Categoria: Fatti

  • Azienda Zero, così Occhiuto governa tutta la Sanità calabrese

    Azienda Zero, così Occhiuto governa tutta la Sanità calabrese

    La Sanità calabrese sono io. Roberto Occhiuto potrebbe parafrasare il motto di Luigi XIV (in quel caso era “Lo Stato sono io”), incoronandosi sovrano assoluto di un settore così nevralgico. Dopo la nomina a commissario straordinario alla Sanità, martedì 14 dicembre arriverà a Palazzo Campanella la proposta di legge di istituzione dell’Azienda Zero a firma del fedelissimo consigliere regionale, Pierluigi Caputo.
    Operazione da 700mila euro iniziali che poi pescherà nelle risorse stanziate per la garanzia dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) previste dal bilancio di previsione 2022-2024.

    Parola d’ordine “centralizzare”

    L’azienda Zero nasce dalla necessità di “razionalizzare, integrare ed efficientare i servizi sanitari, socio-sanitari e tecnico amministrativi del Sistema sanitario regionale” dopo 12 anni gestione commissariale ritenuta fallimentare dall’organo controllo ministeriale sui conti della nostra sanità.
    Per raggiungere tali obiettivi, è previsto l’accentramento di poteri e funzioni attraverso la gestione dei flussi di cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale.
    All’Azienda Zero faranno capo tutti gli acquisti, le procedure di selezione del personale delle aziende sanitarie, le autorizzazioni e gli accreditamenti delle strutture private, la gestione del contenzioso, le eventuali transazioni, coordinerà la medicina territoriale e darà gli indirizzi in materia contabile alle Asp e Ao della Regione: il cuore malato della sanità calabrese dove si annidano clientele, sperperi, inefficienze, commistioni e interessi che hanno generato quel debito monstre che gli stessi organi contabili continuano a definire incalcolabile.

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    La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
    Un potere immenso nelle mani di Occhiuto

    L’Azienda zero avrà un potere immenso che fino a questo momento non aveva avuto nemmeno l’ufficio del Commissario che, pur avendo avocato in una sola figura praticamente la gestione dell’intero comparto, doveva sempre e comunque rispondere anche al dipartimento regionale Tutela della Salute che oggi viene derubricato a un mero organo di coordinamento. Si bypasseranno così – o almeno questo è l’obiettivo – anche le difficoltà di interlocuzione con dirigenti territoriali.

    Ma chi controlla chi?

    Il direttore generale dell’Azienda Zero sarà nominato dal presidente della Regione Calabria previa autorizzazione della Giunta o dal commissario ad acta. Non farebbe una piega se non fosse che il presidente della giunta si chiama Roberto Occhiuto che poi è anche il commissario delegato alla sanità. Facile immaginarsi Occhiuto mentre s’interroga sul professionista da nominare guardandosi allo specchio.
    Che la sanità fosse il regno incontrastato di baroni e baronetti era cosa nota ma adesso siamo alla restaurazione della monarchia. Occhiuto è presidente, commissario ad acta, nomina il dg del Dipartimento Salute e sceglie il capo dell’Azienda Zero. Roberto come Luigi XIV: il re Sole della Regione Calabria.

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    La Cittadella regionale a Germaneto
    Occhiuto: meno poteri alle Asp

    L’Azienda unica della sanità non è una novità calabrese. Lo dice lo stesso Roberto Occhiuto parlando con i giornalisti a Catanzaro del progetto Calabria Zero. «Esiste già in altre Regioni – è il commento del presidente della Giunta -, ho voluto farla anche in Calabria perché nelle aziende sanitarie c’è una capacità amministrativa non sempre adeguata. Ho ritenuto che fosse più utile costruire un unico cervello – continua Occhiuto – che accentrasse tutta la capacità amministrativa e che potesse svolgere, per conto di tutte le Aziende sanitarie, le funzioni che altrimenti non riescono a svolgere. Anche questo va nella direzione di riorganizzare e rendere più efficiente il sistema sanitario».

    Occhiuto ha infine precisato: «Non c’è una riduzione del numero delle aziende, c’è la costituzione di quella che di fatto sarà una sorta di agenzia. Certo, le Aziende sanitarie faranno meno di quello che hanno fatto finora dal punto di vista amministrativo, ma non mi sembra che abbiano brillato».

    I presupposti per dare una sterzata convinta alla governance della sanità, ci sarebbero pure. Ma c’è da capire – e non è una questione di secondo piano – a chi sarà affidata la gestione dell’Azienda unica regionale dal momento che al timone della nostra disastrata sanità si sono succeduti marescialli, comandanti e generali ma mai nessuno con una concentrazione di potere così grande.

  • Persone scomparse, in Calabria sono più di cinquemila

    Persone scomparse, in Calabria sono più di cinquemila

    Dal 1974 allo scorso anno le persone scomparse in Calabria sono più di 5mila: 3500 di origini straniere, tra maggiorenni e minorenni. Si tratta di dati presenti nel Report del commissario straordinario del Governo pubblicato a fine 2020. In quello che fotografa invece il primo semestre del 2021 sono 238 gli individui di cui non si ha più traccia. E oggi, 12 dicembre, si celebra proprio la Giornata nazionale dedicata alle persone scomparse.

    In Calabria nei primi 6 mesi del 2021

    Un allontanamento volontario da casa, oppure da un istituto o da una comunità, disturbi psicologici, sottrazione da parte del coniuge o di un familiare, essere vittime di un reato: quando una persona scompare, in genere sono questi i motivi prevalenti. Delle 238 persone scomparse in Calabria nei primi sei mesi del 2021, 177 sono stranieri e 61 italiani. I minori stranieri scomparsi sono 150 (solo 13 ritrovati), mentre quelli italiani sono 20 (sedici mancano all’appello).

