Categoria: Fatti

  • Centro storico, i novanta milioni possono attendere

    Centro storico, i novanta milioni possono attendere

    Ve li ricordate i 90 milioni per il centro storico di Cosenza? Quelli del Contratto istituzionale di sviluppo (Cis), di cui tutti hanno cercato di rivendicare la paternità? Ebbene forse stanno arrivando. Il forse è d’obbligo, visto che il cammino è ancora lungo e le buone intenzioni hanno sempre lastricato le strade finite peggio. Però alcuni segnali incoraggianti ci sono e la partita (gare, appalti e lavori) potrebbe essere avviata nell’ormai prossimo 2022. La scadenza originaria per chiudere la parte relativa alle gare era il 31 Dicembre di quest’anno e al momento praticamente nulla si era mosso. Ma, grazie alla proroga governativa, la data si è spostata alla fine del prossimo anno. Dunque di tempo per avviare procedure e canalizzare gli investimenti ce n’è.

    Solo la Provincia va avanti

    Tra i protagonisti di questa grande opportunità, Mic, Unical, Comune e Provincia di Cosenza, solo quest’ultima è un passettino più avanti. Sul sito dell’ente governato fino a ieri da Iacucci, diventato da pochissimo consigliere regionale, si legge che i 31 milioni che saranno gestiti dalla Provincia andranno a quattro progetti. Il primo è l’adeguamento strutturale e restauro dell’edificio Chiesa S. Teresa D’Avila annessa all’ex Convento dei Padri Carmelitani Scalzi noto altresì come ex orfanotrofio Vittorio Emanuele II° in Via Gravina attuale sede dell’I.I.S. “Mancini – Tommasi” (3.660.000 euro).

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    I resti della chiesa di Santa Teresa d’Avila

    Poi ci sono la ristrutturazione dell’edificio sede del Liceo “Lucrezia Della Valle” di Cosenza (7.700.000 euro); l’adeguamento strutturale e il restauro del “Convitto Nazionale – B. Telesio” per utilizzo a Scuola Superiore con annesso convitto ed area a destinazione incontri e convegnistica e realizzazione Incubatore culturale in sinergia con Unical ed associazioni presenti sul territorio (15.000.000 euro); adeguamento/miglioramento strutturale e restauro del Conservatorio “S. Giacomantonio” (4.930.000 euro).

    Anche il Ministero è in ritardo

    Per il resto perfino il Ministero dei Beni culturali è in ritardo, visto che Anna Laura Orrico, parlamentare dei 5Stelle ed ex sottosegretaria, ha dovuto formalmente sollecitare lo stesso Ministero a nominare il Ruc, che nel linguaggio burocratese è il responsabile unico di controllo. Insomma, si erano scordati il controllore e non si poteva cominciare. La Orrico è certamente tra quanti possono rivendicare l’aver lavorato affinché il centro storico di Cosenza rientrasse tra i destinatari di questo tesoro e racconta come stanno le cose ad oggi.

    «La Provincia è avanti – spiega la parlamentare grillina – e nella prima parte del 2022 potrebbero partire i lavori di sua competenza, mentre il Comune sconta i ritardi dovuti all’inerzia della vecchia amministrazione». L’amministrazione fino a ieri guidata da Occhiuto, per mettersi in moto pare abbia avuto bisogno di un «richiamo ufficiale proprio dal Mic», come ricorda ancora la Orrico. «Il Comune di Cosenza deve gestire la massima parte delle risorse, circa 40 milioni e solo a Luglio aveva cominciato a provvedere alle procedure necessarie», aggiunge.

     

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    Anna Laura Orrico, all’epoca sottosegretario ai Beni culturali, firma a settembre del 2020 il Cis destinato a Cosenza

    Si comprende subito che l’amministrazione comunale è uno dei protagonisti fondamentali di questa opportunità, per il ruolo strategico che svolge e per la quantità di denaro che deve gestire. Per questo il ritardo assume un gravità maggiore, «ma la nuova amministrazione eletta da poco ha già preso contatti con il Ministero», assicura la parlamentare cosentina.

    Neanche un euro dei 90 milioni per il sociale

    Il vero problema consiste nel fatto che questi famosi 90 milioni destinati alla città vecchia non sono finalizzati a migliorare la qualità della vita di chi vi abita. Infatti queste risorse non possono essere usate per finalità sociali, ma solo per il restauro di edifici pubblici di valenza culturale.

    In quelle vecchie mura intanto vive una umanità in affanno. «Gli abitanti censiti sono circa 2.500, altrettanti crediamo quelli non censiti, sono cittadini lasciati nell’abbandono da anni», dice Francesco Alimena, giovane consigliere comunale da tempo impegnato in attività sociali e di ricerca relative alla parte storica di Cosenza.
    Il degrado urbanistico e l’abbandono hanno generato il disfacimento del tessuto sociale nella città vecchia.

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    Francesco Alimena, eletto per la prima volta consigliere comunale, si occupa da tempo del centro storico di Cosenza
    L’altro tesoretto

    Se i 90 milioni sono inutili per dare sollievo a questo disagio, altre e non marginali risorse possono essere utilizzate. Per esempio i fondi dell’Agenda Urbana. Cosenza dovrebbe usarli per il risanamento sociale delle aree marginali e quindi anche del centro storico. Si tratta di 18 milioni e «quattro di questi sono destinati ad aiuti diretti, vale a dire mirati al sostegno contro il disagio povertà». Anche su queste risorse, spiega Alimena, si scontano i ritardi della vecchia amministrazione.

    L’ex assessore se la prende con Invitalia

    Francesco Caruso, prima vicesindaco di Occhiuto e poi candidato a guidare la città, non ci sta a fare la figura di chi ha tralasciato di impegnarsi per il centro storico. E fornisce la sua versione dei fatti replicando ad Alimena e alla Orrico. «Per il Cis erano state presentate tutte le schede al ministero e aspettavamo il via dalle autorità. Poi siamo stati fermati dalle richieste di integrazione pervenuteci da Invitalia», spiega Caruso.

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    L’ex vicesindaco Francesco Caruso nella redazione de I Calabresi. Si è occupato del Cis fino a poche settimane fa

    Poi rincara la dose, aggiungendo «che pure per quanto riguarda Agenda urbana i ritardi sono da imputarsi dalla eccessiva pignoleria di Invitalia. Vuole accentrare il potere decisionale sottraendolo alle realtà locali, forse perché ha interessi nell’affidare le progettazioni». Ma non basta, Caruso su Santa Lucia spiega che «avevamo recentemente rimodulato le particelle di esproprio al fine di acquisire gli immobili oggetto di intervento comunale». E torna all’attacco: «Adesso la gestione è loro, dimostrino, una volta che avranno finito di lamentarsi, di avere le capacità di portare a compimento quanto avviato».

    Il Contratto di quartiere al palo

    Per la verità, di finire il lavoro degli altri i protagonisti della nuova stagione politica non ne hanno per nulla voglia. La visione che propone la nuova amministrazione è quella che coniuga il recupero urbano con la qualità della vita delle persone che vivono in quegli spazi. L’obiettivo cui ambisce Alimena è quello di utilizzare le risorse del Contratto di quartiere Santa Lucia per creare realtà di convivenza sociale come il Social housing. Alimena ricorda che ci sono sei milioni di euro per far rivivere quegli antichi vicoli e restituire dignità a chi li abita.

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    Il tetto crollato di un edificio all’ingresso del rione Santa Lucia a Cosenza

    Sul campo intanto si sperimentano prove di rinascita urbana, proprio tra i vecchi vicoli di Santa Lucia. Il progetto Lucy, ad esempio, un’esperienza di riuso urbano e di riconquista degli spazi negati e abbandonati da parte dei cittadini. Si tratta di indicare una strada, che diventerà interamente percorribile solo grazie alle risorse attese. Ma Alimena è fiducioso: «I cantieri del Cis devono partire entro la fine del 2022, ma l’Agenda Urbana può trovare realizzazione anche prima». È l’ottimismo della volontà, come direbbe Gramsci. La ragione suggerisce di tenere gli occhi aperti.

