Categoria: Fatti

  • Amministrative Cosenza: il meglio, il peggio e il trash

    Amministrative Cosenza: il meglio, il peggio e il trash

    Cosenza non si smentisce mai: perde residenti in maniera vistosa, ma aumenta i propri candidati. Effetto senz’altro della balcanizzazione politica del post Occhiuto, che termina il suo ciclo come sindaco (ma, suggeriscono i bene informati, si prepara a fare il sindaco “di fatto” in qualità di vice di Francesco Caruso).

    Ma la frammentazione politica è solo una parte della spiegazione, perché i cosentini sono stati sempre generosi nel mettersi in lista: è, almeno, dai tempi di Perugini che la città di Telesio fa impazzire le statistiche grazie all’alto numero di candidati. Che nemmeno stavolta è smentito: 8 aspiranti sindaci a cui si collegano 29 liste per il totale mostruoso di 869 aspiranti consiglieri. I quali, spalmati su una popolazione residente di 65.209 unità generano un record non proprio trascurabile: un candidato ogni 75,0391 abitanti.

    Se si considera che la popolazione maggiorenne (almeno a livello anagrafico) supera di poco le 40mila unità, il rapporto cresce vistosamente (circa un aspirante consigliere ogni 50 abitanti e qualcosa).
    Un risultato simile, per fare paragoni su scala, non lo si raggiunge neppure a Roma, dove gli aspiranti sindaco sono 22 per un totale di 39 liste e 1.800 aspiranti consiglieri che, spalmati su una popolazione residente di 2.778.662, risultano uno ogni 1.543,701 abitanti.

    Anche la disordinata Napoli, al nostro confronto, sembra una caserma politica, perché gli aspiranti sindaco sono 7 per un totale di 160 aspiranti consiglieri su una popolazione residente di 938.507 unità.
    Per riprendere la battuta volgarissima di un ex consigliere comunale, i cosentini, almeno a livello politico, «hanno la candida». Già, ma in questo caso non è nulla di intimo, spesso inconfessabile e comunque fastidioso da curare: è una distorsione della vita pubblica che svaluta la democrazia perché polverizza il voto e gli toglie valore.

    I superpopulisti alla carica

    Una buona fetta di aspiranti consiglieri non coltiva ambizioni politiche di nessun tipo, neppure quella di acquisire qualche merito elettorale per bussare agli uffici “che contano” di Palazzo dei Bruzi.
    Al massimo, esprimono la rabbia, il disagio per il calo della qualità della vita nelle zone popolari e la delusione nei confronti dei vecchi referenti.
    Questo discorso riguarda senz’altro la stralarga parte dei seguaci di Francesco De Cicco e Francesco Civitelli.

    De Cicco tallona Francesco Caruso

    Forte di 6 liste per un totale di 192 candidati, De Cicco tallona da vicino Francesco Caruso. Ma una cosa è il numero degli aspiranti consiglieri, un’altra la possibilità di tradurre questo numero in un risultato elettorale temibile.
    L’ex assessore di Mario Occhiuto, infatti, ha pescato soprattutto nei quartieri popolari, grazie alla continua presenza (è stato l’assessore più a contatto diretto coi cittadini) e a un programma tutto cose, senza alcuna velleità “metropolitana” ma mirato a lenire i disagi pratici del cittadino comune. Lui è populista per definizione e vocazione e non sulla base del marketing politico.

    Coi suoi numeri danneggerà non poco gli avversari che, a destra e a sinistra, hanno finora colonizzato i quartieri popolari e rischia di essere determinante per il ballottaggio.
    Discorso simile per Civitelli, che con le sue 5 liste e 158 aspiranti consiglieri, è il terzo candidato sindaco per seguito. La vocazione populista e il radicamento nei quartieri è uguale a quella di De Cicco, ma l’esperienza politica minore. Potrebbe profittare dell’effetto sorpresa, fare numeri e giocarseli al ballottaggio anche lui.

    La sinistra di (non) governo

    Franz Caruso era partito con la quarta innestata, grazie all’appoggio esplicito di Nicola Adamo (che pesa più del cinquanta per cento del Pd cittadino) e di Luigi Incarnato, che comunque rappresenta i socialisti non di destra cosentini.
    Ai due, dopo qualche tentennamento iniziale, si è aggiunto Carlo Guccione, silurato alle Regionali ma ancora forte in città.

    Come tutti i motori lanciati con troppi giri, quello di Caruso ha picchiato in testa. Con il principe del Foro cosentino ci sono “solo” tre liste, sebbene ben curate.
    Curatissima quella del Pd, in cui figurano due sempreverdi della politica cosentina, cioè Damiano Covelli, protagonista di primo piano della vita amministrativa cittadina e legatissimo a Nicola Adamo, e Giuseppe Mazzuca, guccioniano di ferro e oppositore storico di Occhiuto.

    La Funaro capolista del Pd

    Anche la tradizione familiare ha il suo peso. Perciò non è un caso la presenza in lista di Maria Pia Funaro, già candidata dem alle scorse politiche e figlia di Ernesto Funaro, storico assessore regionale della vecchia Dc.
    La lista del sindaco presenta alcuni volti noti, tra cui quello di Chiara Penna, avvocata e criminologa molto presente sui media. Oltre ai volti, ci sono anche i nomi noti, in questo caso Giuseppe Ciacco, figlio di Antonio Ciacco, ex consigliere comunale di Cosenza e avvocato battagliero. Inoltre, c’è la consigliera uscente Maria Teresa De Marco.

    E ci sono altri due protagonisti della vita politica di Cosenza: Mimmo Frammartino, fresco di divorzio con Orlandino Greco, e Roberto Sacco, che ha trovato alla fine collocazione a sinistra. La sua candidatura mette la parola fine a un piccolo giallo: dato per candidato nella Lega (al riguardo, i bene informati riferiscono di un suo colloquio non troppo riservato con Spirlì alla Cittadella), il corpulento ex consigliere non sarebbe stato troppo gradito ad Occhiuto che avrebbe espresso il veto nei suoi confronti.
    Molto al femminile, invece, la lista del Psi, in cui Incarnato gioca il suo nome candidando sua figlia Giuseppina Rachele.

    Grillina e tansiana? Semplicemente Bianca

    Bianca Rende si è ribellata alle dinamiche del Pd e tenta la corsa da sola in nome del civismo. Tre liste al suo seguito, di cui la principale, Bianca Rende sindaca, piena di donne.
    Non sappiamo se la Rende riuscirà a correre, ma nel frattempo, balla, visto che con lei militano due maestri di danza: Paolo Gagliardi e il tansiano Patrizio Zicarelli.
    Inoltre, la presenza di Anna Fiertler è garanzia di un legame con una certa alta borghesia cittadina. Quella di Sandro Scalercio indica, invece, l’appoggio di alcuni movimenti civici, che sostengono contemporaneamente la candidatura dell’imprenditore Pietro Tarasi alla Regione.

    Ora, è vero che Tarasi corre con de Magistris. Ma è altrettanto vero che Tansi, il quale corre contro il sindaco di Napoli, appoggia la Rende. Lo fa come capolista della sua Tesoro di Calabria, con cui corre al fianco di Amalia Bruni alle Regionali in qualità di capolista in tutte e tre le circoscrizioni.
    Dedizione alla causa? Senz’altro. Ma non si andrebbe troppo lontani dal vero nel pensare che Tansi miri a entrare anche a Palazzo dei Bruzi.
    Altra conferma a fianco della pasionaria ex renziana, i Cinquestelle cosentini, che corrono con la Bruni in Regione.

    La corazzata di Caruso

    L’armata è temibile e, almeno in apparenza, vincente. Il centrodestra non ha lesinato mezzi per spingere Francesco Caruso alla vittoria.
    Col giovane ingegnere, fedelissimo di Mario Occhiuto, si sono schierati molti centometristi del voto, tra consiglieri uscenti in cerca di conferma, ex consiglieri che tentano di rientrare ed esponenti di primo piano della vita cittadina. Più il solito stuolo di amici e parenti.
    I suoi 252 aspiranti consiglieri, spalmati su otto liste promettono bei numeri e l’arrivo al ballottaggio in posizioni vantaggiose.

    La Lega da Bartolomeo a Karim Kaba

    La vera sorpresa, in questa coalizione, è la Lega, che è riuscita a compilare una propria lista dopo l’abbandono di Vincenzo Granata, fratello di Maximiliano Granata, il presidente del Consorzio Vallecrati.
    Nel partito di Salvini hanno trovato ospitalità alcuni volti noti (Francesco Del Giudice) e protagonisti dei dibattiti consiliari (Roberto Bartolomeo) che fanno buona compagnia ad altrettanti migranti, più o meno nazionalizzati, come Karim Kaba e Sodevi Bokkori.
    Fortissima la lista berlusconiana (Forza Cosenza), in cui hanno trovato posto altri protagonisti, come Giovanni Cipparrone, che completa con la militanza azzurra il suo percorso particolare, iniziato in Sel. O come Michelangelo Spataro e Luca Gervasi, fedelissimi di Occhiuto.

    L’immancabile Totonno ‘a Mmasciata e gli altri

    Non può proprio passare sotto silenzio la candidatura di Antonio Ruffolo, alias ’a Mmasciata, tanto silenzioso quanto votato. Un’altra fedelissima che milita in Fi è Alessandra De Rosa, ora nella Giunta dell’archistar.
    Molto forte anche la lista di Fratelli d’Italia, dove si è collocato il votatissimo Francesco Spadafora. Con lui, militano sotto le insegne di Meloni la ex assessora di Perugini, Francesca Lopez, il gentiliano Massimo Lo Gullo, Giuseppe D’Ippolito (fedelissimo di Orsomarso), la consigliera uscente Annalisa Apicella e, last but not least, Michele Arnoni, anche lui ex sodale di Orlandino Greco, che torna alla vecchia fiamma.

    Non è il solo Arnoni in corsa con Caruso. Infatti, l’altro Michele Arnoni (cugino e omonimo) è candidato in Coraggio Cosenza, la lista compilata da Vincenzo Granata per conto del governatore ligure Giovanni Toti. La Lega ha perso un rappresentante, ma Caruso ha guadagnato una lista.
    Consistente anche la lista dell’Udc, in cui corrono Enrico Morcavallo (eletto nel 2016 col Pd) e Salvatore Dionesalvi, anche lui ex assessore di Perugini.
    Confermato l’impegno dell’assessore regionale Gianluca Gallo, attraverso la lista La Cosenza che vuoi, in cui è sceso in campo il suo segretario Giovanni Iaquinta.

    Gli outsider

    Molto concreta la scesa in campo dell’ex big Udc Franco Pichierri, che schiera due liste, la nostalgica Democrazia cristiana (sì, si chiama proprio così) e Noi con l’Italia, con cui impegna a Cosenza il logo di Maurizio Lupi. Al suo seguito si candida Antonio Belmonte, altro protagonista dell’era Perugini eclissatosi negli ultimi dieci anni.
    L’allineamento di Pichierri al centrodestra durante il ballottaggio è quasi scontato.

    Candidature di pura testimonianza per l’ex ballerino Fabio Gallo e per il medico Valerio Formisani.
    Con Formisani, figura carismatica della sinistra radicale, si sono schierati, tra gli altri, il sindacalista Delio Di Blasi e l’ex militante di sinistra sinistra Graziella Secreti.
    Quasi a sorpresa l’ingresso di Gallo, ex ballerino ed esponente di primo piano dell’attivismo cattolico.

