Categoria: Fatti

  • Questione calabrese, l’economia non cresce con i gattopardi

    Questione calabrese, l’economia non cresce con i gattopardi

    C’è una questione calabrese nella più ampia questione meridionale. Non appartiene più alla verità dei fatti la descrizione di un Mezzogiorno compatto nella sua arretratezza. Sia pure con un modello geografico a chiazze isolate, qualche territorio meridionale ha intercettato percorsi di nuova industrializzazione e di sviluppo coerente con le traiettorie dell’economia internazionale.

    La Calabria resta un’eccezione. È l’unica regione meridionale che non ha agganciato in nessuna area il treno della nuova industrializzazione. Le due grandi crisi del 2008 e del 2011-2013, unite al blocco pandemico, hanno determinato un complessivo arretramento del tessuto economico e sociale, con una breve tregua durante il biennio 2015-2016. A tempo alternato solo il porto di Gioia Tauro è riuscito ad entrare nel gioco della competizione internazionale, in un ruolo però solo strettamente funzionale alla rete degli scambi mondiali come scalo di transhipment, senza esercitare un ruolo diffusivo sul territorio calabrese.

    Gli effetti del Covid 

    Le misure di distanziamento fisico e la chiusura parziale delle attività durante il 2020, nonché il clima di paura e incertezza legato alla diffusione della pandemia da Covid-19, hanno avuto pesanti ripercussioni sull’economia calabrese, che si trovava già in una fase di sostanziale stagnazione.
    Sulla base dei dati Prometeia, lo scorso anno il PIL calabrese in termini reali sarebbe sceso di circa 9 punti percentuali, un dato sostanzialmente in linea con il resto del Paese. La caduta dell’attività economica è stata particolarmente ampia nel primo semestre del 2020, in connessione anche al blocco più intenso e generalizzato della mobilità.

    Dopo una ripresa nei mesi estivi, le nuove misure di contenimento introdotte per fronteggiare la seconda ondata pandemica avrebbero determinato una ulteriore contrazione, seppure più contenuta rispetto a quanto osservato in primavera.
    Gli investimenti privati in Calabria si sono contratti notevolmente durante la doppia recessione avviatasi nel 2008. In particolare, il calo è stato più intenso a seguito della crisi dei debiti sovrani iniziata nel 2011.

    Durante la successiva fase di ripresa la dinamica degli investimenti è rimasta debole, a fronte di un parziale recupero registrato a livello nazionale. Nel 2018 gli investimenti privati in Calabria erano inferiori di circa la metà rispetto ai livelli pre-crisi: l’incidenza sul PIL si è notevolmente ridotta, passando da oltre il 20% del 2007 a meno del 13%.
    In base alle stime Istat, nel 2020 il valore aggiunto a prezzi costanti del settore primario è diminuito del 9,1 per cento, in misura più pronunciata rispetto al resto del Paese, risentendo in particolare del forte calo del valore della produzione nell’olivicoltura (-21,6 per cento), che presenta un marcato andamento ciclico.

    La crisi per i privati

    L’emergenza Covid-19 ha avuto rilevanti ripercussioni sull’attività delle imprese. Le indagini di Bankitalia segnalano una diminuzione del fatturato molto diffusa per le aziende operanti in regione, riflettendo essenzialmente il forte calo dei consumi, oltre che i provvedimenti di chiusura e le altre restrizioni adottate per arginare la pandemia.
    Nel contempo, le imprese hanno ulteriormente ridotto i propri livelli di investimento, che già negli anni precedenti erano risultati contenuti, soprattutto con riguardo agli investimenti più avanzati in risorse immateriali e tecnologie digitali.

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    Il settore più colpito dalla crisi pandemica è stato quello dei servizi privati non finanziari, in particolare i trasporti, il commercio al dettaglio non alimentare e il comparto alberghiero e della ristorazione, su cui ha inciso la caduta delle presenze turistiche.
    L’attività produttiva si è ridotta in misura più contenuta nelle costruzioni, che hanno in parte beneficiato di una lieve ripartenza del comparto delle opere pubbliche, ancora tuttavia frenata dai tempi lunghi di realizzazione degli interventi.

    Il brusco calo delle vendite ha accresciuto il fabbisogno di liquidità del sistema produttivo, colmato essenzialmente dai prestiti garantiti dallo Stato e dalle misure di moratoria, che in Calabria sono stati più diffusi della media nazionale.
    Il sostegno pubblico ha contenuto fortemente l’uscita di imprese dal mercato, anche tra quelle maggiormente indebitate e fragili, la cui condizione rimane più esposta alla velocità di uscita dalla crisi.

    Ancora meno lavoro di prima

    Le ricadute della crisi pandemica sul mercato del lavoro sono state rilevanti, annullando il modesto recupero dei livelli occupazionali che si era registrato a partire dal 2016.
    Dopo la sostanziale stasi del 2019, l’occupazione in regione nel 2020 è tornata a diminuire a causa delle ricadute della pandemia di Covid-19. Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, la riduzione su base annua del numero degli occupati calabresi è stata del 4,3 per cento, pari ad oltre il doppio di quella rilevata sia a livello nazionale che nel Mezzogiorno (per entrambe, -2,0 per cento).

    Guardando alle dinamiche dell’ultimo decennio, l’unica variazione peggiore risale al 2013 (-6,2 per cento), a seguito della crisi del debito sovrano. Il tasso di occupazione è sceso al 41,1% (era al 42 nel 2019), con una differenza di 17 punti percentuali dal dato medio nazionale.

    Il calo delle posizioni lavorative si è concentrato soprattutto tra gli autonomi e i dipendenti a termine, mentre il calo del lavoro dipendente a tempo indeterminato è stato contrastato da un eccezionale aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali e dal blocco dei licenziamenti. Gli effetti negativi sono risultati più intensi per le categorie caratterizzate già in precedenza da condizioni sfavorevoli sul mercato del lavoro: i giovani, le donne e gli individui meno istruiti.

    Il calo dei redditi da lavoro è stato sensibilmente mitigato dall’introduzione di nuove misure di sostegno economico ai lavoratori e alle famiglie, che si sono aggiunte alla Cassa integrazione guadagni e al Reddito di cittadinanza. Ciononostante, la contrazione dei consumi è risultata accentuata, in connessione sia alle difficoltà nella mobilità sia a motivi precauzionali, che si sono riflessi in un netto incremento della liquidità delle famiglie.

    Servizi e consumi

    Nel settore dei servizi, maggiormente interessato dalle misure di contenimento, il calo dell’attività è stato ancora più pronunciato. Oltre alle restrizioni alla mobilità, ha pesato anche la contrazione dei consumi connessa all’incertezza circa l’evoluzione della crisi, che ha inciso negativamente sulle decisioni di spesa delle famiglie.

    L’indagine della Banca d’Italia, che si concentra sulle imprese dei servizi privati non finanziari con almeno 20 addetti, conferma il diffuso calo dei ricavi; circa due terzi delle imprese partecipanti ha segnalato una riduzione del fatturato rispetto al 2019. Inoltre il 60% delle imprese ha segnalato una riduzione degli investimenti nell’anno e circa metà un calo dei livelli occupazionali.

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    Secondo le stime di Confcommercio, la spesa in termini reali per beni e servizi si sarebbe ridotta di circa il 12%, in linea con il dato nazionale. Sull’andamento ha inciso anche la dinamica dei consumi per beni durevoli: in base ad elaborazioni sui dati dell’Osservatorio Findomestic, sarebbero diminuiti dell’11 per cento rispetto all’anno precedente.
    In particolare, sono diminuite in misura intensa le vendite di autovetture: le immatricolazioni sono fortemente calate tra marzo e luglio dell’anno scorso, come nel resto del Paese, per poi tornare sui livelli precedenti alla caduta nei mesi successivi. In media d’anno il calo è stato del 21 %, a fronte del 28%in Italia.

    La ripresa dei consumi dipende in modo cruciale da una progressiva attenuazione dell’epidemia nei prossimi mesi. È però probabile che il rafforzamento dei consumi sarà lento risentendo della gradualità con cui sarà riassorbita l’incertezza che ha sospinto l’aumento della propensione al risparmio.

    Turismo ed export

    Dopo anni di crescita, i flussi turistici presso gli esercizi ricettivi regionali hanno subito una brusca caduta. In base ai dati dell’Osservatorio turistico della Regione Calabria, le presenze nel 2020 sono diminuite di oltre il 50%. Dopo l’azzeramento quasi totale nei mesi del lockdown, con il miglioramento della situazione sanitaria e la rimozione delle restrizioni agli spostamenti si è assistito da luglio 2020 a un graduale recupero delle presenze di turisti italiani, mentre la forte caduta delle presenze straniere si è protratta.

    In particolare, nei tre mesi da luglio a settembre si sono concentrati quasi il 90% dei pernottamenti dell’anno (70% nel 2019). Tale parziale recupero ha temporaneamente attenuato l’impatto negativo della crisi sull’ampio indotto di operatori economici delle zone balneari (dove si concentrano i flussi turistici regionali), spesso caratterizzati da un elevato ricorso al lavoro stagionale.

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    Nel 2020 le esportazioni di merci hanno subito un deciso calo (-16,2% a prezzi correnti). In virtù dell’andamento negativo dello scorso biennio l’export calabrese è tornato sui valori del 2016. Le vendite, condizionate dagli effetti della pandemia sugli scambi internazionali, sono diminuite in tutti i principali settori di specializzazione regionale, anche nell’agroalimentare che era cresciuto ininterrottamente dal 2015. Pur interessando tutti i principali mercati di sbocco, il calo delle esportazioni risulta particolarmente accentuato nei paesi UE.

