Categoria: Opinioni

  • Il giornalismo libero è un diritto, non rappresenta un lusso

    Il giornalismo libero è un diritto, non rappresenta un lusso

    Caro Franco, ho letto il tuo editoriale. Condivido in toto le posizioni espresse, che vanno ben oltre l’orizzonte dell’amata Calabria, perché le tue parole risuonano come una sorta di «SVEGLIATEVI!» Una squilla più che opportuna in tempi di conformismo pavido e becero.
    Il tema della partecipazione è cruciale per la libertà di opinione. Senza dibattito vero, l’opinione affoga tra le polemiche, impietrita dalle paure, rintronata da proclami e bufale. L’opinione cessa così di essere pubblica. Diventa privata, timida, distratta, subdola e spenta. Un’opinione libera e democratica non può essere affidata ai tecnici della manipolazione, agli specialisti delle mezze verità, ai sorveglianti delle linee editoriali.

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    La copertina del libro “Propaganda” di Edward Bernays

    E allora sì, propaganda

    La tua citazione di Solodin mi porta alla mente un libro di Edward Bernays dal titolo emblematico Propaganda, pubblicato a New York nel 1929. Bernays che di mestiere faceva il pubblicitario (anzi fu uno dei massimi teorici delle tecniche di advertising) secondo una classifica di Life magazine fu tra le 100 più influenti personalità del ‘900.
    Nel suo libro egli scrive testualmente: «La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo nascosto della società, costituiscono un governo invisibile che ha il vero potere di governare. Veniamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti influenzati, le nostre idee suggerite per la maggior parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questa è la conseguenza logica del modo in cui è organizzata la nostra società democratica»

    Bernays, che era nipote di Freud, formulò le sue teorie combinando L’interpretazione dei sogni dello zio Sigmund con La psicologia delle masse di Gustave Le Bon, un libro che Mussolini conosceva a menadito. Le Bon per spiegare i comportamenti delle masse utilizzava i concetti di “contagio e suggestione” per far emergere comportamenti sopiti nell’inconscio attraverso le leve dell’emotività e dell’istintualità.

    L’ossigeno delle democrazie

    Il tuo editoriale dunque non solo è eticamente ineccepibile, ma anche attualissimo perché punta il dito su un elemento vitale per le democrazie, direi l’ossigeno della vita democratica: la verità, la pura e semplice verità dei fatti, senza secondi fini, senza scopi occulti, senza consorterie che ne valutino l’opportunità.
    Qui mi fermo perché pensando alla informazione main stream dei nostri quotidiani, c’è da vergognarsi.

    Giuliano Corti

  • Cgil: in Regione litigano sui gadget, mentre i lavoratori affondano

    Cgil: in Regione litigano sui gadget, mentre i lavoratori affondano

    Ho letto con attenzione l’articolo/denuncia che la vostra redazione ha realizzato sulla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori della ristorazione a Cosenza dal titolo “Cucine da incubo”. Un caso non isolato, quello dello sfruttamento sul lavoro, come giustamente si afferma nell’articolo, che è solo un esempio delle condizioni miserabili nelle quali si vive quotidianamente in Calabria.

    Denunce che la Filcams Cgil porta avanti da anni e che ha richiamato, da ultimo, meno di un mese fa nell’iniziativa realizzata a Pizzo dal titolo “Idee e proposte per una terra accogliente ed un lavoro di qualità”.

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    La cucina di un ristorante italiano

    La retorica delle imprese

    Sono rimasto colpito, non particolarmente, dal fatto che anche il vostro giornale ha usato il classico schema per denunciare una situazione che viviamo ogni giorno, nella quale proviamo a tutelare e difendere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori; ispettorato del lavoro che diventa oggetto di accusa (quando dovrebbe essere noto che la riforma dell’ispettorato e le politiche di austerity sulla pubblica amministrazione partono da lontano, qualcuno ricorderà la retorica tutta liberale delle imprese che non decollano perché strozzate dal cappio dei controlli) anche quando gli organici sono stati ridotti all’osso; il sindacato, come sempre, assente. Assente dal racconto che si fa della nostra società, assente dal dibattito politico, nei tavoli istituzionali che contano e dove si fanno le scelte, specie nel settore del Turismo e della ristorazione in Calabria.

    Mentre in Cittadella si azzuffano per i gadget 

    Mentre i vertici della Regione litigano su gadget e marketing, la condizione di chi lavora sta sempre di più peggiorando ed il caso da voi sollevato è solo la punta dell’iceberg di una deregulation che ormai è diventata sistema. Ed in questa condizione il sindacato agisce provando a rappresentare e tutelare lavoratrici e lavoratori con fatica quotidianamente.

    Il sindacato non è assente

    Si può essere d’accordo o meno con il pensiero delle organizzazioni sindacali, criticarne l’azione ma è ingeneroso affermare che siamo assenti. Nei luoghi di lavoro, troppi pochi ancora, dove le lavoratrici ed i lavoratori scelgono di essere rappresentati dal sindacato il mondo del lavoro è più tutelato e i diritti vengono rispettati, non automaticamente ma attraverso un lavoro faticoso portato avanti spesso in solitudine. Solitudine ed isolamento che le aziende fanno subire ai rappresentanti sindacali, a lavoratori e lavoratrici cioè che con coraggio scelgono di esporsi e di farsi portavoce dei propri colleghi. Sono loro a pagare il prezzo più alto in termini di minacce, ricatti, discredito, umiliazioni continue. Per loro, più che per funzionari e dirigenti come me, chiedo maggiore rispetto ed attenzione anche da parte di chi, come la stampa, svolge una funzione fondamentale per la tenuta della democrazia in questo nostro Paese.

    Si corre il rischio di penalizzare i più deboli

    Articoli, come il vostro, nel denunciare situazioni di degrado, nella nobile intenzione di tutelare i più deboli, rischiano di penalizzarli maggiormente perché si da l’idea che lavoratori e lavoratori siano abbandonati al proprio destino e siano destinati ad essere soli e senza una possibilità di riscatto; così si fa il gioco di chi sfrutta e agisce violando ogni elementare normativa legislativa e contrattuale.  Grave e colpevole sarebbe stata l’assenza di un sindacato chiamato dai lavoratori per essere rappresentati e tutelati; in questo caso nessun contatto, nessun SOS è stato lanciato, se non attraverso la denuncia pubblica.

    Politica e istituzioni assenti, non i sindacati

    Viviamo in una condizione per la quale, anzi, paradossalmente ed in molti casi, sono i lavoratori stessi che ci chiedono di allontanarci, quando con la nostra iniziativa cerchiamo di avvicinarli e li invitiamo a farsi rappresentare per tutelare i loro diritti e la loro condizione; lo fanno per paura, innanzitutto, più che per sfiducia, perché preoccupati di perdere quel poco che si riesce a portare a casa attraverso il proprio lavoro.

    Chi è assente, nonostante le denunce quotidiane che il sindacato continua a lanciare è la Politica, sono le Istituzioni che hanno smesso di occuparsi delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori. Basta guardarsi le rassegne stampe e le nostre posizioni nel momento in cui la Regione Calabria, dentro la Pandemia, elargiva ristori, indennizzi e finanziamenti a pioggia senza verificare se quelle imprese rispettassero le leggi e i contratti nazionali.

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    Fausto Orsomarso, assessore regionale al Turismo (foto Alfonso Bombini)

    Orsomarso invita a parlare le aziende, non i sindacati

    Quando, come nel caso raccontato dal vostro articolo, un’impresa ruba i soldi ai lavoratori per risparmiare sulle tasse crea un danno non solo al singolo ma all’intera collettività, perché quelle tasse dovrebbero servire a finanziare ed a migliorare i servizi pubblici, le pensioni e i sostegni per chi un lavoro non ce l’ha. Più povero è il lavoro e più povera è la condizione generale della società. Ma di questo pare importi poco a coloro che indirizzano e gestiscono la spesa pubblica, impegnati più a costruire alleanze e consenso. Basti pensare che agli Stati Generali del Turismo (la ristorazione fa parte di questo settore) richiesti fortemente dal sindacato, l’assessore regionale al ramo ha invitato a parlare solo i rappresentanti delle aziende e con questi intende decidere le politiche del settore e la distribuzione delle risorse.

    La necessità della denuncia

    In questo contesto il sindacato prova ad agire e dice ai lavoratori ed alle lavoratrici di Cosenza e della Calabria, noi ci siamo, incontriamoci. Perché supponiamo sia meno complicato lanciare una denuncia pubblica, a volto coperto e senza esporsi, che costruire le condizioni che permettano a tutti i lavoratori di rapportarsi con la propria impresa a testa alta ed esponendosi in prima persona. Ma se la denuncia deve servire a qualcosa, a cambiare radicalmente cioè, la condizione di chi lavora nel rispetto delle leggi e dei diritti contrattuali conquistati  a fatica, grazie al sindacato, la rappresentanza è l’unica via maestra; quella  che guida il nostro agire quotidiano dentro e fuori i luoghi di lavoro, affinché situazione di degrado e sfruttamento come quella da voi raccontata non debbano esistere. Noi ci siamo, vogliamo esserci, di questo vi chiedo di tenerne conto.

    Giuseppe Valentino

    Segretario generale Filcams-Cgil Calabria

  • Istituzioni a porte girevoli, il caso Lamezia: più commissari che sindaci

    Istituzioni a porte girevoli, il caso Lamezia: più commissari che sindaci

    I sindaci, grazie anche ad una legge elettorale diretta che consente agli elettori di personalizzare la scelta, sono i parafulmini di tutte le problematiche di una città. Ma le istituzioni all’interno dello scacchiere politico cittadino giocano di fatto un ruolo ben più importante. L’autorevolezza di un vescovo, l’efficienza di un procuratore della Repubblica e dei dirigenti dei Carabinieri e della Polizia, rappresentano il vero valore aggiunto di una città “ordinata”.

