Categoria: Fatti

  • Il controsenso di marcia tra i crolli del centro storico

    Il controsenso di marcia tra i crolli del centro storico

    Un turista israeliano pensava fosse stato bombardato il centro storico di Cosenza. La professoressa Marta Maddalon racconta questo aneddoto durante il Sesto senso di marcia, il tour fra le macerie della città vecchia organizzato stamane dal Comitato Piazza Piccola. Succede a via Galeazzo Tarsia, sventrata e abbandonata dopo alcuni crolli. L’idea del Sesto senso di marcia nasce in contrapposizione ai Cinque sensi di marcia, ideato e organizzato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Cosenza, guidato da Rosaria Succurro.

    Crolli e carcasse

    Crolli, carcasse di auto e un sole da controra accolgono i camminatori del Sesto senso di marcia a Santa Lucia. Ma «le zone più colpite – commenta Stefano Catanzariti del Comitato Piazza Piccola – sono anche la Garrubba e via Giuseppe Campagna». L’abbandono del centro storico non è una questione vicina nel tempo. Sono «30 anni di abbandono diffuso, assenza istituzionale e servizi spostati altrove». E poi ci si lamenta se cresce il disagio sociale.
    Catanzariti si propone di «sovvertire l’idea che il centro storico sia un problema solo dei residenti». Residenti e abitazioni in mano a molteplici eredi sono uno degli ostacoli alla sua messa in sicurezza. Ecco perché l’attivista punta tutto su «una legge speciale che dovrebbero caldeggiare amministrazioni locali e parlamentari». C’è da capire ancora la sua applicabilità giuridica a questo contesto.

    Marta e John, l’acqua fino alla testa a via Gaeta

    «Avevamo l’acqua fino alla testa, per più di un anno». Marta Maddalon è una linguista dell’Unical che vive insieme al glottologo John Trumper proprio in via Galeazzo di Tarsia.
    «I topi erano centinaia, abbiamo passato mesi di inferno, era tutto bloccato» – continua la professoressa universitaria – e le «macerie sono state lì finché non abbiamo bloccato corso Telesio chiedendo che venissero rimosse».
    Quando «si abbatte succede anche questo» – precisa la Maddalon: «Quelle case non erano a pericolo crollo».
    Perché «quando una casa è recuperabile, la si svuota lasciando le pareti perimetrali per non dare l’idea di un bombardamento». E i turisti israeliani, abituati a situazioni di conflitto, non hanno avuto difficoltà a notarlo.

    Demolire e mandare via la gente

    «Tutta l’area di Santa Lucia risulta chiusa e transennata con enormi difficoltà per chi ci vive». Parole pronunciate dell’attivista Roberto Panza davanti a una piccola folla di camminatori in pausa. E se i «contratti di quartiere hanno fallito, serve comunque verificare – puntualizza Panza – il percorso dei milioni che la settimana scorsa il Comune ha destinato a Santa Lucia, ma noi crediamo sia sempre il solito giochetto».
    Gli attivisti temono il destino di altri centri storici: buttare giù e demolire, mandare via la gente per favorire la nascita di b&b.
    Timori e proposte si uniscono al caldo che continua a battere duro. Un pugno di superstiti del tour nel centro storico raggiunge alcune sedi istituzionali, compreso Palazzo dei bruzi. In dono portano una pietra e una cartolina della città vecchia. Una di quelle dei crolli, giusto per ricordare di aggiornare i cinque sensi di marcia a sei.

  • Non è la Rai: Wanda scalpita, ma Meloni ha altre mire

    Non è la Rai: Wanda scalpita, ma Meloni ha altre mire

    C’è un retroscena di alcuni mesi fa che potrebbe gettare luci (e proiettare ombre) sull’attuale bailamme del centrodestra calabrese, che si appresta, fatti salvi sorprese e terremoti, a vincere le prossime Regionali. Con un unico problema sul tappeto: il quanto.

    Riavvolgiamo il nastro. Il dietro le quinte risalirebbe alla scorsa primavera e avrebbe due protagoniste: Wanda Ferro e Giorgia Meloni. Quest’ultima, stando ai bene informati, avrebbe gelato la combattiva deputata, che covava da tempo l’ambizione a succedere alla scomparsa Jole Santelli, magari per prendersi una rivincita sulle sfigate Amministrative del 2014.
    Nulla da fare, avrebbe detto la ducessa di Trastevere: fino alle prossime politiche, meglio evitare la Calabria, fonte di guai.
    Che per Fdi, tra l’altro, non sono stati pochi né leggeri: si pensi agli indagati e agli ammanettati eccellenti, frutto spesso di una campagna acquisti non troppo cauta (come nel caso di Giancarlo Pittelli, all’epoca di Rinascita Scott fresco di trasloco da Forza Italia).

    La Calabria, tra le varie controindicazioni di cui i politici romani devono tener conto, ha anche la facilità con cui avvengono indagini e arresti. Lo diciamo con tutto il garantismo possibile, ma pure con la consapevolezza che in politica e per l’opinione pubblica le manette sono sempre micidiali, anche quando l’ammanettato viene prosciolto. E allora, come mai – è proprio il caso di dire – questo ritorno di fiamma? La risposta è, ovviamente, nei corridoi della Roma “che conta”.

    La pietra di scambio

    Si è detto e ridetto che la scintilla sarebbe esplosa per la mancata assegnazione ai meloniani della poltrona in Rai. Ma è solo una scintilla e forse neppure troppo grande per provocare tanto incendio.
    Secondo gli addetti ai lavori il problema vero riguarderebbe le prossime Politiche e starebbe nel mix micidiale tra il patto di coalizione che lega il partito degli ex An con Lega e Fi e la composizione del prossimo Parlamento, dimezzato dal referendum dello scorso autunno. Un cocktail da cui le ambizioni della Giorgia nazionale potrebbero subire un drastico ridimensionamento. Vediamo come.

    Il patto politico prevedeva che seggi e collegi dovrebbero essere distribuiti in base alle proporzioni elettorali ottenute nel 2018. Se fosse confermato, la ducessa incapperebbe male: a lei toccherebbe poco meno del cinque per cento della torta, che varrebbe meno di una guarnizione di zucchero in un Parlamento bonsai.
    Questo timore, motivatissimo, potrebbe spiegare tutte le mosse della Nostra, che si è arroccata a destra, restando all’opposizione mentre gli altri si apprestavano a sostenere Draghi, e ha radicalizzato le proprie posizioni pur continuando a governare nelle realtà regionali e locali in cui il centrodestra è in maggioranze.
    A parti e geografia invertite, sembra lo stesso scenario del 2011.

