Categoria: Opinioni

  • Ponte tra Calabria e Sicilia? Prima ricolleghiamo Jonio e Tirreno

    Ponte tra Calabria e Sicilia? Prima ricolleghiamo Jonio e Tirreno

    Neanche un grande scrittore, o un regista, sarebbe stato capace di mettere l’una accanto all’altra le diverse scene alle quali abbiamo assistito in questi giorni legate, direttamente o indirettamente, alla vicenda Ponte sullo Stretto.
    Gli incontri in pompa magna tra varie amministrazioni, tra le quali quelle di Reggio Calabria e Villa San Giovanni, e l’a.d. della società Pietro Ciucci, durante i quali nessuno ha alzato un sopracciglio per mettere in dubbio un qualsiasi aspetto critico della questione Ponte.
    La dichiarazione dell’ineffabile ministro Salvini, che con nonchalance comunica che se non si farà l’alta velocità in Calabria, perché lui «non vuole una linea a zig zag» (sic), poco male, il ponte si realizzerà lo stesso.

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    I sindaci in protesta nell’androne della Prefettura di Cosenza

    L’occupazione della Prefettura da parte di numerosi sindaci dello Jonio cosentino che chiedono di incontrare Meloni «per avere notizie sullo stato di realizzazione delle opere di compensazione ambientale del Terzo Megalotto e di superare la fase di stallo che si è creata in merito ad esse ed agli svincoli dopo il silenzio di questi anni e tutte le relative richieste disattese». E poi il colpo di scena. Quello che rompe la narrazione corrente e racconta come davvero stanno le cose al di là dei proclami.

    Coast to coast

    La Regione Calabria comunica che da gennaio 2024 la strada statale 682 Jonio-Tirreno, voluta allora fortemente dal presidente della Provincia di Reggio Vincenzo Gallizzi, sarà chiusa per 20 mesi (dubitare sui tempi è lecito, non farlo è da stupidi creduloni). Il motivo? La galleria sotto il Monte Limina richiede improcrastinabili lavori di manutenzione.

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    La SS 682 Jonio-Tirreno

    Per chi non lo sapesse, la 682 collega le due coste calabresi, la piana di Gioia Tauro con la Locride. L’opera presenta criticità evidenti per la carreggiata angusta e i conseguenti limiti di velocità. Realizzarla, però, ha consentito a due territori, separati in linea d’aria da pochi chilometri ma da una catena montuosa imponente, di venire a contatto quotidianamente. Non è solo una questione di spostamenti di merci e persone. O della possibilità degli abitanti della Locride di raggiungere i capoluoghi e gli aeroporti di Lamezia e Reggio molto più agevolmente. Dal punto di vista economico una via di comunicazione del genere, in una terra condizionata fortemente dalla sua conformazione geomorfologica, costituisce un oggettivo elemento di sviluppo, favorendo scambi e concorrenza.

    Priorità in Calabria: il Ponte o le strade?

    Sia chiaro che nessuno si sogna di chiedere il rinvio sine die di un intervento necessario su un tunnel lungo oltre tre chilometri. Il problema è un altro. Le risorse e le energie di programmazione anche mentali (?) dello Stato italiano sono in questo momento concentrate su un intervento che presenta molti aspetti critici: l’effettiva utilità; la tenuta gestionale dal punto di vista finanziario; le difficoltà progettuali, etc.

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    Matteo Salvini mostra il plastico del progetto del ponte sullo Stretto di Messina

    Ma, alla luce dei fatti appena elencati, è il Ponte sullo Stretto la priorità per la Calabria? O è affrontare tutte le manchevolezze alle quali si è fatto rapido cenno?
    Venendo meno il collegamento della Jonio – Tirreno, non ci sono altre trasversali in grado di ovviare decentemente ai gravi problemi che questa chiusura comporta. Torneremo a decenni fa, con la superstrada jonica 106 da un lato, e l’autostrada dall’altro. A meno che non si voglia pensare che la 280, da Lamezia alla 106 jonica, possa fungere da arteria sostitutiva. O addirittura, più a sud, la 111 Gioia Tauro – Locri o la Bovalino – Bagnara. Nessuno sano di mente può arrivare a tanto.

    Un referendum sul Ponte in Calabria

    E allora torniamo al problema dei problemi, quello del quale non ci stancheremo mai di parlare. Facciamo scientemente i “benaltristi”, giacché giocare questo ruolo, nella situazione data, è da persone responsabili, non un voler dire sempre e solo no “a prescindere”. Ideologicamente, direbbe qualcuno solo perché questa è la vulgata corrente. È, casomai, opporre ragionevolezza a sventatezza, approssimazione, sciatteria decisionale.
    Non credo che la Calabria abbia bisogno del Ponte. Ma voglio che la Calabria e i calabresi siano messi nelle condizioni di potersi muovere, dentro e fuori dai confini regionali, rapidamente, efficacemente, con mezzi e vie moderne.
    L’isolamento ha pesato e pesa ancora molto. È una delle cause principali, se non la principale, dell’arretratezza e del sottosviluppo. Ma dobbiamo decidere noi del nostro destino: bisogna indire un referendum per dare una volta per tutte la parola al popolo calabrese.

  • Zes unica per il Sud: derby in maggioranza per Giorgia Meloni

    Zes unica per il Sud: derby in maggioranza per Giorgia Meloni

    Alzi la mano chi, almeno per un attimo, non abbia subito pensato alla vecchia Cassa per il Mezzogiorno nell’apprendere della disponibilità dell’UE a valutare l’estensione del regime di favore delle Zes (Zone Economiche Speciali) a tutto il Mezzogiorno.
    Occorrerà del tempo, certo, per mettere a fuoco le tante questioni di merito che questa Zes Unica per il Sud, inevitabilmente, solleva sul piano delle politiche di attrazione degli investimenti.

    Zes Unica per il Sud: chi comanda però?

    Una prima questione, affatto secondaria, sembra tuttavia emergere sul piano della coerenza politica dello strumento.
    La domanda è: ma perché un governo che punta sull’autonomia differenziata (Lega e Salvini in primis) sceglie di virare su uno strumento centralista e dirigista come la Zes Unica (voluta fondamentalmente dal ministro Fitto e quindi da Fratelli d’Italia)per il Sud?
    E in tale scenario, le Regioni del Sud, che prima avevano le loro Zes, continueranno ad avere dei ruoli di definizione e governance delle politiche di attrazione e semplificazione? O, piuttosto, saranno chiamate ad una mera esecuzione di uno spartito immaginato a Roma e/o a Bruxelles?
    Ce n’è davvero tanta di incertezza da superare.

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    Le attuali Zes in Italia

    Il derby nella maggioranza: dirigisti vs liberisti

    L’impressione è che, conclusasi la luna di miele post elettorale, comincino a cristallizzarsi quelle differenze di fondo che, comunque, la coalizione legittimamente esprimeva ed esprime.
    La mia impressione è che un derby dirigisti-liberisti appaia chiaramente profilarsi all’orizzonte perché, così come già sta accadendo su Giustizia e Fisco, anche la questione dell’autonomia differenziata non fa impazzire di gioia il maggiore partito dell’alleanza e cioè Fratelli d’Italia. Partito che, sempre più chiaramente, tende a raffreddare gli eccessi liberisti della Lega e, in misura meno accesa, di Forza Italia.

