Quanto sembrano lontani i tempi (brevi) in cui Carlo Tansi e Luigi de Magistris andavano “in Tandem” promettendo di rivoltare la Calabria come un calzino. Oggi i due ex alleati se le danno di santa ragione, come se fossero nemici giurati da sempre. Soltanto sei mesi fa si autodefinivano – la frase è di Tansi – «come Coppi e Bartali che si scambiano la borraccia», due campioni che si supportano in nome del «lavoro di squadra che abbandona i personalismi». Adesso, dopo quella su chi ha l’ego più grande, conducono una nuova gara tutta loro. Ci si sfida ad accusare l’altro di essere il più compromesso con il sistema che entrambi promettevano di scacciare dai palazzi della politica.
Il ritorno del Put
Illustre assente del duello tra i due ex amici è l’eleganza. Tansi ha dato prova del suo proverbiale savoir-faire rispolverando un intramontabile classico: i pregiudizi contro i napoletani, maestri della finzione, e le loro presunte allergie al lavoro. Per il geologo il «quasi ex sindaco napoletano futuro disoccupato» starebbe «cercando di convincere i calabresi, con le indiscusse capacità di recitazione che sono chiaramente impresse nel suo DNA, di garantirgli per i prossimi cinque anni uno stipendio ed evitargli l’incubo dell’iscrizione alle liste di disoccupazione napoletane».
E via con la lista dei personaggi con cui de Magistris starebbe brigando in cerca di voti: Mario Oliverio in primis, ma anche Giuseppe Giudiceandrea, Giuseppe Aieta e Antonio Billari, Francesco D’Agostino e Brunello Censore. Tutta gente dell’ormai mitico Put, l’acronimo coniato dall’ex capo della Protezione civile per inglobare nel Partito unico della torta chiunque non stia con lui.
Una torta tutta per Tansi
La torta fatta preparare da de Magistris per replicare alle accuse di Tansi
De Magistris, dal canto suo, più che la sceneggiata, come lo accusa Tansi, chiama in causa un altro grande classico partenopeo: i dolci. Alle invettive del geologo replica dandogli appunto del pasticciere. Specializzato per di più proprio in quella torta che tanto dichiara di disprezzare. Le candidature filo oliveriane nelle sue liste? «Bugie» inventate da chi ha «svelato la propria voglia di assaggiare la torta insieme a quel famoso Put che oggi è l’unico a potergli garantire, o almeno così pensa Tansi, un qualche tipo di poltrona e qualche prebenda». Una stoccata, quest’ultima, condita dalla foto di una torta col faccione di Tansi sopra. Perché a Napoli di pasticceria, come di sceneggiate, se ne intendono.
Chievo fuori, Cosenza dentro. Oppure l’esatto contrario. Ancora una volta bisognerà attendere prima di conoscere quale sarà la ventesima squadra della serie B2021/2022. La decisione del Tar del Lazio, attesa per il pomeriggio di oggi, non è arrivata. Il tribunale, proprio come gli organi federali nei giorni scorsi, ha deciso di prendersi un altro po’ di tempo prima di pronunciarsi sul ricorso dei veronesi. Il verdetto, salvo ulteriori rinvii, arriverà nella mattinata di domani.
I timori dei tifosi del Cosenza
Al momento l’unica certezza è che, nel caso il Tar confermi l’esclusione del Chievo dalla cadetteria, sarà il Cosenza, come quart’ultima dello scorso campionato, a rilevarne il posto. Le certezze dei giorni scorsi sul prossimo ripescaggio, seguite alle plurime bocciature della giustizia sportiva alle istanze dei veneti, tra i tifosi rossoblù però cominciano a vacillare. L’atteggiamento pilatesco assunto dal presidente Gravina, che invece di riammettere subito i Lupi ha deciso di aspettare, fa il paio infatti con il tempo extra che pure il Tar si è riservato prima di dire la sua sulla questione.
Sospensiva sì o no?
L’udienza di oggi è cominciata verso le 16:30 e vedeva Coni, Figc e Cosenza schierate contro il ricorso del Chievo. Ma già un’oretta e mezza dopo circolava la notizia del nulla di fatto. Il nodo su cui dovranno pronunciarsi i giudici riguarda le inadempienze fiscali dei gialloblù, ritenute insanabili dalla giustizia sportiva nei precedenti gradi di giudizio. Ma ora la partita è di nuovo aperta e se dalla sezione I-Ter del tribunale amministrativo laziale la società di Campedelli dovesse ottenere l’agognata sospensiva al provvedimento di esclusione per quella di Guarascio sarebbe davvero dura continuare a sperare.
Il Chievo continua a sperare
Gravina, infatti, a quel punto sarebbe legittimato a reinserire il Chievo come ventesima squadra del campionato. Poi bisognerebbe attendere l’udienza collegiale del Tar, che al momento è in programma il 7 settembre. Poco importa che sarà senz’altro anticipata, considerato che l’inizio del campionato è fissato per il 20 agosto. Chi “vincerà” domani difficilmente potrebbe perdere in quella seconda occasione e gli eventuali ricorsi non potrebbero che arrivare a campionato già cominciato, rendendoli con ogni probabilità vani.
Sono passati 41 anni. Senza verità. Senza giustizia. Sono le 10.25 del 2 agosto 1980 quando l’orologio della stazione di Bologna si ferma. La deflagrazione, il boato, le fiamme, i brandelli umani. Il bilancio: 85 vittime e oltre 200 feriti. Il più grave atto terroristico (per proporzioni) del secondo dopoguerra, uno degli ultimi degli anni di piombo. Proprio quegli anni di piombo ancora da riscrivere – giudiziariamente e non solo – per i collegamenti tra entità oscure e occulte. Dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, alla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, fino alla strage del treno Italicus del 4 agosto 1974.
Massoneria, servizi deviati e ‘ndrangheta
Un intreccio inquietante tra terrorismo, soprattutto di matrice neofascista, servizi segreti deviati, logge coperte (su tutte la P2), comitati d’affari di altissimo e raffinatissimo livello, criminalità organizzata. In particolare, la ‘ndrangheta, per decenni sottovalutata, avrebbe avuto un ruolo centrale in alcune delle vicende più oscure della storia d’Italia. La strage della stazione di Bologna non fa eccezione.
