Categoria: Fatti

  • Caso Bertolone, giallo sulle dimissioni e tsunami nella Chiesa

    Caso Bertolone, giallo sulle dimissioni e tsunami nella Chiesa

    Un abbandono fulmineo e una presa d’atto altrettanto rapida. Troppo, per i tempi medi della Chiesa e, soprattutto, delle Curie calabresi.
    E non è un caso che le dimissioni di monsignor Vincenzo Bertolone, fino al 15 settembre arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabra, siano state al centro di un’attenzione particolare.
    Ciò che fa notizia, in questa faccenda, non è la decisione in sé, quasi obbligata per un alto prelato che ha raggiunto i limiti di età (compirà 75 anni il prossimo 17 novembre), ma la tempestività con cui il papa l’ha accolta.

    Non manca, per aumentare i contorni gialli della vicenda, un altro elemento non proprio secondario: lo scioglimento del Movimento Apostolico, l’associazione privata di fedeli costituita a Catanzaro nel lontano ’79 dalla trapanese Maria Marino e coccolata dai pastori catanzaresi fino allo scorso giugno, quando è stata soppressa con un decreto dalla Congregazione per la dottrina della fede.

    Evitare coinvolgimenti

    Chiamiamo le cose coi loro nomi: la Congregazione non è altro che l’erede del Sant’Uffizio. Certo, non commina più pene corporali o roghi. Ma la sua funzione è la stessa: dire se una determinata posizione è “canonica”, quindi sta nella Chiesa, o “eretica”, quindi ne è fuori.
    La vicinanza tra i due eventi, lo scioglimento della Congregazione e la super tempestiva accettazione delle dimissioni dell’arcivescovo, è troppo palese perché non dia nell’occhio.

    Tant’è che ambienti e persone vicine alle alte sfere vaticane hanno messo in relazione i due fatti. In altre parole, monsignor Bertolone si sarebbe dimesso anche per evitare coinvolgimenti pubblici nelle vicende del Movimento Apostolico.
    A sostegno di quest’ipotesi, suggestiva e autorevolmente sostenuta, spunta ora un nome: quello di monsignor Paul Tscherrig, l’attuale Nunzio apostolico in Italia e a San Marino.

    Una cattedra che scotta

    Monsignor Tscherrig, che tra l’altro è arcivescovo, non avrebbe imposto nulla a nessuno, tantomeno a Bertolone. Tuttavia, riferiscono i bene informati, avrebbe esercitato quella che i britannici definiscono una suasion, una persuasione autorevole, sul collega di Catanzaro.
    L’ipotetico retroscena è facilmente intuibile: dopo il “pasticciaccio brutto” del Movimento Apostolico, la cattedra arcivescovile di Catanzaro-Squillace scotta.
    E non per responsabilità del solo monsignor Bertolone, perché il Movimento della signora Marino è stato accettato, a volte forse tollerato e spesso benvoluto dai suoi predecessori, incluso (per fare un nome illustre) il compianto Antonio Cantisani, che come Bertolone era un vescovo animato dalla passione per l’antimafia.

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    Antonio Cantisani, l’ex arcivescovo di Catanzaro scomparso nel luglio di quest’anno

    L’ipotetica accusa che si potrebbe rivolgere al presule calabrese sarebbe di culpa in vigilando. Che, tradotto dal latino dei preti e dei giuristi, significa controllo quantomeno insufficiente.
    È doverosa, a questo punto un’altra domanda: come mai il Movimento Apostolico, accusato di cose piuttosto pesanti, è stato sciolto 42 anni dopo la sua fondazione? Una risposta può stare proprio nelle accuse.

    Il Movimento Apostolico

    I devoti catanzaresi conoscono bene il Movimento Apostolico, almeno per averlo sentito nominare, oppure per averne fatto parte. O, secondo quanto trapela dai bene informati, per averne subito la politica “aggressiva”, cioè le polemiche contro le altre confraternite.
    Secondo quanto riporta il compassato Avvenire, l’organo della Conferenza episcopale italiana, il Movimento sarebbe stato sciolto per un grave vizio: le “rivelazioni mistiche” che avrebbero ispirato la signora Marino non avevano un’origine divina. In altre parole, sarebbero state visioni di “altro tipo”, per tacere d’altro.

    Non solo: sotto le lenti degli “inquisitori” sono finite la gestione patrimoniale e la tendenza a creare una élite di sacerdoti. È la fine ingloriosa di un’associazione “mista”, di laici e religiosi, che era arrivata a contare nelle sue file circa cinquanta prelati. E che aveva creato una rete molto forte, al punto di collegarsi con un’altra associazione: Maria Madre della Redenzione.

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    Una foto di gruppo tratta dal sito web del Movimento Apostolico

    Questo collegamento può non essere casuale. Le associazioni private di fedeli, come il Movimento Apostolico, hanno una caratteristica: sono di solito legate a un territorio specifico e non hanno grandi poteri di gestione, se non per quel che riguarda il patrimonio conferito dai soci. Con Maria Madre della Redenzione le cose cambiano. È un’associazione pubblica di fedeli, simile all’Opus Dei, ai Focolarini e via discorrendo. E ricorda non poco la Compagnia delle Opere, il braccio economico di Comunione e Liberazione.

    Arriva l’Inquisizione

    In questi casi, le associazioni gestiscono un proprio patrimonio con una certa autonomia e possono gestire anche beni affidati dalla Chiesa. Hanno ramificazioni spesso internazionali e, quindi, sfuggono al controllo delle diocesi locali per finire sotto il diretto controllo vaticano.

    Su questo aspetto c’è un dettaglio che dà da pensare: l’ex Sant’Uffizio ha sciolto, con lo stesso decreto, anche l’associazione pubblica. Il che potrebbe far ipotizzare che gli intrecci tra Movimento Apostolico e Maria Madre fossero così profondi da rendere l’associazione pubblica un’interfaccia di quella privata.
    La risposta sta nelle carte vaticane, non facilmente accessibili.

    Certo è che questa decisione è stata sofferta e non facile. Per prepararla ci sono voluti sei mesi di lavoro della commissione che ha gestito la visita apostolica (che, tradotto dal vaticanese, significa ispezione) durata da ottobre 2020 ad aprile 2021.
    In questi mesi, i visitatori apostolici hanno spulciato tutte le carte dell’associazione e tutte quelle della diocesi legate all’associazione. A questo punto un’altra domanda è spontanea: come mai solo ora sono emerse queste cose?

    Lo tsunami

    È semplicemente l’effetto di uno tsunami che arriva dal Vaticano ed è iniziato con un giro di vite inaugurato da papa Benedetto XVI e proseguito, a dispetto della differenza di stile, da papa Francesco.
    Che sia così lo conferma il “Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all’incontro delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità”, pronunciato, forse non a caso, il 16 settembre, poche ore dopo le dimissioni lampo di monsignor Bertolone.

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    Jorge Mario Bergoglio e Joseph Aloisius Ratzinger in preghiera

    Sono sette cartelle, cariche di esortazioni evangeliche, ma anche di sottintesi eleganti (in cui i gesuiti sono abilissimi) nelle quali il pontefice lancia messaggi sfumati ma inequivocabili: le associazioni e i movimenti ecclesiali sono preziosi, tuttavia la loro vita deve essere regolata in maniera stringente, perché gli abusi non sono mancati: presidenti di gruppi eletti praticamente a vita, forme di selezione degne delle peggiori logge coperte, pratiche – religiose, amministrative ed economiche – non esattamente trasparenti o accettabili.

    Pulizie

    Queste nuove regole sono contenute nel decreto “Le associazioni internazionali di fedeli”, promulgato dal papa lo scorso 11 giugno, in concomitanza inequivocabile con lo scioglimento del Movimento Apostolico.
    Ovviamente, visto che Catanzaro non è il centro del mondo, tutto lascia pensare che lo scioglimento del Movimento Apostolico faccia parte di una strategia a più ampio respiro, rivolta a tutte le associazioni del mondo cattolico. Nel mirino del Vaticano, ad esempio, ci sarebbe Araldi del Vangelo, un’associazione privata di fedeli brasiliana, in cui viene venerata come una santa la madre del fondatore.

    E c’è Rinnovamento dello Spirito, associazione pubblica neocatecumenale, in cui sono emersi elementi dubbi: messe “riservate” agli aderenti e aspetti dottrinari discutibili. Una specie di obbedienza massonica nella Chiesa, insomma.
    E non finisce qui, visto che anche i big italiani sarebbero nel mirino…
    Ma, al netto delle divagazioni, resta un fatto: monsignor Bertolone si sarebbe “sacrificato”, magari non proprio spontaneamente ma dietro autorevole “consiglio”, per agevolare questo “rinnovamento”, che ha tutta l’aria di essere una pulizia.

    Il “sacrificio”

    Lo confermano tre fatti, di cui due certi. Il primo consiste nelle parole usate dall’ex arcivescovo, che ha parlato del suo caso come di un «martirio a secco». Forse un modo come un altro per dire che si è accollato anche colpe non sue.
    Il secondo è dato dalle misure draconiane usate dal Vaticano: l’interregno tra Bertolone e il suo successore sarà gestito non dallo stesso Bertolone, come di solito si usa nella Chiesa, né dal suo vicario, bensì dal vescovo di Crotone. In pratica è un commissariamento in piena regola.

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    Monsignor Panzetta, arcivescovo di Crotone

    Il terzo fatto, da verificare, è dato da alcune visite nella Santa Sede che sarebbero state fatte dall’ex arcivescovo in estate, per chiarire gli aspetti oscuri della faccenda e, va da sé, per chiedere consiglio. Che è arrivato, ma non è stato favorevole. A dispetto della militanza antimafia di Bertolone, di cui sono noti l’amicizia con Gratteri e il ruolo di postulatore nella causa di beatificazione di don Pino Puglisi, il prete antimafia vittima delle coppole. E a dispetto della stima goduta da esponenti politici, tra cui spicca il deputato Pd Antonio Viscomi, un altro che ha fatto dell’antimafia una bandiera.