    Zes Unica per il Sud: la sfida perfetta

    Chi definisce la politica industriale? Il governo centrale, sentiti i territori, o saranno i territori a farlo magari in coerenza con le scelte già adottate, ad esempio nei partenariati della programmazione europea 2021/27?
    Risposte non semplici anche perché, alla vigilia delle elezioni europee che saranno, come noto, su base proporzionale, nessuno ha voglia di sbagliare messaggio al proprio elettorato di riferimento.
    La Zes Unica per il Sud è la sfida perfetta: centralismo vs regionalismo, statalisti vs liberisti, Fratelli d’Italia vs Lega e Forza Italia.

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    Il porto di Gioia Tauro è la Zes calabrese

    Semplificazione e strategia

    E la sinistra? Abbastanza incredibilmente il PD, a giudicare almeno da una dichiarazione del capogruppo alla Camera, sembrerebbe non gradire l’annuncio centralista del ministro Fitto accusando, piuttosto, il governo di ritardare colpevolmente, da mesi, l’istituzione della Zona logistica semplificata della Toscana.
    Il che sembrerebbe legittimare un giudizio negativo verso le Zes Uniche per il Sud.
    Insomma una situazione tutta in divenire alla quale occorrerà dedicare la giusta attenzione nei prossimi mesi. Di sicuro il Sud ha bisogno di attrarre investimenti e di dotarsi di procedure autorizzative semplificate.
    La speranza è che nell’ansia della semplificazione non si dimentichi il disegno strategico complessivo della politica industriale al Sud.
    Spesso è accaduto.

  • Ponte: Lega pigliatutto. E i territori? Comparse sorridenti

    Ponte: Lega pigliatutto. E i territori? Comparse sorridenti

    Una nota della Lega – non del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, come sarebbe stato logico – immortala il lieto fine nella querelle sul Ponte tra la sindaca di Villa San Giovanni, Giuseppina Caminiti, e il ministro Matteo Salvini, con tanto di foto coi protagonisti sorridenti. In sostanza, tuttavia, la sindaca ha ottenuto la presenza alle riunioni del c.d.a. della Stretto di Messina s.p.a., per i rappresentanti dei Comuni di Reggio, Villa e Messina, da uditori. Tra i decisori a pieno titolo, quale componente del c.d.a., siederà invece il commissario regionale della Lega.

    Il Ponte della Lega

    Sembra dunque che il progetto Ponte sullo Stretto sia un affare che riguarda principalmente la Lega, il partito suo e del ministro. E i rappresentanti del territorio che sarà investito non tanto dall’opera, sulla cui realizzazione è lecito ancora oggi avanzare fondati dubbi, quanto dai cantieri? Relegati a ruoli di comparse.
    Avranno il loro strapuntino al tavolo delle decisioni, senza tuttavia poterle influenzare, e solo per gentile concessione del ministro. La maggioranza di governo ha sonoramente bocciato anche l’o.d.g. presentato in Parlamento, sulla cui approvazione aveva puntato la sindaca di Villa.

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    Salvini e Giacomo Saccomanno, commissario regionale della lega in Calabria

    «Il primo cittadino – si legge nel comunicato – ha fatto presente l’importanza di un coinvolgimento dell’amministrazione comunale e degli enti interessati all’accordo di programma quadro sulle grandi opere al fine di rappresentare le istanze più urgenti dei cittadini. Sul tavolo anche il progetto di Villa San Giovanni che si candida ad essere Città dei trasporti innovativa ed ecosostenibile».

    Chi spinge e chi frena

    Quindi i cittadini saranno coinvolti nella gestazione dell’accordo di programma? E come? E cosa significa che Villa si candida quale città dei trasporti innovativa ed ecosostenibile? Sembrano, o lo sono effettivamente, frasi gettate lì, perfettamente compatibili con tutta questa storia nella quale c’è chi spinge per aprire al più presto i cantieri, anche per dare lavoro a non si sa quante centinaia di migliaia di persone, senza aver chiarito le questioni fondamentali e dirimenti ancora sul tappeto:

    • sul progetto definitivo;
    • sul reperimento dei fondi;
    • sulla realizzazione delle opere senza le quali (alta velocità ferroviaria in Calabria e Sicilia, A2, Palermo – Messina, ecc.) l’ipotetico ponte non sarebbe altro che un isolato ecomostro nel nostro territorio.

    C’è chi spinge, dicevamo. E sull’altro fronte ci sono i resistenti ad oltranza. L’accusa, nei confronti di questi ultimi, è di tenere una posizione “ideologica”. E anche chi esprime perplessità si affretta a premettere di farlo «non per ragioni ideologiche».
    Sono quei termini che fanno capolino nel dibattito improvvisamente, e quatti quatti cominciano a prendere piede fino a quando chiunque, anche chi ne ignora il significato, trova il modo di infilarli in ogni discussione. Come «resilienza» o la locuzione «mettere a terra». Ghigliottina, direbbe Francesco Merlo. Cosa c’entra l’ideologia, o l’approccio ideologico, con la riflessione sulla realizzazione di un’opera? Assolutamente nulla.

    Ma che cos’è l’ideologia?

    Io, a differenza del cognato Lollobrigida che è arrivato alla E, nel vocabolario Treccani sono alla I, dove il termine Ideologia viene così definito (tralascio l’approccio filosofico):

    «Nel pensiero marxista, l’insieme delle credenze religiose, filosofiche, politiche e morali che in ogni singola fase storica sono proprie di una determinata classe sociale, informandone il comportamento, e che dipendono dalla collocazione che questa ha nei rapporti di produzione vigenti; in quanto tale, l’ideologia, lungi dal costituire scienza, ha la funzione di esprimere e giustificare interessi particolari, per lo più delle classi proprietarie ed egemoni sotto l’apparenza di perseguire l’interesse generale o di aderire a un preteso corso naturale. Nel pensiero sociologico, il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale; anche, ogni dottrina non scientifica che proceda con la sola documentazione intellettuale e senza soverchie esigenze di puntuali riscontri materiali, sostenuta per lo più da atteggiamenti emotivi e fideistici, e tale da riuscire veicolo di persuasione e propaganda
    4. Nel linguaggio corrente: b. In senso spreg., soprattutto nella polemica politica, complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche, cui viene opposta una visione obiettiva e pragmatica della realtà politica, economica e sociale»
    .

    Le ragioni dei contrari

    Ora, tutto mi sembra di poter dire a proposito della posizione di chi si oppone alla costruzione del Ponte, tranne che essa possa essere ascritta “ad atteggiamenti emotivi e fideistici”. O “tale da riuscire veicolo di persuasione e propaganda”. Oppure, ancora, qualificata come “complesso di idee astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche”, cui si oppone una “visione obiettiva e pragmatica della realtà politica, economica e sociale”. Semmai è vero il contrario.ponte-stretto-gattuso-dice-no-e-chiede-referendum

    Chi non vuole il ponte sullo Stretto lo fa per aver valutato il contesto territoriale attuale, reputandolo bello e attrattivo così com’è, dal punto di vista paesaggistico, ambientale, naturale. Lo fa nella convinzione, validata dalla scienza e dagli studi condotti, che l’attraversamento dello Stretto può essere efficacemente garantito mediante altri mezzi, meno costosi e per nulla impattanti. Lo fa nella certezza che le difficoltà di realizzazione sono tante e tali, anche facendo riferimento ad altre opere realizzate in altre zone del “globo terracqueo”, da costituire un grosso rischio, sia in corso d’opera, sia a costruzione ultimata, per questioni geologiche, metereologiche, ingegneristiche.

