Categoria: Fatti

  • Si spengono le luci, l’addio di Mario Occhiuto

    Si spengono le luci, l’addio di Mario Occhiuto

    È probabile che non siano in tanti a ricordarselo, ma c’è stato un tempo (breve) in cui a Cosenza si poteva perfino sciare. Succedeva agli inizi di questi dieci anni targati Mario Occhiuto. Il sindaco aveva fatto innalzare nei dintorni dei “Due Fiumi” una struttura dalla quale si poteva scendere con gli sci ai piedi. La pista era lunga poche decine di metri ma era costata ai cittadini circa 80 mila euro e avrebbe rappresentato l’inizio di una lunga stagione caratterizzata dal “fare”.

    Dopo gli anni incolori dell’amministrazione Perugini, fu anche per questa frenesia del “fare” che Mario Occhiuto, il sindaco-architetto vide crescere il consenso attorno alla sua persona, imponendo la sua visione della città ludica ed effimera, molto costosa e alla lunga separata dai reali bisogni dei cittadini. Furono gli anni delle luminarie e prima ancora dei cerchi, noleggiati a caro prezzo e poi acquistati. Ma anche quelli delle determine di somma urgenza, tutte una virgola sotto i 40 mila euro, per lavori spesso assegnati alle stesse ditte.

    I cerchi luminosi, una delle costanti dei 10 anni di Occhiuto

    Un sistema che produsse un record difficilmente superabile: 61 determine firmate in una sola notte. Intanto la città cambiava volto. Dove prima c’erano strade nascevano piazze e slarghi pedonabili, sempre implacabilmente pavimentate con le stesse piastrelle. Il salotto cittadino si arricchiva di nuove statue, al fianco delle quali ogni tanto sorgevano pupazzi colorati a foggia di dinosauri o altri animali. In alcuni luoghi topici della città nascevano locali per giovani, animando spazi fin lì silenti: il sindaco poteva affermare con orgoglio di aver vivificato «una città che alle dieci di sera andava a letto».

    Il realismo magico

    È difficile comprendere la dinamica di fascinazione e consenso di cui Occhiuto è stato protagonista senza ricorrere a un riferimento culturale: il realismo magico, cioè la capacità di costruire trame narrative che mischiano e sovrappongono la realtà con l’immaginifico. Su questo piano l’ex sindaco è stato insuperabile. Ogni volta che faceva circolare sui social il rendering di un progetto, con le figure di abitanti gioiosi, i viali alberati, i palazzi bellissimi i cosentini cominciavano a sognare. Immaginavano loro stessi in quegli spazi idilliaci, trascurando di domandarsi come e quando quel sogno avrebbe trovato realizzazione.

    Particolare della statua di Alarico alla confluenza dei fiumi Crati e Busento

    Il sindaco architetto conduceva per mano i suoi cittadini nel mondo incantato della grafica digitale. E i cosentini, grati, lo premiavano con il loro diffuso consenso. Da qualche parte giacciono progetti di campi di calcio, tutti diversi e tutti buoni per catturare l’attenzione della città nei momenti del bisogno; ospedali che sembrano usciti da un film americano; perso in qualche cassetto c’è pure il progetto in cui la strada di viale della Repubblica sparisce in un sottopassaggio, mentre sopra c’è un rigoglioso viale alberato. Ma la scommessa più immaginifica resta quella della ricerca del tesoro di Alarico, per il ritrovamento del quale furono scomodati il politologo Luttwack e i droni israeliani. Questi ultimi per fortuna mai arrivati sulle rive del Busento.

    Le opere

    Le cose realizzate da Occhiuto nei dieci anni della sua amministrazione affondano le radici nell’epopea manciniana. È in quella fase storica che furono pensati i progetti di piazza Fera, del ponte di Calatrava, del Planetario. A Mario Occhiuto va il merito di averle realizzate, facendo sbiadire la figura del vecchio leone socialista e intestandosi le opere.
    Non senza qualche smagliatura nell’opera edificatoria. Il ponte di Calatrava è sorto (anche) grazie alle risorse destinate alla costruzione di case popolari. Lo hanno inaugurato – così ha denunciato l’ex assessore De Cicco – con il denaro che era stato stanziato per le periferie, mentre su piazza Fera pende come una scomunica l’indagine della Dda. Un capitolo a parte meritano le giravolte sulla metro e la realizzazione del viale del benessere, quello dove si registra il maggior tasso di maledizioni da parte degli automobilisti.

    Un momento della faraonica inaugurazione del ponte di Calatrava nel 2018
    Gli inciampi giudiziari

    Dieci anni da sindaco e una parte di essi da indagato. Le vicende personali e quelle legate al suo ruolo di sindaco si sovrappongono in una sequela impressionante di problemi sospesi con la giustizia: indagato per associazione a delinquere transnazionale; indagato per le spese personali con i fondi del comune; indagato per bancarotta fraudolenta, condannato in primo grado al pagamento di 262 mila euro per danno erariale. Con in più un marchio: essere il primo sindaco ad aver dovuto dichiarare il dissesto del Comune.

    L’assalto alla Regione

    Sono stati questi inciampi giudiziari a fermare la candidatura di Mario Occhiuto alla Regione, interrompendo una cavalcata sapientemente costruita e poi abbandonata per far spazio a Jole Santelli, verso cui aveva avuto parole da tragedia greca, prima di santificarla pubblicamente dopo la morte. Oggi la Regione l’ha conquistata per interposta persona, dal fratello Roberto. Non è la stessa cosa, ma ci si può accontentare.

    In questi dieci anni la frase più celebrativa del governo di Occhiuto è stata “Il bello è buono”, concetto con cui si il sindaco uscente spiegava che quello che a lui piaceva era certamente per ciò stesso anche giusto. Da oggi chi guiderà la città dovrà costruire un nuovo senso di bello. Quello che si lega col giusto.

  • Caruso vs Caruso, la spunta Franz: chi è il nuovo sindaco di Cosenza

    Caruso vs Caruso, la spunta Franz: chi è il nuovo sindaco di Cosenza

    Comunque sia, alla fine ha vinto un Caruso.
    Nelle Amministrative finalmente al termine, Cosenza ha vantato la particolarità di due contendenti a sindaco con lo stesso cognome. La prima poltrona di Palazzo dei Bruzi va a Franz Caruso.
    Una vittoria non facile per il campione di un centrosinistra a dir poco problematico, a cui si deve riconoscere il merito di aver saputo ricompattare il suo schieramento, che finora era diviso in due tronconi (quello che faceva capo a lui e quello che aveva scommesso su Bianca Rende) e di aver tirato dalla sua l’ex assessore occhiutiano Francesco De Cicco, a sua volta candidato sindaco nelle vesti di leader popolare e popolano.

    gallo_caruso_rende_decicco
    Franz Caruso sul palco del suo comizio finale insieme ad altri tre sfidanti del primo turno: Fabio Gallo, Bianca Rende e Francesco De Cicco
    Il vincitore: una vita da socialista

    Alzi la mano chi non ha trovato qualche riferimento a Franz Caruso nelle cronache cosentine e calabresi dell’ultimo ventennio almeno una volta alla settimana.
    Avvocato di lungo corso e big dei penalisti calabresi, Caruso è quel che la vecchia retorica definiva “principe del foro”. Appartiene alla generazione di legali successiva a quella “classica” e azzerata dall’anagrafe, di cui furono esponenti di primo piano Orlando Mazzotta, Ernesto d’Ippolito e Fausto Gullo.

    All’attività forense Caruso ha accoppiato sin da giovanissimo una passione politica viscerale, vissuta tutta sotto le insegne del garofano del vecchio Psi, poi della rosa di Nencini e di nuovo col garofano 2.0 dell’attuale Psi.
    Questa ambivalenza spiega gli spazi più che generosi accordati dai media all’avvocato cosentino, presenza fissa delle cronache giudiziarie e presenza frequente di quelle politiche, dove affiorava periodicamente in occasione delle elezioni.

    Da jolly ad asso da giocare

    Già: Franz Caruso è stato il jolly delle Amministrative cosentine, una carta sempre esibita da quell’asse del centrosinistra che fa capo a Nicola Adamo e Luigi Incarnato ma mai calata con convinzione. Accadde, ad esempio, nel 2011, quando la candidatura di Caruso spuntò nel caos politico che seguì la fine dell’amministrazione Perugini e rientrò nel giro di pochi giorni. Alla fine, il Pd dilaniato dalla lotta intestina tra Adamo e Mario Oliverio, confermò Salvatore Perugini.

    Mario-Oliverio-Nicola-Adamo
    Mario Oliverio e Nicola Adamo

    Anche nel 2016 emerse, più timidamente, la candidatura dell’avvocato. Ma durò secondi, perché quell’anno il centrosinistra riuscì a far peggio della tornata precedente. Addirittura, risparmiò a Mario Occhiuto la fatica del ballottaggio.
    Stavolta il jolly ha acquisito il valore di un asso, e da tale si è comportato. Con sole tre liste è riuscito ad arrivare al ballottaggio e ha dato un po’ di polvere agli altri avversari. Sia che avessero il suo stesso numero di liste (Rende) sia che, addirittura, avessero schierato interi quartieri (De Cicco e Civitelli).

    Dalla panchina al goal

    D’altronde non ci si improvvisa politici né avvocati. Chi lo ha visto in azione in Tribunale ne apprezza lo stile asciutto, tutto midollo e sostanza, con cui arringa i giudici e le corti senza averne quasi l’aria.
    Stesso discorso per la comunicazione politica: forte ma mai ridondante e con quel po’ di retorica che non guasta mai.

    Dopo anni di panchina politica, a volte sofferta a volte vissuta col sollievo di aver scansato il bagno di sangue, Franz Caruso è sceso seriamente in campo come centravanti di sfondamento. E ha segnato il goal decisivo, grazie anche a una strategia politica efficace.
    E a chi gli ha detto che rappresenta il vecchio ha fatto capire che neppure il suo avversario, l’altro Caruso, era nuovo: alle sue spalle ha altrettanti vecchi.

    Lo sconfitto

    Un volto giovane per una coalizione stagionata. Il vicesindaco uscente Francesco Caruso è un occhiutiano di lungo corso, che ha respirato politica sin da bambino attraverso i polmoni del papà, il compianto Roberto Caruso, che fu deputato di Alleanza nazionale nella seconda metà degli anni ’90.
    Mite, fine e garbatissimo, il giovane ingegnere è il classico bravo ragazzo di cui si innamorano le mamme con la speranza che i loro generi gli somiglino almeno un po’.

