Categoria: Fatti

  • Cosenza, tra Franz e Bianca un accordo in salita

    Cosenza, tra Franz e Bianca un accordo in salita

    Quale coalizione ha vinto le Amministrative di Cosenza? Di risposte da quella che dovrebbe essere la futura maggioranza ne arrivano due.
    La prima – rafforzata dai numeri: 20 posti in Consiglio che bastano e avanzano per governare in autonomia – è quella che arriva dal trittico lista del sindaco, Pd e Psi: i vincitori sono quelli che hanno portato il centrosinistra al ballottaggio contro “l’altro Caruso”. Poi ci sono gli alleati della seconda ora, che avranno sì i loro riconoscimenti per il supporto dato nella sfida finale, com’è giusto che sia. Però, senza esagerare. Se c’è da sacrificarsi tocca agli ultimi arrivati farlo.

    Il neo sindaco di Cosenza, Franz Caruso (foto Alfonso Bombini)

    La seconda risposta, invece, è quella dell’altra metà del centrosinistra, anche nazionale visto che di mezzo c’è quel M5S che coi democrat ormai flirta apertamente dopo gli anni del “Parlateci di Bibbiano”. A Cosenza, secondo Bianca Rende e i pentastellati, la coalizione vincitrice è quella che si è formata tra il 5 e il 15 ottobre, non quella “franzescana” doc col suo 29% del primo turno, insufficiente perfino a superare l’ex vicesindaco. La rimonta, in questa interpretazione, è arrivata grazie al supporto di chi prima era sfidante. Altrimenti sarebbe rimasta un sogno. E se a De Cicco toccano due posti che contano, il medesimo trattamento va riservato anche all’aspirante sindaca . Anche perché ha preso circa l’1% in meno della coalizione dell’ex assessore al primo turno e, al contrario di quest’ultimo, i “suoi” voti arrivano da un progetto civico ma dichiaratamente di centrosinistra. In linea, cioè, con il voto dei cosentini.

    Il nodo della presidenza

    E così a Cosenza, passata la sbornia per la vittoria, la nuova maggioranza nell’attesa di insediarsi ha iniziato già a scricchiolare. La diversità di vedute sulla distribuzione degli incarichi istituzionali è un problema di non facile soluzione. In casa Rende le idee sono chiare: spettano un assessorato e la presidenza del consiglio comunale. Quella che ritengono Caruso abbia già promesso loro quando, all’indomani dell’accordo per il ballottaggio con la ex rivale, delineò per la nuova alleata «un ruolo istituzionale di vigilanza a garanzia del raggiungimento degli obiettivi condivisi». L’identikit, da manuale, del presidente del consiglio.

    Il fatto è che oltre al manuale esiste la realtà. E in quest’ultima il presidente del consiglio comunale è molto altro. Da capo dell’assemblea è anche colui che ne stabilisce l’agenda, convocando le sedute e organizzando l’ordine del giorno. Stabilisce, in estrema sintesi, di cosa si parlerà in aula e quando si farà. O, se il momento politico non è dei migliori, quando non si farà.
    In più, il presidente guadagna un bel po’ di quattrini, che non guastano mai e al contrario dell’assessore non ci se ne libera ritirandogli la delega dall’oggi al domani. Tocca all’aula – con tutti gli accordi trasversali che possono sorgere in una crisi – trovarne uno nuovo. E il vecchio nell’aula ritorna come consigliere, una garanzia che chi approda in Giunta dal Consiglio non ha.

    Botte piena e moglie ubriaca

    La presidenza per sé e un assessorato ai Cinque Stelle sarebbe la classica soluzione da botte piena e moglie ubriaca per Bianca Rende. Ma quale sindaco affiderebbe a cuor leggero un incarico così delicato a una persona che soltanto poche settimane prima era sua avversaria alle elezioni? E poi, dettaglio non trascurabile, Caruso può rivendicare piena autonomia nel selezionare i suoi assessori, ma il Consiglio è un’altra cosa. Lì sono i partiti a votare. E per quanto il primo cittadino possa far pesare il suo ruolo nella discussione l’ultima parola sul tema non spetta a lui, chiamato a gestire col bilancino gli equilibri politici interni.

    Bianca Rende (foto Alfonso Bombini)

    Anche per questo il successore di Occhiuto continua a ribadire di non aver affatto promesso la presidenza, non di sua stretta competenza, a Rende. Un assessorato le avrebbe detto e un assessorato avrà, per sé o per la persona che vorrà indicare. E se declinerà l’offerta quel posto andrà a M5S. Le altre caselle sono già occupate a prescindere dalle deleghe, ancora tutte da stabilire.

    Il bottino degli alleati

    Stando così le cose, De Cicco avrà due assessori – lui stesso e Sconosciuto – perché a (quasi) parità di voti con Rende i suoi vengono giudicati più “pesanti” nella vittoria: arrivano da potenziali elettori di centrodestra. Un assessore andrà al Psi e altri due alla lista del sindaco, che da socialista storico in sostanza ne avrebbe tre. Pazienza se i nomi dei papabili sono quelli dei consiglieri De Marco e Battaglia, che fino a pochi giorni fa sedevano nella maggioranza di Occhiuto, e quello di Pina Incarnato, figlia di quel Luigi additato, al pari della premiata ditta Adamo&Bruno Bossio e di Carlo Guccione, come uno dei manovratori oscuri dietro il neo sindaco. Infine il Pd, primo partito della coalizione, che farà da asso pigliatutto accaparrandosi tre assessorati e presidenza della sala Catera. I nomi in questo caso sono quelli dei più votati: Covelli, Funaro e Alimena in Giunta e Mazzuca sulla poltrona che era di Pierluigi Caputo.

    Giuseppe Mazzuca e Luigi Incarnato (foto Alfonso Bombini)
    Competenze o consenso?

    Anche qui, riguardo alle note diffuse in campagna elettorale, qualche dubbio è sorto. Se Caruso e Rende dicevano di aver trovato l’intesa in vista del ballottaggio sulla necessità di un esecutivo di alto profilo (tecnico, prima ancora che politico) come mai – senza nulla togliere agli eletti appena citati – il criterio di selezione degli assessori è diventato il numero di voti racimolati? Che fine hanno fatto le competenze, conditio sine qua non degli accordi precedenti? L’impressione è che i vituperati big del Pd locale vogliano i loro uomini in prima fila. Classico spoils system, ma in tempi di antipolitica non è il massimo dal punto di vista dell’immagine agli occhi del cosentino medio, che a certi volti e nomi si dichiara sempre più spesso allergico (salvo votarli ugualmente con altrettanta frequenza).

    Il ruolo dei Cinque Stelle tra Roma e Cosenza

    La discussione tra i vincitori in questo momento resta un dialogo tra sordi. Si è andati avanti con incontri bilaterali, ma un tavolo unitario della (presunta?) nuova maggioranza ancora non c’è mai stato. Sullo sfondo restano le intese romane tra Pd e M5S. Questi ultimi si sono già accordati in autonomia con Caruso per un assessorato, ma probabilmente pensavano che il loro posto in Giunta facesse parte dei due destinati a Rende. Questa a sua volta, ha ancora il pallino in mano, sperando non diventi una patata bollente. C’è un posto soltanto per la sua coalizione? È lei che deve decidere se prenderlo personalmente o darlo a qualcuno che indicherà.

    Ognuna delle due soluzioni rischia di lasciare a bocca asciutta i pentastellati, circostanza che Rende vorrebbe evitare senza però sconfinare nell’autolesionismo. Tant’è che pare che nelle prossime ore debba arrivare proprio un nuovo incontro tra Caruso e i Cinque Stelle per venire a capo della questione. La parola data è importante, ma un sostegno più forte in Parlamento con due forze di governo in maggioranza non è ipotesi da accantonare a cuor leggero. Per uscire dall’impasse la strada parrebbe quella di dare due assessorati all’aspirante sindaca e M5S. Ma a quel punto a sacrificarsi dovrebbero essere i “famelici” democrat o i socialisti. Che avranno anche preso pochi voti rispetto agli altri contendenti, ma restano il partito a cui il neo sindaco ha giurato eterno amore.

    Si parte a metà mese

    Con un bilancio da approvare quasi a scatola chiusa pochi giorni dopo l’insediamento – si ipotizza che proclamazione e prima seduta arrivino a ridosso del 15 novembre – e le casse vuote serve unità d’intenti. Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. E a qualcuno toccherà fare un passo indietro per evitare che lo scricchiolio di oggi si trasformi in crepa vera e propria domani. Certo non è il migliore dei segnali litigare prima ancora di aver cominciato. Per quello, in fondo, ci sono cinque anni davanti.

  • Mario Occhiuto da Alarico alle Ztl: dieci anni in ventuno lettere

    Mario Occhiuto da Alarico alle Ztl: dieci anni in ventuno lettere

    Con l’insediamento di Franz Caruso dopo la vittoria al ballottaggio, Cosenza dopo poco più di dieci anni quasi ininterrotti cambia sindaco: nessuno prima di Mario Occhiuto aveva governato tanto a lungo la città. Di cose in tutto questo tempo ne sono successe parecchie, abbiamo provato a sintetizzarle sfruttando l’alfabeto per ripercorrere il decennio appena concluso.

    Alarico

    Un chiodo fisso: fare della figura del barbaro una calamita di turisti. Il risultato? Una serie di figure che con Alarico hanno poco a che fare. Del museo dedicato al saccheggiatore di Roma per adesso esistono solo macerie finite sotto inchiesta e l’impiego di mille maestranze locali per il film che ne doveva rinverdire le gesta è rimasto nelle intenzioni del regista. Neanche i droni israeliani proposti da Luttwak hanno svolazzato sulla confluenza del Crati e del Busento alla ricerca del tesoro. Quello che, ironizzava il CorSera a marzo del 2018, il sindaco sognava forse di utilizzare per rimpolpare le casse di quel comune che saldava i suoi debiti personali.

    alarico-statua
    Un particolare della statua di Alarico a Cosenza commissionata da Mario Occhiuto
    Bilotti

    Tutto cominciò con una perizia scopiazzata e una gara d’appalto annullata. Se il buongiorno si vede dal mattino, il restyling di piazza Bilotti fece capire subito che i problemi non sarebbero mancati. Lavori più lunghi del previsto (ma spacciati per fulminei all’inaugurazione) con i negozi circostanti alla canna del gas, l’ombra della ‘ndrangheta, manovre politiche sottobanco: l’opera simbolo del decennio targato Occhiuto non si è fatta mancare nulla, compresi un senso di marcia all’inglese per le auto e i sigilli della magistratura. Sotto sequestro è ancora lo spazio che ospitava il museo sottostante. Saranno i giudici a stabilire se qualcuno abbia commesso reati nella fase di collaudo.

