada La Zingara “vanta” una storia antica di violenze ambientali. Sede per decenni della vecchia discarica comunale, nel 2006 arrivò l’ordine di dismissione per una serie di violazioni alle leggi di tutela dell’ambiente. Poi, nel 2009, la Regione anche nell’ottica dell’eterna emergenza rifiuti, individuò, proprio accanto alla vecchia discarica dismessa, un altro sito dove costruirne una nuova.

    L’interno del sito di trattamento dei rifiuti di Melicuccà

    Falde a rischio inquinamento

    La scelta portò in piazza centinaia di persone in protesta. «Sotto il sito individuato dalla Regione – dicevano i rappresentanti delle associazioni di cittadini che si oppongono all’opera – scorrono le falde che alimentano l’acquedotto Vina che serve Palmi e Seminara». La successiva denuncia presentata da Legambiente portò al sequestro dell’area. Siamo nel 2014, quando i lavori erano già iniziati da un pezzo.

    Per uscire dallo stallo servirebbe un’approfondita analisi geologica del terreno, ma nessuno se ne occupa e l’indagine decade per decorrenza termini. Passano gli anni ma quello di contrada La Zingara è sempre il sito su cui Regione e città Metropolitana puntano per costruire la discarica di servizio, e così nel 2021, con un finanziamento di 15 milioni di euro, i lavori per una discarica “monstre” da 400 mila tonnellate ripartano.

    Le indagini (e lo stop) a cantieri quasi pronti

    Prima però che le indagini tecniche affidate al Cnr (incaricato dalla Città Metropolitana) e all’Ispra (chiamata in causa dal comune di Palmi) possano stabilire se esista un rischio di inquinamento delle falde acquifere. E così, come da migliore paradosso calabrese, quando arrivano i risultati delle due indagini, i cantieri – siamo nel dicembre dello scorso anno – sono quasi pronti.

    Ma le conclusioni dei due istituti di ricerca concordano nel ritenere possibile il rischio di inquinamento delle falde. Per entrambi gli studi, infatti, la conformazione geologica del terreno, fatto di sabbie e rocce granitiche frammentate, ha creato una serie di sacche d’acqua. E queste potrebbero alimentare, a valle, i torrenti sotterranei che alimentano la sorgente Vina.

    Una sorta di pietra tombale scientifica sulla possibilità dell’entrata in esercizio del sito (e conseguentemente sul completamento delle strutture previste dall’Ato 5 Reggio Calabria) a cui Regione e metrocity proveranno a mettere una pezza attraverso Arpacal che dovrebbe realizzare la «perimetrazione della fonte» mettendo così una parola definitiva all’ennesimo rischio ambientale.

    L’emergenza rifiuti…che nessuno vuole

    Se sul Tirreno il tira e molla sulla discarica va avanti da quasi venti anni, sul versante jonico della provincia, il sito destinato a servire l’impianto di trattamento dei rifiuti di Siderno, non è stato nemmeno individuato. Nonostante la possibilità di incassare le royalties per la presenza del sito sul proprio territorio comunale (Siderno incassa 7 euro per ogni tonnellata di monnezza trattata nel Tmb) nessuno dei 42 sindaci infatti si è fatto avanti per avanzare la propria candidatura.

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    I capannoni dell’impianto di Siderno

    Questo stallo imbarazzante dura da anni. Non si è fermato nemmeno davanti alla nomina dell’ennesimo sub commissario regionale che, nel 2020, avrebbe dovuto d’imperio individuare un sito. Alla soluzione dall’alto, però, si preferì una scelta condivisa tra tutti gli amministratori della Locride che, da allora, non sono riusciti a trovare un’intesa. Sul rinvio della scelta del luogo, va detto però che almeno in questa occasione si è preferito, al contrario di quanto successo a Melicuccà, attendere la relazione sui territori che rispondono alla caratteristiche tecniche necessarie ad un intervento di questa portata.