  • Imprese calabresi, oltre 99 su 100 irregolari per l’Inail

    Imprese calabresi, oltre 99 su 100 irregolari per l’Inail

    La Calabria è una terra di poco lavoro e spesso irregolare. Sono in diminuzione invece gli infortuni e le malattie professionali ma purtroppo sono in aumento le morti bianche. Questo il quadro che emerge dal lavoro ispettivo dell’Inail in un dossier annuale con dati aggiornati fino ad aprile scorso. Le ispezioni hanno interessato la nostra regione su un campione di 184 imprese. E ben 183 sono risultate irregolari. Le verifiche hanno avuto luogo nelle 5 province e sulla base dei seguenti criteri: l’emersione del lavoro nero o non regolare per contribuzione, previdenza e assicurazione e compensi, evasione fiscale, e infortuni sul lavoro e malattie professionali.

    Calabria sopra la media nazionale

    Nel 2020 il 99,46%, sono risultate irregolari. Il dato è 12,8 punti percentuali sopra il valore nazionale (86,57%). Dalle ispezioni effettuate sono stati accertati 2,8 milioni di premi omessi, il 28,30% in meno rispetto al 2018 ma il 43,00% in più rispetto al 2019. A livello nazionale si è registrato un calo del 27,96% rispetto al 2018 e un aumento del 6,28% rispetto al 2019. Nel 2020 in Calabria sono state rilevate 7.260 denunce di infortunio corrispondenti all’1,27% del totale nazionale, in calo rispetto sia al 2018 (-28,40%), sia al 2019 (-26,87%). A livello nazionale le denunce di infortunio sono diminuite rispetto al biennio precedente di oltre l’11%.

    I numeri delle denunce

    In Calabria nel 2020 sono state protocollate 1.545 denunce di malattia professionale, in diminuzione del 41,17% rispetto al 2018 e del 40,53% rispetto al 2019. A livello nazionale il dato è in calo del 24,40% rispetto al 2018 e del 26,55% rispetto al 2019. Le denunce di infortunio con esito mortale in Calabria sono state 42, in diminuzione rispetto al 2018 (-9 casi) ma in aumento rispetto al 2019 (+7 casi). Le malattie professionali riconosciute con esito mortale in Calabria nel 2020 sono state 13, 2 in più rispetto al 2018 (11) e 9 in meno rispetto all’anno precedente (22).

    Per quanto riguarda le denunce per infortunio sul posto di lavoro, la provincia di Cosenza fa registrare i numeri più alti a livello regionale purtroppo anche per quelli con esito mortale. Nessun dato invece per le presunte evasioni fiscali o per l’emersione di lavoro nero o irregolare per le quali sono in corso attività di indagine da parte della magistratura.

    Il Covid contratto nei luoghi di lavoro in Calabria

    Rispetto alla ultima data di rilevazione Inail del 31 agosto 2021 le denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19 sono aumentate di 36 casi (+2,7%, superiore all’incremento nazionale pari allo 0,9%), di cui 16 avvenuti nel mese di settembre, 17 ad agosto, i restanti casi sono riconducibili ai mesi precedenti. L’aumento ha riguardato tutte le province, in particolare in termini assoluti emergono Cosenza e Reggio Calabria, in termini relativi Vibo Valentia e Cosenza.

    La distribuzione dei contagi per genere evidenzia che la quota maschile supera quella femminile, in controtendenza rispetto al dato medio nazionale. L’analisi nella regione evidenzia che il 63,5% dei contagi sono riconducibili all’anno 2020, il restante 36,5% ai primi nove mesi del 2021, l’incidenza regionale nell’anno in corso è superiore a quanto osservato a livello nazionale (18,5% delle denunce complessive). Il picco dei contagi professionali si rileva nel mese di novembre (29,4% di denunce).

    Dati più confortanti nel 2021

    Il 2021 è caratterizzato, sia a livello regionale che nazionale, da un’attenuazione del fenomeno, con la Calabria che registra sempre, nel corso dei nove mesi, percentuali più elevate rispetto alle medie nazionali con, in particolare, due risalite in corrispondenza di aprile (7,8% delle denunce complessive) ed agosto (aumento più contenuto pari al 2,4%). Gli eventi mortali non sono invece aumentati rispetto alla precedente rilevazione. Ovviamente la maggior parte delle denunce per Covid contratto sul posto di lavoro risulta nel settore sanitario: 53,6%. Seguono: commercio, 12,4%; trasporti e magazzinaggio, 11,4%; attività professionali, scientifiche e tecniche, 5,3%; costruzioni, 3,4%; amministrazione pubblica, 3,3%; Altre attività di servizi, 3,0%; altro, 7,6%.

    In collaborazione con le forze dell’ordine

    I controlli dell’Inail sono stati effettuati spesso in collaborazione con le forze dell’ordine. Per quanto riguarda le ipotizzate evasioni fiscali o il lavoro a nero sono state successivamente inviate dettagliate rendicontazioni alle autorità giudiziarie. Da quel momento in poi, con attività indagini in corso, l’Inail “perde” il contatto con i vari fascicoli, per ovvi motivi legati al segreto istruttorio. Inoltre, le azioni penali non riguardano più l’ente.

    Diverso è il discorso per le eventuali azioni civili di risarcimento dove l’Inail rappresenta sempre parte integrante del contenzioso perché deputato a stabilire i gradi di gravità, degli infortuni o delle malattie contratte sui luoghi di lavoro, con punteggi e tabelle ben precise e stabilite a livello nazionale.
    Il contenzioso penale e quello civile viaggiano su differenti binari e un’assoluzione penale non mette al riparo datori di lavoro ed enti da eventuali risarcimenti del danno o nel caso di morte del lavoratore, sia nel caso di morte sul posto di lavoro sia nel caso di successivo decesso per malattie professionali, di danni agli eredi.

  • Falcomatà sospeso, rimpasto lampo per salvare la maggioranza

    Falcomatà sospeso, rimpasto lampo per salvare la maggioranza

    Come un sovrano che prova a salvare il salvabile con il nemico alle porte. A nascondere, magari bruciare, i documenti sconvenienti. Nelle ore antecedenti e successive alla condanna per il “caso Miramare”, Giuseppe Falcomatà ha fatto un po’ così. Il nemico non era alle porte. Ma il tempo stringeva comunque.

    La sospensione

    Alle 20.22 di ieri sera, sostanzialmente cinque ore dopo la sentenza pronunciata dal Tribunale, il prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, ha infatti comunicato la sospensione dalla carica del sindaco di Reggio Calabria. Poco dopo le 15, il Collegio presieduto da Fabio Lauria lo aveva condannato a un anno e quattro mesi per abuso d’ufficio. Punito per l’assegnazione diretta, senza un bando di evidenza pubblica, dell’ex albergo Miramare all’imprenditore Paolo Zagarella. Suo amico di vecchia data.

    Un provvedimento automatico, in forza della Legge Severino. Falcomatà, che è pure avvocato, già nel commento a caldo della sentenza lo dava per scontato. «L’Amministrazione andrà avanti», aveva però detto al folto numero di giornalisti presenti presso l’aula bunker di Reggio Calabria.

    La frenesia delle nomine

    Per questo si è adoperato parecchio. Circa un paio d’ore prima rispetto alla sospensione, Falcomatà, che, come è noto, è anche sindaco della Città Metropolitana, ha proceduto, da condannato in primo grado, alla nomina del nuovo vicesindaco metropolitano, Carmelo Versace. A essere colpito dalla sentenza (e, quindi, dalla Legge Severino) è infatti anche il fido avvocato Armando Neri, che, fino alla condanna, ha ricoperto il ruolo di vicesindaco metropolitano.

