Categoria: Opinioni

  • Mimmo Lucano: arriva la luce alla fine del tunnel

    Mimmo Lucano: arriva la luce alla fine del tunnel

    Ieri, alle cinque e mezza del pomeriggio, la mia mente è andata al teletrasporto. Che stramberia, penserete. E a ragione.
    Ma nel tumulto che mi ha investito quando Sasà Albanese mi ha confermato che Mimmo Lucano era stato (sostanzialmente) assolto, la ragione non c’entra. Perché in quel momento l’unico gesto che avrei voluto compiere era quello di abbracciare Mimmo, dal quale però mi separavano 130 chilometri.
    Mimmo, poco tempo fa mi aveva dichiarato in un’intervista che sarebbe andato in galera senza chiedere sconti di alcun genere. Condannatemi, aveva detto. Prendetevi fino in fondo le vostre responsabilità. Dopo aver coperto la distanza tra Reggio a Riace l’ho trovato lì dove m’aspettavo che fosse: in piazza, non in galera.
    A Riace, il paese dei miracoli, dove umanità, solidarietà, amore non sono parole. Sono volti, baci, abbracci, sorrisi, mani che si stringono e si protendono per soccorrere chi zoppica, chi è stanco, chi è affamato.

    Mimmo Lucano: Riace di tutti i colori

    Mani di colore diverso, perché nella Riace di Mimmo il colore che conta è quello del sangue, uguale per tutti. Del cielo, uguale per tutti. Del grano o delle foglie degli alberi, uguale per tutti.
    Abbraccio Mimmo a occhi chiusi, ma vedo bene che in quell’istante lui è il mondo intero, con le sue brutture e le sue bellezze. Imperfetto, a volte sordo. Però in momenti come questi meraviglioso.

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    Una bella immagine di Mimmo Lucano

    Tanti amici e compagni sono lì, a condividere la luce dopo un tunnel buio e triste. Troppo, insopportabilmente lungo. Certo, nell’attraversarlo, Mimmo Lucano ha dimostrato una resistenza erculea. La tenebra nella quale ha camminato è stata penetrata da tanti raggi di sole: i suoi estimatori, sparsi in tutto il mondo. Tuttavia, credo che non ne sarebbe venuto fuori se non avesse avuto, dentro di sé, la forza delle sue idee. Incrollabili. Rocce che alcun corso d’acqua ruggente e violento avrebbe potuto trascinare via.
    I principi di una vita, saldi in lui fin da ragazzo. Quelli l’hanno guidato già prima di Riace, e quindi hanno segnato anche quell’esperienza. Non poteva cedere e non ha ceduto. E anche il suo più grande timore, quello di perdere credibilità davanti alla sua gente, per colpa delle accuse e del processo, si è squagliato ieri come neve al sole.
    Una giornata storica (in questo caso certamente sì) terminata tra sorrisi e abbracci, tra canti e brindisi. Con il grande Peppino Lavorato, dalla solita postura fiera e gentile da vecchio combattente, a dirigere il coro di Bella ciao.
    Più si va in là con gli anni, pensavo tornando a casa, più le occasioni per gioire si rarefanno. Sono gemme preziose da custodire gelosamente. Quella che abbiamo incastonato ieri nelle nostre vite è una delle più raffinate e pregiate. Il nostro Mimmo potrà continuare nella sua missione, che consiste semplicemente nell’aiutare il prossimo. Con la consapevolezza di poterlo fare perché la solidarietà, da ieri, non è più un reato.

  • Colpevole di umanità

    Colpevole di umanità

    I processi politici esistono. Quello che ha dovuto affrontare Mimmo Lucano, dal quale aveva subito una condanna di tredici anni, puniva una visione differente dell’accoglienza. Una idea migliore di essere “questa sporca razza”, come avrebbe detto Beckett. Insomma, una umanità migliore.
    La sentenza di primo grado puniva la solidarietà in un mondo costruito come sostanzialmente ostile verso “l’altro”, basato sulla disuguaglianza che accanisce i meno uguali, già discriminati, contro quelli che stanno ancora più sotto, gli ultimi.
    Puniva in modo grottesco (e con motivazioni raccapriccianti per chiunque percepisca il senso del Diritto) una persona che aveva osato dimostrare che si poteva vincere l’egoismo, dando vita a una piccola oasi di uguaglianza e opportunità, di riscatto e rinascita.
    Verso quest’oasi si era rivolto anche lo sguardo internazionale, interessato a capire come fosse stato possibile in questa remota periferia del pianeta realizzare l’utopia di un mondo almeno un poco meno ingiusto.