    Ne resterà solo uno

    Arrivata la mappa, ora ci si concentrerà sui comuni da escludere: quelli che non rientrano per conformità del terreno così come quelli che ospitano, o hanno ospitato in passato, impianti o siti destinati ai rifiuti. Escluse quindi Caulonia, Bianco e Melito, che ospiteranno i centri di smistamento di zona. Fuori anche Casignana, nel cui territorio ricade la terrificante discarica dismessa. E fuori quindi anche Siderno, dove è presente il Tmb su cui a giorni si attende la pronuncia del Tar che dovrà decidere sui lavori di rewamping che prevedono nuove costruzioni per oltre 60 mila metri quadri. Di quanti ne mancano, ne resterà soltanto uno. E dovranno sceglierlo gli stessi sindaci.

  • Caulonia, il paese che sprofonda

    Caulonia, il paese che sprofonda

    A Caulonia più di mille anni di storia sono, letteralmente, in bilico sullo sbalanco. Chiese barocche, antichi teatri, una manciata di abitazioni e giardini da cartolina: tutto appeso agli umori di ciò che resta della rupe su cui sono stati costruiti. La stessa rupe, che per secoli ha protetto l’antica Castelvetere dalle incursioni degli eserciti e dalle scorrerie dei saraceni, e che ora si sgretola. Il dissesto idrogeologico –  incurante dei cantieri realizzati e di quelli pronti a partire, degli interventi rimasti solo sulla carta e dei lavori da ultima spiaggia messi in campo dopo ogni pioggia seria – è andato avanti negli anni, minando la solidità stessa di una parte di Caulonia.

    Un video della frana girato da Ivan Reale nel 2017: da allora la situazione si è aggravata

    La situazione si è incancrenita con il tempo nonostante i quasi 20 miliardi di vecchie lire già spesi fino ad ora. Adesso si proverà a mettere una pezza – l’ennesima – con i nuovi lavori di consolidamento in partenza a giorni. Il finanziamento è di 1,9 milioni di euro, da dividere tra la rupe del borgo e la parte alta della Marina. Tolta l’Iva e gli oneri, restano poco più di 900mila euro di corsa contro il tempo, in attesa di altri fondi. Si tratta di altri 900mila e rotti attualmente in attesa di approvazione per la base della rupe. A questi bisogna aggiungere i soldi per gli ulteriori cantieri, in fase di progettazione, che dovranno completare quelli che stanno per partire. È uno stillicidio senza fine, cucito sulla pelle di un paese già fortemente vandalizzato da incurie e abusi.

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    I segni visibili del dissesto idrogeologico a Caulonia

     

    Cronaca di un disastro

    Mortida, Maietta, Carminu: hanno nomi figli delle dominazioni che si sono alternate nel corso dei secoli i quartieri di Caulonia già colpiti dal disastro. Le case costruite sul ciglio della rupe, alla Mortida, sono state le prime a venire giù. Sono state sgomberate e abbattute negli anni ’90 a causa di un concreto rischio crollo.

    Ma il problema è più antico e già alla fine del decennio precedente l’erosione della rupe su cui poggia la parte di Caulonia che guarda alla valle dell’Amusa, era finita al centro dell’attenzione della commissione Grandi rischi dell’allora ministero della Protezione civile. Due sopralluoghi degli ingegneri della Prociv hanno certificato la necessità di intervento immediato. Il problema, comune a quasi tutti i centri del territorio, investiva la rupe nella sua interezza.

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    Crepe profonde sulle strade di Caulonia

    E già dal 1988 esisteva un piano di fattibilità da 12 miliardi che avrebbe consentito di mettere in sicurezza l’intero paese. I primi tre miliardi di finanziamento per il dissesto arrivano nel ’91. Sarebbero destinati agli interventi di risanamento per la zona di San Biagio e di Tinari oltre che per quella della Maietta. Ma i soldi non bastano e i lavori vanno avanti solo nei primi due rioni.