    Francesco Caruso è entrato a Palazzo dei Bruzi quasi in punta di piedi ed è rimasto tra i fedelissimi di Mario Occhiuto anche durante la fine prematura dell’amministrazione precedente, caduta per un golpe di corridoio sei mesi prima della scadenza naturale.
    Questa fedeltà politica gli è valsa prima la delega al decoro urbano (2017), poi l’ascesa a vicesindaco, dopo l’addio di Luciano Vigna, altra storica “spalla” di Occhiuto e, al pari di Caruso, proveniente dall’ex destra (quella vera).

    Le deleghe di questi anni

    I paragoni possono essere ingenerosi. Ma in politica si fanno e chi vuol azzardarne uno non può fare a meno di notare la differenza di stile tra i due “vice Mario”. Piuttosto forte e presenzialista Vigna, che ha gestito i conti di Cosenza per sette anni a botte di virtuosismi e rattoppi, molto pacato Caruso, a cui ora tocca la delega al Bilancio.
    E con altrettanta pacatezza Caruso gestisce altre due deleghe: Riqualificazione urbana e Agenda urbana, che sommate e tradotte significano Lavori pubblici.

    Francesco-Caruso-Mario-Occhiuto-Cosenza
    Francesco Caruso e Mario Occhiuto durante la campagna elettorale

    Difficile dire se Francesco Caruso sia una controfigura scelta dallo stato maggiore di Occhiuto per assicurare la continuità non solo dell’amministrazione ma anche del potere.
    Di sicuro, il giovane ingegnere ha dalla sua un’immagine neutrale, che gli è tornata preziosa durante le negoziazioni dell’estate. Non a caso, il nome e il volto di Francesco Caruso sono stati spesi con una certa sicurezza solo dopo che i mal di pancia (ad esempio, quello di Fdi, che aveva ventilato la candidatura Pietro Manna), i dubbi e i giochini erano cessati.

    Un vantaggio dilapidato

    Ed ecco che, grazie a sei liste agguerrite fino ai denti, il “vice Mario” è arrivato al ballottaggio in scioltezza, forte di 14 punti di vantaggio sul suo avversario diretto, il quasi omonimo Franz Caruso.
    Questo risultato prova per l’ennesima volta una regola non scritta della politica: le personalità non appariscenti (e quella di Francesco a volte sembra evanescente) piacciono agli addetti ai lavori e sono funzionali alle negoziazioni.

    Tuttavia, le personalità forti attirano di più gli elettori. E questo spiega come mai Francesco sia arrivato alla sfida finale soprattutto grazie al sostegno delle liste. Poi Franz, personalità più forte e per questo divisiva, è comunque riuscito a giocarsi meglio la partita.
    Essere vice paga. Ma non troppo.

  • Navi dei veleni, la rotta della morte tra Somalia e Calabria

    Navi dei veleni, la rotta della morte tra Somalia e Calabria

    Territori da sempre in guerra e per questo incontrollati. L’Iraq e la Somalia da un canto. La Calabria, dall’altro. Guerre diverse, evidentemente. Ma lo stesso destino di vaste aree dove poter mettere in atto alcuni traffici illeciti. Sicuri che, soprattutto in quegli anni ’80-’90, tutto sarebbe rimasto sotto traccia. Avvolto nell’ombra e nel silenzio.

    Ilaria Alpi e Natale De Grazia: destini incrociati

    Iraq e Somalia sono anche i Paesi che incrociano il proprio destino con le indagini portate avanti sul traffico di scorie radioattive dai magistrati di Matera e Reggio Calabria. E incrociano i loro destini (e le loro tragiche fini) anche Ilaria Alpi e Natale De Grazia. Due persone che – in luoghi diversi e con modalità diverse – probabilmente seguivano le stesse tracce.

    Documento desecretato in merito a Ilaria Alpi e Milan Hrovatin

    Muoiono a distanza di un anno e mezzo. Ilaria Alpi, giornalista del TG3, uccisa il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia. Con lei, trucidato anche l’operatore, Milan Hrovatin. Natale De Grazia muore in circostanze sospette il 13 dicembre del 1995, a Nocera Inferiore. Entrambi indagavano sulle cosiddette “navi dei veleni”. Carrette del mare. Imbottite di rifiuti tossici. Di scorie radioattive e nucleari.

    Navi che a volte giungevano fino all’Africa. Per scaricare in quei luoghi abbandonati il proprio carico di morte. Altre volte, invece, venivano fatte colare a picco al largo delle coste calabresi.    

    Il capitano Natale De Grazia
    L’ingegner Giorgio Comerio

    Un nome ricorrente è quello di Giorgio Comerio. Nel corso di una perquisizione nella sua abitazione a Garlasco, infatti, il pool di investigatori comandato dal capitano Natale De Grazia troverà un fascicolo con la scritta “Somalia”. In quella cartella, secondo quanto riferito, si sarebbe trovato del materiale riguardante la morte di Ilaria Alpi. Un certificato di morte o un lancio di agenzie. Le testimonianze sono discordanti. E il dubbio resta.

    La Somalia, quindi, entra a pieno titolo tra le rotte “calde” per il traffico di scorie radioattive. Le regioni del Nord Africa, infatti, sembrano essere la sede privilegiata di destinazione dei rifiuti altamente tossici. Il tema, dunque, è quello delle “navi a perdere”, in cui un ruolo fondamentale sarebbe stato giocato dall’ingegner Giorgio Comerio. Con la sua ODM, avrebbe progettato (e secondo qualcuno realizzato) un sistema di smaltimento di scorie radioattive nei fondali soffici e profondi.

    Documento desecretato in merito alla Oceanic Disposal Management

    Ingegnere con sede operativa a Garlasco, nel 1993 fonda la Oceanic Disposal Management (ODM), una società registrata alle Isole Vergini Britanniche. La ODM, con sede a Lugano, ma con diramazioni a Mosca e in Africa, si occupa di qualcosa di molto particolare. Dello smaltimento delle scorie nucleari. Con la ODM Comerio ha un progetto: inabissare le scorie radioattive in acque dai fondali profondi e soffici, inserendole all’interno di grossi e pesanti penetratori. Questi, arrivando a pesare fino a duecento chili, una volta sganciati in mare, acquisterebbero una velocità tale da permettere la penetrazione nei fondali. Una proposta respinta da tutti gli Stati a cui l’ingegnere si rivolgerà. Almeno ufficialmente.

    Le indagini su Comerio e la sua ODM

    Ma secondo qualcuno Comerio avrebbe potuto mettere in piedi il proprio progetto in maniera autonoma. Secondo Legambiente, infatti, «Comerio e i suoi soci avrebbero gestito, dietro il paravento dei “penetratori”, un traffico internazionale di rifiuti radioattivi caricati su diverse “carrette” dei mari fatte poi affondare, dolosamente, nel Mediterraneo».

    Documento desecretato dove compare il nome di Giorgio Comerio

    La vita di Giorgio Comerio è piuttosto avventurosa. Negli anni ’80 partecipa alla battaglia delle isole Falkland tra Inghilterra e Argentina. Iscritto alla Loggia di Montecarlo, sarebbe un elemento legato ai servizi segreti. Anche se lui smentirà sempre fermamente. Maria Luigia Giuseppina Nitti è la compagna dell’ingegnere dal 1986 al 1992. Nel 1995 ai carabinieri che indagano sui presunti traffici di rifiuti radioattivi dichiara: «Verso la fine del nostro rapporto mi esternò di appartenere ai servizi segreti. A seguito di attentati terroristici avvenuti in quel periodo in Italia, nella primavera del 1993, si assentò dicendo che era stato convocato per collaborare alle indagini». Ma anche in questo caso, per Comerio queste sarebbero tutte stupidaggini.

    Altro documento desecretato dove compare il nome di Giorgio Comerio

    Di Comerio parla anche quel Carlo Giglio, la fonte “Bill”, che ha raccontato alcuni dettagli, mai verificati giudiziariamente, su quegli anni. Giglio racconta di presunti rapporti con gli stabilimenti Enea di Rotondella (Matera) e Saluggia (Vercelli), che per anni saranno sospettati per un eventuale coinvolgimento nei traffici di scorie: “Non vi è dubbio che il Comerio ha avuto rapporti diretti con l’Enea se intendeva smaltire rifiuti radioattivi in mare (…) Addirittura nella strategia dell’ente si sta cercando di eliminare ogni prova o traccia di rapporti tra il Comerio ed altri dirigenti dell’ente. Il Comerio infatti ha offerto all’ente i suoi servigi circa lo smaltimento in mare dei rifiuti radioattivi”.

    Il pool di investigatori di Natale De Grazia perquisisce l’abitazione di Comerio, a Garlasco. E ritrova un serie molto lunga di dati: «Agende, video-tape, dischetti magnetici, fascicoli relativi alla commercializzazione del progetto Euratom (DODOS) trafugato a detto ente (centro Euratom di Ispra) clandestinamente dal Comerio stesso (…) Veniva sequestrata anche numerosa corrispondenza (e fotografie) di incontri con rappresentanti governativi della Sierra Leone per ottenere l’autorizzazione a smaltire in mare rifiuti radioattivi». È in quell’occasione che sarebbe stata anche recuperata la documentazione riferibile alla morte di Ilaria Alpi.

    La rotta somala

    Ed è qui che si incrociano le indagini di Ilaria Alpi e Natale De Grazia. Un personaggio chiave sarebbe Giancarlo Marocchino. È lui uno dei primi a intervenire sul luogo del delitto di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. È uno degli ultimi a vedere il materiale di lavoro che Ilaria Alpi portava con sé. Che poi scomparirà nel nulla.

    Ilaria Alpi e Milan Hrovatin

    Marocchino, secondo alcune risultanze, avrebbe gestito un traffico di rifiuti in Somalia. Uomo molto influente in Somalia, attivo in una serie di affari e attività a Mogadiscio. Acquisendo un grande potere economico e militare: «Chiunque voglia andare in Somalia e rimanere vivo, segnatamente a Mogadiscio, deve farsi proteggere da lui» dirà in un’audizione uno dei magistrati che indagherà sull’imprenditore.

    Ancora dall’audizione: «Marocchino, da decenni operante con buon successo a quanto pare in Somalia, una realtà difficile nella quale credo che si debba essere bravi a operare, ma anche ad avere qualche forma di copertura istituzionale, sopravviveva benissimo. (…) Questo signore, in quel periodo e a mano a mano nel corso di quell’anno o due che seguimmo l’indagine, portava avanti la costruzione di un suo porto nella zona di El Man che avveniva sotto gli occhi di tutti in una zona che aveva poche insenature naturali. Una costa abbastanza piatta, formata a un certo punto da un serie di moli. I container erano posizionati tatticamente in modo perpendicolare alla linea litoranea di spiaggia. Riempiti, si dice, con inerti e protetti dall’erosione e dalla furia del mare, da montagne di macigni posti intorno».