    In maggioranza sono stranieri

    In Calabria dal 1974 al 2020 sono state presentate ben 9270 denunce di persone scomparse, 4251 sono state ritrovate e 5019 di cui non si sa più nulla. I dati si riferiscono a cittadini di ogni età sia italiani sia stranieri. Ma gli stranieri, soprattutto migranti, ancora da ritrovare dal 1974 allo scorso anno, sono più della metà: 3457 per l’esattezza. Afghani e magrebini guidano la triste classifica delle persone scomparse al Sud. I dati calabresi del 2021, calcolando lo stesso semestre, sono maggiori rispetto all’anno scorso ma inferiori rispetto al 2019. Il 2020 con la pandemia e la ridotta capacità di spostamento ha fatto registrare un drastico calo dei numeri.

    Approvato il Piano provinciale a Reggio e Catanzaro

    Dopo la divulgazione dei dati da parte del Governo, Maria Teresa Cucinotta e Massimo Mariani – rispettivamente prefetti di Catanzaro e Reggio Calabria – hanno presieduto un tavolo tecnico durante il quale è stato discusso e approvato il nuovo Piano provinciale di intervento coordinato per la ricerca delle persone scomparse. Aggiornato con le recenti indicazioni del commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, ha come base “il rinnovamento e l’incremento della prontezza operativa e della capacità di risposta di chi opera sul territorio, richiamando le strategie di intervento e le risorse umane e strumentali a disposizione”.

    Il caso dell’ex prete di Catanzaro scomparso nel 2019

    Massimo Torregrossa ha 51 anni quando sparisce. Da allora lo cercano inquirenti, parenti e amici, grazie anche all’associazione Penelope. Ma di lui non si sa più nulla. Molto conosciuto a Catanzaro dove era sacerdote. Conosce una donna, decide di lasciare l’abito talare e sposarsi. La moglie all’epoca frequentava la facoltà di Medicina ed aveva 17 anni in meno dell’ex prete. La storia d’amore tra i due prosegue per circa 10 anni ma poi arriva la crisi e la decisione di separarsi. Poco dopo questa scelta l’ex prete sparisce nel nulla. Era il 13 agosto 2019. I primi ad accorgersi della sua scomparsa sono i colleghi della fondazione dove lavorava. Dopo due anni i familiari e gli amici non credono all’allontanamento volontario, né all’ipotesi di suicidio e stanno cercando di tenere aperta l’inchiesta giudiziaria opponendosi alla richiesta di archiviazione degli inquirenti. Le sue ricerche comunque proseguono a prescindere dagli esiti giudiziari.

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    Migranti sbarcati a Roccella in attesa sulla banchina del porto
    Scomparsi o hanno solo lasciato l’Italia?

    Gli stranieri che si allontanano dai centri di accoglienza presentano maggiori difficoltà sotto il profilo della ricerca e del possibile ritrovamento, per il fatto che molti considerano l’Italia come Paese di transito e raggiungono poi altre nazioni, soprattutto del Centro e Nord Europa. Per quanto riguarda i minori, sia italiani sia stranieri, il dossier sottolinea che sono in corso studi e iniziative particolari da intraprendere per arginare un problema così difficile da affrontare. Dal primo gennaio 2007 al 30 giugno 2021 il quadro generale sul fenomeno conta un totale di 197.114 denunce di scomparsa, 145.782 ritrovamenti e 51.332 scomparsi ancora da ritrovare.

  • Migranti come schiavi, sotto inchiesta la moglie dell’ex prefetto anti Lucano

    Migranti come schiavi, sotto inchiesta la moglie dell’ex prefetto anti Lucano

    È durato poco più di due anni e mezzo l’interregno di Michele Di Bari al comando del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero degli Interni, organo che si occupa di gestire tutti, o quasi, i migranti nel nostro Paese. L’ex Prefetto di Reggio e Vibo ha presentato alla ministra Lamorgese le proprie dimissioni. Pochi minuti prima le agenzie avevano battuto la notizia dell’indagine costata a Rosalba Livrerio Bisceglia – moglie di Di Bari – un provvedimento di obbligo di dimora e l’obbligo di firma alla Pg.

    Il tribunale di Foggia
    Il tribunale di Foggia

    Secondo le accuse della procura di Foggia la donna, proprietaria di un’azienda agricola in Puglia, si sarebbe rivolta ad un uomo di origine gambiana per il reclutamento di alcuni operai, risultati poco più che schiavi e vittime di quel sistema di caporalato e sfruttamento del lavoro che accomuna il nord della Puglia al sud della Calabria. «Sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità. Mia moglie – ha dichiarato Di Bari comunicando il suo passo indietro – insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati, confidando che presto la misura dell’obbligo di dimora sarà revocata».

    Foggia come Rosarno

    C’è dell’ironia nelle dimissioni dell’ex Prefetto di Reggio che, completamente estraneo all’indagine, è caduto per “opportunità politica” proprio a causa di un’inchiesta che affonda le radici in quel sistema di mancata integrazione e semi schiavitù che, da prefetto calabrese, lo ha visto protagonista di tante pagine della cronaca recente. Sbarcato in riva allo Stretto nel 2016 Di Bari può “vantare” un curriculum fatto di 19 commissioni d’accesso spedite in altrettanti comuni del reggino, con uno score di 18 commissariamenti per mafia ottenuti, praticamente un record.

    Ma è con i migranti che Di Bari si fa notare, guadagnandosi sul campo il posto nella cabina di regia del Viminale mantenuto fino a venerdì. I carabinieri di Manfredonia hanno individuato nella baraccopoli della “ex pista” di Borgo Mezzanotte lo slum dove i migranti vittima di caporalato protagonisti della vicenda foggiana trovavano rifugio. Uno slum praticamente identico a quello sorto alle spalle del porto di Gioia Tauro all’indomani della rivolta del 2010 e che la Prefettura guidata da Di Bari fece sgomberare in favore di telecamera durante una visita dell’allora titolare del Viminale, Matteo Salvini.