    Digital divide, eterno problema

    Molto significativo resta ancora il divario di digitalizzazione che caratterizza la società calabrese. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) riferiti al 2019, l’incidenza delle linee fisse ultraveloci (oltre 100 Megabit/secondo) era in Calabria meno della metà di quella italiana. Il divario con la media nazionale si allarga considerando la domanda di accesso ad internet: secondo i dati Istat, solo due terzi delle famiglie calabresi disponevano di un abbonamento a internet a banda larga, di cui il 41 per cento a rete fissa (in Italia erano rispettivamente 75 e 54%).

    La Calabria risulta inoltre tra le ultime regioni per competenze digitali degli utilizzatori effettivi di internet e nell’uso dei servizi internet; ad esempio, risultano ancora scarsamente impiegati i servizi bancari online. Anche l’adozione delle tecnologie digitali da parte delle imprese calabresi è al di sotto della media nazionale: vi influisce principalmente la bassa quota di aziende che utilizzano tecnologie digitali di livello avanzato.

    Con riferimento all’indice che valuta l’e-government, calcolato considerando i dati riguardanti gli enti locali, la Calabria si attesta molto al di sotto della media italiana nell’offerta di servizi pubblici digitali. Secondo i dati della Corte dei Conti, nel 2019 solo i due terzi dei comuni calabresi offriva almeno un servizio online ai cittadini, mentre l’offerta media italiana di servizi digitali alle imprese attraverso lo Sportello unico per le attività produttive e lo Sportello unico per l’edilizia si attestava al 35% (rispettivamente 77% e 53 % nella media nazionale).
    Un’evidenza analoga emerge con riferimento ai servizi sanitari, in particolare alla scarsa diffusione del fascicolo sanitario elettronico e della telemedicine.

    Le ICT non decollano

    Nel 2018 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili) in Calabria i settori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) contribuivano per il 4,2% al valore aggiunto del settore privato non finanziario, una quota inferiore alla media nazionale e in calo nell’ultimo decennio. Anche l’utilizzo dei beni e servizi ICT come input produttivi da parte delle imprese calabresi è inferiore alla media nazionale: in base agli ultimi dati disponibili dell’Irpet, nel 2016 il loro valore in rapporto al PIL era pari in regione al 2,5%, a fronte del 4,4 della media italiana.

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    Secondo i dati del primo Censimento permanente delle imprese condotto dall’Istat nel 2019, nel triennio 2016-18 le imprese calabresi, pur in presenza di investimenti in connettività (connessione a internet e soluzioni in tecnologie basate su internet) superiori al dato nazionale, mostravano tassi di adozione inferiori alla media per tutte le tecnologie digitali più avanzate. Il divario appariva marcato anche nell’uso di servizi cloud e di software gestionali.

    Che fare?

    Intanto prosegue la desertificazione demografica della Calabria, che ha registrato tra il 2002 ed il 2018 altri 700.000 emigranti. Di questo passo, nel 2065 la popolazione regionale sarà poco più di un milione di abitanti.
    Che fare, di fronte ad un panorama calabrese caratterizzato da stagnazione, regressione, mancanza di innovazione? Sono due i fronti aperti su cui fare leva per innescare un sentiero di cambiamento: da un lato la costruzione della zona economica speciale di Gioia Tauro e dall’altro l’implementazione degli investimenti per il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza.
    Questi due strumenti di politica economica vanno saldati in un meccanismo unitario di azione: attrarre investimenti produttivi, industriali e logistici, diventa possibile se si rende il territorio calabrese più competitivo attraverso investimenti adeguati in moderne infrastrutture fisiche e digitali.

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    La variabile temporale assume una rilevanza decisiva: rinviare l’attuazione dei programmi di modernizzazione alle calende greche sarebbe esiziale. Solo un disegno sinergico fatto di visione e di prospettive può consentire all’economia calabrese di intercettare i meccanismi di generazione delle catene del valore che caratterizzano l’economia internazionale. Guardare alle esperienze del passato fondate solo sulla industrializzazione statale non serve: è anzi controproducente.

    Le liste elettorali per le prossime votazioni regionali non inducono ad alcun ottimismo: prosegue la lunga stagione del gattopardismo e della mediocrità. Sotto questa cenere si nascondono i consueti interessi che hanno affossato la Calabria. Niente di nuovo, per ora, sul fronte meridionale. Il mondo, intanto, va verso tutt’altra direzione. I territori competono per essere compresi dentro le catene globali del valore. Chi ne resta fuori, sarà guidato da altri attori e da altre logiche, che pensano all’interesse di pochi contro l’interesse di tanti.

  • Caruso e Rende: divisi nelle liste, meno nelle idee

    Caruso e Rende: divisi nelle liste, meno nelle idee

    Il centrosinistra arriva diviso alla linea di partenza, ma con programmi non troppo diversi. Segno che a separare non sono le idee quanto una certa predisposizione ai personalismi. Franz Caruso e Bianca Rende dunque l’uno contro l’altra, suscitando l’ottimismo dell’altro Caruso, quello di Occhiuto.

    Quel che i due candidati vorrebbero fare della città è raccontato nelle loro proposte: stringate e sintetiche quelle di Rende, più dettagliate quelle dell’avvocato sostenuto dal Pd. Comprensibilmente non mancano punti coincidenti, come la preoccupazione per le condizioni della casse comunali, prosciugate dal dissesto firmato Occhiuto.

    Verità sul bilancio

    Per far fronte alla voragine che erediterà chiunque vada a sedersi sulla poltrona di sindaco, Bianca Rende propone di utilizzare «con correttezza e trasparenza» le risorse del Pnrr, mentre Caruso pensa anche a costruire un «percorso di verità sul dissesto», che spieghi ai cittadini come si sia arrivati al fallimento della città, «segnalando situazioni anomale agli organi competenti». Per entrambi i candidati la preoccupazione sembra essere quella di dire: se vinciamo e troviamo le casse saccheggiate, sappiate che non siamo stati noi.
    Un assillo del tutto comprensibile, perché le cose da fare per risanare la città sono parecchie, ma «gli effetti di questo dissesto sono e saranno sulle spalle dei cosentini per diversi anni».

    Più acqua nelle case

    Da dove partire? Per esempio da uno dei temi più urgentemente avvertiti dai cosentini: l’acqua. Per Rende e Caruso serve un nuovo servizio idrico. La candidata pensa a coinvolgere «i competenti dipartimenti dell’Unical per risolvere definitivamente la questione idrica cittadina». Caruso è più cauto e immagina tappe di avvicinamento alla soluzione, anche con un’App attraverso la quale i cittadini saranno avvisati «sulle variazioni della fornitura idrica». Sarà grande motivo di soddisfazione per i cosentini leggere sul proprio telefonino quando non potranno lavarsi. Ma, a parte ciò, l’idea forte è quella di dare vita a un “Servizio idrico integrato in Calabria”, mentre per adesso si tratterà di razionalizzare le risorse idriche, facendo in mondo che «nessun quartiere resti sfavorito rispetto ad altri».

    Welfare e rifiuti

    Grandi novità pure per i rifiuti. Per Bianca Rende infatti deve essere «ripensato il sistema di raccolta e riorganizzato attraverso sistemi innovativi e alternativi», visto che per la candidata la raccolta “porta a porta” ha fallito. Di opinione diversa è invece il candidato del Pd, per il quale quel metodo va proseguito, ma implementandolo con «isole ecologiche a scomparsa».

    Per due candidati che rivendicano radici riformiste, il welfare è terreno strategico. Il diritto alla casa e a una vita dignitosa, per esempio, questioni che la Rende vuole affrontare «partendo dal censimento del bisogno abitativo, di servizi socio sanitari… per corrispondere con progetti mirati», mentre per Caruso la risposta potrebbe giungere dal Recovery Found, per «incrementare la squadra e la struttura» dei servizi sociali.

    Dimenticare Occhiuto

    Per entrambi i candidati è necessario dimenticarsi della favola di Alarico e puntare su identità culturali autentiche, come «gli 800 anni della cattedrale di Cosenza», come suggerisce Bianca Rende. O sulla nascita di un «Ufficio dell’Immaginazione pubblica, per i giovani o le associazioni che hanno idee per Cosenza vecchia», promette Caruso, avanzando una proposta che però già nel nome, pare una cosa piuttosto effimera.

    Per il centrosinistra disunito sui nomi, ma coerente sulle idee, si tratta di far rivivere la città dopo dieci anni di governo Occhiuto. E di farlo partendo proprio dalle cose più care all’architetto sindaco uscente. Rende infatti pensa al «ripristino della viabilità su Viale Mancini e via Roma e al ridisegno – attraverso concorso di idee- di piazza Bilotti, dell’area ex Jolly e piazza Riforma». Caruso vorrebbe dare vita ad un “Ufficio per la vivibilità dei luoghi”, «con delega a ricevere tutte le segnalazioni che riguardano situazioni di degrado», mentre per rendere più alberata la città, saranno assunti «lavoratori verdi».

    Stesse parole, voci differenti

    Il tema rovente della sanità pubblica non manca. Il centrosinistra a guida Franz Caruso pensa ai fondi del Piano di risanamento di Draghi, grazie al quale annuncia potrebbero essere realizzate strutture sanitarie di prossimità, ben tre in città, mentre il nuovo ospedale verrebbe costruito a Vaglio Lise, capovolgendo le intenzioni dell’amministrazione uscente. E poi integrazione, solidarietà, digitalizzazione e commercio. Il centro sinistra dice le stesse parole, ma con due voci differenti.

  • Barricate ad Arghillà, cosa resta dopo la rivolta

    Barricate ad Arghillà, cosa resta dopo la rivolta

    «Scusate, sapete quando riaprono la strada? L’autobus mi ha lasciata alla chiesa ed è tornato indietro, dice che non si passa. Sono dovuta venire a piedi». Più che una vera risposta, la signora con passo affannato che si affaccia a parlare con un volontario della protezione civile al lavoro nella ex scuola di Arghillà cerca una sponda con cui lamentarsi, dopo la scarpinata in salita che si è dovuta sorbire di ritorno dalla città. Lo stradone che taglia in due questa estrema periferia di Reggio Calabria è ancora in parte bloccato dalle macerie lasciate ieri dalla protesta volante contro l’arrivo dei migranti sbarcati al porto qualche ora prima e gli autobus hanno smesso di fare il giro completo del quartiere, in attesa che qualcuno sgombri la carreggiata.