    Calatrava

    Bello, bellissimo. Ma utile? Se lo sono chiesti in tanti osservando il ponte disegnato dall’architetto valenciano, altra opera – come la piazza appena citata – pensata in epoca Mancini e portata a termine da Occhiuto. Sarà perché sorge tra altri due ponti, saranno le dimensioni mastodontiche in contrasto col panorama circostante, sarà perché – come dicono a Cosenza – per adesso collega il nulla al niente. O, più probabilmente, sarà perché è costato quasi 20 milioni di euro e una buona fetta di quei soldi era destinata in origine all’edilizia popolare.

    ponte_calatrava
    La desolazione sulla sponda del ponte di Calatrava più vicina al centro città
    Debiti

    Pubblici o privati, non si può non parlare di conti in rosso nel raccontare i dieci anni di Occhiuto in Comune. Già nella campagna elettorale del 2011 Enzo Paolini, suo sfidante al ballottaggio, contestava al suo avversario inadempienze con numerosi creditori. Gli elettori se ne infischiarono e gli preferirono l’architetto. Che, arrivato a Palazzo dei Bruzi, trovò un ente sull’orlo del default e avviò un piano di risanamento. Buono solo sulla carta però. I debiti sono cresciuti e la promessa di rimettere in ordine i conti già nel 2018 con quattro anni di anticipo – primo punto del programma elettorale di Occhiuto nel 2016 – si è concretizzata nella dichiarazione di dissesto del 2019. La prima della storia della città.

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    Il primo capitolo del programma elettorale di Mario Occhiuto alle Amministrative 2016
    Elezioni

    A spezzare l’incantesimo tra il sindaco e i cittadini che lo avevano riconfermato a furor di popolo sono state probabilmente le ambizioni del primo. Occhiuto – che pure nel 2012 sulle pagine dei quotidiani locali si definiva un tecnico prestato alla politica pronto a lasciarla al termine del suo primo mandato – forse ci aveva preso gusto a comandare. Tanto da puntare spedito verso una poltrona molto più pesante: quella di presidente della Regione. A molti è sembrato che l’attenzione verso Cosenza sia svanita insieme alle promesse preelettorali sul recupero delle periferie, soppiantate in agenda dalla corsa alla Cittadella. Ad interromperla bruscamente, lo sgambetto degli alleati che gli preferirono Jole Santelli come candidata del centrodestra.

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    Uno degli incontri pubblici per promuovere la sua candidatura alla presidenza della Regione
    Facebook

    Se la socialdemocrazia resta un miraggio, Cosenza ha già sperimentato a pieno la social-democrazia, quella che passa dalle bacheche di Facebook. Dalla sua, Occhiuto ha mostrato progetti per la città, battibeccato con gli avversari (politici e non), aizzato i suoi sostenitori contro quelli che lui stesso ha ribattezzato “odiatori”. Memorabile la pagina istituzionale Decoro Urbano: doveva servire a raccogliere segnalazioni sui disservizi in città, a volte chi la gestiva la trasformava in una succursale della segreteria politica del sindaco beatificandone le gesta. Ancora di più i fotomontaggi circolati sul web, dai più critici a quelli al limite dell’idolatria.

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    Una delle creazioni di un sostenitore di Occhiuto circolata in rete qualche anno fa
    Gentile

    Amore e odio. Più odio che amore, però, quello tra gli Occhiuto e i Gentile, due delle famiglie col maggior peso elettorale in riva al Crati. Mario batte Paolini nel 2011 e come sua vice nomina Katya, che ha fatto incetta di voti. L’idillio dura poco, il tempo che scoppi un pasticcio intorno all’ex bocciodromo di via degli Stadi. Ridotto a pezzi, il Comune prima lo assegna all’ex marito della Gentile per realizzarci un centro di guida sicura. Poi, a stabile rimesso a nuovo, fa marcia indietro. Ne nasce un caso giudiziario – che vedrà sconfitto il municipio – e, soprattutto, politico. Katya chiama “Schettino” Mario, lui la defenestra. Seguono anni di frecciate al veleno, interrotti dalla candidatura alle regionali della Gentile a sostegno di Occhiuto. Roberto però.

    Hellas

    Le ultime parole famose: «Quest’anno avremo il terreno migliore della serie B». La realtà: migliaia di persone arrivate allo stadio per la prima di campionato tra i cadetti dopo anni in C restano fuori dai cancelli. Cosenza zero, Hellas Verona tre: partita persa a tavolino per impraticabilità del terreno di gioco. È la prima e unica sconfitta dei Lupi per ragioni simili dal 1914 ad oggi. Nessuno fa mea culpa, tra silenzi intervallati da urla al complotto. Finché il sindaco trova un sorprendente colpevole: le nottue, voraci insetti erbivori che si sarebbero accaniti sul San Vito nel prepartita per impedire il debutto casalingo dei rossoblù e far sfigurare l’amministrazione comunale.

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    Il terreno del San Vito a poche ore dal match, mai disputato, contro l’Hellas Verona
    Idrico

    Avere l’acqua a casa per molti cosentini resta ancora un problema quotidiano. Va dato atto, però, all’amministrazione di aver migliorato e non poco la situazione trovata al suo insediamento. La rete idrica cosentina all’inizio dello scorso decennio disperdeva oltre due terzi del suo prezioso contenuto lungo il tragitto verso i rubinetti. Stando a rivelazioni più recenti la percentuale si sarebbe invertita e l’acqua persa per strada ora ammonterebbe a circa un terzo del totale. Non abbastanza per cantare vittoria, anche se il Comune lo ha fatto lo stesso: nel 2015 dichiarò che Cosenza era terza in Italia per acqua immessa in rete. E a riprova allegò una classifica. In cui risultava sessantesima.

    Luci

    Forse non illuminato, ma di certo Mario Occhiuto è stato un “sovrano illuminante” con luci artistiche e non piazzate in giro per la città. Dai mitici cerchi alle menorah ebraiche, passando per l’immancabile Alarico le luminarie sono talmente associate al sindaco uscente che tra i nomignoli affibiatigli negli anni ci sono Lampadina e Osram. Dettaglio non trascurabile: per anni quasi tutte le ha installate la stessa ditta. Si chiama Medlabor: prima del 2011 fatturava pochi spiccioli, da quell’anno ha fatto affari con Palazzo dei Bruzi per centinaia di migliaia di euro. E sull’accaduto ora è la Procura a voler fare… luce.

    I cerchi luminosi, una delle costanti dei 10 anni di Occhiuto
    Metro

    L’ha sempre sostenuta ma in molti hanno pensato il contrario. Che ad alimentare l’equivoco, chissà, sia stata la sua presenza e quella dei suoi fedelissimi ai banchetti in cui si raccoglievano firme per un referendum per abolirla? Sulla apparente contrarietà alla metropolitana leggera Mario Occhiuto ha costruito gran parte del successo elettorale del 2016. Tanti voti trasformatisi in altrettanti (o quasi) delusi quando il progetto è partito lo stesso, seppur con le modifiche volute dal sindaco: viale Mancini sventrato, lavori bloccati per mesi e una ferita nel centro città che bisognerà decidere come ricucire.

    Nazi

    La pubblicità funziona purché se ne parli. Un concetto ormai desueto ma ancora in voga a Cosenza, nonostante una pubblicitaria esperta come l’attuale sindaco di San Giovanni in Fiore, Rosaria Succurro, tra gli assessori. Cosenza per attrarre visitatori presenta all’edizione 2015 della Bit di Milano una brochure promozionale sulla città. E sceglie tra i testimonial uno dei meno indicati: il gerarca nazista Himmler, giunto in riva al Crati e al Busento alla ricerca del tesoro del solito Alarico.

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    La brochure destinata ai turisti con la contestatissima foto di Himmler
    Ospedale

    Il tira e molla con la Regione su dove costruire quello nuovo ha portato a uno stallo che rischia di proseguire anche nei prossimi anni. Cosenza nel frattempo resta con un ospedale, l’Annunziata, vecchio, decrepito, inadeguato e privo delle necessarie forze in pianta organica. Alla carenza di medici Occhiuto ha provato a mettere mano con due ordinanze in cui imponeva assunzioni all’Azienda Ospedaliera. In entrambi i casi il prefetto ha bollato gli atti come palesemente illegittimi, rendendoli nulli.

    Provincia

    Se in Regione non è riuscito ad arrivare, Mario Occhiuto può vantare comunque nel suo cursus honorum la presidenza della Provincia. Siamo nel 2014 e, a seguito della riforma Del Rio, a votare il successore di Oliverio non sono più i semplici cittadini, ma sindaci e consiglieri comunali del Cosentino. Seguono un paio d’anni scarsi in cui il Palazzo della Provincia diventa sede unificata del Comune, una circostanza che fa ben sperare per il futuro della Biblioteca Civica, finanziata a metà dai due enti. Speranza vana: Occhiuto a inizio 2016 decade da sindaco e, dopo una battaglia legale di Graziano Di Natale, deve lasciare anche piazza XV marzo.

    Quote rosa

    La prima sindacatura per Occhiuto, da un punto di vista politico, è stata senza dubbio la più travagliata. E non solo per la sfiducia che decretò l’arrivo di un commissario a pochi mesi dalle Amministrative. In quei poco meno di cinque anni il sindaco ha modificato in più occasioni la composizione della sua Giunta. Tant’è che di rimpasto in rimpasto è saltato il rispetto della parità di genere nell’esecutivo, con conseguente condanna per Palazzo dei Bruzi. L’architetto addebitò il passo falso ai partiti della coalizione, rei di non avergli suggerito nuovi ingressi al femminile tra gli assessori.