    Le tendopoli di San Ferdinando

    Uno sgombero reso necessario dalle condizioni disumane in cui erano costretti i migranti ospitati (e nel quale trovò la morte, tra gli altri, anche Becky Moses, la donna nigeriana costretta dai decreti sicurezza ad abbandonare i progetti di Riace, e arsa viva nella baracca dove aveva trovato rifugio). E che si dimostrò praticamente inutile, visto che a distanza di qualche giorno, una nuova tendopoli, autorizzata dalla stessa Prefettura, fu installata 500 metri più in là, in uno dei tanti slot vuoti del deserto post atomico della zona industriale del porto di Gioia.

    Da Riace a Roma

    E se a Rosarno era stato necessario l’utilizzo delle ruspe per radere al suolo la baraccopoli della vergogna, a Riace furono gli ispettori inviati dalla Prefettura di Di Bari, a smantellare il progetto di accoglienza ideato dall’ex sindaco Mimmo Lucano. Progetto che di quello che succedeva a Rosarno rappresentava l’esatta antitesi. Sono almeno cinque le relazioni che i funzionari reggini hanno stilato, a partire dal 2016, sul modello di integrazione e accoglienza che tra mille difficoltà aveva portato Riace, minuscolo e semi spopolato paesino dello Jonio reggino, all’attenzione di mezzo pianeta.

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    Mimmo Lucano

    E se in una delle relazioni – sulla quale si è basata parte dell’indagine della guardia di finanza – si sottolineavano le tante criticità legate alla gestione del denaro, in un’altra – a lungo “impantanata” negli uffici della Prefettura reggina da cui è riemersa solo dopo una formale denuncia – si certificava la capacità propositiva e inclusiva di un “modello” capace di ripopolare con profughi e richiedenti asilo, un centro abbandonato dai suoi stessi abitanti a loro volta migrati lontano in cerca di maggiore stabilità. Un modello ormai sepolto dai 13 anni di condanna inflitti all’ex sindaco dal tribunale di Locri, ma che era stato già minato dalla progressiva serrata dei progetti d’accoglienza. Serrata in cui Di Bari recitò un ruolo da protagonista.

    La “maledizione di Lucano”

    Di Bari non è l’unico funzionario finito – seppure di riflesso – nel tritacarne di un’indagine sui migranti in seguito alla chiusura dei progetti di Riace. Per uno strano caso del destino infatti anche altri due funzionari sono rimasti invischiati in altrettante indagini a pochi mesi dalla chiusura del paese dell’accoglienza. Come nel caso di Salvatore Del Giglio, che di una di quelle relazioni prefettizie fu estensore e che finì indagato dalla Procura di Palmi per una presunta relazione falsa legata ai progetti d’accoglienza a Varapodio, sul versante tirrenico d’Aspromonte. O come nel caso di Sergio Trolio – che nel processo locrese fu uno dei testimoni dell’accusa come ex tutor dei servizi Sprar – finito indagato dalla Procura di Crotone per una serie di presunte truffe legate proprio al mondo dei migranti.

  • Centro storico, anche Caruso si unisce alla protesta: «La Questura ci ripensi»

    Centro storico, anche Caruso si unisce alla protesta: «La Questura ci ripensi»

    La stangata inflitta a Stefano Catanzariti, Roberto Panza e Roberto Martino, colpevoli secondo la Questura di Cosenza di aver organizzato una passeggiata pacifica tra le macerie del centro storico fa sempre più rumore. In difesa dei tre, che hanno ricevuto una multa da quasi 1.200 euro ciascuno, si schiera anche il neo eletto sindaco Franz Caruso.

    Anche il sindaco prende posizione

    «La libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, reca in sé, come diretta conseguenza, che anche la libertà di esprimere il proprio dissenso goda della medesima tutela«. Caruso, da buon politico, ribadisce «il pieno rispetto delle decisioni assunte dalle autorità preposte e nella convinzione che la giustizia debba fare il suo corso». Poi però viene fuori l’avvocato penalista che è in lui e non gira troppo intorno alla questione: «Non posso fare a meno di esprimere una posizione di garanzia a favore della libertà di manifestazione del pensiero e quindi anche di quella tesa ad esprimere il proprio dissenso».

    «In una società democratica come la nostra – prosegue il sindaco – sarebbe impensabile censurare aprioristicamente i contributi alla discussione ed alla riflessione, soprattutto quando, come nel caso specifico, siano finalizzati a richiamare pacificamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni su questioni e problematiche che riguardano aree degradate e bisognevoli di interventi». Infine, l’invito a ragionare meglio sulla decisione augurando ci sia un passo indietro. «Per come rappresentati, non mi pare che i fatti del luglio scorso possano in qualche modo integrare ipotesi di reato. Auspico, pertanto, che vi sia la volontà degli organi preposti a riconsiderare i comportamenti degli attivisti e a rivedere i provvedimenti adottati nei loro confronti».

    La solidarietà di decine di associazioni

    Quello di Caruso non è il solo attestato di solidarietà arrivato a Catanzariti, Panza e Martino. Già ieri oltre 40 tra associazioni, movimenti e partiti locali avevano diramato una nota per esprimere la loro vicinanza dopo la sanzione draconiana voluta dalla Digos bruzia.
    «È una solidarietà totale perché il provvedimento mira a punire l’attivismo civico e sociale che in questo frangente specifico si concretizza con una pratica molto diffusa. La passeggiata di quartiere, infatti, è una delle tecniche – pacifiche – di facilitazione della partecipazione, un modo per sensibilizzare ed educare alla cittadinanza attiva, per coltivare i valori della Costituzione italiana.