    Si deve aspettare qualche anno prima che i cantieri raggiungano il lato meridionale della rupe. Però gli interventi, seppure economicamente impegnativi, non risulteranno decisivi per contrastare il dissesto idrogeologico. Si arriva così alla fine dei ’90 quando si interviene in modo consistente. La rupe viene bloccata con contrafforti intirantati connessi tra loro da un cordolo in cemento armato. Un intervento importante, figlio di quel piano di fattibilità elaborato 10 anni prima e realizzato solo in parte. Così si blocca, almeno temporaneamente, il degrado del costone e mette in sicurezza il sito.

    Le avvisaglie a Caulonia

    Almeno fino all’ottobre del 2015, quando in seguito a diversi giorni di pioggia battente, una parte di via Maietta sprofonda di un paio di metri. L’ha mangiata da sotto lo sbriciolarsi delle argille che compongono la parte superficiale della rupe. Un crollo improvviso, ma che aveva avuto le prime avvisaglie qualche anno prima. All’epoca, infatti, diverse costruzioni poste alla base della rupe furono pesantemente crepate (e sgomberate) da un movimento franoso sotterraneo che scende verso la fiumara.

    Il problema dipende questa volta soprattutto dalle infiltrazioni d’acqua. Tra quella piovana e quella mal regimentata degli scarichi fognari della zona, la rupe si ritrova corrosa “dall’interno”. Lo certificano, pochi giorni dopo il crollo, gli ingegneri della protezione civile. Nella loro relazione di primo intervento annotano tra gli scenari attesi «nuovi sprofondamenti simili a quello già evidenziato» e la loro «accentuazione». Suggeriscono tra le altre cose «la regimentazione delle acque di ruscellamento che insistono sul piazzale impedendone o riducendone significativamente l’infiltrazione».

    Parole al vento

    Ma di quel suggerimento nessuno sembra prendersi cura. E le cose, mese dopo mese, continuano a peggiorare. L’acqua piovana si infiltra anche dalle nuove voragini che via via si aprono su via Maietta. Solo nel 2017, un ulteriore finanziamento pubblico di 100mila euro consentirà l’installazione di una serie di tubi di plastica per regimentare le acque piovane e riversarle alle spalle della rupe, lungo le vinede strette del paese. L’ennesimo intervento di rattoppo serve però a poco e la gravità della situazione comincia a mostrarsi anche sui muri della chiesa che dà il nome alla piazza. Crepe profonde sull’abside barocca, sul sagrato, nei passaggi che portano all’organo monumentale e al giardino.

    I tubi di plastica per regimentare le acque piovane a Caulonia

    La situazione è così grave che dal novembre del 2019, l’intera area – su cui si trova anche la seicentesca chiesa di San Leo a Caulonia, da qualche anno riconvertita a sala prove per la banda del comune – è stata interdetta anche al traffico pedonale: sgomberate le case che affacciano sulla rupe – anche se è non raro trovare qualcuno tra i vecchi abitanti ancora affacciato alle finestre –, chiusa al culto la chiesa costruita sui ruderi del convento degli Agostiniani. Tutto sbarrato sperando che nuove forti piogge non facciano venire giù tutto prima della fine dell’ennesimo intervento. Vengono anche installati dei sensori per monitorare continuamente lo stato della frana.

    I nuovi lavori

    Arriviamo così ai giorni nostri, con il nuovo cantiere per il «consolidamento rupe centro storico» che dovrebbe essere aperto nel mese di marzo. E che, non ancora partito, già segna il passo rispetto ad una situazione drammatica che è continuata a peggiorare. Nella relazione tecnica inviata dal Rup del progetto alla Cittadella regionale, infatti, si legge che «l’area di intervento individuata nel progetto appare meno preoccupante di zone limitrofe non comprese nel Ppbg, in cui sono stati rilevati fenomeni di retrogressione del ciglio, sprofondamenti significativi e scavernamenti della parete. Tali risultanze – scrive ancora il Rup Ilario Naso analizzando i rilievi eseguiti in parete dai geologi rocciatori – sono maggiormente gravose rispetto a quelle rilevate in passato ed evidenziate sul progetto finanziato».