    All’ombra del Partito Socialista

    Affari che si sarebbero mossi all’ombra del Partito Socialista dell’epoca. Come racconta la Commissione parlamentare sul duplice delitto Alpi-Hrovatin. Quel Giampiero Sebri, per anni uomo di grande rilievo e vicino a Bettino Craxi. Sebri definisce così Marocchino: «Era un nostro uomo, uomo di fiducia si intende, chiaramente, per quanto riguarda i traffici di rifiuti tossici-nocivi e anche traffici d’armi».

    Marocchino ha sempre definito calunnie tali affermazioni. E non ha mai subito procedimenti giudiziari concernenti tali accuse. Dichiarazioni, quelle di Sebri, messe nero su bianco in atti parlamentari ufficiali. Ma che non troveranno sbocco giudiziario. Ed è una costante di queste storie.  Un altro personaggio particolare è, in tal senso, quel Guido Garelli, pugliese, ma ammanicato con mezzo mondo. Al pubblico ministero Francesco Basentini, un giorno Garelli dirà di essere stato ammiraglio di un non meglio precisato esercito dell’Autorità Territoriale del Sahara Occidentale. E dignitario di un servizio d’intelligence che avrebbe operato nell’interesse del Regno Unito. Con base a Gibilterra. Garelli è in possesso di tripla cittadinanza: jugoslava, italiana e del Sahara Occidentale. È testimoniato in atti giudiziari come entrasse a Camp Darby senza bisogno di particolari permessi. Camp Darby è una base militare statunitense in Italia, nel territorio comunale di Pisa. Sarebbe considerata dalla US Army il distaccamento militare più importante d’Europa. Il più grande arsenale Usa all’estero.

    Un uomo in contatto con i servizi segreti italiani, con quelli statunitensi e con quelli africani. Dopo la morte di Ilaria Alpi, Guido Garelli finisce anche in carcere a Ivrea per ricettazione. Nel periodo in cui è detenuto, rilascia alcune dichiarazioni piuttosto interessanti: «Ilaria Alpi ha toccato il segreto più gelosamente custodito in Somalia, lo scarico di rifiuti pagato con soldi e armi da non meno di vent’anni. La regia di tutto questo è appannaggio dei servizi d’informazione coinvolti in quello che è sicuramente il business più redditizio del momento. Non mi riferisco solo al Sismi e al Sisde. Vi sono anche gli organismi omologhi dei Paesi che hanno “usato” vari Stati dell’Africa per smaltire porcherie».

    Le dichiarazioni di Francesco Fonti

    Di Marocchino parlerà anche il collaboratore di giustizia. Francesco Fonti. Oggi deceduto. Fonti dichiara di averlo conosciuto a Milano nel 1992. Il collaboratore, infatti, ricorda l’interesse della ‘ndrangheta nel traffico di rifiuti radioattivi. Tutto avrebbe inizio nel 1982 su iniziativa di Giuseppe Nirta che, all’epoca, era il boss del territorio di San Luca. Nirta ne avrebbe dunque parlato con Fonti facendo i nomi di alcuni importanti uomini politici dell’epoca che gli avrebbero proposto di stoccare bidoni di rifiuti tossici. E di occultarli in zone della Calabria da individuare.

    A quel punto, sempre secondo il collaboratore, vi sarebbero stati diversi summit in cui avrebbe partecipato il gotha della ‘ndrangheta. Dagli Iamonte di Melito Porto Salvo ai Morabito di Africo. In seguito a questi incontri, tra i luoghi scelti per gli interramenti, verrebbe esclusa la Calabria. Nella primavera del 1983 Fonti sarebbe stato poi mandato a Roma da Sebastiano Romeo, nel frattempo succeduto a Nirta, per incontrare Giorgio De Stefano. Si tratterebbe dell’avvocato Giorgio De Stefano, considerato un’eminenza grigia della ‘ndrangheta. Ritenuto elemento di collegamento tra l’ala militare delle ‘ndrine e i mondi occulti. Servizi Segreti e massoneria.  

    Secondo il collaboratore, De Stefano disse che il posto ideale per interrare i rifiuti tossici all’estero era la Somalia. E gli avrebbe organizzato un incontro con Pietro Bearzi, allora segretario generale alla Camera di commercio per la Somalia. Questi avrebbe garantito il suo aiuto. Anche Craxi – a detta del pentito – sarebbe stato al corrente della cosa. Ma non avrebbe seguito il tutto personalmente. Lasciando che se ne occupassero i servizi segreti. Alla domanda del pubblico ministero sul perché non avesse parlato prima di queste vicende, la risposta di Fonti è stata che non se ne era ricordato essendo tantissime le vicende da lui vissute.

    Anche per questo, probabilmente, Fonti sarà infine dichiarato del tutto inattendibile.

  • La Terra di Piero è un cuore grande come l’Africa

    La Terra di Piero è un cuore grande come l’Africa

    Il cuore grande di Cosenza si chiama Terra di Piero. Di Piero Romeo, l’ultrà dei Lupi morto prematuramente e mai dimenticato. Sergio Crocco, suo compagno di curva e amico fraterno, decise che il ricordo di Piero dovesse diventare un fiume di solidarietà e bene, senza distinzioni e senza confini. Così è stato. Come era in vita Piero che per molti anni aveva seguito Padre Fedele, il monaco più noto della città dei Bruzi, nei suoi viaggi in Africa e nell’opera dell’Oasi Francescana.

    “Pozzo farcela”, uno dei motti della Terra di Piero.

    Nel primo anno di vita l’associazione ha realizzato due pozzi e due asili a Paoua (Repubblica Centrafricana). Tra le prime opere si annovera anche una casa per un ragazzo centroafricano, Jean Paul, morto di aids e vissuto per molti anni in Italia. I sette figli di Jean Paul, rimasti orfani, ora vivono in una casa costruita dalla Terra di Piero.

    Dieci anni con La Terra di Piero

    Tantissimi sono ad oggi gli iscritti che, con pochi euro per la tessera annuale, contribuiscono ai progetti portati avanti dall’associazione.
    La sede è luogo d’incontro della Cosenza solidale. Qui non mancano mai risate, convivialità e accoglienza per chiunque voglia passare, anche solo per fare un saluto.

    Il simbolo della Terra di Piero
    Le opere, le iniziative, la solidarietà

    La Terra di Piero continua ad andare in Africa portando da Cosenza container pieni di cibo, acqua, vestiti, giocattoli per i bambini, costruendo case, scuole, parchi inclusivi. E, a proposito di parchi, l’associazione ha costruito il Parco Piero Romeo su una delle vie principali di Cosenza. Un posto accessibile a tutti i bambini. In poco tempo, quello che era un desolato giardinetto abbandonato a se stesso, è diventato un posto magico che l’associazione è riuscita a costruire ex novo. Ad abbellirlo ulteriormente, sono le risate e le voci dei ragazzini che lo popolano ogni giorno. D quello per i nipoti al Parco dei Nonni, dove le generazioni si incontrano con facilità. Ecco l’ultima new entry ubicata a Rende.

    Il Parco Romeo in pieno centro a Cosenza

     

    Durante il lockdown distribuiti 650 pasti al giorno

    Quando a qualcuno manca materiale scolastico, giocattoli, abiti basta un post su Facebook e arrivano donazioni da parte di tutti i cittadini, scorte di ciò che serve. Un’iniziativa molto recente è quella della tecnica di microblading (trucco semipermanente) per pazienti oncologici, ed esecuzione di tatuaggi artistici e ricostruttivo per coprire cicatrici e ustioni.

    Durante il periodo del lockdown sono stati 650 i pasti completi distribuiti ogni giorno – per un totale di 1250 spese settimanali – a persone e famiglie in difficoltà. Un vero esempio di solidarietà e, diciamolo, civiltà.

    E per chi volesse contribuire a finanziare i progetti dell’associazione, le coordinate bancarie sono queste: intestazione a La Terra di Piero; Iban IT75S0100516200000000002970; banca BNL Filiale di Cosenza. Oppure è possibile donare il 5×1000 (C.F. 98086940784).

    Quarantadue repliche per Conzativicci

    Gli spettacoli, poi, sono uno dei fiori all’occhiello dell’associazione. Scritti e diretti da Sergio Crocco e recitati quasi interamente da attori non professionisti. Maniàmuni, Fora affascino… ma il fenomeno è stato Conzativicci. A partire dal 2014 allo stadio del Cosenza – per poi approdare a Roma, Perugia, Bologna, Milano e (addirittura!) in Canada – ha registrato un totale di 42 repliche.

    Circa 8mila persone hanno assistito a “Conzativicci” al San Vito, commedia scritta e diretta da Sergio Crocco. Era il 2014. Da allora fiumi di repliche da sold out
    Il rapporto della città con La Terra di Piero

    «Negli anni abbiamo raggiunto una sorta di simbiosi con la città che ci permette di interagire con tutti gli strati sociali, con la certezza assoluta di ricevere risposte coerenti ai nostri appelli per migliorare la qualità della vita delle persone in difficoltà. A me piace dire che “Cosenza la sentiamo sempre al nostro fianco”». Descrive così questo rapporto Sergio Crocco, che continua: «Credo che il Parco Piero Romeo abbia avuto questa funzione sociale, oltre che ludica. Mostrare alla città tanti suoi abitanti a volte troppo “invisibili”. Anche nell’aspetto pratico molto è stato fatto, ma tanto resta da fare e da pensare. Resta-no ancora troppe sacche di disagio dovute alla disabilità».

    Un ingranaggio collettivo

    Sergio Crocco è il cuore pulsante della Terra di Piero. Ma spiega quanto è importante il gioco di squadra: «La nostra associazione è un ingranaggio collettivo e io ne faccio parte al pari di tutti gli altri». È consapevole di «avere un ruolo diverso e per alcuni versi più pregnante, ma sempre conscio di essere, senza gli altri, quasi impotente».

    La Terra di Piero ha il volto dei bambini

    «Non ci sono bambini più “uguali” degli altri, ad essere diverse sono, ovviamente, le esigenze» – afferma Sergio Crocco, che trova il tempo per essere al contempo anche giardiniere e scrittore. «La differenza – aggiunge Crocco – tra i bambini di alcune zone d’Africa e quelli occidentali – anche i più poveri – sta nel concetto di appetito (il nostro) e quello di fame (la loro)». Perché «il sangue dei bambini ha però sempre lo stesso colore, che sia di Mendicino come di Addis Abeba».