    Il provvedimento merita una riflessione attenta da parte di tutta la società civile cosentina perché crea un precedente preoccupante. Si punisce l’attivismo e si criminalizza la solidarietà. Il centro storico di Cosenza oggi versa in una situazione devastante dal punto di vista urbanistico e sociale. Denunciarne lo stato di abbandono e degrado in cui versa non può essere punito!
    Punire chi oggi pratica con metodi pacifici la partecipazione e la riflessione oltre che le buone prassi solidaristiche non può meritare questo trattamento».

    Questi i firmatari del comunicato:
    • Radio Ciroma«
    • ANPI Provincia di Cosenza ” Paolo Cappello “
    • La Terra di Piero
    • Arci APS Cosenza
    • Ass. di volontariato San Pancrazio
    • Ass. di volontariato Santa Lucia
    • Associazione “Dossetti”
    • Associazione di volontariato “MorEqual”
    • Galleria d’arte indipendente autogestita (GAIA)
    • Arci Red
    • Coessenza
    • Summer school ‘Abitare l’inabitabile’
    • R-accogliere Soc. Coop. Soc.
    • Cosenza in Comune
    • Strade di casa Soc. Coop. Soc.
    • Associazione Bernardina Barca Onlus
    • Prendocasa
    • Centro Sociale Rialzo
    • Auditorium Popolare
    • Fem.in cosentine in lotta
    • Comitato Piazza Piccola
    • Federazione Provinciale Rifondazione Comunista
    • Forum Ambientalista Calabria
    • Oncomed
    • CSV 89
    • Progetto Azadì
    • Aula studio liberata
    • Consulta pari opportunità e diritti umani comune di Rende
    • USB Cosenza
    • Cobas telecomunicazioni Cosenza
    • S.P.Arrow
    • Friday for Future Cosenza
    • Comitato Rivocati Riforma
    • Associazione Niki Aprile Gatti Onlus
    • Skalea solidale
    • Progetto Meridiano
    • Comitato di quartiere Villaggio Europa
    • ASD Ceep Villaggio Europa
    • Lav Romanò
    • Fronte Gioventù Comunista Cosenza
    • Sinistra italiana Cosenza
    • Ass. Insieme
    • SeminAria culture
    • Ass. Culturale Prometeo
    • I giardini di Eva
    • MEDIterraneanMEDIA.
  • Il Paese torna a crescere, la Calabria resta ferma al palo

    Il Paese torna a crescere, la Calabria resta ferma al palo

    Gli economisti hanno spesso cercato spiegazioni sull’andamento dell’economia italiana, spesso paragonata al paradosso del calabrone: tutte le leggi indurrebbero a ritenere che non possa alzarsi in volo, eppure accade. Sta succedendo anche in questo 2021, con l’Italia che fa registrare incrementi della ricchezza prodotta superiori a quella degli altri principali Paesi occidentali. Ma la regola del calabrone non vale per la Calabria. Cerchiamo di capire perché.

    Una crisi anomala

    Quella del Covid è stata una crisi anomala rispetto alle esperienze del capitalismo moderno. Se nelle recessioni tradizionali le componenti della domanda che registrano le contrazioni più ampie sono i consumi di beni durevoli, questa volta è caduta molto, e più a lungo, la domanda di servizi che solitamente presenta tendenze relativamente stabili (turismo, viaggi aerei e ferroviari, alberghi, ristoranti, spettacoli), nonché alcuni consumi che hanno risentito in maniera indiretta della crisi per effetto del mutamento degli stili di vita, come l’abbigliamento e le calzature. Per contro, si sono verificati andamenti positivi per altre filiere, come le attività legate alla digitalizzazione ed all’informatica, ed i servizi di trasporto e logistica, per effetto della diffusione dell’e-commerce.

    I valori in picchiata del 2020

    Il calo del Pil è stato nel 2020 relativamente omogeneo a livello territoriale, con un Sud leggermente meno colpito: -8,2% nella media delle regioni meridionali e -9,1% nel Centro-Nord, con una punta del -9,4% nel Nord-Est e una dinamica al Centro in linea con la media nazionale (-8,9%). Nel 2020 il valore aggiunto del settore agricolo, meno toccato dal rallentamento complessivo, ha segnato una contrazione del 3,8% rispetto al 2019. La flessione è leggermente più intensa al Centro-Nord (-4,4%) rispetto al Mezzogiorno (-2,9%); tuttavia, a differenza del Centro-Nord, la contrazione del comparto interviene nel Sud dopo un 2019 molto positivo (+3,6%).

    La crisi ha determinato effetti differenziati nelle varie regioni meridionali. La contrazione maggiore tra il 2019 e il 2020 è stata quella della Calabria (-11,6%): questo crollo non è assolutamente connesso alle caratteristiche pandemiche, e traccia un solco profondo rispetto al resto del Paese. Questo è il primo segno di una anomalia calabrese che va osservata con estrema attenzione.

    Clementine della Sibaritide, una delle eccellenze agricole calabresi
    La crisi del settore manifatturiero

    Considerando il comparto manifatturiero, la differenza di performance tra le due macro-aree dell’Italia è risultata più accentuata: il valore aggiunto manifatturiero è diminuito del -10,1% al Sud, mentre per le industrie localizzate nelle regioni centro-settentrionali la riduzione è stata del -11,6%.

    Anche nel terziario, il cuore della crisi pandemica, il crollo delle attività è stato molto rilevante. Il valore aggiunto prodotto dai servizi in Italia segna un calo dell’8,1% nel 2020 rispetto al 2019: al Centro-Nord leggermente più alto (-8,2%) rispetto al Mezzogiorno (-7,8%). Complessivamente, il valore aggiunto della Calabria mostra durante la pandemia un calo più alto della media della circoscrizione meridionale (-9,3%): questo andamento è dovuto alla maggiore flessione di agricoltura (-11,6%), costruzioni (-11,2%) e servizi (-9,1%); inferiore alla media del Sud risulta la flessione dell’industria in senso stretto (-9,1%).