    Niente carcere e molta dignità: Mimmo Lucano

    Fine dell’obbrobrio per Mimmo Lucano

    Oggi l’obbrobrio è stato cancellato: il processo di secondo grado ridimensiona la pena da tredici anni a uno e mezzo per irregolarità amministrative e ne sospende l’esecuzione.
    Tutto questo avviene dopo circa cinque anni dall’arresto e dalla fine di quella esperienza di umanità solidale, di rinascita di un piccolo paese, di ritrovamento smarrito di umanità. L’Appello nega le accuse più pesanti: associazione a delinquere, peculato, frode. A chi, con stupore degli accusatori, spiegava che nelle tasche di Lucano non c’era nemmeno un euro, la sentenza di primo grado replicava che questa povertà era frutto della sua furbizia. Un modo troppo semplicistico per dire che quella esperienza doveva spegnersi subendo anche l’onta dell’infamia.
    Alla fine, più ancora della gravità della sentenza di primo grado, era questo l’oltraggio con cui seppellire Lucano: trasformarlo da realizzatore di idee coraggiose in un piccolo bandito. Non ci sono riusciti. Lucano non andrà in carcere per avere dato dignità a chi non ne aveva più e proseguirà quel che in questi anni non ha mai interrotto: costruire il suo piccolo prezioso mondo di accoglienza.
    Sia scritto sui muri, sui libri di scuola, sia scritto e gridato nelle piazze: la solidarietà non è mai stata un reato.

  • Le immagini boomerang

    Le immagini boomerang

    Da un attacco che coglie di sorpresa persino l’intelligence non ci si possono certo aspettare foto da Word Press, al massimo qualche screenshot sgranato difficile da ingrandire. Niente di iconico, se non il terrore disperato sul volto di Noa, ragazza strappata dall’abbraccio del fidanzato e portata via in motocicletta, così uguale alla “Napalm girl” di Nick Ut.

    Eppure quelle immagini, per quanto rozze, funzionano, sono il complemento di propaganda necessario al raggiungimento dell’obiettivo di istillare la paura dell’incertezza. Ma anche le formule da manuale per funzionare hanno bisogno dell’esperienza della pratica, e proprio l’eccesso di efficacia di tanta brutalità ne è al tempo stesso la debolezza, finendo per alimentare un sentimento di legittimazione, versione soft dell’idea di taglione, per una reazione di maggiore intensità. Come dire che qualcuno ha sottovalutato l’effetto boomerang che talvolta le immagini portano con sé.
    È un anniversario tondo, 20 anni dal 2003 di Davanti al dolore degli altri di Susan Sontag, e “l’età dello shock” si è trasformata nell’epoca dello shock continuo; l’assuefazione ha bisogno di spostare continuamente il limite di ciò che sconvolge, come insegnano le decapitazioni dell’Isis, e pensare fin dove possa arrivare questa escalation fa paura, molta.

    Attilio Lauria

  • Il mare non bagna Lamezia

    Il mare non bagna Lamezia

    Apriamo assieme una nuova pagina di Google, sul computer o telefonino che sia. Clicchiamo sulla barra e scriviamo quanto segue: “Marina di Lamezia Terme”. Basta un attimo: “Ma-ri-na di La-me-zia Ter-me”.
    Cosa compare nell’elenco dei risultati? Un sito generalista in cui sono inzeppate le spiagge – vere o presunte – di tutto il Paese. A corredo, una fotografia che non pare per nulla Lamezia Terme. E poi cos’altro? Vaghi suggerimenti di spiagge del Tirreno prossime alla città della Piana di Sant’Eufemia e una manciata disordinata di canali per prenotare viaggi su gomma e su rotaia.

    Forse abbiamo sbagliato noi la ricerca; perciò riproviamoci e scriviamo “Lamezia Terme Lido”. Cosa troviamo adesso? Nuovamente altre cittadelle vicine, ma non ciò che desideriamo, e una lista di megasiti di viaggi che ci propongono esperienze non di nostro interesse. In una parola: decine di risultati che non soddisfano affatto la nostra ricerca.
    Ci sorge, a questo punto, un dubbio, una domanda legittima: ma Lamezia Terme è bagnata dal mare?

    I due lungomari di Lamezia Terme

    Ebbene sì, Lamezia Terme è bagnata dal mare. O perlomeno sembrerebbe. Esiste anche un lungomare. In vero addirittura due – il “Falcone-Borsellino” e quello (senza denominazione ufficiale) di località Ginepri – di costruzione anche abbastanza recente (inaugurati nell’estate 2014). Per circa due chilometri corrono paralleli alla linea della battigia, toccando le altre due località rivierasche ricadenti nel territorio comunale lametino di Cafarone e Marinella.
    La risposta al nostro interrogativo, pur senza il sostegno di Google, pare esserci giunta: Lamezia Terme è bagnata dal mare. E, approfondendo la nostra ricerca, veniamo a sapere che lo è anche per una buona dozzina di chilometri, dal confine con la contigua spiaggia del comune di Gizzeria a Nord fino al pontile della ex Sir, l’area industriale della città, fra i simboli del flop (o della truffa) della industrializzazione della Calabria partita negli anni settanta del Novecento, a Sud.

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    Il pontile dell’ex SIR a Lamezia

    Dai brasiliensi ai “lamentini”

    Del tratto costiero, passato circa a metà dal fiume Amato (l’antico Lametos da cui ha origine parte del nome alla città), però in pochi sono concretamente a conoscenza. In primis gli abitanti della città-miraggio nata il 4 gennaio 1968 a seguito della unione coatta dei tre ex comuni autonomi di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia Lamezia, primo esempio di conurbazione fra municipalità che non ha mai portato ai risultati sognati oltre mezzo secolo fa. Quelle bizzarre fantasticherie avrebbero voluto Lamezia Terme la Brasilia del Sud Italia (curioso binomio fondato sulle origini politiche della capitale pianificata, messa in piedi fra il 1956 e il 1960 sull’altopiano del Planalto Central per unire e dare sviluppo a tutto il Brasile, ma forse – ipotesi cialtronesca dell’autore – soltanto perché i dialetti calabresi hanno un suono parente alla lingua portoghese parlata nella nazione al di là dell’Oceano).