    Rifiuti

    Prima delle Amministrative 2011 Eugenio Guarascio si sta già occupando dei rifiuti cosentini. Ma è con l’ingresso di Occhiuto in Comune che la città e l’imprenditore lametino si legano indissolubilmente. Guarascio si aggiudica in sequenza due appalti milionari e, nello stesso periodo, diventa presidente del Cosenza. Il servizio di raccolta procede tra alti e bassi, un po’ come la squadra rossoblu sul campo da gioco e i rapporti tra sindaco e presidente. Mentre l’operazione nuovo stadio, che vedeva entrambi coinvolti in prima persona, rimane ferma al palo fino al prossimo annuncio.

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    Eugenio Guarascio e Mario Occhiuto a Palazzo dei Bruzi
    Sfiducia

    A quattro mesi dal termine del mandato diciassette consiglieri comunali firmano davanti a un notaio la sfiducia nei confronti di Mario Occhiuto. Il sindaco decade, ma la congiura di palazzo si rivela un boomerang per chi l’ha ordita. Le successive elezioni si trasformano in una cavalcata trionfale per l’uscente, che straccia i rivali fin dal primo turno grazie anche al voto disgiunto che lo premia oltre ogni rosea aspettativa. Il consenso bulgaro raccolto sembra farne il candidato ideale per il dopo Oliverio alla Cittadella. Saranno i suoi stessi alleati a infrangere il suo sogno di raggiungere Germaneto.

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    Occhiuto simil Che Guevara in una maglietta realizzata dopo la sfiducia del febbraio 2016
    Traffico

    Al cosentino puoi togliere tutto, ma non l’abitudine di prendere la macchina anche solo per percorrere pochi metri. Puntare su pedonalizzazioni e piste ciclabili, insomma, non è esattamente la scelta più popolare in città. Se poi ci aggiungi chiusure che fanno da tappo alle arterie viarie principali, cambi di sensi di marcia e cantieri infiniti la frittata è fatta. E non è parlando di mobilità dolce o paragonandosi alla Svizzera che si placa il malanimo. Il nomignolo Mario “Occhiuso” la dice lunga sull’apprezzamento medio dei cosentini per certe scelte sulla viabilità. Ma, piaccia o meno, svuotare le strade dalle auto resta importante.

    Urgenza

    I lavori assegnati dal municipio con affidamenti diretti per somma urgenza sono stati a lungo sotto i riflettori, dell’opposizione quanto della magistratura. Tante le determine in cui si sfiora senza superare per pochi centesimi la soglia dei 40mila euro che obbligherebbe a una gara pubblica. Persino più numerose delle altrettanto discusse consulenze distribuite negli anni a professionisti transitati in passato dallo studio di architettura del sindaco. C’è chi le derubrica a tradizionale spoils system e chi non è altrettanto generoso nel giudizio a riguardo.

    Vice

    Non gli mancheranno i talenti in altri campi, ma quando si tratta di scegliere il proprio vice meglio non chiedere consiglio a Mario Occhiuto. In dieci anni di decisioni in tal senso non ne ha azzeccato molte, se per insipienza o fiducia mal riposta non è dato sapere. Con Katya Gentile è finita a pesci in faccia, Luciano Vigna lo ha scaricato trasferendosi armi e bagagli alla Regione. Con chi? Ma con un’altra vice Occhiuto, naturalmente, ossia quella Jole Santelli che ha soffiato la candidatura alle regionali proprio al suo “datore di lavoro” cosentino. Al posto di lei è arrivato Francesco Caruso, bocciato alle ultime elezioni dai cosentini proprio per essersi proposto in continuità col suo predecessore.

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    Mario Occhiuto con la sua allora vice sindaca, Jole Santelli
    Ztl

    La grande novità introdotta in centro e nella parte antica della città non pare aver prodotto ottimi risultati. Se ne è lamentata perfino la Curia, non proprio un comitato di rivoluzionari, quando arrivare all’Arcivescovile si è fatto problematico. Per non parlare dei commercianti delle traverse di corso Mazzini, che sostengono di aver visto crollare gli incassi a seguito delle limitazioni al traffico.
    Degno contorno dell’intera questione, centinaia e centinaia di multe arrivate ai cosentini e poi annullate per l’utilizzo fuorviante delle formule “Varco attivo” e Varco non attivo” sui tabelloni elettronici all’ingresso delle Ztl.

  • “Miramare”, chiesto un anno e 10 mesi di reclusione per il sindaco Falcomatà

    “Miramare”, chiesto un anno e 10 mesi di reclusione per il sindaco Falcomatà

    Un anno e dieci mesi di reclusione. Questa la richiesta formulata dai pm Walter Ignazitto e Nicola De Caria nei confronti del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. Il processo è quello sul cosiddetto “Caso Miramare”, con cui la Procura reggina persegue il presunto affidamento diretto dell’ex albergo di lusso effettuato dalla Giunta Comunale alla semisconosciuta associazione “Il Sottoscala”.

    Gli imputati e le richieste dell’accusa

    Secondo l’accusa, tale «regalo» sarebbe stato effettuato in virtù del rapporto di amicizia tra Falcomatà e il noto imprenditore reggino Paolo Zagarella. Questi è ritenuto il dominus della compagine associativa. Nel corso del suo esame in aula, Falcomatà ha definito Zagarella solo «un buon conoscente». Ma sarebbe notorio, a Reggio Calabria, il rapporto datato tra i due. E consolidato attraverso diverse serate danzanti nelle discoteche più “in” della città.

    Ma il pm Ignazitto è stato netto: «Il ‘Miramare’ doveva andare a un amico del sindaco: Paolo Zagarella. Non solo non si è astenuto, ma è stato il vero registra dell’operazione». Tuttavia, mano “leggera” nella richiesta: un anno e dieci mesi, considerando lo stato di incensuratezza.

    Per tutti gli altri, la Procura ha chiesto un anno e otto mesi di reclusione. Oltre a Falcomatà e a Zagarella sono imputati anche l’ex segretario generale del Comune, Giovanna Acquaviva, l’ex dirigente Maria Luisa Spanò, l’assessore in carica ai Lavori Pubblici e candidato al Consiglio regionale, Giovanni Muraca, e gli ex assessori Saverio Anghelone, Armando Neri, Patrizia Nardi, Giuseppe Marino, Antonino Zimbalatti e Agata Quattrone.
    Per tutti, quindi, la Procura di Reggio Calabria ha richiesto la condanna.

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    Un momento dell’udienza di oggi a Reggio Calabria
    I fatti contestati

    Al centro dell’inchiesta, la delibera della Giunta comunale con cui l’Amministrazione affidava all’imprenditore Paolo Zagarella, titolare dell’associazione “Il Sottoscala”, la gestione temporanea del noto albergo Miramare. Da tempo chiuso.

    L’affidamento della gestione della struttura di pregio, notissima in città, sarebbe avvenuto in maniera diretta a Zagarella. Questi, infatti, è uno storico amico del sindaco Falcomatà e gli avrebbe anche concesso, in forma gratuita, i locali che avevano ospitato la segreteria politica nella campagna elettorale che porterà l’attuale primo cittadino alla schiacciante vittoria sul centrodestra nella corsa verso Palazzo San Giorgio.

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    L’ex Hotel Miramare a (Reggio Calabria

    Una delibera, quella del 16 luglio 2015, che sarebbe stata approvata a maggioranza con l’assenza dell’allora assessore, Mattia Neto. Che infatti non verrà coinvolto nell’inchiesta del pm Walter Ignazitto. Ma secondo alcune testimonianze raccolte nel corso del dibattimento, l’associazione “Il Sottoscala” avrebbe avuto la disponibilità dell’immobile di pregio anche prima della votazione della delibera.

    «Con Zagarella, Falcomatà aveva un debito di riconoscenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria. Per questo, quindi, il “Miramare” sarebbe stato affidato all’associazione “Il Sottoscala” dietro cui si celava (seppur senza cariche formali) Zagarella. Questi, esperto di feste e serate danzanti, avrebbe dovuto realizzare eventi e, quindi, intascare soldi, nell’immobile di pregio comunale.

    Tra le persone escusse, che sosterranno tale versione, anche l’allora sovrintendente per i Beni archeologici della Regione Calabria, Margherita Eichberg. Impegnata con una sua collaboratrice nel sopralluogo di un immobile limitrofo al “Miramare” avrebbe sorpreso Zagarella e alcuni operai intenti a fare dei lavori all’interno della struttura. «Si tratta di un processo sul modo in cui deve intendersi la funzione pubblica, con imparzialità e trasparenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria.

    La grande accusatrice

    Unica a scegliere il rito abbreviato, l’allora assessore comunale ai Lavori Pubblici, Angela Marcianò. È già stata condannata, in primo grado, a un anno di reclusione.  Già collaboratrice del procuratore Nicola Gratteri, Marcianò, dopo l’esplosione del caso (politico e giudiziario) diventerà la grande accusatrice di Falcomatà.

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    Angela Marcianò durante l’ultima campagna elettorale

    Marcianò ha sempre dichiarato di essersi schierata contro l’assegnazione del “Miramare” a Zagarella. Ma dagli atti dell’indagine (tra cui diverse chat WhatsApp), emergerebbe in realtà solo un tardivo tentativo di intervenire per la modifica dell’atto. Accusa ancor più grave, quella mossa dalla Marcianò, è quella di risultare presente (e, quindi, con voto favorevole alla delibera) nel verbale della riunione di Giunta. Quando, invece, a suo dire, l’avrebbe abbandonata in aperta polemica con il provvedimento che si voleva adottare.

    Alle elezioni del settembre 2020, si candiderà anche a sindaco, in piena contrapposizione con il giovane sindaco del Partito Democratico. Otterrà un buon risultato, classificandosi terza tra i candidati alla carica di primo cittadino. Ma al momento dell’insediamento in Consiglio Comunale subirà il provvedimento di sospensione spiccato dal prefetto, proprio a causa della condanna nel “caso Miramare”.

    Verso la sentenza

    Giuseppe Falcomatà è considerato uno degli esponenti più emergenti del Pd calabrese. Ora, però, rischia un pericoloso passo falso, poco più di un anno dopo la riconferma come sindaco di Reggio Calabria. I fatti contestati, però, si riferiscono al suo primo mandato. Quelli dopo gli anni del “Modello Reggio” di Giuseppe Scopelliti e lo scioglimento per contiguità con la ‘ndrangheta del Consiglio comunale.