Proprio recentemente è iniziato il processo a carico di Paolo Bellini, ex membro di Avanguardia Nazionale, ma anche soggetto con collegamenti importanti all’interno della ‘ndrangheta. Per la criminalità organizzata calabrese compirà almeno una decina di omicidi. Oggi è alla sbarra insieme all’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel per depistaggio. Con loro anche Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili di via Gradoli a Roma usati come rifugio dai Nar. Risponde di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini. Tra gli imputati ci sarebbe dovuto essere anche l’ex capo del Sisde di Padova, Quintino Spella, nel frattempo deceduto.
L’ex capo della Loggia P2, Licio Gelli
È proprio questo l’intreccio perverso e indicibile. Per la bomba alla stazione di Bologna sono stati già condannati definitivamente gli ex Nar Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Tutti puniti in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori. Di Licio Gelli sappiamo molto (ma non tutto) circa le trame della sua Loggia Propaganda 2. I nomi di Ortolani (banchiere intrallazzato con lo IOR), D’Amato (direttore dell’Ufficio Affari riservati del Ministero degli Interni) e Tedeschi (giornalista e politico) formano (ma non completano) il quadro a tinte fosche.
La colonna di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria
Non lo completano. Perché è quasi tutto da delineare il coinvolgimento delle mafie e, in particolare, della ‘ndrangheta. Il processo a carico di Bellini ci sta provando. In una delle ultime udienze prima della pausa estiva, l’ex esponente di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, Vincenzo Vinciguerra, ha parlato di «accordo organico» tra destra eversiva e ‘ndrangheta. «La ‘Ndrangheta vedeva Avanguardia come una forza che poteva mettersi contro lo Stato», ha aggiunto Vinciguerra.
E Bellini è accusato di essere il “quinto uomo” della bomba alla stazione. Oltre alle tre condanne definitive, infatti, ce n’è un’altra, finora di primo grado, a carico di Gilberto Cavallini. Bellini è stato proprio un uomo forte di Avanguardia Nazionale. La stessa Avanguardia Nazionale che aveva rapporti soprattutto con la ‘ndrangheta di Reggio Calabria.
In riva allo Stretto, Avanguardia Nazionale aveva, a partire dalla fine degli anni ’60, una colonna formidabile. Ineguagliabile in qualsiasi altra parte del Paese. Proprio la ‘ndrangheta doveva essere di fatto l’esercito armato attraverso cui si sarebbe dovuto attuare il Golpe Borghese. Siamo alla fine del 1969. Pochi mesi dopo, nel luglio del 1970, scoppierà la rivolta di Reggio, quella del “Boia chi molla”, fagocitata dagli ambienti di destra.
Un’immagine dei Moti di Reggio del 1970
Junio Valerio Borghese, Franco Freda, Stefano Delle Chiaie: tutti nomi che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con il territorio. A Reggio Calabria, invece, erano di casa. Soggetti che legano il proprio nome alla notte della Repubblica.
Il nome di Delle Chiaie è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio. I processi, però, lo hanno sempre visto assolto per non aver commesso il fatto o per insufficienza di prove.
Dall’Italia al Sud America
Un dato molto significativo, emerge dalla sentenza della Corte d’Assise di Bologna sulla strage della Stazione, per cui vengono condannati i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro: «Stefano Delle Chiaie, invece, si muove con grande disinvoltura nell’Argentina dominata dal regime militare. Da latitante qual è, frequenta liberamente vari ambienti e compare a cena a fianco del console italiano.
Reduce dall’esperienza cilena, dopo un primo momento di difficoltà, comincia a prosperare, raggiungendo l’apice della sua fortuna nel periodo in cui le forze governative argentine – il che, tenuto conto di quella realtà, equivale a dire gli apparati militari– appoggiano, assieme a quelle cilene, il colpo di Stato militare boliviano. Proprio nel periodo prodromico del golpe intensifica la frequentazione della Bolivia. E, dopo la realizzazione del golpe, ottiene addirittura una collocazione stabile e ufficiale presso lo Stato Maggiore dell’Esercito boliviano, quale assessore del VII Dipartimento: carica di tale importanza, che gli dava l’opportunita di incontri diretti con il Capo dello Stato […]
Saluti romani attorno alla bara di Stefano Delle Chiaie
[…] Delle Chiaie comincia a prender quota in quello Stato, dove la polizia militare imperversa. Capo di Stato Maggiore della Marina è l’ammiraglio Massera, piduista e addirittura visitatore dello stabilimento industriale di Gelli in Castiglion Fibocchi. Licio Gelli ha stretti rapporti con i servizi argentini. […]
La penetrazione del potere gellianoin Argentina, tende dunque ad assumere le medesime caratteristiche e ad attingere livelli non inferiori a quelli dell’analoga penetrazione nella realtà italiana». Per questo, scrivono infine i giudici di Bologna «il collegamento Gelli-Delle Chiaie non si presenta come una possibilità, più o meno plausibile, ma costituisce una necessità logica».
P2 e ‘Ndrangheta
Lo stesso Vinciguerra, nel corso degli anni, dichiarerà che timer dello stesso lotto di quelli impiegati per l’eccidio di Piazza Fontana erano stati utilizzati anche per «far saltare i treni che portavano gli operai a Reggio Calabria per una manifestazione sindacale». Siamo proprio nel periodo del “Boia chi molla”. E uno dei soggetti più influenti sarebbe appunto Delle Chiaie.
Sono gli anni in cui la P2 governa un sistema caratterizzato dalla presenza di metastasi in molti dei gangli fondamentali della vita istituzionale, sociale ed economica, dalla magistratura alle grandi case editrici, dai giornali all’alta burocrazia, fino ai partiti politici. Tuttavia, l’aspetto più inquietante e profondo della penetrazione piduista era rappresentato dalla presenza sistematica e monopolistica di uomini iscritti alla P2 ai vertici delleForze Armate e soprattutto dei Servizi di Sicurezza.
I Servizi con grembiule e cappuccio
Interessante, sul punto, un atto giudiziario che infine è stato confermato e divenuto definitivo. Nella sentenza della Corte di Assise di Bologna del 11 luglio 1988, sulla strage della Stazione, viene affermato che: «Nello stesso volger di tempo, nell’ambito di altro procedimento pendente, avanti all’autorità giudiziaria milanese per l’affare Sindona, il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Turone e Colombo disponevano un sequestro nell’abitazione e negli uffici di pertinenza del capo della loggia massonica P2, Licio Gelli.