    Ma le nomine per Falcomatà erano un pensiero già da tempo.  Poco dopo le 14 (quindi sostanzialmente un’ora prima rispetto alla condanna) Falcomatà aveva già nominato il nuovo vicesindaco. Defenestrato in parte il professor Tonino Perna. Chiamato in pompa magna alcuni mesi prima, per dar lustro alla Giunta Comunale. Vicesindaco da esterno. Lui che aveva ricoperto ruoli importanti. Assessore con Renato Accorinti a Messina. Presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte. Ma, soprattutto, intellettuale riconosciuto e apprezzato in città.

    Parzialmente defenestrato perché Perna resta in Giunta. Con qualche delega minore. Al suo posto, Paolo Brunetti. Maresciallo della Guardia di Finanza. Una nomina che fa discutere. Perché Brunetti, negli anni, è stato assessore alla Depurazione e, oggi, all’Ambiente e al Ciclo Integrato dei Rifiuti. Che, in una città che patisce una cronica carenza idrica e che, in alcune sue zone, è letteralmente sommersa dall’immondizia, non è di certo un buon biglietto da visita.

    E, sicuramente, non un motivo per una “promozione”.

    Alla ricerca di uno “yes man”

    Ma, soprattutto, Paolo Brunetti non è un esponente del Partito Democratico, il partito di Giuseppe Falcomatà. Brunetti, infatti, da qualche mese ha aderito a Italia Viva. Tra i pochi a scegliere il partito di Matteo Renzi. Che in altre province – non ultima quella cosentina, del renziano per eccellenza, Ernesto Magorno – ha cifre di iscritti poco lusinghiere.

    Cosa si cela dietro questa scelta? Di certo Perna, per la sua storia di antagonismo, non poteva essere definito uno “yes man”. Non dava quindi sufficienti garanzie sulla linea da seguire in questi mesi. Perché, allora, accettare questa manovra al ribasso? Peraltro, Falcomatà era un po’ a corto di fedelissimi in Giunta. Non solo Neri, ma anche Giovanni Muraca è stato condannato nel processo “Miramare”. Proprio quel Giovanni Muraca candidato del sindaco alle ultime consultazioni regionali.

    Brunetti non ha un profilo nemmeno paragonabile a quello di Perna. Ma, di certo, offre più garanzie sulla linea da seguire. Ma non è un esponente del Pd. E, con Italia Viva che, a livello nazionale, sembra sempre più appiattita sulle posizioni del centrodestra, questo potrebbe non essere troppo gradito.

    Gioco di equilibri

    Insieme a Nicola Irto, Giuseppe Falcomatà è sicuramente uno dei giovani politici emergenti del Partito Democratico. Che, come ha dimostrato la scelta non troppo convincente di Amalia Bruni come candidata alla presidenza della Regione, ha diversi problemi nel ricambio generazionale. Nonostante gli anni da sindaco di Reggio Calabria non siano stati particolarmente esaltanti, Falcomatà rimaneva comunque uno dei giovani esponenti democratici più apprezzati.

    La condanna, seppur di primo grado, segna ora una prima, vera, brusca frenata nella carriera politica di Falcomatà. Ma la scelta di non designare come sindaco facente funzioni un esponente del Pd, magari un esterno, potrebbe nascondere qualcosa di molto interessante sotto il profilo politico.

    Innanzitutto, dice qualcosa sui rapporti che il sindaco (sospeso) di Reggio Calabria potrebbe avere con il proprio partito. Nelle ore successive alla condanna, infatti, Falcomatà ha incassato la solidarietà dell’Anci. Persino del sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, già Forza Italia e oggi Coraggio Italia. Ma nessun leader del Pd è intervenuto.

    Ma, ancor più interessante, forse, sarebbe la necessità di tenere compatta la maggioranza. Che, con un Comune decapitato, si sarebbe potuta anche sfaldare. E questo Falcomatà non lo vuole. E proprio nell’ultima settimana, la maggioranza consiliare aveva mostrato qualche preoccupante scricchiolio. In Commissione, alcune mozioni presentate dai consiglieri di maggioranza non erano passate, anche a causa del “fuoco amico” di altri colleghi di partito e di coalizione. Che, uscendo dall’aula, avevano fatto mancare il numero legale.

    Insomma, l’obiettivo è chiaro: evitare una escalation pericolosa.

    Fine?

    Sì, perché Falcomatà sogna già il ritorno. Innanzitutto per il ricorso pendente davanti alla Corte Costituzionale sulla Legge Severino. E poi per la possibilità di impugnare (con successo) il provvedimento di sospensione. In passato, infatti, da Luigi De Magistris a Vincenzo De Luca, tanti sono stati i politici che hanno vinto la battaglia amministrativa. Ironia della sorte, gli unici a non impugnare la sospensione, nella storia, sono stati Silvio Berlusconi e Giuseppe Scopelliti.

    Falcomatà, quindi, potrebbe tornare in sella molto presto qualora decidesse di opporsi alla Legge Severino. Per questo serviva mantenere la maggioranza compatta. Lo scioglimento del consiglio comunale avrebbe portato a un commissariamento che, con i soldi del PNRR in arrivo, sarebbe stato esiziale sotto il profilo politico.

    Ancor di più pensando che, appena un anno fa, Falcomatà è riuscito a essere riconfermato sindaco solo al ballottaggio. Sebbene il centrodestra esprimesse un candidato della Lega oggettivamente poco gradito alla cittadinanza. Un ritorno al voto, quindi, potrebbe avere esiti molto incerti.

    Ma, al momento, nonostante alcune uscite nazionali (su tutte, quella di Matteo Salvini) l’ipotesi non sembra essere contemplata. Di certo, Giuseppe Falcomatà non si aspettava un percorso del genere. Lui, figlio di Italo Falcomatà, sindaco della Primavera Reggina. Lui che era stato eletto sindaco dopo gli anni del “Modello Reggio”. E dopo la vergogna nazionale dello scioglimento per contiguità con la ‘ndrangheta.

    Lui che doveva risollevare Reggio Calabria. E che è stato travolto, come tanti, dall’onda della giustizia.

  • “Miramare”: un anno e quattro mesi a Falcomatà. Il sindaco di Reggio sarà sospeso

    “Miramare”: un anno e quattro mesi a Falcomatà. Il sindaco di Reggio sarà sospeso

    Un anno e quattro mesi per il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. Un anno per l’ex segretario generale e per assessori ed ex assessori. Tutti condannati per abuso d’ufficio, ma assolti dal reato di falso. Per tutti la pena è stata sospesa.

    Questa la decisione, dopo diverse ore di camera di consiglio, del Tribunale di Reggio Calabria. Il Collegio presieduto da Fabio Lauria ha letto il dispositivo di sentenza intorno alle 15.15.

    La sentenza

    Si conclude così il processo di primo grado sul cosiddetto “Caso Miramare”. Celebrato per far luce sull’assegnazione, con affidamento diretto, che la Giunta Comunale di Reggio Calabria fece alla semisconosciuta associazione “Il Sottoscala”, dell’imprenditore Paolo Zagarella. Un’assegnazione che suscitò grande polemica politica e sociale in città. Perché Zagarella era unanimemente riconosciuto come un amico di vecchia data del sindaco.

    Secondo l’accusa, tale «regalo» sarebbe stato effettuato in virtù del rapporto di amicizia tra Falcomatà e il noto imprenditore reggino. Questi era ritenuto il dominus della compagine associativa. Nel corso del suo esame in aula, Falcomatà ha definito Zagarella solo «un buon conoscente». Ma sarebbe notorio, a Reggio Calabria, il rapporto datato tra i due. E consolidato attraverso diverse serate danzanti nelle discoteche più esclusive e alla moda della città.

    La dialettica tra accusa e difesa

    Da qui, dunque, l’assegnazione diretta. Senza un bando di evidenza pubblica. «Il sindaco Falcomatà non solo non si è astenuto, ma è stato il vero regista dell’operazione» aveva detto l’accusa nel corso della propria requisitoria.  I pubblici ministeri Walter Ignazitto e Nicola De Caria avevano chiesto un anno e dieci mesi di reclusione per il sindaco di Reggio Calabria. Al termine della propria requisitoria, i rappresentanti dell’accusa ritenevano il primo cittadino responsabile dei reati contestati.