    Un avvio difficile, accidentato, in cui il primo obiettivo è capire se e come evitare il dissesto economico-finanziario. Ma uno dei primi atti dell’Amministrazione Falcomatà è quello di eliminare il Miramare dai beni di proprietà del Comune in vendita. Così come voluto dalle Amministrazioni di centrodestra prima e dalla terna commissariale poi.

    La tesi della difesa

    La difesa di tutti gli imputati è stata quella di voler rilanciare quello che, unanimemente, viene considerato uno dei “gioielli di famiglia” della città. E che tale affidamento (poi saltato, per via del putiferio politico e giudiziario) non avrebbe comportato alcun esborso per l’Ente. Ma, anzi, una possibilità di rilanciare la struttura a “costo zero” con eventi di vario genere.

    Tesi che, evidentemente, non sembrano aver convinto i pm Ignazitto e De Caria, che hanno formulato le richieste di condanna: “Il ‘gioiello di famiglia’ trasformato in un affare di famiglia’ con palesi violazioni di legge” hanno detto infine i pm.

    Adesso la girandola delle arringhe difensive. Con la sentenza per Falcomatà&co che dovrebbe arrivare il 19 novembre. E, in caso di condanna, potrebbe far scattare la sospensione dovuta alla “Legge Severino”. Facendo piombare la città in una fase politica tutta da decifrare.

  • Il balletto del San Vito: il nuovo stadio a Cosenza tra propaganda e strani numeri

    Il balletto del San Vito: il nuovo stadio a Cosenza tra propaganda e strani numeri

    «Il nuovo stadio Marulla si farà». È stato questo l’ultimo futuristico colpo ad affetto della campagna elettorale del candidato sindaco di Cosenza del centrodestra Francesco Caruso, già vice del vero ideatore del progetto Mario Occhiuto. Di nuovo stadio in città si parla infatti dalla campagna elettorale del 2016, era uno dei cavalli di battaglia dell’architetto che riconquistò a furor di popolo Palazzo dei Bruzi dopo il successo alle urne del 2011. Un progetto lungo già più di cinque anni, quindi, che nel corso del tempo ha conosciuto numerose metamorfosi, impennate propagandistiche e frenate silenziose.

    La presentazione a Roma

    Chi tra gli appassionati di calcio cosentino non ricorda la presentazione romana, nel febbraio 2017, del piano di realizzazione della nuova struttura sportiva cittadina? Oltre al sindaco Mario Occhiuto, nella sede dell’Istituto per il Credito Sportivo erano presenti il Commissario del Credito Sportivo Paolo D’Alessio, l’allora presidente della Lega Nazionale Professionisti B Andrea Abodi, l’assessore allo Sport Carmine Vizza e il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, partner del progetto (almeno così all’epoca veniva riferito).

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    Una delle slide presentate a Roma mostrava ricavi e costi previsti per il club col nuovo stadio

    Nello studio di pre-fattibilità, si ipotizzava per ragioni di sostenibilità economica dell’operazione, una capacità di 11.000 posti espandibili di ulteriori 5.000 per un costo complessivo di 37 milioni di euro. Ciononostante, analizzando i dati relativi ai costi dello stadio, viene da chiedersi come sarebbe stato possibile mantenere certi standard di gestione. L’aspetto forse più assurdo riguardava il denaro per l’affitto dell’impianto che la società guidata da Eugenio Guarascio avrebbe dovuto sborsare: oltre 400mila euro annui. Una cifra spropositata se si pensa alle incrollabili politiche al risparmio dell’imprenditore lametino. Oggi, giusto per intenderci, il Cosenza Calcio paga un affitto al Comune di circa 5.500 euro al mese. Certo, si ipotizzavano grandi incassi: tra questi, anche i soldi dei biglietti (8 euro l’uno) di ben 11mila visitatori annui previsti nel nascituro museo dedicato alla squadra.

    Tre anni dopo…

    Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata molta e, giusto per non allontanarci troppo dalle fantasie occhiutane, quasi mai è stata navigabile.
    «Nei prossimi tre anni – aveva dichiarato in quella circostanza Occhiuto dopo aver valutato il percorso finanziario del piano di lavoro – realizzeremo il nuovo stadio, noi le promesse le manteniamo».

    Tre anni dopo, esattamente nel gennaio 2020, e con un dissesto finanziario del Comune con cui fare i conti, lo stesso primo cittadino si rammaricava dal suo profilo Facebook. Purtroppo non era ancora stato possibile far partire i lavori «nonostante l’immutata disponibilità dell’Istituto del Credito Sportivo, perché il fondo immobiliare Invimit ha rallentato le approvazioni del finanziamento a causa del rinnovo del management. Noi proveremo ad andare avanti, ma non so ormai se riusciremo ad avviare e completare le opere prima della fine del mio mandato. Spero che chi verrà dopo di noi abbia la volontà e la capacità di continuare su questa strada».

    L’autogol

    Tornando all’attualità delle recenti elezioni comunali di Cosenza, c’è da sottolineare il clamoroso autogol di Francesco Caruso in vista del ballottaggio. Credeva, grazie al dio pallone, di recuperare il terreno che un altro Francesco (De Cicco) gli aveva fatto perdere con la sua sorprendente “affiliazione” al centrosinistra. Invece ha finito per peggiorare la situazione.

    Il popolo di fede rossoblù, infatti, tranne i soliti puri e duri a morire di speranze e illusioni, stanco di ascoltare promesse mai mantenute, aveva accolto con freddezza l’uscita del candidato a perdere. Caruso, dal canto suo, era andato avanti come un treno aggrappandosi alle rassicurazioni (e non poteva essere altrimenti) di Roberto Occhiuto, fratello di Mario nonché fresco di elezione a governatore calabro.

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    Lo scambio su FB sull’affidamento del progetto che ha fatto scalpore tra i cosentini prima del voto

    Sulla sua pagina Facebook Francesco Caruso sindaco (da qualche giorno misteriosamente scomparsa), il 15 ottobre scorso si era espresso in questi termini: «#NuovoStadioMarulla, progetto già affidato e inglobato nella Città dello Sport».
    Un’uscita sensazionalistica che, oltre a collezionare una marea di sfottò da parte della tifoseria delusa, aveva fatto emergere un aspetto inquietante: l’aggiudicazione di quel progetto da parte di un raggruppamento di specialisti tra cui figurano gli architetti Alfonso Femia e Rudy Ricciotti, non è mai stata verbalizzata dalla commissione esaminatrice.

    La Regione che non c’era

    Per dirla con parole ancora più semplici, i vincitori del concorso internazionale indetto dal Comune di Cosenza per il progetto della “Città dello Sport” che comprende, appunto, la riqualificazione dello stadio comunale San Vito-Marulla e la valorizzazione e riqualificazione delle aree limitrofe, non hanno mai ricevuto alcuna comunicazione in merito. Ecco perché è apparso alquanto bizzarro leggere le parole di Caruso, a cui sono seguite poi, sempre su Facebook, quelle del presidente della commissione consiliare Sport di Palazzo dei Bruzi Gaetano Cairo in risposta all’ingegnere Claudia Grandinetti che aveva fatto notare che nulla ancora è stato affidato.

    «La soluzione progettuale rappresentata nel rendering – aveva scritto Cairo – è quella proposta dall’architetto Rudy Ricciotti e dall’architetto Alfonso Femia con cui probabilmente l’arch. Grandinetti ha collaborato nell’ambito del gruppo di lavoro. La soluzione risulta vincitrice dell’espletato concorso di idee per lo sviluppo del progetto di fattibilità tecnica ed economica della Città dello Sport, un concorso già aggiudicato ma non formalizzato ovviamente a causa della non disponibilità del finanziamento. Il finanziamento verrà garantito dal governatore della Regione Calabria Roberto Occhiuto».

    Ma è proprio su quest’ultima affermazione di Cairo che vengono fuori le perplessità maggiori: cosa c’entra la Regione Calabria con la vicenda stadio? E, soprattutto, in che termini un finanziamento che dovrebbe essere di competenza del Credito Sportivo verrà garantito dal governatore? Difficile se non impossibile pensare che esista un canale di finanziamento dedicato unicamente allo stadio cosentino. Più plausibile, invece, che lo stesso governatore nei giorni roventi del pre-ballottaggio abbia avallato una promessa elettorale dalle basi non troppo solide.

    Capienza (parecchio) variabile e ritocchi

    Il progetto vincitore del concorso prevede(va) l’estensione di circa 60.000 mq solo per lo stadio, con una capienza flessibile, a differenza degli 11.000 del 2017, di ben 40.000 posti (il capitolato speciale d’appalto ne richiedeva, a sua volta, tra i 16.000 e i 20.000), con aree VIP, sky boxes e business lounges e un museo con negozi. E poi ancora la realizzazione di cinema, un hotel, attività commerciali, una biblioteca e un centro medico-sportivo. Di milioni, tra l’altro, ne dovrebbe costare 47, dieci in più di quelli che Invimit non era più disposta a cofinanziare.

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    Ma dalle nostre ricerche è emersa una particolarità di non poco conto: il rendering (o meglio, per dirlo alla buona, i cosiddetti fotomontaggi) che da tre anni l’ex sindaco Mario Occhiuto e più di recente il suo quasi erede Francesco Caruso stanno facendo circolare sui social network, non corrisponderebbe a quello che è il progetto originale vincitore del concorso, ideato – è sempre bene ricordarlo – da Rudy Ricciotti, uno dei più grandi architetti francesi contemporanei, Alfonso Femia che può vantare tre studi in Italia e in Francia e poi ancora Pino Scaglione, Antonio Trimboli e molti altri illustri professionisti cosentini.
    Insomma, qualcuno avrebbe modificato ad arte le immagini, chissà se per renderle più accattivanti agli occhi della gente. Se la situazione non fosse già abbastanza tragicomica di suo, si potrebbe parlare tranquillamente di violazione del diritto d’autore.