    Mamma Africa 

    Il progetto già praticamente terminato è il Parco di Daniele a Kaolack in Senegal. «Completamente accessibile ai bambini disabili» – ci spiega Sergio Crocco. Non è finita qui. «Poi ne arriverà un altro ad Antsirabe, in Madagascar. E poi un progetto molto ambizioso ed oneroso: la cittadella degli sport accessibili. Serviranno tempi e fondi, ma sono difficoltà che non ci fanno paura».

    E non è un caso se l’ultimo scritto di Sergio Crocco si chiama “Watoto, storie e sorrisi di bambini d’Africa”. I sorrisi della Terra di Piero.

     

    Giulia Anzani

  • Portaborse “portavoti”: la Regione e il ritorno degli amici

    Portaborse “portavoti”: la Regione e il ritorno degli amici

    Con l’insediamento del nuovo consiglio regionale uscito dalle urne il 4 e 5 ottobre si manda in soffitta l’undicesima legislatura della Calabria. Un’esperienza da record sotto molti punti di vista. La prima che ha visto una donna sedere sullo scranno più alto dell’Assemblea, Jole Santelli, scomparsa dopo neanche un anno dall’elezione. La prima legislatura nata e cresciuta in piena pandemia e durata appena 18 mesi (anche questa è una prima assoluta).
    Una esperienza da record anche per ciò che riguarda portaborse e co.co.co. Nell’ultimo anno e mezzo l’Ufficio di presidenza e le strutture del consiglio regionale sono costati la bellezza di 5 milioni 172mila euro.

    Gli incarichi lampo

    Facciamo due conti. Solo i lavoratori con contratti di collaborazione che nel 2020 si sono succeduti alle dipendenze dei gruppi consiliari sono stati 233 e sono costati 597mila euro. Nel 2021 qualcuno si è perso per strada e ne sono rimasti 179, per un spesa complessiva di 253mila euro. Tradotto in soldoni: 850mila euro in appena 18 mesi.
    La tipologia e la durata degli incarichi lasciano qualche dubbio: i più impegnativi durano 5 mesi, quelli più sbrigativi appena 17 giorni.

    Anche i compensi in questi 18 mesi oscillano parecchio. L’ultimo in classifica intasca 296€ contro i 17mila del primo arrivato che, ovviamente, è una vecchia conoscenza della tecnocrazia calabrese. Si chiama Flavio Cedolia, rendese, nel 2012 direttore generale di Fincalabra e commissario liquidatore dell’Arssa nel 2013.
    Fortuna che non ci sono malelingue e oppositori politici a commentare questi dati. Altrimenti avrebbero potuto interpretarli come una sorta di ricompensa post-elettorale per ripagare gli amici.

    Portaborse o portavoti?

    Nei corridoi di Palazzo Campanella c’è sempre stato un gran via vai di segretari, autisti, portaborse, collaboratori più o meno esperti. Gli ultimi 18 mesi non fanno eccezione. La legge consente agli eletti di assumere personale esterno pagato dalle casse pubbliche e i consiglieri non fanno altro che usare uno strumento del tutto legittimo. Chiarito questo punto, andiamo a vedere chi sono i collaboratori che hanno sostenuto un Consiglio convocato in poco più di quindici occasioni, quasi solo per gestire l’ordinaria amministrazione. E come in un elenco che dovrebbe comprendere tecnici o chauffeur la politica faccia spesso capolino.

    Mogli, mariti e possibili ripescaggi

    Non essendo stato riconfermato non potrà più accontentare i suoi grandi elettori, il consigliere uscente di opposizione, Graziano di Natale, che ci aveva mostrato come fosse possibile infilare nella sua struttura fino ad otto componenti con un compenso mensile variabile tra i 1400 e i 1700 euro.

    Tra segretari particolari, responsabili amministrativi, collaboratori esperti e autisti, in un anno e mezzo si sono succeduti Ilaria De Pascale, vicesindaco di Lago, Chiara Donato, consigliere comunale di Paola, Francesco Città, ex segretario del Pd di Paola, Vanessa Franco, presidente del consiglio comunale di Roseto Capo Spulico, Sonia Forte, ex assessore di Morano Calabro. Per tutti un lungo curriculum da esperti in campagne elettorali.

    graziano_di_natale
    Il consigliere regionale uscente Graziano Di Natale

    Resterà a casa anche il consigliere di minoranza Giuseppe Aieta e, come lui, anche il suo segretario particolare Matteo Viggiano. Quest’ultimo, consigliere comunale di Bonifati, dovrà rinunciare ad un mensile di 3.300 euro. Lascerà sul piatto 1.400 euro, invece, il sindaco di Acri, Pino Capalbo, prima autista poi promosso da Aieta collaboratore esperto. In passato per pochi mesi nella stessa posizione lo aveva preceduto sua moglie.

    Fuori dal risiko delle nomine a chiamata anche il consigliere uscente Dem, Carlo Guccione che lascia a casa l’assessore di Aiello Calabro, Luca Lepore. Niente di più facile, però, che Lepore venga ripescato dal neo-eletto Pd, Franco Iacucci, che di Aiello Calabro è sindaco.

    Si resta in famiglia?

    Chissà se la moglie dell’uscente Luca Morrone, Luciana De Francesco, appena eletta in quota Fdi, rinnoverà il contratto di collaborazione a miss Cotonella Calabria 2015, Annalisa Torbilio. Annovera nel cv anche una partecipazione a Temptation Island nel 2019. O se deciderà di mantenere l’ingegnere Santo Serra, già candidato alle amministrative di Cosenza del 2011 con i socialisti dell’avvocato Paolini. Poi deve essere rimasto deluso ed è passato dall’altra parte.

    De Francesco potrebbe inoltre contare su Paolo Cavaliere (vicesindaco di Fuscaldo), Pietro Lucisano (ex consigliere comunale di Rossano e consigliere alla Provincia di Cosenza) già “testati” dal marito come responsabili amministrativi al 50% e su due autisti d’eccellenza come Franco Piazza, che in Consiglio c’era già con papà Ennio, e Williams Verta, che si è fatto le ossa alla guida dei giovani di Forza Italia a Cosenza.

    Chi fa tris

    Nicola Irto si appresta ad inaugurare la sua terza legislatura consecutiva sotto le insegne del Pd. Se lo farà nel segno della continuità dovrebbe riconfermare per la terza volta consecutiva il suo autista Francesco Foti e l’ex coordinatore del Pd reggino, Girolamo Demaria, segretario particolare al 50%.

    Terzo ingresso a Palazzo Campanella anche per Mimmo Bevacqua, sempre Pd, che dovrà decidere se confermare i suoi storici collaboratori: l’autista Raffaele Morrone, (già consigliere comunale di Acri) e i segretari particolari al 50% Gianpaolo Grillo e Gianmaria Molinari, questo ultimo figlio del potente direttore generale della Provincia di Cosenza ai tempi di Oliverio, Tonino Molinari, poi sbarcato alla corte del sindaco Occhiuto fino alla dichiarazione di dissesto del Comune bruzio.

    domenico-bevacqua
    Mimmo Bevacqua

    Un giro nella struttura di Bevacqua in qualità di autista se lo è fatto pure Mario Aragona, segretario del movimento civico “Insieme Libera-Mente Insieme” di Montalto Uffugo vicino alla corrente Zonadem. Quella di Bevacqua, ovviamente. Come responsabile amministrativa spazio a Maria Luisa Cennamo, figlia del sindaco di Cetraro, Ermanno Cennamo. Per l’assessore del comune di Aprigliano, Giulio Le Pera, invece, il ruolo di segretario particolare al 50%, fresco di assoluzione dall’accusa di abuso d’ufficio nell’attribuzione di incarichi pubblici.

    I figli so’ piezz’e core

    Incetta di “parenti” per l’uscente Sinibaldo Esposito (Casa delle libertà) che ha ospitato Marco Polimeni, già consigliere comunale di Catanzaro e figlio del conduttore televisivo Lino, e Alessio Mirarchi, figlio del consigliere comunale di Catanzaro Antonio Mirarchi coinvolto nell’inchiesta Gettonopoli. Senza dimenticare Francesco Lobello, padre di Alessandra Lobello, assessore al Turismo sempre del comune capoluogo di Regione.

    Tra i collaboratori esperti fa capolino l’avvocato Nunzio Sigillo, parte del collegio difensivo nei processi Stige e Timpone Rosso. Di questi tempi, un buon penalista può fare comodo. Per tutti, una paga intorno ai 1.700 euro mensili.

    Giù dal Carroccio

    Non siederà più tra i banchi del Consiglio, Pietro Molinaro e così toccherà trovare nuova collocazione ai suoi ex collaboratori Antonio Mondeta, (presidente regionale di Lega Consumatori), al consigliere comunale di Acri in quota Lega, Marco Abruzzese, all’ex consigliere provinciale Lucantonio Nicoletti e a Carmine Bisignano, figlio dello storico sindaco di Bisignano, Umile, nonché fratello di Stefania Bisignano, candidata del Carroccio uscita sconfitta alla ultime comunali.

    Ha sfatato il vecchio luogo comune “donne al volate pericolo costante” il consigliere Giuseppe Graziano scegliendo come autista prima Giusi De Luca e poi la moglie di Diego Tommasi (ex assessore regionale all’Ambiente) Ester Bernabò. Alla corte di Graziano anche il collaboratore esperto recordman di “incassi” Flavio Francesco Cedolia.

    Il futuro

    Per la legge regionale 13 del 2002, (“le spese organizzative, di rappresentanza, di aggiornamento e documentazione, riconducibili esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all’attività del Consiglio regionale), ad ogni singolo consigliere spettano 8.159,76 Euro annui. In totale fa 1 milione e 264 mila euro in cinque anni.
    Con decorrenza 27 marzo 2020, l’ufficio di presidenza del Consiglio Regionale, inoltre, ha rideterminato il tetto massimo di spesa per il personale dei gruppi consiliari in 1.328.671,78 euro annui (42.860,38 euro a consigliere).

    Ancora non è dato sapere come si determinerà il prossimo consiglio regionale a riguardo. Ma, viste le sfide che ci attendono e le risorse del PNRR che dovrebbero arrivare, sarebbe forse utile, spendere più soldi per aggiornare il personale interno. Acquistare dotazioni tecnologiche magari, investire in formazione. Stabilire che nelle strutture dei consiglieri lavorino dipendenti regionali. E non ricompensare più i mestieranti delle campagne elettorali, siano essi grandi o piccoli elettori.
    Se il nuovo presidente eletto Roberto Occhiuto vuole che la Calabria sia davvero la regione “che l’Italia non si aspetta” potrebbe partire da qui.