    Il dato storico, fin dalla creazione di Lamezia

    Lamezia Terme è un caso significativo di questo assunto, non fosse altro per il fatto che già la sua stessa legge istitutiva venne favorita nell’approvazione dall’amicizia dell’allora vescovo Luisi con Aldo Moro (cit. storico Vincenzo Villella). Le istituzioni sottoposte ad un turn-over incessante, al di là dei meriti di chi occupa certe postazioni essenziali, sono un dato storico che comporta solo effetti negativi. Vediamo.

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    Una veduta di Lamezia (alla pagina Facebook Città di Lamezia Terme)

    Il recente addio del vescovo

    Dopo quasi tre anni, il vescovo della Diocesi di Lamezia Terme, Giuseppe Schillaci, ha lasciato la città e la comunità religiosa fino ad oggi rappresentata. Arrivato a Lamezia il 6 luglio del 2019, succedendo a Luigi Antonio Cantafora, il 23 aprile ’22 ha salutato tutti per la nuova destinazione di Nicosia. Il suo predecessore Cantafora ha prestato servizio dal 24 gennaio 2004 al 3 maggio 2019. È l’ennesimo turn over di cui fa esperienza Lamezia, una città difficile la cui caratteristica peculiare comincia ad essere questo fenomeno, il continuo avvicendamento nei posti chiave. Sembra quasi che quando qualcuno cominci a capire la città ed entrare dentro le sue problematiche debba o voglia cambiare sede.

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    Mons. Giuseppe Schillaci

    Dai commissari-burocrati al caos Sacal

    In una città sciolta tre volte e alla quale il Ministero degli Interni ha mandato spesso, è ormai storia non cronaca, commissari-burocrati non adeguati (almeno quanto i commissari calabresi alla sanità), il turn over sembra non finire mai. Le istituzioni soffrono di una “conversazione continuamente interrotta” perché gli attori attorno al tavolo cambiano di continuo. La stessa Sacal, l’ente che gestisce gli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone, negli ultimi due anni ha avvertito scosse nella governance e l’ultimo manager Giulio De Metrio si è appena dimesso. Nominato nel luglio 2020, era stato scelto dall’allora presidente della Regione, Jole Santelli, puntando su una figura esterna alla Calabria. Con l’arrivo del nuovo presidente Roberto Occhiuto e i nuovi indirizzi nella gestione della società aeroportuale, però, al posto di De Metrio è stato scelto un nuovo manager, Mario Franchini.

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    Gli avvicendamenti nelle forze dell’ordine

    Il Tenente Col. Sergio Molinari a settembre 2020 ha assunto il comando del Gruppo Carabinieri di Lamezia Terme subentrando al Ten. Col. Massimo Ribaudo, che si era insediato a fine agosto 2017. A settembre 2020 ha lasciato la città per altro incarico anche il 32enne Pietro Tribuzio, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Lamezia, in città dal settembre 2016. Lo ha sostituito il Maggiore Christian Bruccia, di origini toscane. Un anno dopo, il 24 settembre 2021, viene presentato il maggiore Giuseppe Merola, nuovo comandante del Nucleo investigativo di Lamezia Terme. Il primo dirigente del Commissariato di Polizia di Lamezia Antonino Cannarella arriva l’1 luglio 2021 succedendo al primo dirigente Raffaele Pelliccia designato alla direzione del Commissariato di P.S. di Nola (NA).

    Risultati «brillanti» ma poco tempo

    A quest’ultimo, che era arrivato a Lamezia da Catanzaro a fine gennaio 2020, il Questore, ha spiegato la stampa, “nel corso di una sobria cerimonia di commiato ha dato atto dei brillanti risultati ottenuti dall’Ufficio nel corso della sua, ancorché breve, permanenza, grazie anche al lavoro egregio svolto da tutto il personale che ha saputo dirigere con dedizione e competenza”. Il 25 settembre 2018 dopo oltre cinque anni alla guida del gruppo della Guardia di Finanza di Lamezia Terme, il tenente colonnello Fabio Bianco ha passato il testimone al tenente colonnello Clemente Crisci. Ad ottobre 2020 il tenente colonnello Luca Pirrera diventa il nuovo comandante del gruppo Guardia di Finanza di Lamezia Terme. Subentra al tenente colonnello Giuseppe Micelli, il quale prosegue nell’incarico di comandante del gruppo tutela entrate del nucleo di polizia economico-finanziaria di Catanzaro.

    Tutti amano Lamezia. Ma da lontano

    Il 13 dicembre 2016 Salvatore Maria Curcio, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, diventa il nuovo Procuratore Facente Funzione presso la Procura di Lamezia, e il 28 giugno del 2017 diventerà il nuovo Procuratore della Repubblica. “Una decisione veramente sofferta per me ma avvenuta per fare spazio alla mia famiglia che troverò a Bologna”. A dirlo un commosso Domenico Prestinenzi nella sua breve cerimonia di commiato, che dopo quattro anni si congeda dalla Procura e dal Tribunale lametino. Al suo posto, sin quando non sarà nominato il sostituto, andrà Luigi Maffia. Prestinenzi ha svolto il suo ruolo a Lamezia dal 2012 ed era subentrato a Salvatore Vitello andato prima a ricoprire il ruolo di vice capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia e poi il ruolo di Procuratore di Siena. Alla guida della procura lametina per tre anni, dal 2009 al 2012, poi vice capo gabinetto al Ministero della Giustizia, poi Procuratore capo a Siena, Salvatore Vitello si sente legato da un vincolo d’affetto alla città di Lamezia, “una città che sente come sua”. Tutti amano Lamezia, ma da lontano.

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    Il procuratore Curcio durante una conferenza stampa con i vertici della Guardia di finanza (foto da Lameziainforma.it)

    A Lamezia più commissari che sindaci

    Intanto la commissione toponomastica insediata dal consiglio comunale, oltre a decidere a chi intitolare la sala consiliare, che oggi si tiene in quella che de facto è la Sala Giorgio Napolitano, dal nome del Presidente che la inaugurò, potrebbe già pensare a come ricordare i nomi dei commissari prefettizi che hanno governato la città tra uno scioglimento e un altro. Dotati di poteri incontrollati essi hanno di fatto amministrato la città, sorta il 4 gennaio 1968, molto più in profondità dei 19 sindaci eletti dal popolo. In tutto sono stati 28, eccoli:

    • Gaetano Fusco e Treno Di Mauro dal 15/11/1968 al 9/10/1970
    • Orfeo Capilupi, Giuseppe Malena, Rocco Carotenuto, Giovanni Lombardo,
      Lucio Messina, dal 30/9/1991 al 21/11/1993
    • Raffaele Milizia, dall’ 8/7/1974 al 1/8/1975
    • Giovanni Manganaro, dal 20/12/1980 al 22/4/1982
    • Corrado Perricone, dal 3/12/1985 all’11/9/1986
    • Sebastiano Cento, Benito Greco, Pietro Lisi, Massimo Nicolò, Dino Mazzorana,
      dal 20/2/2001 al 13/5/2001
    • Sebastiano Cento, Concetta Malacaria, Elena Scalfaro, Giorgio Criscuolo, Paolo
      Pirrone, Mario Tafaro, Giorgio Bartoli, dal 5/11/2002 al 4/4/2005
    • Francesco Alecci, Maria Grazia Colosimo, Desiree D’Ovidio, Rosario Fusaro, dal
      24/11/2017 al 15/10/2021
    • Giuseppe Priolo, Luigi Guerrieri, Antonio Calenda, dal 16/12/2020 sino al 15/10/21

    La contesa milionaria tra il Comune e Noto

    Basti pensare alla vicenda Icom. Solo nel maggio 2017 con la sentenza della Corte di Cassazione, favorevole per il Comune di Lamezia, si concluse definitivamente la spinosa vicenda contro la società di Floriano Noto sulla mancata realizzazione dell’Outlet Center in via del Progresso, denominato “Borgo Antico”. Una vicenda sorta nei due anni e mezzo tra il 2002 e il 2005 (in cui il team commissariale Criscuolo ed altri aveva amministrato la città) e sfociata nella sentenza di primo grado del dicembre 2013. Conteneva una condanna del Comune di Lamezia a un risarcimento ultramilionario che avrebbe letteralmente decretato il fallimento economico della città, sventato in extremis dal sindaco Speranza. Una storia davvero incredibile riassumibile in poche parole: il terreno oggetto del contenzioso fu venduto dal vecchio proprietario per 50mila euro, ma lo stesso appezzamento venne riacquistato solo un mese dopo dall’ing. Noto per la cifra di 4 milioni e 800 mila. Il terreno era agricolo, per il Prg vigente, non edificabile o lottizzabile, inutilizzabile per altre destinazioni, come mai acquistò così tanto valore in poco tempo?

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    L’ex sindaco di Lamezia, Gianni Speranza

    La lotta in difesa del Tribunale

    L’unica eccezione positiva in questo quadro di turn over incessante è rappresentato da Giovanni Garofalo, il nuovo presidente del Tribunale di Lamezia Terme dal luglio 2021, che ha occupato il posto lasciato nel settembre 2020 da Bruno Brattoli andato in pensione e che era arrivato, da Roma, il 19 settembre 2012. Brattoli è stato alla guida del Tribunale per otto anni e si era insediato nel Palazzo di giustizia lametino in un periodo non facile, perché “si lottava” contro la sua paventata chiusura. L’allora presidente plaudì la forza dimostrata dai lametini, interni o esterni al Tribunale, che ne scongiuravano la chiusura con proteste, sit-in e flash mob. Prima di tutti il futuro sindaco avvocato Paolo Mascaro. Prima di Garofalo a ricoprire le funzioni di presidente f.f. è stata la dottoressa Emma Sonni. Il nuovo presidente Gianni Garofalo proviene dal Tribunale di Cosenza ma ha fatto il giudice al Tribunale lametino dal maggio 1991 all’aprile 2000. La cerimonia di insediamento è avvenuta nell’aula intitolata a Giulio Sandro Garofalo, padre del nuovo presidente.

    https://www.ansa.it/calabria/notizie/2021/07/07/giustiziagianni-garofalo-nuovo-presidente-tribunale-lamezia_898d5cfa-a75a-4216-8530-b8f5a877f31c.html

    L’alternanza tra Mascaro e… Mascaro

    Se l’avvicendamento nei posti chiave delle istituzioni è una costante lametina, non può sorprendere per niente la vicenda Mascaro, il sindaco che i lametini hanno eletto già due volte, nel 2015 e nel 2019, e che però sta amministrando alternandosi con i commissari prefettizi che nominano. Anche al Comune le porte sono girevoli, si entra e si esce come nelle commedie di Georges Feydeau. La prima volta vinse il 31 maggio 2015 sul medico Tommaso Sonni, con oltre 16mila voti e quasi il 60% delle preferenze. Ma già due anni dopo, il 22 novembre 2017, arrivò il definitivo scioglimento dell’Ente per presunte infiltrazioni mafiose emerse in seguito all’operazione antindrangheta “Crisalide” contro le cosche Cerra-TorcasioGualtieri.