    Di lotta e di governo

    Nel 2011 l’anomalia non era l’Italia ma la Calabria. Qui Roberto Occhiuto, che era all’opposizione a Roma, aveva piazzato l’Udc in posizioni di governo, in cambio di notevoli dividendi politici: assessorati regionali (anche per placare gli appetiti degli avversari interni, reali e potenziali, a partire dai Trematerra), postazioni di comando a tutti i livelli, il Comune di Cosenza, passato per la prima volta a destra (inclusa quella ex neofascista) grazie a Mario Occhiuto.
    Oggi si è rovesciato tutto: Giorgina governa nelle realtà locali assieme agli alleati romani, ma è la principale oppositrice di Draghi. Anche lei, come Roberto Occhiuto 1.0, di lotta e di governo. Nel frattempo, fa di più: la campagna acquisti, innanzitutto tra gli alleati part time e dove può.
    Così facendo, è lievitata nei sondaggi, che la danno, a seconda dei casi e delle committenze, per prima o per primissima.

    Ma con questi chiari di luna l’insidia è dietro l’angolo, perché ti puoi gonfiare di voti e restare marginale lo stesso. E, peggio ancora, se non hai strutture forti di partito ma ti affidi ai consensi dei notabili vecchi (qui da noi i Morrone) e più o meno nuovi (l’immarcescibile Fausto Orsomarso), rischi l’evaporazione.
    A tacere di un altro rischio: l’iperattivismo delle Procure, che in Calabria sono scatenate e promettono fuoco e fiamme.
    Ce n’è abbastanza per dire che la Calabria non è solo pericolosa ma può portare pure sfiga: come dare torto alla Meloni?
    E allora l’unica soluzione sarebbe: arraffare più voti e ruoli sul territorio per rivenderli bene a Roma, anche, se e quando (come ora) serve, a costo di far saltare il banco.

    Dinamiche (im)politiche

    Dunque, si risveglia Giorgia, si risveglia Wanda – che, a dirla tutta, forse non ha mai dormito – e rialzano la posta. Va da sé che anche un bambino capirebbe che è solo un modo di apparare le cose. Un messaggio non troppo a distanza per far capire agli attuali alleati part time che o mollano qualche osso oppure iniziano i problemi.
    Intendiamoci, la Calabria resta una terra “maledetta” da cui guardarsi a vista, per chi è abituato a negoziare in certi ristoranti della Roma bene. Tuttavia, da noi si gioca la partita più grossa, tolto ovviamente il big match della Capitale: la Regione, dove la vittoria dovrebbe essere cosa fatta, più 83 Comuni, di cui il più importante è Cosenza.

    Partita grossa e complicata: Cosenza sarà pure una città declinante, a livello economico e demografico, ma resta il capoluogo di una provincia che è metà regione e, soprattutto, è il quartier generale della famiglia Occhiuto.
    Non è un caso che, per completare il puzzle, siano utilissimi anche i retroscena cosentini. Uno, in particolare, riguarda la scelta del “campione” che dovrebbe prendere il posto del non più candidabile Mario Occhiuto: il mite e fine Francesco Caruso, che dovrebbe rivendicare l’eredità dell’archistar, il quale per ringraziare gli farebbe da vice.

    La voce più accreditata sostiene che, per meglio indorare la pillola con alcuni potentati cosentini, Roberto Occhiuto avrebbe tentato di attribuire la candidatura di Caruso a Fratelli d’Italia.
    E i meloniani forse accetterebbero, perché i loro big cosentini (i Morrone e Fausto Orsomarso) sono proiettati sulla scala regionale, e lascerebbero spazio per un’altra partita delicata, che farebbe comodo a Roberto Occhiuto: l’affaire Gentile.

    Pino Gentile, il terzo comodo

    La famiglia Gentile sta a Cosenza come l’Impero Ottomano alla vecchia Europa: sono declinanti ma vitali e, soprattutto, controllano ancora molti voti. Nessuno, ancora, può evitare di fare i conti con loro, non foss’altro per aggirarli o affrontarli. Meglio, quando si può, averli alleati. E quest’alleanza per Roberto Occhiuto è una necessità forte, anche per dinamiche politiche che non dipendono da lui.

    Infatti, Andrea Gentile, figlio di Tonino l’ex senatore di Fi ed ex big di Ncd, è il primo dei non eletti di Cosenza alla Camera. Quindi, se Roberto diventasse governatore e lasciasse il posto, Gentile Jr entrerebbe a Montecitorio e risveglierebbe il potere della vecchia dinastia cosentina.
    Non a caso, Pino Gentile sarebbe pronto con una lista per appoggiare Occhiuto nella scalata a Germaneto e a fornire il suo appoggio anche a Cosenza.
    Un equilibrio delicatissimo da gestire perché i calabresi hanno capito benissimo una cosa: la Calabria si vince o si perde da Cosenza e dalla sua provincia. E questo sin dai tempi di Loiero.

    Tiriamo le somme

    E la Meloni, quindi la Ferro, in tutto questo? Fanno in Calabria quel che fanno in tutto il resto d’Italia, dove governano o stanno all’opposizione col resto del centrodestra: rompono le scatole per ottenere di più.
    In questo caso, la Calabria pesa come un Comune del Lazio o una Provincia della Lombardia: è una pietra di scambio. Può essere barattata con più seggi alle prossime Politiche o con un congruo numero di assessorati a Roma, la città in cui il mandibolone del Duce resta un’icona pop in vari strati della popolazione.

    In Calabria, Fdi ha, al momento, il massimo che poteva ottenere nel 2020: la vicepresidenza del Consiglio regionale, l’assessorato chiave del Turismo e le Ferrovie della Calabria, appaltate anch’esse a Fausto Orsomarso.
    Gli analisti sono convinti che la quadra si dovrebbe trovare con la cessione della presidenza o della vicepresidenza, probabilmente alla scalpitante Wanda, che al momento è anche la campionessa di Catanzaro, senz’altro per meriti suoi ma anche per i guai giudiziari capitati a Mimmo Tallini.
    I bene informati riferiscono di recenti consultazioni romane di Roberto Occhiuto per risolvere il problema e a breve avremo la risposta al quesito che affanna la politica calabrese: quanti dividendi dovranno cedere a Roma per consentirgli di governare la Calabria?

  • Multe “pazze” ai residenti, a Cosenza è caos nelle Ztl

    Multe “pazze” ai residenti, a Cosenza è caos nelle Ztl

    Sarebbero più di tremila le multe “pazze” spedite in questi giorni ai cosentini residenti in ZTL. Contravvenzioni salatissime, con sanzioni che superano i 100 euro, sono recapitate a mezzo raccomandata a centinaia di famiglie che abitano nel centro cittadino. L’accusa è di aver violato i divieti di sosta e transito nelle zone a traffico limitato. Ma quasi tutti i destinatari della cartolina verde sono muniti di permesso regolarmente esposto dietro il parabrezza della propria automobile.