    Ultimi dettagli

    L’eccezionalità della misura catanzarese emerge anche per alcuni dettagli.
    Il primo: di solito le dimissioni, obbligatorie al raggiungimento del settantacinquesimo anno d’età, vengono rifiutate e il pastore dimissionario resta in carica a volte anche per anni, in media fino al raggiungimento dell’ottantesimo anno.

    Secondo dettaglio: stando ad alcune indiscrezioni, monsignor Bertolone sarebbe dovuto tornare nella sua Sicilia, almeno secondo i desiderata di alcuni vertici della Conferenza episcopale italiana. Invece sarebbe riuscito a ottenere la residenza in un monastero alle porte di Roma. Che quest’esito faccia parte della dolorosa negoziazione tenuta dall’ex arcivescovo?

    Terzo dettaglio: la Santa Sede sta preparando una nuova politica, che punta alla nomina di vescovi legati più a Roma che ai territori. In pratica, una centralizzazione sotto mentite spoglie, che mira a impedire la degenerazione dei movimenti locali.
    Una specie di tornado silenzioso ma implacabile. Un bagno di sangue con il minor numero di ferite possibili.
    Ogni rivoluzione ha le sue vittime eccellenti. Che monsignor Bertolone sia una di queste?

    Saverio Paletta – Sergio Pelaia

  • Moderati in camicia nera: Toti e Iorio, la strana coppia

    Moderati in camicia nera: Toti e Iorio, la strana coppia

    È un ingombrante Mr X, piazzato in una lista regionale del centrodestra non troppo forte e in una posizione che non dà nell’occhio: è il cosentino Alfredo Iorio, classe’66, candidato in Coraggio Italia.
    Essere Mr X non vuol dire essere trasparenti, invisibili o, addirittura incorporei. Infatti, Iorio, che ha una passione smodata per la politica estrema, è uno che lascia tracce. E queste tracce diventano vistose in un partito come Coraggio Italia, nato a maggio da un allargamento di “Cambiamo!”, il partitino del governatore ligure Giovanni Toti a cui hanno aderito Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia, più una pattuglia di parlamentari azzurri, centristi ed ex pentastellati.
    Non è un caso che Coraggio Italia, ora come ora, sostenga Draghi, al pari della Lega e del Pd, per capirci. E allora, che ci fa un fascista, orgoglioso di essere tale, in questo partito? Non era meglio Fdi?

    L’enigma Iorio

    Diciamo pure che è stata sciatteria, attribuibile alla formazione recente del partito: il sito web di Coraggio Italia è piuttosto avaro di informazioni sui suoi candidati calabresi.
    Su Alfredo Iorio appare solo una banale didascalia, da cui si apprende che ha cinquantacinque anni, fa l’imprenditore ed è nato a Cosenza. Più, ovviamente, una foto.
    Null’altro. Alla faccia non solo della trasparenza ma anche della propaganda.
    Ma per fortuna le foto non mentono e il web ha una memoria storica difficile da aggirare.

    Cosentino de’ Roma

    Iorio, che si occupa di immobili, ha un solido legame con la Calabria: va al mare tutti gli anni a Torremezzo (una delle spiagge cult dei cosentini), dove ha una casa, e frequenta Cosenza piuttosto spesso.
    Ma vive stabilmente a Roma, dove lavora e coltiva la sua passione politica estrema, che lo ha elevato all’onore delle cronache nazionali perché questa passione l’ha sviluppata nella Capitale, con due candidature a sindaco contornate da episodi rumorosi, più legati a certo folclore politico a cavallo tra il vecchio neofascismo e la destra radicale che ad altro.

    Candidature e saluti romani

    Nel 2013, cioè l’immediato post Alemanno, Iorio si candida alle amministrative con la destra che più destra non si può: Forza Nuova.
    Iorio è anche il leader storico di Trifoglio, il gruppo politico di destra (sempre estrema) che rivendica l’eredità della storica sezione del Msi a via Ottaviano, nella parte settentrionale della Capitale.

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    Iorio non ha mai fatto mistero del suo credo politico, almeno fino alle Regionali 2021

    Finita l’effimera amministrazione di Ignazio Marino, il Nostro ci riprova, non prima di aver sistemato un po’ le cose di casa. Cioè, di essere venuto a capo di una scissione fastidiosa, in seguito alla quale il Trifoglio si è diviso in due. Da una parte il Fronte della Gioventù, formato dai militanti più giovani che hanno rispolverato per l’occasione la vecchia sigla del movimento giovanile missino, dall’altra quelli che hanno seguito Iorio, ribattezzatisi per l’occasione Patria.
    Stavolta è il momento del salto: il calabroromano si candida come sindaco a capo di una lista civica chiamata, appunto, Patria. E prende lo 0,22%. Nulla di fronte all’ecatombe che devasta tutti e porta al Campidoglio Virginia Raggi.

    Tafferugli a Roma Nord

    Prima della sortita amministrativa, Iorio si è segnalato alle cronache per un altro episodio: la protesta del 2015 contro il centro d’accoglienza in via Casale di San Nicola, all’estrema periferia nord di Roma, dove la prefettura aveva deciso di accogliere i migranti.
    Iorio capeggiò una manifestazione di cittadini italiani, che presidiarono questo centro in tenda. Le proteste, così raccontano le cronache, degenerarono e, il 17 luglio di quell’anno, ne seguirono dei tafferugli. Per fortuna senza conseguenze serie.

    Prima gli italiani

    Mettere i cittadini italiani (meglio ancora se disagiati) contro i migranti è un escamotage efficace delle destre radicali, che si è trasformato in arma propagandistica vincente nel 2018.
    «Prima gli italiani» lo dicevano i “camerati de’ Roma”. «Prima gli italiani», lo ha ripetuto con grande successo Matteo Salvini, che non a caso ha appoggiato le estreme destre e si è appoggiato a loro.

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    A Roma Iorio non sembrava avere grande stima per Salvini, salvo poi supportare i leghisti in Calabria

    E non è un caso che Iorio abbia deciso di fiancheggiare la Lega, che aveva quasi completato la metamorfosi in destra radicale nel trionfo del 2018 e si preparava a riproporre la formula alle Europee del 2019.
    In quest’occasione, il Nostro appoggia Vincenzo Sofo, ex enfant prodige della destra milanese (è stato dirigente del movimento giovanile de La Destra di Storace), che fa il pieno di voti nel collegio meridionale, anche grazie all’aiuto di Iorio, diventato il suo uomo ombra in Calabria.
    L’anno successivo il Nostro continua l’esperienza vincente col partito di Salvini in Calabria e fiancheggia Pietro Molinaro, che fa il pieno di voti alle Regionali. Poi arriva il mal di pancia.

    2021, fuga da Salvini

    Il mal di pancia di Iorio è stato fortissimo. Prima si esprime in maniera polemica nei confronti di Christian Invernizzi, all’epoca commissario calabrese della Lega, “colpevole” a suo dire di eccessiva debolezza politica per essersi accontentato di un solo assessore, cioè il vicepresidente Nino Spirlì. Poi, dopo aver fondato il movimento Calabria prima di tutto, annuncia uno sciopero della fame.
    Tempo pochi mesi e la scomparsa prematura di Jole Santelli mette in discussione tutto. Nel frattempo, anche la Lega è cambiata e Vincenzo Sofo, che non gradisce il nuovo corso moderato di Salvini, aderisce a Fratelli d’Italia.

    È un tana libera tutti, che crea un esodo massiccio (circa 300 militanti) dal partito del Capitano, che prendono direzioni diverse, che portano quasi tutte a destra.
    La scelta di Sofo è simile a quella del consigliere comunale cosentino Vincenzo Granata, che molla Salvini e si butta tra le braccia di Toti. Ma, a differenza di Iorio, Granata non ha un profilo politico di destra radicale e quindi non dà troppo nell’occhio.

    La scelta di Iorio desta qualche sorpresa, tanto più che la sua ultima uscita pubblica prima dell’attuale campagna elettorale è avvenuta a maggio, in occasione di un dibattito organizzato a Spezzano Albanese da “Calabria protagonista”, il nuovo movimento del Nostro, a cui, tra gli altri, ha partecipato lo stesso Sofo.

    Moderato Iorio, presente!

    Sono solo piccole curiosità che la dicono lunga: è quasi impossibile trovare i dettagli anagrafici di Iorio. Giusto uno screenshot delle Amministrative romane del 2016 informa che il “camerata” è nato a Cosenza il 9 marzo 1966.
    Ma questo dato non appare su nessun’altra testata, neppure Repubblica e il Corriere della Sera, i più prodighi di informazioni.

    Le date non mentono e le foto neppure: essere nati nel ’66 significa avere oggi 55 anni e la foto del prode Alfredo è identica a quelle apparse in occasione delle contese romane.
    Perché tanti misteri? Solo sciatterie? Oppure c’è il desiderio di rifarsi una verginità, politica e territoriale, per correre non più in camicia nera, ma con la coppola da calabrese amante della Calabria?

