Categoria: Fatti

  • Ponte sullo Stretto, torna la gallina dalle uova d’oro

    Ponte sullo Stretto, torna la gallina dalle uova d’oro

    Per qualcuno è un’opera strategica, per altri, invece, il ponte sullo Stretto è una infrastruttura irrealizzabile. Gli ambientalisti dicono che devasterebbe irreversibilmente il territorio e la fauna marina. Altri ancora, poi, che sarebbe solo un favore alle mafie, dato che ingrasserebbe tanto Cosa Nostra quanto la ‘ndrangheta. È un tema ciclico. Sia sotto il profilo politico, che sotto quello economico. E, come vedremo, anche sotto quello criminale. Il tema della costruzione del ponte sullo Stretto torna costantemente. A intervalli irregolari, ma torna.

    La linea di Roberto Occhiuto

    La possibilità di collegare la sponda reggina con quella messinese, divise da soli tre chilometri di mare, è qualcosa di cui si parla da tempo immemore. Almeno da quarant’anni sotto il profilo politico. Ma qualcuno si è sforzato di trovare traccia anche nella storiografia antica. La prima proposta di realizzazione di un ponte è datata 1866, allorquando il ministro dei Lavori Pubblici Jacini incarica l’ingegnere Alfredo Cottrau, tecnico di fama internazionale, di studiare un progetto di ponte tra le due sponde.
    In questi mesi di pandemia si è spinto molto anche affinché il progetto entrasse nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il costo del progetto è di circa 4 miliardi (3,9 per la precisione) per coprire una distanza di 3,3 km su una delle zone più a rischio sismico d’Italia.

    L’ultimo a (re)iscriversi al gruppo di sostenitori del ponte sullo Stretto è Roberto Occhiuto. Oggi vicepresidente dei deputati di Forza Italia ma, cosa ancor più rilevante, candidato alla presidenza della Regione Calabria per il centrodestra. «Un collegamento stabile e veloce tra Calabria e Sicilia rappresenta per noi una priorità nazionale. Il ponte non servirebbe solo a 7 milioni di cittadini calabresi e siciliani, ma a tutto il Mezzogiorno e al Paese intero. Sarebbe un viatico di sviluppo, lavoro, crescita e turismo», ha detto all’inizio di luglio, commentando la decisione del Governo presieduto da Mario Draghi, che ha riformulato la propria linea. Impegnandosi, di fatto, al reperimento di risorse per la realizzazione dell’opera.
    Arrivando da Occhiuto, la battaglia pro ponte diventa quindi più di un documento programmatico per il candidato favorito per la vittoria delle prossime Regionali.

    Quanto è già costato il ponte sullo Stretto

    Un’idea. Una chimera, forse. L’atto più concreto riguardante il ponte sullo Stretto è l’esproprio effettuato, ormai qualche decennio fa, ad alcuni malcapitati proprietari dei terreni dove dovrebbe passare l’opera. Che ha già bruciato parecchi quattrini. Per la realizzazione era stata costituita anche una società: la Stretto di Messina SpA. Siamo nel 1981. Nei primi anni ’80, infatti, si inizia a parlare, concretamente, della realizzazione del collegamento tra le due sponde. E allora ci si muove: nella Stretto di Messina, infatti, gli azionisti sono lo Stato e Anas. E, nonostante del ponte non ci sia nemmeno una pietra, l’opera è già costata parecchio: 300 milioni di euro se si considera quanto sborsato per i dipendenti e per varie vicende burocratiche legate agli appalti.

    Ma la cosa più grottesca (e tipicamente italiana) è che la società Stretto di Messina continua a gravare sul bilancio dello Stato, sebbene sia in liquidazione dal 2013. Per la precisione, costa 1500 euro al giorno. Il calcolo è presto fatto: oltre mezzo milione di euro l’anno. E poi, ovviamente, lo stipendio dal commissario liquidatore, le parcelle per i revisori dei conti e una serie di costi incredibili e inspiegabili per una società che non ha mai operato e che ora è ferma da quasi un decennio. Ma non finisce qui.

