Categoria: Fatti

  • Cultura 2020, grandi esclusi e ripescaggi nella corsa ai fondi

    Cultura 2020, grandi esclusi e ripescaggi nella corsa ai fondi

    Per l’edizione 2020 ha ricevuto sostegno dalla Direzione generale Cinema del Mibact, dal Dipartimento di Stato degli Usa, dal regno d’Olanda, dal Canada, dalle ambasciate di Norvegia, Germania, Irlanda, Austria, Svezia, Australia, dall’Istituto culturale coreano. Ma nemmeno un centesimo dalla Regione Calabria.

    Quella della Guarimba, il festival internazionale di cortometraggi che l’anno scorso ha ricevuto anche una medaglia da Sergio Mattarella e la menzione su giornali del calibro del New York Times, è forse l’esclusione più sorprendente dall’elenco dei beneficiari dei finanziamenti del bando Cultura 2020 emanato dalla Cittadella, la cui graduatoria è stata resa pubblica appena tre giorni prima dell’inizio dell’edizione 2021 della rassegna cinematografica estiva che anima Amantea.

    La motivazione? Il progetto – anche dopo un riesame – secondo la commissione chiamata a giudicarlo ha ottenuto sei punti in meno del minimo (54/100) necessario per beneficiare dei fondi. Il successo delle edizioni passate, il patrocinio del Parlamento europeo e di Palazzo Chigi, il respiro internazionale della manifestazione forse non fanno punteggio a queste latitudini.

    Una torta da un milione e mezzo

    La stagione culturale calabrese 2020 costerà alla Regione Calabria circa un milione e mezzo di euro divisi per i 41 soggetti, tra pubblici e privati, che si spartiranno la torta dei finanziamenti a valere sui PAC 2007/2013. Gli esclusi per vizi di forma o mancanza dei requisiti sono stati in totale 29. Tra i destinatari del bando enti pubblici, fondazioni, associazioni culturali, imprese, cooperative e consorzi operanti nel campo della promozione culturale.

    I requisiti indispensabili erano sostanzialmente due: avere svolto almeno sei edizioni dello stesso progetto negli ultimi dieci anni e la realizzazione di eventi che abbiano un legame «duraturo e caratterizzante col bene o con il luogo in cui si svolge».
    L’importo massimo del contributo erogabile era di 50mila euro per i singoli partecipanti e 75mila euro per le domande presentate in forma associata.

    Le graduatorie sono distinte per enti pubblici e soggetti privati. Delle sedici amministrazioni comunali vincitrici, 15 hanno ricevuto il massimo (o quasi) del finanziamento erogabile. Solo il Festival del Libro dei ragazzi promosso dal Comune di Zumpano ha ricevuto 25.500 euro.

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    Il municipio di Zumpano, unico tra gli enti beneficiari del bando a incassare circa la metà del massimo richiedibile

    Cinquantamila euro anche per le associazioni Armonie della Magna Grecia, Associazione Culturale Novecento, Ama, così come per il Festival Trame 2020. La Cenerentola dei privati è il lametino Color Fest, che ottiene appena 10.296 euro. Occorre, però, considerare che molti eventi si sono svolti in streaming con un abbattimento dei costi fino al 50%.

    Troppi errori, niente fondi

    L’anno del Covid ha mietuto vittime anche nel blasonato mondo degli eventi culturali regionali. Fuori per un cavillo burocratico la kermesse Moda Movie, storico evento che unisce moda e spettacolo, fondata da Sante Orrico e giunta oramai alla 25° edizione.
    Per i privati le ragioni dell’esclusione sono prettamente di natura finanziaria: bilanci non completi, mancanza del rendiconto, assenza della certificazione della capacità economica del soggetto che promuove l’evento.

    Quando, invece, parliamo di pubblico ecco venir fuori l’incapacità dei burocrati nel compilare a dovere e inviare la domanda di partecipazione.
    Bocciata per incompletezza la richiesta di finanziamento presentata dal Comune di Castrolibero per la rassegna teatrale “Chi è di scena”. Una svista imperdonabile per la città di Orlandino Greco. Alla mail di partecipazione del Comune di Martirano Lombardo per “Rockon” mancano gli allegati.

    Arrivano fuori tempo massimo la domanda del Comune di San Fili per la “Notte delle Magare” e quella del Comune di Oriolo per “La stagione teatrale Oriolese 2020”. Sono entrambi eventi attesissimi e capaci di richiamare ogni anno centinaia e centinaia di turisti.
    Macroscopica, invece, la svista del Comune di Simeri Crichi che, per la 9° edizione del Presepe Vivente, decide di partecipare con un raggruppamento tra Comune e associazioni non previsto però dal bando.

    Di sfortunata casualità si potrebbe parlare per il Comune di Saracena, che non riesce a partecipare all’avviso perché la carta d’identità allegata al progetto risulta danneggiata. Un salto del responsabile della pratica all’Ufficio Anagrafe del suo stesso ente sarebbe tornato utile probabilmente.
    Sfumano anche la “Sagra degli Arnedos” di Rovito e lo storico festival “Radicamenti – Festa della Seta” del Comune di Mendicino per una mancata risposta al soccorso istruttorio della Regione Calabria. Magari i dirigenti erano in smart-working…

    Clausole e ripescaggi

    Il bando di gara era chiaro: potevano ambire ai fondi regionali gli organizzatori di eventi svolti dal 1 gennaio al 31 dicembre 2020. Nessuna deroga Covid. Così almeno sembrava all’inizio. Deve ringraziare un cavillo l’associazione Cluster, veterana dei finanziamenti regionali ed organizzatrice del Festival del Fumetto “Le strade del paesaggio” a Cosenza. La XIV edizione era prevista per il 2020 ma, sospesa causa Covid, la si è realizzata nel 2021.

    A far ottenere i fondi a Cluster, però, sono state due magiche paroline presenti nel bando: “avvio dei lavori”. Una nota a piè di pagina del bando definisce come “la data di inizio dei lavori di costruzione relativi all’investimento oppure la data del primo impegno giuridicamente vincolante ad ordinare attrezzature o di qualsiasi altro impegno che renda irreversibile l’investimento, a seconda di quale condizione si verifichi prima”.

    festival del paesaggio_30_6_2021

    Tanto è bastato per salvare il finanziamento e qualche malpensante potrebbe chiedersi perché non sia stato adottato lo stesso criterio per la “Notte delle Magare” ad esempio. Tra la graduatoria provvisoria di aprile e quella definitiva dei primi di agosto, comunque, le differenze sono quasi nulle. E i pochi ripescati gongolano ripensando alla bocciatura iniziale divenuta promozione (e denaro).

    Riammesso dopo il riesame il “XXIII Festival della Musica” del Comune di Spezzano Sila, dapprima escluso per documentazione incompleta. Rientrano in zona Cesarini anche “MusicAma Calabria” di AmaCalabria , “Arte immaginazione, creat(t)ività e multiculturalità” dell’associazione La città del Sole, la “XXI edizione del Festival dell’Aurora” della Fondazione Odyssea. Ognuna di loro porta a casa 50mila euro, il massimo del finanziamento erogabile. Per “Ricrii 18”, la manifestazione proposta da Scenari Visibili, il ripescaggio porterà in cassa, invece, circa 14mila euro.

  • Lega: 300 in fuga da Salvini, ma c’è già chi li aspetta

    Lega: 300 in fuga da Salvini, ma c’è già chi li aspetta

    Per fortuna, Leo Battaglia è vivo e lotta con noi, altrimenti sai che noia a Ferragosto. Grazie alla sua trovata, ispirata al trash più spettacolare, ha dato di che parlare ad avversari, ambientalisti e benpensanti e ha fatto ridere tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza dei calabresi.
    Il lancio delle mascherine chirurgiche con sponsor elettorale dall’elicottero sulle spiagge dell’Alto Jonio cosentino ha movimentato le cronache politiche, altrimenti scarne, di questo periodo.

    Dalla Lega non c’è alcun imbarazzo apparente per il gesto di Battaglia, famoso nel passato per aver fatto imbrattare le pareti pubbliche e i cavalcavia coi suoi spot elettorali. Anzi, c’è chi dice con un certo candore che in politica contano anche i voti e l’esponente cosentino ne pesa oltre duemila. Di questi tempi, oro zecchino.
    E sono proprio i voti la croce e delizia della Lega calabrese.

    Candidature big e militanti in fuga

    Si può anche pensare tutto il male possibile della Lega. Ma al partito di Salvini occorre riconoscere un merito: è l’unica formazione politica di centrodestra in cui la militanza ha ancora un valore.
    E, non a caso, la fuga dei trecento militanti, capitanati dall’ex segretario provinciale di Cosenza ed ex vicesegretario regionale Bernardo Spadafora ha destato non poco scalpore e qualche preoccupazione.