  • Nero di Calabria: Forza Nuova e vecchi fantasmi

    Nero di Calabria: Forza Nuova e vecchi fantasmi

    A Roma hanno fatto notizia, in Calabria ci riescono molto meno. Anche perché i numeri, al di là di tatuaggi e pose, sono quelli che sono. Il microcosmo delle formazioni di estrema destra ha comunque i suoi sparuti rappresentanti anche tra Praia a Mare e Melito Porto Salvo. Dopo i disordini della manifestazione no Green pass e l’assalto alla Cgil si fa un gran parlare di Forza Nuova. E, forse, a queste latitudini non è noto a tutti che nella Capitale, in alcuni casi con ruoli di primo piano, ci fosse in piazza anche qualche seguace calabrese di Roberto Fiore.

    I leader calabresi

    Fondato nel 1997, votato all’integralismo cattolico e ispirato alla Guardia di ferro rumena, il movimento di cui ora da più parti si invoca lo scioglimento è guidato in Calabria da un catanzarese dal nome evocativo e dal cognome ancor di più: Jack Di Maio. È il successore di Davide Pirillo, crotonese che è salito di grado come coordinatore Fn del Sud e che figura tra i firmatari del comunicato emanato dopo gli arresti dei leader nazionali e nel quale si avverte che «nemmeno lo scioglimento di Fn potrebbe invertire la rotta di quanto sta avvenendo e avverrà nelle prossime settimane».

    davide_pirillo_forza_nuova
    Davide Pirillo, tatuatore crotonese e coordinatore per il Sud Italia di Forza Nuova

    Di Maio il 9 ottobre scorso ha fatto sapere, davanti a un furgoncino in un anonimo autogrill, di essere pronto all’«ennesimo giorno di lotta» con i suoi «fratelli». Qualche ora dopo Pirillo ha postato un video da Piazza del Popolo commentando con un «NO GREEN PASS… DRAGHI BOIA!». Nei giorni immediatamente successivi alle Regionali ha esultato per il 62% di astensionismo crotonese dicendo che «ha vinto il popolo» e provando magari a intestarsi pure il (non) voto dei residenti all’estero.

    Contro i vaccini, covid o non covid

    Ad agosto di quest’anno, invece, l’attuale coordinatore regionale di Fn si era fatto già sentire sulla stampa locale, con non eccessivo clamore ma parlando addirittura di «resistenza», quando alcuni sanitari no vax furono sospesi dall’ospedale Pugliese-Ciaccio: «Nel caso di operatori della sanità, la resistenza al vaccino ogm obbligatorio dovrebbe quanto meno far riflettere tutti. Avviene, invece, che medici e infermieri siano considerati come i primi untori irresponsabili, quando, come è logico, si tratta invece di lavoratori consapevoli – e certamente non infetti – a cui si nega il diritto al lavoro per un particolare vaccino, il meno conosciuto in assoluto, cosa che non avviene, ad esempio, per altri sieri obbligatori».

    jack_di_maio
    Jack Di Maio, terzo da sinistra, con altri militanti di Forza Nuova

    Nell’estate del 2020, quando ancora non circolava il vaccino anticovid e lui non aveva ancora raccolto il testimone passatogli da Pirillo alla luce delle «sue qualità umane e di organizzatore», Di Maio se l’era però presa con l’allora governatrice Jole Santelli – si può immaginare con quali effetti – per un’ordinanza sul vaccino antinfluenzale rivolta a operatori sanitari e over 65. «Cavalcando l’ormai esigua psicosi generale da coronavirus – ammoniva – e sulla scia del capogruppo alla Camera di Forza Italia Maria Stella Gelmini, la destra calabrese, capitanata dal presidente di Regione Jole Santelli, persiste nel diramare inutili e allarmistiche ordinanze». Qualche mese dopo i forzanovisti del capoluogo avrebbero regalato un’altra prodezza in una strada nel quartiere Stadio a Catanzaro con lo striscione «Gino (cambia) Strada».

    gino_cambia_strada_forza_nuova

    Una sfida tra percentuali da prefisso telefonico

    Oltre ai seguaci di Fiore sull’asse Crotone-Catanzaro – e oltre alle varie sezioni territoriali di Casa Pound, con cui marcano spesso reciproche distanze all’ombra dello zero-virgola –  a Lamezia è attivo l’ex portavoce regionale di Fn Igor Colombo che è poi passato alla guida di Azione Identitaria Calabria. In queste ore sferza così l’informazione nazionale: «Dunque per il Tg Uno Roberto Fiore sarebbe un ex terrorista dei Nar. Ma lo sanno da quelle parti che i Nar negli anni che furono volevano uccidere Roberto Fiore? Ma che informazione si fa?».

    ciro_salvini
    Il reggino Vincenzo Ciro in uno scatto di qualche mese fa insieme a Matteo Salvini

    A Reggio è invece presente il “Fronte Nazionale” di Adriano Tilgher, guidato sul territorio da Vincenzo Ciro, ingegnere-segretario regionale che pur dichiarandosi fascista, ma «laico» e lontano dall’integralismo cattolico, in queste ore condivide le posizioni di Marco Rizzo e parla di «strategia della tensione». E lancia anche diverse frecciate ai camerati di Forza Nuova: «Se non lo avete capito… non sono i fascisti il problema, ma chi paga quelli che vi fanno credere di esserlo per delegittimare e ridurre i diritti». E ancora: «Perché colpire un sindacato morto e finito come la Cgil? Cui prodest? Non era il caso di azioni ed obiettivi più seri? Comunque complimenti, ora la Cgil è diventata vittima ed il popolo carnefice».

    Mappe in nero

    Per chi fosse amante del genere, da una mappa interattiva pubblicata da Patria Indipendente, il periodico online dell’Anpi che ha realizzato un’analisi arrivata a comprendere 2700 pagine Facebook, ci si può fare un’idea di quante e quali altre sigle della galassia dell’estrema destra italiana siano presenti in Calabria. E visitando le rispettive pagine social ci si può fare magari anche un’idea del seguito che hanno. Un’altra mappa interattiva l’ha realizzata il collettivo bolognese Infoantifa ECN che raccoglie e cataloga, dal 2014, tutte le segnalazioni facenti riferimento ad atti di violenza di matrice neofascista.

    Include un solo episodio calabrese risalente al 2016: l’incendio del portone d’ingresso della sede di un circolo Pd a Lamezia che però, almeno secondo la Polizia, sarebbe addebitabile a due ubriachi che all’epoca dissero di non far parte di movimenti politici. Un capitolo a parte, ben più ampio e meno folkloristico, lo meriterebbero gli intrecci più o meno noti tra eversione nera e massomafia che hanno attraversato la storia della Calabria. Ma è davvero un’altra storia.

  • Medicina all’Unical, una storia di baroni e campanili

    Medicina all’Unical, una storia di baroni e campanili

    Tutti applaudono, o quasi. Ora che il nuovo corso di laurea in Medicina e tecnologie digitali è una realtà, c’è la classica corsa a salire sul carro dei vincitori.
    Ha applaudito Mario Occhiuto, che sta per concludere il suo decennio alla guida di Cosenza. Hanno applaudito, sul versante rendese, il sindaco Marcello Manna e la sua assessora Lisa Sorrentino.

    Non applaudono i gruppi dirigenti e, soprattutto, le associazioni catanzaresi, alcune delle quali si sono spinte a chiedere la testa del rettore Giovambattista De Sarro per quello che percepiscono come uno “scippo” della classe dirigente cosentina, considerata “predatoria”.

    Applaude in maniera tiepida Sandro Principe, che già lo scorso febbraio aveva ammonito: «La strada è ancora lunga», per la creazione di una facoltà vera e propria. E aveva rimesso sul tappeto il problema del nuovo Ospedale di Cosenza e, soprattutto, della sede in cui realizzarlo. Che secondo lui non può che ricadere il più vicino possibile all’Unical. Cioè nella sua Rende. Ma accusare Principe di campanilismo, a questo punto, può risultare gratuito. Nella vicenda travagliata della scuola medica cosentina, infatti, i campanilismi che hanno pesato di più sono quelli tra Cosenza e Catanzaro.

    Un goal accademico

    I politici applaudono. Ma quella che si è patteggiata a febbraio col nulla osta ministeriale e si è conclusa a giugno con l’istituzione del nuovo Corso di laurea è una tregua in una “guerra” ultratrentennale tra le baronie universitarie di Catanzaro e Arcavacata, in cui l’Unical si è ritrovata in una posizione di vantaggio perché decisamente più attrezzata a livello hi tech rispetto alla Magna Graecia.
    Detto altrimenti, se Medicina e tecnologie digitali doveva essere, non poteva che essere all’Unical. Specie ora che il blocco ingegneristico-informatico ha preso il sopravvento con l’amministrazione del rettore Nicola Leone, luminare dell’Intelligenza artificiale.

    leone_unical
    Il rettore Leone durante l’inaugurazione del nuovo corso di laurea

    Questo risultato – senz’altro ragguardevole ma che non autorizza a cantare vittoria – è il frutto dell’impegno di Sebastiano Andò, fondatore e storico preside della Facoltà di Farmacia.
    Un impegno non facilissimo, vissuto tra gli umori cangianti della politica, soprattutto cosentina, e tra i contrasti d’interesse tra le baronie universitarie.
    Perché l’Università della Calabria colmasse in maniera seria la sua lacuna nel settore sanitario sono stati necessari altri due fattori. Il primo è l’indebolimento della vecchia classe politica che, tranne poche eccezioni, ha cincischiato. Il secondo, il cambio della guardia nelle strutture accademiche di vertice.

    L’inizio dei dissidi

    La prima a non credere troppo (e, in buona sostanza a non volerla) nell’istituzione di una Facoltà di Medicina all’Unical è stata proprio una parte della classe dirigente dell’Ateneo di Arcavacata, che temeva di perdere spazi e potere.
    Questo timore, in non pochi casi, era giustificato con una motivazione ideologica in parte vera: la diffidenza, di matrice un po’ salveminiana e un po’ gramsciana, verso le “pagliette bianche”, cioè i medici e gli avvocati, considerati non del tutto a torto una causa dell’arretratezza meridionale.
    In altre parole, si credeva che Medicina e Giurisprudenza avrebbero snaturato la vocazione progressista dell’Università della Calabria.

