Ve le ricordate le parole di Primo Levi? Sì che ve le ricordate, ce le hanno fatte imparare a scuola e sempre a scuola le leggiamo ogni anno, in occasione del Giorno della Memoria, quando ricordiamo i sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti (in Italia con la complicità del regime fascista). Ve le ricordate vero? Quando Levi chiede retoricamente e con rassegnato dolore
“se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane”
e alla fine con la forza della maledizione intima di non dimenticare, di non permettere che sembri che sia stato tutto normale, di lasciare intatto l’orrore. Conviene in questi giorni drammatici ricordarcele queste parole, perché quello che da mesi, da anni, sta accadendo in Palestina non è né diverso, né giusto, né normale, né perdonabile. E’ un genocidio, come pure l’Onu si è deciso a riconoscere e quindi ormai nessuna ipocrisia può negarlo. Si sta compiendo un crudele tentativo di cancellare un popolo. Una soluzione finale.
Non vi viene in mente un passato lontano che però dimostra di non essere mai davvero passato? Non vi viene in mente la faccia passiva, disarmante, disgustosamente normale di un certo Eichmann, quello della Banalità del Male di Hanna Arendt? Era Eichmann ad avere il compito di realizzare la “soluzione finale”. Chissà che faccia hanno quelli che con gli occhi fissi su uno schermo prendono le coordinate di qualche povera casa con dentro una famiglia palestinese sulla quale fare cadere un missile da centinaia di migliaia di dollari. Sembra un war game, invece è carne e sangue di innocenti.

Vittime e carnefici
Qual è la differenza, vi prego ditemela, tra i boia di uno qualunque dei campi di sterminio nazisti e il ministro israeliano Ben Gviv che fa affiggere davanti alle porte delle celle in cui sono rinchiusi i prigionieri palestinesi, le foto delle loro case distrutte dalle bombe? Dove la differenza tra il rastrellamento del ghetto di Roma del 43 e gli arresti indiscriminati di bambini e adolescenti a Gaza?
Nell’ipocrisia istituzionalizzata c’è chi inorridisce per il paragone tra un ministro di Netanyahu e un gerarca nazista, oppure pone mille distinguo tra un ufficiale dell’ Idf che ordina di sparare su bambini inermi e quei soldati tedeschi che noi abbiamo visto solo nei film. Eppure certe immagini raccontano un orrore non dissimile, fatto da corpi di bambini sfiniti dalla fame, smembrati dalle bombe, donne e uomini deportati, spogliati di tutto, umiliati, colpiti da raffiche mentre fanno una disperata fila per il cibo.

La nuova Soluzione finale
Appare evidente quale sia l’obiettivo ultimo del massacro perpetrato oggi: una soluzione finale praticata da chi ha scordato il suo passato di vittima nel corso della storia e oggi indossa con consumata abilità l’abito del carnefice potente e spietato. Lo scopo dell’eliminazione fisica di un popolo è stato svelato, con il candore dell’arroganza priva di alcuna forma di pudore, dal ministro delle Finanze del governo israeliano Smotrich, per il quale Gaza è una miniera d’oro sul piano immobiliare e che ha annunciato che “il business plan” della ricostruzione miliardaria è già sulla scrivania di Trump per l’approvazione.

Costruiranno una città da cui trarre enormi profitti, ma le cui fondamenta saranno posate sul sangue e la sofferenza di innocenti. Non ho conosciuto Primo Levi, non posso sapere cosa avrebbe detto o scritto oggi, davanti allo sterminio di migliaia di palestinesi, civili, donne, bambini. Ho invece conosciuto Settimia Spizzichino, sopravvissuta per coraggio e “tigna”, come avrebbe detto lei stessa, agli orrori di Auschwitz. Posso forse immaginare cosa avrebbe detto contro l’orrore di adesso, lei che visitava le scuole d’Italia per raccontare la mostruosità che aveva vissuto, non diversa da quella inflitta oggi a un altro popolo.

Le parole di Primo Levi
Vale la pena di ricordare una intervista di Gad Lerner a Levi, uscita sul Fatto Quotidiano e poi recentemente ripresa da altre testate, fatta a ridosso del massacro commesso dalle Falangi libanesi protette dall’esercito israeliano contro i civili indifesi dei campi profughi di Sabra e Shatila. Le parole di Levi furono durissime contro il falco Ariel Sharon, allora capo del governo di Gerusalemme. Del resto, sono numerosi e importanti gli intellettuali di cultura ebraica a essersi con forza scagliati contro i massacri indiscriminati e contro l’ormai innegabile tentativo di una conquista di territorio che passa attraverso l’eliminazione di un popolo. Né dentro Israele manca una opposizione sempre più forte contro il governo di Netanyahu

La maledizione incombente
Oggi per le anime candide che inventano distinguo, che considerano oltraggioso avanzare l’ipotesi di un confronto tra il destino che toccò agli ebrei in Europa negli anni del nazismo e del fascismo con quanto sta accadendo da tempo immemore in Medio oriente sulla pelle dei palestinesi, cade l’ultimo patetico velo delle parole, quello per cui il termine “genocidio” non si poteva usare. Ebbene queste persone si rassegnino: è un genocidio.
Per tutti quelli che lo hanno negato, il consiglio è di rileggere Levi. Quelli che per tutto questo tempo si sono nascosti dietro l’ipocrisia, che hanno fatto finta di non sapere, gli ignavi e i complici avvezzi al silenzio. Gli uomini e donne di Stato e le persone comuni che hanno scelto di fare finta di nulla, come i moltissimi che quando il fumo usciva dai camini dei lager si girarono dall’altra parte. Rileggete quelle parole e più di tutto l’intimazione finale: “Scolpitele nel vostro cuore, Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.” Questa maledizione è per voi.
