La rumorata della raccolta del vetro, più o meno verso le cinque, lo aveva svegliato con i sintomi di chi sa già cosa l’aspetta. E tutto sommato un animo incazzuso è quello che serve per affrontare al meglio il giorno della Grande Battaglia di mezza estate. O dell’inizio dell’inverno, secondo quell’altra scuola di pensiero che inizia a tirare fuori le scatole del presepe. Entrato immediatamente nel clima “sennò non troviamo posto”, il pater familias inizia così ad andare su e giù per casa stile sergente Haartman (Full Metal Jacket, per gli smemorati) al grido di ‘jamu che è tardi’ (andiamo che è tardi), esortazione che nel brevissimo volgere della pazienza diventa un ‘maniatevi’ (sbrigatevi), la cui sfumatura di minacciosità è tutta nell’assenza sottintesa del ‘tardi’, e soprattutto in quel certo tono della voce appreso in anni di tappina (ciabatta) Montessori lanciata al grido di ‘chi te mu…!’ (bip). Occhi abbummati (gonfi di sonno) e cuffiette tattiche per non sentire il ripasso dei compiti una volta giunti a destinazione, alle 5e30 la famiglia è già in auto in assetto da guerra. Caricato tutto secondo ottimizzazione bestemmiante dello spazio che funziona solo nei tutorial YouTube, Haartman ha già lo sguardo da sorpasso alla Gassman; Mamma custodisce con sguardo a intermittenza ‘u frigoverre di polpette di melenzane, che sa già come va a finire, mentre i figli giacciono finto stravaccati alla stessa intermittenza, come ostaggi addormentati.
Superata con una botta di serendipity la fase parcheggio, almeno questa!, all’arrivo le tribù combattono già per la prima fila. A ciascuna il suo ombrellone come stendardo di famiglia, e via a piazzare il melone dintra mare, che senza di lui non è Ferragosto (che poi, vallo a riconoscere in epoca di overtourism, considerata la caratura media intorno ai 20kg…). Nel caso da noi abbastanza diffuso di famiglia numerosa, gli accampatori erigono prontamente cattedrali tendate di stoffe multicolor, difese al suono di racchette da padel come tamburi di guerra.
Bypassato dalla panzata dell’entusiasta di turno, segue momento dell’acclimatamento, sospesi a parlare tra acqua e sole, accompagnato da urla di bambini e grida di mamme che comunque, oltre a fracassare i marroni di quelli che si erano scordati che è ferragosto, allontanano i gabbiani in volo sulle vettovaglie.
In attesa del momento topico dell’apertura della stagnola d’a pasta china (pasta imbottita) o della lasagna, secondo localizzazione, le colonie di umani sciamate sulla spiaggia, attratte dalla sabbia bollente, preparano barbecue illegali per grigliate a seguire. I segnali di fumo che si innalzano dal litorale, visibili talvolta anche dalle Eolie, indicano che il momento è ormai prossimo. Alla litania del mangiatevela n’altro poco di pasta che non avete mangiato niente, calorie a miliardi intasano arterie fino allo stato di assenza post-prandiale, con le menti sospese tra coma e pace interiore.
Là, nella processione di auto a passo d’uomo sulla Paola-Cosenza et similia, si consuma infine l’ultima prova: la coda infinita da controesodo biblico. Finché la notte inghiotte i reduci, e insieme ad Instagram, incastrati nei sedili, bell’a papà, a testimoniare la grande impresa restano solo la sabbia e qualche chicco di insalata di riso fermentata.
“Ma c’era nu mare che era ‘na tavola!” (Ma c’era un mare piatto come una tavola).
La battaglia di Ferragosto
