«Credevo che in Cosenza non ci fossero occhi tanto acuti, che quelli miei errori quali non sono stati visti in Roma, né per il resto d’Italia, fosser visti in Cosenza». È un Telesio amaramente sarcastico quello che emerge dalla lettera scritta, nella primavera del 1570, al cardinale Flavio Orsini, arcivescovo di Cosenza. Proprio nella sua città natale «occhi tanto acuti» avevano visto nella prima edizione del De rerum natura, pubblicata a Roma cinque anni prima, «altre propositioni contra la religione».

Telesio, Cosenza e l’Inquisizione
Le accuse erano pesantissime: a Cosenza si diceva che Telesio difendeva la tesi della mortalità dell’anima e negava che i cieli fossero mossi dalle intelligenze. Lui controbatteva facendo i nomi di coloro i quali avevano sottoposto a revisione il testo del 1565 – che è il suo vero capolavoro – e soffermandosi, in particolare e non per caso, sul domenicano Eustachio Locatelli, severo inquisitore di Bologna, dal 1560 procuratore generale del suo ordine e maestro di teologia, poi confessore di papa Pio V, che lo aveva nominato vescovo di Reggio Emilia nel 1569.
Ricordava al cardinale Orsini che sia Gaspar Hernández, rettore del Collegio dei gesuiti napoletani, sia Alfonso Salmerón, preposto generale della provincia gesuitica napoletana, avevano dato il loro assenso anche sulle «altre cose»: in particolare, sul numero dei primi corpi del mondo e sulla «materia, et natura del Cielo». I due gesuiti gli avevano assicurato che la tesi secondo cui, «come vole Aristotele», i cieli sono mossi dalle intelligenze «nella scrittura non si trova», e Hernández la giudicava addirittura «assurda, et ridicula». Insomma, nessuno mai – dichiarava enfaticamente Telesio – «seppe vederci cosa contro la religione».
La difesa di Tommaso Campanella
Ora però, e proprio a Cosenza, molte «cose» incompatibili con l’ortodossia cattolica venivano viste e denunciate attraverso precise accuse, che – tanto per essere chiari – erano tutto meno che infondate. Era infatti vero che Telesio non voleva sentire parlare di intelligenze o di anime motrici o di motori separati e immobili, e che la tesi platonico-ermetica dell’animazione dei corpi celesti gli sembrava insensata. Ma la vera questione delicata riguardava la concezione dell’anima umana. Tommaso Campanella era sempre stato profondamente legato al «gran Cosentin», e, quando, giovanissimo, si era ritrovato confinato nel piccolo convento di Altomonte, nel giro di pochi mesi aveva scritto un tomo di cinquecento pagine contro gli attacchi sferrati a Telesio da un giurista napoletano.