    Un fascista è per sempre, tranne se si vota

    Il rifugio nelle braccia di Toti è comprensibile per tre ragioni.
    La prima è elettoralistica, perché le liste di Fdi sono piene di candidati forti e sono costruite attorno agli uscenti.
    La seconda è di strategia politica: serve a recuperare al centrodestra i voti dei “duri” che hanno mollato la Lega e non si sentono di fiancheggiare la Meloni.
    La terza è di opportunità, da cui hanno da guadagnare almeno in tre: Occhiuto che mantiene l’elettorato, la Lega che si svuota dei “fasci” e si accredita come “moderata” e lo stesso Iorio, che può affrontare la campagna elettorale senza doversi misurare coi Moloch.
    Insomma, un fascista è per sempre e Roma o Cosenza, destra radicale o nuovi centristi non importa: quando si va al voto, tutto fa brodo.

  • ‘Ndrangheta e narcotraffico: il codice numerico criptato per comunicare

    ‘Ndrangheta e narcotraffico: il codice numerico criptato per comunicare

    Comunicavano solo in forma scritta e con un sofisticato codice numerico. E così riuscivano a scambiarsi le informazioni necessarie per inondare poi l’Europa di droga. Cocaina, soprattutto. Ma non solo. Per questo l’inchiesta della Dda di Reggio Calabria si chiama “Crypto”. Perché non è stato affatto semplice per i militari della Guardia di Finanza decifrare le stringhe numeriche che, di volta in volta, i membri dell’organizzazione transnazionale si scambiavano per concordare carichi e cifre del business illecito.

    Come nasce l’inchiesta

    Sono 57 gli arrestati tra persone finite in carcere e altre agli arresti domiciliari. Accusati di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’operazione è stata eseguita tra Calabria, Sicilia, Piemonte, Puglia, Campania, Lombardia e Valle d’Aosta. Contestualmente, i finanzieri hanno dato esecuzione al sequestro preventivo d’urgenza di beni, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Per un valore complessivo stimato in 3.767.400,00 euro.

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    Uno degli immobili sequestrati nell’operazione Crypto

    Un’inchiesta che prende le mosse da un altro blitz di qualche anno fa: l’operazione “Gerry” consentì nel 2017 di sgominare una complessa consorteria criminale, composta da soggetti di vertice delle ‘ndrine Molé-Piromalli e Pesce-Bellocco. Operanti, rispettivamente, a Gioia Tauro e Rosarno.

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    Il lussuoso bagno di una delle case finite tra i beni sotto sequestro

    In particolare, nell’ambito della operazione “Jerry” si identificavano gli usuari di utenze ritenute di fondamentale importanza per l’accertamento di un nuovo e diverso fenomeno criminale di rilevante spessore in tema di traffico organizzato di sostanze stupefacenti. Dall’analisi di queste utenze “coperte”, è nata l’inchiesta “Crypto”.

    L’organizzazione transnazionale

    Sono in tutto 93 i soggetti indagati appartenenti alle famiglie Pesce e Bellocco. Riconducibili alle famiglie Cacciola-Certo-Pronestì, che avevano messo in atto una ramificata organizzazione criminale transazionale volta al traffico di stupefacenti. Caratterizzata da marcati profili operativi internazionali, capace di pianificare ingenti importazioni di cocaina dal Nord Europa (Olanda, Germania, Belgio) nonché dalla Spagna e di “piazzarla” in buona parte delle regioni italiane: Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia ed Emilia Romagna. Ma anche all’estero, come Malta.

    Il modus operandi dell’associazione consisteva nel reperire lo stupefacente dai paesi fornitori. Da lì veniva trasportato a Rosarno, via terra, occultato in autovetture appositamente predisposte e con improbabili “doppifondi”. E successivamente, grazie alla vasta ramificazione dell’organizzazione criminale, venivano rifornite molteplici “piazze di spaccio” italiane.

    L’uomo della Dominica

    Il gruppo criminale operava a stretto contatto con un cittadino della Repubblica Dominicana, Humberto Alexander Alcantara. Questi tramite la sua attività d’intermediazione, assicurava contatti diretti con fornitori sudamericani stabilitisi in varie parti d’Europa. In Germania, poi, operava anche Domenico Tedesco, residente ad Hattersheim (Germania). Costui forniva appoggio logistico quando i referenti dell’organizzazione si recavano in territorio tedesco. Altro aspetto fondamentale dell’indagine è nei rapporti instauratisi con altre consorterie criminali, in special modo in Calabria e in Sicilia. Tra i gruppi criminali importante era quello del Torinese, che faceva capo a Vincenzo Raso, originario di Rosarno, ma stabilitosi lì. Particolarmente intensi, poi, i rapporti con la città di Catania, grazie a Francesco Cambria, esponente di spicco del “Clan Cappello”. Ma la rete comprendeva anche le città di Siracusa, Benevento e Milano.

    È indicativa (e inedita), la creazione di una rotta per far giungere la cocaina anche in territorio maltese. Più nello specifico, nel febbraio 2018, Ivan Meo (soggetto vicino al clan Cappello) e due soggetti non identificati, che facevano da “staffetta”, si recavano, via mare, da Pozzallo a Malta. Lì consegnavano sostanze stupefacenti e, come provento della cessione, Meo riportava in Italia circa 50mila euro, che venivano sequestrati. Le indagini hanno dimostrato, poi, che tra i rosarnesi e le altre associazioni criminali si era creata una vera e propria sinergia. Sebbene nella quasi totalità dei casi le ingenti partite di narcotico partissero dalla Calabria per approvvigionare i vari acquirenti. Quest’ultimi, in alcuni casi, “ricambiavano il favore” provvedendo a rifornire di stupefacente gli stessi rosarnesi. O rifornendo un altro gruppo mediante l’intermediazione degli stessi.

    Le comunicazioni criptate

    I soggetti, deputati alla pianificazione delle importazioni e al successivo smistamento della droga sul territorio nazionale, operavano in un’ottica prettamente aziendale, che poteva contare sull’utilizzo di SIM tedesche. Ma anche sulla possibilità di recuperare e modificare ad hoc numerose autovetture. Dotate di complicatissimi doppifondi, così da renderle praticamente “impermeabili” ai normali controlli su strada da parte delle Forze di Polizia.

    Le indagini hanno cristallizzato l’uso della consorteria di numerose SIM tedesche che, da Rosarno, comunicavano in maniera “citofonica” con altri cellulari con numerazione tedesca sparsi sul territorio nazionale. Per “citofonica” si intende una comunicazione unicamente bidirezionale. Molto difficile, quindi, da essere individuata. Con la decriptazione di tale messaggistica, è stato possibile trarre significative indicazioni sul modus operandi.

    Queste SIM senza intestatari rendevano ancor più difficile l’identificazione degli usuari delle diverse utenze. Inoltre, gli indagati comunicavano esclusivamente tramite SMS, evitando che potesse palesarsi la loro voce.Tutto per evitare un eventuale riconoscimento. E spesso utilizzando un molteplice livello di “protezione” costituito da messaggi contenenti codici numerici predefiniti. A ogni lettera dell’alfabeto corrispondeva un numero, assegnato apparentemente senza logica alcuna. Molto complicato, quindi, individuare la “parola 0”, da cui poi tentare di decifrare tutto il resto.

    Un fiume di droga

    L’inchiesta della Guardia di Finanza ha permesso di arrestare 10 corrieri della droga e di sequestrare circa 80 kg di cocaina, che una volta immessa in commercio avrebbe fruttato all’organizzazione più di 4 milioni di euro. Sequestrati poi svariati chili tra marijuana ed hashish. Inoltre, dall’attività d’indagine è emerso che, tra l’aprile e il novembre del 2018, l’organizzazione criminale ha movimentato, oltre a quelli sequestrati, altri 140 kg di cocaina. Insomma, quella individuata è solo una minima parte dei flussi controllati dalla ‘ndrangheta.

    Il pizzino

    Nel corso della conferenza stampa di stamattina il procuratore capo Giovanni Bombardieri ha spiegato i problemi incontrati nel corso dell’indagine. «L’interpretazione di questo codice e’ stata davvero molto difficoltosa. Si trattava di messaggi che recavano solamente dei numeri senza nessuna indicazione o punteggiatura. Grazie all’abilità degli investigatori è stato possibile dare un significato a questi numeri, che peraltro oggi hanno trovato riscontro in un pizzino, sequestrato, riportante il codice attraverso cui i numeri vengono abbinati alle lettere».

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    I procuratori Paci, Bombardieri e Lombardo insieme agli ufficiali della Guardia di Finanza in conferenza stampa

    A fornire ulteriori dettagli i due aggiunti Giuseppe Lombardo e Gaetano Paci. «L’operazione “Jerry” aveva già ricostruito un quadro del narcotraffico internazionale. In quella prima esecuzione erano emerse due utenze criptate che erano state lasciate da parte per poi tornare nell’odierna indagine», le parole di Lombardo. «Il fatto che sia un’indagine per narcotraffico non deve sminuire il senso perché si tratta di indagini che richiedono un approccio e un contrasto di livello molto elevato anche a fronte dei mezzi di natura tecnologica utilizzati», il commento di Paci.