    Il circo può ripartire quindi, con la speranza che nuove bombe d’acqua non mandino tutto all’aria e anche se già si sa che l’intervento, così come è strutturato, non sarà risolutivo. Almeno fino al prossimo finanziamento.

  • Tirreno cosentino, fiumi di denaro e un mare di opere incompiute

    Tirreno cosentino, fiumi di denaro e un mare di opere incompiute

    Da quando – dagli anni ’80 in poi – il Tirreno cosentino è diventato meta turistica con leggi ad hoc per la costruzione di alberghi e villaggi, magari abusivi e usati come lavanderia dalle cosche locali, anche le opere pubbliche hanno accompagnato questa crescita disordinata e devastante.

    Molto denaro per nulla

    Una pioggia di denaro si è riversata su tutti i paesi costieri, per la gioia di politicanti di centro, destra e sinistra che così hanno accresciuto il proprio peso politico ed elettorale. Sono gli anni in cui i big si chiamano Misasi, Pirillo, Gentile, Adamo, Covello, Antoniozzi. Anni in cui si dissemina la costa di marciapiedi e si rifanno centri storici con marmi di Trani e pietre di porfido del Trentino. Sorgono mattatoi, centri sportivi, porti turistici, strade di penetrazione finite nel nulla. Opere quasi tutte abbandonate o inutilizzate.

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    Massi per arginare le mareggiate a Belvedere

    Come può un masso arginare il mare?

    La follia degli anni ’80 inizia con i massi a difesa della ferrovia. Una serie di pietre provenienti da cave, gestite spesso dalle potentissime cosche del Tirreno, gettate alla rinfusa a protezione della linea ferroviaria colpita da forti mareggiate. A trasportare i massi una serie di ditte, a studiare il fenomeno tecnici di dubbia esperienza che hanno costruito quell’inutile barriera di massi favorendo indirettamente o direttamente l’erosione verso il paese vicino. Così i massi a Belvedere hanno rovinato le spiagge di Sangineto e, via verso sud, fino al disastro di San Lucido.

    Fronte del porto

    Dopo i massi, ecco i finanziamenti sulle condotte sottomarine legate alla depurazione. Miliardi di vecchie lire hanno fatto sì che ogni depuratore avesse la sua condotta che sarebbe dovuta arrivare a trenta metri di profondità. Diverse però, finiti i finanziamenti, si sono fermate a poche decine di metri dalla riva espandendo liquami secondo le correnti.

    Poi l’esplosione della portualità negli anni ’90. Ogni paese voleva un porto, ogni paese presentò progetti in massima parte finanziati dalla Regione o dal Comune. Anche stavolta a regnare sembra essere l’improvvisazione. Progetti fantasiosi e soprattutto miliardari, che vanno dal Porto canale mobile e retraibile di Tortora alla foce del fiume Noce a quello attorno alla Torre Talao a Scalea. C’è poi quello nel fiume Corvino a Diamante con annesso lago, e poi ecco quello di Belvedere fra i massi della ferrovia, quello di Fuscaldo, di Paola, di Cittadella, di Campora San Giovanni.

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    Diamante vuole un porto turistico

    Al momento, passata la buriana dei fallimenti finanziari, sono operativi solo quelli di Cetraro e Campora san Giovanni. Ma entrambi convivono annualmente con l’insabbiamento degli ingressi e i relativi esborsi di centinaia di migliaia di euro per liberarli e permettere così alle imbarcazioni di entrare ed uscire.