    L’onta del commissariamento

    Sarebbe bastato (adoperando il senno di poi) che nel giugno 2017 (senza aspettare novembre), allorché arrivò la commissione d’accesso al Comune, il sindaco Mascaro si fosse dimesso, obtorto collo e per protesta, per evitare alla città la lunga litania dei commissari. Nel giro di pochi mesi sarebbero state indette nuove elezioni, Mascaro si sarebbe presentato di nuovo e avrebbe ancora vinto facile magari lamentando il solito complotto. Invece no. Prima subisce l’onta (lui e la città) del terzo scioglimento per mafia, e poi comincia a chiedere ragione per via giudiziaria. Tutto lecito ma a spese di una città che resta attonita a guardare.

    Il record di entrate e uscite dal Comune

    Una prima vittoria di Pirro l’assapora quando il Tar del Lazio il 22 febbraio 2019 annulla lo scioglimento del Comune. “Riscattato l’onore di una città”, esulta su Facebook il sindaco. “Merito di una magistratura che ha combattuto e combatte la criminalità debellandola e sconfiggendola, di una comunità che ha contrastato e contrasta quotidianamente il malaffare, di tante donne e uomini liberi che dedicano e sacrificano, con coraggio e passione, la loro vita per il territorio che amano”. Ma tutto passa perché l’11 aprile la sospensiva accolta dal Consiglio di Stato presentata dall’Avvocatura contro la sentenza del Tar lo costringerà a lasciare per una seconda volta la guida della città. Insomma, una pratica che Mascaro già nel 2017 poteva definire con una dignitosa ritirata “tattica”, pur gridando ai quattro venti la sua estraneità alle vicende accusatorie, si trascina, ai danni della città, sino a metà ottobre 2021. Con un record di entrate e uscite dal Comune per quattro volte in meno di sei anni. Può un’amministrazione comunale calabrese sopravvivere ad un turn-over (o ad uno choc-stress) come questo?

    Mascaro festeggia la seconda vittoria elettorale nel dicembre del 2019

    La seconda vittoria e il “complotto”

    Il “complotto” contro Lamezia, secondo i sostenitori del sindaco, fa registrare la seconda tappa in data 25 novembre 2019. Quando l’avvocato Mascaro batte l’amico Ruggero Pegna con quasi il 70% delle preferenze. È la sua seconda vittoria dopo quella del 2015. A dicembre dello stesso anno i lametini dunque vedono tornare il sindaco per la terza volta in poco più di quattro anni a palazzo Madamme.

    Il nuovo stop e a Lamezia tornano i commissari

    Ma non è ancora finita perché passa un anno e il 16 dicembre del 2020 il Comune viene nuovamente commissariato. Il Tar dispone infatti la ripetizione del voto in sole 4 sezioni. Allora, mentre si discutevano confusamente i problemi di convalida di qualche consigliere comunale per pregresse posizioni debitorie nei confronti del Comune, nessuno credeva che il ricorso presentato dagli oppositori Massimo Cristiano e Silvio Zizza (M5S) per il riconteggio dei voti potesse essere accolto. E invece le vicende di una scheda ballerina fanno ottenere dal Tar la sentenza che sancisce (sia pure in modo parziale) il riconteggio dei voti in 4 sezioni (su 78). Una sentenza, quella del Tar, confermata a maggio 2021 dal Consiglio di Stato (a cui si era rivolto solo Zizza).

    Quattro volte sindaco in meno di sei anni

    Niente che in pratica possa sovvertire la vittoria del sindaco Mascaro. Ma è una ulteriore perdita di tempo per consentire il mini turno elettorale, dove si recano a votare (il 3 e 4 ottobre 2021) 1.113 elettori su 2.255 aventi diritto. Trecento giorni dopo lo scioglimento disposto dal Tar per brogli elettorali in 4 sezioni, l’avvocato Paolo Mascaro torna sindaco. È la quarta volta in meno di sei anni, un record. Nel bilancio di fine mandato, il commissario Giuseppe Priolo passando a lui le consegne, ha messo in risalto le “potenzialità di una grande città come Lamezia che per la posizione che occupa e per le infrastrutture dovrebbe essere la capitale della Calabria“. Bontà sua.

    Francesco Scoppetta
    Scrittore ed ex dirigente scolastico

  • Reggio Calabria: la grande crisi, i poteri al tappeto, le comunità che resistono

    Reggio Calabria: la grande crisi, i poteri al tappeto, le comunità che resistono

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    «Il sindaco è sospeso, il presidente della Reggina è stato arrestato, il rettore si è dimesso, la nomina del Procuratore Capo della Repubblica è stata annullata. E a questo punto, anche il vescovo si guarda intorno preoccupato». Solo alla fine di questo piccolo viaggio sentimentale nelle pene di Reggio Calabria scoprirete dove ho ascoltato questa battuta.

    Tempi duri per Reggio Calabria

    Appartengo a quella categoria di reggini orgogliosi di esserlo, legato ai luoghi del cuore che sono di tutti: l’anfiteatro che una volta era il Cippo, il cinema Siracusa che non c’è più e ci hanno messo un fast food, le immense magnolie della via Marina. Ho quindi una certa resistenza a parlarne male, anche se i tempi sono disastrosi, e dal resto della Calabria un po’ sottovoce si guarda a Reggio con l’aria di chi dice: sempre loro.

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    Reggio Calabria, il cinema teatro Siracusa

    Sempre quelli che hanno ancora in testa la Rivolta oltre cinquant’anni dopo – fieramente divisi fra storici della rivolta popolare e nostalgici dell’eversione nera – quelli che piangono/rimpiangono Italo Falcomatà che appena eletto disse: «Noi siamo scalzi», una indimenticabile serie A con la Reggina durata dieci anni, la gloriosa “Viola” dei canestri, il primo comune capoluogo di Provincia commissariato per infiltrazioni mafiose, alti e bassi che nemmeno le montagne russe, il deficit che non c’è più, i cumuli di rifiuti che ormai fanno parte del panorama. Ma in piazza – come è successo domenica – vanno i tifosi, vogliono salvare la serie B.

    Quelle due foto guardano avanti

    Meno di una settimana fa i giornali locali hanno pubblicato una foto che mi ha colpito: c’era un teatro strapieno, era stata convocata la Consulta della cultura. Fra le tante decisioni annunciate, quella di circondare il Museo archeologico se si avvieranno i lavori per la sistemazione di Piazza De Nava, voluti dalla Sovrintendenza (progetto peraltro interessante).

    Una città che discute del suo futuro non è una città finita, anche se sindaco, rettore etc. Poi, un’altra foto: le file dei ragazzi in gita fuori dallo stesso Marc. Il 2022 è l’anno del Cinquantenario per i Bronzi, e non si può sbagliare. Chiedo solo, da cittadino, che le auto non passino davanti al Museo.

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    Il Museo archeologico di Reggio Calabria

    Falcomatà e il suo Pd

    Che succede a Reggio? Beh, tutta la città ne parla, come nel migliore dei programmi di Radio 3. Del sindaco Giuseppe Falcomatà, che si è chiuso nella Fondazione intitolata al padre, cerca di mettere su una biblioteca di testi sul Meridione, sperando che la legge Severino venga superata, o aspettando solo che il periodo di stop si concluda, dopo la condanna per la concessione del Miramare.

    Intanto è andato alla Villa, insieme al suo Pd, a ricordare il 25 aprile. L’ex vicesindaco, Tonino Perna, sta per pubblicare un diario sulla sua esperienza in Comune, e sicuramente non sarà lieve sul funzionamento della macchina comunale. Il centrosinistra, tranquillo come una palestra di kick-boxing, cerca un rimbalzo di popolarità e di passione. Ma le sezioni sono chiuse.

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    Giuseppe Falcomatà, sospeso dopo la condanna per il caso “Miramare” – I Calabresi

    Castronovo e Princi: due personaggi che non stanno a guardare

    La cronaca cittadina gira spesso intorno a due personaggi che potrebbero avere un ruolo forte in futuro. Uno è Eduardo Lamberti Castronovo, già candidato con la sinistra strapazzato da Scopelliti. Imprenditore della sanità in una Regione che dà alla Sanità il 70 per cento del suo bilancio, editore in video e ora anche direttore di Rtv, membro del Cda del Conservatorio musicale, proprio lui ha organizzato la Consulta della Cultura ed è fortemente critico con il Comune.

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    Cannizzaro e Princi

    L’altra è Giusy Princi, vicepresidente del consiglio regionale ma per la città soprattutto ex preside di un Liceo Scientifico con sezioni sperimentali, una eccellenza assoluta del territorio. La sua discesa in politica ha ricevuto critiche solo per una parentela: la dottoressa Princi è prima cugina del deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro, celebre per le sue promesse sull’aeroporto (a proposito, aggiungiamo lo scalo alla lista con sindaco, rettore etc) e per la sua idea di costruire un autodromo in zona. Anche la sinistra avrebbe candidato volentieri Princi.