    Il capitano Salvini, impegnato a promuovere il suo nuovo corso moderato, non sembra eccessivamente turbato. Anzi, la sua unica preoccupazione, a detta dei bene informati, è presentare in tempo utile liste confezionate con un occhio particolare ai voti. E pazienza se qualcuno si fa venire il mal di pancia: in politica, secondo il cinico capitano, contano anche i risultati. Quindi, pazienza se si perde un pezzo di base.

    I vertici calabresi del Carroccio (cioè la terna capitanata da Giacomo Saccomanno e composta da Roy Biase e Cataldo Calabretta), si sono dati un bel da fare per bilanciare tutti gli equilibri e quadrare più cerchi possibili, aiutati in questa missione dal recente tour elettorale del leader nazionale, giunto in Calabria per promuovere i referendum sulla giustizia ma anche per fare campagna acquisti.

    Il salto sul Carroccio del vincitore

    Iniziamo da Cosenza, dove il Carroccio schiererà in lista, oltre al menzionato Battaglia, il consigliere uscente Pietro Molinaro (che tra l’altro figurerebbe tra gli affetti da mal di pancia, per via del mancato assessorato all’Agricoltura), Antonio Russo, il sindaco di Mirto Crosia, e Simona Loizzo, la cui candidatura è stata presentata con una mega conferenza stampa.

    Secondo i malevoli, Loizzo sarebbe anche un’interfaccia di Pino Gentile, la cui candidatura è in discussione a causa di un processo in cui il big cosentino è tuttora alla sbarra. Quindi, con grande probabilità, la famiglia politica più forte di Cosenza darà il proprio contributo elettorale proprio attraverso la dentista cosentina, che vanta di suo un forte radicamento nella Sanità che conta.

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    Simona Loizzo, già gentiliana DOCG, sarà nelle liste della Lega alle prossime Regionali

    Un discorso a parte merita la candidatura di Mariano Casella, ex consigliere comunale di Diamante, imprenditore e amministratore del supermercato Conad a Diamante. Casella è anche il fratello di Anna Francesca, la giovane ex vicesindaca di Diamante e moglie di Ernesto Magorno, attuale sindaco del centro dell’alto Tirreno cosentino, ex segretario regionale del Pd e attuale senatore di Italia Viva.

    Si è vociferato a lungo dei tentativi (falliti) di Magorno di portare il suo partito nel centrodestra. Ora, con tutta probabilità, il senatore ha calato il suo carico di briscola. Le ragioni di partito saranno sacre senz’altro, ma per lui è importante avere amici anche nelle forze che, con molta probabilità, governeranno la Regione. Perciò ha preso il toro per le corna, ha bypassato le forze centriste e ha bussato direttamente a destra: un Salvini è per sempre. O quasi.

    Nel resto della Calabria vale la militanza

    Nel collegio di Catanzaro, invece, il Carroccio ha schierato in prima fila il suo dirigente Antonio Macrì e i consiglieri regionali uscenti Filippo Mancuso e Pietro Raso. Un asset elettorale decisamente più di partito.
    Un discorso simile vale per Reggio, dove risulta confermata Tilde Minasi. Squadra vincente non si cambia? Certo. Ma anche logica ferrea di partito più ragion politica.

    La Lega, infatti, deve confermare i risultati dalla Sila Greca in giù e acchiappare quanto può a Cosenza, dove l’emorragia dei trecento può creare qualche guaio.
    A partire, magari dalle Amministrative del capoluogo bruzio, perché tra le defezioni si registra quella del consigliere comunale cosentino Vincenzo Granata, esponente del Carroccio a Palazzo dei Bruzi, già incaricato di compilare la lista per le prossime comunali.

    L’abbandono di Granata, fratello di Maximiliano, attuale presidente del Consorzio Vallecrati, ha a che fare più con ragioni di equilibrio politico che di militanza ideologica: a differenza degli ammutinati di Spadafora, Granata non ha una matrice destrorsa e c’è chi lo considera più vicino agli Occhiuto (Mario o Roberto non importa) che ai vertici regionali leghisti.

    Dove andranno a finire i dissidenti?

    Un rifugio possibile per i dissidenti potrebbe essere Fratelli d’Italia, che si ostina a esibire nel simbolo la mitica fiamma tricolore (per quanto ridotta a poca cosa, più piccola che nel simbolo della ex An).
    Ma nel partito della Meloni, gonfiatosi nei sondaggi grazie a una campagna acquisti aggressiva e incauta, la militanza non è proprio uno degli elementi forti. Resterebbero i mini partiti, cioè i seguaci di Maurizio Lupi e di Giovanni Toti.

    Per quel che riguarda Noi con l’Italia di Lupi, ci sarebbe poco da fare: le liste sono quasi completate e l’orientamento è decisamente centrista. Qualcosa, invece, si muoverebbe in Coraggio Italia, il movimento federato che fa capo a Toti e a Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia.

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    Luigi Brugnaro e Giovanni Toti

    Anche questo movimento starebbe preparando proprie liste. E per il collegio di Cosenza spunta già un nome: Alfredo Iorio, calabrese trapiantato a Roma già vicino alla Lega. Anzi, vicinissimo, visto che è stato l’uomo ombra di Vincenzo Sofo durante le ultime europee e poi, durante le Regionali 2020, di Pietro Molinaro. Che sia lui il Mosè a cui toccherà il compito di portare i dissidenti verso qualche improbabile terra promessa?

    Neodemocristiani alla carica

    I seguaci di Maurizio Lupi si sono dati un gran da fare e, quatti quatti, hanno quasi completato le liste per le Regionali e si preparano ad aggredire anche Cosenza.
    Noi con l’Italia vanta un organigramma regionale non numeroso ma compatto, in cui c’è lo zampino di Pino Galati, un altro evergreen del centrismo calabrese, intenzionato a “morire democristiano” (infatti, ha smentito come gossip ferragostani le voci che lo darebbero pronto a inciuciare con Salvini…).

    Lo stato maggiore dei lupacchiotti calabri è costituito da altri tre evergreen: il cosentino Franco Pichierri, già notabile dell’Udc, e aspirante sindaco di Cosenza, il vibonese Michele Ranieli, che gestisce il collegio di Catanzaro-Vibo-Crotone (insomma, la “Grande Catanzaro”), e il reggino Nino Foti, già parlamentare azzurro.

    Pichierri si è mosso in due direzioni: ha preparato due liste (una con la sigla di partito e l’altra personale) con cui tenterà l’avventura a Palazzo dei Bruzi in “amichevole concorrenza” col centrodestra e ha compilato la lista per il più importante collegio elettorale regionale.
    Ne fanno parte l’ex sindaco di Acri Nicola Tenuta e il big della Cisl Franco Sergio, già consigliere regionale con Oliverio.

    A Catanzaro, invece, sono schierati Concetta Stanizzi, avvocata e presidente provinciale della Lega italiana tumori, Tea Mirarchi, consigliera comunale di Soverato, Tranquillo Paradiso, consigliere comunale di Lamezia, e Levino Rajani, presidente provinciale dell’Ordine dei farmacisti di Crotone.
    Più delicati gli equilibri a Reggio, dove figura il nome di Maria Tarzia.

    Conto alla rovescia

    Secondo i bene informati la Commissione Antimafia è già all’opera sui nominativi inviati dai responsabili calabresi e dovrebbe fornire il suo responso nei primi giorni della prossima settimana.
    Ovviamente, a chi ne ha fatto richiesta, visto che i Masanielli di de Magistris hanno risposto picche in maniera sdegnata: il loro codice etico sarebbe più forte del regolamento della Commissione parlamentare.
    Mario Oliverio, invece, si è limitato ad annunciare la propria candidatura con due liste a supporto e non è dato sapere se aderirà alla sfida “legalitaria” lanciata da Roberto Occhiuto.
    Il conto alla rovescia per confermare o smentire il totonomi è iniziato…

  • «Il fuoco si è spento da solo» nell’Aspromonte ferito

    «Il fuoco si è spento da solo» nell’Aspromonte ferito

    «Nessuno ha spento il fuoco. Si è spento da solo, quando non c’era più niente da bruciare». Pietro e Nino sono nati a San Lorenzo, 150 abitanti appollaiati a 800 metri d’altezza sul versante jonico d’Aspromonte. Nell’ultima settimana hanno visto, impotenti, la loro montagna bruciare. Ettari e ettari di castagni, pini (zappini li chiamano da queste parti), querce, ulivi, abeti.