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    Vita nel campo di Scordovillo

    L’ambizioso obiettivo era rendere Lamezia il centro politico e culturale dell’intera regione. Così non è stato – chissà se lo sarà mai – con buona pace dei lametini più campanilisti, o anche più ottimisti. Una anomalia sociale quest’ultima, comunque una sparuta minoranza, ché i lametini sono chiamati localmente e bonariamente “lamentini” per la loro tendenza a lamentarsi; una indole spesso aprioristica e ingiustificata, data dalla scarsa coscienza del fatto che attorno, entro i confini regionali, insistono situazioni di degrado e incuria socioculturali ben maggiori rispetto a quelle della città della Piana, in cui la situazione più difficile è storicamente concentrata nel campo rom, il più vasto del Mezzogiorno, di Scordovillo.
    Ma questa è un’altra storia.

    L’estate sta finendo… ma è cominciata?

    Riprendiamo a passeggiare lungo il bagnasciuga del mare che probabilmente c’è di Lamezia Terme. Lo scenario è lo stesso da sempre: attorno a noi pochi bagnanti, perlopiù indigeni, amareggiati dalle acque difficilmente pure e cristalline di questo tratto di costa bagnato dal Golfo di Sant’Eufemia, cronicamente afflitto dai problemi legati alla depurazione e agli sversamenti abusivi di liquami.
    Il sole sta per tuffarsi in acqua, lo sta facendo sempre qualche minuto prima rispetto al giorno precedente. La silhouette di Stromboli si inscurisce e capiamo che un’altra estate sta volgendo al termine. Inizia il tempo in cui stilare un bilancio, ma a Lamezia oramai neppure ci si pone più il problema se sia andata bene oppure no la stagione balneare, ché una vera stagione balneare non è mai cominciata nella breve striscia di spiaggia pressappoco antropizzata con il lungomare dedicato ai due giudici uccisi da Cosa nostra nel ’92 e la pineta in parte vandalizzata e a cui sovente viene donata una nuova incivile destinazione d’uso, quella di parcheggio.

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    Un panorama del Golfo di Sant’Eufemia

    Purché si organizzi…

    L’estate 2023 ha visto sul lungomare “Falcone-Borsellino” di Lamezia Terme spettacoli d’arte, serate musicali e qualche sagra paesana per nulla attinente alle tradizioni locali – delle penne all’arrabbiata, della pizza, della birra, del tartufo di Pizzo. Decine e decine di eventi culturali e culinari – ché il panem et circenses è una garanzia da millenni –, di certo non inediti, non così attraenti per i turisti e svolti con alterne fortune, ma che hanno dato una boccata di ossigeno ai pochi, stoici stabilimenti balneari aperti sulla costa lametina.

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    Il tradizionale (non a Lamezia) tartufo di Pizzo

    Serate che, a detta di molti, non hanno trasmesso grande organizzazione – anzi, piuttosto a emergere era una certa improvvisazione –, in specie dal punto di vista della comunicazione. Eventi senza grosse aspettative, insomma, come se si dovesse per forza organizzare qualcosa al fine di sentire, anche a Lamezia, l’estate addosso; nulla che possa essere ricordato oltre la notte della festa, che lasci un “alone duraturo” nella vita sociale cittadina. E questo è un gran peccato, che riga di rammarico i volti dei tanti lametini – la stragrande maggioranza – che, magari pur non ammettendolo neppure sotto tortura, amano la loro città.

    Cultura e turismo a Lamezia Terme

    Ci si sta focalizzando sugli aspetti turistico-balneari della città, non sulla sua vitalità, ché è indubbio che Lamezia Terme sia una città effervescente. Le associazioni culturali germogliano e lavorano senza sosta, non soltanto quando piovono in casa i soldi di qualche bando. Si svolgono festival letterari e cinematografici con ospiti di caratura nazionale, esiste un museo archeologico statale, dei siti storici e architettonici fruibili come la Abbazia benedettina di Santa Maria di Sant’Eufemia risalente alla seconda metà dell’XI secolo; ci sono caffè letterari, teatri, librerie e biblioteche: un’offerta culturale da fare invidia a quasi tutti gli altri paesi della regione e non solo.

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    L’Abbazia benedettina

    Il turismo poi, seppur la città non abbia mai avuto una spiccata vocazione turistica e nemmeno questo impellente interesse a diventarlo, esiste. Contenuto, che non produce lunghi “oooh” di stupore, ma esiste. Da maggio a settembre, gruppi di turisti, italiani e stranieri, passeggiano per le vie del centro e affollano i locali. Pernottano nei molteplici alberghi e b&b da qualche anno spuntati come porcini e gallinacci in ogni angolo della vastissima città, non soltanto nel centro o nei dintorni dello scalo ferroviario principale o dell’aeroporto internazionale.