    Porte chiuse al Comando

    Dal municipio non si sono degnati sinora di emettere un comunicato per dare spiegazioni sulla valanga di verbali illegittimi. E il silenzio sta provocando non pochi disagi e preoccupazioni, soprattutto tra le persone anziane e disabili. L’accesso al Comando della polizia municipale non è consentito al pubblico fino al 31 luglio. Inoltre, a causa della scarsezza di personale, spesso al telefono non risponde nessuno.

    Come presentare ricorso

    Inoltrandosi nel labirinto delle reti informali, si apprende però che oltre a poter spedire (come indicato nel verbale) un’email a documentale.cosenza@pec.it, i ricorsi in autotutela devono essere inviati via pec a comunedicosenza.poliziamunicipale@superpec.eu.

    Problemi tra pubblico e privato

    Sulle cause del disservizio non esiste una versione ufficiale, ma pare che ci sia un problema nel “ribaltamento” dei dati. Si chiama così in gergo tecnico il versamento da un anno all’altro dei numeri di targa delle automobili munite di parking card e permesso di sosta temporanea in ZTL. Il bug nel sistema deve essersi verificato tra l’ufficio Mobilità del Comune e la società privata di gestione dei dati.

    Dal portale del Comune di Cosenza si apprende che concessionaria del “Servizio e hosting per applicativi in uso al comando della polizia locale 2019-2020” è la Verbatel. Non è dato sapere se sia questa l’azienda tuttora impegnata nell’aggiornamento della banca dati alla quale attingono i vigili quando dalle videocamere a circuito chiuso rilevano un’infrazione e la verbalizzano.

    Di certo, a fare due conti, la sola spedizione delle raccomandate recanti le multe illegittime è costata migliaia di euro. Ma, si sa, le dissestate casse di Palazzo dei Bruzi possono permettersi questo e altri sperperi. Tanto c’è ancora chi si ostina difendere l’affidamento ai privati dei servizi comunali.

  • Scuola: pensavo fosse aiuto, invece era l’Invalsi

    Scuola: pensavo fosse aiuto, invece era l’Invalsi

    «È arrivato l’esito del tampone dei colleghi del corso B?». «Si è positivizzata quella ragazza della terza E». «Hanno intubato il papà del mio alunno». «Dobbiamo chiedere al DSGA di comprare un nuovo termometro. Questo qua non funziona». «C’è un alunno che mi è sparito in DAD ed è sempre assente pure in presenza».
    Nei primi mesi della scorsa primavera, ci siamo resi conto che a scuola era cambiato persino il nostro lessico. Nei corridoi non si parlava più di scrutini, visite guidate e libri di testo. Senza volerlo, ci eravamo ospedalizzati.

    Era il prezzo da pagare, pur di riaprirla dal vivo, la scuola. E quasi rimpiangevamo gli abituali problemi del tempo pre-Covid. Prima del 2020, quando una classe rimaneva “scoperta” per pochi secondi, te ne accorgevi dal fracasso che sentivi provenire dall’interno. Invece, distanziamento e mascherine hanno azzerato pure l’agrodolce frastuono che spumeggia da un’aula imbottigliata di ragazzi quando al cambio dell’ora salta il tappo del prof.

    Tuttavia, la scuola siamo riusciti a rimetterla in piedi. È chiaro che il rischio di contagi non si può annullare, ma basta un po’ di fantasia, pochi accorgimenti e si riduce tantissimo. Sebbene sia davvero difficile insegnare senza giochi didattici, laboratori e gite scolastiche, ci siamo adattati. «Adesso è così, ma passerà», ci dicevamo.
    Così, dove è stato possibile, abbiamo trasferito banchi, cattedre e lavagne all’aperto. Entusiasti i ragazzi e le ragazze, sono tornati a sorridere sotto le mascherine. In palestra, la collega di Scienze motorie ha dovuto rinunciare alle attività di gruppo, eppure in qualche modo ha mantenuto in movimento gli alunni con il training e gli sport individuali.

    Docenti? No, Invalsi

    Tra aprile e maggio 2021, in tutte le segreterie e nelle presidenze delle scuole alla prese con quarantene, classi spezzate e telefonate di genitori isterici, intravedendo l’ormai prossima conclusione di un tortuoso anno scolastico, i primi timidi sospiri di sollievo per aver scampato il rischio di focolai Covid sono stati mozzati dalla domanda di sempre: a settembre dal Miur ci manderanno i docenti per coprire tutte le classi?
    E il Ministero come ha risposto a questa istanza? Semplice, ci ha mandato le prove Invalsi, i diabolici quiz che in teoria dovrebbero misurare qualità e quantità dell’insegnamento attraverso il grado di apprendimento raggiunto dagli studenti.

    Fin qui, non ci sarebbe nulla di anomalo. In fondo, ad inviarci i quiz è lo stesso Stato che un anno fa acquistava cacciabombardieri F35 mentre gli ospedali erano al collasso. Il problema però è che la “somministrazione” (si dice proprio così in gergo scolastico, quasi fossero medicine) delle prove Invalsi, ogni anno, destabilizza l’organizzazione delle singole scuole, impegnando migliaia di docenti in procedure digitali snervanti ed avulse dalla didattica, distraendoli dal reale compito che dovrebbero svolgere: insegnare. Soprattutto in quei mesi difficili, a molti di loro le Invalsi hanno impedito di stare vicini, per quanto fosse possibile, ai ragazzi.

    Dai banchi a rotelle alle colonie estive

    E lo show dei vertici della scuola pubblica italiana è andato oltre. Avrebbero potuto e dovuto eliminare gli adempimenti burocratici più insulsi: i vari PTOF, RAV, GLI, PEI, NIV. Invece, li hanno pretesi tutti! E mentre il mondo intero guardava con sospetto il vaccino Astrazeneca, ce lo siamo fatto iniettare con bramosia. Una volta tanto accomunati ai “poliziotti proletari decantati da Pasolini”, ci è toccato pure leggere e sentire che ancora una volta noi insegnanti saremmo dei “privilegiati”, perché ci è stato somministrato prima di tutti gli altri cittadini.

    Nelle scuole medie, per molti di noi è stato disposto il richiamo della vaccinazione con 10 giorni d’anticipo rispetto ai tempi prestabiliti, pur di evitare che eventuali effetti collaterali complicassero lo svolgimento degli esami di terza, ridotti a una pantomima. Poco male. Non ha desistito la tecnocratica catena di comando che a suo tempo ideò i banchi a rotelle. Invece di rispondere alle domande di tanti presidi sulle modalità organizzative per riavviare la didattica dal vivo e in sicurezza a settembre, ci ha mandato i soldi per aprire le colonie estive, ammantando questa pietistica prassi con le solite paroline magiche: “rinforzare, potenziare, competenze, recuperare”.