    Che il caos abbia inizio

    Ci aspetta circa un mese di comunicati, polemiche social, dibattiti e pareti tappezzate, il tutto in un prevedibile clima di caos. Non ci si può attendere altro dalla città con più candidati d’Italia.

  • Gentile e Occhiuto: c’eravamo tanto odiati

    Gentile e Occhiuto: c’eravamo tanto odiati

    “Le cose cambiano” è il titolo di un bel film di Mamet, perfettamente applicabile ai mutamenti della politica a queste latitudini. Nemici feroci, opportunisticamente alleati, sempre con i pugnali pronti. E’ la storia, per esempio dei fratelli Gentile ed Occhiuto, tra i quali è scorso molto sangue, ma oggi sono uniti dalla presenza di Katya Gentile, figlia di Pino, nella lista che sostiene Roberto Occhiuto, fratello del sindaco uscente di Cosenza.

    Gegè Caligiuri sceglie i Gentile per Forza Italia

    Ma la storia, i conflitti e le alleanze tra loro cominciano molto tempo fa, quando Berlusconi scende in campo e a Cosenza nasce il primo Club di Forza Italia. La sede è in un bell’appartamento del centro, con i soffitti affrescati, scelto da Gegè Caligiuri, uomo di Publitalia, mandato a guidare il partito in Calabria. Caligiuri non sceglie solo la location del partito, sceglie pure gli uomini e tra Roberto Occhiuto, allora giovane di belle speranze e i fratelli Gentile, sceglie questi ultimi. I fratelli sono già ex molte cose: ex socialisti, ex Psdi, ex repubblicani. Cercano casa e portano un considerevole pacchetto di consensi costruito pazientemente, si dice senza mai tradire una promessa fatta. Tra i Gentile e gli Occhiuto non c’è partita, i primi sono troppo forti e Roberto fa le valigie trovando ospitalità nello sguarnito Udc.

    Lo scontro alle provinciali del 2009

    Le due famiglie per anni si ignorano, pascolando in recinti elettorali contigui, ma diversi, ad un certo punto però giunge il momento dello scontro diretto: è il 2009, tempo di elezioni provinciali. I candidati sono tre: Mario Oliverio per il centrosinistra, Pino Gentile per Forza Italia e Roberto Occhiuto con l’Udc. Si capisce subito che il vero avversario di Roberto è Pino, quasi a cercare un modo per misurarsi nell’ambito della stessa alleanza di centrodestra. Curiosamente in quella occasione, al fianco di Occhiuto c’è una lista civica che si chiama “No al Federalismo leghista”, ma speriamo che Spirlì non faccia al riguardo ricerche su Google.

    Le due famiglie tornano ad incrociarsi alle elezioni comunali di Cosenza del 2011. La destra vuole conquistare la città fortino della sinistra e ci riesce candidando Mario Occhiuto che vince di un soffio. È sostenuto da uno schieramento parallelo a quello ufficiale ma trasversale, fatto di grumi del centrosinistra e dai Gentile. Questi ultimi otterranno il posto di vicesindaco affidato a Katya. Occhiuto, come un novello Frankenstein, si ribella presto ai suoi creatori – sostenitori e si libererà di loro. Anche di Katya, marginalizzata e poi defenestrata dopo una serie di atti chiaramente ostili.

    La guerra social di Katya Gentile

    Da allora è guerra. La figlia di Pino da quel momento diventa una pasdaran anti Occhiuto: non c’è giorno che sulla sua bacheca di Facebook non spari bordate contro il sindaco, svelando inciuci, affari, nefandezze.

    Mario non incassa senza replicare e in una occasione chiama mafiosi i Gentile. Sarà querelato, naturalmente, ma incredibilmente assolto. A parte questo, il padre e lo zio di Katya tacciono, sono troppo navigati per farsi prendere dall’emotività, sanno che le cose cambiano, come avverte Mamet e che presto arriverà il tempo della vendetta, oppure di una nuova alleanza e non si sbagliano.

    Dietrofront: un posto per Katya e Andrea Gentile

    Infatti il tempo arriva: Roberto Occhiuto si candida a guidare la Regione e in caso di vittoria cederebbe il posto in parlamento al figlio di Tonino Gentile, rimasto fuori alle passate elezioni, ma soprattutto ecco Katya nelle liste al fianco del fratello del lungamente detestato Mario. Gli improperi social saranno certamente perdonati in cambio di un consistente consenso legato alla storia della famiglia Gentile, che passa lo scettro da Pino alla figlia. In politica si fanno le capriole come al circo, perché le cose cambiano, ma le persone no.

  • La monnezza fa parte del paesaggio umano calabrese

    La monnezza fa parte del paesaggio umano calabrese

    Questa non è solo l’estate degli incendi appiccati a comando e dell’olocausto rituale e paramafioso di boschi e foreste. Come se non bastasse. Ci sono anche le monnezze, le discariche a cielo aperto, i cumuli di rifiuti urbani abbandonati per mare e monti a fermentare sotto il sole per mesi, anni. Un’esplosione di scarti dispersi e seminati ovunque da mano umana per paesi, città e strade più o meno trafficate. Polluzione nociva da cui non si salvano affatto boschi, riserve, aree verdi, parchi nazionali. Anzi. Succede specie quando vanno tutti in vacanza, e i servizi ai cittadini sotto la voce Tari latitano.

    La monnezza non sparisce mai

    Le spazzature oramai sono presenze incombenti, entità materiali e simboliche, “oggetti” che non spariscono dal nostro paesaggio neanche quando i servizi migliorano, la raccolta differenziata viene messa in opera correttamente. Le monnezze restano, troppe e insolubili, anche nei casi migliori di civismo e buone prassi. Perché non è solo un problema di politiche di smaltimento arretrate, di discariche e inceneritori che dominano le scelte delle politiche regionali sul ciclo dei rifiuti. E allora? Il guaio è la prevalenza delle monnezze abbandonate negli spazi pubblici, le discariche fuori controllo, la presenza macrofisica e microfisica di resti ingombranti, rimasugli, avanzi. Buste di spazzatura e rifiuti urbani si impongono così, malgrado le buone eccezioni, come nuovo e significativo oggetto-monumento-documento: sono un carattere del paesaggio e dello spazio pubblico contemporaneo in Calabria. Stanno lì, sotto gli occhi di tutti, e ci interrogano. Su cosa? Un fenomeno esorbitante come questo non può non dirci qualcosa sul senso civico e le mentalità diffuse tra i nostri corregionali.

    Una passeggiata tra i rifiuti nel centro storico di Cosenza (Foto Alfonso Bombini)
    Siamo noi i colpevoli

    Come per gli incendi boschivi, gli operatori di questi scempi ambientali non sono gli altri. Non sono soggetti estranei o truppe d’occupazione, ma nostri concittadini: autoctoni, indigeni, calabresi doc. Sono i nostri vicini di casa, siamo noi, nessuno si senta escluso. La pantopologia delle monnezze non risparmia un angolo che sia uno della regione: paesi, province o città metropolitane. La Calabria espone le sue scorie e suoi scarti ingombranti, polverosi, sporchi e olezzanti, ovunque a cielo aperto. Come fossero le installazioni di un artistico museo en plein air di Trash Art. Ma non lo sono, e non lo diventeranno. Sono altro.

    Produciamo più monnezza di una metropoli asiatica

    Su un piano di realtà viene seriamente da chiedersi. Come sia capace la regione dichiaratamente più povera, disamministrata e più disperata d’Europa per la disoccupazione e l’emigrazione crescente, quella con la miseria preindustriale dei suoi redditi medi e i sostegni a pieni mani dei redditi di cittadinanza, ad accumulare in proprio, per poi e sparpagliarla ovunque, tanta monnezza superconsumista? Già, perché la monnezza significa una cosa sola: eccesso di consumi, di beni superflui, di cibo in eccesso, di plastica, di imballi e di tutto il resto. Insomma è prova flagrante di sovrabbondanza, dismisura, eccedenza. Lo spirito del capitalismo che si manifesta in rumenta al 38° parallelo. Perché quello che si butta via e che si mette disinvoltamente fuori, prima si acquista nei santuari del consumo di massa: supermercati, iper, centri commerciali. La Grande distribuzione organizzata in Calabria ha i suoi hub del consumismo piazzati ovunque e per tutti i gusti. Poi le merci che passano dalla GDO prima di finire in giro nei sacchetti di plastica scaraventati ovunque fuori la porta di casa, stanno dentro le case dei calabresi, quelle di paesi e città, al mare o in montagna: riempiono i frigoriferi, le dispense, i ripostigli, gli armadi. Ecco un altro dei misteri ingloriosi che ben rappresentano lo stigma autoinflitto della società calabrese contemporanea. Una società di poveri che consuma in eccesso. E fa più monnezza di una metropoli asiatica.

    Murales e rifiuti a pochi metri dal fiume Crati a Cosenza (foto Mauro F. Minervino)
    I rifiuti sono un oggetto reale e simbolico

    Come antropologo che lavora sul campo temo che in questa regione si debba  considerare l’evidente e ormai annosa supremazia degli scarti e degli ingombri inquinanti abbandonati nei luoghi pubblici, con le irreparabili conseguenze dei danni procurati su paesaggio antropico e natura (insieme alle cattive abitudini civiche correlate), come un “oggetto reale” che è parte del progetto politico (consapevole, sempre meno inconsapevole) dello spazio pubblico realizzato, e quindi come documento della dimensione etica, culturale e simbolica condivisa e praticata nei comportamenti dalla media larga dei cittadini di questa regione. Le monnezze oggi sono lo status symbol distorto e socialmente malvagio del raggiunto benessere e dell’iperconsumismo democraticamente distribuito tra classi e gruppi sociali. Da sobri e parchi che furono quando erano poveri, nel 2021, in piena emergenza globale pandemica e climatica, i calabresi-medi ribadiscono oggi spargendo rifiuti e monnezze dove capita, e a colpi di spazzature allegramente scaraventate dai finestrini delle auto in corsa, una sorta di posizionamento sociale “selvaggio” che si dichiara nelle forme riottose e sprezzanti di un diffuso respingimento di codici di condotta e prassi condivise che sono fondamento di ogni elementare regola civica e di convivenza responsabile tra i cittadini.

    L’arte del rifiuto

    Da documento-status symbol del raggiunto benessere, i resti le spazzature abbandonate e le scorie accumulate negli spazi pubblici per via di questa distorsione divengono un oggetto-monumento che manifesta simbolicamente il problema indigesto che più in generale la modernità, con tutto il corteo delle sue flagranti disfunzioni, in Calabria configura. L’esorbitanza di resti, scarti e monnezze diviene così esibizione drogata e oscena dei nuovi status symbol del consumo fine a se stesso. Questa sorta di esibizione abborracciata che si situa tra le installazioni di land art, l’insulto sistematico all’ambiente e l’arte popolare dell’accumulo, ha conquistato in termini di maggiore evidenza il luogo esibitivo per eccellenza di questa regione: la strada, ovvero il nervo più lungo di tutto lo spazio pubblico, lo spazio pubblico e infrastrutturale che collega e connette i diversi territori e omologa tutti i luoghi del paesaggio vecchio e nuovo di questa regione.