    L’aeroporto di Lamezia Terme e i turisti

    Di sicuro l’aeroporto internazionale di Lamezia Terme “Sant’Eufemia” codice IATA: SUF – ché è questa la sua unica denominazione possibile – è il principale artefice della notorietà della città e del flusso turistico locale, sia di passaggio che stazionario. Efficiente punto di riferimento per i viaggiatori e turisti che vogliono visitare la arcaica e misteriosa Calabria – ché mica è cambiata poi tanto la visione della Calabria all’estero rispetto a quella dei viaggiatori del Grand Tour –, quello di Lamezia è pure per tantissimi versi anche il solo autentico scalo aeroportuale della regione, con voli a basso costo di compagnie internazionali volte a promuovere il modo di fare turismo del nostro secolo.

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    L’aeroporto di Lamezia

    Certo, buona parte delle persone che atterrano sulla pista parallela al mare lametino (che c’è allora!) poi si spostano verso le mete turistiche più gettonate e attrezzate della nostra terra (Tropea e Soverato), facendo ritorno nella città della Piana soltanto per salire la scaletta dell’aeroplano del ritorno. Ma è chiaro che a Lamezia qualcuno si fermi, anche per una sola notte, e financo il meno obiettivo dei lametini/lamentini non potrà non ammettere che una corposa affluenza turistica si è vista in città questa estate. E il medesimo poco obiettivo lametino non potrà ugualmente non convenire sul fatto che forse la città non è sembrata così pronta.

    Un piccolo sforzo in più

    Peccato. Un luogo strategico come Lamezia Terme, al centro della Calabria, del Sud e del Mediterraneo, e con una popolazione così vibrante potrebbe fare quel pizzico di sforzo in più per rendersi conforme e più appetibile alle esigenze del turismo d’oggigiorno. Oppure che sia proprio questo il punto? Non sarà mica solo una tattica per non omologarsi ai dettami della società di massa?
    Potremmo rifletterci, ma siamo troppo stanchi, siamo ancora così fiaccati dalla lunga calura estiva. Perciò assopiamoci col rincrescimento – per carità, nulla che ci tolga né la fame né il sonno – di un’altra estate perduta. Senza somme da tirare, senza orizzonti, senza sogni e senza mare.
    Oh, che peccato che il mare non bagni Lamezia.

  • Migranti, Occhiuto ha cambiato idea?

    Migranti, Occhiuto ha cambiato idea?

    Scrivere di immigrazione mettendo da parte la mia coscienza, nella quale sono scolpiti principi che impongono di soccorrere chiunque sia in difficoltà in qualsiasi situazione e zona del “globo terracqueo”, è impresa ardua. Tuttavia ci voglio provare, e lo faccio componendo un mosaico composto dalle seguenti tessere.

    Migranti? Un’opportunità, parola di Occhiuto

    «I flussi di migranti sono difficilmente arginabili… Penso che in un Paese di 60 milioni di abitanti, 100 mila migranti non dovrebbero essere molti da integrare; diventano, invece, troppi quando non c’è integrazione, quando si costruiscono dei ghetti magari a ridosso delle stazioni. Ma un Paese moderno che si affaccia sul Mediterraneo il problema dell’integrazione dei migranti avrebbe dovuto affrontarlo e risolverlo già da tempo. Io ho proposto, per esempio, di organizzare un’accoglienza diffusa… Troppe volte in Italia si è discusso del problema dell’immigrazione senza capire come potesse essere arginato facendolo diventare un’opportunità… Quelli che oggi vengono in Europa scappano dalla fame, dalle guerre, dalla morte. Un Paese civile è un Paese fatto di donne e uomini che non hanno una concezione proprietaria del territorio nel quale hanno avuto la fortuna di nascere e di vivere».

    Queste dichiarazioni sono tratte da un’intervista. Non le ha rilasciate Gino Strada buonanima. No. È il presidente della Regione Calabria a parlare, Roberto Occhiuto.

    La legge Loiero

    La legge regionale 18/2009 (c.d. “legge Loiero”, anche per dare a Cesare quel che è di Cesare) prevede che la Regione Calabria «nell’ambito delle proprie competenze, ed in attuazione dell’articolo 2 del proprio Statuto, concorre alla tutela del diritto d’asilo sancito dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione della Repubblica promuovendo interventi specifici per l’accoglienza, la protezione legale e sociale e l’integrazione dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria presenti sul territorio regionale con particolare attenzione alle situazioni maggiormente vulnerabili tra le quali i minori, le donne sole, le vittime di tortura o di gravi violenze» e «promuove il sistema regionale integrato di accoglienza e sostiene azioni indirizzate all’inserimento socio-lavorativo di rifugiati, richiedenti asilo e titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria».frontex

    Gli accordi di “esternalizzazione” (anche i termini hanno una loro importanza, e questo è orribile se l’argomento è l’immigrazione) con Tunisia e Libia, regalando motovedette e supportando le intercettazioni in mare insieme a Frontex, non hanno fermato la fiumana di disperati che fanno rotta verso l’Italia.
    È invece cresciuta e cresce giorno dopo giorno: “come può uno scoglio arginare il mare?”.