    Arrivano i migranti

    La targa all’ingresso recita “Istituto comprensivo Radice – Alighieri”, ma è stata una scuola solo per una manciata d’anni, giusto il tempo di rimettere in sesto lo stabile di Catona che era stato dichiarato inagibile. Poi i lavori nella scuola a valle sono terminati e i bambini del comprensorio, così come erano arrivati ad Arghillà, sono tornati via e la struttura, che in passato ha anche ospitato gli uffici dell’ottava circoscrizione e un presidio della polizia, è tornata ad essere sprangata e assediata dalle erbacce.

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    Almeno fino a martedì pomeriggio quando il Comune, “sorpreso” dall’arrivo in porto dell’ennesima carretta del mare carica di disperati, ha scelto proprio quel palazzone della periferia nord per sistemare temporaneamente il nuovo carico di migranti. Ad Arghillà – palazzoni occupati, strade invase da montagne di spazzatura e capannoni sventrati dal tempo su una terrazza magica affacciata sulla Sicilia – non hanno preso per niente bene la decisione, tanto che all’arrivo dei primi autobus con a bordo i migranti – tra loro anche famiglie con bambini – in tanti sono scesi in strada.

    Fuoco alla barricata

    La protesta è degenerata con la costruzione di una barricata di rifiuti a cui è stato successivamente dato fuoco. Si è rimasti sull’orlo di una crisi di nervi per diverse ore, con le forze dell’ordine a mantenere calmi gli animi. Infine, la decisione salomonica dell’amministrazione reggina: confermata la presenza dei 72 migranti già nella scuola, rinculato il resto del gruppo (80 persone) verso lo “scatolone”, il palazzetto a due passi dal Granillo.

    Dal canto loro, i migranti stanno bene, e dopo gli iniziali momenti di tensione hanno trascorso una notte tranquilla. Su di loro, oltre alle auto di carabinieri e polizia che presidiano la struttura, vegliano i volontari della protezione civile che hanno provveduto a portare i beni di prima necessità, giocattoli compresi, alle famiglie venute dal mare.

    Lo slalom verso il carcere

    Un po’ rivolta contro l’arrivo dei migranti, un po’ grido d’allarme su una periferia abbandonata che ricorda degradi pasoliniani, il giorno dopo la protesta di Arghillà quello che resta è una striscia indefinita di vecchi mobili e sacchi d’immondizia bruciati che ancora bloccano a metà la strada principale del quartiere e attraverso cui sono costretti a fare manovra anche i mezzi della penitenziaria e le auto di magistrati e forze dell’ordine che devono raggiungere il carcere poco più a monte.

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    «La protesta non è stata violenta ma erano tanti – dice Marco, che davanti alla montagna di rifiuti che martedì è stata data alle fiamme, gestisce un tabaccaio – e non ce l’avevano tanto con i migranti. Quelli sono solo l’ultimo dei problemi di questo quartiere. Si guardi intorno, avevano pulito dalla spazzatura un po’ di tempo fa, ora siamo di nuovo punto e a capo. Non si può vivere così». Qualche curioso si ferma a guardare la barricata che occupa metà della strada, altri allungano il collo verso la ex scuola, indicando le persone alle finestre: «Si levanu giovedì, rissiru. Virimu».

    A Roccella va peggio

    E se Reggio piange, a Roccella la situazione è sull’orlo del collasso. I continui sbarchi delle ultime settimane hanno infatti messo a dura prova la collaudata macchina dell’accoglienza. Il problema è sempre lo stesso: se i trasferimenti verso le strutture attrezzate non arrivano in tempo, i migranti finiscono per essere stipati per giorni e giorni in stabili non adeguati. In questo momento sono circa 300 le persone arrivate sulle banchine del porto delle Grazie di Roccella negli ultimi venti giorni e rimaste ancora in zona in attesa di trasferimento.

    Sono in 123 all’ex ospedaletto, alla periferia nord della cittadina jonica; altri 80 sono sistemati alla meno peggio dentro il palazzetto dello sport e altri 90 sono stati parcheggiati in una struttura di Siderno Superiore, per una situazione che sta mettendo a dura prova tutti gli attori impegnati nella prima accoglienza, dalle forze dell’ordine ai volontari della croce rossa e della protezione civile.

  • Espropri à gogo, Caruso finge di non essere Occhiuto

    Espropri à gogo, Caruso finge di non essere Occhiuto

    Scrivere un programma elettorale può essere una fatica immane: deve essere breve, convincente e deve fare sognare. Il programma di Francesco Caruso potrebbe riuscirci: otto pagine di buoni propositi, il lessico è lo stesso che ha fatto il successo del sindaco uscente, parole come “rigenerazione urbana”, “città smart e green”, “decoro”. Quella che sembra mancare è la parola “continuità”, ma si percepisce sin da subito, per esempio nella promessa di realizzare «nuove piazze che nasceranno a Sud della città».

    Finalmente le periferie

    La prima preoccupazione che emerge dal programma di Caruso/Occhiuto è quella di smentire la convinzione diffusa di essersi in questi anni impegnati solo per il salotto buono della città. Ed ecco quindi sin da subito l’idea di dare vita a «veri e propri comitati di quartiere» nelle periferie. A questi comitati sarà delegato il compito di individuare gli obbiettivi che l’amministrazione dovrà raggiungere, come la definizione di un progetto denominato “Quartiere 2030”, «capace di offrire una nuova prospettiva di sviluppo alle periferie». L’obiettivo, non proprio inedito, è quello di fare una città policentrica, senza tuttavia spiegare dove trovare il denaro.

    Espropri ai privati

    Molto più lunga è la parte dedicata all’Agenda urbana, che vede la riqualificazione energetica di molti palazzi e la promessa di un impegno contro il disagio abitativo attraverso la riqualificazione di appartamenti nella città vecchia. Qui vale la pena di sottolineare il cambio di rotta annunciato da Caruso, che smentendo quanto sostenuto lungamente da Occhiuto, intende espropriare gli edifici privati e ristrutturarli.

    Dissesto, anche quello idrogeologico

    Tre sono le righe destinate al dissesto idrogeologico, con l’impegno di «mitigazione del rischio frane» in alcune aree della città, come per esempio nel centro storico, quindi c’è speranza che la strada che conduce a Porta piana, bloccata da una frana da parecchio, sia restituita ai cittadini. Tra le promesse non manca «l’adeguamento sismico, l’efficientamento e la rifunzionalizzazione della Biblioteca civica», patrimonio della città dimenticato e condannato a morte proprio dall’amministrazione uscente. I cittadini che si lamentano della spazzatura nelle strade possono stare tranquilli, visto che Caruso immagina di risolvere la questione anche grazie «all’incremento di uomini e mezzi per velocizzare la raccolta».

    I soldi sono finiti da un pezzo

    La nota dolente sono i soldi: quelli sono finiti da un pezzo. La causa è il dissesto, le cui responsabilità, secondo alcune sentenze, sono di Occhiuto. Caruso questo non può dirlo e quindi ci dice che in Calabria «l’80% degli enti locali è soggetto a procedure di dissesto», ma l’essere in questa compagnia non rallegra per nulla. Anche perché «con il Piano di riequilibrio – approvato dalla Corte dei conti – le aliquote dei tributi sono elevate al massimo». La sola soluzione possibile per uscire dall’abisso in cui la città è stata trascinata dall’amministrazione uscente «è quella di mettere in campo tutti gli strumenti per incassare i tributi» e solo dopo, forse, «pensare a una diminuzione della pressione tributaria».

    Vuole essere sindaco, dimenticando che è stato vice

    A pagare il prezzo di tutto ciò è il Welfare, verso il cui il candidato della destra dedica poche righe, senza spiegare coperture finanziare. Intanto Caruso è certo che Cosenza abbia «sperimentato una crescita economica esponenziale» grazie al «maniero di Federico II…al Planetario…e alle piazze monumentali come Piazza Bilotti».
    Restando all’economia, che in città è molto rappresentata dal commercio, coloro che sono impegnati in questo settore possono stare tranquilli, perché «il Comune stimolerà gli operatori verso l’individuazione di un proprio rappresentante di quartiere». A ben guardare il programma di Francesco Caruso sembra quello di uno che vuole fare il sindaco, dimenticando di aver già fatto il vice.

  • Compagni coltelli, per i big del Pd pronto il pacco… Di Natale

    Compagni coltelli, per i big del Pd pronto il pacco… Di Natale

    Un documento credibilissimo rivela lo stato d’animo con cui il Pd affronta le imminenti Regionali.
    Questa carta “canta” sin troppo: è una lettera inviata da Graziano Di Natale, consigliere regionale uscente, ai circoli del Pd della provincia di Cosenza.
    Per la precisione, intona un’aria tragica, da resa dei conti interna, che rende piuttosto bene un dato: gli equilibri interni dei dem sono saltati. E, al momento, la situazione risulta di difficile ricucitura.
    Tutto lascia pensare che gli stati maggiori calabresi del partito di Letta vogliano usare le Regionali (e, in subordine, le Amministrative di Cosenza) come se fossero le primarie che non si celebrano più da un pezzo. In parole povere, per ristabilire gli assetti di potere e i nuovi equilibri.