    Per tutti gli altri, la Procura aveva chiesto un anno e otto mesi di reclusione ciascuno. Oltre a Falcomatà e a Zagarella erano imputati anche l’ex segretario generale del Comune, Giovanna Acquaviva, l’ex dirigente Maria Luisa Spanò, l’assessore in carica ai Lavori Pubblici e candidato al Consiglio regionale, Giovanni Muraca, e gli ex assessori Saverio Anghelone, Armando Neri, Patrizia Nardi, Giuseppe Marino, Antonino Zimbalatti e Agata Quattrone. Tutti puniti con un anno di reclusione ciascuno e la sospensione della pena.

    La requisitoria

    La requisitoria della Procura, il 22 ottobre scorso. In questo mese, le arringhe difensive hanno provato in tutti i modi a smontare il costrutto accusatorio. Sostenendo come non vi fosse dolo nella condotta degli imputati. Né alcun illecito profitto per Zagarella. Dato che uno dei punti su cui ha sempre puntato la difesa era il fatto che per il Comune di Reggio Calabria quella delibera (poi ritirata) non avrebbe portato alcun esborso per l’Ente.

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    L’ex Hotel Miramare a Reggio Calabria

    L’affidamento della gestione della struttura di pregio, notissima in città, sarebbe avvenuto in maniera diretta a Zagarella. Questi, infatti, è uno storico amico del sindaco Falcomatà. E gli avrebbe anche concesso, in forma gratuita, i locali che avevano ospitato la segreteria politica nella campagna elettorale. La prima, quella che porterà l’attuale primo cittadino alla schiacciante vittoria sul centrodestra nella corsa verso Palazzo San Giorgio

    L’inchiesta

    «Con Zagarella, Falcomatà aveva un debito di riconoscenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria. Per questo, quindi, il “Miramare” sarebbe stato affidato all’associazione “Il Sottoscala” dietro cui si celava (seppur senza cariche formali) Zagarella. Questi, esperto di feste e serate danzanti, avrebbe dovuto realizzare eventi e, quindi, intascare soldi, nell’immobile di pregio comunale.

    Una delibera, quella del 16 luglio 2015, che sarebbe stata approvata a maggioranza con l’assenza dell’allora assessore, Mattia Neto. Che infatti non verrà coinvolta nell’inchiesta della Procura di Reggio Calabria. Ma secondo alcune testimonianze raccolte nel corso del dibattimento, l’associazione “Il Sottoscala” avrebbe avuto la disponibilità dell’immobile di pregio anche prima della votazione della delibera. Tra le persone escusse, che sosterranno tale versione, anche l’allora sovrintendente per i Beni archeologici della Regione Calabria, Margherita Eichberg. Impegnata con una sua collaboratrice nel sopralluogo di un immobile limitrofo al “Miramare” avrebbe sorpreso Zagarella e alcuni operai intenti a fare dei lavori all’interno della struttura.

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    Margherita Eichberg

    La Procura aveva ritenuto di sostenere la penale responsabilità di tutti gli imputati, solo con un minimo distinguo di pena. Ma, certamente, un ruolo maggiore – morale e materiale – era riconosciuto ai due fedelissimi di Falcomatà, l’assessore Armando Neri e l’assessore Giovanni Muraca. Quest’ultimo, nell’impostazione accusatoria, sarebbe stato colui il quale avrebbe, di fatto, consegnato a Zagarella le chiavi per avere la disponibilità del “Miramare”. Forse anche in tempi antecedenti alla delibera stessa, come dichiarato proprio da Eichberg e dalle sue collaboratrici.

    La condannata

    Unica a scegliere il rito abbreviato, l’allora assessore comunale ai Lavori Pubblici, Angela Marcianò. È già stata condannata, in primo grado, a un anno di reclusione.  Già collaboratrice del procuratore Nicola Gratteri, Marcianò, dopo l’esplosione del caso (politico e giudiziario) diventerà la grande accusatrice di Falcomatà. Marcianò ha sempre dichiarato di essersi schierata contro l’assegnazione del “Miramare” a Zagarella.

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    Angela Marcianò durante l’ultima campagna elettorale

    Ma dagli atti dell’indagine (tra cui diverse chat WhatsApp), emergerebbe in realtà solo un tardivo tentativo di intervenire per la modifica dell’atto. Accusa ancor più grave, quella mossa dalla Marcianò, è quella di risultare presente (e, quindi, con voto favorevole alla delibera) nel verbale della riunione di Giunta. Quando, invece, a suo dire, l’avrebbe abbandonata in aperta polemica con il provvedimento che si voleva adottare.

    Cosa accadrà adesso?

    Alle elezioni del settembre 2020, si candiderà anche a sindaco, in piena contrapposizione con il giovane primo cittadino del Partito Democratico. Otterrà un buon risultato, classificandosi terza tra i candidati. Ma al momento dell’insediamento in Consiglio Comunale subirà il provvedimento di sospensione spiccato dal prefetto, proprio a causa della condanna nel “caso Miramare”.

    Stessa sorte, adesso, potrebbe avvenire per Giuseppe Falcomatà è considerato uno degli esponenti più emergenti del Pd calabrese. Avrebbe così una brusca frenata l’epopea politica del figlio d’arte reggino. Figlio, infatti, del sindaco della “Primavera Reggina”, Giuseppe Falcomatà diventerà primo cittadino dopo gli anni del “Modello Reggio” di Giuseppe Scopelliti e lo scioglimento per contiguità con la ‘ndrangheta del Consiglio comunale.

    Ora, però, anche Falcomatà cade sotto i colpi di un’inchiesta giudiziaria. Con conseguenze politiche tutte da vedere. Il primo cittadino, infatti, sarà colpito dal provvedimento di sospensione del prefetto. Così come gli assessori in carica. Poi, si capirà se tutti decideranno di impugnare la decisione.

  • Sanità cosentina, la carica post elettorale dei 680 Oss

    Sanità cosentina, la carica post elettorale dei 680 Oss

    Come fa un semplice concorso, tra l’altro piuttosto piccolo, a diventare un concorsone? In Calabria si può. Come si fa ad avere tanto personale disponibile e non poterlo utilizzare? Nella Sanità calabrese capita questo e peggio.
    Stavolta è toccato agli operatori socio-sanitari reclutati a ottobre dall’Azienda ospedaliera di Cosenza con un concorso bandito nel 2017. Una procedura alla calabrese, in cui all’allungamento dei tempi è corrisposta una dilatazione dei posti, che dai 24 previsti in origine sono diventati 80 effettivi con una “magia” amministrativa degna di un alchimista.
    Ma tanta arte potrebbe non bastare perché, suggeriscono gli addetti ai lavori, anche ottanta risultano troppo pochi.

    Grandi numeri per piccoli posti

    Nelle pubbliche amministrazioni si entra per concorso o ricorso. Ma anche per graduatoria.
    Già: i concorsi amministrativi non si limitano a stabilire un numero (limitato) di vincitori e uno di “perdenti” (i più) tra i candidati.
    I concorsi servono anche per abilitare. Non a caso, tra vincitori e “sconfitti” esiste una terza categoria: gli idonei non vincitori.
    Per il concorso oss del 2017 il numero è mostruoso: sono circa 600 su una graduatoria effettiva di circa 680. In pratica, poco più di un decimo dei candidati (oltre 5mila) che nel 2017 avevano aderito al bando.

    Questi 600 ora premono alle porte della Sanità calabrese. Hanno in parte la legge dalla loro, che li considera comunque idonei a servire ospedali e ambulatori pubblici e sperano di essere assorbiti quanto prima, perché il tempo per far valere i propri interessi non è tantissimo: 3 anni a partire dalla fine del concorso, ché tanto dura l’efficacia della graduatoria.
    Ma questi 600, complici anche molte promesse fatte durante l’ultima campagna elettorale, sperano anche nel fatto che il nuovo commissario regionale alla Sanità, Roberto Occhiuto, possa dare una risposta “politica” alle loro domande. In altre parole, che si comporti più da assessore della sua Giunta regionale, che da commissario.
    Come si è arrivati a tutto questo?