Un percorso difficile e pericoloso
Campanella aveva capito fin troppo bene la tesi telesiana della materialità dell’anima umana, e ad esempio nell’Ateismo trionfato aveva lasciato intendere di aver compreso che per Telesio l’anima umana era soltanto una sostanza «calda e sottile». Del resto – e Campanella se ne era sicuramente accorto – i riferimenti di Telesio a un’anima immateriale infusa da Dio, sempre più insistenti col passaggio da un’edizione all’altra del De rerum natura, rimanevano estranei tanto all’ambito conoscitivo quanto all’ambito etico. Come non accorgersi poi che la solenne dichiarazione di sottomissione alla Chiesa cattolica e di esplicita negazione della libertà di pensiero, con la quale si apriva la terza e ultima edizione (1586), era soltanto il frutto di un compromesso accettato obtorto collo? Un compromesso che giungeva alla fine di un percorso che era sempre stato difficile e pericoloso.
Telesio nell’Indice dei libri proibiti
Nella lettera a Orsini – che conosciamo da poco tempo – Telesio aveva già manifestato la sua volontà di sottomissione e la sua eventuale disponibilità ad abiurare. Se ho sbagliato – scriveva – sono pronto a correggere i miei errori perché «la mente mia, è per gratia di N. S.re Dio, et sarà sempre sogettissima, et inchinatissima alla vera, et cattolica religione». Sono pronto – aggiungeva Telesio – «ad abbruggiar tutte le mie opre, quando mi fusse mostro, che non siano piene di pietà christiana». Si sottometteva e auspicava che un’eventuale revisione fosse affidata «a persona discreta, et non troppo additta alla dottrina d’Aristotile». Ma tutte queste cautele alla fine non salvarono – né potevano – le sue opere dalla condanna ecclesiastica e dall’inclusione nell’Indice dei libri proibiti del 1593 e poi del 1596, seppure con la clausola attenuante «donec expurgentur».
Una missione impossibile
I tentativi di rimettere in circolazione i testi telesiani, dopo un’opportuna espurgazione, fallirono miseramente. Nel 1601 ci provò la città di Cosenza, con in testa Orazio Telesio, nipote del filosofo.
Ci si rivolse al cardinale Agostino Valier affinché la Congregazione dell’Indice istituisse una commissione per la revisione dei testi telesiani: «La città di Cosenza, devotissima di questa Santa Sede e di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima, e Orazio Telesio, servitore di Vostra Signoria illustrissima e nipote del detto Bernardino, quella mossa da zelo di carità verso un cittadino e figliuolo nato nobile e fratello d’un Arcivescovo della stessa città, e questi per onore della sua famiglia, umilmente supplicano e con quanto affetto possano maggiore Vostra Signoria illustrissima e reverendissima, che si degni di operare nella Congregazione dell’Indice si commetta ad alcuni teologi e filosofi, che riveggano ed espurghino i detti libri di tutti quegli errori…». Orazio Telesio fu alla fine ricevuto a Roma al cospetto della Congregazione, ma la decisione era stata di fatto già presa: l’espurgazione era ritenuta impossibile.
I Telesio “troppo” vicini ai Valdesi
Senza dubbio tutte queste vicende hanno, per molto tempo e negativamente, influenzato i rapporti tra la città di Cosenza e la memoria di Bernardino Telesio. Andrà anche ricordata la vicinanza dei Telesio ai valdesi. Antonio Telesio, celebre poeta e zio di Bernardino, era stato legato a personaggi come Apollonio Merenda e Scipione Capece, critico severo dell’aristotelismo. Bernardino stesso fu legato invece a Mario Galeota, uno dei più influenti seguaci di Juan de Valdés che aveva «infectato tutta Italia de heresia», come fu dichiarato nel corso di un processo. E i fratelli di Bernardino avevano avuto, anche loro, seri problemi con l’Inquisizione. La Calabria di allora era pervasa da una religiosità marcatamente eterodossa. Forse non è un caso che dei funerali di Telesio, morto a Cosenza nell’ottobre del 1588, non sappiamo praticamente niente, e non sappiamo nemmeno dove sia stato sepolto.

Il primo dei moderni
Bernardinus Consentinus: così amava presentarsi spesso nelle sue opere che hanno fatto di lui uno dei maggiori pensatori del Rinascimento europeo. Il grande filosofo inglese Francis Bacon lo definiva «primo dei moderni». La definizione baconiana è quella più appropriata per cogliere il significato storico di colui che si era proposto di cambiare una mentalità e che apparirà a Galileo un «venerando padre».
La questione della «modernità» di Telesio è inseparabile dalla questione della discontinuità – perché anche di questo si è trattato – di Telesio rispetto al mondo magico: una discontinuità esplicitamente rivendicata. Nel nuovo naturalismo telesiano il rifiuto del principio di autorità si saldava con la fiducia nel progresso della conoscenza umana. Telesio pensava che il mondo fosse ancora tutto da scoprire, solo che si fosse stati disposti a rifiutare la cultura libresca e a tornare alle cose, cioè a essere liberi. È una di quelle lezioni destinate a durare nel tempo.
Roberto Bondì (professore ordinario di Storia della Filosofia)
Università della Calabria