    L’appello dei tifosi al neo sindaco Franz Caruso

    Il punto di tutta questa avventura paradossale è che, nonostante la sconfitta del centrodestra e l’elezione a sindaco della città di Franz Caruso del centrosinistra, c’è ancora in città chi spera nel miracolo della realizzazione del nuovo stadio. Pur avendo un intenso sapore elettorale, le esternazioni di Francesco Caruso e quelle di Gaetano Cairo sulla disponibilità del presidente della Regione Calabria a interessarsi finanziariamente alla vicenda, sembrano aver riacceso ugualmente una fiammella di speranza in una parte della tifoseria, evidentemente timorosa che tra le due parti (Regione e Comune) non si riesca a stringere un dialogo costruttivo.

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    L’attuale San Vito-Marulla visto dall’alto

    Nelle ultime ore il direttivo dell’associazione “Cosenza nel Cuore” ha chiesto un incontro al neo eletto sindaco Franz Caruso anche per discutere di una auspicabile implementazione e rigenerazione dello stadio cittadino. Lo fa fatto con una nota in cui ricorda «l’informazione, fornita dal neo Presidente della Giunta Regionale, On. Roberto Occhiuto, secondo la quale tale progetto sembrerebbe suscettibile di immediato finanziamento sui fondi PNRR o simili. È opinione dell’Associazione – prosegue il documento – che un’occasione del genere non debba essere persa e che una tale opera non possa avere un colore politico, ma rappresentare unicamente un elemento di crescita territoriale, sociale ed anche economica».

    Insomma, una storia tanto infinita quanto ingannevole che, probabilmente conoscerà nuovi capitoli. Ovviamente a discapito di chi tifa Cosenza Calcio e crede da sempre nei sogni che lo circondano.

  • Spirlì e il vangelo secondo Matteo…Salvini

    Spirlì e il vangelo secondo Matteo…Salvini

    Dalla cucina di Jole Santelli, dove per sua stessa ammissione preparava ottimi manicaretti, all’assessorato regionale alla Cultura. E dopo la prematura scomparsa della presidente della Regione, il salto che lo catapulta al piano più alto della Cittadella. Nino Spirlì è un uomo che non pone limiti alla Provvidenza.

    Spirlì promuove la Calabria dei prodotti tipici
    Sacro e profano

    Ernesto De Martino sarebbe impazzito davanti ad un personaggio come lui, capace di mischiare mistico e profano, senso del sacro e (presunta) trasgressione. «Frocio a tempo perso» ma «cattolico praticante», calabrese ma leghista in prima linea, amante dei selfie col Capitano. Solo recentemente, forse dietro utile suggerimento, ha cominciato a vestire abiti più congrui al ruolo che ha ricoperto. Sono tornati negli armadi i capispalla modello saio e le reliquie con santini appesi al collo. Al loro posto maglioni con stemmi tricolore.

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    La prima foto istituzionale da assessore per Nino Spirlì

    L’ormai ex presidente facente funzioni si autoproclama «intellettuale», evidentemente organico alla destra cristiano–sovranista, non disdegnando la pratica apparentemente disubbidiente del disprezzo verso il lessico politicamente corretto, percepito come un complotto contro la sua libertà di parola. Ecco quindi la rivendicazione del diritto di essere omofobi e razzisti, usando le parole chiave «frocio» e «negro». Però in senso buono, si intende.

    In missione per conto di Dio

    Il “Signor Nino Spirlì”, come da profilo personale sull’amato Facebook, è un personaggio multiforme, ma la cifra caratteriale più rappresentativa è la sua religiosità primitiva, fatta di forme devozionali arcaiche ed elementari, segnata da una marcata permalosità. Il Nostro ha spesso reagito con inusitata veemenza contro quanti ne sottolineavano l’assoluta mancanza di laicità.

    Il punto più alto è stato probabilmente quando ha invocato l’aiuto vendicativo della Madonna contro i non meglio precisati «Figli di satana» che lo perseguitavano per la sua fede cristiana. «O Immacolata Concezione, Maria Madre di Dio, quanto dà fastidio la mia fede mentre lavoro, schiumano odio e rabbia», scriveva sui social.
    Il mondo dell’ex ff ha una sua semplicità: da una parte lui e Dio, dall’altra quelli che non gli piacciono (e dunque non piacciono a Dio).

    satana_spirlì

    La verità è che Spirlì ha inteso il suo ruolo istituzionale, ereditato a seguito di una disgrazia, come una sorta di crociata contro quanti non apprezzano l’idea di una Calabria feudo salviniano e teocratico. Nel giorno della sua investitura disse «Invoco la Benedizione del Signore e mi affido alle amorevoli cure della Santa Vergine Immacolata. E mi impegno a svolgere il mio compito nell’unico interesse della mia gente. Accompagnatemi solo con le Vostre preghiere. Grazie. Dio Vi voglia bene». Parole più da sacerdote che da guida di una Regione.

    Matteo Salvini con Nino Spirlì e Jole Santelli, ex presidente della Regione scomparsa prematuramente
    Gaffe e sconfitte

    All’uomo di Dio casualmente alla guida della Calabria parrebbe piacer accompagnare i suoi passi con l’odore dell’incenso delle messe e col puzzo di bruciato dei roghi dei suoi detrattori. Ma a seguirlo come una implacabile ombra sono state invece le brutte figure. Come quando diffuse, con tanto di foto, una falsa notizia che annunciava il trasvolo della statua della Madonna a bordo di elicotteri dell’Aeronautica sui cieli d’Italia per liberare il Paese dal Covid. Era una bufala, ma molto suggestiva.

    Quando Spirlì giocava a fare Salvini con le grafiche del Carroccio

    Di lì in poi una serie gustosa di gaffe e battaglie perdute, scene da avanspettacolo e strepiti. Come quando, in fase di diffusa epidemia, ingaggiò uno scontro con il Governo che aveva dichiarato la Calabria zona arancione, trascinandoci a suo parere in una dittatura: «Lunedì la Calabria sarà in zona arancione, quindi saranno chiusi tutti i negozi. La Calabria sarà chiusa». Ovviamente nulla di ciò era vero, visto che la sola limitazione riguardava il poter uscire dai confini del comune di residenza.

    Pipi e patate

    Ma la verità per Spirlì è qualcosa che si acconcia a una narrazione utile per far salire i like social. Nella scorsa primavera si accanì a voler chiudere le scuole «perché non vogliamo vedere i nostri bambini nelle bare», Poi le riaprì di corsa dopo aver perso i ricorsi presentati al Tar da genitori furenti. La pandemia non gli è stata mai alleata, infatti sul tema ha preso diversi scivoloni. Per esempio insistendo nel confondere il numero di dosi di vaccino somministrate con quello delle persone realmente vaccinate. Oppure pronunciando parole ingrate e faziose all’indirizzo di Gino Strada.

    Tuttavia il meglio di Spirlì venne durante una delle amate dirette social, quando fece emergere la sua vera natura: quella gastronomica, con l’elogio dei “pipi e patate”. Oggi la sua poltrona è assai vacillante, ma alla fine di tutto questo ci sarà qualcuno che di lui dirà che ha fatto anche cose buone: probabilmente ai fornelli di casa Santelli.

  • Torturato in Pakistan, clandestino per Reggio: la Cassazione dice no

    Torturato in Pakistan, clandestino per Reggio: la Cassazione dice no

    Gli uccidono il fratello durante le Comunali in Pakistan nel 2015, lui denuncia tutto ma viene rapito, torturato e “convinto” a ritrattare. Ma la notte stessa scappa e arriva poi fino in Calabria, che però gli nega asilo politico. Ora la Cassazione ha accolto il suo ricorso prospettando un lieto fine per l’odissea di questo quarantenne di origini pakistane, almeno dal punto di vista della sicurezza personale.

    Asilo politico

    L’uomo, infatti, aveva visto respingere per ben due volte la richiesta di protezione internazionale tramite l’asilo politico. In Italia è garantita a chi è riconosciuto lo status di rifugiato, ossia a colui che per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha cittadinanza (o dimora abituale – nel caso di soggetti apolidi) e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese.

    L’arrivo in Calabria

    Il 40enne era arrivato in Calabria nel 2015 dopo mille peripezie e si era subito attivato per chiedere lo status di rifugiato cercando al contempo di integrarsi, studiando italiano e lavorando ogni qual volta ne ha avuto l’occasione. Le diffidenze delle istituzioni italiane in merito sono certamente dovute non tanto all’alto numero di richieste, quanto ai numerosi tentativi di aggirare le normali procedure “inventando” storie di sana pianta per cui, purtroppo, a volte “paga il giusto per il peccatore”.

    Ma la Cassazione ha accolto il suo ricorso rinviando ad altra sezione d’Appello che ora dovrà seguire le indicazioni degli ermellini e concedere l’agognato e meritato status di rifugiato al 40enne, che è riuscito a provare la sua tragica storia, tanto assurda da sembrare quasi finta. E invece era tutto drammaticamente vero.

    Due no da Reggio

    La corte d’Appello di Reggio Calabria aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale locale aveva già respinto le domande di protezione internazionale o umanitaria del pakistano. Quest’ultimo aveva dichiarato di essere perseguitato da appartenenti a un partito politico del suo Comune di residenza nella regione del Punjab in Pakistan. L’uomo, quale sostenitore del Partito popolare, era finito nel mirino di una banda criminale che appoggiava la fazione politica opposta alla sua, ossia quella in cui militava il fratello.

    Ostaggio degli assassini del fratello

    Nelle elezioni comunali del 2015 aveva collaborato infatti alla campagna elettorale del fratello, rimasto poi ucciso in un agguato da parte di un commando armato che fiancheggiava il partito contrario al suo. A seguito di questa barbara e feroce esecuzione, il 40enne muratore pakistano aveva debitamente denunciato i tragici avvenimenti alla polizia locale e ai giudici della sua regione (come da allegata copia della denuncia, munita di traduzione e consegnata ai giudici italiani). Per questo, dopo il funerale, lo avevano rapito, imprigionato per tre giorni, minacciato di morte – con tanto di fratture a una spalla – nel tentativo di convincerlo a ritirare la denuncia.

    In fuga verso l’Italia

    E lui aveva promesso di farlo solo per conseguire la liberazione, ma in realtà voleva denunciare anche questa seconda aggressione. I suoi familiari, però, gli avevano consigliato di non farlo, continuando le pressioni degli aguzzini affinché ritirasse la denuncia. E così il 40enne aveva deciso di fuggire.