In Castiglion Fibocchi, la Guardia di Finanza sequestrava, tra l’altro, oltre a una lista degli iscritti alla Loggia P2, tutta una serie di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia era implicata […] Occorre rilevare sin da ora che risultarono iscritti nelle liste sequestrate fra gli altri, i seguenti nominativi: prefetto Walter Pelosi, capo del Cesis; generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi; generale Giulio Grassini, direttore del Sisde; generale Pietro Musumeci, capo dell’Ufficio Controllo e Sicurezza del Sismi».
E c’è anche chi sostiene che, anche dopo lo scioglimento, in seguito alla approvazione della“Legge Anselmi”, la P2 non si sia mai effettivamente dissolta. E che abbia continuato, con altro nome, con altre vesti, a perseguire i propri scopi eversivi. Non è un caso che l’inchiesta “Sistemi Criminali”, condotta alcuni anni fa dal pubblico ministero Roberto Scarpinato sulla strategia della tensione dei primi anni Novanta, ipotizzasse questi oscuri accordi.
Si è conclusa però in un’archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie, mafiosi come Totò Riina e i fratelli Graviano, ma anche l’avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo Olimpia e considerato un’eminenza grigia delle dinamiche ’ndranghetiste. Ma non arriverà nemmeno in aula, con l’archiviazione del fascicolo.
Per l’anno scolastico 2021/2022 il Comune di Cosenza potrebbe affidare il servizio di pre-post scuola e accompagnamento ai percettori del Reddito di cittadinanza. Tutto questo è possibile attraverso i Puc (progetti utili alla Collettività) con buona pace dei 15 lavoratori della cooperativa Adiss impegnati da oltre venti anni ad erogare questo servizio con uno stipendio di 650 euro.
Il Dissesto welfare e istruzione
Il dissesto economico-finanziario dell’ente ha pesantemente inciso sulla capacità di garantire da parte di Palazzo dei Bruzi dei servizi nei settori welfare e istruzione.
A rischio invece l’anno scolastico per gli asili nido. L’assessore Lanzino ha annunciato la possibilità di effettuare una variazione di Bilancio nel mese di agosto che consentirà di garantire un “appalto in convenzione”.
Sul piatto solo 350mila euro
Il Comune metterà sul piatto 350mila euro a fronte del 1.080.000 necessario a coprire l’erogazione dei servizi per tutto l’anno scolastico. Una somma irrisoria, se si pensa pensa che solo 750mila euro sono vincolati dagli stipendi ai 35 lavoratori impiegati. La coperta è troppo corta. Delle due l’una: o si riduce il personale e dunque i servizi oppure si aumentano le rette e i costi della mensa per garantire lo stesso servizio.
Cosa sono i Puc
I Puc sono progetti utili alla collettività attuati dai comuni, in forma singola o associata anche con enti del terzo settore che, attraverso l’utilizzo di percettori del reddito di cittadinanza garantiscono una nuova attività o il potenziamento di una attività esistente sul territorio.
Sono sei gli ambiti di intervento: cultura, arte, tutela dei beni comuni, formazione, ambiente e sociale.
I Comuni sono responsabili dell’approvazione, attuazione, coordinamento e monitoraggio dei progetti anche con l’apporto di altri soggetti pubblici e del privato sociale.
I Puc in Calabria
Attualmente in Calabria sono stati attivati 300 progetti Puc. L’ambito d’eccellenza è Soverato con ben 80 progetti attivati, 250 beneficiari e 28 Comuni coinvolti. Sono: Amaroni, Argusto, Badolato, Cardinale, Cenadi, Centrache, Chiaravalle, Davoli, Gagliato, Gasperina, Girifalco, Guardavalle, Isca, Montauro, Montepaone, Olivadi, Palermiti, Petrizzi, S. Andrea, S. Caterina, S. Sostene, S. Vito Sullo Jonio, Satriano, Soverato, Squillace, Stalettì, Torre Di Ruggiero, Vallefiorita.
Nella raccolta di esperienze positive e buone prassi redatta dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali c’è anche il Comune di Montalto Uffugo con il progetto “L’amico della porta accanto” destinato all’assistenza dei diversamente abili ed anziani e l’associazione E.T.I.C.A. di Crotone con il progetto “Genitori, ripuliamo le scuole”.
A Vibo spazzini e caregiver
Dodici i progetti avviati dal Comune di Vibo Valentia. Nove gli ambiti di interesse dall’affiancamento al personale degli uffici comunale all’attività di cura del verde pubblico e delle spiagge, dalla salvaguardia e valorizzazione del patrimonio delle biblioteche alla piccola manutenzione degli immobili comunali. Per finire con la sensibilizzazione, promozione e corretta esecuzione della raccolta differenziata e le attività di cura ai non autosufficienti.
A Catanzaro archivisti e pre-post scuola
Solo quattro, per il momento i progetti realizzati a Catanzaro: riordino archivio cartaceo e verifica numerazione civica, valorizzazione della biblioteca di Palazzo de Nobili, catalogazione beni comunali; accoglienza e sorveglianza alunni (pre-post scuola).
Per ampliare gli ambiti d’interesse l’assessorato alle Politiche Sociali, guidato da Lea Concolino, ha istituito “il catalogo dei Puc” che sarà aggiornato mensilmente per garantire servizi anche in altri settori.
Reggio ha approvato solo a luglio i Puc
Dopo Catanzaro e Vibo Valentia anche la città metropolitana di Reggio Calabria ha approvato a metà luglio i Puc.
«I percettori di reddito di cittadinanza – ha annunciato il sindaco Giuseppe Falcomatà – contribuiranno in maniera fattiva nella cura e nella tutela dei beni comuni. I progetti previsti porteranno dei “rinforzi” in settori nevralgici come la pulizia delle piazze, delle aree cimiteriali, della cura del patrimonio culturale e degli impianti sportivi».
Mancano ora all’appello Crotone e Cosenza.
I numeri di una nuova forza lavoro
Al 30 maggio 2021 inCalabria sono 189.235 i percettori del reddito di cittadinanza, 80.070 i nuclei familiari coinvolti con un reddito medio di 566,45 euro per circa 107.192.165 euro complessivi al mese.
La Provincia con il maggior numero di richieste di Rdc nel 2021 è Cosenza seguita da Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo.
Per legge il percettore del reddito di cittadinanza è obbligato ad offrire la propria disponibilità a partecipare a progetti comunali utili alla collettività nel Comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore non inferiori a 8 ore settimanali, aumentabili sino a 16.