    Il porto di Damante è emblematico del disastro compiuto da quattro sindaci, iniziato nel 1990 con il sindaco De Luna, e proseguito con Caselli, Magorno, Sollazzo, e tre governatori (Oliviero, Santelli, Spirlì) che non sono riusciti a gestire cospicui finanziamenti finiti in mano di un concessionario, riducendo solo la scogliera ad un ammasso di cemento.

    Aviosuperficie e ospedale: Scalea abbandonata

    La madre di tutte le opere pubbliche abbandonate è probabilmente  l’aviosuperficie di Scalea. Circa 23 miliardi di vecchie lire sperperate lungo il fiume Lao in un corridoio verde, un’area Sic e un’area demaniale. Per costruirlo sono state estirpate ben 2.000 piante di cedro che decine di contadini coltivavano da decenni. Un disastro passato inosservato e che ha fatto posto ad una lingua di bitume lunga circa 2.000 metri e larga 30 e ritornato alla luce grazie all’inchiesta “Lande desolate” nella quale venne coinvolto anche il governatore Oliverio, poi assolto.

    Sempre a Scalea un’altra delle opere pubbliche abbandonate e solo in parte restituita alla collettività negli anni recenti, è l’ospedale. Una struttura imponente di tre piani che troneggia su una collina costata alla collettività ben 10 miliardi di vecchie lire. Non è mai entrato in funzione come ospedale né lo diventerà dopo la chiusura di altri 19 presìdi in tutta la regione. Rimasto senza alcun controllo dopo essere stato attrezzato, per anni è stato vandalizzato, fino a farne sparire le cucine e tutti gli arredi delle stanze.

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    Doveva essere l’ospedale di Scalea, ma è solo abbandonato e vandalizzato

    Tre viadotti e due gallerie

    Poi ci sono le strade di penetrazione dal Tirreno verso l’autostrada, quelle che avrebbero dovuto favorire il turismo. La strada di collegamento di Lagonegro è obsoleta e se ne cerca un’altra. La prima negli anni ’90 fu il congiungimento di Guardia Piemontese attraverso San Marco. Una variante che era partita bene ma che si è fermata a metà con una sola bretella ben fatta: riporta, però, alla vecchia strada provinciale senza raggiungere l’autostrada a pochissimi km.

    Ed ecco in alternativa un’altra grande pensata, una nuova strada che da Scalea possa raggiungere Mormanno. I soldi pubblici ci sono, ben 100 milioni di euro. Si parte alla grande dal fiume Lao, ma, completata una bellissima rotonda, la strada si ferma ad un piccolo ponte della ferrovia. Soldi impegnati, dieci milioni di euro. Contro l’opera interviene anche il Parco del Pollino che non dà nessuna autorizzazione.  La strada per raggiungere Mormanno dovrebbe attraversare il territorio di Papasidero con tre viadotti e due gallerie. Uno sfondamento e una cementificazione selvaggia nel pieno del parco.

    La protesta dei lavoratori Sateca all’interno delle terme di Guardia Piemontese

    Non solo opere pubbliche: il disastro delle Terme

    Storia a sé fanno le Terme Luigiane e il contenzioso fra i due comuni che la dovrebbero gestire (Guardia Piemontese e Acquappesa) e la società che la aveva in concessione. Struttura chiusa, dipendenti in cassa integrazione, indotto volatilizzato, pazienti privati del servizio: a perdere è stato come sempre il territorio, ennesima conferma della disastrosa gestione delle cose pubbliche nell’alto Tirreno cosentino.

    Sempre a Guardia Piemontese, vicino alle terme è stata costruita una grossa struttura. È il Centro Congressi, costato centinaia di milioni in vecchie lire, abbandonato per decenni. Ripreso e ristrutturato recentemente, per poi essere destinato ad altro. Anche stavolta un’opera pubblica costretta a lungo a fare i conti con degrado e abbandono, quale sarà la prossima?

    Il centro congressi di Guardia Piemontese