    Che giustizia è mai questa (dalla Procura al povero Palazzo)

    L’ingresso Sud della città costeggia il torrente Calopinace: il visitatore si trova sulla destra il palazzo del Cedir, dove hanno sede uffici comunali e, all’ultimo piano, la procura della Repubblica. In questi giorni si consuma in quelle stanze una vicenda grottesca: dopo quattro anni, il Consiglio di Stato ha annullato la nomina a Procuratore Capo di Giovanni Bombardieri, che nel frattempo si è distinto per le inchieste sulla ‘ndrangheta e per una costante presenza nelle iniziative sociali e di solidarietà, senza mai eccedere nel protagonismo. Si spera adesso nella saggezza del Csm. Ma è di fronte al Palazzo del Cedir che prende ruggine il monumento alla burocrazia del subappalto, alle mafie dei lavori pubblici, ai ritardi dello Stato.

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    Il Palazzo di Giustizia incompiuto di Reggio Calabria – I Calabresi

    C’era una volta il progetto del più bello dei Palazzi di Giustizia, dove sarebbero stati riuniti tutti gli uffici. Tre grandi edifici – la Torre, il Parallelepipedo, la Vela – 630 locali, 1030 posti-auto, un auditorium da 400 posti, grandi spazi esterni, una piazza orientata in modo da essere fresca anche d’estate. Il Palazzo di Giustizia di Reggio è il non-finito dei non-finiti, bloccato nel 2012 quando i lavori erano stati completati per l’80%.

    La ministra Cartabia si è impegnata recentemente con il presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis, le cronache locali registrano ogni mese un “primo passo” (simile a tante “prime pietre”), un avviamento dell’iter, lo sblocco del contratto. Intanto è un immenso cantiere chiuso. La chiesa vicina si ritrova chiusa per le infiltrazioni dell’acqua che arriva da un parcheggio mai aperto, la “Mazzini” aspetta di tornare una scuola, ma nel frattempo va in rovina. Servirebbe anche qui un girotondo di protesta, solo che ci vorrebbero migliaia di persone.

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    Il Mausoleo ritrovato a Reggio Calabria

    E quanto sia estenuante il capitolo dei lavori pubblici (magari Perna ne parlerà nel suo libro) lo dimostra la storia degli scavi davanti alla stazione Centrale. Nel 2016 scoprirono la base di un Mausoleo, databile alla prima metà del primo secolo, una costruzione di altissima qualità, senza eguali nella Reggio romana. Il professor Lorenzo Braccesi ritiene che possa essere il luogo della sepoltura di Giulia, figlia in esilio dell’imperatore Augusto, la segnalazione è dell’archeologo Daniele Castrizio. E sei anni dopo, evviva, il cantiere riapre.

    Reggio Calabria, i guai dell’Università e il relitto della Casa

    L’Università “Mediterranea” sta cercando di ripartire dopo un’inchiesta fotocopia di quelle che hanno colpito altri atenei. Con particolari grotteschi e un certo profumo di impunità, come se tutti sapessero già quello che stava per succedere. Noi a Rc non possiamo essere da meno, se il grande capo di Forza Italia in Sicilia chiama il rettore invocando protezione per il genero «bravo ragazzo, ma già bocciato sei volte allo stesso esame», come ha scritto il Domani nei giorni scorsi.

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    La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    Lo scandalo di Reggio provoca qualche guaio supplementare, visto che era in discussione la creazione del campus a Saline, nei pressi di due cattedrali nel deserto come la Liquichimica e le officine meccaniche. En passant, ricordo che ci sarebbe da demolire anche l’orrendo scheletro della Casa dello Studente, costruita nel greto di un torrente.
    Detto questo, la “Mediterranea”, come Unical e Magna Graecia, si stacca – come ha testimoniato anche Svimez – dall’ultimità che la Calabria conserva (non orgogliosamente) in molti altri settori. Ha un buon Job placement e ricerche di livello internazionale. Difendiamola.

    La ragnatela dei luoghi utili

    Reggio può contare per fortuna su una grande rete di associazioni, che spesso suppliscono al welfare che non c’è. I centri di medicina solidale di Pellaro e Arghillà, il lavoro di ActionAid nelle scuole. Di Ecolandia non posso parlare perché sono miei amici, ma il riuso di un immenso fortino ottocentesco in una zona così difficile è un atto di eroismo.
    Invece conosco solo una o due persone del gruppo che ha trasformato la scalinata di via Giudecca da luogo sporco e malfamato allo spazio aperto dell’incontro, senza un euro ricevuto dal Comune. Poi scendi verso il mare e trovi le porte aperte di Open, dove vendono e pubblicano libri e la sera fanno anche sedute di “yoga della risata”. Altri luoghi, il teatro rimesso a nuovo del Dopolavoro Ferroviario, e l’associazione che gestisce invece la stazione di Santa Caterina.

    Si parla poco delle realtà e associazioni legati ad Agape, le case-famiglia, i centri anti-violenza, dove operano persone che hanno avuto una vita romanzesca che non possono raccontare. La palazzina confiscata e ora ristrutturata in via Possidonea dove a pianterreno c’è un laboratorio di sartoria, la bottega del commercio equo e solidale di via Torrione. Il Consorzio Makramé e associazioni come Reggio non tace, la Fondazione Civitas.

    La scalinata della Giudecca

    E quando in questi giorni è stata annunciata la creazione di un nuovo comitato antiracket, il mio pensiero è andato a quella signora che aveva aperto intorno al 2017 in via Torrione un laboratorio-forno di grani antichi, di prodotti senza glutine. Glielo bruciarono, il Comune offrì un altro negozio. Andò avanti qualche mese, ora ci passo sempre e lo vedo chiuso. Però mi piace prendere l’aperitivo in quel locale in via San Francesco da Paola, poco oltre il Duomo, il cui proprietario ha denunciato un tentativo di estorsione.

    Reggio è così, è fatta a macchie. Ci sono tanti circoli culturali di valore nazionale, il Touring club che adotta i paesi. C’è un Planetario a due passi dalla Regione, dove una prof di nome Angela Misiano forma studenti che poi vanno a vincere le Olimpiadi di Astronomia. Visitare, prego. C’è il Castello, solo che spesso è chiuso: l’edicolante/libraio fa da ufficio informazioni e ogni tanto ne parla su Fb, ma al Comune nessuno lo ascolta.
    Ci sono piccoli e accoglienti locali dove si cerca di fare cultura come Cartoline Club, proprio lì ho sentito quella battuta sul vescovo e mi è sembrata molto indovinata, perché questa Reggio deve imparare a ridere dei suoi lamenti. E ritrovare la sana rabbia dell’impegno, buoni esempi non mancano.

  • Jovanotti, la Calabria ha il suo nuovo eroe del turismo

    Jovanotti, la Calabria ha il suo nuovo eroe del turismo

    E va bene. Dopo il bruciante flop di Muccino e Bova, ci voleva una ventata di novità e ottimismo, la freschezza di facce allegre e un bel ritmo pop. Adesso è il turno di Jovanotti. E anche da lui ci si aspetta l’exploit. Allora i fatti: Jovanotti dopo il successo superpopolare dei recenti happening dello Jova Beach Party la nuova Film Commission della Calabria – spericolatamente affidata non ad un esperto di cinema, ma al couturier Anton Giulio Grande – debutta con uno spottone che dovrebbe fare marketing territoriale per la collezione Calabria Spring-Summer 2022.

    Jovanotti e la Calabria meravigliosa

    Gli ingredienti, ça va sans dire, sono i soliti: bellezze da cartolina, di cui la Calabria, nonostante lo scempio ubiquitario che è sempre meglio nascondere, non è certo avara, e poi il profluvio di elogi sperticati da turista per caso, che Jovanotti dai social ha abilmente provveduto a distribuire, appunto, a casaccio: dichiarazioni di costernante banalità tipo «La Calabria è una terra meravigliosa», «Io sono un grande fan della Calabria», o ancora «Amo questo posto (Scilla, ndr)» (pur avendolo visto solo per la prima volta). In una diretta social, affacciandosi dal balcone della sua stanza sul porto di Scilla, dice: «Questo posto lascia senza fiato, è bellissimo».

    Svela il cantante toscano che sosterà ancora in Calabria, «in un altro paese meraviglioso», per continuare le riprese del video. «La Calabria è una terra bellissima – racconta – venendo in macchina dall’aeroporto di Lamezia Terme, ho visto un paesaggio bellissimo». E giù luoghi comuni à gogo: «Voglio far vedere a chi mi segue che meraviglia è questo posto, lascia senza fiato»; «Mamma mia ma è fantastico qua! Non c’ero mai stato!».

    Scilla, Gerace e i borghi

    E, ancora, una sequela di post con immagini patinate e molto instagrammabili da diverse “località iconiche della nostra amata regione”. Mentre, sottolineano i social in tripudio, “cresce, intanto, la curiosità per vederlo online”. Un attimo dopo, come un sol uomo, anche le testate televisive, insieme ai giornali di carta e i media digitali diffusi in Calabria, rimarcano “la scoperta della grande bellezza calabrese” testé fatta della famosa pop star: “Jovanotti ha raccontato attraverso i suoi profili social Scilla e Gerace, le coste e la granita, il mare e i borghi(borghi, non paesi).

    Lui stesso spiega perché ha scelto la Calabria: «Il video aveva bisogno di un’ambientazione festosa perché la canzone è un brindisi e un augurio, sono in Calabria a girare il video di Alla Salute, una canzone che è un augurio e una festa. Stamattina abbiamo girato a Scilla #chianalea un posto bellissimo, un gioiello. L’affetto di tutti mi sorprende sempre, grazie #scilla. Ora ci siamo spostati a Gerace per altre scene. Luoghi incredibilmente belli. Sono un fan della Calabria, verrà un bel video, il regista è Giacomo Triglia, calabrese (l’ho “rubato” a Dario Brunori, altro calabrese doc). Ringrazio moltissimo tutti qui, per il supporto che ci state dando e per l’accoglienza generosa e piena di affetto. Grazie! avanti tutta!».