Se non partecipi al Puc perdi il Reddito di cittadinanza
La mancata partecipazione ai PUC comporta la decadenza del beneficio del RdC.
Sono esclusi dalla partecipazione ma possono aderire volontariamente i componenti con disabilità, i beneficiari di Rdc o pensione di cittadinanza con età pari o superiore ai 65 anni, chi frequenta regolare corso di studio, le persone con lavoro dipendente sopra gli 8500 gli autonomi con un reddito superiore ai 4800 euro.
Un nuovo bacino di precari?
Il principio cardine dei Puc è la loro non assimilabilità ad attività di lavoro subordinato, para-subordinato o autonomo, trattandosi di attività contemplate nel Patto per il lavoro o nel Patto per l’inclusione sociale che il beneficiario del reddito di cittadinanza è tenuto a prestare e, dunque non darebbe luogo ad alcuni ulteriore diritto. Tuttavia, l’idea comune tende ad identificare i percettori del reddito di cittadinanza impiegati nei Puc agli ex lavoratori socialmente utili o di pubblica utilità, anche perché le attività da svolgere sono coincidenti.
L’intervento del legislatore
Per differenziarli il legislatore ha inserito limiti e vincoli sulle attività da svolgere tali da evitare l’instaurazione, di fatto, di una nuova categoria di lavoratori precari, come avvenuto con gli L.S.U., da anni oggetto di finanziamento di politiche di stabilizzazione negli enti utilizzatori o di erogazione di incentivi regionali finalizzati all’attività autonoma o alla micro-imprenditorialità ma forse non basta.
L’ideale sarebbe predisporre progetti in misura tale da poter occupare tutti i percettori del Reddito di cittadinanza dei Comuni, anche perché in assenza dei progetti il reddito viene comunque percepito e in caso di mancato avvio dei Puc si potrebbe profilare, a carico del dirigente comunale di turno, una ipotesi di danno alla collettività.
Ma a queste latitudini, con le amministrative alle porte anche un diritto contenuto in una legge dello Stato e che non avrebbe bisogno di spintarelle, pacche sulle spalle o telefonate, sarà trasformato nella gentile concessione di politici e ‘mmasciatari vari.
«Sono stati molto solerti quando dovevano segnalarmi che avevo dimenticato di pagare la retta. Invece mi hanno inviato solo un messaggio WhatsApp per comunicarmi che mia madre aveva contratto il Covid. Lei poi è morta nel giro di un mese. E io non ho potuto neanche vederla, salutarla, far celebrare un funerale o anche solo una messa».
Quella di Giuseppe, avvocato di Soverato, è una delle storie della “Domus Aurea”, ma non è l’unica. «Ad altri è andata peggio», racconta, «una persona che conosco ha scoperto che suo fratello era morto, dopo essere stato contagiato nella stessa struttura, solo da una telefonata di cordoglio che gli è arrivata da altri. Avevano appreso prima di lui la notizia».
Uno stillicidio di morti
Mettono i brividi i racconti dei familiari di chi ha vissuto i giorni terribili della Rsa di Chiaravalle Centrale, entroterra catanzarese, diventata un focolaio di Covid costato la vita a 28 persone. È successo poco più di un anno fa, ma il tema della sanità e del rapporto coi privati, nonostante una campagna elettorale già in corso, non sembra centrale nel dibattito di oggi.
Il primo caso accertato a Chiaravalle risale al 25 marzo 2020. Poi, per la lunghissima settimana successiva, sono rimasti tutti lì, mentre morivano i primi sette pazienti.
La narrazione social li chiama “nonnini”, ma tra quelle 28 vittime c’era anche chi aveva poco più di 60 anni. Dopo un tira e molla tra la Regione e la proprietà della struttura i pazienti sono stati trasferiti a Catanzaro, ma lo stillicidio di morti non si è fermato fino a maggio inoltrato. Il rimpallo di responsabilità e il contenzioso legale invece prosegue tuttora, a distanza di oltre un anno da quella tragedia umanitaria.
Tengo… Parente
Sembra lontanissima e altrettanto dimenticata la vicenda di un’altra Rsa-focolaio, quella di Villa Torano, nel paese cosentino di Torano Castello. Lì i contagi, a cavallo di Pasqua 2020, hanno abbondantemente superato quota 100. Ha fatto discutere perché è emerso un atteggiamento diverso da parte della Regione nei confronti della struttura, con la Cittadella che ha aggirato perfino i suoi stessi provvedimenti.
Uno stralcio dell’ordinanza di Jole Santelli che stabiliva le procedure da seguire in casi cone quello di Villa Torano
Per esempio: il titolare ha confermato di aver avuto direttamente dalla Protezione civile regionale circa 200 tamponi per gli ospiti della sua clinica privata. Ma ciò è avvenuto in una fase delicatissima in cui i test per il Covid venivano ancora distribuiti col contagocce. Erano poche centinaia quelli che in quei giorni venivano effettuati in tutta la Calabria.
La proprietà della struttura fa riferimento al gruppo guidato da Massimo Poggi, ex socio di Claudio Parente – big del centrodestra calabrese, esponente di Forza Italia e coordinatore di una delle liste (“Casa delle libertà”) che ha contribuito alla vittoria elettorale del 2020 – le cui quote nella società che gestisce questa e altre cliniche private sono state rilevate anni fa dalla moglie.
La magistratura indaga
Su questi due casi, lontani e distinti non solo geograficamente, la magistratura ha aperto altrettante inchieste di cui ancora non si conosce l’esito. Per Villa Torano la Procura di Cosenza ha acceso i riflettori su alcune morti sospette e sul boom di contagi. Ipotizza i reati di epidemia colposa e omicidio colposo. Per la Rsa di Chiaravalle la Procura di Catanzaro punta ad accertare le cause del contagio di massa e se ci siano state eventuali omissioni da parte degli enti competenti nella gestione dell’emergenza e nel trasferimento di pazienti e operatori quasi tutti infettati nella struttura.
Profitto vs Bene collettivo
Ciò che resta, al di là dei risvolti giudiziari di una tristissima strage di anziani, è il nodo dei rapporti tra la politica, ad ogni livello e in ogni schieramento, e l’imprenditoria di settore. Non è in discussione la possibilità di fare affari perfettamente leciti in questo settore. Ma è un fatto che ci siano joint venture più o meno ostentate tra i decisori politici – che anche in regime di commissariamento non si astengono dal far sentire il loro peso – e i portatori di interessi che rispondono alle logiche del profitto e non a quelle del bene collettivo.