    I soggetti per cui è stata disposta la custodia cautelare sono:

    1) Alcantara Humberto Alexander, 1976

    2) Battaglia Giuseppe, 1972

    3) Benzi Gianfranco, 1945

    4) Cacciola Giuseppe, 1989

    5) Cambria Francesco, 1984

    6) Cavarra Francesco, 1960

    7) Certo Domenico, 1994

    8) Certo Nicola, 1987

    9) Coco Orazio, 1978

    10) Fedele Rocco Antonino, 1972

    11) Fedele Salvatore, 1974

    12) Gullace Antonio, 1981

    13) Liistro Carmelo, 1990

    14) Marigliano Alessandro, 1981

    15) Martello Alessio, 1990

    16) Mazzei Andrea, 1984

    17) Mero Matteo, 1984

    18) Modeo Walter, 1975

    19) Paladino Marco, 1985

    20) Paletta Antonio, 1984

    21) Paletta Gennaro, 1990

    22) Pati Giampiero, 1980

    23) Pati William, 1970

    24) Penza Antonio Marco, 1983

    25) Pitarà Santo, 1971

    26) Pizzo Giulio, 1990

    27) Pizzo Maurizio, 1964

    28) Porcaro Roberto, 1984

    29) Pronestì Bruno, 1979

    30) Raso Alessandro, 1972

    31) Raso Vincenzo, 1981

    32) Scalise Alessandro, 1992

    33) Stelitano Antonio, 1982

    34) Stelitano Lorenzo, 1986

    35) Suriano Francesco, 1979

    36) Tedesco Domenico, 1959

    37) Trombetta Giuseppe, 1993

    38) Varone Francesco, 1987

    39) Viola Gianfranco, 1971

    40) Vitale Fabio, 1974

    41) Vitale Franco, 1977

    42) Vitale Giuseppe, 1969

    43) Zagame Rosario, 1972

    Agli arresti domiciliari, invece,  si trovano:

    44) Cacciola Rocco, 1995

    45) Chindamo Michele, 1991

    46) Cirelli Paolo, 1946

    47) Giovinazzo Pasquale,1964

    48) Guerra Massimiliano, 1969

    49) La Pietra Giorgio, 1978

    50) Mazzanti Massimiliano, 1972

    51) Meo Ivan, 1988

    52) Montagono Stefano,1988

    53) Nasso Marialuisa, 1985

    54) Pescetto Giuseppe, 1973

    55) Pronestì Simone, 1992

    56) Talarico Alessandro, 1965
    57) Villani Alessandro, 1978
  • Elezioni Cosenza, i conti in tasca a liste e candidati a sindaco

    Elezioni Cosenza, i conti in tasca a liste e candidati a sindaco

    Franco Pichierri un’elezione l’ha già vinta. Quella di chi prevede di spendere più soldi per la corsa a Palazzo dei Bruzi. Il candidato a sindaco, che vuole costruire il nuovo ospedale di Cosenza a Rende, ha presentato il bilancio preventivo più ricco. Complessivamente 75mila euro, divisi tra Noi con l’italia (29mila euro), Libertas Democrazia Cristiana (29mila euro) e Sindaco Pichierri (17mila euro). Potere della vecchia Balena Bianca. Guai a darla per morta.

    Franco Pichierri, candidato a sindaco a Cosenza
    La figura dello spilorcio

    Francesco Caruso fa un po’ la figura dello spilorcio rispetto al buon Pichierri e al centrosinistra di Franz Caruso. Otto liste del centrodestra aprono il portafogli e arrivano al massimo a 19500 euro. Da segnalare la presentazione del bilancio (2000 euro) scritto a penna da parte di Bella Cosenza, compagine ispirata da Marco Ambrogio e da Rosaria Succurro. La Lega, di tasca propria, ha tirato fuori 5000 euro. Completano il parterre: Coraggio Cosenza (2000 euro), Cosenza che vuoi (1500 euro), Forza Cosenza (2000 euro), Fratelli d’Italia (3000 euro), Occhiuto per Caruso (2000 euro), Udc (2500 euro).

    I socialisti mica vogliono passare per comunisti

    Giammai si dica che i socialisti giochino al risparmio. E così Franz Caruso, garofano che rivendica sempre la sua identità, racimola complessivamente oltre 34mila euro. Il Partito Democratico, nella speciale classifica dei paperoni elettorali, si piazza al terzo posto (17.700 euro) dopo Dc e Noi con ‘Italia. E poi si lamentano di essere diventati il partito delle Ztl.
    La lista Franz Caruso sindaco ha dichiarato 11.470 euro con 4000 euro in giornali così come il Pd. La cenerentola del gruppo è il PSI di Gigino Incarnato con 5.485 euro. Dove è finito l’orgoglio socialista di Franz e Gigino? Essere addirittura superati dagli ex comunisti. Suvvia.

    La Orrico almeno paga di tasca propria

    Anna Laura Orrico, parlamentare del Movimento 5 stelle, non è riuscita a comporre una lista di 32 persone, fermandosi a 21. Le va riconosciuto di essere la sola ad aver pagato di tasca propria le spese dei grillini. Solo 1500 euro, poca cosa. Però meglio di quelli che non ti offrono nemmeno un caffè al bar. O peggio, cambiano strada.

    La Rende non fa follie

    La lista coalizione che fa capo al candidato a sindaco, Bianca Rende, arriva complessivamente a 6600 euro. La lista di Tansi (detto anche Tanzi come da lui stesso indicato) raggiunge quota 3000 euro e quella dei grillini 1500. Tutto sommato non moltissimo per una che vuole arrivare al ballottaggio. Ma i soldi non sono tutto nella vita.

    Su la testa con Civitelli

    Uno che si chiama Civitelli non poteva che militare tra le formazioni civiche. Per lui molte ambizioni e una lista che inneggia a ribellarsi: Su la testa. O forse sta solo citando il film di Sergio Leone sulla rivoluzione messicana. Chi può dirlo?

    Civitelli si muove sempre con macchine lussuose e potenti. Non a caso nel suo programma compare la riapertura al traffico di viale Mancini e la soppressione delle piste ciclabili. Tutti questi proclami, per poi scrivere nero su bianco di spendere 2200 moltiplicato per cinque liste. Ha destinato 700 euro in manifestazioni. Civis Civitelli sum.

    L’assessore manutentore

    Per Francesco De Cicco assessore “manutentore” della giunta Occhiuto il bilancio preventivo delle spese elettorali registra 2050 euro per ogni lista. E sono sei, quindi 12300 euro totali. Niente di trascendentale, ma nemmeno col braccino corto. Resta da capire se e quanto costeranno quelle grafiche che De Cicco ha regalato al popolo dei social fino a poco tempo fa. Una su tutte: Popilian Texas ranger, dove emulava Chuck Norris.

    I rubli dei compagni

    La voce “stampa e propaganda” (4000 euro previste) di Valerio Formisani ci proietta prima del 1989. Il linguaggio del medico marxista ricorda quello prima della caduta del Muro di Berlino. Magari è un bene, in tempi di urlatori, qualunquisti, soliti trasformismi, solite minestre. Va bene l’eskimo e la Pravda, però il lider maximo di Cosenza in Comune per una sola lista spenderà 8000 euro. I compagni hanno sempre rubli da tirare fuori all’occorrenza.

    Gallo non acquisterà mascherine templari

    Il Movimento Noi promette di spendere al massimo 2480 euro. L’ispiratore e candidato a sindaco Fabio Gallo, oltre alla incrollabile fede in Dio, ha quella nelle nuove tecnologie. Nessun soldo da spendere in manifesti ma una quota andrà alle sponsorizzazioni dei post sui social. Nemmeno un euro per l’acquisto di ulteriori mascherine con la croce templare. Un vero must per gli adepti del Movimento Noi.

  • Porto di Bagnara, nove milioni e nessuna bonifica

    Porto di Bagnara, nove milioni e nessuna bonifica

    Da un porto che non c’è (e che forse non sarà mai realizzato) a uno che c’è (e serve tantissimo) ma è pieno di problemi.
    Ci si riferisce al progetto di Paola, vagheggiato dagli anni ’90 e di cui sopravvivono solo le tracce iniziali sul lungomare, e alla struttura di Bagnara Calabra, realizzata a fine anni ’80 e ora in mezzo a due guai, uno più grosso dell’altro: i danni ai moli provocati dal mare e il disastro ambientale, provocato dall’uomo, su cui indaga tuttora la Procura di Reggio.

    Gianluca Gallo, assessore all’Agricoltura della Regione Calabria

    Questi due porti, quello che non c’è e quello che è pieno di guai, hanno in comune una cosa: l’attenzione propagandistica della giunta regionale uscente che ha annunciato, lo scorso Ferragosto, due maxifinanziamenti, 20 milioni per Paola e 9 per Bagnara. In quest’ultimo caso, si sono spesi in prima persona l’assessore al Turismo Fausto Orsomarso e quello all’Agricoltura e alla pesca Gianluca Gallo.

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    Fausto Orsomarso, assessore regionale al Turismo (foto Alfonso Bombini)

    Tanto impegno è doveroso, perché la pesca è una delle voci principali dell’economia bagnarese e poi perché il porto è utilizzato, d’estate, anche dalle imbarcazioni da diporto.
    Ma siamo sicuri che questi 9 milioni, stanziati dall’amministrazione Spirlì su iniziativa dell’assessora alle Infrastrutture Domenica Catalfamo, potranno essere spesi?

    Un’estate calda

    Molti annunci, tanti applausi (rigorosamente bipartisan) e altrettante polemiche, rivolte alle istituzioni per accelerarne le pratiche. L’estate bagnarese è stata calda non solo per la latitudine. Il dibattito sul porto – danneggiato gravemente dai marosi nell’inverno del 2019 e poi sequestrato dalla Procura di Reggio lo scorso febbraio per un presunto disastro ambientale – è iniziato a giugno. Con le esternazioni di Nino Spirlì che è intervenuto a un incontro istituzionale assieme al sottosegretario alle Infrastrutture Alessandro Morelli. I due, in questa occasione, hanno ribadito il loro interessamento per sbloccare il sequestro e si sono impegnati a fare le doverose pressioni istituzionali.