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    Cenere e desolazione nel Parco d’Aspromonte dopo i terribili incendi dei giorni scorsi
    Zio e nipote divorati dalle fiamme

    Le fiamme si sono mangiate tutto, scendendo e risalendo i costoni delle montagne fino a sfiorare quota 1200, a due spanne dalle foreste di faggi e minacciando da vicino anche i borghi di Roccaforte del Greco, Bagaladi e Roghudi. È qui, nella valle che aggira il paese e ridiscende verso il mare, che si sono registrate le prime due vittime dell’estate degli incendi. Cercavano di mettere in salvo il loro uliveto: sono morti a pochi metri di distanza, zia e nipote, sorpresi dalle fiamme nel cuore grecanico del parco d’Aspromonte.

    A Santa Maria, piccola frazione appena fuori dal centro abitato, le fiamme hanno annerito i muri di due case distruggendo un deposito di legna e un paio di mezzi agricoli: «Qualche settimana fa il proprietario di quel capanno è morto per essersi ribaltato con il trattore mentre ripuliva il suo fondo, ora il fuoco ha fatto il resto» racconta Nino Pellicanò, cinquantenne che da San Lorenzo non si è mai mosso e che le montagne le conosce come le sue tasche, mentre la strada comincia a salire e il panorama cambia in modo radicale.

    Le api sterminate dagli incendi dei giorni scorsi
    Gi animali non hanno avuto scampo

    Quello che sorprende è il silenzio. Un silenzio irreale coperto solo dal borbottio del pandino 4×4 che si arrampica sulla terra nuda. Non ci sono più uccelli a sorvolare le cime di questo pezzo di montagna spogliato di vita. Solo corvi, a decine: volano bassi e banchettano con i resti degli animali che non sono riusciti a scappare dalle fiamme. «Tassi, faine, scoiattoli, martore: i mammiferi più piccoli e più lenti non hanno avuto scampo ma sono morti anche cinghiali, volpi e lepri. Gli animali sono stati accerchiati dal fuoco e confusi dal fumo, non avevano scampo». È quanto racconta Pietro Luca, poco più di 30 anni, una laurea in scienze forestali in tasca e un lavoro da tecnico dei computer in Friuli, 1400 km dalle sue montagne.

    Il fuoco trasforma la montagna in un set lunare
    Il rogo risparmia solo la vecchia Lancia del medico

    La stradina risale il fianco occidentale della montagna e i danni del fuoco diventano sempre più evidenti. Scheletri di pini marittimi anneriti, carcasse di quelle che erano state ginestre: il fuoco ha attaccato duro, muovendosi su più fronti e rendendo vano anche il lavoro delle squadre dei vigili del fuoco e i lanci del canadair «che nei primi due giorni di incendio comunque non si è visto», dice ancora Nino.

    Sulla cima di Peripoli, c’è una piccola chiesa dai muri scrostati. Dentro, oltre alla lapide che ricorda la figura del vecchio medico condotto del paese a cui la chiesa è dedicata, c’è una vecchia Lancia Flavia. L’auto è parcheggiata dietro l’altare. La comprarono i cittadini di San Lorenzo al loro dottore che da quel giorno non dovette più andare a fare le visite a piedi e lì, accanto al suo ex padrone, è stata seppellita. Sono le uniche cose rimaste integre su questo cucuzzolo: la radura tra gli “zappini” in cui è stata costruita l’ha salvata dalle fiamme, il resto è terra bruciata su cui si affacciano le altre cime della montagna ormai spogliata dal fuoco.

    La pinete spazzata via

    Risalendo verso punta d’Atò, oltre i mille metri di quota, l’intera pineta che ricopriva la cima della montagna è stata letteralmente spazzata via. Qui le temperature hanno raggiunto picchi così alti che anche la terra sembra essersi liquefatta e anche muoversi a piedi diventa complicato. La stradina si inerpica tra migliaia di tronchi distrutti dal fuoco e sdraiati sul terreno molle.

    «Questi alberi tenevano in piedi la montagna – ci dice Nino, che con il parco d’Aspromonte in passato si è trovato anche a collaborare – per capire l’entità della tragedia che ci ha colpito basterà aspettare le prime piogge e contare i danni che si lasceranno dietro». «La mia paura è che nessuno raccoglierà quei tronchi – gli fa eco amaramente il giovane agronomo forestale – e quando il sottobosco ricrescerà e scoppierà un nuovo incendio, quei tronchi anneriti saranno ulteriore combustibile per la prossima tragedia».

    Anche un piccolo parco giochi per bambini divorato dalle fiamme in Aspromonte
    L’emblema del dissesto idrogeologico

    La strada sterrata riprende a salire mostrando vecchie armacere, muri a secco fino a ieri nascosti dalla rigogliosità della montagna. Sopra di esse una foresta di castagni, i tronchi anneriti, le chiome devastate dalle fiamme: «L’unica speranza è che qualche fronda, tra quelle in cima, sia rimasta integra. Solo così le piante potrebbero riprendersi, ma la situazione è davvero drammatica, è andato tutto distrutto». Nel silenzio artificiale di questa parte di Aspromonte ferito, rimbomba il rumore di un elicottero antincendio che vola verso i versanti più settentrionali della montagna dove ancora insiste qualche focolaio. Si allontana sorvolando la frana di Colella, diventata emblema del dissesto idrogeologico calabrese e simbolo stesso dello “sfasciume pendulo” che rischia di diventare l’Aspromonte.

  • Ne resterà solo uno: Oliverio candidato, guerra aperta al Pd

    Ne resterà solo uno: Oliverio candidato, guerra aperta al Pd

    Muoia il Pd con tutti i suoi elettori: Mario Oliverio ha deciso di spaccare quel che resta dei democrat e presentarsi alle Regionali. Da solo. Contro il suo vecchio partito che lo ha scaricato come l’ultimo dei reietti. In una prova di forza che probabilmente lascerà a terra più vittime sul campo amico (?) che quello nemico.

    Alle tradizioni non si rinuncia

    Non è certo un fulmine a ciel sereno, la notizia era nell’aria da tempo. Almeno da quando Oliverio era riapparso sulla scena dopo un autoesilio volontario tra gli amati boschi silani tramite una Fondazione che in realtà dovrebbe occuparsi di temi che col voto di ottobre dovrebbero avere poco a che vedere. E poi a certe tradizioni nella sinistra calabrese non si rinuncia: che elezioni sarebbero se non si andasse tutti divisi? E così ecco arrivare l’ufficialità della candidatura alla presidenza della Regione del grande ex. Lo slogan, a giudicare dai post dei comitati che lo sosterranno, sarà quello di Gene Wilder nell’immortale Frankenstein Junior di Mel Brooks: «Si può fare».

    Se prima eravamo in due

    Non c’è due senza tre, quindi dopo Amalia Bruni e Luigi de Magistris all’elenco degli aspiranti governatori più o meno di sinistra si aggiunge il sangiovannese in cerca di un (difficile) bis a scoppio ritardato. La mancata ricandidatura al termine del suo primo mandato per far spazio al fallimentare esperimento civico targato Pippo Callipo era rimasta sul groppone a Oliverio. Non che la sua di esperienza alla Cittadella sia rimasta impressa nella mente dei calabresi come una delle più felici della storia del regionalismo, ma il caos che da tempo regna in casa democrat ha convinto il politico silano che nel centrosinistra lui possa – e debba – ancora dire la sua.

    Classici intramontabili

    Difficile ipotizzare che la tripartizione dei voti tra i candidati della gauche crei difficoltà a Roberto Occhiuto, anzi. Con elezioni che non prevedono ballottaggi come quelle calabresi vince chi prende anche un solo voto in più dei rivali. E se i tuoi pescano tutti nello stesso bacino elettorale (o quasi) probabilmente quel voto in più non lo avranno. In compenso per Oliverio sarà l’occasione di riproporre l’intramontabile schema che da anni caratterizza le vicende del Pd locale e di quello bruzio in particolare.

    Due di qua e uno di là

    Protagonisti quasi sempre Oliverio e altri due big cosentini: Nicola Adamo e Carlo Guccione. A rotazione due di loro si alleano e l’altro si smarca, con combinazioni di volta in volta differenti. Il solitario di turno in questo modo fa vedere quanto ogni tentativo di vittoria sia impossibile senza lui e i voti che porta con sé. Spesso, per un curioso scherzo del destino, accade quando a contrapporsi al centrosinistra è uno dei fratelli Occhiuto. La storia recente di Cosenza ne è l’esempio più evidente, con l’attuale e ormai uscente sindaco che ha beneficiato dei dissidi del momento tra i tre ex Pci per sbancare alle Amministrative sia nel 2011 che nel 2016.