    Dentro pulito, fuori sporcizia e cumuli di rifiuti

    Dalla casa pulita alla strada sporca in Calabria il passo è breve. Dentro lo spazio privato lindo e scintillante di detersivi e igienizzanti, e fuori quello pubblico oppresso dai cumuli di scarti, buste di spazzatura e congerie di rifiuti. Ecco servita un’altra schizofrenia sociale, dopo la malvagità altrettanto sociale degli incendi boschivi. Dentro puliti, fuori sporchi. “Robb’a i tutti jettala allu jjum’e” non sostiene un forse un vecchio adagio popolare? La necessaria riconsiderazione della strada e dei luoghi dello scarto come condensatori di tracce e di informazioni sociali e antropologiche problematiche ma preziose, è una conseguenza dell’entropia scaturita dalla crescita incontrollata dei consumi, dall’intreccio irrisolto nella complessità dei processi di modernizzazione e dalla spinta crescente all’urbanizzazione che hanno costruito la realtà di questa regione negli ultimi cinquant’anni.

    Rifiuti abbandonati tra i boschi della Sila Grande. Fago del Soldato, Parco Nazionale della Sila
    Non ci resta che ragionare sul riuso

    Sono circostanze così pesantemente reali e cariche di conseguenze che dovrebbero indurre la Calabria a ragionare collettivamente non solo su una nuova coscienza del riuso e degli orientamenti da adottare nelle politiche regionali del ciclo dei rifiuti, ma anche a riflettere su una nuova immaginazione progettuale, in grado di ridisegnare il ruolo degli spazi pubblici e dei beni comuni per città, paesi, aree naturali e trasporti più adeguati alla geografia del contemporaneo di questa regione. Considerando lo scarto come uno degli oggetti del progetto politico e civico dello spazio pubblico a venire, e non come destino. Sublimare lo scarto fino a renderlo oggetto di trasformazione dello spazio pubblico contemporanea è ovunque il progetto delle città contemporaneo che investono intelligenza e applicano risorse su questi temi. Per ora, invece, una enorme rimozione culturale e simbolica (oltre che materiale) giace sotto i cumuli di rifiuti e le discariche incontrollate che costellano a cielo aperto il paesaggio e le strade della Calabria di adesso. Questo resto indigesto e ingombrante, questo nuovo oggetto sociale che si insedia nelle spazzature abbandonate, visibile ma oscuro, che si accumula e avanza come un inarrestabile blob fuori dalle porte di casa e per strada ai lati della nostra vita pubblica, siamo noi stessi. Un mucchio selvaggio di segnali e di informazioni utili per lo studio dell’evoluzione della società, della città e del territorio, della regione che siamo e di quella che come cittadini vogliamo costruire.

    L’anarchia della monezza come sfregio

    Il nostro irrisolto rapporto con la modernità passa dalla spazzatura forse più che dai libri. Esso costituisce il dato esperienziale e di una nuova drammaturgia umana e sociale che non trova per ora forme di rappresentazione che non siano quelle prive di forma ma cariche di evidenza, del rifiuto irredento. L’anarchia dello sfregio tale e quale.
    Occorrerebbe invece rapportarsi al tema dello scarto affrontandone il geroglifico antropologico e culturale che vi resta insediato. Ciò che in esso mistifica e semplifica i caratteri identitari delle più antiche resistenze e riottosità etniche dei calabri mescolandole al conformismo iperconsumista di oggi, decostruendo così le ragioni di quel posizionamento “selvaggio”, a cui prima alludevo, per venirne finalmente a capo.

    Lo stato di natura in Calabria

    C’è una pagina sorprendente di un grande filosofo del secolo dei lumi che in un apologo sulla libertà metteva in valore il carattere esotico e primordiale, lo stato di natura dei fieri calabresi di un tempo: “… Tutte le istituzioni politiche, civili e religiose. Esaminatele a fondo: o io mi sbaglio terribilmente, oppure in esse vedrete la specie umana sottomessa di secolo in secolo al giogo che un pugno di furfanti ha voluto imporle…E i Calabresi sono forse gli unici sui quali le lusinghe dei legislatori non hanno avuto effetto.
    A – E questa anarchia della Calabria vi piace?
    B – Mi appello all’esperienza, e scommetto che nella loro barbarie ci sono meno vizi che nella nostra civiltà. Le tante nostre piccole scelleratezze equivalgono all’atrocità dei loro grandi crimini di cui si mena tanto scandalo. Io vedo gli uomini non civilizzati come una grande riserva di forze sparse e isolate. Senza dubbio potrà accadere che qualcuna di queste forze si scontri con un’altra, e o l’una o l’altra andrà in pezzi, o magari accadrà a entrambe…, e in questa macchina chiamata società tutte le forze furono messe in azione, pressate incessantemente ad agire e a reagire l’una contro l’altra, tanto che se ne frantumarono di più in un giorno nello Stato retto da leggi che in un anno nell’anarchia dello stato di natura!..
    A – Dunque, voi preferite lo stato di natura bruto e selvaggio?
    B – In verità non oserei dirlo, ma so che si è visto spesso l’uomo di città spogliarsi e tornare alla foresta, mentre non si è mai visto l’uomo della foresta vestirsi e andare a vivere in città”.

    Il viaggio di Monsieur de Bougainville e quella certa anarchia

    Certo, siamo in tempi post-illuministici e lo scetticismo è di moda. Nessuno di noi oggi vive nelle foreste silane e qualche comodità, come mostrano le montagne di spazzatura che sparpagliamo ovunque, nel frattempo ce la siamo pure guadagnata. Questa pagina del passato però stupisce e interroga alla stregua di un autorevole paradosso. Colpisce, non solo perché riprende il mito irredentista del calabrese “tutto natura”. Un “buon selvaggio” che sopravvive in una sorta di riserva indiana sul bordo estremo della vecchia Europa, refrattario alle regole della società e dello stato moderno: “I Calabresi sono forse gli unici sui quali le lusinghe dei legislatori non hanno avuto effetto”. Dice, anche, purtroppo, qualcosa di oggi. La pagina, sconosciuta ai più, ruffiana e bellissima, compare in un dialogo immaginario che si trova in un’opera minore, il Supplemento al viaggio di Monsieur de Bougainville del grande Diderot, uno dei padri dell’Illuminismo. Un tempo lo stato di natura era pieno di speranze. La storia no. E noi siamo ora più che mai dentro la storia. Quella di adesso. Davanti a tutte le nostre monnezze per strada chi può più dire dei calabresi di oggi che “nella loro barbarie ci sono meno vizi che nella nostra civiltà”?

  • Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

    Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

    La chiusura del calciomercato, decretata alle 20 di avantieri sera in un’epoca in cui il “tempio” del mercato pallonaro della penisola sembra essersi trasformato in un luogo asettico di camicie bianche e disperazione causa crisi economica, ha aperto subito l’era dei processi e dei giudizi per direttissima. In serie B, che poi è la categoria che ci riguarda da vicino, le più grosse testate nazionali e i bookmakers inglesi hanno messo il Cosenza calcio tra gli organici candidati alla retrocessione in C, mentre Crotone e Reggina pare possano dormire sonni tranquilli.

    Nulla di nuovo, verrebbe da dire, anche perché la lunga vicenda della riammissione (o ripescaggio, che ognuno, a seconda della propria coscienza, chiami questa cosa come gli pare) arrivata quando mezza cadetteria era già in ritiro da quasi un mese, ormai è cosa nota a tutti e non interessa più a nessuno. Eugenio Guarascio escluso, ovviamente.

    Goretti tenta il miracolo

    Interessa più che altro vedere cosa accadrà da adesso in avanti, tenendo conto che le premesse, restando sempre con i pensieri a ciò che accade in riva al Crati, sono realmente poco confortanti. Prima, però, se proprio un giudizio si vuole dare a qualcuno alla luce di quanto visto negli ultimi giorni nel capoluogo lombardo, non si può non pensare a Roberto Goretti, neo direttore sportivo, che in poco più di due settimane è riuscito a mettere in piedi quasi da zero, come nelle migliori tradizioni del calcio bruzio in salsa guarasciana, una rosa di calciatori.

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    Il nuovo ds del Cosenza, Roberto Goretti

    Il suo voto – e me ne assumo tutte le responsabilità – è alto, altissimo e non perché la squadra, piena zeppa di sconosciuti con l’aggiunta di Palmiero, Millico e pochi altri, a guardarla con la lente d’ingrandimento sia di grande qualità, ma per la pazienza e il sangue freddo con cui ha saputo gestire ogni minima trattativa sentendo, 24 ore su 24, il fiato sul collo del suo riconoscibilissimo datore di lavoro, per la prima volta in undici anni di presidenza rossoblù presente laddove si concludono gli affari.

    Costruirò una grande squadra

    Dichiarazioni di circostanza a parte, sarebbe interessante sapere cosa pensa davvero oggi, dopo i due giorni di Milano, il neo ds rossoblù dell’imprenditore ambientale. Ne aveva parlato bene nel giorno della sua conferenza stampa di presentazione, affidandosi, forse ingenuamente, alle frasi ad effetto dei suoi predecessori Meluso e Trinchera per rendere l’idea: «Prima di accettare Cosenza, li ho chiamati ed entrambi mi hanno parlato bene di Guarascio». Che mattacchioni.

    Da lì in poi, com’era prevedibile, il suo lavoro è stato una corsa contro il tempo e contro l’eccitazione che aveva prima della firma del contratto. È vero, si veniva da giorni di precarietà e di incertezza, tali da giustificare il ritardo nella costruzione della rosa, ma le esternazioni dell’assente presidente Guarascio lasciate in dono al sindaco Mario Occhiuto («mi ha detto che stavolta costruirà una grande squadra»), lasciavano intravedere, almeno in chi crede ancora a Babbo Natale, uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, o qualcosa che gli somigliasse.

    Alle tradizioni non si rinuncia

    Ma, in un batter d’occhio, tutto è tornato al suo posto. La partenza ad handicap è diventata un alibi e al “San Vito-Marulla”, dopo lo sballottato tecnico Zaffaroni, è piombato un manipolo di calciatori, quasi tutti più adatti alla C che alla B. Calciatori volenterosi che, senza batter ciglio, indossando la casacca dell’anno scorso (perché, pare che senza la certezza della categoria, non si potessero neanche avere delle divise nuove) hanno accettato come kamikaze giapponesi di giocarsi la pelle contro Fiorentina, Ascoli e Brescia.

    Il resto è storia recente, si aspettava almeno una punta da doppia cifra e invece non si è riusciti ad andare oltre il sogno Emmanuel Rivière. Il suo ritorno, sponsorizzato dallo stesso Guarascio, a un certo punto sembrava cosa fatta: «C’è l’accordo con il calciatore» – urlavano gli esperti di mercato – «Il Cosenza pagherà il suo ingaggio per intero»; «Il patron per lui è disposto a superare il budget abituale».

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    Emmanuel Rivière nella stagione in cui ha indossato la maglia del Cosenza

    Poi, però, non se n’è fatto più niente, più che altro perché oltre a dialogare amabilmente con il diretto interessato e col suo procuratore, sarebbe stato opportuno rivolgersi anche al Crotone, proprietario del suo cartellino. Invece, come dichiarato dalla stessa società pitagorica in uno strano ma eloquente comunicato stampa, nessun dirigente del Cosenza ha mai mostrato interesse per l’attaccante martinicano.