    Non saranno elezioni, ma un referendum

    Veniamo ai passi salienti della recente missiva con cui Di Natale chiede il voto per sé non a danno degli avversari, come sarebbe logico, ma dei colleghi di lista.
    Scrive, infatti, l’esponente paolano: «Quante volte ci siamo dovuti “giustificare” con amici e conoscenti o chiedere il voto per un candidato che puntualmente poi disattendeva ciò che aveva promesso durante la campagna elettorale??!! Quante volte ci siamo vergognati per questo? Quante volte hanno preso i nostri voti e sono spariti?».
    Sono due domande retoriche, chiarite da un terzo quesito: «È questo il Partito Democratico che vogliamo?»

    Ed ecco che Di Natale spiega i motivi della sua candidatura, con termini simili a quelli con cui Carlo Tansi ha giustificato l’alleanza con Amalia Bruni: «Ho scelto di candidarmi nel PD per “lottare dall’interno”, restando coerente con il mio percorso ricco di battaglie, denunce, legalità, dignità, ascolto e presenza sui territori. Per “lottare dall’interno” intendo cambiare il modo di gestire il partito nella nostra regione».

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    La lettera inviata da Graziano Di Natale

    Un paradosso curioso: quando, nel 2020, si candidò in Io resto in Calabria, la lista presidenziale di Pippo Callipo, l’esponente paolano dem non proferì parola sul suo partito, né i maggiorenti dem la proferirono su di lui.
    Ma tant’è: nella compilazione delle liste le appartenenze possono diventare optional.
    Stavolta le cose sono andate diversamente: Di Natale si è “dovuto” candidare nel Pd, dove i suoi quasi cinquemila voti potrebbero non pesare abbastanza in una lista piena di big.

    Quattro galli in un pollaio

    Non occorre essere analisti dei flussi elettorali per capire che nella coalizione della Bruni c’è uno squilibrio piuttosto marcato, tra la lista del Pd, concepita come macchina macinavoti, e le altre.
    Secondo i beneinformati, sarebbe stata determinante, in questa scelta. la volontà del commissario Francesco Boccia, ansioso di ottenere comunque un risultato “di bandiera” in linea col trend nazionale, che oscilla attorno al 17%, anche in Calabria e soprattutto nel caotico partito cosentino.

    Così la lista dem è diventata un pollaio in cui quattro pezzi da 90 si contendono uno spazio piuttosto ridotto: oltre Di Natale, sono in lizza Giuseppe Aieta – che si è deciso per il suo partito dopo aver traccheggiato un bel po’ con Mario Oliverio – Mimmo Bevacqua, il campione più forte dell’area popolare dem, e Franco Iacucci, che gode in questa corsa di due forti postazioni di tiro (la provincia di Cosenza e il Comune di Aiello, di cui è tuttora sindaco) e dell’appoggio di Nicola Adamo e Carlo Guccione.

    Ne resterà solo uno

    Di Natale avrebbe provato a sottrarsi a questa logica, che rischia di trasformare l’attuale competizione in un bagno di sangue anche per i consiglieri uscenti, di cui potrebbe passarne uno solo.
    Infatti, stando ai bene informati, il big paolano avrebbe provato a compilare la lista del presidente, ma con scarsi risultati, perché pochi sarebbero stati disposti a fare i portatori d’acqua per un consigliere uscente. Con un rischio ancora maggiore: trovarsi alla guida di una lista debole.

    Questo spiega la logica da guerra civile interna con cui è redatta la lettera inviata ai circoli. «Ascoltate il mio appello: ogni singola preferenza per me, sarà un avviso di sfratto per chi ha distrutto questo partito», scrive il consigliere regionale, che rincara la dose senza accorgersi di aver copiato uno slogan usato dai seguaci di de Magistris, tra l’altro proprio a Paola: «Il 3 e 4 Ottobre non sarà una semplice elezione. Il 3 e 4 ottobre sarà un referendum tra NOI e loro».

    Dalle parti di Masaniello

    Il riferimento ai Masanielli del quasi ex sindaco di Napoli non è casuale: nelle loro file milita la vera spina nel fianco degli aspiranti consiglieri regionali del Tirreno cosentino, cioè Ugo Vetere, sindaco di Santa Maria del Cedro dotato di un forte seguito.
    Infatti, pur essendo legato al Pd, Vetere avrebbe scelto di schierarsi prima con Carlo Tansi e poi avrebbe ceduto alle lusinghe di de Magistris proprio per non finire schiacciato da Di Natale, che a differenza sua vanta comunque un legame di primo piano con il Pd “che conta”, essendo genero del notabile amanteano Mario Pirillo, ex assessore all’Agricoltura dell’era Loiero ed ex europarlamentare.

    Secondo gli addetti ai lavori, Vetere, che è candidato in Dema, ha una grossa carta a proprio favore: l’appoggio elettorale di Giuseppe Giudiceandrea, che si è chiamato fuori all’ultimo dalla competizione elettorale anche per non correre lo stesso rischio di Di Natale. Cioè competere all’interno della lista ammiraglia di de Magistris con Vetere e Mimmo Talarico (col quale condivide, almeno in parte, il bacino elettorale).

    La chiamata alle armi

    Alla candidatura praticamente obbligata nel Pd, Di Natale risponde con una chiamata alle armi, rivolta non tanto contro l’attuale commissario ma per «mandare a casa chi ha praticamente azzerato il partito, facendolo addirittura commissariare per l’ennesima volta».
    Di Natale farà senz’altro il portatore d’acqua, ma la porterà avvelenata. E guai a berla.

  • Regionali, de Magistris moralista a convenienza

    Regionali, de Magistris moralista a convenienza

    Il quadro ormai è delineato: Occhiuto fila più o meno liscio, con la sola eccezione di alcune “sviste” (del suo staff o della Commissione parlamentare antimafia?) nel collegio Sud, mentre i suoi avversari a sinistra si contendono la palma del “nuovo” e della “purezza”.
    Ma Amalia Bruni e Luigi de Magistris possono aspirare, al massimo, alla certificazione dell’usato sicuro, tipica dei venditori d’auto degli ultimi anni dello scorso secolo.

    Uno sguardo più approfondito rivela che, in realtà, tra le due coalizioni c’è una certa permeabilità, costituita da personaggi di primo piano, spesso con storie e provenienze simili, che si sono collocati più a seconda della convenienze (cioè per massimizzare i propri voti) che in base a istanze reali di rinnovamento. Questa transumanza è visibile nel collegio di Cosenza, che è il più determinante sia per le dimensioni sia perché gli equilibri del capoluogo, in cui si svolgeranno le Amministrative, risulteranno centrali negli assetti futuri della politica regionale.

    Le contraddizioni di de Magistris

    La voglia del nuovo deve fare sempre i conti con la realtà, che in Calabria genera contraddizioni vistose.
    La prima contraddizione riguarda lo schieramento di De Magistris, che nel collegio Nord ha due nomi: Giuseppe Giudiceandrea e Felice D’Alessandro.

    L’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea

    Iniziamo da Giudiceandrea, ex consigliere regionale e figura forte della sinistra cosentina, passato dalla sinistra radicale al Pd.
    La sua candidatura era data per certa fino a meno di una settimana dalla presentazione delle liste del re di Napoli. Poi, quasi a sorpresa, il ritiro, annunciato dallo stesso Giudiceandrea dalla propria bacheca Facebook con una motivazione a dir poco ambigua: lui avrebbe troppi voti, che impedirebbero la quadra tra i candidati in più liste.

    Giudiceandrea fuori per fare spazio ad altri

    In altre parole, l’ex consigliere sarebbe stato candidato in Dema, dove già ci sono due candidati piuttosto forti: Mimmo Talarico, sodale del quasi ex sindaco di Napoli sin dal 2010, e Ugo Vetere, sindco di Santa Maria del Cedro, già in quota Pd e poi vicino a Carlo Tansi. L’alternativa, per lui, sarebbe stata la candidatura in de Magistris presidente, con il rischio di far ombra ad Anna Falcone, costituzionalista, ex accademica dal passato socialista e dall’attuale impostazione vicina alla sinistra radicale.
    Che sia così lo ribadisce la doppia candidatura della stessa Falcone a capolista nel collegio Nord e in quello Centro. È evidente che lo staff dei Masanielli miri a farla passare comunque.

    Il dietro le quinte che riguarda Giudiceandrea, autoesclusosi con grande intelligenza politica, sarebbe anche un altro: il suo passato legame con Mario Oliverio e il Pd. Nulla di male in questo, riferiscono i bene informati, tanto più che l’ex consigliere dell’amministrazione Oliverio ha bene operato e non ha strascichi giudiziari.
    Anzi, è stato protagonista di strappi anche coraggiosi: chi non ricorda, al riguardo, la lite sui vitalizi con Nicola Adamo?
    La sua esclusione sarebbe stata quindi dettata dalla voglia di proporre novità all’elettorato.

    Felice D’Alessandro, candidato alla Regione nelle file di Luigi De Magistris

    Lo stesso principio, tuttavia, non vale per altri. È il caso di Felice D’Alessandro, sindaco uscente di Rovito, candidato in Dema, che può essere definito nuovo solo perché non ha mai fatto parte del Consiglio regionale. Sebbene, c’è da dire, ci avesse provato: si era candidato nel 2020 in Io resto in Calabria, la lista “presidenziale” di Pippo Callipo, in cui aveva ottenuto 3.600 preferenze, di cui più di 700 nel capoluogo.

    D’Alessandro per tutte le stagioni

    Per il resto, D’Alessandro ha una storia fatta di legami col Pd e i suoi big più forte di quella di Giudiceandrea.
    Di lui si ricorda una serie di vicinanze: dapprima a Carlo Guccione, poi a Mario Oliverio, poi a Ferdinando Aiello (il quale, per un certo periodo, è stato vicino a Giudiceandrea, che avrebbe addirittura convinto a entrare nel Pd), quindi a Nicola Adamo, ancora a Franco Iacucci e, infine, a Sandro Principe, che non è più formalmente nei dem ma ne resta un ispiratore carismatico.