    Il toto-nomi

    Sarà così anche alle Regionali? Stavolta gli avvantaggiati dalla sua corsa in solitaria potrebbero essere in due, quel de Magistris con cui Oliverio avrebbe anche flirtato e Occhiuto Jr, seppur con risultati finali ben diversi. Certo è che all’annuncio del sangiovannese è scattato il toto-nomi su chi potrebbe seguirlo in lista. Con lui dovrebbero esserci il fedelissimo Giuseppe Aieta e il suo carico di preferenze e il figlio di quel Brunello Censore che a Vibo i suoi voti li ha sempre. Quanto a Reggio, altri esclusi eccellenti del recente passato, come l’ex consigliere Francesco D’Agostino, potrebbero dar man forte a Oliverio. Una grana non da poco per la Bruni, visto che “Palla Palla” difficilmente non si sarà fatto i conti prima di sciogliere le fatidiche riserve sul suo ritorno in prima linea. Se poi quei conti gli permettano di aspirare davvero alla presidenza della Regione o solo di uscire vincitore dalla guerra fratricida si vedrà.

  • Così fan tutti (a Vibo): i politici ingombranti tornati in ballo per le Regionali

    Così fan tutti (a Vibo): i politici ingombranti tornati in ballo per le Regionali

    In comune hanno molte cose, soprattutto quella di essere ingombranti per i loro stessi schieramenti. Poi c’è l’umana tendenza all’autoconservazione che li spinge a svolazzare di fiore in fiore nel tentativo di carpirne il profumo e succhiarne la linfa. Le metafore finiscono qui, perché le gesta dei personaggi in questione non sono esattamente ancorate all’idealismo ma a quel realismo che in politica, specie nella periferia della periferia calabrese, si traduce in sfrontato cinismo.

    Non sono certo i soli, ma i loro profili sono paradigmatici di come vadano le cose in quel di Vibo Valentia, dove su trasversalismo e consociativismo si potrebbe istituire dei corsi di laurea. Sono quattro, due vengono dalla “città” e gli altri due dall’entroterra. Hanno cambiato casacca più volte, certo più per necessità che per propensione concettuale, e sono pure chiacchierati. Ma, direttamente o indirettamente, si preparano a giocare un ruolo di primo piano in vista delle prossime elezioni regionali.

    Hasta la victoria a volte

    Partiamo dal più giovane, Vito Pitaro. Avvocato, 45 anni, a gennaio 2020 è stato eletto nella lista “Jole Santelli presidente” con 5.024 preferenze. È alla sua prima legislatura regionale, ma a Palazzo Campanella ci era già stato prima, vedremo come e con chi. Dal 2005 al 2007 è stato consigliere comunale nella sua città, Vibo, nonché assessore alle politiche sociali, della famiglia, del volontariato, dell’associazionismo e sanitarie. Deleghe eterogenee, proprio come il suo percorso politico. Oggi Pitaro è un irrinunciabile portatore di voti del centrodestra – in molti scommettono in un suo boom di consensi esteso fino ai confini crotonesi del collegio – ma fino a qualche anno fa era addirittura un compagno: è stato in Rifondazione comunista e nei Comunisti italiani, quindi socialista e anche dirigente del Pd.

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    L’ex comunista Vito Pitaro

    In una delle poco esaltanti sedute di questi mesi del consiglio regionale, vestito come se stesse festeggiando un matrimonio a Little Italy, ha dato il meglio della sua arte oratoria per sbeffeggiare l’opposizione di centrosinistra rispetto ai danni fatti nel recente passato. Nessuno dei dirimpettai, però, gli ha ricordato che proprio nella vituperata legislatura precedente è stato tra i ben remunerati collaboratori di uno dei consiglieri del Pd più vicini a Mario Oliverio, Michele Mirabello.

    Intercettazioni che scottano

    Magari, regolamento alla mano, la Commissione Antimafia non potrà fare il “favore” a Roberto Occhiuto di segnalare il suo nome, che però compare, non da indagato, in un paio delle più rivelanti inchieste antimafia che hanno riguardato il Vibonese negli ultimi anni. In una, “Rimpiazzo”, ci sono intercettazioni parecchio sconvenienti dei suoi colloqui con un presunto killer ed elemento di vertice, descritto come piuttosto sanguinario, del clan dei “Piscopisani”.

    L’altra è Rinascita-Scott: nell’aula bunker del maxiprocesso il suo nome, anche qui non da indagato né da imputato, è riecheggiato più volte. E nelle carte, per esempio, c’è una telefonata tra un indagato e uno dei principali imputati, Giovanni Giamborino, in cui quest’ultimo dice: «’Sto Vito è uno spregiudicato… di nessuna cosa si guarda… fa compari, comparaggi con tutto».

    Il rinnegato

    Per anni Pitaro è stato il plenipotenziario su Vibo di Brunello Censore, ex uomo forte del Pd ora rinnegato dal suo stesso partito e riparato tra le fila di Mario Oliverio, con cui pare voglia candidare il figlio. Nato a Serra San Bruno 63 anni fa, cuoco, commercialista, docente di scuola superiore, è stato consigliere comunale e poi sindaco del suo paese dal 2002 al 2005. Quindi il grande salto: eletto consigliere regionale nell’era Loiero si conferma, passando all’opposizione, anche quando vince Peppe Scopelliti.

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    Da sinistra verso destra, Vito Pitaro, Stefano Luciano (capogruppo del Pd al Comune di Vibo) e Brunello Censore

    La carriera non si ferma e nel 2013 arriva addirittura alla Camera. Un figlio del popolo, di famiglia umile e cresciuto nella sezione del Pci di un paese di montagna, fa ingresso a Montecitorio e ci resta per 5 anni. Bersaniano quando vince Bersani, renziano quando si afferma Renzi, poi ovviamente anche Zingarettiano, alle primarie per il fratello di Montalbano incassa grandi numeri e diventa un personaggio social per un’espressione che riassume il suo credo politico – «a mia mi piacia mu ‘ndi vidimu allu bar, mu parramu , mu facimu…» – e per l’imitazione con tanto di video spopolante sul web che ne fece un giovane studente durante un incontro pubblico.

    Né con te né senza di te

    A maggio del 2018 il consiglio regionale della Calabria gli ha riconosciuto il vitalizio per i due mandati a Palazzo Campanella: 8 anni e 29 giorni per un assegno mensile di 4.113,58 euro. Alle primarie nazionali di cui si diceva (marzo 2019) fece una lista, “Calabria con Zingaretti”, assieme a Carletto Guccione e contro Oliverio. A giugno del 2019 dichiarava convinto: «Il Pd vada oltre Oliverio o la sconfitta è certa. Il progetto di cambiamento è diventato continuismo. Ripartiamo dal civismo».

    Probabilmente poi avrà cambiato idea sul civismo quando Pippo Callipo mise una x sul suo nome alle Regionali del 2020 facendolo ripiegare su Luigi Tassone, oggi ricandidato dal Pd che, come tanti altri nel percorso politico di Censore, gli ha voltato le spalle dopo aver beneficiato del suo appoggio. Oggi è tornato con Oliverio.

    Per Brunello la discesa è iniziata con la batosta presa alle Politiche del 2018, quando non è riuscito a farsi rieleggere alla Camera venendo superato dalla meloniana Wanda Ferro e dalla grillina Dalila Nesci. Lui all’epoca deteneva ancora le redini del Pd a Vibo e la sua prima vendetta fu l’espulsione dai dem dell’ex presidente della Provincia Francesco De Nisi.

    L’espulso già senza tessera

    Nato a Filadelfia nel ’68, ingegnere, eletto più volte sindaco del suo paese con percentuali bulgare, De Nisi viene dai cattolici di centrosinistra confluiti nella Margherita, ma quando Censore lo ha fatto espellere lui non aveva la tessera del Pd da due anni. Hanno fatto scalpore le foto che lo ritraevano all’epoca in un conciliabolo romano con il senatore di Forza Italia Giuseppe Mangialavori, ma oggi nessuno si stupisce più nel vederlo mani e piedi nel centrodestra.
    A gennaio 2020 si è candidato con Jole Santelli nella “Casa della libertà” ma, nonostante i 7mila voti presi, non è riuscito a diventare consigliere regionale. Stavolta ci riproverà con la creatura politica di Giovanni Toti, “Cambiamo”.

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    Francesco De Nisi
    La poltrona al fratello

    Nella sua Filadelfia ha lasciato la poltrona da primo cittadino ben salda sotto le terga del fratello minore, Maurizio, mentre alla Provincia ha condiviso con il suo predecessore, Gaetano Bruni, la sorte di dimettersi prima della scadenza naturale del mandato da presidente per inseguire uno scranno parlamentare mai raggiunto. La storia di quell’ente, finito in dissesto finanziario e al centro di inchieste e polemiche, è tristemente nota.