    Questo pregiudizio agevolò non poco la nascita del polo universitario catanzarese, che approfittò delle lacune dell’Unical per dotarsi, a fine anni ’70, di queste due facoltà. Che furono istituite come sedi staccate della Federico II di Napoli (Medicina) e dell’Università di Messina (Giurisprudenza).
    Questa intelligente autocolonizzazione fu il nucleo da cui sorse la Magna Graecia.

    La lunga marcia

    L’inversione di rotta è iniziata negli anni ’90 con l’istituzione di Farmacia ed è proseguita attraverso step difficili e combattuti.
    Il primo risultato consistente è stata l’istituzione della facoltà di Scienze dell’Alimentazione (2008). Fu il frutto delle pressioni accademiche di Andò ma anche dell’interlocuzione intelligente tra Sandro Principe, all’epoca assessore regionale alla Cultura dell’amministrazione Loiero, e Salvatore Venuta, fondatore e primo rettore della Magna Graecia.

    sebastiano_andò_unical
    Il professor Sebastiano Andò

    Tuttavia, il passo in avanti più forte lo ha fatto il preside di Farmacia, sceso in campo in prima persona nel 2011.
    Andò dapprima propose un Ordine del giorno al Consiglio provinciale di Cosenza sull’istituzione di Medicina all’Unical. L’assemblea provinciale votò all’unanimità l’iniziativa e Mario Oliverio, all’epoca al suo secondo mandato di presidente della Provincia, la sposò appieno.
    In seconda battuta, il prof di Arcavacata contattò direttamente i sindaci del Cosentino, da cui ottenne 143 delibere favorevoli all’istituzione della nuova Facoltà. Praticamente un tripudio.

    Lo stop di Scopelliti

    Purtroppo, territori e istituzioni seguono tempi e logiche diverse. Ne è un esempio il tentennamento di Peppe Scopelliti, all’epoca presidente di Regione, di fronte all’istituzione di un’altra facoltà medico-sanitaria presso l’Università della Calabria, cioè Scienze sanitarie, che si sarebbe dovuta realizzare attraverso un accordo tra l’Unical e la Sapienza di Roma.

    peppe_scopelliti
    L’ex presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti, stoppò l’istituzione della facoltà di Scienze sanitarie all’Unical

    Catanzaro, in questa occasione, mise il bastone tra le ruote, con un’impugnazione al Tar sostenuta da Aldo Quattrone, all’epoca rettore della Magna Graecia. Vinse l’Unical, che poteva contare anche sul classico asso nella manica: lo sponsor “romano” dell’accordo con la Sapienza era allora il cosentino Eugenio Gaudio (per capirci, il quasi commissario alla Sanità calabrese), prossimo a diventare rettore.

    Le condizioni c’erano tutte. Mancò solo la firma di Scopelliti, che all’ultimo si tirò indietro. Campanilismo reggino? Forse. Ma tutto lascia pensare che nella retromarcia dell’ex governatore e commissario regionale della Sanità abbia avuto un ruolo non leggero il timore di inimicarsi la classe dirigente catanzarese, che tiene tuttora i cordoni della borsa in Regione.

    Il timore di Oliverio

    E probabilmente questo timore lo ha provato anche Oliverio, che durante la sua amministrazione regionale si è dimostrato piuttosto tiepido sull’ipotesi Medicina all’Unical.
    In pratica, ha funzionato sin troppo la regola non scritta del regionalismo calabrese, secondo cui si vince e si perde a Cosenza, ma si comanda sempre a Catanzaro.
    Scopelliti vinse grazie ai voti del Cosentino, anche di quei sindaci che firmarono entusiasti l’appello di Andò ma si frenò davanti alla classe dirigente catanzarese.
    Oliverio, primo governatore cosentino eletto direttamente dai calabresi, titubò di fronte al Pd del capoluogo regionale.

    Se le cose stanno così, non si va lontani dal vero a pensare che la situazione si sia sbloccata grazie al declino della classe politica calabrese.
    Non è un caso che, proprio nel 2018, il Dipartimento di Farmacia dell’Unical abbia avuto il riconoscimento del Miur per l’Area medica. E che, nello stesso periodo, la specialità delle Professioni sanitarie sia entrata nel bottino dello stesso dipartimento.
    Quindi il Corso di laurea in Medicina e tecnologie digitali è il primo punto d’arrivo di un percorso piuttosto lungo e ancora da finire.

    I campanilismi tra Cosenza e Rende

    Una seconda contesa campanilista si è messa di mezzo nel percorso verso il Dipartimento di Medicina: quello tra Cosenza e Rende. Questa contesa ha per oggetto il nuovo Ospedale Hub di Cosenza, più precisamente la sua collocazione.
    Le classi dirigenti rendesi vorrebbero realizzare in nuovo nosocomio nei terreni vicino all’Istituto agrario d’oltre Campagnano, che sono di proprietà della Provincia e quindi non dovrebbero neppure essere espropriati.
    Questo progetto risale al 2006, ai tempi dell’amministrazione di Umberto Bernaudo. E si basa sulla integrazione totale tra Ospedale e Unical.

    nuovo_ospedale_cosenza
    Il progetto per il nuovo ospedale presentato nel 2016 da Mario Occhiuto in campagna elettorale

    Le risposte cosentine sono state più articolate. La prima è stata avanzata durante la sindacatura di Salvatore Perugini e prevede la costruzione del nuovo Ospedale a Donnici. Le altre proposte, corroborate da studi di fattibilità approfonditi (e costosi), hanno corretto il tiro verso il centro città. Cioè Vaglio Lise (tra l’altro zona della Stazione ferroviaria), Colle Mussano e comunque un’area a metà strada tra l’Ospedale dell’Annunziata e il Mariano Santo di Mendicino.
    Ma il legame tra nuovo Ospedale, inteso come struttura fisica, e Dipartimento di Medicina è considerato imprescindibile solo dalla classe politica.

    Un problema politico, ma anche medico

    Infatti, secondo Andò, il problema è piuttosto di scuola medica: «L’Ospedale, prima che una struttura edile, è una comunità di professionisti. Cosenza, in cui non mancano dei grandi medici, sconta un problema serio: la classe sanitaria più anziana d’Italia». Un modo elegante di dire che occorre un turn over e, soprattutto, una classe medica più giovane, capace di conciliare la ricerca e la professione.
    Se questo turn over ci sarà, si potranno realizzare le cliniche. Altrimenti, per il momento va bene il modello “cogestito” tra Magna Graecia e Unical: i primi tre anni ad Arcavacata per la teoria e gli altri tre a Catanzaro per le cliniche.

    Ad ogni buon conto, il primo passo è stato fatto. Ed è un passo importante, al netto di ogni campanilismo: per soddisfare i fabbisogni della Sanità calabrese servirebbero trecento medici in più. E l’Ateneo di Germaneto ne produce sì e no cento all’anno.
    Una formazione sanitaria diffusa potrebbe aiutare non poco tutto il territorio regionale. Quindi, non Arcavacata “contro” Germaneto ma Unical e Magna Graecia. Quando lo si capirà a dovere, si passerà dalla tregua alla pace.

  • Depurazione, l’Ue boccia l’Italia: tanta Calabria nella condanna

    Depurazione, l’Ue boccia l’Italia: tanta Calabria nella condanna

    Passata l’estate delle copromorfe fioriture algali, la speranza era che dei problemi della depurazione non si dovesse parlare almeno per un po’. Dal Lussemburgo, invece, tre giorni fa è arrivata l’ennesima tirata d’orecchie per l’Italia, rea di non aver rispettato le norme comunitarie in materia di acque reflue. E nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea ha un peso notevole (in negativo) la Calabria.

    Multe vecchie e nuove

    Il Belpaese non è nuovo a verdetti di questo genere. Paga, infatti, già circa 55 milioni di euro all’anno come sanzione per il mancato adeguamento dei propri impianti di depurazione alle direttive europee. Stavolta doveva difendersi da una procedura d’infrazione avviata nel 2014 e conclusa pochi giorni fa con la conferma delle violazioni contestate alle autorità nazionali dalla Commissione europea.

    Oggetto del contenzioso erano raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane in centinaia di aree sensibili dal punto di vista ambientale, materia regolamentata dalla direttiva Ue sulle acque reflue (91/27/Cee). È la prima condanna per l’Italia su questo specifico dossier, ragion per cui al momento non si prevedono multe. Ma se la situazione delle fogne non dovesse mutare in meglio scatterebbero nuove sanzioni.

    La situazione in Italia

    E la situazione quale sarebbe? Che nel nostro Paese sono 159 i Comuni che ancora oggi non sono dotati di reti fognarie per le acque reflue urbane. Non solo: 609 agglomerati le reti le hanno, ma non a norma. Lo stesso numero di quelli in cui la pubblica amministrazione non ha predisposto le misure necessarie affinché «la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali, e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico».

    La Calabria si distingue in negativo 

    Nel primo caso, solo la Campania, con i suoi 85 centri, fa peggio della Calabria. Che si ferma a 58 casi citati (oltre un terzo del totale nazionale) nella sentenza, ma può fregiarsi di un poco invidiabile primato. È l’unica Regione italiana, infatti, a vantare nella sua lista il capoluogo: Catanzaro. La città di Sergio Abramo è in buona – o, meglio, cattiva – e abbondante compagnia. Nella lista nera dell’Ue ci sono parecchi centri del Cosentino con problemi di depurazione, ma non mancano quelli delle altre province.

    L’elenco comprende, infatti, anche Acquaro, Aiello Calabro, Altomonte, Bocchigliero, Caccuri, Cardeto, Casabona, Celico, Cerisano, Cerzeto, Chiaravalle Centrale, Cirò, Cirò Marina, Conflenti, Delianuova, Fiumefreddo Bruzio, Gioiosa Ionica, Grotteria, Ioppolo, Lago, Laino Borgo, Lattarico, Lungro, Luzzi, Maierato, Melissa, Mongrassano, Monasterace, Mottafollone, Palizzi, Paludi, Paola, Parghelia, Petilia Policastro, Placanica, Plataci, Platì, Polia, Rocca di Neto, San Benedetto Ullano, San Demetrio Corone, San Giorgio Albanese, San Gregorio d’Ippona, San Marco Argentano, San Martino di Finita, San Sosti, Santa Agata d’Esaro, Santa Caterina Albanese, Santa Severina, Santa Sofia d’Epiro, Scandale, Scigliano, Scilla, Seminara, Spilinga, Tarsia, Zambrone.