    Durante uno dei governi presieduti da Silvio Berlusconi, che con Forza Italia è sempre stato uno dei fautori del ponte, la gara d’appalto per la realizzazione dell’opera venne vinta da Impregilo. E ora Impregilo chiede circa 700 milioni di euro in un contenzioso che farebbe aumentare ancor più il bilancio da capogiro dell’opera mai costruita. Da qui, l’ormai nota cantilena dei pro ponte: «Costa meno realizzarlo che non realizzarlo».

    L’impatto ambientale del ponte

    Una delle battaglie più veementi poste contro la costruzione del ponte sullo Stretto è ovviamente quella degli ambientalisti. Da anni Legambiente (ma non solo) si sgola per dimostrare, tramite studi e relazioni, come la costruzione di un’opera così invasiva potrebbe sconvolgere l’ecosistema dello Stretto di Messina. Anche recentemente, le associazioni ambientaliste hanno sottolineato l’insostenibilità del progetto del 2010, che oggi si vorrebbe rilanciare.
    Si tratta di uno studio effettuato dal General contractor Eurolink (capeggiato da Impregilo), da parte del Webuild (società composta da Impregilo-Salini e da Astaldi) di un ponte sospeso ad unica campata della lunghezza di 3.300 metri, sostenuto da torri alte 400 metri. Quella proposta fu abbandonata dopo che Eurolink non produsse, nel marzo 2013, gli approfondimenti economico-finanziari e tecnici richiesti, recedendo dal contratto con la concessionaria Stretto di Messina SpA. Che poi fu messa in liquidazione.

    Da sempre, gli ambientalisti sottolineano come il ponte sullo Stretto sorgerebbe in una delle aree a maggiore rischio sismico del Mediterraneo. Su tutti, basti ricordare il terribile sisma che colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908. Gli scavi necessari per l’opera a unica campata potrebbero poi incidere pericolosamente sul delicato equilibrio territoriale dei versanti calabrese e siciliano. Infine, lo Stretto di Messina è caratterizzato da un’alta biodiversità. I più recenti studi localizzano ben dodici siti delle Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa ai sensi delle Direttive Habitat e Uccelli.

    Gli appetiti delle cosche 

    Da sempre, infine, l’idea del ponte sullo Stretto sembra ingolosire molto le cosche. Non solo quelle di ‘ndrangheta. Ma anche, ovviamente, gli omologhi siciliani di Cosa Nostra per il versante messinese. A dirlo sono le sentenze irrevocabili. Dal 1985 al 1991, infatti, la provincia di Reggio Calabria verrà interessata da una sanguinosissima guerra di ‘ndrangheta. A fronteggiarsi, due schieramenti agguerritissimi: l’uno, facente capo al cartello De Stefano-Tegano-Libri, l’altro agli Imerti-Condello. Una mattanza durata sei anni che terminerà nel 1991, dopo circa 700 morti ammazzati sull’asfalto, con l’uccisione del giudice Antonino Scopelliti, che avrebbe dovuto rappresentare l’accusa in Cassazione nel maxiprocesso a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
    Una guerra che sarebbe nata (anche) per gli appetiti mafiosi delle famiglie ‘ndranghetiste sul ponte. In quel periodo, infatti, si parla con maggiore insistenza dell’opera.

    Nel 1982 il Gruppo Lambertini presenta alla neonata società concessionaria, la Stretto di Messina S.p.A., il proprio progetto di ponte. Nello stesso anno il ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, Claudio Signorile, annuncia la realizzazione di «qualcosa» «in tempi brevi». Due anni più tardi si ripresenta agli italiani con una data precisa: «Il ponte si farà entro il ‘94». Nel 1985 il presidente del consiglio Bettino Craxi dichiara che il ponte sarà presto fatto. La Stretto di Messina S.p.A. il 27 dicembre 1985 definisce una convenzione con ANAS e FS. Proprio nel 1985, quando si avviano le ostilità tra le ‘ndrine. E forse non è un caso che la guerra inizi proprio da Villa San Giovanni, località ancor più centrale di Reggio Calabria per la costruzione del ponte.