    La mattina dopo la liberazione si presenta alla polizia e ritira la denuncia. Ma la notte stessa, capendo che la sua permanenza in Pakistan sarebbe stata troppo rischiosa dopo gli avvenimenti, scappa e fa perdere le sue tracce anche ai familiari per tutelarli e “tranquillizzare” la banda che aveva ucciso il fratello su altre sue possibili denunce.

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    Osama Bin Laden, ideatore degli attentati dell’11 settembre 2001

    In Pakistan esistono forze di polizie e di giustizia che operano in zone dove le bande criminali a sfondo politico e religioso continuano ad avere il loro peso nella vita dei cittadini. Non dimentichiamo che Osama Bin Laden è stato catturato e ucciso proprio in Pakistan. Dopo mille traversie il 40enne era riuscito finalmente ad arrivare in Italia. Si sentiva finalmente al sicuro e voleva lasciarsi alle spalle questa brutta storia, convinto di aver messo al sicuro anche la sua famiglia grazie proprio alla fuga improvvisa.

    Nel dubbio, meglio non rischiare

    Non pensava forse di dover combattere altre battaglie, stavolta giudiziarie, per farsi riconoscere come rifugiato. Ma la Cassazione già da tempo sta fissando parametri molto rigidi ad entrambe le parti, richiedenti e tribunali. Ai primi non basta più dichiarare storie incredibili per accedere a questo tipo di benefici. I tribunali e le commissioni regionali, a loro volta, non possono respingere le richieste di asilo politico senza eseguire approfondimenti. E nel dubbio o nell’impossibilità di arrivare a fonti certe sui vari racconti il principio da seguire è sempre in direzione della tutela dei diritti e della salvaguardia della vita e della salute.

    Il ribaltone degli ermellini

    I giudici di primo e secondo grado non avevano creduto fino in fondo al racconto del pakistano e comunque ritenevano cessato il pericolo dopo il ritiro della denuncia. Di ben altro avviso la Suprema corte, che nella sentenza dei giorni scorsi ha accolto il ricorso dell’uomo sottolineando che «la motivazione della sentenza impugnata non può dirsi raggiungere quella soglia del minimo costituzionale sindacabile in sede di legittimità. Si impone quindi la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio del procedimento, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione». Il 40enne può tirare il meritato sospiro di sollievo e attendere con fiducia lo status di rifugiato che gli spetta dopo la pronuncia chiara e precisa degli ermellini.

    Vincenzo Brunelli

  • Lamezia: Gratteri, Minoli e sceicchi tra discariche e diossina

    Lamezia: Gratteri, Minoli e sceicchi tra discariche e diossina

    Al “sogno” industriale degli anni ’70, prospettato dopo i fatti di Reggio in concomitanza con la Liquichimica di Saline Joniche e il Centro siderurgico di Gioia Tauro, oggi si è sostituita la Hollywood calabrese, gli “studios” della Film Commission guidata da Giovanni Minoli. Ma non solo. Nell’area industriale di Lamezia Terme sulle ceneri di un call center hanno realizzato la mega aula bunker di “Rinascita-Scott”. E sempre lì, grazie a ingenti capitali privati, dovrebbe sorgere, ma per ora è tutto solo sulla carta, un waterfront da 2.300 posti barca e da oltre 500 milioni di euro, da intitolare a uno sceicco della famiglia reale del Bahrain, Mohamed Bin Abdulla Bin Hamad Al-Khalifa.

    Disastri a terra e in mare

    Il vero simbolo di quest’area, però, resta il pontile, lungo 600 metri e in parte crollato in mezzo al mare. Doveva servire da attracco per le navi (mai arrivate) dell’impianto chimico della Società italiana resine, nel 2012 si è sbriciolato facendo finire nelle acque del Tirreno miscele di Pcb (policlorobifenili) e diossine. L’area è tuttora interdetta alla balneazione e rappresenta lo sbocco a mare di questi 1000 ettari di pianura al centro della Calabria. Potevano essere votati all’agricoltura e al turismo sostenibile e, invece, da anni sono famigerati solo per veleni e disastri ambientali che puntualmente emergono dalle inchieste della magistratura.

    Quasi 10mila tonnellate di rifiuti

    Ci lavora, in coordinamento col procuratore Salvatore Curcio, una giovane pm, Marica Brucci, che viene dalla “Terra dei fuochi”. Una battuta sulle sue origini campane ha generato mesi fa un equivoco durante un Forum sui rifiuti: in realtà non ha mai detto che la Calabria e Lamezia sono la «nuova Terra dei fuochi». Ma ha comunque tratteggiato alcune dinamiche inquietanti emerse dalle sue indagini calabresi che le hanno fatto tornare alla mente le cronache della sua regione.

    “Waste Water” è una di queste: secondo il perito Giovanni Balestri – anche lui si è occupato di casi come le ecoballe di Giugliano e la discarica dell’ex Cava Monti di Maddaloni – nell’area industriale lametina, in uno stabilimento finito sotto sequestro, sarebbe avvenuto l’abbandono incontrollato di 9700 tonnellate di rifiuti e da lì sarebbe partito uno sversamento di reflui industriali sui terreni e nei canaloni che sfociano a mare.

    Anni e anni di sequestri

    La Procura lametina, che ha difficoltà anche a trovare in Comune la mappatura del sistema fognario di quell’area, sta passando al setaccio tutte le attività produttive e ne sta venendo fuori, operazione dopo operazione, uno stillicidio di accuse per crimini ambientali a cui la comunità locale è pressoché assuefatta. Giusto per restare agli ultimi mesi, a giugno c’è stato un sequestro da 24 milioni di euro e a maggio un altro da 2. Entrambi riguardano aziende che secondo gli inquirenti sversano e scaricano illecitamente rifiuti industriali.

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    Una delle immagini diffuse dagli inquirenti in occasione dell’operazione Waste Water

    A Ferragosto sequestro anche per il depuratore a cui si collegano diversi Comuni, compreso quello di Lamezia. Nello stesso stabilimento di “Waste Water”, nel settembre del 2013, si è verificata l’esplosione di un silos costata la vita a tre operai. Ancora prima, a novembre del 2010, sono state sequestrate cinque aziende per una discarica non autorizzata di 15mila mq di fanghi di depurazione e cumuli di lana di vetro.

    Tonnellate di rifiuti tra gli ulivi

    La stessa Brucci ha condotto “Quarta copia”. L’inchiesta ha rivelato un traffico di rifiuti che passava per Campania e Lombardia e aveva il suo terminale proprio tra la città delle terme e Gizzeria. Partita da Lamezia e poi passata per competenza alla Procura distrettuale di Catanzaro, questa indagine ha già portato alla condanna in primo grado (pene da uno a quattro anni) di cinque persone.

    Sono considerate responsabili di un traffico di rifiuti sfociato nell’interramento di tonnellate di materiale inquinante anche in terreni vicini a coltivazioni di ulivo. Uno dei siti lametini utilizzati per questo scopo è stato letteralmente “tombato” di rifiuti ad appena 500 metri da un’altra ex discarica realizzata vicino all’alveo di un fiume e tuttora non bonificata. Su alcune delle persone ritenute al centro del traffico sono emersi collegamenti con potenti clan della Locride.

    Scatole vuote

    La pratica sempre in voga di mettere la polvere sotto il tappeto si intreccia con scatole societarie vuote – ma inserite all’Albo dei gestori ambientali – utilizzate per traffici loschi, misteriosi incendi negli impianti, falle nei controlli, aziende che fatturano milioni di euro con attività di grande impatto e che risparmiano proprio sulla prevenzione ambientale. Anche questo hanno rivelato le indagini partite dai roghi di rifiuti avvenuti nel Nord Italia. È emerso come alcune società regolari venissero utilizzate come schermo per nascondere traffici di rifiuti stoccati abusivamente e abbandonati in capannoni ufficialmente dismessi.

    Il giro bolla

    I metodi più usati sono quelli dei trasbordi da camion a camion e del “giro bolla”, un passaggio fittizio di documenti. Le società in regola acquisiscono formalmente i rifiuti senza però mai scaricarli dai camion. Il contenuto dei cassoni viene poi classificato come «non rifiuto». E con un nuovo documento di trasporto arriva nei luoghi di abbanco abusivo. Sul business incombe l’interesse della ‘ndrangheta e spesso nelle pieghe degli strumenti normativi si inseriscono imprenditori organici ai (o teste di legno dei) clan con ditte che, magari anche spostando la loro sede legale, riescono a ottenere un appalto dopo l’altro.

    Un «collaudato sistema»

    La relazione semestrale della Dia cita “Quarta copia” e parla di un «collaudato sistema che si occupava di riempire di rifiuti provenienti anche dalla Campania in capannoni abbandonati nel Nord Italia, interrandone altri in una cava dismessa nell’area di Lamezia Terme su terreni di proprietà di soggetti risultati contigui alla cosca Iannazzo». La stessa cosca a cui una donna lametina «ricorre per l’apertura di un conto corrente presso un istituto bancario locale».

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    Capitava, infatti, che ci fossero da superare delle resistenze che il rappresentante di una delle aziende coinvolte aveva trovato in una banca di Lamezia. Ma dopo alcuni contatti telefonici con la figlia di un esponente di rilievo del clan il conto corrente che non si riusciva ad aprire viene subito aperto. La stessa intestataria ne è quasi sorpresa e dice al compagno: «Hanno fatto una forzatura».

    Candido come la candeggina

    Proprio grazie alla connivenza dell’area grigia dei professionisti i trafficanti di rifiuti legati alla ‘ndrangheta entrano nelle aziende del Nord e finiscono per appropriarsene. «L’azienda è nostra – è una frase rivolta a un imprenditore brianzolo e intercettata – metteremo a capo un nome candido come la candeggina». Quando serve vengono evocati «i cristiani di Platì e San Luca», ma poi si è capaci di guardare ben oltre il Pollino.

    «Abbiamo sequestrato – ha spiegato la pm milanese Silvia Bonardi, che ha condotto un’indagine sugli stessi trafficanti denominata “Feudo” – alcuni documenti che attestano come uno degli arrestati per suo conto stesse esportando senza autorizzazioni materiale plastico in Turchia». Un altro dei trafficanti coinvolti, originario della Locride, «detiene quote di un cementificio in Tunisia, ha grossi interessi in Germania e in alcune intercettazioni ammette di avere un canale pressoché illimitato per conferire spazzatura nell’inceneritore di Düsseldorf».