    Il leghista si rivolge alla magistratura

    Siccome due leghisti non bastano, buon ultimo è giunto Giacomo Saccomanno, il commissario regionale della Lega, che si è rivolto direttamente alla magistratura il 6 giugno per chiedere il dissequestro. A dire il vero, una risposta è arrivata: l’autorizzazione, concessa dalla sostituta procuratrice Giulia Maria Scavello, all’uso delle banchine sigillate durante l’inverno.
    Ma è una risposta parziale, riservata ai soli pescatori, che possono ormeggiare le barche. Ma non possono farci la manutenzione e, soprattutto, devono smaltire i rifiuti del pescato attraverso una ditta specializzata. Poco, ma meglio che niente.

    La presenza del disastro ambientale non ha fermato, tuttavia, la propaganda. Infatti l’ultimo atto politico dell’agosto bagnarese è stato una conferenza stampa tenuta il 20 agosto da Catalfamo e da suo cugino, il deputato azzurro Francesco Cannizzaro. Entrambi hanno ribadito il finanziamento milionario.
    Già: ma i quattrini sono stanziati per la messa in sicurezza del porto e per il rifacimento della strada di collegamento. Cioè per rimediare i danni provocati dalla natura. Ma per il disastro ambientale chi paga? Soprattutto: chi pulisce?

    Il generale inverno

    La botta finale l’hanno data i marosi di fine 2019, che hanno devastato in due ondate (il 14 e il 21 dicembre) il molo di sopraflutto – cioè il braccio esterno del porto, diventato da allora in parte inagibile – e distrutto le scogliere di protezione.
    Da quel momento in avanti, chi usa quel molo lo fa a suo rischio e pericolo. Anzi, potrebbe non usarlo più: secondo gli addetti ai lavori i danni sono tali che potrebbe bastare un inverno simile a quello pre Covid per finire di distruggere tutto.

    Non è un caso, quindi, che il porto di Bagnara sia subito entrato nell’agenda della Regione, sin dai tempi di Jole Santelli, la prima a promettere l’impegno delle istituzioni poco prima delle elezioni 2020 assieme a Cannizzaro, su invito del vicesindaco Mario Romeo, eletto nella lista civica guidata dal dem Gregorio Frosina, ma azzurro anche lui.

    La promessa in presenza di Tajani

    Subito dopo, la promessa è stata ribadita dai tre in presenza dell’eurodeputato Antonio Tajani. E poi è arrivato il turno della Lega, con l’interessamento di Salvini, giunto nella cittadina tirrenica, proprio a ridosso della pandemia, assieme alla fedelissima Tilde Minasi.

    L’interesse propagandistico è innegabile, ma senz’altro il porto è vitale: coi suoi circa 150 posti barca è l’estensione nel mare del quartiere Marinella, il cuore pulsante di un’imponente flotta peschereccia di oltre 100 natanti.
    Non solo: grazie ai moli mobili, l’estate vi ormeggiano anche le barche da diporto dei privati e quelle per il trasporto dei turisti che visitano la Costa Viola.

    Gli sporcaccioni anonimi

    Per una cittadina non grande, poco meno di 10mila abitanti, una struttura così è oro.
    Peccato solo che molti utenti non se ne siano resi conto. E, soprattutto, peccato solo che chi doveva vigilare in maniera continuativa non l’abbia fatto. Siamo in Calabria, lo sfasciume pendulo sul mare, come diceva Giustino Fortunato.

    Ma in Calabria l’uomo riesce a far peggio della natura. Se ne sono accorti (eccome!) i carabinieri, che hanno messo i sigilli al porto il 14 febbraio, dopo aver trovato di tutto e di più sulle banchine e, soprattutto, nei fondali: pezzi di scafi e relitti interi, vecchi motori abbandonati, fusti di olio per motori o di carburante, pezzi di reti e di lenze. Di tutto e di più.

    La terza volta che il porto subisce un sequestro

    Lo spettacolo dei fondali, in particolare, è tutt’altro che rassicurante: grazie all’interramento, fisiologico in tutti i porti, si sono ridotti dagli originari quindici metri di profondità agli attuali poco più che sei e c’è da scommettere che la sabbia celi altri “tesori” simili a quelli trovati dagli inquirenti.

    È la terza volta che il porto subisce un sequestro. La prima è stata nel 2013, la seconda nel 2018, a causa di rifiuti pericolosi trovati su una banchina interna.
    Sono le tappe di un’esistenza intensa e tormentata, da cui si ricavano due dati.
    Il primo: il porto è stato utilizzato moltissimo (e vivaddio); il secondo: questo porto è stato molto trascurato o, comunque, non tutelato a dovere.

    Una storia tormentata

    Ciò che serve, spesso, fa anche gola. E tanto. Il porto di Bagnara non sfugge a questa regola: non ha fatto in tempo a sorgere, a fine anni ’80, ché subito è entrato nel mirino dei “picciotti” catanesi legati a Nitto Santapaola.
    Ma questa è storia vecchia, consegnata a cronache, nere e giudiziarie, altrettanto vecchie.
    La parte più travagliata delle vicende portuali inizia nel 2011, con la gestione della Compagnia portuale Tommaso Gullì, di Reggio Calabria.
    La società reggina resta fino al 2018, quando l’attuale amministrazione comunale rescinde il contratto per una serie di inadempienze non proprio leggere: tra queste, l’omessa pulizia e l’insufficienza dei sistemi di sorveglianza (solo sei telecamere al posto delle undici previste).

    Il Comune assume la gestione del porto

    Subentra una società, Marina di Porto Rosa di Milazzo, che resiste pochi mesi, perché succedono due fatti inquietanti: un incendio colpisce la residenza estiva dell’amministratore della società siciliana e un ordigno danneggia una barca, sempre della società. Segnali chiarissimi, che costringono il Comune ad assumere la gestione diretta. Un compito non facile, visto che il municipio è oberato dal dissesto finanziario, terminato solo di recente con l’approvazione del bilancio 2020.

    Nel 2019 la gestione passa alla cooperativa bagnarese Onda Marina, che resiste tuttora, a dispetto del duplice disastro. Tanto impegno, evidentemente, piace non solo alla giunta di Frosina ma anche alle minoranze consiliari, visto che il Comune ha proposto un appalto di cinque anni e vuole estenderlo a dieci.

    Il disastro ambientale ferma la ricostruzione

    L’idea di finanziare il porto, come si è visto, non è una trovata dei cosentini Orsomarso e Gallo, che semmai l’hanno capitalizzata a fini propagandistici. È un tormentone iniziato con l’insediamento di Jole Santelli, che si è sviluppato in crescendo: i milioni promessi sono stati dapprima cinque, poi sette e, a partire dall’estate appena trascorsa, sono diventati nove.

    Tutto questo, senza tener conto del disastro ambientale, visibile a tutti i cittadini prima ancora che agli inquirenti, i quali hanno fatto il classico atto dovuto.
    Il decreto di sequestro, confermato il 21 febbraio dalla gip Vincenza Bellini, è tuttora vigente perché funzionale all’inchiesta, ancora in corso, per disastro ambientale e illecite attività cantieristiche.

    Il sindaco Frosina è intervenuto a maggio con un’ordinanza di bonifica, proprio mentre gli inquirenti continuavano gli accertamenti. La pulizia delle banchine e dei fondali dovrebbe essere a carico delle società che hanno avuto a che fare col porto, cioè la Gullì, Marina di Porto Rosa e Onda Marina. Inoltre, le cooperative di pescatori e le associazioni di sub hanno offerto il loro aiuto.

    I dubbi restano

    Ma i dubbi restano e sono fortissimi: è possibile bonificare senza un piano di caratterizzazione, cioè senza conoscere l’entità reale del disastro e, quindi, poter quantificare i costi degli interventi?
    Queste risposte le potranno dare solo gli inquirenti, non appena concluderanno le indagini, al momento a carico di quattordici soggetti.

    Ancora: è possibile procedere alla ristrutturazione del porto senza aver fatto prima la bonifica necessaria? Evidentemente no, almeno a rigor di logica.
    I due disastri, quello provocato dal mare e quello causato dall’uomo, si incrociano e si ostacolano a vicenda, perché dalla soluzione dell’uno dipende la possibilità di affrontare l’altro.

    È il cane che si morde la coda. E rischia di sbranare o rendere inutilizzabili i 9 milioni, che fanno così gola da aver messo d’accordo maggioranza e opposizioni. I fatti raccontano questo. E il finanziamento? Rischia di trasformarsi in un’altra supercazzola propagandistica, che la fine della bella stagione rischia di spazzare via.

  • Dema fa il rivoluzionario e poi flirta con la “Buona destra”

    Dema fa il rivoluzionario e poi flirta con la “Buona destra”

    «Ci sono due modi di non essere né di destra né di sinistra: un modo di destra e uno di sinistra». La frase è dello scrittore francese Serge Quadruppani ed è citata in un datato ma interessante articolo scritto da Wu Ming 1 sul blog del collettivo di scrittura diventato un punto di riferimento per la sinistra radicale italiana. Per indagare a quale dei due modi appartenga il non essere né di destra né di sinistra dell’ex pm Luigi de Magistris non vale la pena scomodare Norberto Bobbio e nemmeno Giorgio Gaber.

    Può però essere interessante mettere insieme un po’ di fatti e dichiarazioni. E misurare, ognuno col proprio metro di giudizio, quanto sia ascrivibile alla categoria della paraculata politica ammiccare un po’ di qua e un po’ di là. O se, invece, sia giusto superare le categorie tradizionali per parlare alle persone al di là delle appartenenze.

    Liste rosse

    Il dato di fatto è uno: le liste che sostengono la corsa di de Magistris alla Regione sono piene di gente di sinistra. Ma di sinistra sinistra, che rivendica orgogliosamente non solo l’appartenenza ma anche una militanza vera che – va dato atto a molti di loro – sui territori si fa, proprio fisicamente, sempre più difficile. Non solo la lista di Mimì Lucano – così lo chiama, e non Mimmo, chi lo conosce da prima che diventasse una star e che venisse travolto dall’inchiesta della Procura di Locri – ne è piena. Lo è anche il movimento “Calabria resistente e solidale” che raccoglie molta Rifondazione comunista e buona parte di Potere al popolo. E pure quelle direttamente riferibili all’aspirante presidente sono zeppe di chi non ha timore a dichiararsi di sinistra.