    «Tra le ragioni alla base della “guerra di mafia” che ha interessato l’area di Reggio Calabria tra il 1985 e il 1991, sembra esserci anche il controllo dei futuri appalti relativi alla costruzione del ponte sullo Stretto», riportano le sentenze ormai definitive. Il ponte sarebbe stato, dunque, il casus belli. Ma anche uno dei motivi della pace, sancita con la garanzia di Cosa Nostra. Come spiega il collaboratore di giustizia Filippo Barreca: «Anche i siciliani presero posizione nel senso che andava imposta la pace fra le cosche del reggino, essendo in gioco grossi interessi economici la cui realizzazione veniva compromessa da quella guerra. Mi riferisco al ponte sullo Stretto nonché alle opere pubbliche che dovevano essere appaltate su Reggio Calabria».

  • Guarascio, tasche piene e pallone sgonfiato

    Guarascio, tasche piene e pallone sgonfiato

    Per i suoi concittadini – è nato a Parenti ma vive a Lamezia Terme – Eugenio Guarascio è un po’ un oggetto misterioso. Lo conoscono di più, loro malgrado, i cosentini. Non tanto per l’azienda che si occupa della spazzatura in città, quanto per essere il patron della loro squadra di calcio. Che davano per retrocessa in serie C e ora potrebbe trovarsi miracolosamente ad affrontare la quarta stagione consecutiva nel campionato cadetto. Lo scorso 15 luglio il Consiglio federale ha infatti deliberato la mancata iscrizione del Chievo Verona aprendo, per adesso ufficiosamente, le porte alla riammissione in B dei lupi. La società Cosenza Calcio ha dunque rotto un lungo silenzio e ha fatto sapere di essere «in procinto di depositare tutta la documentazione necessaria per la riammissione al Campionato di Serie B 2021/2022 comprensiva della fideiussione di 800mila euro».

    La fortuna e il Chievo tornano in soccorso

    Uno scenario inaspettato che ha dato la stura all’ironia social sulla fortuna di Guarascio. Per la società si tratta del «risultato di una gestione societaria decennale improntata sui principi di legalità, trasparenza e sul rispetto delle norme e dell’equilibrio economico». Ma nessuno può davvero sapere se in cuor suo il patron sia contento. Non è mai sembrato uno sfegatato ultras rossoblu, d’altra parte. Tant’è che c’è chi pensa che sotto sotto possa essere quasi contrariato per l’impegno economico che la B imporrebbe.

    guarascio-portafortuna
    L’ennesimo colpo di fortuna di Eugenio Guarascio ha scatenato l’ironia del web: qui il suo santino portafortuna circolato in rete

    Certo è che il rapporto con la piazza sembra compromesso irrimediabilmente, a prescindere dalla categoria. Salvata, se il verdetto del Consiglio federale trovasse conferma, di nuovo solo grazie ai veronesi. Già nella penultima stagione, infatti, era stato un goal del clivense (ma cosentino doc) Garritano ad assicurare ai lupi una miracolosa permanenza nella serie cadetta.

    C’è poi chi instilla il dubbio, sulla scia di quanto dichiarato pubblicamente da un assessore comunale già prima dell’ipotesi ripescaggio, che questo ulteriore impegno per la squadra bruzia possa magari tradursi in un potenziale vantaggio da ottenere in veste di imprenditore dei rifiuti. Le solite malelingue che dicono tutto e il contrario di tutto.

    Gli affari a Gioia Tauro e nella Locride

    In provincia di Reggio Calabria, specie al porto di Gioia Tauro e nella Locride, la sua creatura imprenditoriale Ecologia Oggi – nata nel lontano 1987, divenuta poi Srl e dal 2008 Spa, oggi parte della holding 4EL Group – è nota per avere una buona fetta di appalti sui rifiuti. Nello scalo portuale della Piana gestisce un centro che tratta anche gli scarti che arrivano dalle navi e i rifiuti sanitari infetti provenienti dal circuito internazionale di natura organica.