Le cointeressenze, così come le guerre di burocrazia e gli intrecci politici, non riguardano solo la Calabria. Spesso, mentre sul territorio la sanità pubblica annaspa tra tagli ed emergenze, del business calabrese dei privati si discute nei palazzi romani. I due mondi non sono così distinti e quello della sanità privata è senza dubbio un partito trasversale.
Il sindaco del settore Sanità
Per esempio, nella Cariati in cui i cittadini occupano per lungo tempo l’ospedale per chiederne la riapertura, il sindaco si chiama Filomena Greco. La sua è una famiglia di imprenditori i cui interessi dall’olio e dal vino si sono estesi alle cliniche private. La loro area di riferimento è il Pd, con amicizie che a quanto si racconta vanno da Renzi a D’Alema.
Sono proprietari degli “Ospedali Riuniti iGreco”, gruppo che nasce nel 2013 con l’acquisizione della Casa di Cura “Madonna della Catena” e nel 2014 si amplia con l’acquisizione delle strutture “La Madonnina” e “Sacro Cuore”. E, a proposito di trasversalismi, acquista pochi mesi fa ulteriori cliniche. Quelle dei Morrone, big del centrodestra e presenza fissa o quasi da anni in Consiglio regionale, col figlio Luca a prendere il posto che fu del padre Ennio.
A una loro cerimonia di presentazione del gennaio del 2018 c’erano – riferiscono le cronache locali – oltre tremila persone. Tra di loro anche due deputati del Pd dell’epoca, Brunello Censore e Ferdinando Aiello. Quest’ultimo oggi è indagato assieme all’ex procuratore aggiunto antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, trasferito per ragioni disciplinari a Potenza come giudice civile. La Procura di Salerno lo accusa di aver sostanzialmente asservito la propria funzione proprio all’ex parlamentare dem.
Ancora un’inchiesta
Altro caso recentissimo è quello dell’inchiesta che coinvolge l’ex sindaco di Amantea Mario Pizzino e l’imprenditore Alfredo Citrigno, indagati per corruzione dalla Procura di Paola in relazione all’apertura di un centro diagnostico. I locali sarebbero stati ceduti dai familiari del politico al noto gruppo imprenditoriale cosentino.
Fino a prova contraria non significa che i Greco, Parente, Citrigno o altri siano penalmente colpevoli di qualcosa, ci mancherebbe. Si tratta però di casi che forse qualcosa raccontano sui rapporti tra la politica calabrese (e non solo) e molti gruppi della sanità privata.
I dubbi dei sindacati
A chiedere chiarezza sono anche i sindacati. Angelo Sposato, segretario generale della Cgil, a margine di un’audizione con la Commissione parlamentare antimafia, ha ribadito pubblicamente la richiesta di «verificare gli accreditamenti nella sanità privata, gli appalti e le forniture». Una proposta poi rafforzata anche dall’intera assemblea del sindacato calabrese, che si è riunita alla presenza del leader nazionale Maurizio Landini.
Spesso a rimanere schiacciati in situazioni drammatiche sono i lavoratori. È il caso del Sant’Anna Hospital di Catanzaro, una clinica privata d’eccellenza per la cura delle patologie cardiovascolari. Un contenzioso tra Asp e proprietà – con in mezzo un’inchiesta su presunti ricoveri fantasma in Terapia intensiva – ha portato per settimane al congelamento di un contratto da 24 milioni di euro relativo al 2020.
Antonio Jiritano, dirigente dell’Usb in prima linea in questa e altre vertenze della sanità, conosce bene la situazione. «Per Catanzaro il Sant’Anna è come la Fiat per Torino. La nostra battaglia – spiega – non è certo per favorire i privati, che anzi abbiamo spinto a metterci dei soldi dopo che hanno guadagnato per vent’anni, bensì per i lavoratori. Non si possono tenere alla corda centinaia di persone».
Sempre più soldi ai privati
Intanto, anche per avere un’idea dei soldi pubblici che si investono annualmente nel settore, basta leggere l’ultimo decreto del commissario ad acta della sanità calabrese. Guido Longo ha fissato il tetto massimo per l’acquisto di prestazioni di assistenza territoriale sociosanitaria e sanitaria da privato accreditato. Il documento prevede, per il 2021, uno stanziamento complessivo di 186,8 milioni di euro. La somma è in aumento di oltre 12 milioni rispetto all’anno precedente e di 14 milioni rispetto al 2019.
Il decreto suddivide così il budget: all’Asp di Cosenza 75 milioni, a Catanzaro 38,4 milioni, a Crotone 32,675 milioni, a Reggio Calabria 36,487 milioni e a Vibo Valentia 4,2 milioni.
Ormai, anche a destra fanno il totoscommesse su de Magistris. E in tanti si dicono convinti che il quasi ex sindaco di Napoli non solo supererà il quorum, ma rischia di salire sul secondo gradino del podio e dare una bella botta al resto del centrosinistra.
Almeno questa è l’impressione emersa dalla recentissima riunione dei Masanielli calabresi, svoltasi all’Hotel 501 di Vibo Valentia.
Una prova di partenza mica male per l’ex pm di Why Not?, che dopo mesi di iperattivismo sul territorio calabrese, ha quasi messo a punto la squadra con cui tenterà la conquista di Germaneto e ha aperto il dialogo elettorale anche a destra, dopo aver consolidato il rapporto a distanza con l’ex governatore Mario Oliverio.
La corsa in solitaria
I tempi del Tandem – il simbolo bizzarro che rappresentava l’alleanza burrascosa con l’istrionico Carlo Tansi – sembrano lontanissimi. Anzi, pare proprio che il divorzio dal ricercatore del Cnr abbia fatto bene a de Magistris, che ha subito qualche improperio dall’ex sodale ma, a giudicare dal tenore del dibattito social, ha guadagnato in credibilità. Segno che, a volte, perdere certi compagni di strada giova. E non poco.
E giova anche correre da soli, come dimostra l’esperienza elettorale di Napoli. Mentre gli altri litigavano (a sinistra) e negoziavano (a destra), lui ha percorso in lungo e largo la Calabria. Ha esibito un livello di comunicazione e toni tutto sommato accettabili, senza sbilanciamenti eccessivi – e facili – sui versanti populista e giustizialista. Ha gestito un rapporto diretto con gli elettori (al momento potenziali) che ha iniziato a dare più frutti del previsto.