    Nessun trattamento e impianti inadeguati

    Sono 128 invece i Comuni calabresi a non garantire che «le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente». Gli stessi che quando si parla di impianti di trattamento non sono in grado di «garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali, e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico». Nessuna regione fa peggio quando si parla di depurazione.

    Anche in questo elenco non mancano nomi eccellenti, come Corigliano (non ancora unificata a Rossano all’apertura del procedimento) e Rende. Ai 58 Comuni già citati poche righe più su vanno infatti aggiunti: Aprigliano, Belvedere Marittimo, Bianchi, Bisignano, Bonifati, Borgia, Briatico, Cardinale, Cariati, Carlopoli, Cerva, Cessaniti, Civita, Corigliano Calabro, Crosia, Crucoli, Dinami, Drapia, Fabrizia, Fagnano Castello, Feroleto Antico, Ferruzzano, Filadelfia, Firmo, Francavilla Angitola, Francavilla Marittima, Frascineto, Gerocarne, Gimigliano, Grimaldi, Guardavalle, Guardia Piemontese, Limbadi, Maida, Malvito, Mammola, Mandatoriccio, Marcellinara, Maropati, Mormanno, Nardodipace, Oppido Mamertina, Oriolo, Orsomarso, Parenti, Paterno Calabro, Pedace, Pentone, Piane Crati, Rende, Riace, Roccella Ionica, Roggiano Gravina, San Calogero, San Giovanni in Fiore, San Lorenzo del Vallo, San Nicola da Crissa, San Pietro Apostolo, San Pietro di Caridà, San Roberto, San Vincenzo La Costa, Santo Stefano in Aspromonte, Serra San Bruno, Serrastretta, Sersale, Spezzano Albanese, Tiriolo, Torano Castello, Verbicaro, Varapodio e Zungri.

  • Pnrr e autonomia: Calabria ancora colonia di Roma?

    Pnrr e autonomia: Calabria ancora colonia di Roma?

    La litania va risuonando di nuovo in questi giorni. Canto e controcanto: ci state fregando, anzi scippando, ci toccano più soldi e dovete darceli; no, non credete alle bufale, vi daremo tutto il denaro che vi spetta, anzi se fate i bravi ve ne daremo anche di più, ma dovete saperlo spendere. Da una parte i Robin Hood del vittimismo pseudomeridionalista (che per la causa vendono un sacco di libri), dall’altra i campioni del governismo rassicurante (che offrono il loro prestigio istituzionale a salvaguardia dell’ignoranza del popolino).

    In mezzo ci sono presidenti di Regione, amministratori locali e cittadini a cui lo Stato italiano e l’Unione europea stanno facendo odorare qualcosa come 82 miliardi di euro senza ancora farglieli toccare. Sono queste le posizioni da cui muove l’eterno dibattito sul rapporto (evidentemente e ovviamente non paritario) tra la Calabria e Roma. La diatriba sulla distribuzione dei soldi del Recovery attraverso il Pnrr ne è l’esempio più recente.

    Sette miliardi in ballo

    Le vicende degli ultimi giorni. Repubblica, non esattamente un bollettino neoborbonico, venerdì sbatte in prima pagina un titolone di tre parole e una virgola: Recovery, allarme Sud. In estrema sintesi il quotidiano dice che la quota del 40% del Pnrr al Sud è solo «sulla carta» perché alcune Regioni stanno rifacendo i conti sui primi bandi e si sono accorte che la fatidica percentuale viene calcolata «non sul totale delle risorse» che arrivano dall’Europa «ma solo su una parte di queste».

    repubblica_Pnrr

    Ballano 7 miliardi perché, alla luce del calcolo sui fondi complessivi (222 miliardi), dovrebbero essercene 89 e invece sono 82. Seguono alcuni calcoli sulle singole missioni – sono 6 in tutto – e «a scavare», dice Rep, «si scopre» che 2 missioni superano il 40% (53% su infrastrutture e 46% per istruzione), una lo «sfiora» (39% per lavoro e inclusione) e le altre 3 (rivoluzione digitale, verde e salute) sono al di sotto. Rispetto al Pnrr «la media delle 6 missioni fa però 40%». Ok.

    Carfagna, Nesci e gi amministratori locali

    Il giorno dopo scatta l’intervista riparatoria alla ministra del Sud Mara Carfagna. Che a domanda risponde quello che tutti si aspettano risponda – «i fondi ci sono, il Mezzogiorno dimostri di saperli spendere» – dicendosi «meravigliata da chi dà credito a una ricostruzione così grossolana senza verificarne la fondatezza». Le fa eco nel giro di poche ore la sua sottosegretaria calabrese, Dalila Nesci, che aggiunge che i nostri 82 miliardi sono «al sicuro» ma «è indispensabile l’apporto progettuale degli enti locali».

    carfagna-Pnrr

    Sì, gli enti locali, quelle propaggini periferiche dello Stato in cui sindaci che piangono miseria, maneggiando dissesti con la destra e tracciamenti covid con la sinistra, devono sorbire lezioni di buone pratiche da rappresentanti di sottogoverno che non riuscirebbero a mettere insieme neanche una lista per le Comunali in un paesino dell’estremo Sud. Comunque, al di là della retorica dell’«opportunità storica», dell’«ultima spiaggia» e del «treno» che non ripassa, la dialettica Calabria-Roma non si materializza solo sul Pnrr.

    Coloni calabri e palazzi romani

    e Un ex governatore come Mario Oliverio, che durante i suoi 14 anni da deputato non si sognava nemmeno certi slogan, a fine carriera ha rispolverato una crociata contro la «deriva colonialista» che dalla capitale ha commissariato prima la sanità per cui non si è mai incatenato – tutti abbiamo immaginato tremare le colonne di Palazzo Chigi – e poi il suo (ormai ex) partito, il Pd. La crociata è finita alle Regionali con la misera percentuale che sappiamo, ben distante da quella di Roberto Occhiuto che del trovarsi a suo agio tra i palazzi romani ha fatto quello che lui chiamerebbe un brand.

    oliverio_Pnrr
    Mario Oliverio aveva promesso di incatenarsi a Roma per porre fine al commissariamento della Sanità calabrese

    «Ho avuto a che fare per anni con ministri e leader nazionali, sono il capogruppo di Forza Italia alla Camera, pensate che ora non sappia far valere le ragioni della Calabria con il governo?». Per ora la sua vittoria è servita a Forza Italia a far valere se stessa sul tavolo romano del centrodestra, perché è grazie alla controtendenza calabra che Silvio Berlusconi si può mostrare ringalluzzito a livello 1994 e può ridimensionare Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

    La ricetta sino-americana di Occhiuto

    La vittoria di Occhiuto servirà anche al contrario, avrà un ritorno concreto, da Roma, su quel territorio che lui ora è chiamato a governare? O dobbiamo aspettarci solo altre costosissime perle sul genere video-di-Muccino? Tutto da vedere. Intanto, mentre a Milano Beppe Sala fa la giunta in 5 giorni e si dice «pronto per il Pnrr», il neo governatore ha a che fare – per dire – con le pretese di Nino Spirlì e l’inappagamento di Ciccio Cannizzaro.

    Inoltre Occhiuto per ora dispensa in diretta nazionale certe ricette per l’economia calabrese che sembrano un cocktail di turbocapitalismo cinese e liberismo reaganiano poco poco fuori tempo: «Abbiamo un costo del lavoro che è più basso del resto d’Italia. Abbiamo la possibilità – ha detto a Tg2 Post – di attrarre investitori che possano trovare in Calabria un costo del lavoro basso e anche il capitale cognitivo che serve per le loro imprese». Insomma: venite e sfruttateci tutti, vi aspettiamo.

    Autonomia differenziata

    Non parliamo poi dell’Autonomia differenziata. Se ne discute da anni a seguito delle «iniziative intraprese – riporta il sito della Camera – dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna». Ora il governo l’ha rispolverata inserendola, nottetempo, tra i collegati della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Nel testo Nadef del 29 settembre non c’era, in quello del giorno dopo è comparsa.

    Apriti cielo: parlamentari del Sud giurano di non averla votata, politici del Sud si dicono pronti a una nuova battaglia contro il governo. È su questo disegno, che vuole dare più «autonomia» alle Regioni a statuto ordinario evidentemente a vantaggio di quelle che se la passano meglio, che si dovrebbe misurare – più che nel gioco al pallottoliere sui miliardi del Pnrr – la forza politica di chi rappresenta il Sud e la Calabria nelle istituzioni e nei rapporti tra Regioni e Stato centrale.

    Il caso Lamezia

    E anche su ciò che serve davvero per «spendere bene» i soldi, tutti i soldi che da decenni ormai mette a disposizione l’Ue: i tecnici. Abbiamo bisogno di professionisti che scrivano progetti di qualità e che sappiano gestirne le fasi successive fino alla realizzazione sui territori. Nei nostri enti locali non ce ne sono a sufficienza. Un esempio emblematico arriva da Lamezia Terme: la quarta città della Calabria è riuscita ad essere tra gli 8 progetti pilota in tutta Italia del PinQua (Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare).

    lamezia_Pnrr
    Un panorama di Lamezia

    C’è in ballo un interessantissimo progetto di rigenerazione urbana (riqualificazione di edifici pubblici e privati, spazi verdi, piste ciclabili) che ha ottenuto un finanziamento di quasi 100 milioni di euro. Dentro ci sono anche soldi del Recovery, però tutto va realizzato e reso fruibile entro il 31 marzo 2026, sennò si rischia di perdere capra e cavoli. Indovinate: sì, c’è il rischio di non farcela, perché il Comune di Lamezia ha una gravissima carenza di personale e ancora oggi, a 7 giorni da un “mini” turno elettorale che ha sanato alcune irregolarità in solo 4 sezioni su 78, non c’è stata ancora la proclamazione degli eletti. A causa di un black out tra istituzioni che parte da e arriva a Roma, nel centro della Calabria la democrazia è sospesa da quasi un anno.

  • Benvenuti a Crotone, la città che vive in fondo alle classifiche

    Benvenuti a Crotone, la città che vive in fondo alle classifiche

    Misurare le grandezze economiche e sociali per comprendere meglio il livello di sviluppo delle comunità è questione di crescente interesse nella comunità degli esperti e dei decisori. Il principale indicatore della crescita – il prodotto interno lordo – era stato introdotto a valle della Grande Crisi del 1929. Include tutti i tasselli del reddito prodotto, che però non necessariamente stabiliscono il grado di benessere delle popolazioni.