    A meno che, ma qui rischiamo di addentrarci in un territorio che ha a che fare più con il fantacalcio che con la realtà acquisita, lo stesso Cosenza non abbia deciso di attendere la rescissione del contratto del calciatore per ingaggiarlo da svincolato. Per ora, l’unica cosa da fare è raccontare i fatti, e i fatti dicono che l’attacco silano è un’incognita.

    Una marea di se

    Nonostante i pronostici abbiano già decretato la morte sportiva del team di Zaffaroni, è oggettivamente troppo presto per capire che fine farà questa squadra. Dal discorso potrebbero spuntare fuori una marea di se, come accade quando sei povero e sogni l’impossibile o scommetti tutto quello che hai sul cavallo più scarso per vincere di più. “Se” Rigione riuscirà a governare la difesa come faceva Dermaku, “se” Palmiero sarà quello di tre anni fa, “se” Millico non si farà male un giorno sì e l’altro pure come accaduto nella scorsa stagione, “se” Gori sarà il nuovo Margiotta e tanti altri di quei se che non basterebbe un altro articolo a contenerli tutti insieme.

    Però, a pensarci bene, forse non è questo che conta realmente. Alla fine, sul campo o fuori, si potrà anche raggiungere l’ennesima striminzita sopravvivenza, in grado di far respirare una città che di pallone vive e si nutre per dimenticare ciò che la circonda. Ma cosa resterebbe del Cosenza e della sua gente innamorata e rassegnata ormai al minimo sindacale? Come accade guardando passivamente il degrado in cui è caduta rovinosamente la città, negli occhi di tutti resterebbe il solito vuoto, telecomandato da chi, quell’entusiasmo potenziale, da 11 anni a questa parte lo tiene in pugno e non lo lascia esplodere a dovere.

    Niente scuse

    Il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, dopo le dure e meritate contestazioni dei mesi scorsi, ha deciso di chiudersi nel suo fortino di Lamezia. Non parla, non passeggia più su corso Mazzini col gelato in mano, è offeso duramente con l’intera città, non la stima neanche un po’ e non ha nessuna intenzione di abbandonarla. Non ha nessuna intenzione di chiederle scusa per i recenti danni emotivi e di immagine che le ha causato.

    Resta lì, sul suo trono, per un appalto e per un capriccio che continua ad arricchirlo mentre il popolo ai suoi piedi si impoverisce di speranza. Sa benissimo che per gestire come si deve una società di calcio professionistica, non basta un direttore sportivo coraggioso e competente. Sa bene che servirebbero anche un direttore generale, un settore giovanile all’avanguardia che lavori in collaborazione con altre società satellite, uno staff sanitario di prim’ordine. E poi, ancora, strutture attrezzate, un’area scouting di primo piano e una mentalità aperta. È consapevole che dovrebbe puntare con decisione sulla comunicazione, oggi più che mai fattore indispensabile per una azienda sportiva ad alti livelli.

    La fortuna durerà in eterno?

    Lo sa bene Guarascio, ma per lui non è importante. A lui basta avere un direttore sportivo senza grilli per la testa, affidargli ogni anno uno dei budget più bassi dell’intero panorama professionistico e pretendere che vada tutto bene. E può anche andare bene ogni tanto, perché no? Il direttore sportivo pesca nel mucchio (rigorosamente con la formula del prestito) una decina di ragazzini girovaghi alle prime armi (sconosciuti al mondo ma osannati dagli eternamente fiduciosi come se fossero dei Messi in rampa di lancio) e magari accade che un paio di questi, proprio quando giocano per te, beccano l’annata perfetta o si scoprono addirittura dei campioncini in grado di tenerti a galla. E tutti lì a dire: che bravo però il direttore sportivo, che fiuto il patron Guarascio.

    A volte funziona, a volte no. A volte si resiste e a volte si retrocede. Salvo poi cavarsela miracolosamente grazie a una pandemia che stravolge gli equilibri, grazie a un gol di Jallow al 91’ e a un fallimento improvviso di una squadra che ti riapre le porte di un torneo che avevi abbandonato con disonore.
    Tutto qui. Ormai si sa che è tutto qui. Ma oggi, 2 settembre 2021, a cosa serve ricordarlo? Oggi è tempo di rinnovati pronostici, di critiche ed applausi.
    C’è una squadra nuova da tifare e da contestare per dimenticare.

    Francesco Veltri

  • Guerra dell’acqua: l’accordo a perdere della Regione con A2A

    Guerra dell’acqua: l’accordo a perdere della Regione con A2A

    L’estate della grande sete si chiude con un accordo «storico». L’aggettivo campeggia sul sito istituzionale del Comune di Isola Capo Rizzuto e, in effetti, è innegabile che, se si modifica una Convenzione che risale al 1968 e stabilisce quanta acqua debba essere presa dai bacini silani per irrigare i campi del Crotonese, il passaggio sia rilevante. Il problema è che paga sempre Pantalone, ovvero la Regione, anche per avere a valle ciò che a monte gli apparterrebbe.

    Il vecchio accordo

    Ma andiamo con ordine. La sigla dell’accordo risale al 25 agosto: da una parte la Regione Calabria, dall’altra A2A (la più grande multiutility italiana dell’energia, 13.500 dipendenti). Sono il corrispondente odierno di ciò che nel ’68 rappresentavano Cassa del Mezzogiorno ed Enel. I bacini da cui viene l’acqua di cui si parla sono l’Arvo, l’Ampollino e il Passante. I destinatari sono i versanti jonici catanzarese e crotonese. Gli utilizzi previsti sono potabile, irriguo, industriale e idroelettrico.

    Il lago Arvo

    L’accordo di mezzo secolo fa prevede che ogni anno, tra maggio e settembre, vengano resi disponibili nel torrente Migliarite e quindi nel fiume Tacina 24,3 milioni di mc di acqua, che con i fluenti arrivano a 33,13 milioni. C’è anche la possibilità di una deroga, ma in «situazioni di ridotta idraulicità» i quantitativi estivi non devono mai essere inferiori al’80% di quanto pattuito.

    I tempi cambiano

    Negli anni la Regione subentra a Casmez e A2A diventa titolare delle concessioni. Il Consorzio di bonifica crotonese, che distribuisce agli agricoltori l’acqua rilasciata nel torrente Migliarite, chiede quantità «maggiori – concordano la Regione e la multiutility – rispetto ai quantitativi spettanti». Ci sono delle ragioni: le «mutate pratiche agricole», la rete consortile colabrodo che ha perdite «anche oltre il 50%», i prelievi abusivi localizzati dalle due parti nell’Altopiano silano. E poi i cambiamenti climatici, non proprio un dettaglio. La Regione concorda con A2A rilasci ulteriori «prevedendo le necessarie forme di indennizzo del danno»: se serve più acqua per irrigare la risorsa mancherà alle centrali di Timpagrande e Calusia e quindi ci sarà un mancato guadagno.

    Agricoltori in ginocchio

    Con queste premesse si arriva alla crisi di queste settimane, con un centinaio di agricoltori di Isola Capo Rizzuto e Cutro costretti a protestare a bordo dei trattori perché, dicono, A2A avrebbe ridotto i rilasci nonostante gli impegni presi con la Regione. «Rivendichiamo il diritto – è la dichiarazione di un loro portavoce, Tonio Tambaro, riportata dall’Ansa – di portare a conclusione le colture in atto. Una società come A2A, che si occupa di sociale anche a livello nazionale, si è completamente disinteressata ai bisogni della comunità, chiudendo in maniera repentina l’acqua il 18 agosto. Abbiamo perso tutte le colture».

    Gli agricoltori sanno bene quanto costi anche un solo giorno in più senz’acqua con le temperature di agosto 2021, dunque ribadiscono la necessità di rimodulare la vecchia Convenzione. «L’acqua appartiene alla Regione Calabria – aggiungono – che avrebbe potuto trovare un accordo con A2A non mettendo in ginocchio gli agricoltori. Noi stiamo continuando ad elemosinare pochi metri cubi di acqua per le colture quando sul versante Neto l’acqua va a finire in mare come ha dimostrato il Consorzio di bonifica».

    Vengono accontentati, l’accordo arriva. Con grande soddisfazione dell’assessore all’Ambiente, il “Capitano Ultimo” Sergio de Caprio, che esalta «il dialogo leale» che «ha prodotto un risultato importante a garanzia delle famiglie che vivono di agricoltura, delle comunità che contribuiscono al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e dello sviluppo del turismo».

    Il nuovo atto disciplina la possibilità del rilascio, a favore del fondovalle del Tacina, di volumi idrici annui aggiuntivi. «Eravamo certi – rilancia il Comune di Isola – che con l’impegno del capitano Ultimo, e con la nostra determinazione giornaliera, avremmo raggiunto risultati importanti». Viene messa in risalto anche la «sensibilità» della multiutility che nelle premesse dell’accordo si dice orientata a «soddisfare al meglio le esigenze del territorio».

    Bene pubblico ma non troppo

    Come? Innanzitutto portando al tavolo con la Regione uno studio agronomico «redatto da professionisti del settore» e «contenente una valutazione dei reali fabbisogni irrigui del territorio». Proprio così: quanta acqua serva agli agricoltori crotonesi non lo dice la Regione Calabria, che dovrebbe essere l’istituzione deputata a rappresentare i bisogni dei suoi cittadini, specie in relazione all’utilizzo di un bene (in teoria) collettivo come l’acqua per scopi che hanno a che vedere con il sostentamento primario come l’agricoltura. No: la trattativa parte con uno studio commissionato dall’altra parte, cioè il privato, che come tale deve pensare prima al profitto e poi al resto.

    Ecco cosa prevede la nuova Convenzione. Se ci sono «comprovate esigenze irrigue» i rilasci di acqua possono essere «eccezionalmente» anticipati ad aprile e proseguire fino al 15 ottobre, su richiesta del Consorzio «avallata per iscritto dalla Regione» con almeno 30 giorni di anticipo. L’acqua rilasciata potrà arrivare a ulteriori 10 milioni di mc. Potrà, appunto. Perché normalmente si arriverà ai 33,13 milioni originariamente previsti e gli altri 10 arriveranno «solo a seguito di motivata richiesta scritta in tal senso della Regione».

    Solo «eccezionalmente» saranno rilasciati quantitativi ulteriori oltre ai 10 milioni e «in nessun caso» supereranno i 13 milioni annui. Ovviamente, però, ogni goccia d’acqua oltre i 33,13 milioni di mc originari sarà «oggetto di indennizzo in favore di A2A in ragione del danno per mancata produzione subìto». Un indennizzo che verrà calcolato «considerando la mancata produzione delle centrali di Timpagrande e Calusia, ed il fatto che gli impianti coinvolti sono a serbatoio e, come tali, in grado di produrre energia rinnovabile nelle ore più remunerative».

    Gli indennizzi ad A2A

    Viste le condizioni delle reti consortili, la Regione da parte sua «si impegna ad approvare un programma di investimenti pluriennali sulle reti irrigue». Solo quando sarà pubblicata la delibera regionale con gli investimenti (e la loro copertura finanziaria), che devono necessariamente prevedere anche l’installazione di contatori «sui punti di consegna agli utenti finali», A2A «eccezionalmente» metterà a disposizione acqua fino a 4,5 milioni di mc annui senza applicare il primo scaglione di indennizzo «unicamente per spirito di cooperazione con le comunità territoriali e le istituzioni».