    Ancora tutta da scrivere, almeno in sede giudiziaria, è invece quella che potrebbe scaturire dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Giovanni Angotti, che nel corso di diversi interrogatori, parlando del clan Anello-Fruci, ha riferito «che la cosca in occasione di alcune competizioni elettorali aveva appoggiato Francesco De Nisi procacciandogli dei voti». De Nisi non è indagato e ha respinto le accuse del pentito: «Sono rimasto basito dalla diffusione di tali notizie del tutto prive di qualsiasi possibile indizio di fondamento e che contrastano con il mio impegno pubblico».

    Il pianista

    La sua strada si è recentemente incrociata con quella di un ex senatore di lungo corso tornato al centro del dibattito politico e anche delle schermaglie mediatico-giudiziarie. De Nisi, di scuola Dc, è infatti vicecoordinatore del movimento di Toti che, a livello regionale, è guidato da Franco Bevilacqua. Tutt’altra scuola: nato a Vibo nel ’44, insegnante, Bevilacqua viene dal Msi ed è entrato in Senato nel 1994 con Alleanza nazionale.

    A Palazzo Madama ha fatto quattro legislature: da An-Msi è passato nel Popolo della Libertà e ci è rimasto dal 2008 al 2013. Poi è transitato in Fratelli d’Italia ed è approdato alla corte dei sovranisti di Gianni Alemanno. Nel frattempo ha maturato il diritto a un vitalizio che oggi dovrebbe aggirarsi attorno ai 5mila euro al mese e, negli anni, le cronache parlamentari lo segnalano per un paio di episodi non proprio da curriculum.

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    Franco Bevilacqua in versione pianista

    Una volta fu beccato a fare il “pianista”: si votava (ottobre 2002) la “legge Cirami” (legittimo sospetto e rimessione del processo) e Bevilacqua fu ripreso mentre assieme ad altri schiacciava il pulsante anche per un collega assente. Un’altra volta risultò tra i cofirmatari di un disegno di riforma costituzionale per abolire la XII norma della Costituzione italiana, quella che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito fascista».

    Votato da tutti

    Oggi le sue posizioni devono essere diventate più moderate visto che è il coordinatore regionale di un partito/persona che guarda al centro e che parla, per la Calabria, di «modello Genova». Il suo rinnovato impegno è stato però “sporcato” dalle dichiarazioni di un altro pentito, Bartolomeo Arena, secondo cui i Pardea, storica famiglia mafiosa di Vibo, avrebbero sostenuto Bevilacqua.

    «È stato votato praticamente da tutti – ha detto Arena deponendo in Rinascita-Scott – perché ce lo disse Enzo Barba. È fratello di uno ’ndranghetista, Ferruccio (deceduto nel 2018, ndr), affiliato ai Pardea fin dagli anni ’70, avendo attivato la Locale insieme a mio padre, per poi avvicinarsi al ramo di Giuseppe Mancuso detto ’Mbrogghjia».

    «Ma era anche un massone perché Salvatore Tulosai, negli anni ’90 stava cercando di entrare in quegli ambienti proprio per il tramite di Ferruccio, legato a Carmelo Lo Bianco alias “Piccinni” ed Enzo Barba detto “Il musichiere”. Ma già il padre di Franco Bevilacqua aveva rapporti strettissimi con i Lo Bianco perché abitava nello stesso quartiere. Quando vinse le elezioni entrando in Senato ci ritrovammo tutti nella sua sede che era al centro della città».

    Così fan tutti

    Ovviamente le dichiarazioni dei pentiti sono ancora tutte da riscontrare e i politici tirati in ballo sono innocenti fino a prova contraria. Fanno però riflettere i vizi privati e le pubbliche virtù di una politica che a Vibo sembra sempre uguale a se stessa e sempre pronta a riciclarsi alleandosi e scambiando favori con chiunque, in barba a ideologie, partiti e schieramenti. Per dire: è emblematica un’intercettazione – sempre Rinascita-Scott – in cui uno dei Nostri, Censore, chiama Giancarlo Pittelli, avvocato-politico oggi ai domiciliari perché coinvolto nello stesso maxiprocesso, per dirgli che lo aveva sostenuto in passato, anche se i due appartenevano a partiti “nemici”, e che era venuto il momento di ricambiare il favore.

    Quella telefonata avveniva alla presenza di un imprenditore che secondo gli inquirenti sarebbe colluso proprio con la cosca di Filadelfia, il paese di De Nisi. Ed è capitato pure in un determinato momento storico non troppo lontano (febbraio 2019) che l’ex missino Bevilacqua e l’ex comunista Censore appoggiassero lo stesso candidato a sindaco (Stefano Luciano, oggi capogruppo del Pd in consiglio comunale). Così fan tutti, a Vibo.

  • Grave insufficienza renale, l’ospedale di Cosenza la manda via

    Grave insufficienza renale, l’ospedale di Cosenza la manda via

    Ha una grave insufficienza renale, ma l’ospedale di Cosenza la manda via. Dura una notte l’odissea di una signora di mezza età tra il presidio sanitario spoke Paola-Cetraro e l’hub della città dei bruzi. Sul Tirreno non c’è un nefrologo a prestarle cure necessarie. Cosenza è l’unico Hub della provincia. Ma non viene accettata.

    Qualcuno trovi un nefrologo allo spoke Paola-Cetraro
    Il referto dei medici dello spoke Paola-Cetraro

    D’estate si moltiplicano le presenze sulla costa. Turisti e gente che torna a Sud per le vacanze. Un nefrologo di notte non dovrebbe mancare, soprattutto in queste condizioni e con molti pazienti dializzati, quindi esposti a rischi maggiori.

    Il referto firmato da due medici dell’ospedale Spoke Paola-Cetraro spiega la gravità della situazione. «A causa della mancanza di un medico reperibile di Nefrologia e Dialisi in questo presidio (Paola) e in quello di Cetraro – si legge nel documento – si trasferisce il paziente per competenza all’Hub di Cosenza».
    Cercano di «contattare il Pronto soccorso di Cosenza senza esito». Alla fine la paziente rientra dall’Annunziata «senza essere accettata dal Pronto soccorso, né tantomeno essere visitata da un nefrologo».

    Una situazione non più sostenibile

    Un quadro allarmante emerge dalla comunicazione inviata da Francesco Rose, direttore medico di presidio unico facente funzioni dell’AO di Cosenza. Per conoscenza la missiva è rivolta pure al direttore sanitario Angelo Barbato.

    «Negli ultimi giorni in pronto soccorso si registrano gravi criticità per l’eccessivo numero di pazienti in attesa di ricovero». Ha scritto Rose, poi aggiungendo: «Il personale del pronto soccorso ha segnalato modalità di accesso che possono essere definite incongrue». Una situazione «non più sostenibile dal punto di vista dell’assistenza e della logistica».

    Nel documento si danno indicazioni rispetto alla richiesta proveniente da altri ospedali spoke della provincia. «Per patologie specialistiche, le UOC (Unità operative complesse) interessate – è scritto nel testo firmato da Rose – potranno dare disponibilità ad accettare i pazienti solo quando si ha a disposizione il posto letto, evitando di suggerire di far giungere il paziente in Pronto soccorso in attesa» di una sistemazione.

    La missiva inviata da Francesco Rose direttore medico di presidio unico

    La vita delle persone messa a rischio

    «È grave che non ci sia un nefrologo nello spoke Paola-Cetraro per le urgenze notturne. Ci troviamo di fronte a un’interruzione di pubblico servizio, aggravato dal fatto che si mette a rischio la vita delle persone». Il consigliere regionale del Partito democratico, Carlo Guccione, commenta «l’ennesimo caso di malasanità per mancanza di personale e di una turnazione efficace».

    Se medici e il personale sanitario operano oggettivamente in condizioni difficili, Guccione si rivolge, invece, al commissario dell’AO di Cosenza, Isabella Mastrobuono. «Dovrà rispondere – afferma il democrat – del perché, come si evince dal referto, la paziente è stata respinta al pronto soccorso di un hub come Cosenza senza ricevere cure». E «accerti se esistono eventuali responsabilità». Vista la gravità della situazione, che «va al di là del pur emblematico caso singolo, spero che intervenga la magistratura a fare chiarezza». In merito alla comunicazione del direttore Rose, Guccione fa notare: «È un dispositivo che di fatto ha chiuso l’accesso dei tre ospedali spoke di Paola-Cetraro, Corigliano-Rossano e Castrovillari all’hub di Cosenza».

  • Da Kabul a Polistena, Gino Strada sempre in prima linea

    Da Kabul a Polistena, Gino Strada sempre in prima linea

    Da Kabul a Polistena, Gino Strada in prima linea. Il chirurgo fondatore di Emergency ha portato sostegno e aiuto lungo un’altra frontiera, quella degli invisibili della piana di Gioia Tauro. Gente costretta a lavorare per pochi euro in condizioni disumane, nei campi dove lo sfruttamento arriva dritto sulle nostre tavole e facciamo finta di non saperlo. In questo viaggio a Sud ha percorso un tratto della sua strada insieme a Don Pino De Masi, referente di Libera in tutto il territorio della Piana.