    Sulla sponda jonica reggina invece la sua azienda rappresenta il partner privato della “Locride Ambiente S.p.a.”, una società mista che si occupa della raccolta differenziata, del trasporto e del conferimento. I soci pubblici sono i Comuni di Bagnara, Bovalino, Condofuri, Grotteria, Melito di Porto Salvo, Monasterace, Palmi, San Luca, San Pietro di Caridà e Siderno. In questa zona i disservizi sui rifiuti non mancano, soprattutto nei centri più popolosi come quello sidernese, ma la società mista che se ne occupa fa notare che i problemi – come in verità in molte altre aree della Calabria – sono dovuti alla saturazione di impianti e discariche.

    Guarascio e Cosenza, 10 anni di appalti milionari

    Più complesso – e per certi versi misterioso – è il rapporto che lega da ormai un decennio il Comune di Cosenza e l’azienda di Guarascio è presidente del Cda e socio di maggioranza. Il primo appalto viene aggiudicato il 20 maggio del 2011 e, tra le due ditte ammesse, lo vince “Ecologia Oggi” per un importo di poco superiore ai 40 milioni di euro. Appena dieci giorni dopo Mario Occhiuto sarebbe stato eletto sindaco al ballottaggio per la prima volta.

    Il secondo appalto con “Ecologia Oggi” – tra la scadenza naturale del primo, le successive proroghe e soprattutto i primi alti e bassi nei rapporti con l’amministrazione comunale – ottiene il via libera da Palazzo dei Bruzi nell’agosto del 2017. È più oneroso (circa 10 milioni di euro all’anno per 5 anni), viene aggiudicato con un ribasso dello 0,79% e, secondo qualcuno, prevederebbe meno servizi del primo.

    Al di là dei tecnicismi, sull’efficienza del servizio i cittadini possono giudicare con i loro occhi. Le condizioni di lavoro degli operatori, invece, sono materia di rapporti spesso burrascosi con i sindacati. Tra i lavoratori, in verità, Guarascio non sembra essere malvisto. Discorso diverso per quanto riguarda la dg Rita Scalise – il suo braccio destro sui rifiuti cosentini – che spesso si è scontrata con i rappresentanti delle tute gialle.

    Guerra e pace

    Il rapporto altalenante tra Palazzo dei bruzi e la società resta comunque il vero nodo della questione. Se ne occupa una sorta di triumvirato composto dal sindaco Occhiuto e due assessori: uno più compassato (Carmine Vizza), l’altro più battagliero (Francesco De Cicco). I problemi affiorano a inizio del 2018. A Palazzo dei Bruzi arriva un decreto ingiuntivo di “Ecologia Oggi” per il pagamento di 9,2 milioni di euro per «non meglio specificati servizi di igiene ambientale». Il Comune impugna il decreto. Ma, soprattutto, chiede alla società di Guarascio 4,4 milioni di euro «a titolo di sanzioni amministrative comminate per disservizi contestati nel corso di un rapporto di fatto». Poi, in un caldo consiglio comunale di giugno 2019, alla presenza dei lavoratori in stato di agitazione, per la prima volta è lo stesso Occhiuto ad ammettere apertamente che «la qualità del servizio è peggiorata».

    Oggi il centrodestra – e in particolare Salvini – ha concesso al fratello Roberto ciò che ha negato a lui. Ma all’epoca Mario è attivissimo nella prospettiva di diventare «il sindaco della Calabria». Dunque si capisce che in ballo c’è una fetta importante di consenso sociale in cui si incastra anche il destino calcistico del Cosenza. Comunque: Guarascio vuole oltre 9 milioni dal Comune, che risponde che invece è lui che deve pagarne quasi 4,5. Il contenzioso finisce con una sentenza del Tribunale civile di luglio 2020. Nessuna istruttoria e, dopo vari rinvii per tentare una definizione bonaria, le parti si mettono d’accordo. Decreto ingiuntivo ritirato e silenzio sulle sanzioni.