    Lo strano concorso

    Le pubbliche amministrazioni ci hanno abituato a tante stranezze. Ma questo concorso ne batte molte. Infatti: come fa un concorso bandito in fretta e furia per procurarsi personale a durare quattro anni? La risposta è piuttosto semplice: sciatteria.
    L’Ao di Cosenza non è riuscita a lungo a trovare un’azienda specializzata a cui appaltare lo svolgimento delle prove. Poi è intervenuto il Covid a far slittare il tutto ed ecco che le prove si sono svolte a partire da giugno 2020, in una situazione completamente mutata.
    Di quanto fosse mutata, se n’è accorta Isabella Mastrobuono, la commissaria straordinaria dell’Ao, la quale nella tarda primavera scorsa ha chiesto, in seguito a un burrascoso incontro in prefettura, altri 14 posti da aggiungere ai 24 previsti in origine.

    Il commissario dell’Ao di Cosenza, Isabella Mastrobuono

    Occhio alle date: la richiesta risale a poco prima di aprile scorso, cioè tra lo svolgimento delle preselettive (giugno 2020) e la prova pratica.
    Occhio anche ai dettagli: la commissaria non ha modificato il bando, ma lo ha solo integrato con una domanda inviata alla Regione senza risposta. Perciò i 14 in più non sono “vincitori” ma “idonei”. Certo, nei fatti non cambia nulla. Ma nelle amministrazioni la forma pesa più della sostanza: questi 14 posti presi con un “silenzio-assenso” sono la prima pesca dalla graduatoria. Un precedente tra i tanti che incoraggia i candidati a ben sperare.

    Chi vive sperando…

    Infatti, le speranze non sono state disattese. Subito dopo gli orali, svoltisi lo scorso giugno, la commissaria si è accorta che il buco da colmare era più grande. Perciò ha chiesto e ottenuto altri 42 posti, fino ad arrivare a 80. Ed ecco la prima stranezza del concorso: gli idonei assunti sono più dei vincitori.
    La seconda stranezza sta nel numero enorme di idonei, che ha trasformato gli aspiranti oss in un vero e proprio bacino. Ma pure in una potenziale bomba sociale, che potrebbe esplodere se certe aspettative non venissero soddisfatte.

    I buchi e i bisogni

    La storia di questo concorso si lega alla vicenda complicatissima degli oss cosentini.
    Una domanda innanzitutto: quanti ne servono? Una risposta certa non c’è. Comunque tanti. A sentire alcuni esponenti sindacali, il fabbisogno effettivo sarebbe di circa 250 oss per il solo Ospedale dell’Annunziata.
    Se si allarga lo sguardo agli altri due Ospedali dell’Ao (il Mariano Santo di Mendicino e il Santa Barbara di Rogliano) e alle strutture dell’Asp la cifra diventerebbe iperbolica: servirebbero 2.500 oss.
    A questo punto i 680, che sembrano “troppi”, risulterebbero troppo pochi. È così? A livello legale no.

    Il fabbisogno legale dipende da tre fattori. Il primo è costituito dalle Linee guida, redatto e approvato dalla direzione regionale della Sanità. Il secondo è determinato dalle singole Aziende (Asp e Ao) attraverso gli Atti aziendali, che contengono gli organigrammi.
    Il terzo fattore risulta dalla differenza tra le previsioni dell’Atto aziendale (che possono essere più basse del fabbisogno reale) e il personale che effettivamente opera nelle strutture.

    Per chiarire: se il fabbisogno di fatto è 1.000, nulla vieta che l’Atto aziendale dichiari, a causa del Piano di rientro, un fabbisogno di 100 e che, per esempio, il personale impiegato sia di 70 unità. Risultato: il fabbisogno legale sarà di 30 e non di 930.
    Tuttavia, non mancano indizi. Innanzitutto, il fabbisogno del 2019 del solo Ospedale di Cosenza era calcolato in 190 unità. Fino a quel momento i vertici dell’Ao avevano rimediato utilizzando il personale di Coopservice, l’azienda subentrata nel 2014 a Dussman nella gestione esternalizzata dei servizi ospedalieri (pulizie, ecc.).
    Sappiamo com’è andata a finire: la giurisprudenza ha messo uno stop all’uso di personale esterno per svolgere le mansioni di oss e Coopservice, nel frattempo finita anche sotto inchiesta, non solo ha mollato il settore ma ha licenziato quaranta suoi dipendenti.

    Il garbuglio e le promesse

    Ma allora: quanti oss possono permettersi l’Ao ed, eventualmente, l’Asp di Cosenza? Per avere una risposta occorreranno i nuovi Atti aziendali, che dovrebbero essere emanati a fine novembre, e le nuove Linee guida. E qui iniziano le magagne: per quel che riguarda l’Asp, ad esempio, non sono chiare le disponibilità finanziarie, visto che la giustizia amministrativa ha dichiarato illegittimi i bilanci, tra l’altro non rosei, del biennio 2016-2017.

    Poi, a dirla tutta, non è detto che i vertici dell’Azienda sanitaria siano obbligati a pescare dalla graduatoria dell’Ao. Così, almeno, si apprende dai piani alti di via Alimena.
    Certo, le regole di buona amministrazione imporrebbero la “pesca” in un bacino già qualificato anziché fare nuovi concorsi. Tanto più che l’Asp, proprio di recente, ha emesso avvisi per il reclutamento di oss per fronteggiare l’emergenza sanitaria…
    D’altronde non mancano i precedenti di “pesca”: tale l’assunzione a tempo determinato, fatta dall’Ao di Cosenza nel 2019, di 17 oss presi da una graduatoria di Reggio Calabria. Tale anche l’“invio” a Vibo di infermieri reclutati a Cosenza.

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    Roberto Occhiuto

    Ma tutto resta appeso alla volontà politica dei nuovi vertici della Sanità regionale, oltreché ai mezzi finanziari. Questi 600 idonei della graduatoria cosentina rischiano di diventare la prima grana per Roberto Occhiuto, finora prodigo di buone intenzioni sulla nostra scassatissima Sanità.
    Già: chi vive di speranze, in questo caso alimentate dalla campagna elettorale, di speranze può morire. Ma, come insegna la vicenda degli ex Coopservice, non lo fa in silenzio…

  • Reggio violenta: quei giovani cresciuti a “sciarre” e malandrineria

    Reggio violenta: quei giovani cresciuti a “sciarre” e malandrineria

    Risse a chiamata, violenze tra le mura domestiche, danneggiamenti e vandalismi. E poi furti e rapine, risalendo la scala della gerarchia del crimine fino al narcotraffico e all’associazione mafiosa. È un mondo complesso quello dei minori che finiscono nei guai con la giustizia: un mondo che, anche in Calabria, sta “ridefinendo” i propri confini, dopo il lungo periodo di “cattività” seguita allo scoppio della pandemia da Covid, sui binari di una violenza “gratuita” che vede i minori come protagonisti attivi e passivi. Quello che registrano le statistiche e che gli operatori della giustizia minorile (magistrati, avvocati, assistenti sociali, terapeuti) riscontrano ogni giorno, è infatti un preoccupante aumento dei casi di violenza “spicciola”, soprattutto tra coetanei.

    Le risse organizzate

    «La convivenza forzata e prolungata dovuta al Covid – filtra dalla procura minorile di Reggio Calabria – ha esasperato gli animi di tutti, e ha reso evidenti quei conflitti nascosti in tante famiglie. Dalla riapertura abbiamo riscontrato un sensibile aumento di aggressioni e violenze maturate all’interno delle mura domestiche ai danni dei più giovani. Violenze e aggressioni che poi si ripropongono anche fuori da casa». E così, nei fascicoli che transitano negli uffici del tribunale minorile reggino, si nota un preoccupante aumento di un fenomeno prima marginale: gli appuntamenti per le risse.