    Quale Dad senza connessione?

    Frattanto, la Regione ci bombardava di ordinanze e distribuiva tablet, fingendo di non sapere che nel Paese in coda alla classifica degli Stati dell’UE per accesso ad internet, la Calabria è la meno connessa di tutte le regioni: soltanto il 67% delle famiglie riesce a navigare on line. Se ne sono accorti a fine anno scolastico tanti insegnanti ultras della bocciatura, che avrebbero voluto conteggiare le assenze effettuate dai loro alunni in DAD, pur di motivarne la non ammissione all’anno successivo. In fase di prescrutini qualcuno ha fatto notare che per impugnare una bocciatura dinanzi a un giudice, e ottenerne l’annullamento, basterebbe la perizia di un tecnico informatico attestante la precaria connessione nell’abitazione dell’alunno bocciato.

    Anche di queste problematiche si discuteva nei corridoi delle scuole italiane nella primavera scorsa. Tra gli insegnanti nei quartieri popolari e nelle periferie, in tanti si chiedevano soprattutto come recuperare i ragazzi e ragazze che hanno abbandonato le lezioni nei mesi della pandemia. Sono gli stessi alunni che negli anni prima della pandemia era stato faticoso ma appagante riportare tra i banchi. E adesso sono spariti di nuovo, marginalizzati da un virus che si accanisce sulla povertà ed alimenta ignoranza. Ma di tutto ciò ai tecnocrati assoldati dal Miur non interessa niente. Bisogna fare i quiz e recarsi genuflessi all’oracolo dell’Invalsi.

     

  • Scuola alla deriva, oltre l’Invalsi c’è di più

    Scuola alla deriva, oltre l’Invalsi c’è di più

    «Se il padrone conosce mille parole e tu solo cento, sei destinato a restare servo», diceva in maniera populistica eppure allo stesso tempo eretica don Milani per sottolineare l’importanza della scuola. Ma se il prete di Barbiana aveva ragione – e probabilmente l’aveva – allora una intera generazione di studenti calabresi sembra destinata alla subalternità sociale.

    A raccontare la facile previsione sono i dati prodotti dall’Invalsi, ente auto generato dalla scuola italiana per conoscere e valutare il grado di competenze raggiunte dagli studenti del nostro Paese.
    Nelle classifiche prodotte dai test cui gli studenti vengono da tempo sottoposti, la Calabria occupa stabilmente gli ultimi posti e i dati del 2021 non promettono miglioramenti. Siamo in fondo alla classifica per quanto riguarda la conoscenza dell’italiano, le competenze scientifiche, la padronanza delle lingue straniere.

    E qui torna, aggiornata ai tempi moderni, la profezia di don Milani: conoscere significa capire e governare il mondo che ci circonda, vuol dire consapevolezza e capacità di scegliere e decidere da persone libere, costruire opportunità di riscatto per tutti, non solo per se stessi, perché il sapere libera dal bisogno. Al contrario, non acquisire quelle capacità, significa rassegnarsi ad un ruolo di subalternità, dove qualcun altro sceglie e decide quasi ogni cosa, perfino per chi votare.

    La Caporetto della scuola calabrese

    Ma dove cercare le responsabilità, o almeno le ragioni della Caporetto della scuola calabrese? «L’errore più ricorrente è quello di considerare i dati Invalsi come una valutazione degli insegnanti, invece i test nascono con uno scopo più ampio: tenere conto dei molti attori coinvolti nel processo educativo-formativo, e della mutevolezza delle realtà sociali», spiega Sabina Licursi, docente dell’Unical, sociologa ed esperta di politiche sociali ed educative.

    È certamente come avverte la docente, tuttavia la sensazione diffusa è diversa e la scuola calabrese vive male i test. «Il test è solo un metodo, che ha anche parecchi limiti – continua Licursi – ma i risultati vanno interpretati tenendo conto dei diversi contesti». Una situazione che spinge Maddalena Gissi, segretaria generale della Cisl scuola, a dire «che le ragioni di criticità emerse in Calabria sono il riflesso di una debolezza di contesto per la quale non a caso si invocano da anni politiche di maggior attenzione e di più efficace investimento».

    Lo scopo dunque dovrebbe essere individuare le radici dei deficit nei risultati e una volta compiuto questo lavoro, «apportare quegli interventi necessari, estendere il tempo pieno, canalizzare risorse, mettere in connessione i cicli formativi – aggiunge ancora Licursi – ma tutto questo significa far diventare la scuola calabrese un tema politico».

    Alla deriva senza timonieri

    Ed eccoci al cuore della questione: c’è uno scarto tra il mondo delle promesse e quello spietato della realtà, in cui nulla davvero cambia. Per avere la misura della situazione della scuola in Calabria, basti pensare che da molto tempo ormai essa è acefala. Manca una direzione regionale, dopo la tragedia di Giovanna Boda, dirigente del Ministero mandata in Calabria a sostituire Maria Rita Calvosa perché indagata per uno scandalo di mercimonio di titoli scolastici. La Boda, appena saputo di essere pure lei indagata, per altre ma non diverse ragioni, ha tentato il suicidio.

    Di fatto oggi al timone della scuola calabrese non c’è nessuno e non pare che la cosa interessi qualcuno. «Il fatto è che noi non abbiamo alcun peso politico – spiega Massimo Ciglio, dirigente scolastico cosentino – il destino della scuola calabrese non è tra le priorità, come del resto non lo è nemmeno quello politico». Insomma, la Calabria non è nei radar dello Stato. Né per la sanità e ancor meno per la scuola, un destino di marginalità che abbraccia ogni aspetto del vivere sociale. E, come aggiunge ancora Maddalena Gissi, «prima ancora che di risorse, la scuola dovrebbe essere oggetto di un investimento morale da parte della comunità in cui agisce».

    La scuola bipolare e l’Invalsi

    Restando all’Invalsi, Ciglio spiega che nella scuola italiana c’è una sorta di bipolarismo. Infatti, tutte le indicazioni nazionali in fatto di apprendimento valorizzano forme di sapere complesso, non misurabile con l’aridità di un test come quelli Invalsi. Che è come dire che insegniamo a studiare in un modo e poi misuriamo quello studio nel modo opposto.

    Resta il problema della qualità dei docenti calabresi, dei quali si deve capire quanto è forte la vocazione ad insegnare. «Come matura questa scelta professionale? Perché è chiaro che, sia pure dopo molti anni di faticoso precariato, alla fine i docenti approdano a un lavoro stabile», dice Licursi. Il sospetto è che non tutti i prof, ma non solo quelli calabresi, siano in cattedra non proprio per scelta.