    Scuola, demografia, famiglie

    È di questi giorni l’accendersi del dibattito sul dimensionamento scolastico, il cui frutto avvelenato è la scomparsa di un buon numero di istituzioni scolastiche dotate di autonomia dovuta essenzialmente al calo della popolazione. Ne abbiamo già scritto circa sette mesi fa, quindi rinviamo a quell’articolo.
    Il “ricongiungimento familiare”, oltre ad essere un istituto giuridico per richiamare i congiunti nel Paese dove il migrante ha trovato nuove opportunità di vita, è diventato una pratica che coinvolge la nostra terra. Personalmente, conosco almeno una ventina di famiglie che hanno deciso di trasferirsi in altre zone dell’Italia, soprattutto al Nord, per raggiungere i figli che hanno stabilito in quei luoghi il centro dei loro interessi di studio/formazione/lavoro. La spiegazione è semplice e rassegnata: «E perché dovremmo rimanere qui?». Oltre all’affetto, incide la necessità di aiutare i membri della famiglia nella gestione quotidiana dei figli, o anche esigenze economiche se la remunerazione non è adeguata ai costi da affrontare per condurre un’esistenza “libera e dignitosa” (viva la nostra Carta!).

    In un video, girato a Lampedusa nella notte del 14 settembre, si vedono abitanti dell’isola, turisti, immigrati, ballare per le strade tutti insieme, sorridenti. Quella che per molti seguaci del ministro della paura uscito dalla fantasia di Antonino Albanese è un’emergenza, un disastro, una calamità simile a terremoti e inondazioni, si può trasformare in qualcosa di gioioso, in vita ed arricchimento reciproco. D’altra parte, Riace sta in Calabria, non in Veneto.
    In definitiva, invece di andare appresso alla propaganda e alle scelte securitarie dei vari Minniti, Salvini, Meloni, i cui risultati sono sotto l’occhio di tutti quelli che non se li bendano, facciamo una scelta diversa.

    Migranti e Occhiuto, le ultime parole famose

    Presidente Occhiuto, utilizzi gli strumenti a sua disposizione, le funzioni in capo alle Regioni, e quindi anche alla Calabria, per realizzare per i migranti ciò che lei stesso ha proposto: «organizzare un’accoglienza diffusa», in quanto «in Italia si è discusso del problema dell’immigrazione senza capire come potesse essere arginato facendolo diventare un’opportunità».
    L’Italia è o no “un Paese civile fatto di donne e uomini che non hanno una concezione proprietaria del territorio nel quale hanno avuto la fortuna di nascere e di vivere”?
    Questa, a mio avviso, l’affermazione più significativa del presidente Occhiuto, piacevolmente sorprendente, in quanto cancella in un colpo solo la teoria della sostituzione etnica, quella della non italianità dei cittadini italiani di pelle nera (Paola Egonu, copyright il generale che non voglio neanche nominare), quella (addirittura!!!) della stirpe, riportata alla luce dal Medioevo dal cognato–fratello d’Italia.

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    La pallavolista italiana Paola Egonu

    Se pensiamo ai Calabresi, tralasciando il resto dello Stivale e delle isole, essi sono il frutto di un miscuglio di etnie, colori di pelle, culture, idiomi, religioni: un vero melting pot in salsa calabrese. Basti pensare che lo Statuto regionale, e la Costituzione italiana, riconoscono sul nostro territorio tre minoranze linguistiche con radici che affondano in centinaia e, in un caso, migliaia di anni.

    Occhiuto e le opportunità dei migranti

    E allora, presidente Occhiuto, contribuisca a fare rinascere la Calabria partendo dai migranti, da quella che definisce un’opportunità. Siamo d’accordo con lei. Crei le condizioni per portare nella nostra regione nuova linfa. Gente che, come i nostri avi e i nostri coevi, ha una spinta in più, dettata da motivazioni forti, tanto forti da spingerla a rischiare la vita su barchini in balia delle onde o di rimanere internati per settimane a Ellis Island prima di entrare negli USA, o di tornare indietro con lo stesso bastimento dell’andata.

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    Italiani in arrivo ad Ellis Island nl secolo scorso

    Con la terra abbandonata, a rischio incendi per mancanza di cura e di occhi vigili, tanto da dover ricorrere a droni e telecamere. Con i paesi e le città che si svuotano, e hai voglia a protestare per il ridimensionamento dei servizi (le scuole, in primis, ma non solo) in una fase storica in cui per ognuno di essi le entrare devono coprire in larga parte i costi.
    Risolviamo il problema. Anzi: cogliamo l’opportunità. Cosa potrà succedere? Che avremo qualche bambino un po’ meno bianco? E allora dovremmo vietare anche la tintarella e le abbronzature nei centri estetici.
    D’altra parte, i medici cubani di bianco hanno solo il camice.