    La Calabria Film Commission e Jovanotti

    Dopo un po’ gli fa eco la suadente dichiarazione resa in occasione dalla conferenza stampa della Calabria Film Commission del suo nuovo presidente fresco di nomina, lo stilista di moda Grande: «Dove sorge il bello c’è la Calabria, la musica, il cinema, così il videoclip di Jovanotti è il primo importante passo del nostro progetto e del nostro percorso. Scegliamo la sua musica per promuovere le nostre location, così da creare interesse e veicolare immagini cult dei nostri spazi migliori».

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    Orsomarso, Jovanotti e Grande durante la conferenza stampa

    Dal couturier delle dive non ci si poteva certo aspettare La corazzata Potëmkin. Così debutta ufficialmente l’idea che i paesaggi “animati” di questa regione possano funzionare da spazi di posa («i nostri spazi migliori»). E fungere così da fondali ideali per la messa in scena di una eterna e festosa rappresentazione folklorica della vita quotidiana dei suoi abitanti, astoricamente chiamati a vestire i panni di figuranti di una specie di carnevale dei buoni sentimenti in cui tutto è felice, ospitale, autentico, in cui è facile e facilitato riprodurre “il bello, la musica, il cinema, i videoclip”, e ogni zuccherosa riduzione turistica della realtà, appunto ridotta a spazio, a cosa esteticamente fungibile per scopi convenevoli. Più chiaro di così.

    Uno spot per la Regione

    Personalmente non ho proprio niente contro il mondo dello spettacolo, beninteso. Cinema, musica, pubblicità, marketing territoriale, turismo possono essere tutti strumenti utili, nella giusta misura. Quello che trovo invece abnorme è l’enfasi falsificatrice, l’abborracciata visione prospettica della realtà, la deformazione prognostica del futuro in cui tutto deve fare spettacolo e trasformarsi in finzione, attrattiva da villaggio turistico en plein air, per poter essere considerata “utile”. Una regione-trovarobato, fondale, proscenio, con paesi e comunità locali trasformate in “borghi” attrezzati come teatrini di posa di cartapesta, paesaggi buoni per essere trasformati in location pittoresche e a buon mercato per video clip, fiction improbabili, spettacoli e ricostruzioni di genere.

    Non è irrilevante che l’operazione d’immagine che ha per protagonista Jovanotti abbia ricevuto, anche in questo caso, l’approvazione preventiva dei vertici regionali. E che il video della canzone di Jovanotti sia stato sponsorizzato e finanziato anche con il denaro pubblico dei cittadini calabresi. Non ha mancato di dichiararlo lo stesso presidente Occhiuto: «Ringraziamo Jovanotti per il suo affetto, e gli auguriamo il meglio per questo suo ultimo lavoro. Da presidente della Regione, ringrazio anche la Calabria Film Commission e il suo presidente Grande che hanno seguito passo passo l’evento, sostenendo finanziariamente l’organizzazione di questa due giorni. Jovanotti in Calabria è uno straordinario spot per la nostra regione».

    Eroi e turismo

    Non so voi, ma io quando sento echeggiare sinistramente parole chiave del lessico reclamistico-creativo come “location”, “evento”, “spot” e cose come “immagini cult”, se non fosse che mi ripugnano le armi, metterei volentieri mano alla fondina. Iscrivetemi pure d’ufficio al partito della deprecata categoria (ormai usata come una clava contro ogni garbata critica al conformismo neofolk e agli eccessi imperanti del neoidentitarismo sudista) degli scoraggiatori militanti. Ma poi di cosa sareste incoraggiatori voi? Non milito da nessuna parte, e non pratico il benaltrismo, cerco solo di capire. E a me di Jovanotti, con tutto il rispetto, frega comunque molto poco, in termini relativi e assoluti.

    Piuttosto, quello che sempre mi stupisce di questo genere di trionfalistiche quanto deludenti campagne d’immagine basate su facce televisive conosciute, testimonial d’occasione, vipperia modaiola, artistoidi o personaggi veri o presunti, tutti lautamente compensati per portarsi a rimorchio l’immagine di una regione intera, è proprio l’investitura eroica, il ricorrente mito di fondazione che ogni volta si rinnova come un rito. Uno sproposito. Di chiunque si tratti, sono tutti sempre convocati con la sciamanica aspettativa che forniscano loro il sesamo giusto a riscattare l’immagine appannata della regione (appannata sì, ma da chi?). E tutti sono a turno vanaglioriosamente investiti della missione salvifica di “far decollare il turismo”.

    Il problema della Calabria non sono Jovanotti e Gregoraci

    Già, il Turismo. In una regione con l’economia perennemente sotto i tacchi, una società paralizzata dalle clientele e dal peso dei poteri criminali, l’ossessiva remissione alla monocultura turistica è l’autentico totem di tutti i clan politici e amministrativi, di ogni risma e colore, che in assenza di qualsiasi idea di futuro, in nome della palingenesi turistica della Calabria si avvicendano alla guida di questa regione sempre in cerca di autore. Sono loro il problema, i decisori politici di questa regione a corto di idee, non gli allegri Jovanotti e le allegre Gregoraci, chiamati a riverginare cosmeticamente l’immagine calabra per incrementare miracolosamente i flussi dei vacanzieri. I testimonial, i vip che saltano fuori a turno dal goffo cilindro creativo delle ricorrenze calabre, tutti più o meno incongruamente prescelti per rivestire il ruolo in commedia dei facilitatori dell’irrilevante marketing territorial-turistico calabro, passano e passeranno. Le immagini scorrono, cambiano i figuranti.

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    Elisabetta Gregoraci e Roberto Occhiuto alla Bit di Milano

    La Calabria vera invece somiglia ad una giostra a perdere, che tra riflussi, abbandoni e ripartenze, appare ormai come un edificio più fragile e malfermo di un castello di carte. Le maggioranze silenziose, i gruppi d’affari che mettono le mani sui soldi veri, e che dispongono delle risorse e del futuro dei calabresi, no. Loro restano saldi e granitici, non cambiano se non cambiamo noi. Mentre capita sempre più spesso che tutto quello che distrae e fa scena viene sempre preso così enormemente sul serio. Persino una canzoncina di Jovanotti, che gira un videoclip ruffiano dalle parti di Scilla.

  • Villa Rendano, il dono ai cosentini snobbato dalla città che conta

    Villa Rendano, il dono ai cosentini snobbato dalla città che conta

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    Si fa talora confusione tra due termini, benefattore e mecenate, anche perché entrambi individuano persone con particolare sensibilità e generosità. Comunque, a beneficio dell’identità dell’uno e dell’altro, il benefattore è chi fa o ha fatto del bene agli altri, sia donando disinteressatamente del proprio sia coi risultati dei propri studi e della propria attività. Il mecenate, invece, che era consigliere di Augusto e influente protettore di letterati ed artisti, indica per antonomasia ogni munifico protettore e benefattore di poeti e artisti, oggi diremmo cultura e arte.

    Il mecenate Bilotti

    Ora Cosenza negli anni più recenti – ché, se si ripercorre di molto la storia all’indietro, probabilmente di queste figure meritevoli ne troveremmo altre – ha avuto la fortuna di avere di sicuro un mecenate che di nome fa Bilotti. A lui si deve la concessione in comodato alla città di molte opere di artisti moderni e contemporanei tra i più noti e ammirati.

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    Ettore e Andromaca, una delle statue del Mab su corso Mazzini a Cosenza

    In questo modo – meritorio, anche se trattandosi di comodato gli eredi del mecenate possono in qualsiasi momento decidere di ritirare parte o tutte le opere che rimangono di loro proprietà (ipotesi che noi riteniamo poco probabile ma tuttavia possibile) – è stato possibile far nascere il MAB, Museo all’aperto Bilotti, lungo tutto corso Mazzini, che costituisce l’isola pedonale della città frequentata ogni giorno da migliaia di cittadini e, Covid permettendo, centinaia di turisti.

    Piazze e musei in cambio

    Si potrebbe obiettare che per la moltiplicazione di gazebo e tavolini al servizio di bar e ristoranti, il “percorso museale” è diventato piuttosto una slalom tra clienti seduti per la degustazione di cibo e aperitivi. Ma non si può essere troppo pignoli sapendo che Cosenza su queste attività commerciali ha costruito una “economia di sopravvivenza” non avendo molte alternative se non una dolorosa emigrazione, specie giovanile, di massa.

    Dunque, Bilotti è stato un grande mecenate. E in un empito di entusiasmo comprensibile il Comune per volontà del sindaco Catizone (che di suo ha esagerato facendo furbescamente scouting politico con i nomi più o meno illustri di politici scomparsi, facendo svanire tra l’altro anche il nome di Roma, che, malgrado la cura devastante della Raggi, resta pur tuttavia la capitale d’Italia) ha dedicato al Bilotti la piazza più grande, anche se parzialmente oggi chiusa per fattucci giudiziari, e ad un’altra Bilotti, sua figlia Lisa, uno slargo dello stesso corso Mazzini. Insomma, i sindaci hanno dato ai Bilotti ampi e reiterati riconoscimenti. Nulla da eccepire.

    Il benefattore Giuliani

    Poi lasciamo la categoria dei mecenati e passiamo a quelli che sono a cavallo tra i benefattori e i mecenati.
    E qui ritroviamo Sergio Giuliani che volle costituire una Fondazione intestata ai suoi genitori, alla cui costituzione e poi guida ha contribuito e contribuisce (con fatica per l’età “ingravescente”, Papa Ratzinger dixit) non poco chi scrive .

    Quando Giuliani con il sottoscritto incontrò per rispetto istituzionale il sindaco Occhiuto egli entrò nella veste di “benefattore” ma ne usci in quella di mecenate. Questa mutazione di ruolo e identità bisogna brevemente spiegarla. L’iniziale intenzione di donare risorse economiche al Comune di Cosenza per opere utili ai cittadini ma non coperte da risorse pubbliche sparì rapidamente dal tavolo nel corso del colloquio.

