La bomba, il fantasma del pilota pentito e i silenzi di Serra San Bruno

Da quando ho sentito per la prima volta la storia del pilota che, dopo aver sganciato la bomba atomica su Hiroshima, si sarebbe ritirato nella Certosa di Serra San Bruno, sono stato catturato da un fascino irresistibile. 

Proprio pochi giorni fa col mio amico documentarista Antonio Martino avevamo pensato di ragionare su questo argomento.

È una narrazione che intreccia guerra, colpa, redenzione e spiritualità, ambientata in un luogo mistico e isolato come la Certosa, un monastero certosino immerso nelle silenziose foreste calabresi del vibonese. Questo racconto, che oscilla tra realtà e leggenda, ha il potere di evocare immagini potenti: un uomo tormentato dal peso delle sue azioni, in cerca di pace tra le mura di un convento antico, lontano dal clamore del mondo. Ma quanto c’è di vero in questa storia? E perché continua ad affascinarmi così tanto?

L’esplosione della bomba e le sue conseguenze

Le origini di una leggenda

La storia ha radici negli anni ’60, quando lo scrittore calabrese Sharo Gambino pubblicò un racconto che accese l’immaginazione di molti. Secondo la sua versione, un pilota americano, pentito per il ruolo avuto nel bombardamento atomico di Hiroshima del 6 agosto 1945, avrebbe scelto la vita monastica nella Certosa di Serra San Bruno per espiare le sue colpe. Il racconto, ripreso da un servizio RAI del 1962, si diffuse rapidamente, trasformandosi in una vera e propria leggenda urbana. La notizia attirò l’attenzione di giornalisti e curiosi, al punto che i monaci della Certosa, disturbati dalle continue visite di chi cercava il misterioso pilota, affissero un cartello con un messaggio chiaro: «Nella Certosa non c’è il pilota di Hiroshima. Non disturbate la quiete del convento».

La certosa di Serra San Bruno, tra le cui mura avrebbe cercato espiazione il pilota americano

Eppure, nonostante la smentita, la storia non ha mai smesso di esercitare il suo fascino su di me. C’è qualcosa di profondamente umano nel pensiero di un uomo che, dopo aver contribuito a uno degli eventi più devastanti della storia, cerca redenzione in un luogo di silenzio e contemplazione. La Certosa di Serra San Bruno, fondata nel 1090 da San Bruno, è un luogo che sembra fatto apposta per accogliere anime in cerca di pace: le sue mura austere, il rigore della vita monastica e il profumo dei boschi calabresi creano un’atmosfera che invita alla riflessione. È facile immaginare un uomo tormentato, avvolto dal silenzio di quel luogo, intento a confrontarsi con il proprio passato.

La ricerca della verità

Ma chi era questo pilota? La storia, per quanto affascinante, si scontra con i fatti storici. Il pilota dell’Enola Gay, il bombardiere B-29 che sganciò la bomba atomica “Little Boy” su Hiroshima, era il colonnello Paul Tibbets. Tibbets, un uomo pragmatico e convinto della necessità della sua missione, non mostrò mai rimorsi pubblici per il suo ruolo e visse una vita lontana da monasteri, morendo nel 2007 senza mai visitare la Calabria. La sua figura non si adatta al profilo del “pilota pentito” della leggenda.

Paul Tibbets, il comandante dell’Enola gay

Dietro la leggenda una storia vera

Tuttavia, scavando più a fondo, emerge un altro personaggio che potrebbe aver ispirato il racconto: Tony Lehmann, un soldato americano che, pur non essendo un pilota, visitò Hiroshima poco dopo il bombardamento come parte del suo servizio militare. Lehmann, sconvolto dalla devastazione causata dalla bomba, decise di lasciare l’esercito, si laureò in filosofia e divenne sacerdote gesuita. Successivamente, trascorse periodi di ritiro nei monasteri certosini di Pisa e Serra San Bruno. È possibile che, durante il suo soggiorno in Calabria, abbia condiviso con i confratelli le sue riflessioni sulla tragedia di Hiroshima, alimentando così la leggenda. Lehmann non era il pilota dell’Enola Gay, ma la sua storia di trasformazione spirituale e il suo legame con la Certosa potrebbero aver dato origine al mito.

L’altro protagonista

Un altro nome che spesso emerge in questa vicenda è quello di Claude Eatherly un pilota meteorologo che partecipò alla missione di Hiroshima come membro dell’equipaggio del “Straight Flush”, un aereo di supporto. A differenza di Tibbets, Eatherly fu profondamente segnato dal suo ruolo, pur indiretto, nel bombardamento. Tormentato dai sensi di colpa, cadde in una spirale di disturbi psichici, commettendo piccoli crimini nel tentativo di espiare il suo passato. Il suo carteggio con il filosofo Günther Anders, pubblicato in Italia come “L’ultima vittima di Hiroshima”, dipinge il ritratto di un uomo in lotta con la propria coscienza. Tuttavia, non ci sono prove che Eatherly abbia mai visitato Serra San Bruno o che si sia ritirato in un monastero.

Il fascino di una storia universale

Perché questa storia continua ad affascinarmi tanto? Forse perché tocca corde profonde dell’animo umano: il senso di colpa, la ricerca di redenzione, il desiderio di lasciare alle spalle un passato doloroso. L’idea di un pilota che abbandona tutto per rifugiarsi in un monastero calabrese è quasi cinematografica, un’immagine che sembra uscita da un romanzo di Graham Greene. La Certosa di Serra San Bruno, con la sua storia millenaria e il suo isolamento, amplifica questo fascino. È un luogo che sembra sospeso nel tempo, dove il silenzio diventa un interlocutore e ogni passo tra le sue mura invita alla riflessione.

L’errore giornalistico

La leggenda, inoltre, si nutre di un errore giornalistico che ha contribuito a consolidarla. Nel 1962, un articolo di Gianfranco Poggi sulla rivista “Oggi” identificò erroneamente Tony Lehmann come “Lehman Leroy” e lo descrisse come il pilota di Hiroshima, alimentando il mito. Questo fraintendimento, unito al racconto di Sharo Gambino, ha trasformato una storia di trasformazione personale in una narrazione epica di espiazione.

Un mistero che resiste

Nonostante le smentite, la storia del pilota pentito continua a vivere nell’immaginario collettivo. Forse perché, al di là della sua veridicità, parla di qualcosa di universale: il bisogno di trovare pace dopo aver affrontato l’orrore. Ogni volta che penso alla Certosa di Serra San Bruno, immagino un uomo senza nome, un’ombra tra i monaci, che prega in silenzio per le anime perdute di Hiroshima. È un’immagine che non ha bisogno di essere vera per essere potente.

Le mura della certosa che custodiscono la leggenda

La certosa e il suo spettro immaginario

La mia attrazione per questa storia non deriva solo dalla sua drammaticità, ma anche dal mistero che la avvolge. È una storia che si presta a mille interpretazioni, che invita a immaginare e a riflettere. Forse il vero pilota pentito non è mai esistito, ma la sua ombra continua a vagare tra le mura della Certosa, un simbolo della capacità umana di cercare luce anche nelle tenebre più profonde. E per questo, non smetterò mai di essere affascinato da questo racconto, che unisce la tragedia della guerra al silenzio di un monastero calabrese, in un connubio che parla direttamente al cuore.