    Uno di questi, per esempio, è il reggino Saverio Pazzano, apprezzato esponente di quella società civile impegnata in politica che qualche tempo fa, in riferimento alle elezioni comunali della sua città, scriveva: «Se fossi di destra – e non lo sono –, vorrei capire che significa dire “né di destra né di sinistra”. Perché, se è giusto e comprensibile che lo pensi un cittadino, sarei preoccupato se lo dicesse un amministratore. Un conto è il dialogo con tutte e tutti, un conto è non avere un’identità politica e stare esposto al vento degli accordi e delle convenienze».

    Una nuova declinazione

    Lo stesso de Magistris, intervistato dall’agenzia Dire il 23 gennaio 2018, espresse – erano prossime le elezioni politiche – pubblico apprezzamento per la lista di Potere al Popolo. Per essere più aggiornati, e andare proprio all’oggi (in senso letterale), è di questa mattina l’annunciata partecipazione all’incontro pubblico “Problemi territoriali, malapolitica, sanità” organizzato dal circolo “Antonio Gramsci” di Carolei. L’appartenenza di de Magistris al campo della sinistra ha però assunto una nuova declinazione proprio con l’avvio della sua campagna elettorale calabrese.

    Voti da destra

    A febbraio di quest’anno, in diretta a Tagadà su La 7, se ne sono scorti i primi segnali: «Io sono un uomo di sinistra che parla alle calabresi e ai calabresi. La nostra è una candidatura di alternativa al consociativismo che finora ha governato nei decenni la Calabria. Ci rivolgiamo a tutti, con una coalizione civica che ora si sta allargando sempre di più, c’è grande entusiasmo. Ci rivolgiamo a elettrici e a elettori che stanno tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra».

    Gli interventi di questi mesi hanno confermato l’andazzo. Intervista al Manifesto, 29 gennaio 2021: «La mia è una candidatura alternativa a quel ceto di destra e di sinistra che ha depredato una regione». E ancora: «Il mio è un discorso indirizzato a tutti i calabresi, senza recinti o gabbie».

    Intervista alla Gazzetta del Sud, 2 settembre: «Noi non abbiamo residenza nel campo del centrosinistra, abbiamo fondato un Polo civico e popolare». E giù a polarizzare: «Mi pare che in campo ci siano due schieramenti: da una parte Occhiuto-Bruni e i loro trasversalismi, dall’altra parte noi».

    Da una Napoli all’altra

    Di pari passo sono andati gli ammiccamenti anche a una “certa” destra. È noto l’appoggio di Angela Napoli, cinque legislature in Parlamento e un percorso politico all’insegna dell’intransigenza legalitaria iniziato con l’Msi. In un’intervista al Quotidiano del Sud il 7 agosto Napoli spiega: «Lo conosco da quand’era magistrato a Catanzaro e fin da allora ho sposato le sue inchieste. Eravamo amici e lo siamo ancora oggi. So che è di sinistra, le mie idee sono differenti, ma ci sono valori comuni che vanno al di là».

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    Luigi de Magistris e Angela Napoli posano insieme a un candidato durante un’iniziativa elettorale

    Il 9 settembre arriva l’appoggio ufficiale del movimento “Buona destra”: «Bisogna operare scelte decisive e schierarsi con quelle forze sane, che presentino Uomini e Progetti che militino dalla parte della Legalità, della Competenza, del Merito. Formulare Patti Civici che siano fondati sulla Professionalità e non sull’interesse, che provengano dal “basso”, dalla Società Civile e non dalle ville lombarde o, ancora peggio, dai salotti romani. Per questi motivi, senza ombra di dubbio, ci schieriamo ‘Apertis Verbis’ con Luigi De Magistris, a cui riconosciamo: Coerenza, Impegno, e Capacità di Governo».

    Contro il populismo a elezioni alterne

    “Buona destra” è un partito, già centro studi, fondato da Filippo Rossi, giornalista e ideologo di Gianfranco Fini ai tempi di Futuro e Libertà. Le sue idee si rifanno a una destra repubblicana, antisovranista, contro gli estremismi, europeista, liberale ma che non nasconde il suo sguardo conservatore. «Autorevole ma non autoritaria, in grado di dare risposte concrete senza semplificare la realtà in italiani e stranieri, “onesti” e corrotti», si legge nella descrizione del libro di Rossi “Dalla parte di Jekyll: Manifesto per una buona destra”).

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    Filippo Rossi, ex ideologo di Gianfranco Fini

    Il suo manifesto prevede, tra le altre cose, di «contrastare il “Partito Unico della Spesa” che da destra a sinistra insegue demagogicamente gli elettori», di «difendere e servire sempre i diritti e mai i privilegi e rifuggire la demagogia, il populismo e il sovranismo ingannevoli e strumentali», di «chiarire che il sacro dovere di salvare vite umane in mare non coincide con il dovere dell’accoglienza sempre e comunque». Alle Comunali di Roma è stato reso noto il sostegno di “Buona destra” a Carlo Calenda.

    I dubbi da sinistra

    Ora, può essere utile magari interrogarsi su cosa pensino Lucano o i tanti rifondaroli dell’approccio “oltre” la destra e la sinistra di de Magistris. Ma visto che nel discorso sulla contestata doppiezza politico-morale dell’ex pm ricorre spesso anche la contrapposizione giustizialismo/garantismo, aggiunge certamente un valido elemento di riflessione l’opinione che un altro magistrato non certo di destra – è esponente di Magistratura democratica – ha espresso circa la campagna calabrese del sindaco di Napoli.

    Emilio Sirianni, in passato incolpato dal Ministero della giustizia (e poi assolto dalla sezione disciplinare del Csm) per aver dato consigli proprio all’ex sindaco di Riace mentre questi era sottoposto a indagini, nei mesi scorsi ha scritto di de Magistris: «Che un simile campione possa essere acclamato da politici di destra, più o meno camuffati, non stupisce. Ma la possibilità che possa esserlo anche a sinistra, atterrisce».

  • Se vinco a Cosenza faccio l’ospedale a Rende

    Se vinco a Cosenza faccio l’ospedale a Rende

    «Il nuovo ospedale troverebbe la giusta dislocazione nell’area dove insiste l’Università della Calabria». Lo scrive nero su bianco Franco Pichierri nel suo programma da sindaco. Pichierri è un democristiano in servizio permanente effettivo, trasversale, moderato e prudente, ma la sua idea circa il posto dove costruire il nuovo nosocomio è capace di far sgranare gli occhi. Per la verità è la sola idea che susciti attenzione, sommersa in mezzo a proposte che paiono senza vigore, ma è sufficiente per promuoverlo come sola voce fuori dal coro campanilistico.

    Sindaco di Rende o Cosenza?

    Pichierri dunque si candida ad essere non solo il primo sindaco della città, ma proprio il primo cosentino ad immaginare che l’ospedale debba sorgere a Rende. Ci vuole coraggio, ma pure una certa lungimiranza, per proporre una idea di tal genere. La lungimiranza risiede nell’immaginare un ospedale accanto all’università, dove è in arrivo la facoltà di medicina, ma soprattutto perché quell’area è più baricentrica rispetto ad un bacino territoriale parecchio vasto.

    Il coraggio, invece, è necessario per superare il campanilismo. Ma ancor di più per rinunciare alla promettente economia che si avrebbe attorno alla costruzione di un nuovo ospedale e ai sottostanti interessi, che poi sono le ragioni per le quali questo argomento si trova ancora solo nei programmi elettorali. Pichierri però è uno di quei candidati con non solidissime chance di affermarsi. E forse proprio per questo l’indossare l’abito del politico che guarda lontano può dargli un poco di lustro a poco prezzo.

    La lotteria per il centro storico

    Il resto del programma è rappresentato da una lista di buoni propositi, senza l’impegno che sarebbe necessario. Anche il candidato Dc fa riferimento alle risorse del Pnrr di Draghi per affrontare il dissesto, sulle cui responsabilità democristianamente tace. I cosentini posso stare tranquilli, perché «l’obiettivo è fare diventare l’amministrazione pubblica alleata dei cittadini» e ciò accadrà grazie alla «trasformazione digitale del Comune di Cosenza». Per quanto riguarda il lavoro il candidato vorrebbe «stimolare nuove imprenditorialità, avvicinando il talento alle aziende».

    Non manca lo sguardo rivolto alla città antica, che «deve rinascere e ritornare realmente a svolgere quel ruolo centrale e trainante che un tempo aveva nell’ambito dell’intero comprensorio, quale centro pulsante artistico, sociale e produttivo» e qui è verosimile che Pichierri faccia riferimento ai fasti del XV secolo. Il problema delle casse svuotate si può risolvere e il candidato dello Scudo crociato pensa di affrontarlo favorendo «anche il coinvolgimento dei privati promuovendo l’istituzione della “Lotteria Nazionale dei Brettii”».

    Dieci anni da cancellare

    Le idee di Cosenza in Comune, invece, sono precedute da una fotografia dolente della città, che racconta di disuguaglianze acuite dal Covid, ma causate anche da scelte politiche che hanno trascurato le persone e i bisogni reali. A guidare la lista è Valerio Formisani, medico che ha sovrapposto la sua militanza politica alla professione, impegnandosi, tra l’altro, nell’assistenza sanitaria agli ultimi con la creazione di un “Ambulatorio medico senza confini”. Nessuno stupore quindi se il suo programma parta dai temi sociali, dalla partecipazione democratica dei cittadini alle scelte.