    Ma come «ristoro di tutti i costi sostenuti» la Regione dovrà comunque corrispondere un indennizzo forfettario di 180mila euro all’anno, rispetto a questi 4,5 milioni di mc, fino al 31 dicembre 2024. In via del tutto «eccezionale e irripetibile», per il 2021, A2A si dice disponibile a rilasciare fino 10 milioni di mc in più a fronte di un indennizzo equivalente alla sola somma di ogni importo, tributo, canone demaniale e sovraccanone richiesto alla multiutility per la derivazione dell’acqua eccedente.

    Tutto «senza che ciò possa costituire né un precedente né il presupposto per ulteriori rinunce o concessioni rispetto ai propri diritti acquisiti». Ovviamente non c’è pericolo che la Regione non paghi: tutti gli indennizzi previsti nell’accordo avverranno mediante compensazione sugli importi dovuti da A2A per i canoni relativi alla concessione dell’acqua a uso idroelettrico.

  • Terme Luigiane, è l’ora del confronto: Molinaro dice sì, gli altri?

    Terme Luigiane, è l’ora del confronto: Molinaro dice sì, gli altri?

    Lo stop alle attività delle Terme Luigiane nel 2021 rappresenta, a prescindere da chi ne sia responsabile, una sconfitta per l’intero territorio e la sua economia. In questi giorni abbiamo provato ad approfondire per i nostri lettori i dettagli della vicenda, dando voce ai protagonisti. Abbiamo fatto parlare prima i lavoratori, gli utenti, la società che aveva in gestione il compendio, per poi ascoltare l’altra campana, quella della politica locale.

    Una scelta precisa, all’insegna dell’imparzialità e dell’approfondimento per il bene della comunità, che il nostro direttore intende portare avanti fino in fondo. Per trovare una soluzione, ha scritto nel suo ultimo editoriale, c’è bisogno che gli attori protagonisti del dramma delle Terme Luigiane si incontrino. E che parlino apertamente con i cittadini di ciò che è stato fatto e di ciò che bisognerà fare per arrivare a una soluzione come tutti auspicano.

    Il primo a dare la sua disponibilità per un confronto pubblico a più voci è stato il consigliere regionale Pietro Molinaro (Lega), inviandoci la lettera che potete leggere poche righe più sotto. La risposta del direttore, riportata subito dopo, conferma le nostre intenzioni di non lasciare che tutto si limiti a un rimpallo di responsabilità o al chiacchiericcio pre-elettorale.

    Ma, soprattutto, è un invito a tutti gli altri protagonisti – politici, imprenditori, lavoratori – della diatriba ad aderire a questa proposta.
    Confidiamo che contattino, così come ha fatto il consigliere Molinaro, la nostra redazione per partecipare a un dibattito aperto. Il dialogo e il confronto sono l’unico modo per restituire ai cittadini la fiducia nella politica e nell’imprenditoria locale.

    La lettera a I Calabresi del consigliere regionale Pietro Molinaro 

    Egregio direttore,

    mi riferisco al suo articolo Le Terme Luigiane muoiono, annegate dalle chiacchiere, ed in particolare alla parte in cui sollecita i politici a parlarne pubblicamente, “vis-à-vis con i lavoratori che hanno perso il lavoro, con gli operatori commerciali – albergatori in primo luogo – già messi K.O. dal Covid, con quei calabresi che alle terme ci debbono andare, nella propria terra, specie se qui possiamo vantare una volta tanto «un fiore all’occhiello»”.

    Condivido la sua opinione che i politici parlino in pubblico della vicenda delle Terme Luigiane, confrontandosi con le principali vittime dello scempio costituito dalla chiusura degli stabilimenti. Per questo, le esprimo la mia disponibilità ad accogliere il suo eventuale invito a parlare pubblicamente della vicenda delle Terme Luigiane ed a confrontarmi con chi riterrà opportuno. Se con il suo giornale vorrà organizzare un incontro pubblico a più voci sulla vicenda, non mancherò. Con l’auspicio che non serva ad alimentare polemiche ma a trovare soluzioni.

    I miei atti pubblici documentano il mio impegno, non a chiacchiere ma con atti politici ed amministrativi, per l’apertura delle Terme Luigiane. Ho preso posizione pubblicamente sulla vicenda fin dal dicembre 2020. Ho sollecitato, con comunicazioni scritte ufficiali, Orsomarso e Spirlì a far svolgere alla Regione un ruolo attivo per garantire le prestazioni sanitarie e l’occupazione. E l’ho fatto sia pubblicamente che in incontri personali.

    Ho scritto al Direttore generale del Dipartimento Attività produttive che il 1° luglio mi ha risposto ma successivamente ha interrotto la comunicazione, nonostante sia stato sollecitato più volte, sempre in forma scritta. Ho incontrato i lavoratori nel corso dell’occupazione pacifica dello stabilimento termale. Ho partecipato alla manifestazione pubblica dei lavoratori. Ho presentato una interrogazione alla Giunta regionale alla quale non ho ricevuto risposta. Ho presentato una mozione in Consiglio regionale che non è stata discussa. Mi sono mosso anche in altre direzioni istituzionali che per ora ritengo opportuno mantenere riservate. Non è bastato e ne sono dispiaciuto, ma onestamente, da consigliere regionale credo che non avrei potuto fare di più.

    Per svolgere il mio compito ho assunto una posizione di cui sono fermamente convinto anche se è molto distante da quella dell’Assessore Orsomarso e del Presidente ff. Spirlì. Facciamo parte della stessa maggioranza ma questo, per me, non vuol dire accettare tutto quello che fa la Giunta regionale. Su singoli atti, nel merito, considero doveroso e legittimo dissentire ed io l’ho fatto senza farmi frenare da vincoli di maggioranza. Da eletto, rispondo innanzitutto alla mia coscienza ed ai miei elettori e poi alla maggioranza di cui faccio parte. Ognuno legittimamente sostiene le proprie posizioni, ed io sarei disposto a cambiare posizione se Orsomarso e Spirlì mi fornissero motivazioni valide che finora non mi hanno fornito.

    Dunque, ben venga anche un’iniziativa pubblica organizzata dal suo giornale, per un confronto schietto tra le diverse posizioni che ci sono in merito alle Terme Luigiane. In ultimo, mi permetto di formularle i miei auguri per la nuova iniziativa editoriale de I Calabresi. Fin dalle prime settimane di vita il suo giornale si sta caratterizzando per essere realmente il “giornale d’inchiesta” che ha dichiarato di voler essere. Per questo mi complimento con lei e con i suoi collaboratori. La Calabria potrà trarre grande utilità da un’informazione sempre più ricca di inchieste che aiutino i cittadini ad andare oltre le apparenze ed il qualunquismo. Un cordiale saluto.

    Pietro Molinaro

     

    La risposta del direttore de I Calabresi, Francesco Pellegrini

    Egregio consigliere,

    Apprezzo molto la sua disponibilità ad un confronto pubblico con gli altri soggetti politici e istituzionali, ma anche con altri attori coinvolti nella crisi delle Terme Luigiane, di cui tutti, i lavoratori in primo luogo, auspicano e richiedono una pronta soluzione.
    Vi sono altri, molti altri problemi in Calabria a forte impatto economico e sociale che impongono alla classe politica, a tutela della sua credibilità ed onorabilità, che non pare godere di buona salute, un reale e trasparente confronto con i cittadini. Si preferisce invece – anche con la compiacenza di alcuni professionisti della “disinformazione” – il gioco stucchevole e penoso delle promesse avveniristiche, meglio se collocate in un tempo lontano – decenni, non mesi – che assicurano l’immunità ai falsi profeti.

    Noi, come Lei cortesemente ricorda, siamo nati per introdurre o rendere più ampia la pratica del confronto e della comunicazione pubblica, la sola idonea a determinare scelte politiche e convincimenti consapevoli della comunità dei cittadini.
    Quindi accogliendo la sua disponibilità chiediamo ai sindaci di Acquappesa e Guardia Piemontese, all’assessore Orsomarso, al presidente Spirlì, alla Sateca e, soprattutto, ai lavoratori delle Terme Luigiane di comunicare la loro condivisione della proposta del consigliere Molinaro. Noi, con le necessarie intese, provvederemo all’organizzazione dell’incontro presso le Terme – o, in alternativa, presso la nostra sede a Cosenza – e alla sua diffusione in streaming.

    Cordiali saluti
    Francesco Pellegrini

  • Lorica: impianti quasi pronti, ma si potrà sciare?

    Lorica: impianti quasi pronti, ma si potrà sciare?

    «Stiamo lavorando perché alla fine di ottobre i lavori relativi agli impianti di Lorica siano terminati», assicura Roberto Esposito, coadiutore giudiziario della Lorica Ski, tuttavia potrebbe accadere che non si possa lo stesso sciare e non per forza per mancanza di neve.

    Un progetto da 16 milioni

    La storia del progetto “Lorica Hamata in Sila Amena” è stata particolarmente tormentata. La Regione Calabria intendeva rilanciare il turismo invernale in un’area della Sila dove generalmente l’innevamento è più abbondante. E così aveva approvato il piano di rifacimento degli impianti di risalita, che erano parecchio vetusti. La somma stanziata, utilizzando i fondi comunitari, era cospicua: oltre 13 milioni di euro. Altri 3 milioni dovevano provenire dai privati che avrebbero successivamente gestito la struttura. Poi è giunta la tempesta giudiziaria.

    Interviene la Dda

    La Dda di Catanzaro a seguito di una indagine sequestra gli impianti. Poi, con l’operazione Lande desolate, procede agli arresti di Barbieri (lo stesso imprenditore che aveva realizzato piazza Bilotti a Cosenza) e di altri, ed indaga anche l’allora presidente della Regione, Oliverio. Il sogno di avere in Sila una struttura all’avanguardia, in grado forse di promuovere lo sviluppo di quell’area, svanisce.
    Il progetto riprende vita quando l’autorità giudiziaria autorizza la prosecuzione dei lavori, pur se il procedimento penale non è concluso. Di qui l’affidamento alla società Lorica Ski del completamento di quanto rimasto sospeso.

    Casali del Manco ha fretta

    A Casali del Manco, comune nel cui territorio ricade l’area interessata al progetto, sono fiduciosi. Sia il sindaco Stanislao Martire che l’ingegnere Ferruccio Celestino affermano di sperare di poter aprire al pubblico gli impianti, «perché manca poco». «E potremmo perfino partire – aggiungono – senza che siano pronti anche le attrezzature necessarie per produrre l’innevamento artificiale».

    In realtà a Casali del Manco si azzardano anche a guardare oltre. Sperano di poter presto avviare la realizzazione dell’altro grande progetto che vede la Sila protagonista, quello che consentirebbe il collegamento tra gli impianti di Lorica e quelli di Camigliatello. Ma sanno che per questo ci sono ancora mille difficoltà, visto che «mancano le autorizzazioni relative all’impatto ambientale e occorre verificare la copertura finanziaria».