Infatti, de Magistris non solo non si è fatto vampirizzare dall’ex sodale e dai potenziali avversari a sinistra, ma li ha vampirizzati.
Il ruolo di Oliverio
Stando a una succosa indiscrezione, avrebbero bussato alla sua porta un bel po’ di ex tansiani, evidentemente stressati dalla navigazione bizzarra e a vista del loro timoniere. E, al riguardo, c’è chi parla di una potenziale lista fatta di ex seguaci del visconte della tettonica a zolle, che si aggiungerebbero a Ugo Vetere.
Dalla riunione vibonese sembra, inoltre, confermata la liaison con Oliverio. All’incontro hanno presenziato due esponenti di spicco dell’ex sinistra Pd: il vibonese Antonio Lo Schiavo e l’ex consigliere regionale cosentino Giuseppe Giudiceandrea.
Il simbolo di questo schieramento, che potrebbe indebolire non poco i “compagni coltelli” del centrosinistra di Amalia Bruni è Liberamente progressisti.
L’unico dubbio, in merito, è se a questo simbolo corrisponderà una lista di oliveriani o se questi si sparpaglieranno in tutto lo schieramento. Come ha spiegato Giggino, si tenta di evitare squilibri tra liste troppo forti e liste che non lo sono abbastanza. Detto altrimenti, i Masanielli mirano a massimizzare il bottino e, per farlo, spalmano le forze in maniera più uniforme possibile.
Le liste
Ancora non c’è nulla di certo, ma da quel che emerge, de Magistris potrebbe schierare da un minimo di sette a un massimo di nove liste.
Iniziamo da quelle certe. Innanzitutto, ci sono le quattro liste demagistrisiane: De Magistris presidente, Dema, Uniti per de Magistris, Per la Calabria con De Magistris.
Seguono le tre liste “politiche”, cioè la già menzionata Liberamente progressisti, Un’altra Calabria è possibile, ispirata a Mimmo Lucano, ed Equità per la Calabria, che contiene esponenti del Movimento 24 agosto-Equità territoriale, il partito “terronista” fondato due anni fa da Pino Aprile.
A proposito dei terronisti, emerge un dettaglio troppo simpatico per non menzionarlo e non riguarda la leadership del giornalista pugliese, ridottasi a un’onorificenza platonica. Tocca, semmai, le scelte politiche globali, che risultano contraddittorie: infatti, mentre i terronisti appoggiano de Magistris, a Napoli ne avversano il candidato da lui indicato come proprio successore. Regione che vai, terrone che trovi.
Resta il dubbio per Primavera della Calabria (il laboratorio politico di Anna Falcone) e per Calabria resistente e solidale, che potrebbero limitarsi a un fiancheggiamento esterno.
In ogni caso, nove simboli sembrano un sintomo di ottima salute.
Compagni coltelli
Ancora trapela poco sul centrosinistra che si ostina a dirsi “ufficiale” ma che rischia di restare in braghe di tela. Da un lato, resta ai “bruniani” la possibilità di compilare liste forti grazie ai consiglieri uscenti, che vantano sulla carta ancora buoni numeri, come i cosentini Carlo Guccione e Mimmo Bevacqua. Ma non è detto che questi numeri possano tradursi in una somma algebrica, per almeno due fattori non proprio irrilevanti.
Il primo: in non pochi, a sinistra, percepiscono la candidatura della scienziata come un maquillage elettorale per salvare il salvabile. Quindi una domanda è d’obbligo: è possibile votare chi ha gestito potere con la consapevolezza che difficilmente lo gestirà di nuovo? E ancora, sotto il profilo più “ideologico”: gli arrabbiati di sinistra, possono ritenere ancora valido il richiamo dei notabili di un’area politica, quella che gravita attorno al Pd, che ha perso ruoli e credibilità dal post renzismo in poi?
Il secondo fattore riguarda Tansi, che al momento sembra aver trovato pace. Ma non troppa: infatti, ha chiesto la sottoscrizione di un codice etico tosto, a cui, ora come ora, non arriverebbero neppure i grillini. Ma chi chiederà di fare un passo indietro ai candidati che risultassero incompatibili con questo codice?
E non finisce qui, perché i bene informati sussurrano altro, non senza una certa malignità. La liaison tra Tansi e la Bruni avrebbe una pronuba di non poco conto, la ministra dell’Università Maria Cristina Messa, medico con una gavetta accademica importante.
Insomma, una roba tra scienziati per cercare di uscire con le ossa meno rotte possibile dallo scontro imminente con Roberto Occhiuto a destra e de Magistris a sinistra. Missione non facile, insistono i maligni. Che poi propinano altri retroscena, stavolta romani: i big del Pd si sarebbero rivolti a Letta perché provi a ricucire lo strappo con Oliverio e tutti amici come prima. O, almeno, meno nemici di prima, perché il nuovo divorzio tra l’ex governatore e il big cosentino Nicola Adamo rischia di fare più danni della vecchia lite del 2011, quando a causa dei loro dissidi Cosenza finì in mano di Mario Occhiuto.
Per concludere
Se son rose fioriranno. Ma a sinistra si vede soprattutto un roveto, in cui si lotta al coltello per arrivare secondi e prendere più seggi possibile.
De Magistris, dopo un tour regionale iniziato in salita, inizia a schierare le truppe. Occhiuto lavora di fino per cucire gli strappi con i meloniani. Quel che resta dell’area Pd, invece, annaspa tra i soliti segreti brezneviani e le consuete contraddizioni.
Non è detto che la sfiga sia di sinistra, come sosteneva Gaber. Ma di sicuro il casino lo è.
La componente riservata della ‘ndrangheta esiste e ha deciso (e decide) le sorti della vita politica, economica e sociale della popolazione. Lo ha stabilito con la sentenza di primo grado del maxiprocesso “Gotha” il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Silvia Capone.
Condanne e assoluzioni per i politici
In particolare, in riva allo Stretto sono stati inflitti 25 anni di reclusione per Paolo Romeo, 13 anni per Alberto Sarra. Ma è clamorosa l’assoluzione di Antonio Caridi. Il Tribunale ha quindi accolto l’impianto accusatorio portato avanti dalla Dda di Reggio Calabria, seppur con alcune assoluzioni inaspettate. Un teorema accusatorio ambizioso quello portato avanti dalla Procura in quel periodo retta da Federico Cafiero De Raho, oggi procuratore nazionale antimafia.