    Docenti senza motivazioni

    Viene in mente Lévi-Strauss, secondo cui dopo aver superato il concorso per la docenza «volendo ci si poteva riposare definitivamente». L’antropologo si burlava dei prof francesi degli anni ’50, ma oggi non sembra che le cose siano diverse.
    «C’è sicuramente una certa pigrizia intellettuale – racconta il preside Ciglio – e per strappare i docenti a questo destino servono idee, risorse e bellezza». Quella che manca quasi sempre nelle nostre scuole, casermoni concepiti per una didattica ampiamente superata, fatta per compartimenti stagni. Oggi, però, la parola magica è connessione.

    Sullo stesso tema, quello della motivazione dei docenti, la professoressa Licursi sottolinea come il mestiere di docente non sia limitato alla trasmissione di saperi, ma soprattutto implichi la capacità di costruire relazioni.

    Gli ispettori a scuola

    C’è poi il problema dei corsi di aggiornamento, croce e tormento di eserciti di insegnanti. La prassi è stata a lungo la seguente: li si convocava con un ordine di servizio piuttosto vago che sembrava far riferimento ad un non preciso obbligo; li si riuniva in una sala ampia (prima della pandemia, ovviamente); li si costringeva ad ascoltare relazioni i cui contenuti restavano alieni, recitati da ispettori ministeriali potenti e perciò temuti.

    Attorno a queste pratiche inutili e mortificanti, gira un bel po’ di denaro e certe volte si è scivolati nell’imbarazzo. Come quando insistentemente si è chiamato a spiegare come fare bene il lavoro di docente, un potentissimo ispettore, finito poi a Poggio Reale per accuse piuttosto gravi e tutt’ora ai domiciliari.
    Eppure per fare bene il mestiere di docente basterebbe poche cose, tra cui capire cosa vogliono i ragazzi in una età in cui non riescono ad immaginare il loro futuro.

    Quale futuro per la scuola?

    Cosa può fare la scuola? Occuparsi di cose reali, uscire dalle aule, entrare nei mutamenti sociali e preparare gli studenti alla complessità. Ma soprattutto strappare i docenti al destino che li vuole sempre sospesi tra l’ignavia e l’eroismo, riconoscendo il loro ruolo. È ancora la sociologa Licursi a raccontare come in una ricerca finalizzata al contrasto delle povertà educative che ha osservato studenti dai 14 ai 17 anni, da Pordenone fino a Trebisacce, sia emersa la necessità sentita diffusamente dai giovani di capire il mondo attorno a loro, immergendosi nella realtà.

    Intanto, lontano anni luce da tutto ciò esiste un mondo che si chiama Burc, dove nel gennaio 2021 chi governa la Regione scrive la lista delle buone intenzioni. Preso atto dei risultati degli Invalsi, nella Cittadella hanno deciso che «dare la priorità all’innalzamento delle competenze di base richiede di intervenire a favore di alcuni target», come gli studenti provenienti da contesti svantaggiati. E di «qualificare, modernizzare e rendere più inclusivi i sistemi di istruzione e formazione attraverso azioni di formazione e riqualificazione del personale e dei docenti». Ma anche di «rendere le scuole più sicure, efficienti, accessibili, ma anche attrattive e innovative attraverso interventi di mitigazione del rischio sismico degli edifici scolastici».
    Alla fine spezzeremo le reni all’Invalsi. Forse.

  • Cosenza seconda in Italia per intimidazioni ad amministratori

    Cosenza seconda in Italia per intimidazioni ad amministratori

    Cosenza è la seconda provincia per numero di intimidazioni agli amministratori locali dopo Napoli nel 2020. Sono 26 rispetto ai 17 del 2019. Il numero complessivo delle intimidazioni è sceso a 12 nel primo semestre del 2021, rispetto ai 16 dello stesso periodo nel 2020. La Calabria si piazza al quinto posto tra tutte le regioni nell’analisi relativa ai trend del primo trimestre del 2021.
    Sono dati emersi dal report dell’Osservatorio nazionale sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali.

    Garantire sicurezza ai sindaci

    Dobbiamo garantire ai sindaci la giusta sicurezza, la tranquillità di poter svolgere il proprio mandato senza «pressioni” o delegittimazioni. Altrimenti diventerà sempre più difficile e rischioso svolgere l’attività di amministratore pubblico».
    Sono parole espresse da Franco Iacucci, presidente della Provincia di Cosenza. Stamane ha partecipato – on line – come delegato dell’Upi (Unione province italiane) alla riunione dell’Osservatorio nazionale sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori. Erano presenti il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese e il sottosegretario Ivan Scalfarotto.

  • Figc, la riforma della B tiene in bilico il Cosenza

    Figc, la riforma della B tiene in bilico il Cosenza

    «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»: è quasi automatico pensare alle parole di Tancredi Falconeri ne Il Gattopardo dopo la decisione della Figc di non riammettere già da ieri mattina il Cosenza in serie B.
    Una scelta inedita, quella di attendere le motivazioni della sentenza prima di eseguirla, che ha fatto storcere il naso a parecchi. Il nuovo modus operandi adottato per la prima volta con (o, secondo qualcuno, a danno de)i Lupi, che già pregustavano la riammissione, non è privo di fondamenti giuridici. O, almeno, non lo è del tutto.

    A spiegarlo a I Calabresi è Vincenzo Ferrari, professore emerito dell’Università degli Studi di Milano e già preside e direttore della Scuola di dottorato della facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo meneghino. «L’attesa della motivazione rientra nella discrezionalità della Federazione che deve dare esecuzione alla sentenza», spiega l’accademico. Ma quella discrezionalità ha comunque vita breve: «Cesserà immediatamente – aggiunge Ferrari – non appena verrà depositata la motivazione».

    Lo Sport si inchina al Tar?

    Quello che al professore non torna è che la Figc, nel lasciare la patata bollente in mano al suo presidente Gravina, abbia chiamato in causa in un comunicato di ieri anche «le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico» che potrebbero arrivare dal Chievo. «Non sarebbe in ogni caso legittimo – precisa Ferrari – attendere la decisione del Tar, poiché quello sportivo è un ordinamento autonomo e le decisioni vanno attuate senza ritardo dagli organi sportivi».