    Ottimismo contro realismo

    A guardar bene, è probabile che sindaco e ingegnere pecchino di infondato ottimismo, la strada che conduce alla fine di questa storia pare ancora parecchio lunga. La Regione prevede che entro il 31 ottobre i lavori siano completati e per come si è pronunciato il coadiutore giudiziario, è possibile che questo avvenga. Si sta procedendo alla messa in sicurezza del rifugio a monte, alla revisione della sciovia e all’installazione dei cannoni spara neve, recuperando il ritardo imposto dall’emergenza Covid.

    Tuttavia sono ancora molte le cose da fare prima di consegnare ai turisti la nuova cabinovia e riguardano scelte amministrative e politiche. Intanto occorre procedere ai collaudi, ma soprattutto è necessario individuare il soggetto che gestirà la struttura. E i tempi sono molto stretti.

    Il nodo della gestione

    «I comuni non hanno alcuna competenza riguardo la gestione degli impianti – spiega ancora Esposito – quindi tocca alla Regione assumere una decisione a riguardo».
    Se i tempi relativi ai lavori saranno rispettati, la palla passerà alla Cittadella. Sarà lei a dover procedere ad un affidamento diretto della gestione della struttura, per esempio alle Ferrovie, oppure indire un avviso pubblico in grado di richiamare privati o, ancora, assumerne direttamente la conduzione.

    I tempi per tutto questo paiono ristretti, soprattutto perché la Lorica Ski ha presentato un protocollo in base al quale, una volta consegnati i lavori, si renderebbero immediatamente fruibili gli impianti, senza attendere i tempi infiniti della giustizia penale. Infatti la struttura è sul terreno demaniale e dunque del tutto estranea ai procedimenti giudiziari che ne hanno a lungo bloccato gli sviluppi.

    Questo protocollo è stato rapidamente recepito dal comune di Casali del Manco, mentre dalla Regione non è ancora arrivato nessun commento. Se da Catanzaro non dovesse giungere il consenso al protocollo, tutta l’urgenza impiegata per mettere in operatività gli impianti sarebbe vanificata. A riguardo oggi è intervenuto con una certa preoccupazione il consigliere leghista Pietro Molinaro, che in un comunicato sollecita la Giunta a prendere rapidamente posizione sulla vicenda e in generale ad attuare la Delibera “Santelli – progetto Sila”. Il leghista aveva già nel mese di giugno avanzato uguale richiesta, «ma senza ottenere alcun riscontro».

    L’annuncio dell’assessore

    Nel mese di marzo l’assessore Orsomarso era presente sul cantiere dei lavori. In quella occasione aveva assicurato che la Regione avrebbe chiesto il dissequestro della struttura e avviato quanto necessario per dare vita ad un bando per affidarne la gestione. E proprio ieri, sulla sua pagina Facebook, Orsomarso ha annunciato «che su Lorica forse abbiamo trovato la via d’uscita, lavorando proficuamente con amministratori giudiziari che hanno condiviso un percorso con i giudici, i comuni e la Regione». Una dichiarazione che, circa i destini di Lorica, sembra ancora piuttosto generica.

    Per gli impianti di Camigliatello anch’essi chiusi per motivi legati alla manutenzione dei cavi, sempre sui social Orsomarso ha annunciato novità. La Regione – si legge nel suo post – ha stanziato 3,8 milioni di euro, «perché l’Arsac aspettava da anni finanziamenti per la manutenzione ed autorizzazioni». La stagione invernale è in arrivo e occorre essere pronti. Altrimenti il paragone – piuttosto azzardato – con Cortina e Courmayeur, evocato dall’assessore regionale nel corso di una intervista rilasciata di recente proprio a Lorica, rischia di diventare meno di una barzelletta.

  • Lamezia, la maledizione del consigliere regionale

    Lamezia, la maledizione del consigliere regionale

    Oltre al “titolo” di terza città della Calabria, perso con la fusione di Corigliano Rossano, c’è una mancanza che pesa ancora di più a Lamezia Terme: la rappresentanza. Con un Comune da anni in predissesto finanziario e di nuovo commissariato – stavolta non per mafia ma per irregolarità in 4 sezioni (su 78) dove si rivoterà ad ottobre per far tornare sindaco Paolo Mascaro – è evidente che la caccia grossa è quella che punta alla Regione. Ma c’è un dato storico che fa pensare quasi a un sortilegio: in consiglio regionale da quasi un decennio i lametini non riescono a mettere piede.

    La maledizione di Palazzo Campanella

    L’unico – e ultimo – è stato Franco Talarico, che lo ha fatto da assessore al Bilancio prima di finire impigliato nell’inchiesta “Basso profilo”. Nessun consigliere regionale nelle ultime due legislature. Alle elezioni di gennaio 2020 si è schierata una truppa di una decina di candidati ma nessuno ha staccato il biglietto per Reggio. In Consiglio è entrato solo Pietro Raso, che è di Gizzeria e ci riproverà anche stavolta con il sostegno pesante del deputato leghista Domenico Furgiuele.

    Andando a ritroso, nell’era Oliverio (2014) non è stato eletto nessuno. In quella Scopelliti (2010), invece, sono entrati lo stesso Talarico, poi “salito” alla Presidenza del Consiglio regionale, e Mario Magno, poi subentrato solo per qualche mese del 2017 a Nazzareno Salerno. È stato eletto e rieletto Tonino Scalzo, che è di Conflenti, mentre nel 2014 non ce la fece Gianni Speranza.

    Profilo ingombrante

    Oltre a Furgiuele, leghista della prima ora che porta l’orgoglio sambiasino (Sambiase è uno dei tre ex Comuni, con Nicastro e Sant’Eufemia, accorpati nel 1968) in Parlamento, meritano certamente menzione altri “registi” che da dietro le quinte provano a dirigere aspiranti attori e inconsapevoli comparse nella tragicommedia delle Regionali.

    Uno, il più ingombrante, è senza dubbio lo stesso Talarico, già leader dell’Udc calabrese finito prima ai domiciliari e poi tornato in Giunta ma con l’obbligo di dimora. Agli atti di “Basso profilo” figurano diverse intercettazioni captate tra dicembre 2020 e gennaio 2021, quando le elezioni regionali erano state fissate per il 14 febbraio. Talarico era alle prese con le strategie per la composizione delle liste del suo partito e ne parlava spesso con un ex assessore comunale lametino non indagato ma considerato «vicino al clan Iannazzo».

    Nella fase monitorata l’interlocutore di Talarico si rivelava «determinante per la scelta dei candidati dell’Udc», dimostrando inoltre di essere «in stretta sintonia» con il leader nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa «al quale non solo manda i saluti ma anche rassicurazioni sull’attività di ricerca e coordinamento in Calabria».

    Galati e il cavalluccio

    Il ruolo di regista spetta anche a un altro big più volte nel mirino degli inquirenti ma uscito pulito da tutto: Pino Galati. Deputato per cinque legislature, sottosegretario in due governi Berlusconi, coinvolto in “Poseidone” (finita per lui con l’archiviazione), “WhyNot” (assolto), “Alchemia” (archiviato), “Quinta bolgia” (arresto e poi archiviazione), restano in piedi le accuse ipotizzate nell’inchiesta sulla Fondazione Calabresi nel mondo di cui è stato presidente.

    Ida d’Ippolito con l’ex ministro Claudio Scajola e Pino Galati (foto lameziaweb.biz)

    Ha iniziato con la Dc, poi Ccd/Udc, quindi Forza Italia e Pdl, “Ala” di Denis Verdini e a marzo 2018 elezione mancata con “Noi con l’Italia”. Nella convention con cui a giugno è partita la campagna elettorale del centrodestra era presente e ha anche salutato Matteo Salvini. Nelle intercettazioni di “Basso profilo” spunta più volte il suo nome: «Lui (Galati, ndr) sta cercando candidati a Lamezia – dice Talarico – però ancora non ha detto con chi». L’ex assessore «vicino al clan Iannazzo» risponde ridendo: «Lo ha detto anche a me… dice che va cercando un cavalluccio».

    Peppino e Pasqualino

    Una delle candidature che Talarico voleva chiudere per l’Udc è quella di Peppino Zaffina. Ex esponente del Pd, già assessore nella giunta Speranza, successivamente è diventato uomo forte della coalizione di centrodestra guidata da Mascaro. In una conversazione Talarico racconta al suo interlocutore di aver sentito Zaffina: «Mi ha detto “Frà io sono orientato naturalmente a quello che decidiamo insieme a Tonino Scalzo…stiamo ragionando… volevo capire tu a chi candidavi”… gli ho detto – prosegue Talarico – Pino se ci sei tu puntiamo… tutti no».

    Zaffina ha infatti uno storico legame con Scalzo ma il suo percorso politico è lungo. Era già assessore comunale alla fine degli anni ’80 e oggi pare sia uno degli uomini su cui il centrodestra di Roberto Occhiuto vorrebbe puntare per il Lametino. Ma non è l’unico. È infatti tornato in ballo un altro volto noto: Pasqualino Scaramuzzino.

    La veste social della videorubrica quotidiana di Pasqualino Scaramuzzino

    Giovane sindaco di Lamezia nei primi anni 2000, all’epoca del secondo scioglimento per mafia, ai tempi della giunta Scopelliti-Stasi è stato messo a capo della Fondazione Terina. Avvocato, si dedica ogni mattina a una sorta di videorubrica sul suo profilo Facebook (“Secondo me, naturalmente”). Talarico lo menziona probabilmente per ingolosire Zaffina, a cui dice che ci sarebbe anche «l’alternativa di Pasqualino» ma lui (Zaffina) avrebbe «più consenso». Anche perché, ammette l’assessore regionale, «a me serve un candidato di Lamezia forte oh… per dire… i voti ce li abbiamo».

    Centrosinistra diviso tra lobby e parenti

    Il Pd lametino ha una storia tutta a sé. Dagli anni in cui teneva costantemente sulla graticola “Giannetto” Speranza, che è riuscito a portare a casa due sindacature senza mai avere una maggioranza numerica in consiglio comunale, alle tribolazioni degli ultimi mesi, i tormenti dei dem locali sono stati sempre legati alle elezioni regionali.

    Il caso più recente riguarda le dimissioni prima annunciate e poi ritirate dal segretario provinciale Gianluca Cuda. Anche lui ha le radici nell’hinterland lametino (Pianopoli) e anche lui ha provato invano ad agguantare un seggio in consiglio regionale un anno e mezzo fa. Non è chiaro se sia in procinto di ritentarci – gli spazi sono stretti – ma di certo ha il suo peso nelle dinamiche interne al Pd di Lamezia in cui nei mesi scorsi si è consumata una nuova rottura. L’ex segretario cittadino Antonio Sirianni si è, infatti, dimesso parlando di «gruppi di pressione interni» e dicendodi non avere interesse a «costruire una carriera» tramite la politica, men che meno ad «appartenere a delle lobby».

    Aquila Villella (dietro di lei Antonio Viscomi ed Enzo Bruno) ai tempi delle Politiche del 2018

    Poco prima di lui si era dimessa con motivazioni più stringate – «la mia permanenza nell’organismo cittadino non si concilia più con altri impegni di partito» – Annita Vitale, che milita nel Pd ormai da anni e la cui madre (Ida d’Ippolito, nel 1997 perse al ballottaggio contro Doris Lo Moro e nel 2010 contro Speranza) è stata in Parlamento per cinque legislature con il centrodestra. Vitale, componente della segreteria Cuda, per un certo momento è stata data tra le papabili per un posto “rosa” nella prossima lista Pd, magari in “accoppiata” con lo stesso segretario provinciale.