    Villa Rendano e una lunga serie di lettere morte

    Occhiuto correttamente propose di finanziare il completamento del Complesso di Sant’Agostino, restaurato solo a metà per ospitare il bel Museo degli Enotri e dei Brettii. Fu allora firmata la prima di una lunga serie di convenzioni tutte restate lettera morta con le quali si potrebbe riempire un baule. Vi risparmio tutti i successivi passaggi, salvo dire che per la idiozia burocratica del legislatore è più facile rubare alla Pubblica Amministrazione che donare di tasca propria. Forse per questo la prima pratica gode di buona salute.

    Giuliani, promosso sul campo mecenate e preso da quasi infantile entusiasmo (mentre chi scrive pensava agli effetti di difficile soluzione di questa conversione ad U), accettò il suggerimento, per il vero meritorio, di Occhiuto. E con la sua mediazione trasparente Villa Rendano fu acquistata poi restaurata radicalmente in otto mesi. E a luglio 2013 «venne restituita alla città come patrimonio dell’architettura e della cultura e vita civile» di Cosenza.

    Il disinteresse dei poteri

    Chi è interessato a conoscere nei particolari come la città attraverso le sue istituzioni e i suoi soggetti economici, sociali e culturali abbia NON curato, NON sostenuto, NON condiviso anche con un minimo di aiuti economici la Fondazione – che in concreto vuol dire Villa Rendano – potrà soddisfare la sua curiosità nelle prossime settimane .

    Ora non posso abusare dell’ ospitalità de I Calabresi, che per impegno esplicito e condiviso non ha una relazione diretta e condizionante con la Fondazione Giuliani. Anticipo in estrema sintesi che le promesse vuote, gli inganni, l’indifferenza, talora l’arroganza dei cosiddetti stakeholders, cioè i detentori dei Poteri, hanno accompagnato i primi 9 anni di vita di Villa Rendano.

    Villa Rendano: un dono di Serie C?

    Come concludere? Tutti i mecenati e benefattori sono meritevoli di sincera e duratura gratitudine. Ora, per ragioni misteriose, si considera un mecenate, Bilotti, di serie A. Un altro che ha impegnato, cioè donato alla città, fino ad ora quasi 8 milioni lo si relega, invece, in serie C. Una spiegazione ci vorrebbe, no?

    Il conferimento della cittadinanza onoraria a Sergio Giuliani

    Tanto per dare un antipastino, comincio col citare la frase dell’ex sindaco Occhiuto che dice (meglio, scrive) a proposito del sofferto e più volte rinviato conferimento della cittadinanza onoraria (né piazze né cortili) a Giuliani «ricordo la cittadinanza onoraria contro la volontà degli altri componenti della famiglia del compianto Giuliani». Una frase niente affatto sibillina, ma impropria, perché la meschinità di un non citato membro della famiglia non dovrebbe essere ricordata come eroico abbattimento delle barricate sulla via di una dovuta “cittadinanza onoraria”.

    Francesco Pellegrini
    Presidente della Fondazione Attilio e Elena Giuliani

  • Zona grigia, il grande alibi in Calabria per non combattere la ‘ndrangheta

    Zona grigia, il grande alibi in Calabria per non combattere la ‘ndrangheta

    Lamezia Terme ha conosciuto nel 1991, nel 2002 e nel 2017 tre scioglimenti del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. In una intervista del 2013 l’allora procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli ebbe a dire che «Lamezia è una città dove il legame tra la ‘ndrangheta e alcuni settori della società civile è talmente radicato che non viene percepito come una devianza sociale perché è digerito nello stomaco della città».

    Il caso Lamezia

    Sia come sia, subito dopo ognuno dei tre scioglimenti alcuni commenti paventavano complotti: «Il consiglio comunale di Lamezia Terme andava sciolto per presunte infiltrazioni mafiose? È l’interrogativo che si pongono in molti dopo aver letto con attenzione e scrupolosità la relazione del ministro dell’Interno… Sono in molti a domandarsi: perché sciogliere il consiglio comunale eletto nel 2015 a guida Mascaro e non quello eletto nel 2010 a guida Speranza? (…) Semplice: Speranza non poteva essere sciolto, “nonostante molti degli attuali amministratori hanno fatto parte, a diverso titolo, della compagine eletta nel 2010″, in quanto esponente politico del centrosinistra, area politica alla quale apparteneva e appartiene l’attuale Ministro dell’Interno», scriveva lameziaoggi.it.

    L’ex sindaco di Lamezia, Gianni Speranza

    Il Consiglio di Stato (settembre 2019) sciogliendo l’amministrazione Mascaro ha lasciato ai posteri questa analisi generale: «Il contributo determinante della mafia nel condizionare il voto popolare è tale da inficiare irrimediabilmente il funzionamento del consiglio comunale per un suo vizio genetico, essendo difficilmente credibile, secondo la logica della probabilità cruciale, che un consiglio comunale i cui componenti siano eletti in parte con l’appoggio della mafia, per una singolare eterogenesi dei fini, possa e voglia adoperarsi realmente e comunque effettivamente, non solo per mero perbenismo legalitario, per il ripristino di una effettiva legalità sul territorio e per la riaffermazione del potere statuale contro l’intimidazione, l’infiltrazione e il sopruso di un ordinamento delinquenziale, come quello mafioso, ad esso avverso per definizione».

    Il sindaco di Lamezia, Paolo Mascaro

    Mafia e zona grigia

    Il primo omicidio importante della storia criminale lametina avvenne nel 1970. Il boss locale Luciano Mercuri venne ucciso da un suo affiliato, Tonino De Sensi. Quella data fu l’inizio di una nuova era per la ‘ndrangheta locale che con la droga fece il salto di qualità. Eppure per decine di anni soltanto una minoranza intellettuale ripeteva che a Lamezia la mafia esistesse. La maggioranza dei notabili e dei politici si ostinava a considerare soltanto l’esistenza di «quattro delinquenti» e non della mafia. Così come oggi il mainstream insiste molto sulla presenza a Lamezia della cosiddetta “zona grigia”, una sorta di cuscinetto (o mondo di mezzo) che si frapporrebbe tra le cosche e la società civile e le imprese.

    Stereotipi e cliché

    Come da anni sta dimostrando nei suoi studi un valente studioso lametino, Vittorio Mete, «a causa della loro natura segreta e illegale, le mafie sono difficilmente (e comunque problematicamente) esplorabili sul piano empirico». Inoltre l’immagine pubblica delle mafie vive su stereotipi e cliché che creano una diffusa banalizzazione. Banalizzando non si riesce né a distinguere le differenze tra i diversi gruppi mafiosi né quelle «tra i singoli mafiosi, ai quali sono indistintamente attribuiti i medesimi tratti: il carisma individuale, il coraggio, lo sprezzo del pericolo, il fiuto per gli affari, l’elevato tenore di vita e altro ancora».

    Ci rendiamo conto che le “mafie regionali” sono diverse tra loro. Ma, per restare a Lamezia, non si distinguono tra di loro le varie cosche egemoni che pur presentano enormi differenze, ad esempio in termini di ricchezza, potenza militare, contatti politici, inserimento nei circuiti internazionali della droga. Una grande varietà e mutevolezza sparisce dunque nelle rappresentazioni dell’opinione pubblica e anche di molti studiosi.

    Tre tipi di imprenditori

    Nella relazione della Dia sul primo semestre 2018 si leggeva che Lamezia «convenzionalmente è ripartita in tre aree, rispettivamente di competenza dei clan Iannazzo, Cerra-Torcasio-Gualtieri e Giampà (cui si affiancano compagini di minor rilievo)». Se dovessimo descrivere i rapporti tra queste cosche e il mondo imprenditoriale lametino è utile ricorrere ai tre tipi principali di imprenditori, a loro volta articolati in sotto-tipi, che studiosi come Mete o Sciarrone hanno delineato.

    I subordinati

    Il primo di questi tre tipi di imprenditori presente a Lamezia è definito “subordinato”: essi sono assoggettati alla mafia «attraverso un rapporto fondato sull’intimidazione o sulla pura coercizione. Le attività di questi soggetti sono sottoposte al controllo dei mafiosi mediante il meccanismo della estorsione protezione». A loro volta, gli imprenditori subordinati possono articolarsi in due categorie: gli “oppressi” e i “dipendenti”. Gli oppressi sono coloro i quali pagano la protezione mafiosa in cambio della garanzia di poter semplicemente continuare a svolgere la propria attività. I dipendenti, invece, «non solo devono pagare la protezione ai mafiosi come fanno gli oppressi, ma devono ottenere la loro autorizzazione per poter svolgere la propria attività. Questi soggetti svolgono, infatti, la propria attività in settori in cui si concentrano gran parte degli interessi mafiosi della zona, come i lavori pubblici. Per poter operare in questi settori è necessario ottenere il “permesso” della mafia.

    I collusi

    Nella seconda categoria sono ricompresi i “collusi”. Tali soggetti sono dotati di risorse diverse e più ampie rispetto ai subordinati. Ciò gli consente di istituire “con i mafiosi un accordo attivo, dal quale derivano obblighi reciproci di collaborazione, scambio e lealtà». Anche i collusi possono articolarsi in due sottocategorie: da un lato ci sono gli imprenditori “strumentali”, che sono dotati di ingenti risorse di tipo economico, tecnico, politico o di altro tipo ancora; dall’altro ci sono gli imprenditori “clienti”, che instaurano con i mafiosi rapporti di scambio e collaborazione più duraturi e stabili nel tempo.

    Un esempio di imprenditori strumentali è dato dalle grandi imprese nazionali che operano nel campo delle opere pubbliche e che si aggiudicano appalti in terre di mafia. Uno per tutti, i lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria (Mete, 2011). Rimanendo sull’esempio di questa stessa grande opera, possono invece considerarsi imprenditori clienti le imprese locali legate alle mafie che lavorano in subappalto.

    I mafiosi

    Infine, una terza categoria di imprenditori è costituita dagli imprenditori mafiosi propriamente detti. In questo caso, si tratta di persone appartenenti ai gruppi criminali che operano nei mercati legali, sia per guadagnare “legalmente” sfruttando il potere che gli deriva dalla loro posizione, sia come attività di copertura volta al reimpiego di denaro proveniente dai traffici illegali.