    Eppure a coinvolgere nel discorso i tribunali amministrativi è proprio la Figc, quasi come se quelli che hanno già respinto il ricorso dei veronesi (a cui invece dovrebbe fare riferimento la Federazione) rinunciassero alla propria autonomia. O come se nelle udienze “contro” il Chievo non ci fosse la Federazione stessa. «È un po’ strano – prosegue ancora Ferrari – che si dica “aspettiamo il Tar”, la giustizia sportiva è indipendente da quella ordinaria. Ed è alle decisioni della prima che la FIGC si dovrebbe adeguare». Stranezza che aumenta quando si pensa che ad esprimersi contro i veneti sono già stati la Covisoc, il Consiglio federale e il Collegio di Garanzia del Coni. Tre gradi di giudizio evidentemente non bastano, se nel calendario della prossima stagione di B, quantomeno fino al 2 agosto, per il momento resta una X al posto della ventesima squadra iscritta.

    La politica alza la voce

    In riva al Crati, nel frattempo, si grida al complotto per paura che dopo una riammissione che sembrava ormai certa possano arrivare spiacevoli sorprese. La politica, com’è scontato che sia, prova a blindare la “vittoria” dei rossoblu. Il consigliere comunale Giovanni Cipparrone invita alla battaglia «tutta la deputazione cosentina e calabrese», chiedendo che presenti un’interrogazione parlamentare «cazzuta». «Non solo si sta perpetrando un danno ad un’intera città calcistica, ma si sta cercando di far passare per giusti degli evasori riconosciuti da tutti fino ad oggi.». Il suo collega Sergio Del Giudice, a propria volta, non usa troppi giri di parole, commentando «l’ennesima grottesca baggianata degli organi federali». Auspica anche lui interrogazioni parlamentari, ma anche che sia Cosenza stessa a dare un segnale. «Chiedo – scrive – al sindaco Occhiuto ed alla Giunta tutta, nonché allo stesso presidente Guarascio ed ai suoi legali, di presentare formale diffida alla Figc ed al suo presidente Gravina al fine di predisporre l’immediata riammissione del Cosenza Calcio al campionato di Serie B. Diciotto anni fa, per cose molto meno gravi, proprio il Cosenza fu fatto sparire dal calcio che conta per favorire la Fiorentina».

    Occhiuto alle diffide per ora non pensa. Ma dichiara che «alla luce del pronunciamento del Consiglio federale, la serie B per il Cosenza non può più essere messa in dubbioné dalle motivazioni del Collegio di garanzia che il presidente Gravina ha chiesto di attendere, né da tardivi ricorsi al Tar. Cosenza e la sua squadra di calcio – prosegue – meritano rispetto. Fiduciosi nella positiva conclusione di questa vicenda – conclude il sindaco – vigileremo contro ogni eventuale colpo di mano affinché trionfino i valori dello sport e della correttezza».

    Le differenze tra 2021 e 2003

    Quanto al precedente del 2003 rievocato da Del Giudice, quasi vent’anni dopo quella decisione che favorì la Viola è ancora dura da digerire per i tifosi rossoblu. Ma anche per chi a quei tempi guidava il Cosenza. Luca Pagliuso – figlio dell’allora presidente dei Lupi, Paolo Fabiano – racconta come il parallelo tra quanto accaduto allora e gli ultimi avvenimenti sia però improprio. «All’epoca subimmo un danno economico enorme, con un parco giocatori che valeva decine di milioni che si svincolò». «Penso che fosse stato tutto deciso già da mesi, il Cosenza fu ucciso dalla Figc e da altri», aggiunge alludendo all’inchiesta del pm Facciolla che vide coinvolto – e poi assolto con formula piena negli anni successivi – suo padre.

    Tornando all’attualità, Pagliuso Jr preferisce non esprimere giudizi sulla gestione Guarascio. Ma la scelta della Figc ha lasciato pure lui perplesso e un consiglio al presidente rossoblù alla fine prova a darlo. «La società dovrebbe diramare un comunicato in cui dichiara che in base alle decisioni arrivate si considera riammessa in B, cominciare ad acquistare giocatori per la categoria e depositare i loro contratti. Così facendo metterebbe spalle al muro la Federazione, paventandole il rischio di dover risarcire poi i Lupi se quei contratti si dovessero stracciare per la mancata riammissione».
    Difficile pensare che a via degli Stadi gli diano retta: la proverbiale parsimonia di Guarascio non lascia immaginare esborsi nel breve, tanto più con la possibilità di ritrovarsi sul groppone stipendi più alti della media di un eventuale campionato di C.

    La riforma dei campionati dietro la scelta della Figc

    Il vero nodo della questione, più che la giurisprudenza, le dietrologie e le strategie, sembra essere la riforma del calcio professionistico che Gravina e Figc vorrebbero concludere nel giro di tre anni. La riduzione da 20 a 18 squadre della B mal si concilia con l’ipotesi che nella stagione 2021/2022 ce ne possano essere 21 a sfidarsi. Riammettere il Cosenza fin da subito, come logica avrebbe voluto dopo l’ennesima bocciatura delle ragioni del Chievo, non implica automaticamente che i veronesi non possano vederle riconosciute dal Tar nel futuro prossimo. Questo obbligherebbe la Figc a far rientrare in serie cadetta anche i gialloblu oltre ai Lupi. E passare da 21 a 18 è più complicato che farlo partendo da 20.

    E allora, proprio come nel libro di Tommasi di Lampedusa, per far restare tutto come è ora, senza squadre di troppo, meglio cambiare tutto. Ossia non fare quello che si chiedeva di fare – in aula contro il Chievo c’era la Figc stessa, non il Cosenza – nonostante la decisione arrivata sia favorevole. Poi prendere ancora tempo in attesa delle fatidiche motivazioni della propria vittoria. Se è per essere sicuri che l’esclusione dei veronesi sia blindata e non modificabile dal Tar oppure per far fuori il Cosenza si potrà capire solo tra qualche giorno.

  • Calcio, la Figc ci ripensa? Cosenza nel limbo

    Calcio, la Figc ci ripensa? Cosenza nel limbo

    La Figc smentisce se stessa. Il Consiglio federale, dopo aver promesso per oggi la definizione dei partecipanti ai vari campionati di calcio della prossima stagione, decide di prendersi qualche altro giorno di tempo. Ad annunciarlo è la Gazzetta dello Sport in un articolo a firma di Nicola Binda. L’esclusione dalla B del Chievo resterebbe quindi in sospeso, nonostante la decisione in tal senso del Collegio di Garanzia del Coni.

    Stando alla Rosea, a porre la parola fine alla diatriba, quindi, dovrà essere il presidente della FIGC Gravina. Si attende la pronuncia anche del Tar del Lazio, al quale i veronesi – così come altre società escluse dalla C – presenteranno ricorso per provare a ribaltare il verdetto avverso incassato ieri.