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    Il tribunale per i Minori di Reggio Calabria

    A volte basta pochissimo, uno sguardo a una ragazza, una parola sfuggita tra i denti, un tamponamento. Tutto può funzionare da detonatore, e una volta che la miccia ha preso fuoco fermarsi diventa molto complicato. Come nel caso della maxi rissa di Campo Calabro, prima periferia di Reggio Calabria. Lo scorso febbraio, la piazza centrale del paesino affacciato sullo Stretto, fu infatti teatro di un vero e proprio scontro tra due improvvisate bande di giovanissimi (quasi tutti minorenni).

    In quella occasione, una banale questione di cuore tra adolescenti aveva provocato uno tsunami partito con un appello in chat che aveva finito per coinvolgere diverse “comitive” che si erano presentate all’appuntamento a bordo di scooter e minicar con corredo di mazze e catene. Una sorte di sfida all’Ok Corral recitata tra lo sgomento dei residenti e finita con diversi contusi al Pronto Soccorso.

    Le “sciarre”

    E poi le sciarre nei bar, che a Reggio ormai esplodono con cadenza sempre più frequente. L’ultima in ordine di tempo, appena una manciata di giorni fa in occasione di Halloween: esplosa in un locale del centro ha finito per coinvolgere anche gruppi di persone che erano estranee alla vicenda ed è costata un ricovero con prognosi di 20 giorni per un ventenne colpito sul viso con una bottiglia rotta. E qualche giorno prima un’altra sciarra sul lungomare che vedeva coinvolti gruppi di giovanissimi, immortalati in un video diventato virale su youtube mentre si lanciano tavoli e suppellettili varie gli uni contro gli altri tra le urla dei passanti, che ha portato il sindaco della città a richiedere al Prefetto una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza.

    I figli di ‘ndrangheta

    E se le violenze “spicciole” tra minori si spingono oltre i confini consueti, in Calabria e in provincia di Reggio in particolare, dove l’oppressione delle consorterie di ‘ndrangheta pesa di più, una fetta dei reati che finiscono per coinvolgere i più giovani, riguarda quelli legati al crimine organizzato. Sono diversi infatti i casi di giovani, per lo più adolescenti, coinvolti, loro malgrado, nelle dinamiche criminali mafiose. Cresciuti a “Paciotti e malandrineria” spesso vengono inseriti fin da giovanissimi alla periferia della cosca, con compiti che però possono anche diventare importanti.

    Come nel caso di un adolescente di Palmi che qualche anno fa, con il resto dei parenti più prossimi blindati in galera da sentenze pesantissime per mafia, si ritrovò suo malgrado a fare il “lavoro” dei grandi. Era lui, avevano scoperto i carabinieri, che si era presentato ad un imprenditore cittadino chiedendo un “fiore” per i parenti in galera. Una “sottoscrizione” da 5000 euro per pagare gli avvocati e aiutare le famiglie dei carcerati per mafia. E fu sempre il ragazzo catapultato nel ruolo del boss ad aggredire il figlio minorenne dell’imprenditore che si era rifiutato di pagare il pizzo al clan.

    Nella rete dei clan

    Accanto ai “figli di ‘ndrangheta” poi – i minori che crescono in ambienti fortemente condizionati dalle dinamiche del crimine organizzato finendo spesso per rimanerne invischiati – gli operatori della giustizia minorile si sono trovati ad affrontare un rinnovato interesse delle cosche verso quei minori che non vengono da famiglie legate a doppio filo con il crimine organizzato, ma che galleggiano in un mondo fatto di disinteresse e solitudine.

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    Armi, munizioni e marijuana trovate a un minorenne nel quartiere Ciccarello

    È a loro, registrano gli inquirenti, che i boss si rivolgono per il lavoro sporco legato soprattutto al traffico di stupefacenti e ai danneggiamenti. «A volte – annotano amaramente gli investigatori – per coinvolgerli basta dimostrare un minimo interesse nei loro confronti. Farli sentire coinvolti in un progetto, seppure dalle dinamiche criminali». L’ultimo caso in ordine di tempo risale a pochi giorni fa: durante un blitz dei carabinieri a Ciccarello, popoloso quartiere della città dello Stretto, i militari hanno fermato un diciassettenne che custodiva due scacciacani a salve, una manciata di proiettili calibro 12 e della marijuana.

  • Sport, anno d’oro per l’Italia ma la Calabria vede nero

    Sport, anno d’oro per l’Italia ma la Calabria vede nero

    Nell’anno in cui l’Italia è riuscita a vincere di tutto e di più nello sport, la Calabria, nonostante segnali positivi e barlumi di speranza futuri, segna il passo. E nel dossier de Il Sole 24 Ore sulla sportività delle 107 province italiane, le 5 calabresi sono tutte nell’ultima parte della classifica. La provincia di Cosenza risulta addirittura quartultima, al 104esimo posto generale; Catanzaro 95esima; Crotone 93esima; Vibo Valentia 90esima; Reggio Calabria 85esima.

    Gli indicatori del report

    L’indice totale del report, giunto alla 15esima edizione, è calcolato su 36 indicatori suddivisi in quattro categorie: strutture sportive, sport di squadra, sport individuali e sport e società. Tiene conto dei risultati degli atleti nell’ultimo anno solare (nel calcio, basket, volley, rugby, ciclismo, atletica, nuoto, tennis, sport invernali, acquatici, indoor, outdoor, motori ecc.) fino alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi di Tokyo. Ma anche dei servizi, dei tesserati e delle strutture sportive presenti nella varie province italiane.

    Successi importanti, ma non basta

    Il segnale del trend negativo era arrivato proprio dalle recenti Olimpiadi. L’Italia aveva chiuso i giochi con 40 medaglie, nuovo record storico, ma nessuna di esse  proveniente dalla Calabria (insieme a Valle d’Aosta, Basilicata, Abruzzo). Diverso il discorso, invece, per le Paralimpiadi con gli argenti per Anna Barbaro nel triathlon ed Enza Petrilli nel tiro con l’arco e l’ottima prestazione di Raffaella Battaglia nel sitting volley.

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    Enza Petrilli, impegnata nella gara al termine della quale ha conquistato la medaglia d’argento alle Paralimpiadi di Tokyo

    Questi successi – oltre alle performance del cosentino Domenico Berardi, che ha contribuito a riportare il campionato europeo di calcio in Italia dopo oltre 50 anni – non sono bastati però a migliorare gli indici di sportività delle province calabresi nel dossier annuale de Il Sole 24 Ore. Né è servito il trionfo di Daniele Lavia, sempre agli Europei (di volley nel suo caso).

    Senza strutture, niente futuri campioni

    Le carenze strutturali purtroppo continuano a fare la differenza. Proprio Berardi finì giovanissimo al Sassuolo perché il Cosenza, pronto a inserirlo nella Primavera, non aveva una foresteria dove ospitarlo. Insomma gli atavici problemi calabresi non agevolano gli atleti già professionisti, men che meno i giovani che sono costretti poi ad emigrare anzitempo. Ed è più che evidente che la Calabria sforni sempre meno campioni perché se non ci sono gli incentivi giusti e adeguati finanziamenti diventa sempre più difficile stanare nuovi talenti per trasformarli in professionisti.

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    Domenico Berardi, calabrese di Bocchigliero (CS), festeggia la vittoria degli Europei a Wembley
    Il ruolo della Regione

    Nella scorsa primavera dalla Regione era arrivato il nuovo avviso “Sport in Calabria due”, pubblicato in pre-informazione sul portale “Calabria Europa”, per sostenere il settore sportivo e, in particolare, le associazioni e società sportive dilettantistiche che operano sul territorio regionale e che hanno subito gli effetti dell’emergenza Covid-19. Il budget a disposizione era di un milione e 441mila euro, con contributi a fondo perduto per le associazioni sportive dilettantistiche (asd) e le società sportive dilettantistiche (ssd) iscritte al registro nazionale Coni.