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    Roberto Occhiuto con alcuni dei medici cubani giunti in soccorso della sanità calabrese
  • ‘U scienziatu

    ‘U scienziatu

    Ma veramente?!? Questo di cui fino a cinque minuti fa ignoravamo bellamente l’esistenza e che fra un po’ gli diamo la cittadinanza onoraria in pompa magna, tale Georg Gottlob, docente di informatica e uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale, lascia la prestigiosa University of Oxford per venire a insegnare a Rende, e soprattutto, a vivere a Paola?!? «Vivrà a Paola e insegnerà in Unical», c’è scritto proprio così, «Vivrà a Paola e insegnerà in Unical», ripeto questa frase ossessionato e scusami se rido, come Battisti sono preso da un’impazienza. Sarà vero per davvero?!? Eppure è il Corriere della Sera, mica Lercio o l’albo pretorio di Bugliano, «Vivrà a Paola e insegnerà in Unical»!  Bah… toccherà impararlo per ricordarlo questo nome, Georg Gottlob, GiGì, che d’ora in poi insieme a San Francesco, Paola sarà la città d’ù Scienziatu (la città dello scienziato): sono di Paola, la città di quello che s’è trasferito da Oxford, non hai letto?!? Gottlob, ‘u cchiù (il più) grande esperto mondiale di intelligenza artificiale! Meraviglia da provinciale la mia, lo so, ma che ci vuoi fare, siamo pur sempre ai confini del regno… Però non puoi capire, compà, dopo tanti anni mi sono sentito come quann’era giuvine, che i ‘guagliune mi sguardavano ccu certi occhi ca mi facìanu mora: ammè, proprio ammè?!? (quando ero giovavane, per i lettori non autoctoni, che le ragazze mi lanciavano certi sguardi che toglievano il fiato) Ecco, stu GiGì m’ha restituito la sensazione dell’essere desiderabile, che dopo tanto scarnificare, analizzare e blablare addosso non è male. È un’illusione che aiuta, anche quando un giorno si stancherà ‘i caminà supa ‘u lungomare (di camminare sul lungomare) e andrà a miracolare qualcun altro, mentre di lui resterà una piazza di periferia con i gerani ammusciati (appassiti).

    Attilio Lauria

  • Tea Trump, ecco la foto segnaletica che diventa pop

    Tea Trump, ecco la foto segnaletica che diventa pop

    Che l’uomo fosse s-pregiudicato lo si sapeva da tempo, che poi è esattamente il motivo per il quale oggi è sotto accusa, e dunque è bastato poco perché cadesse quell’ultima foglia di fico della “s”. Così, pochi minuti dopo la pubblicazione della foto segnaletica, dalla sua gioiosa macchina da guerra comunicativa è partita un’altra campagna di contro-comunicazione all’insegna di “Breaking news: The Mugshot is here, ultimora, c’è la foto segnaletica. Un’altra perché già lo scorso aprile il Nostro – si fa per dire – aveva fatto stampare delle magliette con una falsa foto segnaletica con la scritta “not guilty”, acquistabile con un contributo di 36 dollari per sostenerne la campagna elettorale per le prossime presidenziali.

    Le “never surrender” di oggi, complice l’inflazione, that my lady, you can’t understand anything here anymore! (che signora mia qua non si capisce più niente), quotano 47 dollari, ma ai supporter disposti anche alla galera pur di seguire il loro pifferaio non fa certo impressione questo pugno di dollari in più.

    La foto segnaletica dell’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani

    La foto di Trump? Era tutto previsto dal suo team

    Merchandising a parte, il fatto è che come già per altri esempi della storia, nostrani inclusi, il passaggio dall’uomo al suffisso segna l’ulteriore arretramento di una certa società ancora legata a valori etici. E quest’ultima versione del trumpismo avvalora pericolosamente la vulgata degli avvisi di garanzia come must curriculari, più altre degenerazioni varie ed eventuali. Ma siamo qui a parlare di una foto, la prima e unica foto segnaletica mai scattata a un presidente americano, che nelle letture dei maggiori media USA viene descritta come il ritratto di una sfida, lanciata con lo sguardo basso e torvo, vestendo i colori della bandiera americana – abito blu scuro, camicia bianca, cravatta rosso vivo – come da copione patriottico. Al contrario di Rudolph Giuliani, che abbozza una smorfia di sorriso incredulo come altri coimputati, Trump in realtà sta comunicando ancora una volta con il suo “popolo”, concedendogli quella versione di sé e della sua politica che si aspettano: il leader combattivo che promette battaglia anche da quella situazione, che tenta così di girare a proprio favore. Cosa d’altra parte studiata e preparata da tempo, come rivela l’espressione della falsa foto segnaletica di aprile, stesso sguardo basso e stesso atteggiamento duro di sfida. Di certo è una foto destinata a diventare iconica, di quelle pop che troviamo stampate su tazze da thè e in ogni dove, e non per le stesse ragioni del poster Hope di Obama.
    E come per ogni foto segnaletica, equiparata al rango di fototessera, non sapremo mai chi ne sia l’autore; ma qui, in realtà, l’autore è chi ha scelto la posa, il come mostrarsi al mondo.

    Attilio Lauria

    giornalista 

  • Tragedia sulla Jonio-Tirreno: ma quando ci sarà una presa di coscienza?

    Tragedia sulla Jonio-Tirreno: ma quando ci sarà una presa di coscienza?