    Il paradosso del calabrone

    Il calabrone calabrese non si libra in volo perché da tempo sta perdendo capacità competitiva. Le ragioni sono molteplici, sinteticamente le individuiamo nella demografia, nella giustizia, nella sanità e nell’innovazione. Cominciamo dalla demografia. Se osserviamo il periodo tra il 2010 ed il 2018, prima della pandemia, la Calabria è una delle sei regioni italiane che perde addetti, ed è la terza in questa speciale graduatoria (-5.447 unità), preceduta solo da Sicilia e Sardegna.

    Nel 2020, il saldo migratorio interno è in media negativo al Sud per oltre 50mila unità a favore delle regioni del Centro-Nord (era pari a – 71 mila nel 2019). Questo fenomeno non è omogeneo nelle diverse aree.  Il saldo demografico dei comuni delle aree interne tra il 2012 ed il 2020 è stato negativo per il 9,4% in Calabria, la seconda performance più negativa del Paese, migliore solo rispetto all’Abruzzo (9,8%).

    Tempi lunghi per i procedimenti civili

    Passiamo al nodo della giustizia, che pesa sul contesto sociale ed economico. Il Mezzogiorno presenta la più alta domanda di giustizia, con una media di 777 nuovi casi (ogni 10mila abitanti) iscritti a ruolo ogni anno a fronte dei 704 del Centro e dei 541 del Nord. Non è solo questione di personale. Il Sud dispone in media di una dotazione di personale togato superiore alla media nazionale: nel 2019 operavano al Sud circa 11 magistrati ogni 100mila abitanti (con punte di 15 magistrati in Calabria e 13 in Campania) a fronte dei circa 9 del Centro e 7 al Nord.

    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Nel 2019 per chiudere un procedimento civile occorrevano circa 280 giorni nei tribunali del Nord, 380 al Centro e quasi 500 nel Mezzogiorno (dati pesati per la popolazione). Va tuttavia segnalato come il sistema giustizia al Sud, partito da una situazione molto critica (nel 2004 occorrevano in media 650 giorni per chiudere un procedimento), nei 15 anni osservati sia riuscito a registrare il miglioramento più significativo contraendo i tempi dei processi di circa il 25%.

    Per la giustizia penale si brancola nel buio

    Mentre si è registrato un progresso, sia pure in un ritardo persistente, nel settore della giustizia civile nel Mezzogiorno, per la giustizia penale si brancola ancora nel buio. Nel 2019 un processo penale si chiudeva al Nord in 290 giorni (+9% rispetto al 2004), in 450 giorni al Centro (+23% rispetto al 2004) e in 475 giorni (+7%) nel Mezzogiorno.

    Non è migliore la situazione nel settore della salute. Se prendiamo in considerazione i punteggi regionali sui livelli essenziali di assistenza nella sanità, la Calabria si colloca nel 2019 al penultimo posto nella graduatoria nazionale, seguita solo dalla Sardegna. Rispetto alle regioni settentrionali del Paese i valori sono pari quasi alla metà e nel confronto con le altre regioni del Sud siamo ad un valore inferiore di un quarto. Non bisogna poi stupirsi di quello che è accaduto in Calabria durante la pandemia.

    Calabria ultima per ricercatori

    Nela ricerca e nella innovazione la situazione è catastrofica. La Calabria è assisa sul podio negativo per numero di ricercatori ogni 10mila abitanti, con un indicatore pari a 0,9, preceduta solo da Valle d’Aosta e Basilicata. Anche in termini di numero di ricercatori occupati nelle imprese in percentuale sul totale degli addetti la Calabria si colloca all’ultimo posto in graduatoria in Italia assieme alla Basilicata (0,2%). Il numero degli incubatori in Calabria è pari solo a due, con una performance migliore esclusivamente rispetto al Molise, che ne registra uno solo. Infine, la graduatoria sulla percentuale di persone che usano regolarmente Internet vede la Calabria all’ultimo posto (67%), assieme alla Puglia ed alla Basilicata.

    Il calabrone calabrese è appesantito dunque da diversi fattori strutturali che piombano le ali. Su questi elementi si deve lavorare per tentare di spiccare il volo, come ancora riesce a fare il resto dell’Italia. Non c’è più molto tempo per recuperare i gap che affossano ancora la Calabria.

  • Cosenza frana e i soldi per salvarla restano un mistero

    Cosenza frana e i soldi per salvarla restano un mistero

    «Le frane sono un evento imprevedibile, ma le aree a rischio si conoscono bene, per questo la minaccia per la popolazione può essere mitigata», spiega Fabio Ietto, geologo e docente all’Unical. Il centro storico di Cosenza è interamente cresciuto su un’area a rischio e di frane ce ne sono state parecchie, per fortuna senza che nessuna abbia causato morti.

    Incidente mortale

    La sola vittima, indiretta, di una frana è stata Giampiero Tarasi, che l’otto marzo si è andato a schiantare con la moto contro i blocchi di cemento che chiudevano via Vittorio Emanuele II. Ad uccidere Giampiero non è stato un masso venuto giù dalla collina, ma l’inerzia di chi, pur avendo chiuso la strada da mesi, non solo non aveva provveduto a mettere in sicurezza la parete franosa, ma non aveva nemmeno adeguatamente segnalato l’interruzione.