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    Gennaro Gattuso solleva la Coppa del Mondo dopo la finale contro la Francia del 2006

    Uno dei compiti, tra i tanti, della nuova giunta regionale calabrese – che al momento non prevede deleghe su questa materia – sarà anche quello di ridare nuova linfa vitale allo sport locale in ogni suo aspetto, agonistico e amatoriale. Il flop delle province calabresi nel dossier de Il Sole 24 Ore non rende onore a quanti – da Francesco Panetta a Gennaro Gattuso, da Stefano Fiore a Simone Perrotta, passando per Giovanni Tocci e Giovanni Parisi – hanno portato la loro terra ai massimi livelli sportivi internazionali.

    Sport ed economia

    Senza strutture adeguate e moderne e senza investimenti nei vari settori giovanili sarà impossibile scoprire atleti promettenti, magari anche la prossima medaglia d’oro alle Olimpiadi. Sognare non costa nulla, ma costa lo sport invece. E potrebbe risultare fondamentale anche per la fragile economia calabrese investire nel settore. Lo sanno bene a Vicopelago ad esempio, un piccolo Comune della provincia di Lucca primo in classifica nel tennis in Italia, dove dal settore giovanile di categoria hanno tirato fuori campioni e campionesse che lo scorso anno hanno vinto lo scudetto a squadre, con enormi ritorni anche di tipo economico.

  • Giunta Cosenza, 4 assessori di Franz erano con Occhiuto

    Giunta Cosenza, 4 assessori di Franz erano con Occhiuto

    Giunta nuova, nomi vecchi a Cosenza? In larga parte sì. Quattro assessori, che oggi sono al fianco di Franz Caruso, erano in maggioranza con Mario Occhiuto. Il più noto è Francesco De Cicco, l’unico ad essere in Giunta prima. Gli altri sono Pasquale Sconosciuto, Mariateresa De Marco e Massimiliano Battaglia. I tre erano consiglieri comunali.

    Il vice sindaco in quota Boccia

    Il Partito democratico porta a casa, come da indiscrezioni, il vicesindaco con Maria Pia Funaro. Per lei anche le deleghe all’Ambiente e al Territorio. Capolista e seconda eletta nelle file del Pd, è stato Francesco Boccia in persona a indicare il suo nome a Franz Caruso e a spingere perché i tentativi di preferirle Damiano Covelli andassero a vuoto. Non è andata, comunque, male a Covelli. Porta a casa un super assessorato: Lavori Pubblici; Viabilità e Trasporti; Mobilità; Organizzazione, Innovazione e Risorse Umane. La vicenda Amaco, una questione spinosa per il prossimo esecutivo, sarà pure di sua competenza. Resta questo boccone amaro del vicesindaco e si percepisce. Stamane era praticamente attaccato al primo cittadino, quasi a voler comunicare che il suo ruolo va oltre la dimensione amministrativa.

    Il sindaco di Cosenza, Franz Caruso e il vice sindaco Maria Pia Funaro
    Gli altri assessori 

    Due posti in Giunta per la lista Franz Caruso sindaco. Massimiliano Battaglia ha le deleghe al Commercio, Artigianato e Attività produttive. Mentre Maria Teresa De Marco, ex consigliere delegato alla Sanità con Occhiuto, questa volta si occuperà della stessa materia ma da assessore.
    Scontate le deleghe a Francesco De Cicco: Manutenzione e Polizia Municipale. Per il suo fedele compagno Pasquale Sconosciuto: Verde Pubblico, Servizi al Cittadino, Quartieri e Frazioni.
    Urbanistica ed edilizia vanno a Pina Incarnato in quota PSI. Figlia di “Giggino”, consigliere politico più fidato del primo cittadino. Pare che lo segua ovunque e lo marchi stretto a Palazzo dei Bruzi, raccontano dalla stessa maggioranza di Franz.
    Primo volta in Giunta a Cosenza per il Movimento 5 stelle, dopo il gran rifiuto di Bianca Rende. Veronica Buffone si occuperà di Attività istituzionali, Protezione Civile, Legalità e Puc.

    Disastro finanziario ma non andrà in Procura

    «Non è un dissesto ma un disastro finanziario» quello trovato dal sindaco Caruso nel Comune di Cosenza. Non a tal punto da recarsi in Procura e consegnare le carte ai magistrati. Franz Caruso ha detto esplicitamente che non lo farà. Terrà per sé la delega al Bilancio per poi affidarla a un tecnico di valore. La materia e le finanze di Palazzo dei Bruzi fanno tremare i polsi. Esiste una soluzione politica? L’attuale sindaco spera nello Stato centrale, perché possa farsi carico di questa situazione insostenibile. E cerca alleati importanti come il sindaco di Napoli. Governare sarà davvero impresa difficile senza una qualche misura salva-Cosenza.
    Per ora testa bassa e lavorare. Franz lo ha detto con due parole: «È una Giunta operaia».

  • Traffico e trasporti: Cosenza nel caos, come salvarla?

    Traffico e trasporti: Cosenza nel caos, come salvarla?

    «Vuole risolvere il problema del traffico a Cosenza? Servono trenta vigili e dieci carroattrezzi», ride della propria idea draconiana Giuseppe Scaglione, docente di Urbanistica presso l’Università di Trento. Magari non basta, perché il problema è più complesso e il professore lo sa, però ha ragione visto che da «Trento a Cosenza, la tentazione dell’automobilista medio è quella di trasgredire». Insomma è anche una questione culturale e temere sanzioni può aiutare ad assumere comportamenti più civili e a non lasciare la macchina in doppia fila per andare al bar.

    Sosta selvaggia genera caos

    In realtà la questione esige uno sguardo più lungo, che per Scaglione è mancato e che deve partire dall’analisi dello stato delle cose. «Cosenza non è come Rende, che attraverso il piano regolatore dell’architetto Malara ha lunghe e larghe strade principali con altrettante ampie corsie trasversali» spiega Scaglione. Il capoluogo, aggiunge, è cresciuto in modo caotico, saltando ogni programmazione. Ed oggi si trova con i pochi assi viari direzione nord-sud e trasversali strettissime e inaccessibili per la sosta selvaggia. La città si è sviluppata in modo eccessivo rispetto le sue reali esigenze abitative, consumando suolo, ma senza poter adeguare alla crescita la sua rete viaria.
    La conseguenza è il caos.

    Trasporti pubblici inaffidabili

    A questa condizione di partenza va sommato il disastro del servizio pubblico. «A Cosenza il servizio di trasporto pubblico si può dire inesistente. Mancano o non sono rispettate le corsie riservate, la puntualità dei mezzi nei loro percorsi è del tutto inaffidabile, mentre a Trento, per esempio, ci si potrebbe regolare gli orologi per la loro precisione».

    A Cosenza a governare la mobilità durante la giunta Occhiuto è stato Michelangelo Spataro. Se gli si domanda un parere sulla viabilità subito ci tiene a spiegare che sono due cose diverse. «C’è un equivoco, io mi sono occupato di trasporto pubblico, non di strade», dice mettendo le mani avanti. Ovviamente è stato uno dei protagonisti della stagione politica appena conclusa e difende la scelte compiute dalla giunta di cui era parte. Per esempio la decisione di chiudere via Roma, che oggi alimenta un acceso dibattito – con tanto di sit-in previsto per oggi pomeriggio – dopo l’ipotizzata volontà del sindaco Caruso di riaprirla al traffico.

    Tutta colpa della Lorenzin?

    «Noi rispondemmo a una lettera dell’allora ministro Lorenzin che chiedeva di chiudere al traffico gli spazi antistanti le scuole e quelle di via Roma erano le più esposte all’inquinamento dell’aria e acustico, con le sirene delle ambulanze che entravano nelle aule dei bambini». Di qui la decisione di chiudere quell’area, con un appalto che Spataro assicura fu pochissimo costoso, ma che chi ha buona memoria ricorda fosse di 300 mila euro. Oggi quel posto è uno dei punti di impazzimento del traffico.