    Sempre a proposito di Principe, può destare qualche interesse un altro retroscena: D’Alessandro, che non ha mai nascosto il desiderio di diventare sindaco di Cosenza, sarebbe stato indicato dal big rendese per la corsa a Palazzo dei Bruzi.
    In pratica, l’aspirante sindaco è stato per un breve periodo il quarto incomodo nel delicatissimo gioco a tre del centrosinistra cosentino, in cui si sono disputati la candidatura a primo cittadino Franz Caruso, Bianca Rende e Giacomo Mancini.

    Sappiamo com’è andata a finire: la quadra è stata ricomposta male, perché sono rimasti in corsa Caruso e Rende e Mancini ha dichiarato l’appoggio all’avvocato di fede socialista.
    In questo contesto, a D’Alessandro non sarebbe rimasto che schierarsi con Caruso come aspirante consigliere, col rischio non infondato di finire tra i banchi dell’opposizione. A questo punto, la scelta della Regione, per non stare fermo un giro, è stata quasi obbligata. Ma non nel Pd, dove coi suoi voti avrebbe potuto fare il portatore d’acqua, ma con la coalizione di de Magistris, dove potrebbe invece pesare di più.

    Un terrone è per sempre

    La seconda contraddizione, verificatasi nel collegio Centro, è più piccola, roba di puro folclore cultura- politico. Riguarda Amedeo Colacino, avvocato molto noto nel comprensorio lametino ed ex sindaco di Motta Santa Lucia.
    Il nuovismo di Colacino risale all’inizio del decennio e si risolve nella sua infatuazione per il neborbonismo, sfociato in una battaglia giudiziaria bizzarra contro il Museo Lombroso di Torino. Inutile, per quel che serve qui, ricostruirla nel dettaglio: basti solo dire che il Comune di Motta, fiancheggiato da tutte le associazioni neoborboniche e dallo stesso Aprile, ha perso in Corte d’Apello e in Cassazione e che l’attuale sindaco del paese lametino, ha accantonato ogni velleità combattiva.

    Interessa molto, invece, la vicinanza di Colacino a Orlandino Greco, all’epoca consigliere regionale, che per un certo periodo aveva guardato con molta curiosità e altrettanta benevolenza alle battaglie identitarie dei “terronisti”, al punto di far approvare una mozione al consiglio regionale e di interessare il Comune di Cosenza attraverso Mimmo Frammartino, allora suo sodale nei banchi dell’opposizione.
    Piccole cose, ci mancherebbe, ma che danno la misura di una certa vicinanza politica. Nel percorso a dir poco originale di Colacino figura anche la successiva adesione al Movimento 24 agosto-Equità territoriale di Pino Aprile, che di recente ha ritirato il proprio appoggio a de Magistris e si è spaccato al suo interno.

    Se i presupposti sono questi, tutto lascia pensare che la candidatura di Colacino in Dema sia un modo per sterilizzare la presenza, a dirla tutta non fortissima, degli apriliani.
    Stesso discorso, nel collegio Nord, per Mario Bria, medico cosentino che i più ricordano come battagliero consigliere provinciale dei Verdi alla provincia di Cosenza durante la prima amministrazione Oliverio.
    Vicinissimo all’epoca all’ex governatore, Bria si è eclissato dagli spalti provinciali per riemergere proprio col Movimento di Aprile, per il quale scaldava già i motori.
    Il rifugio in Dema è per lui una scelta quasi obbligata, visto che il suo pacchetto di voti non avrebbe avuto valore in un partitino prossimo alla polverizzazione, almeno qui in Calabria.

    Tiriamo le somme

    Il concetto chiave su cui sembrano muoversi i due schieramenti a sinistra è quello dei vasi comunicanti: chi è abbastanza forte o ha obblighi politici a cui non si può dire di no va con la Bruni, chi appena può giocarsi la partita è con de Magistris.
    Di sicuro, la lista cosentina del Pd è impraticabile per chiunque, perché blindata attorno a tre big: Mimmo Bevacqua, Giuseppe Aieta e Graziano Di Natale.
    I tre sono forti, ma dei tre il più forte resta Bevacqua. Aieta, su cui pesa un’inchiesta non proprio irrilevante per corruzione elettorale e voto di scambio, ha perso l’appoggio di Oliverio e il fortino della “sua” Cetraro, di cui è stato a lungo sindaco.

    Di Natale, di cui sono più che noti i rapporti parentali con l’ex europarlamentare Mario Pirillo, dovrà misurarsi nella lista principe della coalizione di Bruni, a differenza del 2020, quando aveva potuto valorizzare al massimo i propri voti in una lista fiancheggiatrice.
    Tutto questo senza fare i conti con l’oste: il presidente uscente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci, che tenta, secondo molti, la corsa di fine carriera con la candidatura alla Regione. Ma, secondo gli addetti ai lavori, saprebbe comunque il fatto suo, potendo contare comunque sull’aiuto di Adamo e Guccione.
    Il centrosinistra cosentino è diventato un blob, che condiziona non poco il collegio più grande e popolato della Calabria.

    E sortirà un terribile effetto boomerang: la candidatura di Nicola Irto, già consigliere più votato nel 2020, andrà alle stelle grazie a due fattori. Cioè il suicidio dei big cosentini, che rischiano di essere gambizzati dagli ultrà di Oliverio, e il mancato chiacchiericcio antimafia, che di questi tempi non è davvero poco.
    C’è sempre uno più puro che ti epura, diceva il compianto Pietro Nenni ai socialisti più intransigenti. Sbagliava: la purezza è scomparsa da un pezzo. Anche in politica.

  • Calabria, la Regione più povera ha i politici più ricchi

    Calabria, la Regione più povera ha i politici più ricchi

    «Tre gruppi spendono i soldi degli altri: i bambini, i ladri, i politici. Tutti e tre hanno bisogno di essere controllati», diceva l’ex parlamentare texano Dick Armey. Tralasciamo le facili battute sugli ancor più facili accostamenti tra alcuni dei gruppi in questione, tutti i candidati ci spiegano che a spingerli a entrare nei palazzi del potere sono sempre e solo i più nobili degli ideali. Ma proviamo a ragionare sull’assurda ipotesi che, sotto sotto, a qualcuno di loro possa interessare pure il vile denaro. Una domanda a quel punto bisognerebbe farsela: quanti soldi passano dalle tasche dei politici regionali ogni mese una volta eletti?

    Differenze tra Consiglio e Giunta

    La risposta non è sempre uguale. Sono molte le variabili da considerare quando si parla di emolumenti alla Regione Calabria, tutte relative al ruolo ricoperto dai singoli. Un assessore guadagnerà più di un consigliere, i presidenti delle commissioni o i capigruppo più dei loro colleghi meno “altolocati”, quelli di Giunta e Consiglio più di qualsiasi componente dei medesimi organi. Certo è che tutti loro a fine serata un pasto caldo possono permetterselo senza preoccuparsi di tirare la cinghia per non arrivare al verde a fine mese.

    Il primato della politica

    In una terra in cui il reddito pro capite medio supera di poco i 15mila euro annui, ai rappresentanti istituzionali dei calabresi spettano infatti ogni mese come minimo circa 12.150 euro. E i Nostri possono arrivare, nel caso dei presidenti di Giunta e Consiglio, anche a quasi 18mila. È il massimo consentito per le Regioni a statuto ordinario. In altri territori italiani dall’economia più florida c’è chi ha scelto di percepire meno, ma qui i politici – visti i brillanti risultati ottenuti in mezzo secolo di regionalismo in salsa calabra – hanno optato per fare bottino pieno. Un omaggio alla meritocrazia che sfugge solo agli osservatori troppo maliziosi, senza dubbio.

    Indennità di carica e di funzione

    Ma come si arriva a certe cifre? Presto detto: ogni politico regionale ha diritto a una indennità di carica – lo stipendio vero e proprio, per così dire – pari a 5.100 euro. A questi vanno aggiunti i quattrini della indennità di funzione. In questo caso si parte dai 1.500 euro per i capigruppo per arrivare ai 2.000 destinati ai presidenti di commissione, gli assessori, i vicepresidenti del Consiglio o quello della Giunta. Se poi si guidano la Giunta o il Consiglio l’indennità di funzione, noblesse oblige, aumenta ancora, toccando i 2.700 euro mensili.

    Vettura e autisti

    Se pensaste che il conto sia finito qui pecchereste d’ingenuità. Non vanno dimenticate, infatti, le spese «per il noleggio e l’esercizio delle autovetture utilizzate per l’esercizio delle funzioni». Da non confondere con il salario per gli autisti inseriti nelle strutture degli eletti: i circa 29.000 euro lordi che vanno ogni anno a uno chaffeur al 100% – se ne possono prendere due volendo, purché si dividano a metà lo stipendio – sono un’altra cosa. Per la loro vettura i politici incassano ancora una volta in base al ruolo ricoperto: segretari questori e vicepresidenti del Consiglio si vedono accreditare ogni 30 giorni 2.355 euro, agli assessori ne toccano 3.115. Quando poi si presiedono la Giunta o il Consiglio la somma sale fino a sfiorare i 3.900 euro.

    Massimo cinque missioni, ma soldi ogni mese

    Il timore che l’iperattivismo dei nostri rappresentanti possa portarli alla fame fa sì che alle somme appena elencate se ne aggiungano altre. Tant’è che per ogni componente di Giunta e Consiglio ci sono 6.000 euro mensili destinati alle spese per l’esercizio del mandato. Ogni consigliere ha pure diritto a un’ulteriore somma, pari a poco più di 1.035 euro, «a titolo di contributo forfettario mensile per le missioni». E poco importa che le missioni rimborsabili ogni anno siano al massimo cinque, meno della metà dei mesi del calendario.