    Formisani sa che le casse sono vuote, «a causa di sperperi, pessime gestioni finanziarie, bilanci falsi perpetrati da un decennio di cattiva amministrazione». Per questo occorre individuare le priorità di intervento, per esempio «il rafforzamento dei servizi pubblici essenziali, l’integrazione delle marginalità sociali e territoriali e il ripristino della salubrità ambientali, mortificati da un’azione amministrativa improntata ad una irragionevole e sfrenata cementificazione affaristica».

    La solitudine dei duri e puri

    Un cambio di passo che metta i cittadini al centro dell’azione politica, che prevede la creazione di un “Piano comunale del benessere”. Il “benessere” sociale di Formisani non è la striscia di cemento dove scorrazzare con le bici elettriche immaginata dal sindaco uscente, però. Consiste nel monitorare le condizione economiche della cittadinanza per «costruire interventi sociali, culturali ed economici mirati, favorire la redistribuzione del lavoro esistente, attraverso la “Contrattazione territoriale”, bloccare gli sfratti e aiutare i “morosi incolpevoli”. Quanto alle risorse del Pnrr «devono essere destinati al potenziamento dei servizi pubblici soprattutto a favore dei soggetti più disagiati».

    La città vecchia nei progetti del candidato di Cosenza in Comune vedrebbe l’apertura di cantieri per la manutenzione degli stabili, il censimento degli immobili pericolanti e il recupero delle attività commerciali. E poi la cultura, la lotta all’intolleranza e la spinta all’inclusione culturale. Temi e bandiere che rischiano di essere proposti e sventolate per pura testimonianza. Perché ancora una volta, probabilmente anche per difendere con orgoglio una idea di purezza, Cosenza in Comune corre in solitudine.

  • Toti “tiene” famiglia, tre generazioni dei Bruno in lista

    Toti “tiene” famiglia, tre generazioni dei Bruno in lista

    Come si arriva a 869 aspiranti consiglieri in una città come Cosenza, di 65mila e rotti abitanti, per un massimo di 40mila elettori?
    Essenzialmente in un modo: reclutamenti più o meno “selvaggi” per controllare i voti di amici e parenti e fare quindi massa critica per spingere solo alcuni nomi e confermare la presenza diretta di simboli o l’influenza di alcuni big, che hanno mire ben diverse dal seggio in consiglio comunale.

    Il guazzabuglio è voluto e fa comodo, tant’è che finora nessuno ha mai messo mano alla legge elettorale per rendere i criteri di candidatura più restrittivi, s’intende nel rispetto della Costituzione.
    Cosenza, proprio per le sue dimensioni ridotte, fa scuola in questo modo d’agire. Lo dimostrano due casi, entrambi nella coalizione di Francesco Caruso.
    Ci si riferisce alle liste della Lega e di Coraggio Cosenza.

    Tutto iniziò da Vincenzo Granata

    Nonostante il declino demografico ed economico, Cosenza fa ancora gola. Ne faceva e ne fa tuttora a Matteo Salvini, perché ogni postazione acquistata nelle istituzioni meridionali rafforza il suo “nuovo corso”, di destra prima “radicale” e poi “moderata”, e limita il peso dei bossiani nelle fortissime nicchie del Nord profondo.
    Non a caso, Vincenzo Granata, eletto nel 2016 con la lista Democrazia Mediterranea, passò con la Lega e ne creò il gruppo consiliare.

    Vincenzo Granata, passato dalla Lega al movimento di Toti e Brugnaro (foto Alfonso Bombini)

    Quello di Granata, tra l’altro fratello di Maximiliano Granata, presidente del Consorzio Vallecrati, è il primo tentativo di radicamento del partito di Salvini in città.
    Tutto è filato liscio fino a pochi mesi prima delle elezioni, quando col cambio dei commissari sono iniziate le frizioni interne che hanno provocato l’uscita dalla Lega di circa trecento militanti, a partire proprio da Granata.
    Ed ecco che il Carroccio si è trovato un problemone: come colmare il buco?

    Una “cura medica” per la Lega

    Il vuoto nel Carroccio è pesante e si tenta di colmarlo in tutti i modi. In una primissima battuta, ci hanno provato alcuni volti noti della politica cittadina, che in passato avevano fatto parte della maggioranza della giunta di Salvatore Perugini, finora l’ultimo sindaco cosentino espresso dal centrosinistra: Francesca Lopez, Salvatore Magnelli, Gianluca Greco e Roberto Sacco. Nessuno dei quattro è rimasto a bordo del Carroccio (Lopez e Magnelli sono candidati in Fdi e Sacco è finito a sinistra con l’altro Caruso, cioè Franz).

    Il secondo intervento salva Lega è opera di Franceschina Brufano, leghista vicina a Spirlì e congiunta dell’ex presidente dell’Ordine degli avvocati Emilio Greco. Assieme a lei si mette in moto anche il consigliere uscente Pietro Molinaro.
    Quest’ultimo chiede un aiuto eccellente: quello di Simona Loizzo, anch’essa candidata nel Carroccio, ma per le Regionali.

    Simona Loizzo tra Nino Spirlì e Matteo Salvini

    Ed ecco individuato il primo puntello: Roberto Bartolomeo, ex consigliere comunale emerso alla fine dell’era Mancini e dotato di un solido pacchetto di consensi. Con lui correrà in ticket Federica Pasqua, giovane medico dal cognome importante: è figlia di Pino Pasqua, primario all’Ospedale dell’Annunziata.

    Nella corsa a riempire è senz’altro scappato qualche svarione: il giovane Mattia Lanzino, nipote dell’ex “primula” della ’ndrangheta cosentina. Nulla da eccepire sulla persona, perché il ragazzo è incensurato. Tuttavia, il tono delle polemiche seguite alla “rivelazione” ha confermato che i cosentini sono meno garantisti e meno propensi a distinguere tra persone e cognomi di quanto si creda.

    La trasfusione

    Il problema, per il Carroccio è tirare a bordo almeno gli 800 voti utili per avere pedine in Consiglio. Se il sangue non basta, ci vuole una bella trasfusione. Così hanno senz’altro pensato gli Stati Maggiori della Lega, che hanno trovato una lista pronta da assorbire: il Pls, che sta per Partito liberal socialista, un gruppo dal nome glocal ma dalle ambizioni di quartiere, organizzato da Massimiliano Ercole, ex maresciallo dei carabinieri dalle vicende giudiziarie piuttosto turbolente (a suo carico c’è un’inchiesta per traffico di rifiuti).

    Secondo i beneinformati, Ercole ha trasfuso la sua lista del Pls, di diciotto nominativi, nella Lega. Non è dato sapere se ci siano tutti e diciotto i nominativi, ma gli addetti ai lavori ne confermano cinque: Francesca Broccolo, Antonio Citro, Sergio Moretti, Marianna Lo Polito e Michael Zappalà.

    Affari di famiglia

    Finora si è parlato delle mogli (di Luca Morrone, ad esempio), dei figli e dei parenti dei big.
    Ma ci sono anche famiglie normalissime che si sono date generosamente per completare le liste. Una, in particolare, spicca nella coalizione di Caruso: sono i Bruno (nessuna parentela con Davide Bruno, ex assessore di Mario Occhiuto), che si sono inseriti in blocco nella lista Coraggio Cosenza, organizzata da Vincenzo Granata per puntellare a Cosenza il movimento (Coraggio Italia) di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia.

    In questa lista, infatti, è possibile distinguere tra due Giuseppe Bruno solo grazie all’anno di nascita: il primo è classe ’53, il secondo è classe 2001. Il salto anagrafico non è un caso, perché sono nonno e nipote.
    Tra i due, figurano Ettore Bruno e Silvana Bruno, rispettivamente papà e zia di Giuseppe jr.
    Non finisce qui: in lista ci sono anche le consorti di Giuseppe senior e di Ettore. E c’è Federica Chiari, la fidanzata di Giuseppe jr.
    Cosa non si fa per riempire una lista…

    Il regno del casino

    A guardare bene i santini elettorali si capisce che molti, al massimo, sono abituati a fare selfie e risultano a disagio col look supercompassato e imbellettato dei politici professionisti.
    E si capisce che i dirigenti politici hanno agito in maniera “pasoliniana”, cioè hanno preso di peso le persone dai quartieri e dalle strade senza andare troppo per il sottile, ovvero senza informarsi sulla reale vocazione (o preparazione) politica dei candidati.
    Oggi vince chi fa più casino. E a Cosenza lo si è capito benissimo. Chissà che anche in questo il Sud profondo non faccia scuola.

  • Drive-in Cosenza, la fantasia dei civici se va al potere

    Drive-in Cosenza, la fantasia dei civici se va al potere

    «Con questa destra mai più. Al ballottaggio non farò accordi con loro». La mano sul cuore, lo sguardo fermo sulla telecamera, Francesco De Cicco ha annunciato che con Mario Occhiuto e Francesco Caruso non ha intenzione di dialogare. De Cicco è stato assessore proprio della Giunta guidata dall’architetto e ha affidato a un video su Facebook le sue decisioni.

    Da due anni diserta la Giunta

    Queste parole valgono più di ogni dettagliato programma elettorale e lasciano immaginare un possibile accordo col centro-sinistra. Ma mai fare l’errore di considerarle la pietra tombale su un possibile ritorno dell’amore tra Occhiuto e De Cicco. Basta guardare indietro nel tempo, quando De Cicco mobilitava le sue truppe a via Popilia contro il sindaco che voleva portare i rom a Vaglio Lise, salvo poi deporre le armi davanti alla nomina ad assessore.