  • Roccella: sbarcano 300 migranti e l’accoglienza va in tilt

    Roccella: sbarcano 300 migranti e l’accoglienza va in tilt

    Era solo questione di tempo e alla fine, come prevedibile, il banco è saltato. L’ennesimo approdo di migranti sulle banchine del porto delle Grazie ha infatti mandato in tilt la stremata macchina dell’accoglienza di Roccella, costretta ad affrontare l’arrivo continuato di barchini e carrette del mare stipati all’inverosimile di disperati in arrivo dal Medio Oriente sulla rotta che collega la Turchia allo specchio di Jonio che va da Crotone a Reggio Calabria. Martedì, soccorsi da una vedetta della Capitaneria di porto a una decina di miglia dalla costa, sono sbarcati in 300, tra loro anche diversi minori.

    Un gruppo enorme che ha costretto, per la prima volta in quasi venti anni, il piccolo comune reggino ad alzare bandiera bianca dichiarandosi impossibilitato a fornire la prima accoglienza. Il cancello dell’Ospedaletto – la struttura semi fatiscente in cui da anni vengono veicolati i migranti arrivati dal mare prima di essere trasferiti nei centri di accoglienza o sulle navi quarantena e che fino a qualche anno fa ospitava un piccolo ambulatorio medico – era infatti sbarrato da giorni per una sanificazione straordinaria dovuta al continuo afflusso di arrivi di queste ultime settimane.

    L’interno dell’ospedaletto di Roccella Jonica
    Sotto pressione

    Unico avamposto “attrezzato” tra Crotone e Reggio, Roccella si trova al centro di una delle rotte migratorie più battute del Mediterraneo. E qui che convergono i mezzi dei soccorritori quando i barchini sono intercettati al largo delle coste. Un flusso ininterrotto di persone in fuga dal Medio Oriente che negli ultimi tempi ha registrato un notevole aumento. E se, di fatto, il numero degli sbarchi è praticamente raddoppiato – negli ultimi quattro mesi replicatisi al ritmo di uno ogni due giorni – sono invece rimaste pressoché identiche le forze che di quella marea umana si prende cura nelle primissime ore. Un esercito di volontari, dipendenti comunali, forze dell’ordine e associazioni sanitarie, stremate da un impegno costante.

    Chiuso per sanificazione

    Preceduta da una lettera inviata dal sindaco Zito al Prefetto, la serrata della struttura di prima accoglienza si era resa necessaria dopo gli sbarchi delle ultime settimane. Impossibile rimandare ancora le operazioni di pulizia straordinaria e sanificazione dei locali dopo il transito di centinaia di persone in pochi giorni. Quando le operazioni di prima verifica sanitaria sui migranti si stavano esaurendo sulle banchine del porto, poche centinaia di metri più in là, quelle di sanificazione dell’ospedaletto erano ancora in corso. E così, il gruppo di 300 migranti – schierati in tre gruppi di cento all’ombra dei relitti dei barconi degli sbarchi precedenti – approdati alle prime luci dell’alba è rimasto sulla banchina nord anche per le operazioni di identificazione da parte delle forze dell’ordine.

    L’esterno dell’ospedaletto di Roccella Jonica
    In prestito dal poligono

    E così, in mancanza di una struttura idonea, la macchina dei soccorsi – Roccella è praticamente l’unico caso italiano interessato da grossi flussi migratori in cui non esiste un hub gestito dal Ministero, e tutte le procedure d’accoglienza gravano sulle spalle dell’amministrazione comunale – si è dovuta ingegnare. Accanto al container della Croce Rossa (i cui volontari sono in campo a pieno organico da anni nelle operazioni di soccorso), i tecnici del comune hanno montato un gazebo che hanno dovuto chiedere in prestito al circolo del poligono cittadino, e le operazioni di identificazione da parte della polizia sono potute proseguire al “coperto”.

    Emergenza continua

    Il raddoppio del numero degli sbarchi di quest’ultimo anno ha messo seriamente in difficoltà la macchina dell’accoglienza, facendo emergere una serie di crepe evidenti nel sistema che accompagna il flusso migratorio che interessa la Locride. A partire dall’Ospedaletto, su cui a breve dovrebbero partire i lavori di ristrutturazione. Negli ultimi tempi all’interno degli stanzoni della struttura a nord di Roccella sono stati ospitati fino a 250 migranti per volta, ben oltre le capacità effettive che prevedono un tetto massimo di 130 ospiti. Una situazione di difficoltà straordinaria che si ripercuote sui migranti e poi, a cascata, su tutti gli operatori che in quelle condizioni si trovano ad agire.

    E quando la carretta del mare sfugge ai controlli delle forze dell’ordine, le cose, se possibile, vanno anche peggio. Quando un barchino si arena sulle spiagge della riviera dei Gelsomini infatti, i sindaci sono costretti ad individuare una struttura idonea a garantire la prima accoglienza. Con i risultati che ci si può immaginare. Palazzetti che diventano dormitori, vecchi edifici riconvertiti per poche ore in ostelli di fortuna, persino vecchie scuole riadattate all’ultimo minuto, come a Siderno Superiore o come nel caso di Arghillà, quando il traporto di una 70ina di migranti arrivati al porto di Reggio provocò una mezza insurrezione, con tanto di barricate di immondizia data alle fiamme e polizia in assetto anti sommossa.

  • Mala Pigna, nella Piana rifiuti speciali con valori di 6000% oltre la norma

    Mala Pigna, nella Piana rifiuti speciali con valori di 6000% oltre la norma

    Grazie alla complicità di diversi professionisti, la ‘ndrangheta avrebbe mantenuto la titolarità di un’azienda confiscata fin dal 2007. Ma, soprattutto, avrebbe nascosto il vasto e nocivo giro di rifiuti ferrosi, che sarebbero andati a inquinare anche i territori della Piana di Gioia Tauro. Sono in tutto 29 le misure cautelari disposte dal Gip di Reggio Calabria nell’ambito dell’inchiesta “Mala pigna”, curata dalla Dda reggina ed eseguita dai Carabinieri Forestali. Diciannove tra arresti e arresti domiciliari e 10 provvedimenti di obbligo di presentazione all’Autorità Giudiziaria.

    I rilievi sui terreni con valori altissimi minerali e idrocarburi

    Il blitz dei Carabinieri Forestali ha portato anche al sequestro di cinque società operanti nel settore dei rifiuti per il valore complessivo di un milione e seicentomila euro. Il provvedimento è stato eseguito nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Ravenna, Brescia e Monza-Brianza.

    Giancarlo Pittelli di nuovo in carcere

    L’inchiesta è coordinata dal procuratore capo, Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci, e dai sostituti Gianluca Gelso, Paola D’Ambrosio e Giorgio Panucci. Un’inchiesta che apre scenari inquietanti sullo stato di inquinamento del territorio. Ma che, ancora una volta, scoperchia le numerose complicità di cui possono godere i clan. In primis quella che vedrebbe protagonista Giancarlo Pittelli.

    La conferenza stampa dell’operazione “Mala Pigna”. Terzo da sinistra il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri

    L’attività dell’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia viene definita dal procuratore Bombardieri “a tutto tondo” al servizio della cosca Piromalli di Gioia Tauro. Pittelli è già coinvolto nell’inchiesta “Rinascita-Scott”, curata dalla Dda di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri. Nel maxi-processo alla ‘ndrangheta, gli inquirenti gli contestano di essere un elemento di congiunzione tra l’ala militare dei clan e la massoneria deviata. In particolare, la potente cosca Mancuso. Da sempre, in contatto anche con i Piromalli.

    Dopo mesi di detenzione, era da poco ritornato a casa agli arresti domiciliari. Ma è stato nuovamente condotto in carcere. Anche nell’inchiesta “Mala pigna”, il ruolo di Pittelli si staglia come quello di professionista in rapporti di grande affinità con la ‘ndrangheta.

    L’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia, Giancarlo Pittelli

    sarebbe stato al servizio della potente cosca Piromalli di Gioia Tauro, veicolando messaggi dal carcere verso Rocco Delfino, considerato uomo di spicco della cosca e referente di Pino Piromalli, detto “Facciazza”, e del figlio Antonio Piromalli. Delfino, insieme ad altri complici, avrebbe aggirato la normativa antimafia, promuovendo un’associazione volta al traffico illecito di rifiuti mediante la gestione di aziende fittiziamente intestate a soggetti terzi ma riconducibili a se stesso e alla sua famiglia.

    I professionisti al servizio del clan

    Secondo le indagini, la ‘ndrangheta si sarebbe schermata dietro società apparentemente “pulite”. Con un amministratore legale privo di pregiudizi penali e di polizia, che aveva tutte le carte in regola per poter ottenere le autorizzazioni necessarie alla gestione di un settore strategico, qual è quello dei rifiuti speciali. Così si potevano intrattenere rapporti contrattuali con le maggiori aziende siderurgiche italiane. Contrattare l’importazione e l’esportazione di rifiuti da e per Stati esteri. Nonché aspirare all’iscrizione in white list negli elenchi istituiti presso la Prefettura.

    Addirittura, Rocco Delfino continuava a gestire la “Delfino s.r.l.”, che gli era stata confiscata fin dal lontano 2007. Questa ditta era diventata un’azienda di schermatura per le attività illecite dei fratelli Delfino. Fondamentale il ruolo di professionisti compiacenti e asserviti. In particolare, un ruolo fondamentale è rivestito dagli amministratori designati dall’Agenzia Nazionale dei beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata. Nonché di professionisti, come avvocati, consulenti, commercialisti ed ingegneri ambientali. Costoro prestavano per la stessa l’azienda opera di intelletto, con metodo fraudolento e sotto la direzione dei Delfino.

    Dalle intercettazioni raccolte emergerebbero le gravi condotte messe in atto dai professionisti a cui gli inquirenti contestano il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’elenco figurano amministratori giudiziari (e poi esponenti dell’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati) come Giuseppe Antonio Nucara e Alessio Alberto Gangemi. E poi, la commercialista Deborah Cannizzaro. Ma anche l’ingegner Giuseppe Tomaselli, che avrebbe avuto un ruolo per quanto concerne gli interramenti e l’inquinamento ambientale.