  • Pd pulp, colpi bassi e intrecci nella Calabria di mezzo

    Pd pulp, colpi bassi e intrecci nella Calabria di mezzo

    Dalle narrazioni non ufficiali della notte dei lunghi coltelli vissuta dal Pd catanzarese tra venerdì e sabato emerge uno spaccato inquietante. L’introduzione delle quote rosa ha fatto sì che tre posti, sugli 8 disponibili nel collegio Centro (Catanzaro-Crotone-Vibo), fossero blindati: Aquila Villella, Annagiulia Caiazza, Giusy Iemma.

    Posto sicuro anche per un consigliere uscente (Luigi Tassone) e per due che si erano candidati ma non ce l’avevano fatta a gennaio 2020 (Fabio Guerriero e Raffaele Mammoliti). Restavano due posti, ma se li contendevano tre maschietti: il sindaco di Soverato Ernesto Alecci (in realtà a garanzia del suo posto c’era l’appartenenza a “Base riformista”, la corrente di Luca Lotti), l’ex presidente della Provincia Enzo Bruno, l’uscente Francesco Pitaro.

    Ernesto Alecci, sindaco di Soverato

    Quest’ultimo è entrato in Consiglio regionale con Pippo Callipo, ha fatto quasi tutto lo scorcio di legislatura col Misto e qualche settimana fa si era avvicinato al Pd, forte di un accordo con i vertici provinciali. Apriti cielo. Guerriero ha minacciato di ritirare la candidatura, Alecci pure, Bruno di uscire dal partito. Alla fine sono cadute le teste di Bruno e Pitaro, il posto conteso per uscire dall’impasse lo ha occupato il segretario provinciale Gianluca Cuda e le due “vittime” hanno subito dato sfogo a reazioni al vetriolo.

     

    Lo sfogo di Bruno

    L’ex presidente della Provincia ha parlato di «logiche poco trasparenti, perverse e poco rispettose della comunità democratica». Poi con un certo sprezzo del ridicolo ha fatto anche sapere di aver accettato la candidatura a sindaco di Vallefiorita per il «cambiamento e la rinascita» del suo paese, dove era assessore già nel 1988 e vicesindaco nel 1993.

    Francesco Pitaro ha descritto un partito di belve feroci che non sarebbe diventato certo una comitiva di educande se avesse accettato la sua candidatura. Pino Pitaro, ex sindaco di Torre di Ruggiero coinvolto nell’inchiesta antimafia “Orthrus” per il quale però la richiesta d’arresto è stata più volte negata, ci ha messo il carico scrivendo sul profilo Facebook del fratello: «La cosca politica si è organizzata contro di te». Secondo i bene informati la regia della loro esclusione sarebbe, almeno in parte, ascrivibile al deputato Antonio Viscomi. Che, così, nel suo collegio di appartenenza ha provato a evitare di farsi fare le scarpe proprio dall’ultimo arrivato.

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    Francesco Pitaro, consigliere regionale del gruppo Misto

     

    Pd, il mentore e il discepolo

    La vicenda (molto pulp) del Pd catanzarese è emblematica dello stato di un partito a cui sembra interessare solo il mantenimento di postazioni da cui dividersi le macerie di ciò che resterà dopo le Regionali. In questo senso dice molto anche un’altra storia di queste ore che viene dall’entroterra, dalle Serre: quella del ricandidato Tassone. Eletto a gennaio 2020 dopo essere entrato in lista all’ultimo minuto grazie alla scure calata da Pippo Callipo sulle candidature proposte dal duo Graziano-Oddati, e del suo mentore di sempre, Bruno Censore, che invece è nella lista di Mario Oliverio.

    L’uno era l’ombra dell’altro, diciamo quasi zio e nipote, oggi invece non si parlano nemmeno e puntano al reciproco scalpo da postazioni distanti. Tassone ha dalla sua un piazzamento decisamente migliore. Censore invece è dovuto ricorrere anche a candidature di servizio per riempire le caselle, ma i voti in provincia sono sempre stati del mentore e il delfino sa in cuor suo che gli venderà (politicamente) cara la pelle.

     

    Il garantismo di FI non vale per Vito Pitaro

    Altra vicenda vibonese interessante è quella di un altro Pitaro, Vito, estromesso dalla sera alla mattina dal centrodestra senza tante spiegazioni. Consigliere regionale uscente, è parecchio chiacchierato per delle intercettazioni molto sconvenienti con un sanguinario, presunto capo di una cosca emergente e per dichiarazioni di pentiti non esattamente da curriculum, ma per quel che se ne sa non è nemmeno indagato.

    L’ex comunista Vito Pitaro

    Stupisce dunque che il garantismo storico dei berlusconiani stavolta non sia stato adoperato per un politico che è ritenuto utile al Comune di Vibo. Lì (almeno finora) il suo gruppo sostiene l’amministrazione di centrodestra guidata da Maria Limardo ed è risultato “buono” anche per vincere le elezioni regionali del 2020. Invece ora, all’improvviso e senza motivazioni ufficiali, finisce fuori dalle liste. Per di più proprio quando il coordinatore regionale del partito che esprime il candidato alla Presidenza è lo stesso Giuseppe Mangialavori con cui si era alleato per vincere le Comunali.

     

    Il notaio vibonese con De Magistris

    Nel collegio centrale ha puntato forte anche un altro aspirante governatore, Luigi de Magistris, che tra Crotone, Lamezia e Vibo ha scelto candidati ben radicati sul territorio come Filippo Sestito, Rosario Piccioni e Antonio Lo Schiavo. Quest’ultimo, notaio vibonese, ci aveva già provato con Callipo alle passate elezioni ma non ce l’ha fatta per una manciata di voti. All’epoca e anche oggi ha il sostegno dell’ex presidente della Commissione regionale antimafia Arturo Bova, ma stavolta gli mancherà proprio l’appoggio lametino dell’area di Gianni Speranza di cui Piccioni è un punto di riferimento. Fra i tre, alla fine, potrebbe trarne vantaggio solo l’ex pm, forse.

     

    Lamezia rischia di non sedere in consiglio regionale

    A Lamezia, come previsto, è partita una nuova carica di candidature – una quindicina solo dalla città, senza contare l’hinterland – che rischiano solo di frammentare i rispettivi campi riducendo le possibilità di avere rappresentanti in consiglio regionale per la quarta città della Calabria, com’è già avvenuto nelle ultime due legislature.

    È da segnalare il ritorno in campo di Pasqualino Scaramuzzino, ex sindaco ai tempi del secondo commissariamento per mafia di Lamezia ed ex presidente della Fondazione Terina; di recente si è attirato parecchie polemiche social per un video (sponsorizzato) su Facebook in cui, affiancato da da Mangialavori e Occhiuto, esaltava il “sacrificio” di quest’ultimo per aver deciso, dalla postazione di rilievo della Camera, di venire a “sporcarsi le mani” in Calabria.

    Gioca la sua personale partita anche il deputato leghista Domenico Furgiuele, spesso citato per gli imbarazzi giudiziari in cui si è trovato il suocero, che ricandida l’uscente Pietro Raso in “accoppiata” con Antonietta D’Amico, provando così dal suo “feudo” di Sambiase ad allargarsi sia nell’hinterland che nel centro di Nicastro.

    Flora e Baldo nella campagna acquisti Udc

    Sull’asse Crotone-Catanzaro sembra potenzialmente forte, dal punto di vista dei consensi, la doppia new entry nell’Udc rappresentata da Baldo Esposito, già in area Gentile, e di Flora Sculco, altra figlia d’arte che scalpita come Silvia Parente il padre Claudio ha rinsaldato l’asse con Mimmo Tallini – e Katya Gentile, forte dell’accordo bifamiliare con gli Occhiuto tra la Regione e il Comune di Cosenza. Nell’Udc ha militato anche Sabatino Falduto, ex assessore comunale vibonese che oggi è candidato nella lista di Fratelli d’Italia e che “vanta” anche un passaggio nel Pd.

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    Flora Sculco, consigliera regionale del gruppo DP, si candida con l’Udc
    Cambi di casacca

    Trasversalismi e cambi di casacca sono d’altronde pratiche diffuse e nel collegio si segnalano a questo proposito le seguenti curiosità: Giovanni Matacera, candidato di Forza Italia, è fratello di Pietro, già vicesindaco di Soverato, cittadina jonica il cui sindaco è Alecci (candidato nel Pd); Innocenza Giannuzzi, già Agricoop, Confapi e ora Confartigianato, era candidata a gennaio 2020 con “Io resto in Calabria” di Callipo mentre ora è in lista con Oliverio; Tiziana De Nardo, alle precedenti elezioni candidata con i Democratici e progressisti (centrosinistra), nel giro di un anno e mezzo è passata, via Italia del meridione, a conquistare un posto nella lista “Forza azzurri”.

  • Assalto alla Cittadella: truppe schierate in cerca di poltrone

    Assalto alla Cittadella: truppe schierate in cerca di poltrone

    Sfida per la continuità o per il cambiamento (ma quale?), le Regionali si annunciano piuttosto combattute, sebbene l’esito sia considerato scontato dalla quasi totalità degli osservatori.
    Roberto Occhiuto, che rivendica l’eredità politica di Jole Santelli, è dato per favorito, grazie anche a liste compilate per fare il pieno di voti.
    Il perno di Occhiuto, come già per Oliverio e la ex presidente prematuramente scomparsa, è Cosenza e non è un caso che il candidato azzurro abbia concentrato proprio nella circoscrizione Nord una potenza di fuoco non indifferente.

    L’armata azzurra

    Il dilemma di Forza Italia è risolto. Capolista sarà l’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo, fortissimo nella fascia jonica e amico-rivale storico dell’aspirante governatore.
    Fuori dalle liste Pino Gentile, che tuttavia non ha rinunciato a lasciare le sue impronte sulla coalizione. Fortissime quelle di sua figlia Katya, già vicesindaca di Cosenza nella prima metà dell’era Occhiuto.