    Striscione di protesta sui muri del Comune di Cosenza dopo la morte del giovane Tarasi
    Striscione di protesta sui muri del Comune di Cosenza dopo la morte del giovane Tarasi

    Eppure quella frana era caduta mesi prima e ancora oggi, a dispetto di tutto, la via principale di accesso a Porta Piana resta chiusa. Eppure «alcuni provvedimenti – continua Ietto – sono possibili. Sono diverse le soluzioni che il geologo può proporre alle amministrazioni di realizzare, come il posizionamento di reti, o semplicemente individuare i massi pericolanti e rimuoverli in sicurezza. Spesso però non ci sono risposte dalle autorità a tali sollecitazioni».

    Rischi diffusi

    «La decisione di chiudere via Vittorio Emanuele II è emersa da un tavolo di concertazione», afferma Antonella Rino, ingegnere e dirigente del settore Protezione civile del Comune di Cosenza. La Rino ricorda la presenza di tutte le autorità di riferimento in quelle circostanze, quindi i rappresentati della Prefettura, i Vigili del Fuoco, la Protezione civile regionale. La dirigente esprime tutta la sua preoccupazione, ma anche l’impotenza, davanti alla diffusione di situazioni a rischio, come la zona di contrada Jassa, «dove esiste una minaccia relativa a uno scenario idrogeologico, con un certo numero di famiglie a rischio di evacuazione in caso di allerta meteo». Rischio che si è puntualmente presentato nel corso dalle recenti forti piogge.

    Quanti soldi ci sono?

    Si dovrebbero mettere in campo interventi di prevenzione, ma è difficile senza risorse adeguate. Con tono sconsolato la dirigente dichiara che il suo ufficio «è ridotto al lumicino, senza nemmeno un dipendente». Ad occuparsi degli interventi dovrebbe essere il settore Infrastrutture, il cui dirigente è assente per motivi di salute. Senza di lui nessuno sa di preciso se e quanti soldi ci sono per il dissesto idrogeologico. Nemmeno il neo assessore Damiano Covelli è certo dell’esistenza di risorse per provvedere alla messa in sicurezza delle frane, avendo a che fare la nuova giunta con un dissesto di ben altra natura.

    Cosenza frana- Il neo assessore comunale cosentino Damiano Covelli
    Il neo assessore comunale cosentino Damiano Covelli
    Prevenire è meglio che curare

    Il dissesto, quello idrogeologico, intanto non aspetta. Ed è ancora Ietto a spiegarci che nel frattempo altre situazioni a rischio sono emerse, «come quella del 2019 a via Corsonello, strada di accesso alla città vecchia e a contrada Macchia». Si estende dunque l’area a rischio e «l’ente competente dovrebbe fare prevenzione, non limitarsi a chiudere le strade dopo una frana», dice ancora il geologo. Letto, però, è consapevole che spesso «il singolo comune non ha soldi per affrontare per intero l’emergenza e perciò servirebbero risorse a livello ministeriale»

    Occasioni sprecate

    Per la verità di soldi dallo Stato ce ne sarebbero pure stati. Quelli, ad esempio, del Dipartimento per gli affari territoriali, Direzione centrale della Finanza Locale del Ministero dell’Interno, che aveva emanato un bando per l’accesso a cospicue risorse destinate a «opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio». Per i comuni con popolazione oltre i 25mila abitanti, c’erano disponibili cinque milioni di euro, ma incredibilmente il Comune di Cosenza fece spallucce e non aderì al bando.

    Frana a Portapiana
    Frana a Portapiana

    Ma se credete che quelle siano state le sole risorse destinate alla sicurezza del territorio perse dalla passata amministrazione vi sbagliate. Infatti nel 2016 nel Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo erano previsti ben sette milioni di euro per interventi mirati alla mitigazione del rischio di qualche nuova frana nel Centro storico. Quei soldi però non sono mai arrivati, bloccati da questioni burocratiche che hanno fatto scadere il contratto con la ditta che avrebbe dovuto gestire i servizi.

    L’ultima speranza
    Fabio Ietto
    Il geologo Fabio Ietto (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Ancora una volta l’ultima speranza viene dai famosi 90 milioni, alcuni dei quali sarebbero destinati proprio a «interventi strategici per la qualificazione del quartiere dove è ubicato il Conservatorio e l’adeguamento del muro di sostegno Portapiana»
    Il fatto è che, come insiste Fabio Ietto, «il centro storico di Cosenza vive una condizione e di degrado notevolissima». Ma oggi dire una cosa del genere potrebbe diventare rischiosa: anche Giustino Fortunato, che descrisse la Calabria come «uno sfasciume pendulo» potrebbe essere denunciato.

    La locuzione originaria – “sfasciume pendulo sul mare”– è ascritta a Giustino Fortunato (“La questione meridionale e la riforma tributaria”, 1904)

  • Il centro storico crolla, non ditelo o sono guai

    Il centro storico crolla, non ditelo o sono guai

    Pericolo scampato. Cosenza rischiava di ricordarsi che la sua parte più antica e bella si sgretola sotto il peso di anni di incuria dei privati e chiacchiere del pubblico. Una trentina di facinorosi di ogni età aveva fatto notare il susseguirsi dei crolli nel centro storico, passeggiando tra i vicoli del quartiere in una calda mattina di fine luglio. Ne erano successe di tutti i colori: persone che indicavano tetti caduti o calcinacci sparsi qua e là, altre addirittura che se ne lamentavano, magari pure ascoltando la gente del posto che gli apriva casa. Un clima di tensione tale da far temere il peggio, come dimostra il video girato dal nostro Alfonso Bombini in quell’occasione.

    https://www.facebook.com/ICalabresi.it/videos/421174852474766

    Manifestazione o camminata?