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    Don Pino De Masi e Gino Strada

    Dopo i fatti di Rosarno

    Don Pino De Masi ha conosciuto Gino Strada dopo i Fatti di Rosarno, nel 2010, quando era «alla ricerca di una soluzione in termini concreti». Intanto era nato il progetto Emergency per l’Italia, Paese dove i livelli di assistenza erano sempre più precari e non per tutti. Oggi lo stato delle cose è peggiorato.
    «Ha mandato i suoi collaboratori qui da noi – racconta Don Pino – per capire quali fossero le condizioni, i primi due anni Emergency era presente con due pullman allestiti come un ambulatorio». Giravano per la Piana in cerca dei dimenticati. Quelli non censiti.

    L’ambulatorio di Polistena

    Palazzo Versace a Polistena era un bene confiscato alla ‘ndrangheta. Don Pino De Masi affida un piano ad Emergency. Diventa un polo con numeri importanti: 37.775 prestazioni offerte dal 2013, anno dell’apertura. «Soffrono di dolori muscolo-scheletrici, dermatiti e patologie gastrointestinali, patologie dovute alle difficili condizioni di vita e di lavoro», si legge nel sito dell’ambulatorio di Emergency. Un esercito di mediatori culturali, medici e sanitari che oggi effettuano anche tamponi antigenici per le fasce deboli.
    In tempi di Covid 19, Emergency è sempre lì. Dove invece il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì, non è mai stato. «Vive a distanza di 3 chilometri e non sa cosa abbiamo fatto» – aveva spiegato Gino Strada ospite di Mezz’ora in più di Lucia Annunziata.

    Una volontaria di Emergency a Polistena

    Uomo schivo che amava i poveri

    «L’ho visto tante volte e ho partecipato con lui alla festa di Emergency a L’Aquila distrutta dal terremoto». I ricordi di Don Pino De Masi poi arrivano a pochi mesi fa: «Si era consultato con me prima di venire in Calabria chiamato dal Governo per dare una mano in un periodo di profonda emergenza, con il Covid che mordeva i reparti dei nostri ospedali».
    Il prete di Libera parla di «uomo straordinario, sempre al fianco della gente e dei poveri, un tipo impulsivo che dava fastidio».
    E un giorno a Reggio «Gino doveva ricevere un premio dell’Ordine dei medici e non esitò un attimo a bacchettarli».

    Il commissario mancato

    La notizia della sua possibile nomina a Commissario della Sanità calabrese aveva suscitato grande entusiasmo nei cittadini. Dopo il gaffeur Cotticelli, serviva un nome forte e autorevole.
    Ma Strada ha messo subito le cose in chiaro: vengo se mi danno mano libera. Cosa impossibile soprattutto a queste latitudini per uno che pubblicamente ha sempre ammesso la necessità di concepire solo un tipo di sanità, pubblica e gratuita.
    E in Calabria parole di questo tipo mobilitano un esercito capace di impedire una nomina come quella di Strada. Uno che non ha mai pensato al profitto.

    A Crotone Emergency ha lavorato alla realizzazione di un secondo reparto Covid all’ospedale San Giovanni di Dio. A Cariati ha sostenuto la battaglia per la riapertura del presidio sanitario. Strada ha curato senza badare a chi aveva davanti. Dai bambini e miliziani lacerati dalle bombe a Kabul alle badanti dell’Est in Calabria, costrette a partorire senza aver mai visto un ginecologo.

  • Pino Gentile: «Liste all’Antimafia? Io non ho problemi»

    Pino Gentile: «Liste all’Antimafia? Io non ho problemi»

    Pino Gentile non è per niente preoccupato dell’invio delle liste alla Commissione Antimafia. Raggiunto al telefono, commenta in merito: «Non ho alcun problema».
    È stato proprio il candidato alla presidenza della Regione, Roberto Occhiuto, a spendersi per l’invio preventivo delle liste all’organismo presieduto da Nicola Morra.
    Il politico di lunghissimo corso e campione di preferenze, però, è ancora in cerca di una collocazione. Tramontata l’ipotesi Lega. Che ieri ha ufficializzato a Cosenza la candidatura di Simona Loizzo con il battesimo di Matteo Salvini. Presenti Mario e Roberto Occhiuto, tra il pubblico anche il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo.
    Gentile, raggiunto al telefono, dice: «Spero di candidarmi con il centrodestra». Alcuni, negli ambienti di Forza Italia, lo danno vicino a Noi con l’Italia, il movimento che fa capo a Maurizio Lupi. Lui smentisce.

    da sinistra Nino Spirlì, Simona Loizzo, Matteo Salvini, Roberto Occhiuto e Francesco Saccomanno
    da sinistra Nino Spirlì, Simona Loizzo, Matteo Salvini, Roberto Occhiuto e Francesco Saccomanno
    Simona sanità

    Simona Loizzo non ha dubbi: «Mi candido solo per la sanità, per dare il mio contributo in questo settore». Difficile capire come, visto che il comparto è commissariato. Forse si riferisce alla commissione Sanità. Del resto lei è un medico.
    Da sempre molto vicina a Tonino Gentile, oggi si smarca da questa etichetta politica. Precisando che quelli con l’ex senatore sono «solo rapporti di grande stima e amicizia».
    Sarà interessante capire cosa farà Andrea Gentile, figlio di Tonino. Se Roberto Occhiuto vince, lui entra a Montecitorio. Resta in Forza Italia oppure passerà con la Lega? Per ora nessuna risposta. E poi se nasce il partito unico non si porrà il problema.

    Jole starà sorridendo?

    Simona Loizzo è a suo agio nel Bocs Museum e si concede anche un passaggio su Jole Santelli: «Starà sorridendo perché ci vede tutti insieme». Difficile scoprirlo. Ma prima della candidatura alla presidenza della Regione, Mario e Roberto Occhiuto non sono stati teneri con lei. Anzi. Dire che starà sorridendo forse è un po’ eccessivo visti i trascorsi. E le parole pesanti volate in quel frangente.
    La Loizzo continua: «Mancini e Occhiuto i migliori sindaci di questa città».

    Salvini riabilita Mario

    «Abbiamo fatto diventare Cosenza un esempio di città del Mezzogiorno». Roberto Occhiuto parla indicando il fratello seduto in prima fila.
    Fino a poco tempo fa non era dello stesso avviso Salvini. Il suo veto impedì al primo cittadino di Cosenza di essere candidato alla presidenza della Regione. Oggi passeggia con l’architetto tra le opere del Bocs Museum.
    Però molti si chiedono perché Mario no e Roberto Occhiuto sì? A domanda precisa, il leader del Carroccio glissa con molta fantasia. «È cambiato il mondo».
    In sottofondo Francesco Caruso, il candidato a sindaco preferito dagli Occhiuto. Una foto e qualche sorriso con Salvini giusto per marcare il territorio.

    Granata esplode dalla Lega

    Ormai è ufficiale. Vincenzo Granata, consigliere comunale di Cosenza, ha strappato la tessera della Lega. Un partito, a suo avviso, diventato «un taxi per gli ultimi arrivati».
    Rincara la dose il fratello Maximiliano, presidente del consorzio Vallecrati. Sul suo blog, aspassoperlacittà.it, ha pubblicato la lista di tutti i fuoriusciti dal Carroccio. Due Granata esplosi contro la Lega.

  • Aspromonte in fiamme, cronache dall’inferno

    Aspromonte in fiamme, cronache dall’inferno

    Quello che ti colpisce immediatamente è l’odore: una cappa di fumo, cenere e plastica liquefatta che graffia la gola e ti impedisce di vedere a qualche decina di metri di distanza. La mattina successiva al grande incendio che ha messo in ginocchio i margini settentrionali del parco d’Aspromonte e messo a repentaglio la sicurezza stessa di due comuni della valle del Torbido, evacuati per precauzione, il panorama è cambiato profondamente. Delle querce alte come palazzi di tre piani e degli ulivi secolari con tronchi grandi come macine da mulino, resta giusto qualche moncherino fumante, a dominare un paesaggio ormai lunare che, imprevisti esclusi, impiegherà decenni a tornare in sesto. Impossibile ancora una prima conta dei danni, con i focolai che non lasciano tregua e i canadair che dalle prime luci dell’alba di giovedì hanno ripreso a fare la spola tra il mare e i primi anfratti della montagna.