    Com’è agevole dedurre da queste brevi note, il rapporto tra mafiosi e imprenditori può andare dalla coercizione alla collaborazione attiva. «Tale collaborazione dà generalmente luogo a giochi a somma positiva, cioè interazioni in grado di produrre un’utilità per tutti coloro che prendono parte al gioco».

    Zona grigia? Fuorviante

    Ora, considerando i molteplici rapporti tra imprese e liberi professionisti da una parte e le cosche operanti nel lametino dall’altra, la prima categoria (i subordinati) e la seconda (i collusi) ci dimostrano che è ormai fuorviante continuare a parlare di “zona grigia”. I subordinati (oppressi o dipendenti che siano) coltivano solo la speranza di mantenere buoni rapporti per poter stare sul mercato; i collusi al contrario instaurano interazioni che dovrebbero essere reciprocamente vantaggiose o complementari con le cosche.

    Mentre i subordinati non hanno alcun spazio di autonomia, i collusi svolgono attività autonoma che deve incastrarsi (come la chiave in una serratura) con l’interesse concreto del mafioso di riferimento. Si tratta di raggiungere «un compromesso fra partner che hanno utilità e convenienze differenti, ma complementari». Ora, sia una impresa di qualsiasi dimensione che un qualsivoglia libero professionista (medico, ingegnere, avvocato, commercialista…) intendono ottenere un vantaggio economico entrando in relazione con la cosca mafiosa. Il reddito del professionista e il profitto dell’imprenditore aumentano grazie a questo accomodamento o incastro con il mafioso.

    Comanda sempre la mafia?

    Il pezzo mancante di questo ragionamento (che mira a confutare la diffusa convinzione che a Lamezia o in altre città calabresi esista una zona grigia) è il seguente. In questi accordi collusivi non sempre i mafiosi sono i soggetti dominanti. Se ci sono imprenditori dotati di grandi risorse, o professionisti di grande prestigio, lo spazio di azione dei mafiosi infatti si riduce sensibilmente. Le interazioni tra mafia e imprenditoria sono così varie per cui il ruolo dei mafiosi cambia a seconda dell’attività.

    Gli appalti (e i subappalti) per le opere pubbliche possono essere appannaggio di imprese mafiose o di grandi imprese che trattano, con esiti variabili e incerti, con i mafiosi. Un supermercato, per fare un altro esempio, può essere taglieggiato dai mafiosi o può essere di loro proprietà. Se la “zona grigia” è definita (Rocco Sciarrone, 2011) «un’area relazionale fitta, che si colloca a cavallo tra legalità e illegalità… i professionisti, industriali, pubblici ufficiali e membri della cosiddetta società civile che senza dubbio sono collusi con le organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta, non sono i servitori del potere mafioso ma sono i mandanti delle loro azioni e influenze illecite, perché i loro interessi economici e di potere, spesso coincidono con quelli dei clan».

    A Lamezia, così come in altre realtà calabresi, si continua a parlare di “zona grigia” dimenticando del tutto «la parte di società che è compenetrata o collusa con la ‘ndrangheta… che spesso rappresenta la parte più produttiva di essa, almeno nel meridione: il risultato è che qui al Sud si è creato un mercato drogato, con meccanismi particolari e difficilissimi da analizzare e sconfiggere, che rappresenta una parte assai considerevole dell’intera economia dell’area».

    Né mondo di mezzo né zona grigia

    I mafiosi non chiedono gentilmente, impongono, e come spiegò Puzo ne Il Padrino, «fanno offerte che non si possono rifiutare». Se questo è vero, è chiaro che il commerciante che paga il pizzo per ottenere la pace e tutti coloro che per quieto vivere accettano le richieste mafiose non stanno in un virtuale mondo di mezzo ma si schierano dalla parte della mafia.

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    Marlon Brando nel film Il Padrino, ispirato al romanzo di Mario Puzo

    La cosa è molto evidente, basta seguire la cronaca dei giornali, tra i cosiddetti liberi professionisti. Non ci sono tra di loro collusi ma professionisti che si mettono a disposizione oppure che non lo sono. La stessa cosa avviene con gli imprenditori e i politici. Ci sono aziende che chiudono se non hanno clienti, altre che senza clienti sopravvivono perché rientrano nelle aziende controllate dalla mafia; ci sono politici votati su imposizione dei mafiosi e altri no, e così via.

    Da una parte o dall’altra

    Alla società civile deve diventar chiaro che in Calabria la guerra ognuno, qualsiasi lavoro faccia, la combatte in uno schieramento legale oppure nell’Antistato, magari per paura, furbizia, accondiscendenza, pigrizia, avidità, qualsiasi sia la motivazione della scelta.
    Prendiamo il caso di Clarastella Vicari Aversa, l’architetta che con la sua denuncia ha scoperchiato il vaso di Pandora dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Ha condotto una battaglia in solitudine sostanzialmente per 14 anni, attraverso ricorsi amministrativi, tutti accolti al Tar e al Consiglio di Stato, una quarantina. L’Università disattendeva tutto ciò che disponeva la giurisprudenza amministrativa.

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    Clarastella Vicari Aversa

    La sua battaglia dimostra che i metodi mafiosi non li adoperano soltanto quelli con la coppola che definiamo criminalità organizzata. Dimostra che in Calabria, nonostante sentenze della magistratura per ripristinare il diritto, la sopraffazione, la prepotenza e il potere vengono esercitati in maniera spietata in qualsiasi settore. Lo stesso conclamato disprezzo per la meritocrazia, che osserviamo negli atenei così come nelle scuole e nell’amministrazione pubblica, dimostra come clientelismo e nepotismo, favoritismo e ricatto non siano fenomeni diversi da quelli che adopera chi chiede il pizzo o fa pagare tassi usurai, o concede un fido in banca.

    Una società dove le persone perbene, le imprese sane, i professionisti non corrotti, sono costretti a lottare per decenni per non soccombere, significa che la questione “mafiosa” va raccontata in un altro modo. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, è il caso di ricordarlo talvolta a noi calabresi.

    Francesco Scoppetta
    Scrittore ed ex dirigente scolastico

  • Alta velocità e Sa-Rc: Cosenza riparta dal sogno di Mancini

    Alta velocità e Sa-Rc: Cosenza riparta dal sogno di Mancini

    A proposito dell’impegno profuso da Giacomo Mancini per la sua città, vorrei ricordare che se la sede centrale dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria è a Cosenza, e non a Reggio Calabria né a Salerno, lo si deve a lui.
    Col senno di poi, può sembrare scontato aver collocato la sede centrale degli uffici dell’autostrada nel capoluogo geograficamente eccentrico di una delle più estese province meridionali. Eppure nel 1968 scontato non lo era affatto.

    Il sogno di Mancini

    La scelta di Giacomo Mancini di assegnare a Cosenza la sede centrale dell’autostrada aveva un significato che va oltre la tecnica dei trasporti, investe la politica e appartiene alla cultura urbanistica. Giacomo era un convinto anche se “inquieto” meridionalista, la sua scelta mirava alto. Aveva un preciso obiettivo strategico: dare alla Calabria un’amministrazione baricentrica, riconquistare per la sua città il ruolo di capitale non solo della Calabria Citeriore ma di tutta la Regione.

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    Giacomo Mancini negli anni d’oro del Psi

    La sede dell’autostrada era il passo successivo a quello fondamentale del tracciato dell’autostrada passante per Cosenza. Connettere la città con un’autostrada significava proiettarla a diventare il futuro capoluogo della Regione prima della insana disputa tra Catanzaro e Reggio finita, come si sa, con la separazione fisica della Giunta dal Consiglio, a tutto svantaggio dell’efficienza amministrativa.

    L’Alta velocità sul Tirreno

    Se si volesse continuare ad operare per dare a Cosenza un ruolo regionale importante, se si volesse continuare il percorso avviato da Giacomo di potenziare il ruolo urbano di Cosenza bisognerebbe impegnarsi politicamente e culturalmente perché la linea dell’Alta Velocità Salerno–Reggio Calabria passi da Cosenza come previsto sia dalla proposta formulata dal gruppo degli ordinari dei trasporti delle Università della Sicilia e della Calabria e sia dalla linea AV/AC proposta dalle Ferrovie dello Stato nell’aprile del 2021 (Praia-Tarsia-Cosenza-Lamezia-Reggio Calabria).

    Sostiene infatti il professore Francesco Russo che per avere un’Alta Velocità ragguardevole la linea tirrenica è inadeguata, meglio è ipotizzare una linea «che si sviluppi in prossimità dell’autostrada» come indicato per il tratto Cosenza-Lamezia nei lotti funzionali della proposta linea AV/AC Salerno-Reggio Calabria delle Ferrovie dello Stato per la Calabria.

    Una linea metropolitana

    Dotare la città Cosenza-Rende di una stazione dell’Alta Velocità, anche se in Comune di Montalto Uffugo, per garantire non solo un interscambio prezioso Montalto–Paola ma anche recuperare il raccordo diretto con l’Università, significherebbe trasformare la linea ferroviaria esistente Cosenza Casali-Quattromiglia in una linea metropolitana che dalla futura stazione di Montalto Uffugo-Università della Calabria, raggiunga, con diverse fermate (Quattromiglia, Campagnano, nuova stazione di Cosenza, vecchia stazione di Cosenza) la stazione di Cosenza Casali.

    L’Università della Calabria

    L’Alta velocità meglio dell’autostrada per Cosenza

    Si darebbe così a Cosenza una infrastruttura territoriale e metropolitana più importante dell’autostrada del sole. Sarebbe anche un modo concreto di onorare la memoria di Giacomo Mancini. Sostenere il contributo tecnico dato dalle università di Sicilia e di Calabria al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), pretendere al più presto la realizzazione della proposta delle Ferrovie dello Stato del 2021 consentirebbe di rivalutare la città di Cosenza-Rende, di connetterla rapidamente con l’aeroporto di Lamezia Terme e con le altre città della Calabria, delle Regioni confinanti con la sua provincia, e con le altre città d’Italia.