Sarebbe stato l’avvocato ed ex parlamentare Paolo Romeo, con un passato nell’estrema destra, al vertice della masso-‘ndrangheta. Romeo avrebbe infiltrato le Istituzioni a ogni livello. Da quelle più strettamente locali, fino ai livelli più alti. Si inquadra in tal senso la condanna inflitta in primo grado all’ex sottosegretario regionale, Alberto Sarra. Mentre è assolutamente una sorpresa quella per l’ex senatore Totò Caridi.
Nell’impostazione accusatoria, peraltro, non solo Sarra e Caridi, ma anche l’ex sindaco reggino ed ex governatore, Giuseppe Scopelliti sarebbe stato diretto dalla volontà di Paolo Romeo. Scopelliti, pur evocato numerose volte, non risultava comunque tra gli imputati del maxiprocesso alla componente riservata della ‘ndrangheta.
Il prete e gli avvocati
Pur trattandosi, per il momento, di una sentenza soltanto di primo grado, quella del processo “Gotha” potrebbe segnare una svolta nella lotta giudiziaria ai livelli più alti e alle connivenze più oscure della criminalità organizzata calabrese. Nello stralcio celebrato con il rito abbreviato (e, quindi, già arrivato alla sentenza d’appello) è infatti già stato condannato l’altro soggetto ritenuto come l’eminenza grigia della ‘ndrangheta: l’avvocato Giorgio De Stefano, legato da vincoli parentali con lo storico casato reggino, ma considerato (al pari di Romeo) una mente raffinatissima capace di fare da collante tra l’ala militare dei clan e i livelli riservati.
Tra le altre persone condannate, l’avvocato Antonio Marra (17 anni), considerato il braccio destro di Romeo, ma anche l’ex, onnipotente, dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Reggio Calabria, Marcello Camera, anche se punito solo con 2 anni di reclusione a fronte della richiesta di 13 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto l’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa. Condannato invece l’ex rettore del Santuario della Madonna di Polsi, a San Luca, don Pino Strangio. Il prete avrebbe fatto parte della rete relazionale occulta di Romeo.
In particolare, l’avvocato Marra avrebbe svolto il “lavoro sporco” di confidente con le forze dell’ordine. In tal senso, si inquadrerebbe il ruolo di Marra nella presunta “trattativa Stato-‘ndrangheta” per arrivare ad alcuni arresti dopo la strage di Duisburg del Ferragosto 2007, che si inquadrava nella sanguinosa faida di San Luca. Trame non completamente chiarite, in cui emergerà il ruolo di alcuni appartenenti del Ros dei Carabinieri, ma anche dello stesso prete don Strangio. Rapporti con i Servizi Segreti di cui era esperto il commercialista-spione, Giovanni Zumbo, condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione.
Il procedimento è durato diversi anni, con centinaia di udienze all’interno dell’aula bunker di Reggio Calabria. La Dda di Reggio Calabria si è avvalsa anche delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, che hanno tratteggiato il legame oscuro e indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi segreti deviati.
Franz Caruso sindaco e Bianca Rende vice. Ecco il ticket trovato dal centrosinistra in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Cosenza. Sono ore decisive per definire il contesto di questa sintesi politica in procinto di essere battezzata da Francesco Boccia, responsabile enti locali della segreteria nazionale del Pd. I due nomi sono in pole per la conferma che dovrebbe manifestarsi tra non molto. Forse anche prima della presentazione ufficiale di “Cosenza 2050”, nome un po’ grillino per la premiére di Caruso nella sala degli specchi della Provincia prevista per il 3 agosto prossimo.
L’avvocato socialista e l’ala adamica
Franz Caruso finora ha sempre tentato, senza riuscirci, di arrivare fino in fondo alla candidatura a sindaco. Questa volta il finale sembra essere diverso dal solito. Complice il dialogo ritrovato anche tra l’ala dei Democratici che fa capo ad Enza Bruno Bossio – e suo marito Nicola – con la nuova segreteria nazionale guidata da Enrico Letta. Seguono a ruota i socialisti di Incarnato da sempre sostenitori della candidatura a Palazzo dei Bruzi del noto penalista. Intanto a via Popilia si moltiplicano i candidati.
Bianca Rende e il patto del caciocovello
Bianca Rende (a sinistra) e Stefania Covello (a destra) con l’ex ministro Teresa Bellanova
Sembra quasi un’operazione democristiana. Di quelle costruite con sapienza e pazienza. Forse gestita da Stefania Covello, riferimento politico della stessa Bianca Rende. La Covello, figlia di Franco (noto come caciocovello negli ambienti della Balena bianca) dopo avere abbandonato Italia Viva, sarebbe tornata nell’alveo del Pd discutendo direttamente con Enrico Letta. Anche Bianca Rende aveva lasciato il partito di Renzi. È tra i fondatori del movimento WWW, What Women Want, oggi è spesso ospite di incontri organizzati dalla Cgil, segno di un suo riposizionamento più a sinistra. Sperava nella candidatura a sindaco. Essere vice non è poi così male.
Bocciofili di Cosenza unitevi
Cosa c’è di meglio che una riunione alla presenza di Francesco Boccia negli ambienti condizionati dell’Hotel Royal per decidere come risolvere la complicata matassa del centrosinistra a Cosenza? Non era difficile capire che, dopo l’uscita del commissario Miccoli, l’aria sarebbe cambiata. Non fino a questo punto.
Ecco pronto un altro ticket. Quello tra il presidente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci e la parlamentare Enza Bruno Bossio. Entrambi dovrebbero correre nelle file del Partito Democratico alle regionali di ottobre. Boccia pare avere un ruolo anche su questo schema. Del resto si accompagna sempre a Franco Iacucci in molte uscite pubbliche.
Farsi una cultura non ha prezzo. Lo sanno bene alla Cittadella, dove hanno deciso di arricchire gli scaffali della libreria (e non solo) senza badare troppo a spese. Nell’ultimo Burc pubblicato – il numero 60 del 29 luglio – è apparsa infatti una delibera dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale che ha come oggetto “Adesione proposte di acquisto di libri, pubblicazioni e altro materiale illustrativo o documentario”. L’atto porta la firma del segretario Dina Cristiani e del presidente Giovanni Arruzzolo.