    Nessuno dimentica le tante volte in cui ha minacciato di far cadere l’amministrazione, per poi rientrare prontamente nel recinto della maggioranza. Questa volta a marcare la distanza lo stesso De Cicco nel video spiega che «sono due anni che non partecipo alle riunioni di Giunta, né firmo i bilanci», tuttavia continuando, presumibilmente, ad incassare l’indennità di assessore.

    Gallo, Civitelli e De Cicco: i tre civici

    De Cicco, assieme a Francesco Civitelli e Fabio Gallo, rivendica il ruolo di portabandiera del civismo. Leggendo il programma dell’ancora assessore troviamo la negazione dell’idea di viabilità costruita in questo decennio da Occhiuto. E quindi con «la rimodulazione stradale a viale Mancini, via Roma, corso Umberto, via XXIV Maggio e relative traverse». Una proposta che potrebbe trovare l’entusiasmo degli automobilisti. Contorta e di difficile interpretazione la parte in cui si parla della «introduzione di trasporto di massa veloce, certo e sicuro che potrà avvenire solo se realizzato su linee di mobilità che devono prevedere sedi stradali libere dal traffico privato». Praticamente è una metro leggera che forse si chiamerà in un altro modo. Su tutto questo vigilerà una «assemblea cittadina aperta ai “competenti”», che però non si comprende chi possano essere.

    Francesco Civitelli, impegnato in un selfie allo specchio
    Drive in e festival medievali 

    Se quel passaggio resta vago, deciso è chiaro è l’intento di De Cicco sindaco per quanto concerne il lavoro: assumerà 240 impiegati comunali nell’arco del suo mandato. Lo sguardo sul centro storico non manca, con l’impegno a “chiamare” l’Università per aprire una facoltà nella parte antica della città. De Cicco promette pattuglie di vigili che avranno il ruolo di “educatori”, impedendo le occupazioni abusive e aiutando i giovani.
    Se la cultura in questi anni ha sofferto, l’assessore pensa di rilanciarla attraverso «la creazione di cinema drive in, per poter guardare il film in macchina». E poi con «il rilancio del teatro Rendano attraverso l’invito di artisti famosi, l’organizzazione di festival medievali nel centro storico e la creazione di un festival culinario».

     Auto a viale Parco e zero piste ciclabili

    Stringatissimo il programma prodotto da Francesco Civitelli, che rivendicando un lontano impegno politico accanto a Mancini, si limita ad un elenco di emergenze. Si parte dal Welfare per finire alla crisi idrica, passando per i rifiuti e la viabilità. Senza tralasciare la necessità di eliminare le piste ciclabili, aumentare le aree con le strisce bianche, attivare le Ztl solo nei fine settimana e riaprire viale Parco.

    L’audace similitudine con Mancini

    Assai più articolata invece la visione della città proposta da Fabio Gallo. Ha pazientemente costruito la sua candidatura, senza però mai dichiararne la volontà. Nel corso del secondo mandato di Occhiuto organizzò una kermesse nell’auditorium del Telesio. Invitò tutte le anime che rappresentavano forme di opposizione al sindaco, una assemblea ecumenica che non sortì alcun effetto.

    Da allora, tenacemente, ha dato vita al Movimento Noi, che ha la pretesa di avere carattere nazionale, ma che pare esistere solo qui. Forme di autorefenzialità che hanno partorito il topolino di una sola lista. La cosa non preoccupa il candidato, che recentemente ha affermato in una sua diretta Fb che «anche Mancini aveva solo due liste e stravinse», lanciandosi in un confronto che pare fuori misura.

    Gallo pensa al Pnrr 

    La concretezza dei buoni propositi del Movimento Noi viene affidata a una serie di provvedimenti finalizzati al finanziamento di progetti, partendo dal Pnrr fino ai fondi europei. Ma Gallo nel programma non scende nel dettaglio di spesa per ogni idea, né ai tempi necessari per attuarle. Si passa quindi dalla genericità di un impegno per la costruzione del nuovo ospedale, ai particolari sulla viabilità. Un tema che gli è caro  come agli altri candidati. In merito pensa di «ripristinare la circolazione di Via R. Misasi, ristabilendo i sensi di marcia precedenti, eliminare il doppio senso di marcia di Piazza Bilotti, renderla uno spazio vivibile ed accogliente».

    Fabio Gallo, cattolico militante del Movimento Noi
    Basta monopattini indisciplinati, servono regole

    Ha intenzione di «riaprire Viale Parco alla circolazione privata e pubblica, attuare un piano di reale manutenzione e riasfaltatura di tutte le strade della città, utilizzare le linee ferrate esistenti per collegare Cosenza all’Unical, acquistare una flotta di Electrobus a inquinamento “zero”». Ma per fortuna a tutto questo aggiunge «la regolamentazione dell’uso dei monopattini», questione evidentemente molto urgente.

    La cultura al centro del progetto città pensato dal Movimento Noi, con un non meglio precisato «sostegno all’artigianato locale e la restituzione dei Bocs art alla città e al mondo del lavoro». Soprattutto è prevista la nascita della Fondazione Cosenza, una realtà con lo scopo di «riunire in essa tutti i Beni di proprietà del Comune, dunque pubblici, destinati alla manifestazione dell’arte e della cultura in generale perché essi siano tutelati da eventuali derive privatistiche e resi produttivi e realmente utili ai Cittadini».

    Energia idroelettrica da Crati e Busento

    Gallo ha pensato anche a produrre energia per la città dai suoi fiumi – dove evidentemente si smetterà di cercare il tesoro di Alarico – e di riportare le Colombe di Baccelli a piazza Kennedy, in una operazione nostalgia. Sulla scuola il candidato prende uno scivolone, quando immagina «la riduzione degli alunni per classe fino a un massimo di 15». Gli sfugge il dettaglio che il numero di studenti per classe e dunque l’organico dei prof è deciso dal Ministero, non dal sindaco.

  • Piazza Bilotti, non aprite quel museo

    Piazza Bilotti, non aprite quel museo

    Ora non lo dicono più solo gli inquirenti: le travi d’acciaio nel museo multimediale di piazza Bilotti presentano dei difetti non accettabili e sono necessari interventi per renderle sicure. La conferma all’ipotesi della magistratura arriva infatti dai tecnici assunti dal Comune di Cosenza nella speranza che dimostrassero l’esatto contrario.

    Le rassicurazioni infondate di Occhiuto

    «Ribadisco che prima del collaudo anche le leggere imperfezioni presenti in alcune travi d’acciaio sono state oggetto degli opportuni interventi, sì da rendere anche tali componenti del tutto conformi alla normativa e quindi sicuri», rassicurava il sindaco Occhiuto nell’aprile del 2020 all’indomani del sequestro di quella piazza che considerava il fiore all’occhiello della sua amministrazione.

    C’era anche lui tra i 13 rinviati a giudizio per le vicende relative alle presunte irregolarità nel collaudo della maxi opera, riaperta al pubblico quasi completamente pochi mesi fa. A restare chiuso era stato proprio il museo, con Occhiuto che a gennaio scorso aveva spiegato che erano «in corso ulteriori e più approfondite indagini sulle travi metalliche».

    Le indagini commissionate dal Comune

    Quelle indagini – almeno quelle commissionate da Palazzo dei Bruzi – si sono concluse e il risultato è apparso nei giorni scorsi sull’albo pretorio del Comune, seminascosto tra decine di allegati a una determina. Il documento ha un titolo inequivocabile: “Verifica delle travi in acciaio presenti nell’area museo”. Porta la firma di cinque ingegneri della Sismlab, spin-off dell’Unical scelto dall’amministrazione comunale per effettuare i test. È lungo più di 100 pagine, fitte di calcoli ingegneristici, immagini relative alle prove effettuate sui materiali utilizzati. E si conclude con un verdetto inequivocabile: le travi sono difettose e c’è bisogno di intervenire al più presto per evitare il peggio.

    I difetti inaccettabili alle travi

    I cinque di Sismlab lo scrivono a chiare lettere nelle loro conclusioni: «Vista la presenza di difetti su due travi e in particolare sui cordoni di saldatura, considerato che i difetti sono definiti non accettabili e quindi da riparare, considerati inoltre i coefficienti di sicurezza rilevati in presenza dei carichi accidentali nelle sezioni danneggiate, a giudizio di chi scrive e nello stato attuale di consistenza non è possibile riammettere alla riapertura al pubblico l’area attualmente interdetta individuata come area museale».

    Non solo, gli ingegneri aggiungono che «la possibilità di riapertura degli spazi al pubblico dell’area museale e delle aree con esse connesse sono, a giudizio di chi scrive, condizionate all’esecuzione di improcrastinabili lavori di consolidamento da effettuare sulle travi portanti in acciaio». Se non si fanno quelli – e in fretta – niente più museo a piazza Bilotti perché mancherebbero le «condizioni di sicurezza secondo la vigente normativa».

    I bulloni serrati male

    Oltre ai difetti alle travi, ci sarebbero anche dei problemi col serraggio dei bulloni. Dalle verifiche di Sismlab emerge, infatti, «l’evidenza che alcuni elementi presentano dei valori di esercizio leggermente più bassi di quelli impostati per la verifica e intorno al 10-13 % in meno». Tant’è che «sulla base delle risultanze sperimentali appare evidente la necessità di eseguire un intervento di consolidamento sulle travi per poter riammettere all’esercizio le aree del museo. L’intervento ovviamente dovrà essere finalizzato a ripristinare i coefficienti di sicurezza delle travi in acciaio intervenendo sia sulle saldature che sulle parti di bullonatura per ripristinare su queste parti il corretto serraggio».