    Calcio nell’incertezza ancora per giorni

    Resterebbe dunque nel limbo il Cosenza, che già stamattina si aspettava di leggere il proprio nome al posto della X presente finora sui calendari. Niente riammissione per il momento in cadetteria, in attesa di ulteriori valutazioni. La conclusione della vicenda dovrebbe arrivare nei primissimi giorni di agosto (il 2 o il 3 probabilmente, sempre secondo la Gazzetta dello Sport).

    Per quale motivo i vertici nazionali del calcio, che solo ieri ribadivano tramite i loro legali la necessità di estromettere il Chievo dalla B, avrebbero cambiato linea adottando quella della prudenza? Con ogni probabilità a influire nella scelta sarebbe il rischio che, riammettendo il Cosenza e con una successiva vittoria al Tar del Chievo, il campionato di B si ritrovi nuovamente con 21 squadre iscritte. Un controsenso in condizioni normali, ancora di più con la prospettiva di ridurre a 18 le squadre partecipanti da qui al 2024.

    Il comunicato della Figc

    Nel pomeriggio la Figc ha rilasciato un lungo comunicato, con un passaggio dedicato proprio alla questione della riammissione del Cosenza: «Il Consiglio ha dato delega al presidente federale, insieme ai presidenti delle componenti, per procedere al completamento delle vacanze di organico attese le motivazioni del Collegio di Garanzia del Coni e le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico.

    In applicazione del Comunicato Ufficiale n.288/A del 14 giugno sono arrivate due domande di riammissione in Serie B da parte delle società Cosenza e Reggiana. Il Consiglio ha preso atto del parere delle Commissioni e dei criteri del Comunicato Ufficiale n.279/A del 14 giugno per l’integrazione dell’organico e ha indicato il Cosenza quale società con priorità per la riammissione al campionato di Serie B».

    Ora non resta che aspettare la prossima puntata della telenovela, col presidente Gravina protagonista.

     

  • Primo a promettere, Ultimo a mantenere: l’annuncite di De Caprio

    Primo a promettere, Ultimo a mantenere: l’annuncite di De Caprio

    Suo malgrado e certamente per necessità, almeno sulle mascherine il Capitano Ultimo è stato un precursore. Il volto lo copre da tanti anni, più di quelli trascorsi da quando catturò Totò Riina. Oggi, però, Sergio de Caprio non è più un uomo dell’Arma bensì un politico atipico. Che continua a definirsi «carabiniere straccione» e che ha in mano un settore delicatissimo e complicato qual è l’ambiente calabrese.

    Il video di propaganda

    La delega all’Ambiente gli è stata affidata, com’è noto, la compianta Jole Santelli annunciandolo con una conferenza stampa show – con tanto di trailer che vi riproponiamo sotto – che si tenne a neanche un mese dalla sua elezione a presidente della Regione.

    https://www.facebook.com/345246979000406/videos/191624481921897

    Non in quella Calabria che si disse di voler trasformare in «una grande riserva naturale», ma in un elegante sala di Montecitorio. «Sono nato dove il vento corre libero e non c’è niente che spezza i raggi del sole», dice di sé su Twitter il Capitano Ultimo, impregnando ogni post della retorica del «popolo della strada» e della «fratellanza» contro «l’avidità del dominio».

    Diciotto mesi di annunci

    Se con lui all’assessorato all’Ambiente sia stata fatta «una scelta chiara per la #Calabria che vuole #dialogo e #democrazia contro ogni autoritarismo politico o mafioso» e se si stia concretizzando l’obiettivo di «tutelare l’autodeterminazione delle comunità calabresi» spetta agli stessi abitanti della regione valutarlo. Intanto però dalla sua nomina sono passati 18 lunghi mesi e di annunci Ultimo ne ha fatti tanti. Il più recente riguarda un “problemone” storico come quello della depurazione.

    «Abbiamo sbloccato situazioni – ha dichiarato lo scorso 21 luglio – che erano ferme da anni. Le abbiamo monitorate con i sindaci e con i tecnici dei Comuni. Abbiamo preparato 125 interventi su 120 Comuni e finanziato le progettazioni con 65 milioni di euro già approvati, come anticipo sul Fondo di coesione e sviluppo, ai quali si aggiungeranno quasi 200 interventi, ridimensionati su 100 milioni di euro». Tutto questo «si chiama programmazione», ha aggiunto. Gli effetti concreti sul territorio di tanta capacità programmatica, però, quando la seconda estate del suo assessorato è già in parte compromessa e inchieste come quella della Procura di Paola svelano situazioni quantomeno imbarazzanti, stentano ancora a rivelarsi.

    Certamente la questione è atavica. E il «mare da bere» i calabresi, in particolare in alcuni tratti del litorale tirrenico, se lo sognano fin dai tempi delle scuse pubbliche di Agazio Loiero, i cui successori non sembrano aver fatto meglio. Intanto se ne occupano le Procure: quelle di Vibo e Lamezia hanno creato una sorta di team interforze per monitorare l’inquinamento del mare. E i politici di ogni schieramento che minacciano di denunciare chiunque dica che il mare è inquinato si ritrovano a fare i conti con ciclici imbarazzi.

    L’assessore smentito dal “burokrate”

    A Ultimo capita anche di puntare il dito contro i «tanti burokrati che cercano solo il dominio». Ma chissà cosa pensa di quelli che hanno la responsabilità amministrativa del suo settore alla Cittadella. Un caso, anche questo recente, fa capire quanto sia disarmante misurare la distanza tra le parole e la realtà, tra gli annunci e le carte. È successo a San Ferdinando, Comune della Piana di Gioia Tauro nel cui territorio sfocia un fiume, il Mesima. Attraversa buona parte dell’entroterra vibonese ed è indicato da anni come portatore di inquinamento perché qualcuno ci sversa dentro reflui e liquami di ogni tipo.

    Il Comune di San Ferdinando si dà da fare per cercare di evitare che anche quest’anno arrivi a mare una certa portata di schifezze. Ma con pochi fondi l’unica soluzione praticabile secondo l’ente è ancora una volta quella dello sbarramento. Realizzare, cioè, una sorta di diga di sabbia con dei tubi che ci passano in mezzo per cercare di filtrare i liquidi inquinanti prima che sfocino a mare. Il Comune avvia quelle che vengono definite interlocuzioni istituzionali e già a marzo incontra Ultimo. L’ultima riunione risale al 30 giugno. «L’assessore De Caprio – ha fatto sapere l’amministrazione di San Ferdinando – ha garantito il sopralluogo immediato da parte di Calabria Verde in previsione dello sbarramento della foce».