Un omaggio ai visitatori
La dirigente e il politico scrivono di accettare le proposte arrivate da quattro case editrici locali, disponendo di acquistare complessivamente poco meno di 500 volumi per una spesa totale di quasi 14.750 euro. I libri in questione, si legge nel documento, in realtà non amplieranno il bagaglio culturale dei nostri rappresentanti a Palazzo Campanella. Serviranno, invece, ad «omaggiare rappresentanti delle istituzioni, delegazioni, scolaresche o altri soggetti in visita al Consiglio regionale o per la realizzazione di eventi culturali previsti dal Piano della Comunicazione del Consiglio regionale della Calabria».
Qualcuno fa lo sconto
Un atto di generosità, dunque, che meriterebbe un encomio, ma che suscita al contempo qualche perplessità. Dell’opera Calabria letteraria edizione 2021, pubblicata da Città del Sole edizioni, per esempio verrano acquistati solo due volumi su quattro, seppure in 110 copie per ciascun tomo. Considerato lo sconto proposto dall’editore (10,50 euro invece di 15), forse sarebbe stato il caso di prendere anche l’altra metà dei volumi. Uno sconticino (18 euro invece di 20) è arrivato anche da Gangemi editore per le 50 copie di Raccontare Sambatello – Dalle origini ai giorni nostri un passato sempre vivo nella memoria di Matteo Gangemi. Meno disponibile a ribassi di prezzo, invece, la casa editrice Il cerchio dell’immagine, che incasserà 5.250 euro per le 150 copie (35 euro ciascuna) di Un luogo bello di Alessandro Mallamaci.
Quattro volte e mezzo il prezzo base
Quello che stupisce davvero è il prezzo per l’acquisto dell’opera Guida ai siti archeologici del Parco nazionale dell’Aspromonte – Dove la natura incontra l’archeologia. A scriverla è Lino Licari, che da oltre 25 anni si occupa di accompagnare i visitatori attraverso le montagne del Reggino. Il volume in questione, edito da Kaleidon, ai comuni mortali costa 20 euro (o anche meno) da quel che si apprende girovagando per il web. La Regione, però, lo pagherà più del quadruplo: per averne 70 copie ha stanziato 6.240 euro, come se ognuna ne costasse 89,15.
Il logo d’oro
Certo, sarà un’edizione diversa dalle altre. Nella delibera dell’Ufficio di presidenza si legge infatti che «il volume è composto di 128 pagine a colori, con copertina cartonata con stampa a caldo in oro, in edizione “fuori commercio” su cui verrà impresso il logo dell’Ente e saranno dedicate due pagine ad un testo istituzionale». Se cotanti cambiamenti rispetto all’originale meritino un esborso di quasi 5.000 euro in più del previsto potranno spiegarlo solo dai piani alti di Palazzo Campanella. Sempre che gli interessi farlo: in fondo i soldi impiegati per l’acquisto li mettono i contribuenti, non loro.
Milioni di euro destinati all’edilizia popolare nel centro storico di Cosenza dirottati su altre zone della città, incluso un belvedere sul Crati. Le ultime variazioni agli interventi previsti dall’Agenda Urbana – un maxi finanziamento destinato al capoluogo e alla vicina Rende – hanno animato il consiglio comunale di ieri a Palazzo dei Bruzi. A scontrarsi, la consigliera d’opposizione Bianca Rende e il vice sindaco – e probabile candidato alla successione di Occhiuto per il centrodestra – Francesco Caruso. Secondo la prima, infatti, la strategia adottata dalla maggioranza penalizzerebbe per l’ennesima volta la parte antica della città, privilegiandone, al contrario, altre. E alimentando il sospetto che, più che l’urbanistica, ad orientare le scelte possano essere state le elezioni alle porte.
I soldi li mette l’Aterp
Tutto ruota intorno a una delle linee d’intervento previste inizialmente. Era la numero 9.4.1 e prevedeva, tra le altre cose, «Riqualificazione e miglioramento sismici di Palazzo Bombini Longo». Nel corso dell’istruttoria è venuto fuori che buona parte del denaro destinato ai lavori – 2,5 milioni sui 3,35 totali stimati – sarebbe arrivato dall’Aterp. Pertanto sarebbe stato possibile dirottare i fondi del municipio su altri progetti in elenco. Uno in particolare ha fatto storcere il naso alla consigliera. Si tratta della «Realizzazione spazi di partecipazione e inclusione sociale nei parchi urbani della città di Cosenza: Belvedere sul fiume Crati», che, stando alla delibera di Giunta 72/2021, ha visto rimpinguato il budget di un milione e 100mila euro.
Dai palazzi decrepiti al belvedere sul Crati
Niente più contrasto al disagio abitativo a Cosenza vecchia, quindi, e un occhio di riguardo al turismo invece. «Perché – ha chiesto in aula Rende – le economie risultanti dall’intervento su palazzo Bombini, anziché essere reinvestite su questa misura, alla luce dei crolli quotidiani su Cosenza storica, si traducono in un rimpolpamento per un intervento che è il Belvedere sul fiume Crati?». Il riferimento all’altra misura riguarda soprattutto il rione Santa Lucia, nel quale sarebbero possibili gli agognati espropri (e la successiva riqualificazione) di fabbricati problematici.
«Agenda urbana – ha replicato Caruso – non prevede la possibilità di utilizzare risorse finanziarie per coprire spese di esproprio. Su Santa Lucia abbiamo elaborato una strategia specifica, destinando 2 milioni e 58 mila euro, che prevede interventi anche su edifici che attualmente sono ancora privati, ma che stiamo per espropriare avvalendoci del Contratto di quartiere, per un importo complessivo di circa 4 milioni, che ci consentirà di acquisire gli immobili su cui poi intervenire con i due milioni e 58 mila euro del programma di Agenda Urbana».
Una frattura ancora da ricomporre
Come mai non utilizzare la possibilità di espropriare edifici del centro storico, finora definita impossibile a più riprese dal municipio, per intervenire su qualcun altro di essi attraverso i 90 milioni in arrivo dal Mibact con il Cis allora? Una domanda che ieri nessuno ha fatto in aula.
E il belvedere sul Crati contestato dalla consigliera invece? Per il vice sindaco non si tratterebbe solo di «un intervento per valorizzare l’area a fini turistici». Stimolerebbe, al contrario, una «rigenerazione importante che si pone come elemento di ricucitura e ricomposizione di una frattura con il centro storico». Più o meno quello che è già stato detto a proposito del ponte di Calatrava, anch’esso realizzato con una quota di fondi destinati in origine all’edilizia popolare. Quanto la frattura con il centro storico si sia ricomposta grazie all’opera dell’archistar valeriana resta, per usare un eufemismo, poco evidente.
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