Perché non basta dire “io non l’avrei fatto”

                                                                                                  di Paola Sammarro

Gli uomini, la mascolinità, i maschi, non hanno più niente di nuovo da raccontarci. Nessuna scoperta verso sé e verso gli altri, neanche l’ombra di una nuova consapevolezza e costruzione identitaria. Non c’è traccia di emancipazione sociale e culturale, stanno lì “attaccati alle poltrone del privilegio” come i peggiori politici provinciali, ignoranti, grezzi, urlando l’unico slogan che hanno imparato come risposta agli ultimi avvenimenti sociali a cui sono stati chiamati per dare una risposta: “non tutti gli uomini – not all men”

Del gruppo social “Mia Moglie” ne abbiamo sentito parlare parecchio in questi giorni, oltre 30mila iscritti, per la stragrande maggioranza uomini, condividevano foto intime delle mogli, o presunte tali, a loro insaputa. Quello di cui non abbiamo discusso abbastanza è che quanto accaduto fa parte della cultura dello stupro, e che a gli uomini, in quanto collettività, non interessa gestirlo come fenomeno sociale e come violenza di genere.

Rape Culture – Cultura dello stupro, cos’è?

“Cultura dello stupro” è un’espressione utilizzata dagli studi di genere e dai femminismi, per descrivere una “cultura” nella quale gli abusi di genere sono molto diffusi

e normalizzati, incoraggiati anche gli atteggiamenti e le pratiche che pretendono di avere il controllo sulla sessualità femminile. L’espressione “cultura dello stupro” è quindi molto ampia: non fa esclusivo riferimento allo stupro ma a una serie di pratiche e comportamenti molto diffusi come l’utilizzo di un linguaggio misogino, l’oggettivazione costante del corpo delle donne, la divulgazione di materiale intimo senza il consenso dell’altra parte coinvolta, il cosiddetto “slut shaming“, cioè la stigmatizzazione dei comportamenti e dei desideri sessuali femminili che si discostano dalle aspettative di genere tradizionali, e la colpevolizzazione della vittima quando subisce una violenza, lo spostamento cioè su di lei della responsabilità o di parte della responsabilità di quel che è accaduto.

Quindi, cosa c’entra il gruppo “Mia Moglie” con la cultura dello stupro?

Migliaia di uomini ogni giorno diffondono sui social immagini non consensuali di donne sconosciute, compagne, amiche. Telegram ne è pieno ad esempio. Si tratta di un fenomeno diffuso, trattato ancora come una goliardia e come un ulteriore monito per le donne “fate attenzione!” (tanto è sempre un problema delle donne, sono loro a doversi difendere, mica gli uomini a decostruire pratiche violente misogine).

La violenza sessuale e il non-consenso vengono normalizzati, anzi il non chiedere il consenso è parte del gioco, diventa eccitazione, amplia l’impulso sessuale, l’idea che si possa possedere una donna contro la sua volontà diventa parte del gioco erotico, e i corpi delle donne diventano merce da esporre, commentare, giudicare, scambiare.

Il gruppo, prima della chiusura, aveva raggiunto i 30 mila iscritti

La violenza di genere la fanno gli uomini

Ora, è bene ribadire un concetto fondamentale: la violenza di genere è un fatto sistemico che riguarda soprattutto gli uomini. Sono gli uomini che agiscono violenza verso le donne. E non stiamo parlando di una disputa da “Bar Centrale in qualsiasi paesello nazionale” su cui si discute se sono più violenti gli uomini o le donne, perché non esiste una violenza femminile uguale e speculare alla violenza maschile, le azioni violente che le donne agiscono verso gli uomini, non fanno un sistema culturale fondato su relazioni di potere. Le donne non dominano sistematicamente gli uomini nella società, nelle dinamiche lavorative, in quelle politiche, non fondano teocrazie.

Perché allora agli uomini non interessa diventare parte attiva di un processo di cambiamento. Gli uomini che in questi giorni sono stati interpellati in merito alla vicenda del gruppo social, hanno dichiarato di non sentirsi responsabili della violenza di genere e hanno sminuito o ridicolizzato a suon di battute la notizia sul gruppo “Mia Moglie”.

“Io non l’avrei fatto”

“Non tutti gli uomini sono così, io non l’avrei mai fatto!”. Lo slogan “not all men” divenuto celeberrimo tra gli uomini che hanno la priorità sociale di autoassolversi da colpe e responsabilità, ha radici nel movimento Men’s Right Activists, ed esprime il rifiuto di riconoscere nel patriarcato una parte importante del problema. Nessuna discussione e presa di posizione maschile, con una visione politica e sociale. L’importante quindi è negare che la violenza sulle donne sia un fenomeno sistemico, strutturale, la “strategia interiorizzata e bonaria” è portare il tutto su un piano personale, non certo collettivo. Lo slogan “Not All Men” e il relativo approccio alle questioni di genere, sono nati nella prima metà degli anni 2000 come slogan tra i sostenitori del Men’s Right Movement (MRM) cioè attivisti che lottano per i diritti degli uomini. Chi fa parte del movimento per i diritti degli uomini, si concentra su questioni sociali e sulle politiche adottate dal proprio Stato, volte (a detta di chi fa parte dl movimento), a discriminare gli uomini.

Gli argomenti del Movimento includono il diritto alla famiglia (come la custodia dei figli, gli alimenti e la distribuzione della proprietà coniugale), la riproduzione, i suicidi, la violenza domestica contro gli uomini, la circoncisione, l’istruzione, gli ammortizzatori sociali e le politiche sanitarie. Il Movimento è nato negli anni Settanta e molti studiosi ritengono che si sia sviluppato in reazione al femminismo.

Nel 2018, Southern Poverty Law Center ha classificato alcuni gruppi al Movimento per i diritti degli uomini come parte di un’ideologia di odio sotto l’egida della supremazia maschile. La domanda oggi è: può la mascolinità emanciparsi dal proprio Io e diventare un discorso collettivo e di messa in discussione del patriarcato?