    Valori oltre il 6.000% rispetto alla norma consentita

    È inquietante ciò che avrebbero scoperto i consulenti nominati dalla Procura. Nella zona limitrofa all’azienda di Delfino (e, fittiziamente, dei Piromalli) i dati inquinanti raggiungerebbero picchi altissimi. Tassi che la ‘ndrangheta sarebbe riuscita a occultare proprio attraverso perizie di comodo, volte a celare ciò che invece era avvenuto.

    Secondo l’inchiesta, infatti, autocarri aziendali partivano dalla sede della società con il cassone carico di rifiuti speciali, spesso riconducibili a “Car Fluff” (rifiuto di scarto proveniente dal processo di demolizione delle autovetture) e giungevano in terreni agricoli posti a pochi metri di distanza, interrando copiosi quantitativi di rifiuti, anche a profondità significative. Gli accertamenti eseguiti avrebbero quindi dimostrato l’interramento di altri materiali, quali fanghi provenienti presumibilmente dall’industria meccanica pesante e siderurgica. Tali terreni agricoli, a seguito degli interramenti ed a cagione di essi, risultavano gravemente contaminati da sostanze altamente nocive.

    In particolare, le analisi disposte dalla Dda di Reggio Calabria avrebbero dimostrato come lo zinco fosse presente con valori sette volte superiori a quanto previsto dalla legge. Una presenza crescente per il rame, segnalato con un tasso di dodici volte superiore al consentito. Il piombo saliva fino a cinquantasette volte rispetto alla norma. E, ancora, gli idrocarburi raggiungevano picchi del +4.200% rispetto alle soglie. In alcuni casi i valori sono arrivati al 6.000% sopra la soglia di guardia. Per l’accusa, esiste il concreto ed attuale pericolo che le sostanze inquinanti possano infiltrarsi ancor più nel sottosuolo determinando la contaminazione anche della falda acquifera sottostante.

    «Faccendiere di riferimento della ‘ndrangheta»

    Il capo d’imputazione a suo carico dipinge Giancarlo Pittelli come un soggetto totalmente a disposizione della cosca Piromalli. L’ex senatore di Forza Italia avrebbe veicolato informazioni dall’interno all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti al 41 bis. “Facciazza” e suo figlio Antonio Piromalli avevano necessità di comunicare con il loro avamposto, Rocco Delfino, e avrebbero usato proprio Pittelli per farlo.

    «Uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento, avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto sinallagmatico» è scritto nelle carte d’indagine. Pittelli si sarebbe attivato in favore di Delfino per la revisione del procedimento di prevenzione nei confronti della società in confisca Delfino s.r.l., pendente dinanzi al Tribunale di Catanzaro Sezione Misure di Prevenzione, con l’intento di “influire” sulle determinazioni del Presidente del Collegio al fine di ottenere la revoca del sequestro di prevenzione. Ad accusarlo è Marco Petrini, il giudice arrestato per corruzione in atti giudiziari che ha iniziato a “vuotare il sacco” rispetto al sistema di mazzette in cui si sarebbe mosso. Mettendo in mezzo anche Pittelli.

    Ma dalle intercettazioni emerge anche la volontà di Delfino di raggiungere l’ex ministro degli Esteri, Franco Frattini. Delfino avrebbe interpellato Pittelli per un procedimento amministrativo davanti al Consiglio di Stato.  Frattini, comunque, è totalmente estraneo alla vicenda. «Nell’occasione – è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip – Delfino chiedeva a Pittelli se ci fosse una qualche possibilità di influire sulle determinazioni del giudice Frattini, al fine di assicurarsi il buon esito di un ricorso. Pittelli – scrivono sempre i magistrati – dopo aver rivolto nei suoi confronti frasi dal contenuto offensivo, rispondeva negativamente in quanto il dottore Frattini, inconsapevole della vicenda di cui parlavano gli interlocutori, non si sarebbe prestato a favore del Delfino».

  • Rifiuti raddoppiati tra vigne e uliveti? Siderno sfida la Regione

    Rifiuti raddoppiati tra vigne e uliveti? Siderno sfida la Regione

    Case che diventano aziende agricole, nuovi capannoni che si nascondono dietro anglicismi tattici, limiti ambientali cancellati d’imperio, strade che non esistono e su cui dovrebbero passare decine di camion al giorno: è finito, inevitabilmente, a carte bollate il braccio di ferro tra la Regione e il comune di Siderno sul “rinnovo” dell’impianto di trattamento dei rifiuti di San Leo. Un ricorso al Tar, presentato sull’ultima curva disponibile dalla terna commissariale che regge la cittadina jonica dopo l’ennesimo commissariamento per mafia, che mira a una sentenza sospensiva per i previsti lavori di profonda ristrutturazione dell’impianto gestito da Ecologia Oggi, società del gruppo Guarascio che in provincia di Reggio già gestisce il termovalorizzatore di Gioia Tauro.

    Il ricorso ai giudici amministrativi che potrebbe avere sviluppi già nei prossimi giorni. Presto gli si affiancherà quello che i cittadini dell’associazione «Siderno ha già dato» stanno preparando a supporto e integrazione del primo. Una battaglia che tra riunioni infuocate, consigli comunali aperti e manifestazioni di protesta, covava da mesi. E che è esplosa quando dal dipartimento di Tutela ambientale della Regione, è arrivata l’autorizzazione all’ampliamento.

    Le tappe

    Quella del raddoppio dell’impianto di San Leo è una storia vecchia. Dal dicembre 2016 – quando il Consiglio regionale approvò il Piano regionale di gestione dei rifiuti – incombe su un pezzo di Calabria sottratto alla fiumara e piazzato a poche centinaia di metri dal mare, più o meno a metà tra i territori di Siderno e Locri, i centri più grandi dell’intero comprensorio. Nel piano originario approvato a Palazzo Campanella nel 2016, San Leo sarebbe dovuta diventare un eco-distretto attraverso la creazione di nuove linee di produzione per i rifiuti differenziati e l’adozione della tecnologia anaerobica per il trattamento della forsu e del “verde” per la produzione di biogas.

    Una trasformazione profonda a cui si misero di traverso cittadini e amministrazione comunale in un braccio di ferro durato fino all’aprile del 2018. All’epoca la struttura regionale fa parziale marcia indietro accogliendo le istanze del territorio e limitando i lavori previsti nel centro di San Leo ad un profondo restyling che passava attraverso la riqualificazione delle linee di trattamento dei rifiuti e il potenziamento delle sezioni di aspirazione e biofiltrazione.

    Un progetto differente

    Quando la pratica per i lavori al centro di San Leo sembrava essere finita stritolata negli elefantiaci ingranaggi burocratici della cittadella di Germaneto, nel 2020 c’è una decisa accelerazione dell’iter. A settembre, sull’onda dell’interminabile emergenza monnezza, sul sito del Dipartimento Ambiente spunta la pubblicazione del progetto: un progetto che però, sostengono gli uffici comunali della cittadina jonica, si differenzia in maniera sostanziale dalla bozza venuta fuori durante la conferenza di servizi e gli incontri con i cittadini e a cui la terna prefettizia risponde quindi con parere sfavorevole ai lavori.

    Quel parere non ferma però gli uffici regionali che, lo scorso 12 agosto «decretavano il provvedimento autorizzativo n° 8449» per la trasformazione dell’impianto di San Leo. Un muro contro muro che, inevitabilmente, è finito in tribunale con i giudici amministrativi chiamati a valutare il ricorso presentato dalla terna prefettizia lo scorso primo ottobre.

    La relazione tecnica

    Sono tanti i punti critici evidenziati dalla dettagliata relazione degli uffici comunali contro il piano regionale per San Leo. A cominciare dalle nuove strutture da realizzare: da una parte il progetto regionale, che parla di «modeste modifiche all’attuale assetto morfologico dell’area interessata… che possono determinare un ulteriore moderato impegno di territorio necessario per garantire le nuove e più complesse funzioni operativi dell’impianto», dall’altra gli uffici comunali che, nero su bianco, rispondono «alla bizzarra tesi» avanzata da Catanzaro quantificando le modeste modifiche in «62mila metri quadri di nuova superficie pesantemente trasformata ed edificata che produrrà più di un raddoppio delle dimensioni fisiche dell’attuale impianto».

    Nella sostanza, dicono da Siderno, tutto quello che non era entrato dalla porta, sta rientrando dalla finestra. Quello delle nuove costruzioni rappresenta però solo la punta di un iceberg che rischia di mandare a monte l’intero programma regionale sui rifiuti: nel ricorso presentato al Tar infatti sono evidenziate tutte le criticità avanzate in conferenza di servizi e “superate” di forza dalla Regione.

    La monnezza tra le eccellenze

    L’impianto di San Leo è stato costruito infatti «nelle immediate vicinanze di un nucleo abitato» che nel progetto diventa invece magicamente «azienda agricola non residenziale» e, «adiacente alla fiumara Novito e quindi estremamente vulnerabile alla pericolosità idraulica della stessa». Ricade quasi interamente «all’interno dei 150 metri dalla fiumara e quindi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico». E poi l’impatto sulle produzioni agricole di pregio: la zona in cui sorge l’impianto di trasformazione dei rifiuti e che si troverebbe a dovere ospitare nuove strutture per 62mila metri quadri, ricade «in quella porzione di territorio comunale dove è più spiccata la presenza di produzioni di vino greco Doc, vino della Locride Igt e bergamotto, clementine e olio di oliva Dop».

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    Mariateresa Fragomeni si è imposta nel ballottaggio e guiderà il Comune di Siderno

    E ancora, la strada di collegamento – che sulle carte non esiste e che nella realtà è una mulattiera sterrata costruita su una lingua di terra strappata alla fiumara e divenuta nel tempo, discarica a sua volta – e il documento definitivo di impatto ambientale che non sarebbe mai stato presentato, per una rogna sociale prima ancora che legale, che rischia di esplodere nelle mani del nuovo sindaco di Siderno. Dal canto suo, la neo eletta Mariateresa Fragomeni prende tempo: «Sono sindaca da meno di 24 ore, nei prossimi giorni leggeremo tutte le relazioni e valuteremo come muoverci anche sentendo la Regione e la città metropolitana».