    Meno marcate, ma altrettanto significative, quelle di Simona Loizzo, dentista cosentina con un ruolo importante nella Sanità calabrese, precedenti politici di rilievo (è stata dirigente provinciale cosentina del Pdl), vicinissima alla famiglia Gentile e con addentellati fortissimi nella Cosenza “che conta” (è la nipote di Ettore Loizzo, ex big della massoneria calabrese ed ex gran maestro aggiunto del Goi).

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    Roberto Occhiuto

    La Loizzo, come già anticipato, è candidata nella Lega, in ottima compagnia del consigliere uscente e big di Coldiretti Pietro Molinaro e dell’ex “imbrattamuri” Leo Battaglia, protagonista della bravata ferragostana che ha fatto chiacchierare tutta l’Italia: il lancio sul litorale delle mascherine chirurgiche con santino elettorale dall’elicottero.
    Forti anche nelle altre due circoscrizioni le candidature salviniane: Pietro Raso e Filippo Mancuso nel Catanzarese e Tilde Minasi nel reggino.

    Ma Occhiuto pesca anche nel bacino di Palazzo dei Bruzi: al riguardo, fanno bella mostra di sé Carmelo Salerno (Fi), Pierluigi Caputo (Forza Azzurri) e l’assessora cosentina Francesca Loredana Pastore (Fratelli D’Italia).
    Non mancano i sindaci o ex tali. Ci si riferisce a Pasqualina Straface, ex prima cittadina di Corigliano (Fi) e a Gioacchino Lorelli, attuale sindaco di San Pietro in Amantea molto quotato nel basso Tirreno cosentino.

    Bianchi e neri

    A proposito di Meloniani, resta confermata l’indiscrezione su Luca Morrone, che ha candidato in sua vece la moglie Luciana De Francesco e, finalmente, si candida l’assessore al Turismo uscente Fausto Orsomarso.
    Forte, nella circoscrizione reggina, la candidatura del consigliere uscente Giuseppe Neri.
    Tra le novità assolute, l’ingresso dei seguaci del governatore ligure Giovanni Toti. È confermata, al riguardo, la candidatura di Alfredo Iorio, già uomo ombra dei leghisti Vincenzo Sofo e Pietro Molinaro. Evidentemente, Coraggio Italia è una casa per salviniani in libera uscita.

    Ritorni forti anche nell’Udc, che ricandida Giuseppe Graziano, detto “Il generale” nel Cosentino e Flora Sculco – la figlia di Enzo siede al momento a Palazzo Campanella in quota democrat nel Catanzarese.
    Confermata anche la presenza di Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, le cui liste sono state confezionate da un altro ex Udc di peso: Pino Galati.
    L’ultima indiscrezione agostana rivelatasi fondata riguarda la candidatura di Piercarlo Chiappetta, cognato di Mario Occhiuto e consigliere comunale uscente di Cosenza, in lista in Forza Azzurrri.

    Amalia, la scienziata

    Ci voleva proprio una neurologa di fama per venire a capo dello sfacelo del centrosinistra.
    Anche Amalia Bruni ha concentrato il fuoco su Cosenza, dove la sfida è più difficile e i rischi maggiori, a causa dell’ingresso di Mario Oliverio, che potrebbe azzoppare proprio il Pd nel suo territorio.
    Pienissima la lista dem cosentina, in cui sono concentrati i big uscenti tranne Carlo Guccione, silurato in seguito al martellamento di Carlo Tansi. E cioè Mimmo Bevacqua, Giuseppe Aieta, Graziano Di Natale e il presidente della Provincia Franco Iacucci.
    Forte anche la candidatura di Nicola Irto, capolista del Pd nella circoscrizione Sud.

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    Amalia Bruni

    Nella lista della presidente, Amalia Bruni presidente (appunto…), si segnala la presenza di Giovanni Manoccio, storico ex (oggi vice) sindaco di Acquaformosa.
    Un altro ritorno nel Movimento 5 Stelle: si tratta di Domenico Miceli, ex capogruppo grillino di Rende, candidato come capolista nella circoscrizione cosentina.
    A conferma della sua voglia di giocarsi il tutto per tutto per entrare in Consiglio regionale, Carlo Tansi è candidato capolista della sua Tesoro di Calabria in tutte e tre le circoscrizioni.
    A completamento della coalizione, le liste del Psi, del Partito Animalista e di Europa Verde.
    Un merito alla Bruni lo si può riconoscere: è riuscita comunque a tenere unito il centrosinistra, che invece è spaccato a Cosenza, dove sarebbe riuscito a giocare la partita vera…

    Il giustiziere

    Luigi de Magistris schiera sei liste a geometria variabile. Smentisce le voci sulla propria candidatura anche a capolista (segno che conta di arrivare secondo) e schiera i propri fedeli a seconda delle proprie possibilità di farcela o meno.
    Ne sono esempi Anna Falcone, candidata capolista per de Magistris presidente nelle circoscrizioni Nord e Centro, e Mimmo Lucano, capolista in tutte e tre le circoscrizioni calabresi in Un’altra Calabria è possibile.

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    Luigi de Magistris con Anna Falcone durante la raccolta delle firme per presentare le liste

    Non mancano le curiosità. Tra le varie critiche mosse al quasi ex sindaco di Napoli c’è stata quella di aver soffiato candidati ai concorrenti, nello specifico a Carlo Tansi e al Movimento 24 agosto-Equità territoriale, l’ex partitino meridionalista di Pino Aprile.
    Voci confermate: l’ex tansiano Ugo Vetere si candida con Dema nella circoscrizione Nord e l’ex apriliano Amedeo Colacino nella circoscrizione centrale, sempre con Dema.

    Restano confermate la rinuncia a candidarsi dell’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea e la candidatura di Mimmo Talarico, che coltiva un rapporto politico stretto con de Magistris sin dai tempi in cui era consigliere regionale in quota Idv.
    Le liste del “re di Napoli” oscillano tra civismo e sinistra radicale. Di sicuro azzerano le speranze di vittoria di Amalia Bruni ma non garantiscono l’agognato secondo posto al loro leader. A meno che Oliverio non riesca nel suo scopo.

    La ridotta di Mario Oliverio

    I fedelissimi dell’ex governatore tentano il tutto per tutto per ridimensionare il Pd attraverso una candidatura di testimonianza pura e disperata.
    Secondo alcuni, la scesa in campo di Mario Oliverio rievoca una specie di “resistenza”. Più realisticamente, sembra una Salò, per fortuna meno tragica e sanguinosa.
    I “repubblichini” di Oliverio vanno giù duri e promettono fuoco e fiamme contro i “compagni” coltelli dem, anche a costo di agevolare de Magistris.

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    L’ex presidente della Regione, Mario Oliverio

    Col big silano si sono schierati degli ultrà di lungo corso come i cosentini Maria Francesca Corigliano e Mario Caligiuri e Bruno Censore. Più qualche duro dell’ultima ora, come Giuseppe Belcastro, ex sindaco di San Giovanni in Fiore diventato famoso per aver azzoppato il centrosinistra nella sua città appoggiando la candidatura di Rosaria Succurro, assessora di Mario Occhiuto diventata prima cittadina nell’ex Leningrado della Calabria.
    Vendetta, tremenda vendetta, pare lo slogan di Oliverio. E c’è da essere sicuri che, in un modo o nell’altro, riuscirà a coglierla.

    Bagno di sangue

    Le liste risultano tutte più o meno cambiate: via i presunti incandidabili, anche a costo di qualche ingiustizia (come nei casi di Pino Gentile e Luca Morrone) e di qualche rischio.
    Le esigenze restano diverse: Occhiuto, più che di vincere, è preoccupato di rafforzare la propria leadership, mentre gli avversari lottano per la sopravvivenza, senza esclusione di colpi, meglio ancora se bassi.
    Dopo un agosto tropicale, inizia l’autunno caldissimo per la politica.

  • Trasformisti, parenti e borderline: le Regionali nella Circoscrizione Sud

    Trasformisti, parenti e borderline: le Regionali nella Circoscrizione Sud

    Cambi di casacca, contesti relazionali equivoci, parentele imbarazzanti con la ‘ndrangheta o con altri politici non graditi per la candidatura. Chi si aspettava un cambiamento di logiche nella scelta dei candidati al prossimo Consiglio Regionale della Calabria nella Circoscrizione Sud, sarà rimasto molto deluso. A essere maggiormente interessati dal fenomeno sono i due principali schieramenti in contesa. Il centrodestra, alla fine confluito interamente su Roberto Occhiuto. E una parte del centrosinistra, Pd e Movimento 5 Stelle, che appoggiano Amalia Bruni. In mezzo, nel tentativo di non essere stritolati, il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. E l’ex governatore, Mario Oliverio.

    Il centrodestra

    Tra i cavalli di battaglia del candidato governatore Occhiuto ci sono quelli delle “liste pulite”. Addirittura – dice – andando oltre gli stringenti criteri della Commissione Parlamentare Antimafia. Ma anche il concetto di “liste rigenerate”. Ma è davvero così?

    In Forza Italia, nella Circoscrizione Sud troviamo tra i candidati il presidente uscente del Consiglio Regionale, Giovanni Arruzzolo. Non indagato, viene menzionato spesso nelle carte d’indagine dell’inchiesta “Faust”. Indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria contro la famiglia Pisano di Rosarno. Costola del potente casato dei Pesce che, insieme ai Bellocco si divide da sempre Rosarno.

    A proposito di Bellocco e Rosarno, imbarazza non poco la candidatura di Enzo Cusato nei ranghi della Lega. È il consuocero del presunto boss Rocco Bellocco, la figlia ha sposato Domenico, figlio del presunto capoclan. La scelta stride coi proclami del commissario regionale del Carroccio, Giacomo Francesco Saccomanno. Che da settimane inonda le redazioni di comunicati stampa sulla lotta della Lega allo strapotere dei clan.