    Empio Malara
    Architetto

  • Lega o Borboni? Col Pnrr serve un meridionalismo responsabile

    Lega o Borboni? Col Pnrr serve un meridionalismo responsabile

    Non è vero che il Parlamento non si occupi del Sud, non discuta della questione meridionale, non vari provvedimenti per le nostre regioni. Parlamento in quanto sede legislativa e di indirizzo per il governo, intendo, richiamando alla memoria mozioni che indicavano e impegnavano negli ultimi decenni l’Esecutivo verso politiche attive nel campo dell’occupazione, delle infrastrutture, del riequilibrio territoriale.

    Il Sud dai partiti di massa al Pnrr

    In molte di esse – spulciando gli archivi – tenere insieme nelle premesse motivi storici, antichi e recenti, condizioni locali e interrelati ai diversi contesti, indicare direzioni lungo le quali legiferare fa trasparire momenti di vera e propria sofferenza, paziente lavorio di mediazione e di equilibrio: malavita organizzata, ritardi strutturali, vocazioni locali, collegamenti, ambiente, energia… da dove partire, quali priorità elencare? Oggi con Il PNNR in fase di gestazione e una ripresa del dibattito sul federalismo asimmetrico è opportuno riprendere le fila di un discorso magari sopito ma sempre attuale.

    sud-ripresa-pnrr-non-basta-anche-italia-deve-fare-sua-parteUn tempo, quando c’erano i grandi partiti di massa, ideologizzati e a respiro nazionale, parlare e decidere per il Paese significava avere una visione unitaria. Comportava un patto di solidarietà e di politiche territoriali fra loro integrate e compatibili. Patto e politiche che avevano per subfondo due capisaldi: Nord produttore e Sud consumatore uno, l’altro era l’assistenza verso il Sud.

    Due corollari

    Mi si passerà lo schematismo anche brutale se si vuole, ma che può essere funzionale, nella sua icasticità, a introdurre una serie di corollari.
    Il primo è quello dei massicci esodi migratori di calabresi, lucani, siciliani… verso il triangolo industriale, per non dire verso il Nord Europa e le Americhe, dove furono parte ineludibile della possente crescita di quei territori.
    Il secondo corollario può sintetizzassi negli interventi mirati verso il Sud, primo fra tutti la Cassa per il Mezzogiorno. Cassa nata con l’esplicita missione di ammodernare le terre del Sud grazie a poderosi interventi di infrastrutturazione di carattere fisico, ma prodromici a insediamenti necessari alla crescita economica e nel contempo necessari a garantire standard di civiltà e modernità.

    Cosa fare del Sud col Pnrr

    Erano tempi in cui il dibattito fra le forze politiche si rifaceva, con Rossi Doria, alla polpa e all’osso, paradigmatici del puntare sull’industria o sull’agricoltura: un dualismo oggi superato da altre bipolarità, ben altre.
    Non può essere questa la sede idonea a tratteggiare i caratteri salienti di quella stagione, forse fin troppo drasticamente liquidata e indubbiamente portatrice di forti elementi di positività poi affogati nel clientelismo, nella spartizione partitica, nella incompletezza di opere al di fuori di un disegno organico che prefigurasse il refrain poi più volte recitato: Che farne, del Sud.

    Nei partiti, nel Pci in particolare, c’era la Commissione Mezzogiorno, struttura sempre guidata da prestigiosi rappresentanti di statura nazionale che fungeva da camera di compensazione e di sintesi, di valutazione, analisi e proposta, sempre e comunque dentro una cornice di respiro e di salvaguardia dell’unità nazionale.
    Con il nascere delle Regioni prima e della Unione Europea poi si assiste a un cambiamento di scenario, accompagnato da quel fenomeno che qualcuno chiosò: fine dell’intervento straordinario e assenza di interventi ordinari.

    Regioni, Lega Nord e nuovi scenari

    Le Regioni invece di configurarsi come elemento di sussidiarietà hanno via via accresciuto vizi di deficit di governo e contrapposizione geopolitica. La UE ha varato misure e risorse per le Aree in ritardo di sviluppo raramente recepite e fatte proprie dagli Stati membri, con i risaputi sprechi, fondi non spesi, occasioni perdute.

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    Matteo Salvini a Cosenza prima delle ultime elezioni regionali (foto Alfonso Bombini)

    Il nascere della Lega Nord, il pietismo e il neoborbonismo del Sud hanno costituito le pietre miliari dell’oggi. Pietre cui le sciagurate modifiche al Titolo V della Costituzione hanno posto il suggello, con le irricevibili proposte di federalismo sghembo buono solo a distruggere il Paese e a ingenerare darwinianamente distorsioni destrutturanti.

    Per un meridionalismo responsabile

    C’è un libro di qualche anno fa, scritto quando tranne Giuseppe Galasso e pochi altri tenevano faticosamente in alto la bandiera di un meridionalismo responsabile, non straccione né intriso di rimpianti rivendicazionisti. L’autore è Emanuele Felice, il titolo Perché il Sud è rimasto indietro. È di circa dieci anni fa e contiene analisi e ragionamenti tuttora non smentiti né smentibili. Affronta di petto la questione delle classi dirigenti. Tutte, non solo quelle politiche. Demolisce con scientificità di metodo qualsiasi tentazione neoborbonica, apre scenari improntati alla responsabilità e alla coesione territoriale.

    Oggi, in tempi di guerra, di Covid e di Pnnr, rispetto al quale ci si azzanna sulla quota del quaranta per cento da assicurare al Sud senza una cornice di riferimento geopolitico e progettuale di un’Europa alla ricerca di sé in un Mediterraneo baricentro di processi di pace e di crescita, potrebbe essere di qualche utilità ritornare a vecchie pagine. Quelle in cui si affermava che l’Italia sarà quello che il Sud sarà, depurandole, sia chiaro, di un’impostazione massicciamente agraria e ponendo il Sud, la Calabria, sul versante del terziario, meglio del terziario avanzato.

    Massimo Veltri
    Ex senatore della Repubblica e professore ordinario all’Unical

  • Riportiamo il municipio nei centri storici a Cosenza e Rende

    Riportiamo il municipio nei centri storici a Cosenza e Rende

    Sfiorando il tema conservazione/innovazione, ovvero vecchio/nuovo, sottopongo all’attenzione dei lettori e degli amministratori di Cosenza e di Rende due significativi episodi urbani e una proposta per arricchire il dibattito ammesso da Francesco Pellegrini sul quotidiano on line I Calabresi per contribuire alla costruzione dell’auspicata città Cosenza-Rende (asse centrale della metropoli circolare ambita da Massimo Veltri?).

    Da corso Telesio a piazza dei Bruzi

    Il primo episodio urbano riguarda Cosenza, il capoluogo della sua provincia “recondito, raccolto e tranquillo al di là del Busento” quando, nel dopo guerra, seguendo il piano delineato un po’ di anni prima dall’architetto Gualano, si stava separando dalla “nuova” città di valle.
    Attraversando il ponte S.Domenico sul Busento, si raggiungeva, e si raggiunge tutt’ora, il rione del Carmine, dove nel 1950, di fronte al termine della statale 19, ovvero all’inizio di corso Mazzini, si stava realizzando la sede del “nuovo” Municipio di Cosenza.

    La Casa delle Culture, sede storica del municipio di Cosenza prima del trasferimento in piazza dei Bruzi

    Il nuovo Municipio era in posizione di cerniera tra il “vecchio” e il “nuovo” e non ci si preoccupava allora, non si era consapevoli, degli effetti che avrebbe provocato il trasferimento del Municipio dalla città collinare a quella di valle. Sottrarre una funzione urbana così vitale come era allora il Municipio spostandolo dalla Cosenza “vecchia” alla parte “nuova”, significava togliere centralità alla parte “vecchia”, declassarla e destinarla all’abbandono. Oggi lo sappiamo con certezza, il trasferimento dal “vecchio” al “nuovo” è la negazione dell’innovazione nella conservazione.

    Il bis di cinquant’anni dopo

    Il secondo episodio urbano riguarda Rende. All’inizio del secondo millennio, cinquant’anni dopo Cosenza, l’Amministrazione di Rende costruiva in valle, in adiacenza della “nuova” Chiesa, il “nuovo” Municipio della città in posizione centrale rispetto alla “nuova” Rende, rendendo un servizio utile e necessario ai “nuovi” cittadini. Ovviamente il “nuovo” Municipio di Rende ha avuto l’effetto di declassare il “vecchio” borgo dove nel castello aragonese si era innovato, ampliato e conservato nei decenni il Municipio “vecchio”, reso più facilmente accessibile da una scala mobile vanto della stessa Amministrazione.

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    La sede del Comune di Rende

    Sottrarre una funzione urbana ancora vitale dal centro storico di Rende rinunciare alla conservazione/innovazione del Municipio è un comportamento diverso dal precedente. Tuttavia i tempi cambiano e molti rendesi hanno scelto la residenza “nuova”, anziché innovare le residenze “vecchie”. Si sa le scelte dei residenti mutano di continuo e l’attività lavorativa da casa potrebbe favorire il ritorno dei residenti nel “vecchio” borgo.

    Cosenza e Rende tra il vecchio e il nuovo

    Oggi le nuove tecnologie hanno ridotto di molto la forza urbana vitale dei Municipi. In molte città i Municipi si moltiplicano per offrire servizi vicino ai cittadini. Potrebbe essere molto significativo, in entrambi i casi di Cosenza e di Rende, riportare il municipio, o parte di esso, nel “vecchio”, senza rinunciare al “nuovo”.

    Il castello di Rende ospitava il municipio

    Sarebbe un segnale di riscatto per tutti i centri storici della Calabria. Un’azione in contemporanea delle due amministrazioni potrebbe alimentare l’anelito verso la omogenea e unitaria città Cosenza–Rende. Un’esemplare doppia dimostrazione del valore che oggi ha per i centri storici il binomio conservazione/innovazione.

    Empio Malara
    architetto