    Una famiglia percorre il sentiero che da Bivongi conduce alle cascate del Marmarico. Vengono da San Calogero. Una madre di 36 anni con la figlia di 4, suo fratello con la compagna e la figlia di 3 anni. Sono allegri, spensierati, hanno deciso di festeggiare così il compleanno dell’avvocato Antonella Teramo, la madre, tornata da Milano in Calabria per trascorrere le vacanze coi suoi cari. Incontrano delle persone – due amici e la figlia di uno di loro – e lei, dal carattere espansivo e cordiale, raccomanda loro di fare attenzione, ché alcuni passaggi nascondono insidie inaspettate.

    Morte sulla Jonio-Tirreno

    Certamente sa, ma in quel momento non ci bada, che il pericolo vero, in Calabria, non sono i sentieri di montagna, ma le strade che collegano le varie parti di un territorio notoriamente accidentato.
    Qualche ora dopo, l’auto sulla quale percorrono la Jonio-Tirreno (strada statale 682) si scontra frontalmente con un’altra occupata dal solo conducente. Questi e la madre muoiono sul colpo; la bambina di 4 anni, Maya, poco dopo all’ospedale di Polistena. Feriti gravemente la bambina di tre anni e gli altri due familiari, che avevano fatto la promessa di matrimonio lo scorso 30 marzo.

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    Antonella Teramo

    Concorrenza sleale

    Da circa un mese si dibatte sulla prossima chiusura di questa strada. Ci sono lavori improcrastinabili da effettuare nella galleria che buca per tre chilometri il monte Limina. Ciò di cui invece non parla chi decide cosa fare, dove e quando, sono gli interventi su tutto il sistema delle comunicazioni della regione: stradali, ferroviari, marittimi, aerei. E quando affronta l’argomento, è solo per reclamizzare il ponte sullo Stretto e la destinazione al Nord dei fondi che servirebbero per rendere il sistema moderno, efficiente, e soprattutto sicuro. È vero, accade che una delle cause degli incidenti automobilistici sia da imputare all’alta velocità, all’imprudenza. Già, perché gli straccioni calabresi per spostarsi senza rischiare, la vita o sanzioni pesanti, lo devono fare a 50 chilometri orari. Anche quando hanno esigenze lavorative che imporrebbero tempi limitati, come succede nei luoghi solo ipoteticamente concorrenti che con ipocrisia vengono definiti più fortunati.

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    La Galleria Limina sulla SS 682 resterà chiusa per almeno 20 mesi

    Una presa di coscienza

    Non di fortuna si tratta. Sono le scelte scellerate a fare della Calabria una terra ormai senza futuro. Scellerate e frutto di un’accondiscendenza, da parte della classe dirigente locale, che sfocia nel servilismo, nell’ascarismo più eclatante. Una pratica, sia chiaro, non imputabile esclusivamente alla Destra. Così, la traiettoria storica calabrese si presenta come un libro già scritto, dal finale scontato. Il nostro cammino, al contrario di quanto asseriva qualcuno, è identico al rotolare della palla sul biliardo: parte e arriva dove deve arrivare. L’unico ostacolo che potrebbe incontrare, fuor di metafora, è quello che finora non si è mai effettivamente presentato: una presa di coscienza che porti i calabresi tutti, in primis la sua classe dirigente, a prendere nelle proprie mani il futuro di questo «sfasciume pendulo sul mare» per tentare, nei limiti del possibile, di migliorarne la sorte.

  • Ricordi lanzichenecchi

    Ricordi lanzichenecchi

    Bisogna dire che almeno un merito Elkann l’ha avuto, scatenare indignazione molto più di una supercazzola della Schlein, cui pure toccherebbe in versione guerriglia quotidiana, purché anche pretestuosa. E ricordi, almeno per quanto mi riguarda. Quel raccontino, candidato paradossalmente a competere con l’altro tormentone estivo, l’Italodisco di Platino lanzichenecco da oltre 26 milioni di streaming e quasi 10 milioni di views su YouTube, mi ha restituito tutto il mio rapporto di amore e odio con il treno, facendomi rituffare nell’infanzia.

    E in un modo diverso di vivere il treno, quando da bambino crescevo con i nonni a Paola, cittadina che viveva di ferrovia, in una “palazzina” del quartiere di concentramento ferrovieri, deportati da ogni dove d’Italia. Quelle a due piani, torride d’estate, quando la sera si stava i grandi a chiacchierare con le seggiulin‘i paglia davanti al portone, e noi piccoli intenti in qualche gioco chiassoso, e gelide d’inverno, a sventagliare sul braciere. La mattina la spesa alla “cooperativa ferrovieri”, e a mezzogiorno il pranzo, abitudine scandita dalla sirena di cambio turno del deposito locomotive, che ancora oggi, quando vuoi prendere in giro qualcuno per abitudini antiche, lo apostrofi con un “che fai, mangi con la sirena?!?”.

    E poi il dopolavoro nebbioso di Nazionali senza filtro, vietatissimo a noi bambini, dal vociare sempre troppo alterato di scopone e tressette, con tutto quel vocabolario di termini storpiati che pochi ricordano ancora: chi nomina più gli scapicchianti, i pendolari del contrabbando prima, e della scuola poi… e del resto, di quel mondo e di quell’economia rimane ben poco, con il dormitorio, la mensa, la squadra rialzo e tutto ciò che lentamente se n’è andato…
    Caro Alain Elkann, alla fine tocca pure ringraziarTi per averci spinto a rovistare fra ricordi preziosi, che visti da qui, eravamo tutti di origini abbastanza lanzichenecche!