    Lega, ultrà e no ponte

    Non troppo tempo addietro abbiamo dato conto, su questa rivista e più volte, di ogni aspetto particolare inerente a quanto appena esposto. Tanto da poter affermare, senza tema di smentita, che l’approccio ideologico è insito e appartiene a chi invece per il ponte si è piazzato nella curva degli ultrà, con l’atteggiamento tipico di chi crede fideisticamente in qualcosa che nulla ha a che fare con la realtà, con i fatti.
    D’altra parte, si sente spesso parlare di opere compensative rispetto alla edificazione del Ponte. Ma, di grazia, ci si vuole spiegare perché si dovrebbero prevedere compensazioni per qualcosa di così grande, bello, utile? Per quella che viene sovente indicata come la panacea di tutti i mali per una terra che si sta desertificando giorno dopo giorno, a livello umano e a livello fisico-territoriale?

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    Lo Stretto di Messina

    Non ci piace il benaltrismo, è una dottrina che non ci appartiene. Ma mai come in questa vicenda è il caso di dire con forza che sono altre le idee e i progetti, da tradurre finalmente in pratica, dei quali questo lembo di terra ha bisogno.
    Lo strapuntino conquistato dalla sindaca di Villa San Giovanni sarà utile alla propaganda leghista e perfetto per la foto di rito, ma non serve a lei come non serve al territorio che abitiamo. L’unica trincea dietro la quale vogliamo stare e che va difesa ad oltranza è quella contro chi vuole compiere una devastazione definitiva e irrimediabile nello Stretto di Messina.

  • Rende, l’agonia di una città che sognava in grande

    Rende, l’agonia di una città che sognava in grande

    Quando Empio Malara progettò la città di Rende la immaginò come una realtà urbana dove la modernità non avrebbe dovuto snaturare il senso dell’abitare i luoghi. Da questo punto di vista Rende si contrappose subito alla vicinissima Cosenza, cresciuta disordinatamente, senza un piano regolatore organico, preda della furia edilizia della metà degli anni sessanta.

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    Cecchino e Sandro Principe

    Il Principato

    Rende invece era ordinata, strade larghe, viali alberati, spazi comuni, asili che sembravano venuti da paesi scandinavi, servizi che promettevano di essere efficienti. Dietro quel progetto urbanistico, come sempre accade, c’era una visione politica, la pretesa di realizzare, per la prima volta in Calabria, una città a misura delle persone.
    L’artefice di quella visione fu Francesco Principe, socialista arcaico eppure moderno, eternamente sindaco di Rende per poi passare lo scettro al figlio Sandro, entrambi capaci per molti anni di influenzare le scelte politiche calabresi. Furono moltissimi i cosentini che dagli anni settanta in poi cedettero alla tentazione di trasferirsi oltre il Campagnano, confine immaginario e amministrativo tra le due entità urbane, in realtà cresciute una accanto all’altra senza soluzione di continuità. I prezzi bassi degli appartamenti, l’apparente maggiore vivibilità degli spazi, furono un’attrattiva per un gran numero di cosentini, per lo più piccola borghesia impiegatizia, che cercava casa.

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    L’Università della Calabria

    Dormitori, Unical e Legnochimica

    Cosenza si svuotava, perdendo residenti, ma Rende si riempiva solo di notte: per moltissimi anni i suoi quartieri ebbero il destino di restare dormitori. La bella città progettata da Malara non riuscì ad avere un’anima propria per tanto tempo, le piazze, gli slarghi, progettati come luoghi di incontro, rimasero non luoghi, spazi vuoti, perché per costruire l’identità di una città ci vuole tempo.
    Nemmeno l’arrivo dell’università riuscì a mutare il destino dei quartieri rendesi, ma portò nuova ricchezza al territorio, che conobbe un ulteriore impulso edilizio. Intere aree sorsero per dare ospitalità agli studenti fuorisede, alimentando un giro d’affari costruito sui fitti in nero. Chiunque in quegli anni ne abbia avuto la possibilità, ha acquistato uno o più appartamenti, spingendo la domanda di nuove case e immaginando proficui investimenti. Oggi Rende è probabilmente la città con il più alto numero di case rispetto ai residenti. Sul piano economico Rende si proponeva anche come attrattore di imprese, con un’area industriale piena di capannoni, ma anche con la mefitica Legnochimica, problema ancora irrisolto.

    La sedicente Crati Valley

    E mentre Cosenza restava ostinatamente ancorata al settore terziario, Rende coglieva l’opportunità della modernità ospitando le imprese della così detta Crati Valley, guizzi di futuro fatti di ricerca applicata, informatica, servizi avanzati, oggi per lo più arenati come balene spiaggiate. A guidare la crescita urbanistica e sociale di Rende è stata la famiglia Principe, al timone della città per un tempo così lungo da poter essere tranquillamente scambiata per una monarchia ereditaria. Nelle rare occasioni in cui a guidare il comune non era un Principe, il sindaco eletto era certamente riconducibile all’influenza della loro famiglia.

    L’antagonismo con Mancini

    Un successo lunghissimo che si è basato certamente su un consenso autentico, ma non meno su un potere radicato e diffuso: sia il patriarca Francesco che il figlio Sandro, hanno avuto nel tempo ruoli importanti in vari governi nazionali. Il conflitto campanilistico tra il capoluogo e la città di Rende era costruito anche sull’antagonismo politico tra i Principe e Mancini e a quei tempi l’ipotesi di una città unica è presente ma sotto forma di fantasma, un’idea che non sta tra le cose davvero probabili, ma di cui si parla. Gradualmente quell’idea cominciò a circolare restando però ben circoscritta nell’ambito della teoria, anche se non mancarono gli esercizi di fantasia sul nome, come l’ipotesi di chiamarla Co.Re. Ogni tanto la si faceva uscire dal cassetto, sempre senza eccessiva convinzione, fino a quando non divenne tema politico sempre più attuale allorchè accadde quel che non sembrava possibile: Sandro Principe venne sconfitto da Marcello Manna alle elezioni amministrative del 2014.

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    Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    Un Comune sciolto per mafia

    Non era solo il declino di una lunghissima egemonia, che già aveva dato segni di cedimento, era l’inizio di una nuova era che si sarebbe conclusa con l’onta dello scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa. Ma all’inizio della prima consiliatura di Manna questo evento non era ancora prevedibile e Rende si candidava sempre più fortemente come antagonista del capoluogo. I suoi quartieri non sono più dormitori, la città ha lentamente costruito la propria anima. Cresce il dibattito sulla collocazione del nuovo ospedale, che Manna vorrebbe accanto all’Unical, mentre Occhiuto sulle colline di Muoio Piccolo e con fiammate sempre più frequenti si apre il dibattito sulla città unica, dove Rende spinge per un ruolo di maggiore protagonismo rispetto a Cosenza che è azzoppata da un bilancio pieno zeppo di debiti.