    L’ipotesi di una sua candidatura è poi sfumata a vantaggio di quella di un’altra pasionaria del Pd lametino: Aquila Villella. In consiglio comunale siede tra i banchi dell’opposizione, ma si era già candidata al Senato nel 2018 e, ora, potrebbe provare con il consiglio regionale. Di certo non le difettano il curriculum (è docente universitaria) e la verve. Ma i maligni fanno notare che la sua candidatura potrebbe trarre vantaggio anche dal fatto che Villella è la cognata di Amalia Bruni.

    L’eterno delfino

    Villella condivide il ruolo di opposizione allo strapotere di Mascaro con un altro (stavolta sicuro) candidato al consiglio regionale: Rosario Piccioni, da anni frontman del movimento “Lamezia Bene Comune” nato sulla scia dell’esperienza amministrativa di Speranza, di cui è l’eterno delfino. Avvocato, classe 1974, dal 2007 al 2011 è stato segretario cittadino di Sinistra Ecologia e Libertà.

    Rosario Piccioni con Pippo Callipo: correrà nelle file di Luigi De Magistris

    Poi, per cinque anni, assessore proprio nella seconda amministrazione guidata da “Giannetto”. Quindi ha cercato la via della successione alla poltrona di primo cittadino: prima, nel 2015, ha avanzato la sua candidatura ma l’ha poi ritirata per appoggiare l’allora vincitore delle primarie, Tommaso Sonni, sconfitto alle elezioni “vere” da Mascaro, la cui prima amministrazione è stata sciolta per mafia nel 2017.

    Le oltre 500 preferenze dell’epoca lo hanno portato a riprovarci nel 2019, sempre contro Mascaro: Piccioni è arrivato quarto (su sei candidati), davanti a lui l’allora aspirante sindaco sostenuto dal Pd Eugenio Guarascio. Un anno e mezzo fa ha mostrato pubblico apprezzamento per Pippo Callipo ma non si è candidato in prima persona. Stavolta, dopo qualche tentennamento dovuto alla discesa in campo della concittadina Amalia Bruni, ha deciso di esserci: sarà nella lista “De Magistris presidente”.

  • Transfughi, parenti, evergreen: Caruso fa la squadra

    Transfughi, parenti, evergreen: Caruso fa la squadra

    La seconda partita della Calabria si gioca a Cosenza, dove si deciderà la successione di Mario Occhiuto. Per quanto piccolo e declinante, il capoluogo bruzio è di nuovo l’ago della bilancia degli equilibri regionali.
    Ecco perché il centrodestra si gioca il tutto per tutto e mira alla conquista di Palazzo dei Bruzi senza lesinare mezzi e con un bel po’ di pelo sullo stomaco.

    I numeri dell’armata

    Sulle liste delle Regionali tutto tace o quasi, visto che si attende il verdetto della Commissione antimafia, a cui si è rivolto il solo Roberto Occhiuto.
    Tra il Busento e il Campagnano, invece, è tutto un fermento di numeri, sigle e nomi.
    Magari non sarà “invincibile” (e, anzi, rischia di prendere qualche botta qui e lì), ma l’“armata” comunque c’è. Ed è temibile. Nelle sue file si mescolano veterani “pluridecorati” da tutti gli schieramenti della città e giovani rampanti, attratti dal miraggio della vittoria non improbabile, grazie soprattutto alle divisioni altrui.

    Iniziamo dalle liste, che al momento risultano sette, per il semplice motivo che Francesco Caruso, campione del centrodestra e unto dei fratelli Occhiuto, non ha ancora deciso di compilare la lista del sindaco.
    Ma non disperiamo: Cosenza è una delle città che produce più candidati in rapporto alla propria popolazione in assoluto. Quindi potrebbe essere solo questione di tempo perché si avverta la necessità dell’ottava lista e il mite Caruso si dia da fare per stoccarvi i potenziali candidati in eccesso.

    L’elenco delle liste

    Al momento risultano schierate e prossime al completamento le seguenti liste:

    • Forza Italia, che con tutta probabilità sarà rinominata Forza Cosenza, come nel 2016;
    • Fratelli d’Italia, che come vedremo è oggetto di negoziazioni e tentativi di colonizzazione;
    • Lega, che dopo la defezione di Vincenzo Granata, si presta a operazioni simili, forse addirittura più ardite, a quelle in corso sul partito di Giorgia Meloni;
    • Udc, un rampicante sempreverde della politica calabrese, che a Cosenza risulta più attrattivo che altrove;
    • Coraggio Cosenza, cioè la versione cosentina di Coraggio Italia, il partito di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, diventato il rifugio di Granata e di buona parte dei dissidenti che hanno deciso di mollare Salvini;
    • Azzurri (o Lista Azzurri), un troncone di Forza Italia, in cui si candideranno i fedelissimi di Gianluca Gallo;
    • Continuità, un altro troncone azzurro costituito dagli ultrà del sindaco uscente.

    Tra gli organizzatori dello schieramento, secondo i bene informati, un ruolo di primo piano ce l’ha Carmine Potestio, il superconsulente uscente, che sarebbe intento a spalmare i suoi fedeli, tra consiglieri e aspiranti tali, nelle sette liste.

    L’enigma Ruffolo

    Ma prima di proseguire è doverosa una domanda: che fine ha fatto Antonio Ruffolo?
    Su di lui, al momento, è uscito pochissimo dal delicatissimo gioco di incastri escogitato dallo stato maggiore degli Occhiuto.
    Infatti, non è dato sapere dove si collocherà il consigliere uscente dell’Udc, tanto silenzioso quanto votato. Di Ruffolo non si ricorda un intervento in Consiglio né una polemica. Ma, forte di una media di oltre cinquecento voti a tornata elettorale, il Nostro ha sempre dato il traino alle liste dell’Udc.

    Il motivo di tanto insospettabile successo è piuttosto chiaro: Ruffolo, noto in città col soprannome di ‘A ‘mmasciata, sempre pronto ad aiutare gli anziani a portare la spesa e a sbrigare le faccende condominiali e di quartiere, è il lobbista di chi in una lobby non può mettere piede e il faccendiere di chi non può permettersene uno.
    La sua microclientela di quartiere risulta sostanzialmente innocua per le casse comunali ma paga bene in consensi. Difficile immaginare una coalizione cosentina senza di lui. Di sicuro c’è che Ruffolo è vivo e lotta (con gli Occhiuto). Ma non è dato sapere dove.

    Forza Occhiuto

    La lista di Forza Italia è la croce e delizia dello schieramento di Francesco Caruso. Essendo l’ammiraglia della coalizione, sarà composta da candidati di provata fede su cui i big del centrodestra spenderanno le proprie fiches.
    Tra i candidati berlusconiani si annoverano, sempre per ora, Luca Gervasi, Alessandra De Rosa e Fabio Falcone. Della partita dovrebbe essere anche Michelangelo Spataro, altro uscente di peso, che sarà candidato in ticket con la figlia dell’imprenditore Giampiero Casciaro, per motivi personalissimi: i due sono amicissimi e soci in affari, perché titolari di una casa di riposo a Mendicino, alle porte della città.

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    L’assessore uscente Michelangelo Spataro era in maggioranza anche con Salvatore Perugini sindaco

    L’amicizia prima di tutto. Ed ecco perché Casciaro, dopo aver candidato nel 2016 la moglie in ticket con Giovanni Cipparrone nella coalizione di Enzo Paolini, ha deciso di candidare la figlia in ticket con un occhiutiano di provata fede.

    Udc: democristiani fuori, cosentini dentro

    L’ex partito di Roberto Occhiuto si rivela un ottimo contenitore politico per cosentini di tutti gli orientamenti in libera uscita. Tra i candidati si annovera Salvatore Dionesalvi, ex assessore della giunta di Salvatore Perugini, l’ultima esperienza di governo del centro sinistra.
    C’è, inoltre, Giovanni Cipparrone, ex presidente di circoscrizione in quota Ds, poi oppositore al fianco di Paolini, quindi transitato al centrodestra, dopo un avvicinamento progressivo a Mario Occhiuto.

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    Da sinistra verso destra: Luca Gervasi, Francesco Spadafora e Giovanni Cipparrone

    E figura Emanuele Sacchetti, altro ex presidente di circoscrizione, molto attivo sul territorio ma passato in secondo piano in seguito all’abolizione di questi enti subcomunali. Sacchetti, secondo i bene informati, dovrebbe correre in ticket con la figlia di Giacomo Fuoco, già consigliere e altro fedelissimo di Occhiuto. Il motivo del ticket starebbe nella comune vicinanza di Sacchetti e Fuoco papà a Luigi Novello, medico di San Lucido con una consistente base elettorale e candidato alle scorse Regionali con la Lega.
    Tra i papabili dell’Udc ci sarebbe inoltre Roberto Bartolomeo, un altro mattatore di Palazzo dei Bruzi. Ma sul suo nome non c’è ancora certezza perché potrebbe trovare un’altra collocazione, sempre nel centrodestra.

    La Lega dopo Granata

    La missione di compilare le liste della Lega dopo gli ammutinamenti di Granata e di altri dissidenti passa allo staff di Occhiuto.
    Anche in questo caso la missione è semplice: fare voti, il più possibile e senza andare per il sottile. Che lo scopo sia questo, lo conferma uno dei nomi su cui si chiacchiera di più: Roberto Sacco, un intramontabile della politica cosentina che, dopo aver cambiato più volte vasi e aiuole, diventa anche finalmente verde.

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    Roberto Sacco
    Coraggio Cosenza

    È la lista di più difficile compilazione, perché in essa dovrebbero convivere Vincenzo Granata, i transfughi della Lega e altri fedeli di Occhiuto che non troveranno posto altrove.

    Fratelli d’Italia

    Nel partito della Meloni la parola d’ordine è: colonizzare. A riprova, va da sé, della debolezza strutturale di un partito più forte negli slogan che nell’organizzazione.
    Tra i neomeloniani spicca Francesco Spadafora, il consigliere più votato nelle precedenti Amministrative. Già vicino a Ennio Morrone, il giovane poliziotto di Donnici ha dato prova a più riprese di carattere e indipendenza politica. E c’è chi dice che sarà capace di avvicinare le mani alla fiamma sbiadita di Fdi senza scottarsi.

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    Mario Occhiuto e Luca Morrone quando il secondo, prima di sfiduciare il primo, era presidente del consiglio comunale bruzio

    A proposito di Morrone: Luca, il vicepresidente uscente del Consiglio regionale, conferma anche a Cosenza di voler stare fermo un giro e di agire, semmai, per interposta persona anche nella conquista di Palazzo dei Bruzi. Non si candiderà neppure nella sua città ma pescherà nella sua rete parentale: candiderà una sorella della moglie, che a sua volta è già candidata alle Regionali.

    Uno slogan dei leghisti calabresi è: mai i Gentile con noi. Ma forse i seguaci di Salvini intendono i fratelli Gentile e i loro familiari. Infatti, il divieto è escluso per i fedeli dei due fratelli terribili, visto che Massimo Lo Gullo, sodale da sempre della famiglia più potente di Cosenza, si candiderà coi meloniani.
    Sempre con la fiamma, è prevista inoltre la candidatura del figlio dell’assessore Lino Di Nardo, altro destrorso di lungo corso legato al sindaco uscente, seppure con autonomia lucida e critica.