    La sede dell’Amaco, la municipalizzata che si occupa del trasporto pubblico locale a Cosenza

    Se il nodo più stretto da sciogliere che riguarda la mobilità cittadina è il trasporto pubblico, Spataro assicura che l’Amaco «tutto sommato sta bene, che molti dipendenti sono andati in pensione, sgravando l’azienda di costi e i nuovi assunti sanno di prendere solo mille euro». La strategia di rilancio pare dunque quella di pagare meno quelli che vi lavorano, mentre i debiti complessivi viaggiano più veloci dei mezzi dell’azienda: sui 12 milioni circa.

    Un parcheggio in controtendenza

    Senza un servizio pubblico vero, la città è destinata a restare assediata dalle auto, non solo dei residenti, ma anche dei moltissimi che arrivano nel capoluogo che mantiene una sua centralità in termini di uffici e commercio. La soluzione sarebbero anche più parcheggi, «ma non solo come quello di piazza Bilotti – spiega ancora il professor Scaglione – posto nel cuore di Cosenza. Ormai da tempo, in molte città, i parcheggi di grandi dimensioni vengono concepiti ai margini delle città, sono dei terminali della mobilità dai quali si raggiunge il centro con navette».

    La città green che ancora viene raccontata da alcune graduatorie di cui l’ex sindaco si inorgoglisce in realtà non esiste. «Cosenza ha eroso spazi verdi, per esempio nell’area campione intorno alla sopraelevata di via Padre Giglio, che il nuovo sindaco dicono voglia abbattere: oggi sono 44 gli ettari di terreno edificato e solo 20 destinati al verde. Forse sarebbero da abbattere un po’ di edifici e non la sopraelevata» dice Scaglione. Legambiente dice cose diverse, ma i dati sui quali si costruiscono quelle classifiche sono in gran parte forniti dai comuni, come Legambiente stessa ammette. Insomma me la canto e me la suono.

    O si programma o si muore

    La strana vicenda di Viale Parco non poteva rimanere fuori da questo tema. Il mito della metro leggera si è perso strada facendo. Anche perché, come spiega il docente «quella idea è sorpassata rispetto alle aspettative di fruizione, esattamente come è accaduto altrove, per esempio a Messina, perché il flusso di passeggeri giornalieri non giustifica l’investimento». Resta il dilemma: riaprirlo al traffico? «Come per il tratto chiuso di via Roma, sarebbe solo un palliativo. La soluzione è la programmazione complessiva del sistema città-mobilità, con una visione unitaria, che non c’è stata. Si sono chiuse strade senza mai creare alternative vere». Però per Scaglione potremmo salvarci e non morire di traffico. Toccherà al nuovo sindaco programmare il futuro, grazie alle ingenti risorse del Pnrr e progettare una città diversa, basata su una mobilità intelligente capace di coniugare la vivibilità degli spazi con la necessità di spostarsi.

  • Calabria spopolata: da qui se ne vanno tutti, migranti compresi

    Calabria spopolata: da qui se ne vanno tutti, migranti compresi

    I dati Istat che registrano la popolazione residente in Calabria parlano chiaro: dopo una crescita pressoché costante sino al secondo dopoguerra e la stabilizzazione tra gli anni Cinquanta e Novanta, a partire dal 1991 l’andamento è decrescente. E dal 2010 nella nostra regione è cominciata una costante caduta, che pare inarrestabile.

     

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    La Calabria non cresce dal 1951

    A confronto con le variazioni della popolazione italiana, quella calabrese registra in una sola occasione un divario positivo, nel censimento del 1951. Per il resto, il saldo ha assunto per ben tre volte valori negativi: nel 1971, nel 2001 e nel 2011. Il dato è, naturalmente, da mettere in relazione alla dinamica conseguente i fenomeni migratori che hanno interessato e continuano a interessare in particolare le regioni meridionali d’Italia.

     

    Dove emigrano i calabresi

    La destinazione prevalente per i calabresi è l’Europa (48,6%), seguita dall’America centro-settentrionale (33,7%). Se consideriamo il singolo paese, i calabresi sono presenti maggiormente in Argentina (24,1%). Il comune che presenta in Calabria il più alto numero di emigranti è Corigliano-Rossano (14.053). Se, invece, consideriamo il tasso di incidenza sulla popolazione residente quello di Paludi è il caso in cui gli emigranti superano la popolazione residente (1.972 rispetto a 1.007).
    Dal 2006 la percentuale dei residenti all’estero è aumentata dell’82%: i connazionali all’estero sono ormai 5,6 milioni, di cui il 45,5% è ascrivibile alla fascia d’età tra i 18 ed i 49 anni.

    La Calabria è una regione per over 65

    E mentre coloro che sono nel pieno dell’età lavorativa e produttiva si allontanano dall’Italia e dalla regione, i dati sulla popolazione residente mostrano che la Calabria costantemente si sposta verso la prevalenza degli over 65: dal 17,1% (1961) al 22,6% nel 2021. L’indice di vecchiaia per la regione è oggi pari a 175, il che significa che ogni 175 anziani ci sono 100 giovani sino ai 14 anni. Il dato era pari a 102,6 circa un ventennio fa. Le implicazioni dal punto di vista sociale, istituzionale e politico che comporta questo slittamento verso la sempre più forte incidenza degli anziani sono evidenti.

    L’indice di ricambio della popolazione attiva – che rappresenta il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (60-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-19 anni) – è pari, in Calabria, a 138,5. Dal momento che la popolazione attiva è tanto più giovane quanto più l’indicatore è minore di 100, se ne deduce che quando nel 2002 lo stesso indice era pari a 50,9, il futuro pareva più roseo.

    Un’ulteriore frenata per la Calabria

    Le previsioni che l’Istat ha elaborato sulla popolazione nazionale e sulle dinamiche regionali all’orizzonte del 2065 non sono rincuoranti: si prevede una Calabria in ulteriore e drastica frenata rispetto ai rallentamenti di questi anni, con una popolazione pari a 1,2 milioni di abitanti. Se non intervenissero fattori di discontinuità rispetto al trend evidenziato, si registrerebbe, quindi, un’accelerazione in un tempo relativamente breve per i cambiamenti di natura demografica.

    La popolazione straniera

    Per quanto riguarda la popolazione straniera, in Calabria (dati aggiornati al primo gennaio 2021) gli stranieri residenti sono 102.302 e rappresentano il 5,4% della popolazione. Si tratta di un valore che, evidentemente, non corrisponde alla percezione – molto più ingigantita – del fenomeno, in tutta Italia.

    Nel Rapporto 2021 “Italiani nel Mondo”, curato dalla Fondazione Migrantes, si sottolinea che la popolazione immigrata non cresce più. Parallelamente, quella autoctona si trasferisce all’estero, come attestano le cancellazioni dall’anagrafe per emigrazioni.

    Nel 2019 in Italia tali cancellazioni sono state complessivamente 180mila, con un aumento del 14,4% rispetto all’anno precedente. In Calabria, 3 cittadini per ogni 1.000 residenti si trasferisce all’estero (la media italiana è 2,4). Tra le province calabresi, si distingue Cosenza, dove il dato sale a 3,6.

    Da tener da conto anche i dati relativi alla migrazione interna: oltre 9 residenti su 1.000 lasciano la regione per trasferirsi al Centro-Nord.

     

    Pur prendendo in considerazione dati sino al 2019 con l’intento di neutralizzare la particolarità dell’emergenza pandemica, il quadro delineato mette in luce che i fenomeni demografici presi in considerazione sono oggetto di tendenze consolidate negli ultimi due decenni.

    La pandemia ha inciso sulla struttura demografica

    Il 2020 e il 2021 sono stati certamente segnati dalla pandemia, che in qualche modo ha inciso sulla struttura demografica, sia in termini di una maggiore mortalità sia in termini di trasferimenti in altri territori determinati dalla emergenza sanitaria. In ogni caso, è dal 2010 che il movimento naturale della popolazione – determinato dalla differenza fra le nascite e i decessi in un anno – risulta essere un dato in caduta libera. E da molti anni ormai si sente il solito ritornello: cosa fare per invertire la rotta e frenare lo spopolamento in Calabria?