    Ma torniamo a Forza Italia. Tra i candidati spicca il nome del giovane imprenditore Giuseppe Mattiani. Già alle scorse Regionali aveva ottenuto un buon risultato, pur non risultando eletto. La famiglia Mattiani negli scorsi anni fu anche interessata da un cospicuo sequestro di beni per presunte connivenze con i clan. Ma riuscirà a dimostrare la propria estraneità, ottenendo la restituzione degli averi.

    Risulta invece indagata, con richiesta di rinvio a giudizio, Patrizia Crea, già assessore comunale a Melito Porto Salvo. La Giunta di cui era anche vicesindaco, infatti, avrebbe assegnato un immobile di proprietà comunale a una università privata, provocando quindi un ingiusto vantaggio alla stessa. Ma non solo. La Procura di Reggio Calabria in un’altra inchiesta la sospetta (insieme ad altri membri dell’allora Giunta Comunale) di falso in bilancio. In ultimo, risulta indagata perché non si sarebbe astenuta in Giunta nel voto di una delibera che, sostanzialmente, promuoveva la sorella ad un incarico superiore. Ovviamente in seno all’Amministrazione Comunale melitese.

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    Giuseppe Neri tenta il bis alla Regione ricandidandosi con Fratelli d’italia

    Situazione pesante, pur senza alcuna indagine formale a suo carico, per Giuseppe Neri. Consigliere regionale uscente e ricandidato nei ranghi di Fratelli d’Italia. L’inchiesta “Eyphemos” portò all’arresto di Domenico Creazzo. Consigliere regionale in manette ancor prima di insediarsi a Palazzo Campanella. Erano numerosi i riferimenti a Neri. E a contesti di ‘ndrangheta. Stando alle conversazioni intercettate di alcuni indagati, Neri avrebbe pescato sotto il profilo elettorale in ambienti malavitosi. Addirittura, si criticava l’ipocrisia politica di Neri che ostentava, ma solo a parole, il suo “amore” per la legalità. Mentre proprio la ‘ndrangheta sarebbe stata il suo interlocutore privilegiato durante la campagna elettorale. Tutto per il tramite di un intermediario. Che conosceva, a differenza del parente sostenuto, quei territori e le famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro.

    Il centrosinistra

    Nella lista del Pd, da segnalare la candidatura del poliziotto Giovanni Muraca. Assessore a Reggio Calabria, viene sponsorizzato dal sindaco Giuseppe Falcomatà. Il problema è che entrambi risultano a processo per il cosiddetto “Caso Miramare”. Dibattimento agli sgoccioli sul presunto affidamento diretto di un immobile di pregio a una semisconosciuta associazione culturale riferibile a un amico di vecchia data del sindaco.

    Incredibile, invece, come l’ex assessore regionale Nino De Gaetano sia riuscito a infiltrare nuovamente il Pd. Ci riesce dopo essere stato, di fatto, messo alla porta per le sue vicissitudini relazionali e giudiziarie. L’accostamento (senza un’indagine formale a suo carico) ad ambienti di ‘ndrangheta del potente casato dei Tegano in primis. E poi il coinvolgimento (anche con gli arresti domiciliari) nell’inchiesta “Erga Omnes”, sullo scandalo dei rimborsi del Consiglio Regionale. De Gaetano penetra nuovamente il Pd. Lo fa attraverso il suo figlioccio politico, quell’Antonio Billari già subentrato a Palazzo Campanella dopo le dimissioni di Pippo Callipo. Un soggetto di rientro. Nella precedente esperienza era nei ranghi di Articolo 1.

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    Antonio Billari, uomo di fiducia di Nino De Gaetano

    Ma c’è qualcuno che cambia: il Movimento 5 Stelle. Che nella sua lista della Circoscrizione Sud (a sostegno di Amalia Bruni) candida Annunziato Nastasi. Non nuovo alle competizioni elettorali in provincia di Reggio Calabria. In un’indagine della Dda di Reggio Calabria di qualche anno fa era possibile leggere le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Ambrogio. Un tempo organico alla ‘ndrangheta di Melito Porto Salvo, Ambrogio parlò agli inquirenti dei rapporti tra ‘ndrangheta e politica nell’Area Grecanica. «I Paviglianiti appoggiavano Nastasi», raccontò. Si riferiva all’allora vicesindaco di Melito Porto Salvo. E alla potente famiglia di San Lorenzo. Nastasi, comunque, non venne mai indagato. Ma il “vecchio” Movimento 5 Stelle, forse, non lo avrebbe comunque mai candidato.

    Gli uscenti

    Ovviamente c’è una sfilza di uscenti che intendono mantenere il proprio posto a Palazzo Campanella. A cominciare dal Pd, dove a tutto si pensa tranne che al rinnovamento. Con l’eterno Mimmetto Battaglia, buono per ogni stagione e alla ricerca dell’ennesima candidatura. Si gioca comunque per il terzo posto. Con la speranza di ottenere due scranni in Consiglio Regionale. E subentrare quando il primo degli eletti (quasi certamente il candidato in pectore Nicola Irto) dovesse eventualmente spiccare il volo verso il Parlamento. Ancora, nella lista “Amalia Bruni Presidente”, il consigliere uscente Marcello Anastasi. E l’ex consigliere comunale di Reggio Calabria, Nino Liotta.

    Anche nelle liste a sostegno di de Magistris sono tanti i nomi noti che provano a pescare il jolly. In primis, ovviamente, l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Ma anche il consigliere comunale Saverio Pazzano, già candidato a sindaco di Reggio Calabria. E poi la consigliera comunale di Gioia Tauro, Adriana Vasta. Entrambi candidati in DeMa. O il sindaco di Campo Calabro, Sandro Repaci, la consigliera comunale di Taurianova, Stella Morabito. E, ancora, l’ex amministratore unico di Atam, Francesco Perrelli, e la già candidata a sindaco di Reggio Calabria, Maria Laura Tortorella. Tutti nella lista “De Magistris Presidente”.

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    L’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano

    Nel ritorno per eccellenza, quello di Mario Oliverio, non possono mancare i nomi noti. Come l’imprenditore Francesco D’Agostino, patron di “Stocco & Stocco”. Uscito bene da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria e ora nuovamente pronto a rientrare a Palazzo Campanella. Nella lista ulteriori nomi già presenti (peraltro non con risultati particolarmente lusinghieri) in altre competizioni elettorali. L’avvocatessa Giuliana Barberi, con un passato in Fincalabra proprio negli anni di Oliverio presidente. E poi quel Rosario Vladimir Condarcuri, animatore del giornale La Riviera. E assai vicino all’ex sindaco di Siderno, Pietro Fuda, sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta.

    Logiche assai simili nel centrodestra. Dove nelle liste c’è un sovraffollamento di Piana di Gioia Tauro e Locride, a discapito di Reggio Calabria città. I nomi forti nella Locride sembrano essere quelli del sindaco di Locri, Giovanni Calabrese (candidato in Fratelli d’Italia) e Raffaele Sainato, uscente candidato in Forza Azzurri e reduce dall’archiviazione ottenuta nell’inchiesta “Inter Nos”.

    Resta da capire, per esempio, chi sarà il candidato sostenuto dal plenipotenziario Francesco Cannizzaro. Il deputato forzista potrebbe, abilmente, aver lasciato i piedi in numerose paia di scarpe. Nella Lega, spiccano i nomi del sindaco facente funzioni di Villa San Giovanni, Maria Grazia Richichi. Ma è in Forza Italia la vera bagarre. Oltre ai già citati Arruzzolo e Mattiani, c’è l’uscente Domenico Giannetta a rimpolpare la lotta interna alla Piana di Gioia Tauro.

    Parenti ed eterni ritorni

    Nel sovraffollamento della Piana di Gioia Tauro, da segnalare in Forza Italia la candidatura di Carmela Pedà. Sorella proprio dell’ex sindaco di Gioia Tauro, Peppe Pedà. Anch’egli ex consigliere regionale. Pasquale Imbalzano (già consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Calabria) è figlio di Candeloro Imbalzano. Per anni uomo forte della politica reggina, con incarichi amministrativi al Comune e poi consigliere regionale.

    Curiosa la posizione di Serena Anghelone. Figlia di Paolo Anghelone, già assessore comunale nel centrodestra. Sorella di Saverio Anghelone, che invece è stato assessore comunale col centrosinistra. Ora si candida in prima persona, nuovamente col centrodestra. Sempre nel centrodestra, troviamo la candidatura di Riccardo Ritorto. Già sindaco di Siderno, arrestato e condannato in primo grado per vicinanza alla ‘ndrangheta. Lo ha assolto la Corte d’Appello. E adesso prova a ritornare in pista.

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    La leghista Tilde Minasi

    Disseminati, poi, nelle varie liste del centrodestra, una lunga serie di “Scopellitiani” di ferro. Nostalgici della stagione politica del “Modello Reggio”, finita male con l’arresto dell’ex sindaco reggino ed ex governatore. Nella Lega, la consigliera regionale uscente Tilde Minasi, che con Giuseppe Scopelliti è stata per anni assessore comunale a Reggio Calabria. E poi l’ex consigliera comunale Monica Falcomatà, anche lei per anni nella cerchia di Scopelliti. E poi vicina al consigliere regionale Alessandro Nicolò. Oggi imputato per ‘ndrangheta. Infine, l’ex consigliere comunale di Reggio Calabria, Peppe Sergi. Tra le persone più vicine a Scopelliti. Oggi, però, si candida con Noi con l’Italia, la formazione di Maurizio Lupi, che punta a essere la sorpresa delle Regionali 2021 in Calabria.
    Che, però, assomigliano maledettamente a tutte le altre.