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    Il paesaggio spettrale a Grotteria dopo l’incendio di ieri: il verde delle colline ha lasciato il posto al grigio della cenere
    Evacuati

    Martone, San Giovanni di Gerace, Grotteria: sono tre i micro paesi della Locride a pagare il tributo più alto al super lavoro dei piromani. «Una situazione mai vista prima – racconta Vincenzo Loiero, primo cittadino di Grotteria, poche centinaia di anime arroccate a poche spanne dal mare – a lungo abbiamo temuto che le fiamme raggiungessero le case. Siamo certamente di fronte all’opera dell’uomo. Troppi i focolai e troppo distanti l’uno dagli altri per pensare ad altre situazioni, questi sono certamente incendi di origine dolosa».

    La situazione è andata peggiorando con il passare delle ore ed è diventata così grave da convincere lo stesso sindaco a firmare, nel tardo pomeriggio di ieri, un’ordinanza di evacuazione del borgo che, nella sostanza però, quasi nessuno ha rispettato. Nessuno, o quasi, ha voluto lasciare le proprie case che rischiavano di finire divorate dal fronte dell’incendio che dalle montagne aveva raggiunto la prima periferia del paese.

    Da protettrice a protetta

    Alla fine saranno solo una decina le famiglie costrette ad abbandonare le proprie abitazioni in via precauzionale. Gli altri sono rimasti in paese, nel tentativo di dare una mano alle quattro squadre dei vigili del fuoco che per l’intera giornata hanno lottato per fronteggiare il muro di fiamme che marciava dai monti della Limina e che nel pomeriggio si era preso la vita di Mario Zavaglia, pensionato di 77 anni sorpreso dal fuoco mentre tentava di salvare i suoi animali in una casetta colonica.

    Con sifoni da giardino, con i secchi di plastica, con le pale: tutti si sono dati da fare per cercare di rimediare ad una devastazione che sembrava ormai inarrestabile. Quando le fiamme hanno raggiunto la rupe su cui si affacciano il municipio e la chiesa di San Domenico, sono stati i fedeli ad agire in prima persona per spostare la statua della Madonna di Pompei – patrona del paese – dalla sua nicchia e metterla in salvo. Sistemata inizialmente sul sagrato della chiesa, la statua è stata trasportata all’interno di un’abitazione privata che non era direttamente minacciata dall’incendio.

    Niente più acqua potabile

    Solo verso la mezzanotte l’allarme è rientrato, con le fiamme che sono state respinte a pochi metri dal centro abitato che alla fine della giornata conterà una solo casa distrutta dalle fiamme. Peggio è andata invece nelle frazioni più interne dove il calore provocato dall’incendio ha letteralmente sciolto le tubature in plastica dentro cui scorre l’acqua potabile, lasciando decine di famiglie a secco. Il servizio idrico è garantito grazie al continuo via vai delle autocisterne.

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    Ciò che rimane della casa distrutta dalle fiamme a Grotteria
    Sedici famiglie allontanate

    Grave la situazione anche nel limitrofo comune di San Giovanni di Gerace: anche qui le fiamme hanno lambito le prime case del borgo e il sindaco è stato costretto ad allontanare 16 famiglie dalle proprie case che rischiavano di essere distrutte dall’incendio. La situazione è migliorata nel corso della notte, ma anche qui il verde aggressivo delle colline è stato sostituito con una brulla grigia che puzza di morte.

    Il cuore della montagna in fumo

    E se a Grotteria si tira un sospiro di sollievo dopo ore di angoscia, le preoccupazioni si spostano su Martone, appena una manciata di chilometri più a nord, dove il satellite segnala il fronte di fuoco più ampio attualmente attivo nel reggino. Ancora lontani dal centro abitato, gli incendi qui hanno colpito duro con decine di ettari di boschi andati distrutti: anche la pineta della Rina, consueto rifugio cittadino nelle giornate di canicola estiva, è stata spazzata via.

    E addentrandosi nel cuore della montagna le cose vanno ancora peggio. Nella serata di mercoledì solo l’intervento di alcuni volontari ha consentito di portare in salvo una mandria di mucche che rischiava di finire bruciata. Un lavoro pericoloso – la stalla è stata distrutta dalle fiamme pochi minuti dopo l’evacuazione – ma preziosissimo e che ha consentito di portare in salvo anche un grosso allevamento di api: piccoli segnali di ottimismo, sull’orlo di una situazione drammatica.

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    Mucche in quel che resta dei pascoli dopo l’incendio di ieri

    «Abbiamo provato a interrompere il fronte del fuoco servendoci anche della strada – racconta Renzo Calvi, giovane assessore all’Ambiente del comune – ma avevamo solo un idrante e la forza della nostra disperazione. All’inizio sembrava ce la potessimo fare, ma quando si è alzato il vento le cose sono precipitate e le fiamme hanno finito per tagliarci il passo. È andato tutto in fumo».

  • A.A.A. cercasi voti: porte aperte nei partiti per i trasformisti

    A.A.A. cercasi voti: porte aperte nei partiti per i trasformisti

    La moda moralista dell’ultimo periodo istiga ad accusare chi cambia partito e schieramento, additato puntualmente come “cambiacasacca” e, in maniera più evergreen, “voltagabbana”.
    Ma chi toccherebbe Dorina Bianchi? Lei è esente da accuse, perché ritiratasi dalla politica per fare la funzionaria del Ministero della Sanità.
    Eppure, finché è durata la sua corsa, la bionda di Crotone è stata il parametro dell’instabilità politica calabrese: diventata parlamentare con il Ccd nel 2001, passa nell’Udc, quindi nella Margherita dopo essere transitata nel gruppo Misto.
    La scelta è felice: diventa deputata grazie all’Ulivo nel 2006. Quindi batte il ferro finché è caldo e aderisce al Pd, di cui diventa prima dirigente nazionale (2007), poi senatrice (2008).

    Nel 2011 tenta il ritorno a destra, candidandosi a sindaca di Crotone con uno spezzone di Udc e Pdl. Non ce la fa, ma capisce dove soffia il vento e aderisce al Pdl, grazie al quale ridiventa deputata nel 2013.
    Ma la stella di Berlusconi ormai declina, quindi la Nostra rivira a sinistra, in maniera più scaltra: aderisce alla scissione di Ncd e quindi al governo Renzi, di cui nel 2016 diventa sottosegretaria alla Cultura e al Turismo.
    Molla la presa nel 2018.

    Lei è la meno peggio tra tutti gli accusati di opportunismo: a suo carico non c’è un’inchiesta giudiziaria né uno scandalo giornalistico. Neppure un gossip privato, che, data la sua bellezza, ci starebbe. Solo una navigazione a vista, gestita con gran fiuto, tra schieramenti e partiti, che le ha consentito di stare a galla nella Roma “che conta” per quasi diciotto anni. Colpa sua? No. Semmai, dei partiti che gliel’hanno permesso e dei cittadini che l’hanno votata. Molti dei quali, c’è da scommettere, tuonano ora contro l’incoerenza…

    Lo schema

    Per capirci meglio, fissiamo uno spazio (rettangolare, quadrato o circolare non importa) e due punti alle sue estremità. Chiamiamo questi punti “destra” e “sinistra” (oppure “a” e “b”: fa lo stesso) e proviamo a osservare i movimenti dei politici tra l’uno e l’altro.
    A volte, si ha l’impressione di osservare un pendolo che oscilla con cronometrica precisione, come un metronomo o il ciondolo dell’ipnotista. Altre volte, i movimenti sono così frenetici e irregolari che si rischia di diventare strabici a seguirli.
    In altri casi, invece, il passaggio è uno solo, ma fatto con tanta gradualità da risultare impercettibile.

    Il problema non sono i politici che oscillano, ruotano, orbitano e fanno persino piroette pur di prendersi la poltrona. Il problema, ripetiamo, sono i partiti che, pur di piazzare bandierine accolgono di tutto senza andare per il sottile.
    L’involuzione è colpa loro: con la crisi della Prima repubblica si sono “alleggeriti”, hanno perso o ridimensionato strutture, perché il vecchio sistema tangentizio a base collettiva è finito e ne ha preso il posto uno a gestione individuale e familiare, e non riescono a controllare i territori in maniera capillare. Anzi, ne sono ostaggi.

    Chi ha capito tutto questo per tempo è stato Clemente Mastella, il vero vate della trasformazione politica italiana dalla partitocrazia al nuovo feudalesimo. Il suo Udeur, concepito come contenitore vuoto per traghettare esponenti e voti da destra a sinistra (e viceversa), ha fatto scuola.
    Tant’è che in più d’uno ha tentato di seguire le orme del Maestro. Tra tutti, spicca Giorgia Meloni. Ma il paragone tra un vecchio volpone democristiano e una non più giovane postmissina è davvero infelice: Mastella è uscito da tutti i guai, fa il sindaco di Benevento e i sui trascorsi sembrano dimenticati. Per la sora Giorgia i problemi sembrano all’inizio e molti di questi sono calabresi…

    Pino Gentile, un socialista è per sempre

    «Mio fratello è un papa», ha dichiarato con una delle sue battute al fulmicotone l’ex senatore cosentino Tonino Gentile. E aveva ragione: quella dei Gentile non è una corrente politica né un indirizzo filosofico (che tra l’altro c’è già e non garantisce alcun potere).
    È una confessione religiosa che conta tanti, fedelissimi adepti. Non ha inquisizioni perché è eretica di suo, a patto che l’eresia sia stabilita dai vertici.