    Titoli di coda

    Le disavventure giudiziarie del sindaco Manna sono solo una lunga agonia che porta Rende all’ignominiosa conclusione, che poteva essere risparmiata se chi guidava la città si fosse per tempo arreso all’inevitabile. Oggi l’idea della città unica ha un nuovo convitato al dibattito, ed è proprio l’inglorioso finale di una città che voleva essere moderna e che si è svegliata prigioniera a rimescolare le carte, spostando non solo nel tempo l’eventuale realizzazione del progetto, ma anche mutando equilibri di potere ed egemonie. È come se la carta lucida su cui Malara aveva disegnato l’idea di una città nuova che doveva essere Rende fosse stata strappata con violenza e di questo non c’è nessuno che possa riderne.

  • Rende sciolta per mafia: tornerà la fiducia dopo l’arroganza?

    Rende sciolta per mafia: tornerà la fiducia dopo l’arroganza?

    Lo scioglimento del Consiglio comunale di Rende per mafia è una pagina nera per uno dei municipi più importanti della Calabria.
    Rende, infatti, è sede universitaria e ha una popolazione composita e aperta anche per l’afflusso e lo stabilirsi di tanti studenti e docenti. In più, vanta un reddito medio tra i migliori della regione. Viste le dimensioni e la centralità culturale, economica e politica della città, lo scioglimento turba tutta la provincia di Cosenza e la Calabria.

    Rende e mafia: un’inutile caccia al colpevole

    Facile persino indicare le responsabilità dirette e indirette di questa situazione amara.
    Ciò che però ha colpito negli anni, soprattutto nei mesi scorsi, è stata la completa mancanza del senso del limite e del ridicolo negli attori politici coinvolti in questa faccenda.
    Davvero nessuno può dirsi esente da uno spregio continuo del comune senso del pudore. Di quel senso comune rappresentato dall’opinione pubblica, già nel Settecento definita come “tribunale” dei potenti.

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    La sede del Comune di Rende

    Mafia a Rende: un potere spregiudicato

    A Rende il potere ha agito senza la minima considerazione della grammatica istituzionale e politica democratica. La quale prevede un confronto costante con la società civile, con le sue rimostranze, le sue titubanze, le sue critiche.
    Paradossale che si siano sottratti a questo confronto, in primo luogo, una giunta e un sindaco che hanno oltrepassato gli steccati ideologici in nome di un civismo trasversale che ha messo insieme Forza Italia, Partito Democratico e altre forze di tutto l’arco costituzionale.
    Per rimanere all’ultimo anno (e mentre le inchieste e i provvedimenti giudiziari si susseguivano) si sono alternati, in nome di un malinteso garantismo, ben quattro sindaci. Negli ultimi mesi, il sindaco, più volte oggetto di provvedimenti, si è persino riproposto alla guida dell’Anci Calabria, a cui inopinatamente era stato indicato quale elemento non divisivo.

    Rende non è come Gomorra: assolto Principe, ora sono lacrime e paradossi
    Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    Niente remore: governiamo e basta

    Nelle ultime settimane si sono dimessi consiglieri di maggioranza e sono cambiati assessori per arrivare all’approvazione di Psc e Bilancio. Insomma, nessuna remora nell’azione di potere, anche di fronte a una società civile esterrefatta per le continue notizie di abusi e delusa per il livello dei servizi amministrativi peggiorato negli anni.
    Insomma, il potere ha mostrato quell’arroganza che Alberto Sordi ha reso nel personaggio del Marchese del Grillo.
    Lo stesso dicasi per le forze politiche maggiori. Forza Italia, il cui capogruppo in Provincia è elemento di punta dell’amministrazione rendese, pare essersi dissolta rispetto alle dinamiche locali.
    Non una manifestazione per la città. Non una dichiarazione del pur assai loquace presidente regionale Occhiuto. Guardare dall’altra parte è stato evidentemente il mantra suggerito da qualche rubicondo spin doctor.

    Mafia a Rende: anche il Pd ha le sue colpe

    Il Pd regionale non è riuscito a nominare un commissario di un circolo il cui segretario è stato prima incompatibile e poi è finito ai domiciliari. Anche da questa parte, piuttosto, silenzio.
    Anzi, il segretario provinciale e il suo factotum, responsabile degli enti locali, hanno sfondato qualche limite quando hanno deciso di incontrare le stesse aree politiche di cui i loro ispiratori sono stati i principali carnefici: hanno cucito la coalizione civica ora sciolta per mafia e l’hanno fatta votare e sostenuta sino all’ultimo.
    Del resto, lo stesso segretario provinciale, in quanto reggente del circolo, è atteso dagli iscritti da mesi per un confronto che sveli come e perché i due candidati alla segreteria locale, assessori della giunta appena sciolta, sono stati sui decisi sostenitori.

    Ricucire la fiducia

    Insomma, anche le forze politiche nazionali hanno pensato che governare Rende fosse tutto e qualsiasi tentativo di lettura della società rendese uno sforzo inutile, persino dannoso. Il governismo si rivela ancora una volta malattia mortale per la credibilità della Politica.
    Della triste vicenda rendese si parlerà a lungo e diciotto mesi di commissariamento non basteranno a ricucire la fiducia tra Politica e Società.
    Tuttavia è necessario provarci, senza nostalgie ma con una presenza costante nei quartieri della città. Soprattutto, con una capacità di studiare e proporre soluzioni ai diversi problemi dei cittadini e una accanita volontà di dispiegare orizzonti di sviluppo. Dopo le pagine buie, la storia continua e, con impegno, si possono ancora scrivere capitoli interi di buon governo.

    Antonio Tursi

  • Gli orfani di Silvio in cerca di una nuova casa

    Gli orfani di Silvio in cerca di una nuova casa

    Gli orfani di Silvio in cerca di casa. Non cedete alla pena, gli orfani in questione non sono esattamente diseredati. Al contrario, detengono il potere di decidere dei destini della Calabria attraverso le proprie scelte amministrative. Parliamo di chi ha mostrato di saper costruire e controllare il consenso elettorale e che in passato – ma ancor di più recentemente – ha rappresentato la forza del partito di Berlusconi.

    Adesso però, dopo la morte del fondatore, Forza Italia è in disfacimento. I  players politici nostrani devono ricollocarsi e presto, perché è vero che i voti locali sono di loro proprietà, ma senza un riferimento nazionale che li inquadri nel contesto politico generale e successivamente europeo, non vanno da nessuna parte. Di qui l’urgenza, quando ancora il lavoro delle prefiche è in corso, di guardarsi attorno e negoziare passaggi che garantiscano posti di prima classe.

    Gli orfani di Silvio a Cosenza e provincia

    Nella provincia di Cosenza i giocatori ancora in lutto, ma già in posizione di partenza, sono Gianluca Gallo, potente e votatissimo assessore regionale, i fratelli Occhiuto e anche i Gentile. A rappresentare questi ultimi al momento c’è solo Katya, figlia di Pino, nell’assemblea regionale. Tra poco, però, la famiglia potrebbe ritrovare una proiezione nazionale grazie alla decisione della Giunta per le elezioni della Camera dei deputati di cambiare le regole a partita finita e validare tutte le schede dichiarate nulle. Ciò consentirebbe al figlio di Tonino, Andrea, di sedere in parlamento pur essendo stato bocciato dall’elettorato.