    Attilio Lauria

  • La Calabria brucia ancora, cronaca (social) di un disastro annunciato

    La Calabria brucia ancora, cronaca (social) di un disastro annunciato

    Alle sei di questa mattina Reggio Calabria era avvolta dal fumo e dall’odore acre degli incendi ancora in corso che hanno divorato l’hinterland cittadino. Nonostante un morto, intere aree distrutte, la costa Viola sfregiata, l’emergenza è ancora in corso. Da tutto il giorno, e ancora mentre scrivo, l’eco dell’elisoccorso e dei canadair che volano senza sosta rimbomba in tutta la città. L’aria è irrespirabile, come lo era ieri e come lo è stata stanotte.

    Se non fosse chiara la dimensione del disastro che sta colpendo la Calabria e la Sicilia, è sufficiente andare a dare uno sguardo alle mappe del fuoco in tempo reale sul sito della Nasa. Non esistono ammende, riparazioni, mea culpa. Colpire un territorio con questi atti che devono essere inquadrati come vere e proprie condotte terroristiche significa causare danni irreparabili e permanenti che causeranno effetti per gli anni a venire. Non solo in termini di salvaguardia di flora e fauna (e basterebbe quello), ma di costi sociali che si riverberano in tutti gli ambiti.

    L’eterna litania sugli incendi in Calabria

    Adesso ricominceremo con le solite litanie circa le cause di questa ecatombe. In un indistinto e maleodorante vociare da bar, la sequela sarebbe più o meno questa, con alla base sempre il vile danaro: accesso ai fondi europei per la riforestazione, compensi per le missioni in emergenza delle flotte aeree dedicate, rigenerazione dei pascoli, lavoro dei forestali (la proposta di privatizzazione di Calabria Verde cade proprio a fagiuolo), riaccatastamento delle aree agricole e/o boschive in terreni edificabili (ipotesi lunare per la legislazione che tutela le aree ambientali), piromania, roghi colposi nati da errore umano e tramutatisi in disastro ambientale, criminalità organizzata e perfino micragnose ripicche tra vicini di casa per ragioni di varia natura tra cui il deprezzamento dei terreni coinvolti per una più conveniente compravendita.

    Un canadair in azione durante gli incendi dell’estate 2021 in Calabria

    Forse ognuno di questi punti contiene un pezzetto di verità. Ma la verità in questo caso serve a poco. Le indagini per il disastro del fuoco dell’estate 2021 in Aspromonte si sono chiuse con un nulla di fatto. Nessun colpevole, ma un rimpallo di eventuali responsabilità la cui scia arriva al fuoco di oggi, giorno in cui piangiamo un morto, diverse abitazioni minacciate, interi poderi divorati dalle fiamme, boschi ridotti in cenere, linee ferroviarie e arterie stradali interrotte.

    Gestire (male) l’emergenza, nulla più

    Ma il senso vero, la desertificazione delle aree interne, dei costoni di montagna, lasciati alla rovina dell’abbandono, battuti e vissuti più da nessuno, senza coltivazioni, senza uomini che le preservano, non si azzarda a tirarlo fuori nessuno. Parliamo del massimo comune denominatore che rende queste catastrofi sempre più drammatiche.
    Non c’è nessuno che abbia interesse a preservarle e tutelarle se non come cocci di una bomboniera che è comunque andata in frantumi. Territori senza uomini e vallate deserte continueranno a subire questa sorte perché nessuno ha la lungimiranza di programmare strategie adeguate e di lungo termine. Non ci sono droni che tengano. Ci si limita a cercare di gestire – male – l’emergenza. Fin quando non ci sarà più nulla da gestire.

    https://www.facebook.com/rbocchiuto/videos/266892979396507

    Nel frattempo in queste ore non ho sentito un politico, che sia uno, spendere una parola, manifestare solidarietà, o annunciare provvedimenti concreti. In compenso abbiamo tutti visto i video social del presidente Occhiuto alle prese con i droni davanti a una stazione di monitoraggio video. Ma si sa che oggi vale in comunicazione quella strana legge per cui un esempio, che è poi il pallido simulacro di una realtà falsa e distorta, diventa per antonomasia la scopa politica paradigmatica con cui mettere il resto della polvere sotto un tappeto di vuota sostanza. Il medium è andato ben oltre il messaggio.

    Terrorismo e social network

    Vorremmo invece vedere pienamente applicato l’articolo 423 bis del codice penale, inasprito con il DL 120/2021, che punisce gli atti incendiari boschivi con al reclusione da 5 a 10 anni. Vorremmo la certezza della pena, vorremmo indagini approfondite capaci di individuare e punire aspramente chi colpisce il nostro futuro. E non basta: vorremmo che, per la rincorsa che hanno preso gli stravolgimenti climatici che continuano ad essere negati da personaggi come il ministro Salvini (basta scorrere i suoi ultimi post social), simili atti fossero equiparati ad atti terroristici.
    Vorremo questo e tanto altro. Vorremo, ma ci limitiamo a postare.