    La carriera di Pino Gentile è semplicemente fantastica: nato nel vecchio Psi, grazie a cui è diventato un leader cittadino e una presenza fissa di Palazzo dei Bruzi, è riuscito a diventare sindaco nel Pri. Col collasso della Prima repubblica e col ritorno di Giacomo Mancini, Gentile fiuta l’aria e tenta di entrare in Forza Italia, diventata il più grosso rifugio per socialisti senza fissa dimora ma dalle grandi capacità elettorali.
    Ci riesce dopo aver scalzato i fratelli Occhiuto, che si rifugiano nelle sigle ex democristiane (Ccd prima e Udc poi).

    Il quindicennio in Fi è l’età dell’oro per l’ex sindaco, che ricopre a più riprese incarichi importanti in Regione e riesce a pesare anche dall’opposizione. Tanto più che il suo “sistema” viene puntellato a Roma dal fratello Tonino.
    La loro svolta avviene col passaggio a Ncd, grazie al quale approdano alla corte di Renzi, che nomina il senatore suo sottosegretario. È una nomina effimera, che termina dopo pochi giorni in seguito al cosiddetto “Oragate”, lo scandalo sollevato dall’ex quotidiano “L’Ora della Calabria”. Dopo un’ultima presenza nel partito di Alfano, i Gentile tornano in Forza Italia.

    Ma il loro consenso elettorale non basta più: Andrea, il figlio di Tonino, è travolto dallo tsunami grillino e non riesce a diventare deputato alle ultime Politiche. L’anziano Pino, invece, non rientra in Consiglio regionale, a dispetto di ottomila e rotte preferenze. Nonostante il fiuto innegabile, aveva sbagliato lista.
    Ora Pino, dopo aver incontrato difficoltà politiche (aggravate da qualche intoppo giudiziario) parrebbe intenzionato a bussare alla Lega, o in prima persona e in ticket con la fedelissima Simona Loizzo, o per interposta persona, cioè attraverso la sola Loizzo.

    Ennio Morrone, il mastelliano di Calabria

    Più trasversale dei Gentile, la dinastia dei Morrone è un esempio da manuale di sopravvivenza politica attraverso la gestione del potere.
    Ennio Morrone nasce come ingegnere e imprenditore di area socialista. Diventa consigliere alla fine della Prima repubblica e poi transita col vecchio Giacomo Mancini.
    La sua ascesa vera inizia con I Democratici, grazie ai quali diventa deputato. Poi passa nell’Udeur, che lo fa eleggere prima in Regione e poi di nuovo in Parlamento a metà anni Zero.

    È il momento d’oro, in cui il potere di Ennio diventa dinastico: suo fratello Aurelio è vicesindaco di Cosenza e i suoi interessi di imprenditore si estendono alla Sanità privata, un settore in cui acquista più cliniche.
    Finita la stagione mastelliana, il Nostro aderisce a Forza Italia, con cui diventa consigliere regionale, mentre suo figlio Luca entra a Palazzo dei Bruzi come presidente del Consiglio Comunale.

    Poi gli interessi di famiglia si spostano di nuovo, perché dopo la sfiducia a Mario Occhiuto gli ambienti cosentini di Forza Italia diventano meno praticabili per i Morrone. Infatti, Luca aderisce a Fratelli d’Italia (non prima di essersi candidato a sostegno del democrat Guccione nelle amministrative 2016), con cui diventa vicepresidente del Consiglio regionale. Tuttavia, la nuova linea legalitaria di Giorgia Meloni gli ha creato qualche difficoltà: Morrone jr, infatti, è rimasto impigliato nell’inchiesta Passepartout e rischia l’incandidabilità. Ma niente paura: secondo voci accreditate (e riportate da tutti i media) avrebbe deciso di candidare la moglie al posto suo. Ancora non si sa dove.

    Roberto Occhiuto, Dc nonostante tutto

    «Non moriremo democristiani», recitava un vecchio slogan che Roberto Occhiuto sembra aver fatto suo, ma interpretandolo in maniera democristiana.
    Formatosi nei gruppi giovanili della Dc tenta l’ingresso in Forza Italia, ma i Gentile gli sbarrano il passo. Quindi ripiega nel Ccd e poi nell’Udc, grazie al quale diventa consigliere regionale e, in seguito deputato.

    Il suo capolavoro politico risale al 2011, quando è all’opposizione a Roma assieme a Casini ma governa in Calabria con Berlusconi. Suo fratello Mario diventa sindaco di Cosenza e l’Udc ha un peso notevole nella giunta regionale di Scopelliti.
    In seguito al collasso del Pdl, rientra in Forza Italia, dove diventa deputato e leader regionale. Si prepara a conquistare la Regione, ma i suoi interessi cosentini sembrano spostarsi verso Fdi, a cui ha fatto aderire Francesco Caruso, sodale di suo fratello Mario. Un tentativo di colonizzazione, a cui il partito della Meloni, per quel che abbiamo già detto, si presta benissimo.

    Pietro Fuda e abbiamo detto tutto

    Per Fuda basta il giudizio tranchant di Maurizio Gasparri: occorrerebbe mettere uno stop ai cambi di schieramento, dopo tre volte uno resta dov’è.
    Fuda è un altro miracolo politico: grazie a lui Siderno è stata per un decennio buono la capitale degli equilibri politici calabresi. Nato a sinistra, Fuda transita nel centrodestra, alternandosi tra la guida della sua cittadina e le alchimie parlamentari. Torna a sinistra con Loiero e poi si avvicina all’Italia del Meridione di Orlandino Greco, che dopo essere stato oliveriano (da ex giovane missino) si è avvicinato al centrodestra.

    Fuda, secondo i bene informati, sarebbe intenzionato a candidarsi con la Lega. Questa scelta avrebbe imbestialito il dirigente cosentino Mimmo Frammartino, che ha mollato Idm. Questo è l’ennesimo cambio anche per Frammartino, che prima di diventare sodale di Greco era stato nell’area socialista e poi nel Pd. C’è da pensare che, date le dichiarazioni, almeno non passerà nel centrodestra.

    Ernesto Magorno, renziano anche suo malgrado

    Più lineare, ma non meno vertiginosa l’evoluzione politica di Magorno, nato socialista, poi approdato al Pd, di cui è stato segretario negli anni d’oro del renzismo.
    Di recente ha lasciato il Pd per aderire a Italia viva, il partito del suo capo. E ha tentato di avvicinarsi al centrodestra in vista delle prossime regionali. Purtroppo per lui, gli ha sbarrato la strada quel poco di base di cui dispone in Calabria il suo stesso partito. Il motivo è semplice: Renzi, seppur criticissimo verso il Pd, non se la sente di fare lo strappo. E Magorno deve abbozzare. Per ora…

    Cambiacasacca per necessità

    Non sempre si cambia per opportunismo o potere. A volte, è questione di sopravvivenza. Così è per Giuseppe Giudiceandrea, brillante esponente della sinistra calabrese. Formatosi nelle sigle postcomuniste (Rifondazione e poi Sel), Giudiceandrea ha aderito al Pd, con cui ha fatto il consigliere regionale nell’era Oliverio.
    Ora si è schierato con de Magistris e forse non c’è da dargli tutti i torti, perché il Pd ha una rara capacità di divorare i suoi figli, specie se giovani, come ha capito sulla sua pelle Nicola Irto. Per andare coi Masanielli, Giudiceandrea ha fatto leva su Azzurra, l’associazione d’area che fa capo alla Boldrini. Non è dato sapere se sia ancora nel Pd.

    Questa casa non è un albergo?

    La colpa è dei partiti, che prima sono diventati alberghi a ore e adesso mirano a trasformarsi in camping, in cui sostare il minimo necessario per dormire un po’ o infrattarsi.
    I più funzionali alla bisogna sono ciò che resta dell’Udc e Fdi, che per sopravvivere o crescere, hanno preso di tutto. Coprendosi di figuracce a cui la sola Meloni tenta di rimediare, forse tardi e male. I casi di Creazzo, transitato da sinistra a destra e finito sotto inchiesta per presunti legami ’ndranghetistici, e quello, recentissimo, di Nicola Paris, sono esempi da manuale di come non si dovrebbe selezionare. Esempi da cui i partiti 4.0 sembrano non voler imparare niente…