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    Silvio Berlusconi e Roberto Occhiuto in una foto di due anni fa

    «Troppo moderati per Fratelli d’Italia»

    Per tutti loro oggi è necessario trovarsi un altro vascello. E considerando la storia, la cultura di provenienza, la fluidità che sempre li ha caratterizzati, pare difficile che Gallo e gli Occhiuto si imbarchino con la Meloni. «Troppo moderati – spiega ridendo Water Nocito, docente di Diritto – per andare con Fratelli d’Italia, è più naturale che cerchino una sponda centrista, o meglio, terzopolista». Insomma una casa nuova che c’è solo sulla carta, ma che potrebbe prendere corpo grazie alla ben nota abilità manovriera di Renzi.

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    Matteo Renzi e Carlo Calenda

    «È inevitabile che Gallo e gli Occhiuto guardino verso Renzi. È lui, più che Calenda cui credo sia destinato il ruolo di follower, a saper dare le carte e giocare poi la delicata partita con la maggioranza di governo».
    Perché è chiaro che tutti i passaggi che si concretizzeranno, avverranno dopo aver valutato il “prezzo”: da una parte il valore di chi porta consistenti pacchetti di voti, dall’altra quello di chi accoglie fornendo identità nazionale ai singoli politici senza casa.

    Tutti insieme è difficile

    Per il docente Unical «nulla è ancora deciso, ma ogni cosa è già in movimento e il valore politico dei partecipanti giocherà un ruolo determinante. Per esempio, Roberto Occhiuto ha dimostrato che nella Regione nulla si muove senza il suo consenso. D’altra parte Gallo potrebbe aver potenziato la sua già solida base elettorale» e questo potrebbe metterli in competizione all’interno della nuova casa politica comune.
    Discorso forse differente per i Gentile. Anche a causa della potenziale competizione interna al nascente terzo polo in cui confluirebbero gli ex azzurri, potrebbero tentare di capitalizzare la loro posizione approdando verso Fratelli d’Italia.

    Gli orfani di Silvio nel resto della Calabria

    Tutto in alto mare invece negli altri territori. A Vibo i forzisti erano vicini alla Ronzulli e dunque occorrerà attendere la scelta della parlamentare europea, che comunque squagliandosi Forza Italia, negozierà anche lei qualche passaggio altrove.
    Nel catanzarese invece i forzisti sono messi maluccio a causa della perdita di molte figure di spicco e «la capacità attrattiva di Wanda Ferro giocherà un ruolo importante».

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    Mangialavori, Occhiuto e Ronzulli a Vibo nell’ultima campagna elettorale per le Regionali

    A Reggio invece lo sguardo è puntato verso Francesco Cannizzaro, dominus sullo Stretto nel partito che fu di Berlusconi. In caso le mura azzurre dovessero venire giù dopo la scomparsa del leader fondatore, è probabile che Cannizzaro non abbandoni la sua anima centrista, figlia di una sedimentata cultura di destra, ma saldamente democristiana, quindi dovrebbe restare immune da tentazioni meloniane e o di tipo leghista.
    Quanto a Crotone, dove le forze politiche hanno tutte lasciato perdite sul campo, l’uomo forte in grado di orientare le scelte resta Roberto Occhiuto.

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    Berlusconi e Cannizzaro

    Popolari e conservatori

    Il più prossimo banco di prova di questi nuovi nascenti equilibri, che dovrebbero trovare concretezza nel corso dell’imminente estate, saranno le elezioni europee del prossimo maggio. «In quella occasione Meloni cercherà di scomporre il quadro politico unificando Popolari e Conservatori. Se l’operazione le riuscisse, diventerebbe la protagonista della scena politica, avendo colto un traguardo che nemmeno la Merkel aveva toccato» spiega Nocito guardando oltre i confini di casa nostra.

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    Un primo piano di Giorgia Meloni

    Se invece questa strategia non dovesse riuscire e Fratelli d’Italia restasse con i Conservatori, il peso politico di un Terzo polo renziano, con dentro quanto resta di Forza Italia sarebbe maggiormente significativo.
    Insomma, per gli orfani di Silvio in questa danza che sta per cominciare, il rischio è di sbagliare passo e pagarla cara.

  • Il primo Silvio e la rivoluzione liberale

    Il primo Silvio e la rivoluzione liberale

    Silvio Berlusconi ha avuto un grande merito: ha offerto identità, spazio politico e rappresentanza ad una miscellanea di anime culturali da sempre presenti nel Paese.
    Liberisti e cattolici liberali, neo corporativisti, nazionalisti, europeisti, socialisti, atlantisti, riformisti: tutto, in una precisa fase storica, è entrato a far parte di Forza Italia.
    La narrazione, spesso disonesta, del berlusconismo ha finito per cancellare questa straordinaria intuizione di Silvio Berlusconi: sdoganare, come si diceva spesso, aree e bisogni precisi che in un grande Paese come il nostro risultavano schiacciati dal mainstream della sinistra e del sindacalismo manierista e militare della Triplice che tutto occupava e tutto gestiva.

    Berlusconi sdoganò politicamente anche gli ex missini come Gianfranco Fini

    Affascinati da quella Forza Italia

    Ecco perché un liberista come il sottoscritto, amante del libero mercato e della deregolamentazione, si lasciò affascinare, insieme a ad altri amici, dal progetto di Forza Italia. La rivoluzione liberale, la curva di Laffer, lo Stato che arretra, le privatizzazioni erano luoghi magici dell’immaginario dei liberisti di quegli anni.
    Silvio Berlusconi ha avuto il merito di creare un luogo politico dove declinare questa visione della società.
    Gli uomini della prima Forza Italia erano Pera, Martino, Baget Bozzo, Urbani: intellettuali di prestigio che fungevano da garanti del disegno politico e della grande intuizione di Silvio Berlusconi.

    Antonio Martino, ex ministro degli Esteri e della Difesa nei governi Berlusconi

    Il primo Berlusconi e poi?

    Occorre distinguere, con coraggio, il primo Berlusconi dal Berlusconismo degli anni successivi. Le idee, anche quelle grandi, camminano sulle spalle degli uomini. Se sbagli gli uomini e le donne a cui affidare il progetto, fatalmente, finisci per indebolirlo. Ed è esattamente ciò che è capitato, negli anni, al disegno di Berlusconi. Non passi dal 34% al 7% dei consensi elettorali per caso.
    Ma tutto ciò non deve cancellare il portato storico dell’intuizione di Silvio Berlusconi: se solo si fosse riusciti a mantenere la barra dritta quando la maggioranza berlusconiana sfiorava il 40% oggi, forse, parleremmo di un’Italia diversa con più attenzione al merito e all’equità fiscale.

    Cosa lascia all’Italia

    Questo nulla toglie alla stagione ideale del primo Berlusconi. Questo Paese deve a Silvio Berlusconi il merito storico di aver salvaguardato, tutelato e rappresentato un bisogno di modernità e di europeismo, di moderazione e di valori liberali, di mercato ma anche di attenzione al sociale.
    Il berlusconismo eticamente debole, immaginato dalla sinistra, è frutto di una deriva inarrestabile del sistema di potere e dei tanti cerchi magici che hanno accompagnato la stagione finale del leader.
    Ma questo Paese al di là delle tante contraddizioni deve dire grazie a Silvio Berlusconi.
    Senza di lui avremmo avuto meno alternanza democratica, meno innovazione istituzionale, meno mercato e soprattutto tanta retorica di sinistra.
    Berlusconi non era un santo. Nessuno di noi lo è.
    Grazie presidente.

  • Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

    Jole, Nobel e Gegè: il Cav di Calabria ingegnere all’Unical

    Certamente non aveva letto Gramsci, figuriamoci, ma Silvio Berlusconi il messaggio del comunista sardo l’aveva intuito bene. Aveva capito che la conquista del potere per essere duratura ed efficace, deve essere preceduta dalla conquista dell’egemonia culturale. E quella battaglia il Cavaliere l’aveva vinta piano piano. Modificando la società italiana, forgiando letteralmente un Paese nuovo, costruito sul desiderio di un benessere privato. Una grande operazione di distrazione collettiva, di ottimismo infondato, che rifuggiva ogni forma di impegno.

    Una rivoluzione senza spargere sangue

    Le sue armate erano le sue televisioni, che entravano ogni giorno nelle case di tutti e atomizzavano la società, risultando mille volte più efficaci. Una rivoluzione senza sangue, fatta con le tette prominenti delle ballerine di Drive In, di programmi ridanciani, costruiti su battute facili e un po’ sguaiate, mille miglia lontane dall’eleganza vigilata dei programmi della vecchia Rai. Il potere politico è venuto dopo, quando fu necessario capitalizzare la mutazione antropologica imposta da anni di dominio televisivo. Ma anche il quel caso lo strumento televisivo, in vario modo determinò la nascita e il trionfo del berlusconismo. Come quando nel ’94 il Cavaliere asfaltò Achille Occhetto nel confronto televisivo.

    Pier Silvio Berlusconi e le ragazze di Drive In durante una puntata della trasmissione

    Berlusconi vs Occhetto: la modernità conquista la politica

    Ad arbitrare quella partita che divenne la Waterloo di Occhetto c’era un giovanissimo Mentana. Il leader della sinistra era vestito tristemente di marrone, come un qualunque funzionario di partito, pronto ad argomentare con ragionamenti lunghi e complessi. Ma dall’altra parte c’era un nuovo mostro, con il doppio petto blu di alta sartoria e la cravatta di Marinella che costavano quanto tutto il guardaroba del segretario post comunista.
    Non era solo una questione d’immagine, anche se questa svolse un ruolo fondamentale, ma pure di parole: lunghe e complicate quelle del leader della sinistra, brevi come slogan pubblicitari quelle di Berlusconi.
    E se hai plasmato la testa di milioni di persone avendoli trasformati da cittadini in massa e da elettori in pubblico, allora stravinci.
    Era la modernità che si impadroniva della politica.

    Berlusconi, Occhiuto e i Gentile: Forza Italia arriva in Calabria

    Ancora oggi quel confronto televisivo viene analizzato nelle aule dove si studia comunicazione di massa, esattamente come si rivede il confronto tra Nixon e Kennedy. Ma quel trionfo fu solo la battaglia finale. La guerra era cominciata prima, quando Berlusconi aveva piegato la grande struttura di Publitalia alle esigenze politiche, facendola diventare un partito. Ogni ufficio dell’agenzia di raccolta pubblicitaria divenne una sezione della nascente Forza Italia. E ogni figura di vertice di quella struttura si trasformò in coordinatore per investitura imperiale.

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    Pino e Tonino Gentile

    Fu così che in Calabria Giovambattista Caligiuri, Gegè per gli amici, uomo di punta di Publitalia, costruì dal nulla un partito la cui forza elettorale venne presa in prestito dai fratelli Gentile, allora potentissimi. Così potenti da scacciare un giovane ma già rampante Roberto Occhiuto, che pure tra gli Azzurri avrebbe voluto stare.
    L’ingresso dei Gentile non fu indolore. I militanti (che però non si chiamavano così) occuparono la sede di Corso Mazzini con i soffitti affrescati. Si opponevano all’ingresso dei potenti fratelli, che a loro sembravano il vecchio.
    La rivolta durò fino a quando da Berlusconi in persona giunse l’ordine di sgombrarli. Perché è vero che quelli erano i Club della libertà, ma i Gentile servivano per vincere.

    Berlusconi e la Calabria tra Regione e Parlamento

    E infatti anche in Calabria i berlusconiani stravinsero a lungo, governando la Regione, ma anche mandando in Parlamento parecchi calabresi. Per esempio Jole Santelli, che divenne pure sottosegretario in un paio di governi Berlusconi. Parecchio tempo dopo il centrodestra la candidò alla guida della Calabria proprio su decisione del Cavaliere. Berlusconi però ebbe a lamentarsi, con la consueta tendenza alla volgarità scambiata per simpatia, del fatto che lei «in 26 anni non gliela aveva mai data».

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    Il comizio di Berlusconi con la celebre battutaccia su Jole Santelli

    In Calabria Berlusconi venne pure a prendersi una laurea honoris causa, diventando ingegnere. Quel simbolico titolo accademico acquisito nel ’91, però, dovette sembrare troppo poco ai suoi adoratori calabresi. E infatti fu Tonino Gentile a proporne – senza percepire il rischio dell’esagerazione –  la candidatura al premio Nobel.
    Del resto la fedeltà può andare oltre ogni limite. E non furono pochi i calabresi eletti in Forza Italia che votarono nel 2011 assieme a mezzo Parlamento asserendo che davvero Berlusconi credeva che Ruby Rubacuori fosse la nipote di Mubarak.

    L’eredità di Berlusconi e il berlusconismo in Calabria

    Oggi, a dispetto della canzoncina cantata a squarciagola a margine dei comizi, Silvio non c’è più. Quel che Berlusconi lascia è un Paese mutato per sempre, deluso dalla impossibilità di inseguire un benessere ingannevole come una pubblicità, ma più povero moralmente e culturalmente.
    La sua eredità è una destra nazionale muscolare che si è nutrita di quel populismo di cui il Cavaliere era stato fautore, ma che lo aveva prontamente sepolto ancora da vivo.
    In Calabria Berlusconi ci lascia la politica delle promesse, degli annunci trionfanti, dei larghi sorrisi. Perché il berlusconismo sopravvive al suo creatore.

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    Silvio Berlusconi con Roberto Occhiuto

  • Cosenza ciellina: un amarcord da ciclostile

    Cosenza ciellina: un amarcord da ciclostile

    Via Padre Giglio numero 27, via Rivocati numero 94, piazza Archi di Ciaccio numero 21, via Monte San Michele numero 6, corso Telesio numero 17, sono gli indirizzi di alcune delle sedi del movimento di Comunione e Liberazione a Cosenza, negli anni che vanno dal 1976 al 1989, quando ne facevo parte.

    Giovani e impegnati

    Ognuno di questi indirizzi è legato a momenti diversi di vita del nostro gruppo di amici, perché eravamo anche amici, dato che passavamo insieme molto tempo, tra gli incontri, i volantinaggi, le manifestazioni pubbliche, la vendita militante della nostra stampa. Per fortuna eravamo amici, quindi abbiamo vissuto con una certa leggerezza o forse incoscienza, la decisione di proporci in città e nella neonata Università della Calabria, ancora in costruzione, come la risposta ai dubbi esistenziali, sociali e politici non solo nostri, ma dell’intera umanità.