    Succede però che il Wwf insorga perché ritiene lo sbarramento non risolutorio e dannoso per l’ecosistema dell’area e che chieda alla Regione se abbia autorizzato o finanziato interventi simili. La risposta del direttore generale del dipartimento Ambiente è stringatissima, ma eloquente. «Non risultano al momento interventi finanziati da questo Dipartimento per lavori sul fiume Mesima, né richieste di autorizzazioni per la realizzazione di interventi». In sostanza il dirigente generale smentisce ciò che Ultimo aveva garantito agli amministratori locali.

    Le ultime parole famose

    Il comunicato sul sito web della Regione porta la data del 3 novembre 2020. Il titolo è: «Rifiuti, De Caprio: “Ecco il piano che cambierà la regione”». L’attacco, con le dichiarazioni dell’assessore-carabiniere, è ancora più deciso: «Abbiamo approvato le linee guida del Piano di gestione rifiuti regionale, che ci porterà a discariche zero entro due anni». È un «provvedimento – continua Ultimo – completo, di sistema. Lo faremo alla luce del sole per la Calabria e insieme ai calabresi». Un anno è quasi già passato, quel Piano non è finora mai arrivato nell’aula del consiglio regionale, che intanto approva cose evidentemente più urgenti come il tg web di Palazzo Campanella. È rimasto, dunque, solo un atto di indirizzo.

    Dal privato al… privato

    In vigore c’è invece quello approvato nel 2016 dalla maggioranza che allora sosteneva Mario Oliverio. Prevedeva la realizzazione di una serie di impianti per i quali a distanza di 5 anni si registrano forti ritardi. Le conseguenze di tutto ciò si rivelano in una recente ordinanza. Nel documento la Regione ammette che tra luglio e settembre potremmo portare fuori dalla Calabria 10mila tonnellate di rifiuti «a prezzi esorbitanti» e che comunque ciò non basta. Così siamo tornati a portare i rifiuti alla discarica della società Sovreco a Crotone a cui viene riconosciuta una tariffa di 180 euro a tonnellata per un massimo di 600 tonnellate al giorno. Equivale a oltre 100mila euro ogni 24 ore.

    A proposito del ricorso ai privati, però, Capitano Ultimo aveva assicurato: «La cosa più importante è quella di creare una metodologia di dialogo trasparente e privo di interessi locali». Tutto questo per «affrontare e sostenere la transizione di un sistema della gestione del ciclo dei rifiuti sempre emergenziale, condizionato dalla prevalenza di interessi privati, ad un sistema a prevalenza pubblica». Un anno fa la stessa Santelli aveva respinto la proposta di conferire a Crotone a costi minori di quelli attuali rivolgendosi, peraltro, anche a un paio di Procure.

    Le pale girano ancora

    Anche qui partiamo da un annuncio. Ansa, 9 febbraio 2021: «Sono state sospese in Calabria le autorizzazioni per la realizzazione di impianti eolici ed elettrodotti “in quanto rappresentano una violenza alla bellezza della regione e allo sviluppo del turismo”. Lo ha disposto l’assessore alla Tutela dell’ambiente della Regione, Sergio De Caprio». Ci si aspettava che a una dichiarazione del genere, accolta con un certo favore dagli ambientalisti, seguisse una legge regionale. O, almeno, un atto di indirizzo politico. Invece nulla, nessun provvedimento ufficiale. Forseci si è resi conto che la Corte costituzionale ha già bocciato un tentativo analogo fatto dalla Regione Campania nel 2016.

    Intanto succede, per fare due esempi, che a Cirò (Crotone) solo una sollevazione dei viticoltori impedisca che venga costellata di pale eoliche la “collina del vino”. E che a San Vito sullo Jonio (Catanzaro) si decida di tagliare 750 alberi per fare spazio ai moderni mulini a vento. Su quest’ultima vicenda non è noto il parere di Ultimo.

    La multiutility? Sorical permettendo

    Tranquillizza, però, sapere che «la Calabria si allontana dalla palude del localismo condizionato da lobby e ‘ndrangheta e crea una multiutility pubblica che gestirà rifiuti, acqua ed energia rinnovabile in una dimensione interregionale, insieme al Mezzogiorno del Mediterraneo, portando benessere e sviluppo per il popolo calabrese».

    Di concreto, in realtà, al momento c’è solo una delibera di indirizzo con cui la Regione prova a verificare se ci siano le condizioni per acquisire le quote private di Sorical e, così, far uscire dalla liquidazione avviata 9 anni fa la società che gestisce l’acqua calabrese, magari per farne un vessillo elettorale della Lega. Ma aspettiamo fiduciosi.

  • Calcio: Cosenza riammesso in B, addio alla favola Chievo

    Calcio: Cosenza riammesso in B, addio alla favola Chievo

    Il Cosenza torna in serie B e il Chievo saluta il calcio professionistico. È arrivata in serata la notizia che tutti nel capoluogo bruzio aspettavano. Niente più retrocessione per i rossoblù, nonostante la società e la squadra abbiano fatto di tutto per meritarla nella passata stagione. I Lupi, salvo ulteriori inversioni di rotta della Lega dopo lo scontato ricorso dei veronesi al Tar, tornano in serie cadetta senza passare dalla C in cui erano precipitati a fine campionato. A tirarli fuori dal baratro, proprio come l’anno scorso, sono stati ancora i gialloblù, stavolta per problemi economici.

    La decisione a Roma

    I legali della Figc nel pomeriggio hanno chiesto la conferma dell’esclusione dei veronesi, ribadendo la posizione già espressa dalla Covisoc. La tesi che hanno sostenuto è che non potevano esserci trattamenti di favore per il Chievo, visto che le altre società hanno rispettato le tempistiche fissate per tutti. Gli avvocati clivensi, dal canto loro, hanno portato avanti la tesi secondo cui gli arretrati accumulati tra il 2014 e il 2018 dalla società non avrebbero implicato in automatico l’esclusione della squadra dalla serie B. Alla fine il Collegio di Garanzia ha ritenuto che la ragione l’avesse la Figc e, di riflesso, il Cosenza.

    I problemi del Cosenza restano

    A prescindere dal successo di oggi, i problemi per il Cosenza Calcio restano identici a ieri. La strappo tra i vertici societari e la tifoseria non sembra ricucibile: la stagione fallimentare appena conclusa e il successivo, prolungato e ingiustificabile silenzio del presidente Guarascio sulle prospettive per il 2021/2022 non si cancellano con una sentenza, positiva o meno che sia. La programmazione rimane, come da diversi anni a questa parte, un’illustre sconosciuta a via degli Stadi. Il nuovo ds è arrivato nei giorni scorsi, l’allenatore non c’è ancora. Quanto ai giocatori, la rosa al momento non è sufficiente nemmeno a organizzare una partitella amatoriale tra amici, figuriamoci affrontare un ritiro e un campionato ormai alle porte. E se la questione non era di poco conto per una squadra di C, figuriamoci per una di B.