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    Giovanni Quintieri e Annalisa Apicella

    Tra i fiammisti uscenti, si segnala Annalisa Apicella, che correrà in ticket con Giovanni Quintieri. Occorre ricordare, al riguardo, che già nel 2016 la Apicella fu di fatto in ticket con l’avvocato, che si dimise consentendole di entrare in Consiglio.
    Ultimo ma non da ultimo, Michele Arnoni, ex esponente de La Destra di Storace passato poi con Orlandino Greco. Per lui è il classico ritorno di fiamma.

    Lista Azzurri, dallo Jonio con furore

    La lista di Gianluca Gallo ha la stessa impronta centrista di Forza Italia. È un esperimento politico non ancora definito, con cui l’assessore regionale all’Agricoltura ed ex rivale interno di Roberto Occhiuto tenta di mettere qualche pedina a Cosenza.
    I nomi che spuntano sono quelli di Marisa Arsì – altra consigliera uscente, moglie dell’imprenditore Pino Carotenuto, ex seguace della famiglia Morrone ed ex superconsulente di Palazzo dei Bruzi – e Giovanni Gentile, segretario nella struttura regionale di Gianluca Gallo e già seguace di Saverio Zavettieri.

    Il quadro e le variabili

    Per avere un quadro completo e rispondere ad altre curiosità tipicamente cosentine (ad esempio: che farà Katya Gentile?) occorrerà attendere la compilazione definitiva delle liste regionali del centrodestra. Al momento è tutto e, come si vede, è un gran casino.

  • Porto di Paola, la soap opera calabrese di “Bonaventura” Orsomarso

    Porto di Paola, la soap opera calabrese di “Bonaventura” Orsomarso

    Un assegnone di venti milioni, sorrisoni delle grandi occasioni nella sala del Consiglio comunale di Paola, e via: Fausto Orsomarso, a fine luglio, è passato dal metacinema (chi ricorda il celebre “Ci nni vu bene ara Calabria”?) al fumetto.
    Forse in maniera inconsapevole (o forse no) l’assessore regionale uscente al Turismo ha rinverdito le strisce di Bonaventura, il mitico eroe del Corriere dei Piccoli, che alla fine di ogni avventura, raccontata in rime, sventolava soddisfatto l’assegno da un milione.

    L’assessore regionale Fausto Orsomarso consegna l’assegnone al sindaco di Paola, Roberto Perrotta
    Qui comincia l’avventura

    Il signor Bonaventura diventa 4.0. Anche questa nuova storia, che meriterebbe il racconto in rime baciate, è da fumetto: riguarda il fantastico (e fantasmatico) porto turistico di Paola.
    I venti milioni sarebbero il contributo della Regione alla maxi opera, che dovrebbe costarne cinquanta in tutto. E gli altri trenta? A carico dell’impresa che si assumerà gli oneri e gli onori della gestione in project financing (in parole povere: che finanzierà parte dell’opera e poi la gestirà come se ne fosse proprietaria).
    L’iniziativa, fin qui, non è nuova, visto che molte infrastrutture e opere pubbliche (si pensi alla problematica e cosentinissima piazza Bilotti) sono state ideate e lanciate in project financing.

    Perrotta si è commosso

    La storia del porto turistico non è nuova neppure per Roberto Perrotta, ritornato sindaco di Paola nel 2017, dopo il quinquennio di Basilio Ferrari.
    Di più: Perrotta, che si è commosso davanti al lenzuolo da venti milioni, è stato il sindaco che ha vissuto (e subito) di più la vicenda di questa infrastruttura marittima, che, almeno sulla carta, dovrebbe lanciare alle stelle l’economia della cittadina tirrenica.

    Infatti, l’avvocato paolano fu primo cittadino dal 2003 al 2012 e ha visto tutte le vicissitudini, gli alti e bassi, gli stop and go di questo porto, annunciato a più riprese e altrettante volte arenatosi, grazie anche all’immancabile intervento della Procura, che sembrava aver dato il colpo di grazia con un’inchiesta.
    Perché quest’opera è considerata tanto importante da essere diventata un oggetto del desiderio per tutte le forze politiche della città, esclusi alcuni gruppi di sinistra? E come mai la sua storia, finora, è stata tanto controversa?
    Lo vediamo subito.

    Il porto infinito

    Il progettone è da libro dei sogni: 658 posti barca, più infrastrutture ausiliarie importanti come parcheggi per auto, servizi taxi, ristorante, pizzeria e supermercato marittimo con prodotti tipici.
    L’impatto di un’opera così ambiziosa su una cittadina di ventimila abitanti, che vive essenzialmente di servizi e commercio e basa la propria economia sulla presenza del Tribunale e dell’Ospedale, sarebbe in effetti rivoluzionario.
    Ecco perché l’idea del porto è carezzata da anni e risorge a orologeria a ogni tornata elettorale.
    Quest’idea fu concepita in lire alla fine della Prima repubblica e si è evoluta in euro durante la seconda. È sopravvissuta a quattro amministrazioni, a due interrogazioni parlamentari e, un’inchiesta giudiziaria e al dissesto del Comune.

    La Ganeri lanciò l’idea

    La lanciò per prima Antonella Bruno Ganeri, che divenne sindaca nel lontanissimo ’93 a capo di una coalizione civica. La Bruno, c’è da dire, aveva gli agganci giusti per drenare i fondi e realizzarla: grazie al centrosinistra ulivista divenne senatrice nel ’94, restò a palazzo Madama fino al 2001 e, nel frattempo, fu confermata prima cittadina, direttamente dal Pds, nel ’97.
    Questo popò di ruoli non bastò a far decollare il porto, che divenne una patata bollente per tutte le amministrazioni.

    L’azzurro Gravina ci ha provato

    Alla Bruno e al suo centrosinistra seguì l’amministrazione azzurra di Giovanni Gravina, che durò appena due anni, durante i quali fece di tutto per realizzare il progetto, partito proprio a ridosso delle elezioni, con la costituzione di Porto dei Normanni Spa, una società mista, partecipata dal Comune e da due società private, Sider Almagià Spa e Sider gestione porti srl, entrambe espressioni dell’impresa romana Almagià, big di livello europeo del settore.

    Quanto costa?

    Il costo iniziale dell’opera ammontava a venticinque milioni, di cui 450mila erogate dal Cipe al Comune, che deteneva il 30% della società mista. La Almagià partecipava all’opera perché vincitrice del bando europeo lanciato dall’amministrazione.
    I presupposti per la realizzazione c’erano tutti. Tranne l’idrogeologia.
    Infatti, l’area individuata per creare il porto era la parte centrale del lungomare di Paola. Ma nelle sue vicinanze scorreva il torrente Fiumarella, che doveva essere deviato. Ma per spostare il letto di questo fiume occorreva il nulla osta definitivo dell’Autorità di Bacino e della Sovrintendenza dei Beni culturali.
    Inutile dire che il doppio ostacolo, naturale e burocratico, arenò l’opera.

    Il porto bonsai

    Ma intanto i primi danni erano fatti: l’area del cantiere aveva tagliato in due il lungomare, creando non pochi danni agli esercenti dei lidi, costretti a spostarsi a nord.
    Che fare? Chiudere la partita non si poteva, perché il guasto ambientale e urbanistico c’era già.
    L’architetto Renato Sorrentino, personalità di spicco della cittadina, aveva proposto una soluzione di compromesso: una darsena. Il classico “uovo” da mangiare subito anziché attendere la gallina.
    Quest’idea, il porticciolo bonsai, non incontrò grandi consensi nella classe dirigente paolana, che invece voleva tutto il pennuto. Sorrentino non riuscì a sostenerla a dovere, perché morì nel 2004 e l’unico che la rilanciò fu il giornalista Alessandro Pagliaro, candidatosi a sindaco nel 2007 a capo di una coalizione indipendente di sinistra.
    Ma i problemi tecnici e burocratici non erano i principali: come per ogni opera pubblica calabrese che si rispetti, non poteva mancare l’aspetto giudiziario.

    Il giallo della società fantasma

    Una vecchia interrogazione di Angela Napoli, pasionaria della legalità e rara stakanovista in un Parlamento pieno di assenteisti e vagabondi, chiarisce non poche ombre della vicenda, nel frattempo diventata un po’ inquietante.
    Nel 2005 la Sider Almagià decide di sganciarsi e di mollare le sue quote di maggioranza nella società Porto dei Normanni a una società spagnola.
    L’anno successivo la giunta guidata da Perrotta dà il via libera all’operazione. Tuttavia, i consiglieri di minoranza scatenano il caos e la vicenda finisce al vaglio della Procura. Tra una polemica e l’altra, emerge che la società spagnola sarebbe una scatola cinese e che le procedure di costituzione della società mista non sarebbero state il massimo della chiarezza.

    La delibera di Giunta

    Ma lo sganciamento di Sider Almagià era solo rinviato. Riesce l’11 dicembre 2007, pochi mesi dopo l’inizio della seconda amministrazione Parrotta, grazie a una delibera di Giunta approvata a maggioranza che autorizza la cessione delle quote a Cinabro Spa.
    Cinabro non è un fantasma, ma non è neppure in carne: possiede poca attrezzatura, per un valore di 2.500 euro. Neppure la sua liquidità è robusta: 19.500 euro depositati su un conto del Banco di Sardegna.

    Che fine hanno fatto i quattrini del Cipe?

    E non finisce qui: Cinabro risulta costituita il 21 ottobre 2006 ed è entrata in attività il 31 ottobre 2007. Oltre che magrolina, la società è giovanissima, anche in maniera sospetta: sembra nata proprio per rilevare le quote.
    La chiusa dell’interrogazione della Napoli lascia aperti interrogativi ancor oggi sinistri. Ad esempio: che fine hanno fatto i quattrini del Cipe? E quali sono i motivi reali dell’abbandono di Sider Almagia?
    Difficile sapere cosa risposero i titolari delle Infrastrutture e dei Trasporti. Certo è che Porto dei Normanni Spa collassò e, con essa, il porto.

    La ripresa?

    Nel 2011 entra in scena un nuovo soggetto: la società Marina di San Francesco, che dovrebbe finalmente realizzare il porto dei desideri. Ma i problemi idrogeologici e gli ostacoli burocratici sono persistenti e invalicabili.
    Neppure Basilio Ferrari, eletto sindaco nel 2012, riesce a venirne a capo.
    Parrotta, riportano le cronache, ha celebrato l’assegnone di Orsomarso con una metafora calcistica: la possibilità di realizzare, finalmente, il porto equivale, per lui juventino, a quella di vedere la Signora mentre vince la Champions League, il trofeo tabù della regina del calcio.
    Ma lo stanziamento milionario rischia di risolversi nell’ennesimo polverone elettorale bipartisan, con una variante ancor più pericolosa: stavolta i soldi promessi non sono spiccioli e sono tutti a carico di un ente, la Regione, le cui casse vacillano non poco.
    Di sicuro Almagià è fuori e non è intenzionata a tornare. Chissà che non arrivi qualche altro Paperone dalla Spagna.
    E, per citare l’eroe del Corrierino: qui finisce l’avventura del signor Bonaventura.
    Al momento.