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    Il Polifunzionale dell’Unical

    Comunione e liberazione: ciclostili mistici

    Oggi guardo con indulgenza a quel gruppo di ragazzini che eravamo, in mezzo ad altri gruppi, animati dalle stesse certezze granitiche, ma con riferimenti diversissimi e opposti. Queste convinzioni, queste letture della realtà del nostro tempo venivano messe a punto negli incontri, che avvenivano nelle sedi ricordate prima e in altre ancora.
    Come tutte le sedi dei gruppi e dei movimenti politici, l’arredo era piuttosto precario e approssimativo: sedie spaiate, un tavolo, qualche scaffale per la carta e l’inchiostro, necessari per l’indispensabile ciclostile, il top della tecnologia comunicativa degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Preparare un volantino e vederlo uscire, una copia alla volta, dal rullo del ciclostile, era un’operazione solenne, mistica, iniziatica. Solo pochi eletti avevano il permesso e la capacità di manovrare il prezioso apparato, da cui dipendeva il nostro apostolato, la nostra presenza.

    Il Pantheon ciellino a Cosenza

    Sui volantini e pure sui manifesti confezionati artigianalmente, con un pennarello, bisognava ricordarsi di scrivere “manoscritto in proprio”, in fondo, altrimenti si violava non so quale norma del Codice civile. Ne conservo pochi, di questi sbiaditi foglietti, forse se facessi visita all’Ufficio politico della Questura potrei recuperare gli altri, ammesso che in Questura abbiano un archivio ordinato. L’Ufficio politico raccoglieva amorevolmente tutte le stampe, di tutti i gruppi, anche i più sfigati, quelli a cui nessuno dava credito. Per poi studiarli, analizzarli e classificarli, secondo il livello della nostra e altrui pericolosità per l’ordine costituito. Mi piacerebbe anche sfogliare la graduatoria dei gruppi acquisita agli atti.
    L’arredo era simile anche nelle sedi degli altri gruppi, di sinistra o di destra.

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    Monsignor Oscar Romero

    Cambiavano i poster alle pareti, i ritratti dei santi protettori, Marx, Che Guevara, Evola. I gruppi cattolici tradizionali, ospitati negli oratori parrocchiali, accanto ai simboli religiosi, appendevano un ritratto di monsignor Camara, oppure di monsignor Romero, o di madre Teresa o di Escrivà de Balaguer, secondo le simpatie e gli orientamenti.
    Noi ciellini, notoriamente movimentisti, avevamo le sedi, perché le sale parrocchiali erano riservate all’Azione cattolica. Sto elencando questi particolari perché essendo nato nel 1961 temo che le persone un po’ più giovani di me facciano fatica a immaginare cosa fosse la realtà dei gruppi di quei fatidici decenni.

    Per questo, per colmare la distanza, insieme all’editore Demetrio Guzzardi, che era uno degli spericolati ragazzi di cui sopra, abbiamo predisposto tante schede, come quella che riporta gli indirizzi sopracitati. Le schede fanno parte di un mio libro di 152 pagine, e ci sono quelle dedicate ai libri, alle riviste, a case editrici, luoghi e iniziative (Ciellini ad Arcavacata (1976-1989), Cosenza, editoriale progetto 2000, 2023).
    Lo abbiamo fatto soprattutto per noi, per riflettere, dopo quarant’anni, sulla nostra storia, su momenti decisivi per la nostra formazione e la vita successiva, che abbiamo deciso di spendere in Calabria, anche dopo il distacco da Comunione e Liberazione, per una serie di situazioni che sarebbe lungo spiegare. Se non lo si fa dopo quarant’anni, il punto sulla vicenda, poi bisogna affidarsi ai posteri, vallo a sapere se i posteri ne avranno voglia.

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    Demetrio Guzzardi

    Formidabili quegli anni a Comunione e liberazione

    In quegli anni, in quelle brutte sedi, abbiamo conosciuto gli amici della vita, e pure, in qualche caso fortunato, le compagne della vita. Anche solo per questo ci è sembrato che ne valesse la pena, di affrontare l’impresa, scavando nella memoria e nelle vecchie carte.
    Alcune persone non ci sono più, di altre si sono perse le tracce. Con qualcuno ancora capita di incontrarsi e parlare. Non so se è lo stato d’animo dei commilitoni, dei reduci, quello che si prova, quando ci si incontra tra persone legate da una profonda esperienza di militanza e di appartenenza. Esiste ancora oggi un sentimento di questo tipo? Come spiegarlo a chi non l’ha vissuto? Proprio ora che le appartenenze sembrano così vaghe, fluide, affidate ai gruppi sui social. Non usavamo tessere, a differenza di altri movimenti, ma l’appartenenza ci sembrava scolpita nella roccia.
    Facendo questo libro, dalle bozze alla stampa, mi sono chiesto quali luoghi, quale sentimento di appartenenza avranno nella memoria i ragazzi, quelli che oggi hanno venti o anche trent’anni.

    Quando non c’erano i social

    I luoghi fisici forse non sono insostituibili, noi ne abbiamo cambiato tanti, ma negli appartamenti ci ritrovavamo a parlare, a confrontarci. Poi continuavamo a parlare pure dopo gli incontri e i volantinaggi, tornando a casa, spesso a piedi. A volte a passaggi o a piedi siamo andati a Bivio Morelli, un sobborgo fuori dai confini comunali che ai tempi era poco urbanizzato e con ampie zone verdi. Lì facevamo una sorta di volontariato, soprattutto con i ragazzini del posto, che secondo noi erano un po’ isolati. Non eravamo gli unici in città a organizzare attività simili. Lo facevano anche altri gruppi, non solo tra i cattolici.
    Tutte queste iniziative, incontri, manifestazioni, vendite militanti, presupponevano che le persone si vedessero e avessero tempo e voglia di parlare, di ascoltare almeno, anche per pochi minuti. Oggi le opportunità di comunicare sono infinite e meravigliose, rispetto al nostro glorioso ciclostile. Il problema è convincere l’interlocutore a spostare lo sguardo dal cellulare, togliere le cuffie dalle orecchie, e magari scendere dal monopattino elettrico o da altri aggeggi, che non ho nessuna intenzione di provare a utilizzare.
    Oggi i movimenti e i gruppi sono un’altra cosa, mi pare. Tanti, specie quelli politici giovanili, non esistono più, almeno nelle arcaiche forme della militanza e dell’appartenenza a me note. Altri navigano in rete, pare che perfino nelle parrocchie siano in funzione gruppi social, per gli avvisi, per far circolare dei testi, per comunicare gli orari del catechismo. Fede in rete: Hai incontrato Gesù? Sì, No, Non lo so. (Barrare una sola casella).

    Le ragazze e i ragazzi di pomeriggio si muovono come formiche operose, secondo gli interessi e l’estro del momento, tra palestre, scuole di calcio, corsi di danza, di musica e di inglese. I bambini vengono trasbordati da una ludoteca all’altra, hanno in agenda tante di quelle feste che fanno concorrenza ai Vip più invidiati. Quale messia potrebbe riuscire a dirottarli verso un cortile, verso un oratorio, verso un centro sociale per un dibattito politico (brividi di orrore al pensiero)? Se anche un volenteroso evangelizzatore si esibisse in una serie spettacolare di miracoli, magari in piazza Bilotti, credo che, al massimo, gli chiederebbero quale ultima versione sta utilizzando. Per la Play Station miracolosa. Questo effetto speciale del miracolo, che applicazione è?