    Il Cosenza come “contentino”?

    Ma è recente una coda politica che forse è un po’ passata sotto silenzio. L’autore è l’assessore De Cicco che adesso, con Occhiuto in scadenza del secondo mandato, vuole candidarsi a sindaco. In una dichiarazione pubblica, commentando la parabola calcistica del Cosenza, dice: «Al presidente Guarascio interessava l’appalto della raccolta differenziata a Cosenza e l’ha ottenuto per la quinta volta. Assumere il comando della squadra è il classico “contentino”». Affermazione grave: sobbarcarsi la squadra, secondo un assessore in carica, sarebbe stato una sorta di piccolo sacrificio in cambio dell’appalto per i rifiuti. Non si ha notizia, al momento, di smentite o repliche.

    Il mantra di Guarascio: la «legalità»

    Nel curriculum consultabile sul suo sito personale, dopo la stringata voce “Istruzione e formazione” («completa gli studi tecnici»), c’è quella identificata come “capacità e attitudini”. E lì si legge: «Sostenitore della trasparenza e legalità, principi cardine del percorso personale ed imprenditoriale». La parola «legalità» compare più volte, quasi come un mantra, nella descrizione del profilo dell’imprenditore. Non c’è motivo di dubitare che ne sia un indefesso sostenitore, ma un episodio recente e uno più datato vanno citati per completezza d’informazione.

    Il fatto più vecchio riguarda notizie di stampa su alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia lametino Gennaro Pulice. Ritenuto in generale attendibile anche dalla Cassazione con la sentenza “Andromeda”, Pulice avrebbe riferito agli inquirenti di una presunta e mai dimostrata protezione dell’imprenditore da parte del clan Pesce di Rosarno. Va però chiarito che si tratta di una dichiarazione di un killer pentito che non ha avuto, per quel che se ne sa, nessuna conferma in sede giudiziaria finora.

    Più recente è invece la richiesta di rinvio a giudizio per il caso Santapaola. Guarascio è imputato per maltrattamenti di cui, secondo la Procura di Cosenza, sarebbe stato vittima Pietro Santapaola, calciatore 17enne che è stato messo alla porta dalla società che lo aveva sotto contratto. Pur avendo un cognome e parentele ingombranti, il ragazzo non avrebbe nulla a che fare con la criminalità organizzata siciliana.

    In missione per conto di Doris

    A Lamezia, dove è anche editore di un quotidiano online molto seguito in città e nell’hinterland, Guarascio è più in vista come politico che come imprenditore. Sul territorio la sua azienda ha un impianto di termodistruzione e una piattaforma di stoccaggio. Le sue attività nel settore dei rifiuti, però, hanno avuto un boom altrove. Non sono note sue iniziative rilevanti in campo sportivo e in molti, infatti, gli contestano di non essersi interessato alla Vigor nei momenti in cui la società ha attraversato forti difficoltà. A novembre del 2019 si è candidato a sindaco, però, a capo del movimento “Nuova era”.

    Nella corsa alle Comunali ha avuto anche il sostegno ufficiale del Pd, ma non è bastato. Alla fine, è arrivato terzo dopo il sindaco (al momento sospeso) Paolo Mascaro e il candidato del centrodestra “ufficiale” Ruggero Pegna. In consiglio comunale non è certo un baluardo dell’opposizione dura e pura. E anche nei lavori delle tre commissioni di cui fa parte è spesso assente. Tutti, a mezza bocca, concordano sul fatto che il suo principale sponsor politico sia Doris Lo Moro, già magistrato, senatrice e assessore alla Sanità dell’era Loiero. Ultima curiosità: la sede legale di “Ecologia Oggi” e lo stesso domicilio di Guarascio si trovano in una via in cui sorgono immobili che, dicono a Lamezia, sarebbero stati almeno in passato di proprietà del marito della senatrice.