    Dal Pil al Bes

    Già nel 1968 Robert Kennedy affermava che «il nostro Pil comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette e le ambulanze per liberare le autostrade dalle carneficine. Mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte e le carceri per le persone che le forzano…In breve misura qualsiasi cosa, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Il lavoro di analisi finalizzato a riformulare gli indicatori con cui leggiamo la struttura della società e dell’economia è partito nel 2009, proseguendo per un decennio. Ha portato formalizzare una nuova metrica dello sviluppo, basata sulla misurazione del benessere economico e sociale (Bes).

    Anche l’Istat si adegua

    Da qualche anno l’Istat ha cominciato a pubblicare l’andamento degli indicatori nazionali secondo i nuovi criteri di benessere a livello provinciale. Questa nuova chiave di lettura consente di leggere la dotazione di capitale sociale sotto numerosi profili. Tiene conto, infatti, di sanità, servizi sociali, pubblica istruzione, mercato del lavoro, competenze educative, efficienza delle pubbliche amministrazioni, diffusione della criminalità, ampiezza delle istituzioni culturali, qualità del territorio, energia proveniente dalle fonti rinnovabili, struttura della raccolta dei rifiuti, innovazione nei brevetti.

    Qual è il posizionamento delle province della Calabria rispetto all’Italia ed al Mezzogiorno? La serie storica Istat mette anche a disposizione l’evoluzione degli indicatori dal 2004 al 2020. Noi ci limiteremo a fotografare l’istantanea dell’ultimo anno, rinviando ad una successiva occasione l’osservazione dei mutamenti che si sono determinati nel corso degli ultimi quindici anni.

    Quanto viviamo

    Partiamo dalla durata della vita, espressa come speranza di vita alla nascita, misurata in numero medio di anni. In Italia tale indicatore arriva ad 82 anni nel 2020, con un calo vistoso rispetto al 2019 (83,2), sostanzialmente per effetto della pandemia. Il Mezzogiorno registra 81,6 anni nel 2020, con un calo meno vistoso rispetto al 2019 (82,4), segno di una minore aggressività mortale della pandemia.

    La Calabria registra nel 2020 una speranza di vita alla nascita pari allo stesso dato della media nazionale (82 anni), con un calo ancora meno vistoso rispetto al dato del 2019 nei confronti del valore nazionale e meridionale (82,4). Il miglior dato provinciale è quello di Catanzaro con 82,5 anni, mentre il peggiore è quello di Crotone con 81,1.

    Infanzia: mortalità e servizi

    Se però analizziamo il dato della mortalità infantile, espresso come numero per ogni 1.000 nati vivi, la forbice tra Italia e Mezzogiorno è più visibile, ed il risultato della Calabria è complessivamente più allarmante.
    Il numero dei bimbi morti è pari a 2,9 nella media nazionale ed a 3,7 nel Sud. La Calabria registra un valore peggiore rispetto a quello meridionale, con un dato pari a 4. La peggiore performance tra le province calabresi è quella di Reggio Calabria con 4,9, mentre il dato più confortante è quello di Vibo Valentia con 2,4. Rispetto a Reggio Calabria fanno peggio in Italia solo Trapani (6,4), Enna (6), Avellino (5,6), Ragusa (5,1).

    Servizi per l’infanzia

    Passiamo ora alla percentuale di bambini che hanno usufruito di servizi per l’infanzia. In questo caso il differenziale tra Italia e Mezzogiorno è particolarmente robusto: mentre il valore nazionale è pari al 14,7%, nel Sud l’indicatore non arriva neanche alla metà (6,4%) e la distanza rispetto al Centro è abissale (21%).
    In Calabria la situazione è disastrosa, con l’indicatore regionale che è pari al 3,1%. Solo Crotone si colloca sopra il valore della media meridionale (8,8%), mentre Vibo Valentia sta all’1,8% e Reggio Calabria arriva appena ad 1,9%, con una sola provincia in Italia che riesce a fare peggio rispetto alle due province calabresi: si tratta di Caserta (1%).

    Diplomati e laureati

    Se guardiamo alla percentuale della popolazione nella fascia di età 25-34 con almeno il diploma di scuola superiore, in Italia tale valore raggiunge il 62,9%, rispetto al 54,7% delle regioni meridionali. La Calabria si allinea sostanzialmente alla circoscrizione meridionale (54,9%), ma in una forbice di forte differenziazione a livello regionale, con un valore molto basso a Crotone (44,7%) ed un risultato molto più elevato a Cosenza (58,8%). L’unica provincia italiana che registra un valore peggiore per questo indicatore rispetto a quello di Crotone è Barletta-Andria-Trani (43,5%).

    Se, nella stessa fascia di età, andiamo a misurare la percentuale dei laureati, la forbice tra Italia e Mezzogiorno torna ad allargarsi. Mentre l’intera nazione registra il 28,3% di laureati, il Sud si ferma al 22%.
    La Calabria a livello regionale è in linea con il Mezzogiorno, con il 22,1%, ma anche in questo caso le differenze sono molto sensibili a livello provinciale: si passa dal massimo di Cosenza, con il 27,3%, al minimo di Crotone con il 14,6%, poco più della metà rispetto alla migliore performance calabrese. Solo Oristano, con il 13,7%, fa peggio di Crotone in Italia per questo indicatore.

    Il primato dei Neet

    I giovani che non lavorano e che non studiano (Neet) sono in Italia il 23,3%, ma arrivano a sfiorare un terzo nel Mezzogiorno (32,6%). In Calabria questo indicatore supera un terzo a livello regionale (34,6%), ed addirittura arriva a sfiorare la metà a Crotone (47,2%). Per questo indicatore Crotone registra la peggiore performance dell’intera nazione, un primato certamente poco invidiabile.

    Le prove Invalsi

    Nella competenza alfabetica non adeguata, misurata dalle prove Invalsi, l’Italia registra il 34,1%, indicatore già preoccupante in sé. Il Mezzogiorno sta al 43,4%: quasi uno su due dei giovani meridionali deve colmare competenze di base nella espressione e nella comprensione linguistica. La Calabria varca questa soglia già drammatica, ed arriva al 49%, quasi uno su due dei giovani meridionali deve colmare competenze di base nella espressione e nella comprensione linguistica. Crotone, ancora una volta, si spinge oltre, ed arriva al 56,9%, ancora una volta il peggiore indicatore a livello nazionale.

    Nella competenza numerica, sempre misurata con i risultati delle prove Invalsi, la situazione è persino peggiore, per il Paese, per il Sud e per la Calabria.
    In Italia il tasso di inadeguatezza numerica è pari al 39,2%, mentre nel Mezzogiorno si supera la metà: 53,4%. La Calabria a livello regionale arriva al 60,3%, con la punta avanzata nella solita Crotone al 65,9%, anche in questo caso con la peggiore performance nazionale.

    I dati sul mercato del lavoro

    Se misuriamo il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, in Italia l’indicatore è pari al 19%, rispetto ad un Mezzogiorno che arriva ad un terzo della popolazione in età attiva (33,5%%). La Calabria si colloca su un valore regionale più elevato rispetto alla media meridionale (37,7%), ma con una forbice rilevante al suo interno tra il 33,5% di Cosenza ed il 48,7% di Crotone, ancora una volta in testa in questa poco invidiabile graduatoria.

    L’occupazione giovanile

    Il tasso di occupazione giovanile, nella fascia di età tra 15 e 29 anni, registra in Italia un valore pari al 29,8%, con il Mezzogiorno che arriva stentatamente ad un occupato per ogni cinque giovani (20,1%). In Calabria il valore regionale e poco inferiore alla media meridionale (19,6%), con una varianza interna provinciale molto marcata: si passa dal 23,2% di Cosenza al 12,6% di Vibo Valentia ed al 12,7% di Crotone.

    Cosenza è la città con meno no profit in Calabria

    Misuriamo infine la presenza sui territori delle organizzazioni no profit, espresse per ogni 10.000 abitanti: in Italia sono 50,7 mentre nel Mezzogiorno arrivano a 38,5. Questo indicatore esprime il capitale sociale diffuso e dedicato a specifiche finalità meritevoli di tutela e di impegno diretto da parte dei cittadini.
    In Calabria il dato è leggermente più positivo del Mezzogiorno (40,6). Vibo Valentia registra il valore più elevato a livello regionale (45,1), seguita da Catanzaro (44). Ancora una volta è Cosenza ad essere fanalino di coda nella graduatoria regionale.

    La popolazione esposta a rischio frane

    Per verificare la qualità del territorio, analizziamo l’indicatore che esprime la percentuale di popolazione esposta al rischio di frane. In Italia questo valore è pari al 2,2%, mentre questa percentuale sale al 3,2% per le popolazioni meridionali. In Calabria questo dato schizza al 4,5%, con una punta del 6,2% a Catanzaro.
    Nella raccolta differenziata dei rifiuti l’Italia ha raggiunto il 61,3%, contro poco più della metà nel Mezzogiorno (50,3%). La Calabria su scala regionale si colloca poco sotto (47,9%), ancora una volta con una forbice molto vistosa tra Cosenza (58,6%) e Crotone (30,8%).

    Crotone prima in Calabria per servizi on line dei Comuni

    Se si osserva la fornitura di servizi interamente on line da parte dei Comuni alle famiglie questo indicatore arriva al 25,1%. Un quarto delle amministrazioni comunali italiane si è attrezzato digitalmente. Questa percentuale scende al 15,6% nel Mezzogiorno.
    In Calabria questa percentuale quasi si dimezza ancora (8,7%), con una punta più positiva nella provincia di Crotone (13,9%) ed un risultato più negativo nella provincia di Cosenza (6,4%), tra i peggiori a livello nazionale.

    La Calabria delle differenze

    Il quadro d’assieme che emerge dalla lettura degli indicatori di benessere economico e sociale relativo alla Calabria evidenzia due questioni strategiche che bisogna prendere in carico. Da un lato la condizione giovanile è in estremo disagio, sia sotto il profilo delle competenze sia sotto il profilo delle opportunità di lavoro. Dall’altro lato, nel disagio generale della Calabria, non esiste una realtà omogenea: per molto indicatori la forbice differenziale tra le province è molto elevata.

    Occorre quindi comprendere innanzitutto che esistono diverse Calabrie, che viaggiano a velocità differente rispetto ad un disagio mediamente allineato a quello del Mezzogiorno. I tasti che le politiche pubbliche devono cogliere sono differenziati in funzione di questi divari interni.
    Poi, senza politiche per la qualificazione delle competenze giovanili e senza la capacità di offrire una prospettiva alle nuove generazioni, la regione sarà destinata ad incartarsi su se stessa. E ad essere un territorio, se va bene, accogliente per i vecchi.