    Scuole d’inglese al posto delle sedi di CL

    Credo che alcune ex sedi ospitino, attualmente, scuole di alta formazione per la lingua inglese. Ce ne sono così tante in città che, andando a spasso, ci si dovrebbe sentire come a Piccadilly Circus. Invece, per fortuna, mi sento rassicurato quando mi ritrovo nella solita atmosfera mediorientale delle strade della mia giovinezza. Tutti col naso sul cellulare, ci mancherebbe, ma nel consueto pittoresco chiacchierare ad alta voce dei fatti propri e altrui. Privacy in salsa calabra.
    Davanti ai bar ci sono i tradizionali gruppi maschili che presidiano il territorio, ci sono i plotoni di ragazzi, e quelli di mezza età in fuga dai problemi di famiglia, poi i vecchi, veterani della riserva. Le ragazze seguono altri misteriosi percorsi, i due schieramenti si vedranno di notte. Di notte niente più libri sul comodino. Solo gli sfigati possono leggere di notte.
    L’atmosfera mi tranquillizza sul successo dei corsi di inglese di altissimo livello. Forse quelli che superano gli esami, B2 e C2, poi vanno via, a Piccadilly Circus, Oxford, Cambridge e dintorni. Cosa dovrebbero fare, a Cosenza, col loro impeccabile accento di Oxford?

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    Una manifestazione di Comunione e liberazione

    Che fine hanno fatto volantini, megafoni e striscioni?

    I cellulari e la rete ci assicurano il posto nel terzo millennio, ma cosa ci portiamo dietro? Con quale bagaglio affrontiamo la globalità? Abbiamo lottato con sgomento per padroneggiare il Pc e il mouse, trenta anni fa, sapendo che era in gioco il nostro posto nel mondo.
    La mia classe di ferro, 1961, la più numerosa del secolo, conserva ancora memoria del tempo arcaico del ciclostile, del telefono a gettoni, delle contrapposizioni ideologiche. Tutti tenevamo a essere diversi, a sbandierare i nostri testi sacri. Ogni gruppo aveva i suoi.
    Dovremmo fare ancora uno sforzo per recuperare il nostro vissuto. Cosa accadeva nelle sedi degli altri gruppi? Quale modello di ciclostile utilizzavano? Cosa pensavano, gli altri, di noi? Cosa ne è stato dei più fieri e intransigenti contestatori? Quale buco nero ha inghiottito tutti i volantini, i megafoni, gli striscioni, le tessere e le agende su cui stavamo a scrivere come forsennati? E la nostra pretesa di leggere la realtà e giudicarla era solo assurda? Quelli che ci giudicavano degli esaltati avevano ragione? Bisogna stare con i piedi per terra? Cosa rimane di quegli anni? Come raccontarli ai ragazzi e alle ragazze della movida notturna?

  • La morte torna sul fiume: Denise e la tragica lezione del Lao

    La morte torna sul fiume: Denise e la tragica lezione del Lao

    Ora che attorno alle acque potenti del Lao si stanno spegnendo i clamori, dopo il ritrovamento del corpo della povera studentessa caduta dal gommone e quei luoghi stanno tornando alla loro primitiva solitudine, vale la pena provare a dare uno sguardo meno frettoloso alla vicenda, le cui responsabilità vanno assai oltre quelle della sola guida alla quale Denise Galatà e i suoi compagni erano stati affidati.

    Le cause della tragedia vanno cercate lontano dalle rapide bianche del Lao e molto prima del giorno della tragedia, ma sin dentro le aule di un liceo che decide di mandare i propri ragazzi a fare la “gita scolastica” in uno dei posti più belli della Calabria, ma che nella seduzione della natura selvaggia conserva un margine di pericolosità che è ben conosciuto.

    La scuola che si sposta

    La “gita scolastica” è un modo di dire improprio, quasi gergale. In realtà si tratta di viaggi di istruzione. Non è una finezza semantica, è un cambiamento di senso. Il viaggio d’istruzione è la scuola che si sposta, che va in un luogo diverso dalle proprie aule, che continua a svolgere il proprio compito di crescita ed educazione alla bellezza. È una lezione che si fa senza le mura attorno.
    Per questo non deve essere fatta per forza come una volta dentro un museo – anche se resta sempre un’ottima idea – ma anche cogliendo la lentezza di una passeggiata in un bosco. Oppure il passo svelto che richiede un sentiero di montagna un poco più impervio, affidandosi magari a una guida dei nostri parchi, in grado di spiegare i luoghi, dare voce agli spazi, dire i nomi dei posti e degli alberi.

    Il Lao e le responsabilità nella morte di Denise Galatà

    Il Lao è cosa diversa. È una bellezza severa, di quelle non addomesticate. Abbaglia gli occhi, ma può fare male. Molto. Era già successo, forse non troppo distante da dove Denise Galatà è scivolata dal gommone nel Lao. Un’altra ragazza era caduta e si era persa ingoiata dai vortici. Il ministro Valditara ha annunciato una ispezione, una richiesta di informazioni su come quella gita sia stata organizzata.

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    Denise Galatà, la 19enne morta nel fiume Lao

    È quasi certo che non troverà falle tra le carte, né errori procedurali. Resta da capire come sia stato possibile immaginare una discesa del Lao quando le scuole nell’organizzare le uscite sono responsabili perfino dell’efficienza dell’autobus su cui viaggiano gli studenti e la così detta Culpa in vigilando, ovvero l’omissione di tutela e vigilanza dei docenti verso gli studenti, durante un viaggio è molto più opprimente che durante una normale giornata scolastica. Poi entra in gioco il grado di responsabilità della compagnia di rafting, che ha considerato praticabile la discesa, malgrado i giorni di pioggia continui.

    Non si torna indietro

    Il Lao ha tre percorsi, da Laino alla Grotta del Romito, poi da questa a Papasidero e infine fino ad Orsomarso. Il primo tratto è quello più bello. Gole alte dove l’acqua corre potente, disegnando percorsi tortuosi, fatti di rapide in successione, salti, massi da aggirare, cascate. Luoghi dove non c’è la possibilità di arrivare senza un kayak o appunto un gommone, dove non è previsto di tornare indietro: si deve per forza procedere. La bellezza della natura nella sua forma più autenticamente primitiva.

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    Rafting sul Lao

    Fino a qualche anno fa il percorso intermedio era caratterizzato da un enorme macigno crollato da una delle pareti e questo ostacolo costringeva le guide a far scendere i turisti, porre i gommoni in verticale e farli passare attraverso la strettoia. Era una fatica disumana e a un certo punto il macigno scomparve liberando il percorso. Le dicerie raccontano che il tappo fosse stato fatto saltare con l’esplosivo.

    La tragica lezione della Natura

    Oggi le varie associazioni di rafting che operano in quella zona e che godono del fascino del luogo alimentando un flusso turistico notevole, fanno quadrato. Spiegano che sì, l’acqua era alta, ma il fiume praticabile, i rischi bassi e certamente le guide sono tutte esperte e puntuali conoscitori di ogni passaggio d’acqua, di ogni rapida.gommoni-lao
    Il timore è che il Lao venga chiuso come accaduto per il Raganello, fermando per l’ormai prossima estate i moltissimi i gommoni i cui differenti colori sono rappresentativi delle diverse associazioni che operano lungo il fiume, carichi di gioiosi turisti, spesso anche famiglie divertite. Solo che certe volte la natura ci ricorda che non è un luna park.