    Ma i leader di quel manipolo di sovversivi, a quanto pare, non la passeranno liscia. La Questura di Cosenza ha notificato a tre di loro che dovranno rispondere di fronte alla legge di quella camminata non autorizzata. E che la sanzione da pagare ammonterebbe a 1180 euro ciascuno. I tre, invece di avvisare con almeno altrettanti giorni d’anticipo le autorità come se la loro fosse una vera e propria manifestazione, hanno dato appuntamento a chiunque volesse partecipare in piazza Valdesi.

    centro-storico-cosenza
    “Il sesto senso” di marcia tra le macerie del centro storico di Cosenza
    Il senso della questione

    Da lì, apriti cielo: qualche decina di persone ha passeggiato chiacchierando con residenti e stampa delle «gravi omissioni e l’incuria contestate alla Provincia, alla Soprintendenza ai Beni culturali, al Comune e alla Prefettura, ritenuti degli imputati responsabili dello stato di abbandono dell’intero centro storico». Il tutto dando pure un nome alla passeggiata – Il sesto senso di marcia – che prendeva in giro nientepopodimeno che i Cinque sensi di marcia, tour a piedi tra le bellezze ancora in piedi della città storica organizzato periodicamente da Palazzo dei Bruzi. Irriverenza ai limiti del vilipendio alla bandiera, meglio intervenire subito. Il buon nome di Cosenza vecchia è salvo, il buonsenso chissà. E se crollano i palazzi meglio non dirlo.

  • Cemento à gogo, la Corte costituzionale boccia il Piano Casa della Regione

    Cemento à gogo, la Corte costituzionale boccia il Piano Casa della Regione

    Tutelare il paesaggio e l’ambiente non pare interessare granché alla Regione, meglio il cemento. La prova? L’ultimo Piano Casa approntato dalla Cittadella, impugnato dal Governo e bocciato dalla Corte costituzionale poche settimane fa. Le ragioni dello stop sono appena uscite sul Burc. E dimostrano ancora una volta l’impegno dei nostri legislatori a tenere alto il nomignolo della Calabria. Che, già sommersa dall’edificazione selvaggia, rischiava di essere seppellita sotto un ulteriore strato di cemento grazie all’introduzione di norme edilizie all’insegna del “liberi tutti”.

    Dialogo interrotto

    La legge regionale oggetto del contendere era la numero 10 del luglio 2020, ma la questione affonda le sue radici nel tempo. La Calabria, infatti, non è in grado da anni di dotarsi di un Piano paesaggistico regionale, come previsto invece dal Codice dei Beni culturali e, appunto, del Paesaggio. L’unico passo in avanti in tal senso risale al 2016. All’epoca il Consiglio approvò il Quadro territoriale regionale a valenza paesaggistica (QTRVP) a seguito di un’interlocuzione col Mibact avviata quattro anni prima.
    Il dialogo col ministero, obbligatorio in base agli accordi tra le parti, si è interrotto però. E, quattro anni dopo, la neoeletta maggioranza di centrodestra ha deciso di mettere mano alla materia in autonomia infichiandosene dei patti con Roma. E del fatto che l’ultima parola su paesaggio e ambiente spetti al Governo e non agli enti locali.

    Nuove deroghe ai vecchi vincoli

    Cosa hanno deciso, invece, in Calabria? Di legiferare in (ulteriore) deroga agli strumenti urbanistici vigenti, modificando (al rialzo) i limiti relativi agli ampliamenti volumetrici e quelli legati alle variazioni di destinazione d’uso e del numero di unità immobiliari. E gli impegni circa una pianificazione condivisa, il corretto inserimento degli interventi edilizi nel contesto paesaggistico, la tutela del paesaggio prevista anche dalla Costituzione, la necessità di una programmazione unitaria sul territorio nazionale? Chissenefrega.

    La Cittadella aveva dato il via libera ad ampliamenti volumetrici fino al 30% per gli immobili esistenti, introdotto deroghe all’altezza massima dei nuovi edifici, la possibilità di riposizionare diversamente quelli demoliti e da ricostruire. Tutto al di fuori di ogni criterio di pianificazione paesaggistica «da concordare necessariamente e inderogabilmente con lo Stato».

    Via al cemento, il paesaggio non conta

    Così quest’ultimo ha impugnato la norma, ritenendo «palese l’intento del legislatore regionale di stabilizzare nel lungo periodo la previsione di interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici, che erano, invece, stati introdotti come straordinari». La conseguenza? «Accrescerne enormemente il numero e renderne “costante l’estraneità […] rispetto all’alveo naturale costituito dal piano paesaggistico”».

    Come si è difesa la Regione? Sostenendo che il ricorso del Governo peccasse di eccessiva genericità e indeterminatezza. E affermando che la concertazione con i ministeri competenti fosse obbligatoria soltanto in caso di beni e aree tutelate. I giudici, però, hanno smontato punto per punto questa linea. E sottolineato al contrario che, avendo siglato la Cittadella un protocollo nell’ormai lontano 2009 che stabiliva l’obbligo di dialogare con lo Stato in tema di paesaggio per arrivare alla stesura del Piano regionale, cambiare le carte in tavola come se gli accordi non esistessero è illegittimo.

    A quando il Piano?

    Pacta sunt servanda, i patti si rispettano: la massima latina vale ancora oggi. E il Consiglio regionale della Calabria non poteva non tenerne conto, svalutando peraltro principi costituzionalmente garantiti, per autorizzare colate di cemento extra. Le modifiche introdotte, infatti, avrebbero finito per «danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale». Una lesione, a detta dei magistrati, ancora più fuori luogo alla luce della «circostanza che, in questo lungo lasso di tempo non si è ancora proceduto all’approvazione del piano paesaggistico regionale». Tutto sbagliato, tutto da rifare.

  • Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Anche quest’anno niente soldi per i libri degli alunni delle scuole elementari di Cosenza. Il Comune in dissesto non paga le librerie scolastiche che, a loro volta, dopo avere fornito i libri nel 2019 senza essere stati pagati in tempo e integralmente, hanno deciso di fare anticipare – come già successo nel 2020 – il costo dei libri alle famiglie dei bambini anche per quest’anno. Somme che saranno restituite non appena il Comune liquiderà le fatture alle librerie. «Non è mancanza di volontà», ribadiscono in coro i librai della città, «purtroppo siamo arrivati al limite delle nostre forze. Non riusciamo più ad anticipare somme che poi non ci restituiscono».

    Oltre metà incasso volatilizzato

    I titolari delle librerie scolastiche di Cosenza portano ad esempio quanto accaduto nel 2019. «Abbiamo fornito a tutti coloro che presentavano le cedole di acquisto i testi richiesti. Sapete come è andata a finire? Che siamo stati “costretti” ad accettare una transazione con cui il Comune ci ha liquidato il 40% del totale fatturato». E dal momento che sui testi scolastici l’utile è di appena il 15%, il conto è presto fatto: su circa 90mila euro che il Comune avrebbe dovuto rimborsare, i librai ne hanno intascati appena 36mila.

    Il nocciolo della questione sta qui. A Cosenza, complice il dissesto finanziario, il Comune non eroga somme che dovrebbero già essere in bilancio su uno specifico capitolo di spesa. Così le librerie devono sospendere le forniture e ai genitori tocca aprire il portafogli.
    Laura G. è la mamma di una bambina in prima elementare. «Nel mio caso – dice – non sono i 50 euro per i sussidiari di Aurora a fare la differenza, ma cerco di mettermi nei panni anche di chi sta passando un periodo difficile. Magari non è in condizione di anticipare neanche una somma relativamente modesta come questa».

    Le difficoltà del Comune ricadono sugli altri

    Dal canto loro, le librerie scolastiche della città non ci stanno a fare da parafulmine alle inadempienze della pubblica amministrazione. E, dopo avere chiuso con una transazione estremamente onerosa (per loro) la vicenda dei vecchi crediti, hanno (ri)proposto di fare anticipare alle famiglie il costo dei libri.

    cedola libri primarie
    Una ricevuta consegnata a un genitore di un alunno delle primarie a Cosenza

    A pagare i testi delle scuole primarie, per legge erogati gratuitamente dallo Stato, sono state le famiglie. Che poi, quando e se il Comune sarà nelle condizioni di liquidare le fatture, riavranno i loro soldi direttamente dalle librerie. Basterà presentare le cedole di acquisto, «ed entro 60 giorni effettueremo il rimborso», spiega il titolare di una delle attività che hanno proposto questa soluzione.

    Cantanzaro, Crotone e Vibo? Tutto gratis

    Nelle altre province la situazione è molto diversa, fortunatamente. Ad agosto il settore Pubblica istruzione del Municipio di Catanzaro ha divulgato un avviso per lo stanziamento di 140mila euro per l’acquisto gratuito dei libri di testo delle scuole primarie. Le librerie accreditate sono state 11; gli aventi diritto 3.958.
    Luana P., mamma di Andrea: «Noi abbiamo pagato solo un euro per le copertine “obbligatorie”, per il resto più nulla». Manuela C.: «A gennaio abbiamo scelto la scuola per la piccola Ginevra, in primavera sono arrivate le cedole on-line e a settembre, non appena abbiamo avuto indicazioni delle classi, siamo andati in libreria a ritirare i testi».

    il comune di Catanzaro
    La sede del Comune di Catanzaro

    Anche a Catanzaro qualcuno aveva provato a chiedere di anticipare i soldi dei libri. «Ma il Comune ha bocciato subito l’attività dichiarandola illecita», spiega Liana N., mamma di Giuseppe e Gaia. L’iter previsto dalla Legge 448/98 dovrebbe essere uguale per tutti: i genitori acquistano i libri tramite le cedole ricevute a scuola e i librai fatturano al Comune. Funziona così un po’ dappertutto, anche a Crotone e Vibo Valentia.

    Anche a Reggio tocca anticipare

    Il meccanismo si è inceppato a Cosenza ed a Reggio Calabria. Anche qui i genitori devono anticipare i soldi per l’acquisto dei libri per le scuole primarie. Il motivo è sempre lo stesso: pure in riva allo Stretto i librai non riescono ad incassare in tempo le fatture dal Comune. Che, in questo caso, non può neanche sfruttare l’alibi del dissesto finanziario per difendersi.
    Amaro lo sfogo di una mamma sui social: «Abbiamo tre figli. Se consideriamo una spesa media per i libri di 65 euro a testa, viene fuori che la somma da anticipare per una famiglia non benestante non è per nulla indifferente».

    Le rassicurazioni della vecchia amministrazione

    Lo scorso anno ci ha provato l’assessore Spadafora Lanzino a gettare acqua sul fuoco delle polemiche giustificando i librai e rassicurando le famiglie: «Purtroppo, la consueta anticipazione degli importi da parte delle librerie su ricezione delle apposite cedole, non è resa possibile, oggi, dalla circostanza che le librerie stesse sono, al momento, in attesa della liquidazione delle spettanze relative all’anno scolastico 2019/2020, oggetto della procedura di liquidazione dinanzi alla Commissione straordinaria operante presso l’Amministrazione Comunale. Ciò giustifica la soluzione dell’anticipazione, ossia del temporaneo e provvisorio pagamento dei libri di testo da parte delle famiglie degli alunni, che tempestivamente riceveranno la restituzione di quanto versato non appena, con sicura tempestività, il Comune procederà a liquidare, su presentazione delle fatture da parte delle librerie, le somme in credito».

    L'ex assessore Matilde Lanzino
    L’ex assessore Matilde Lanzino
    I dubbi di quella nuova

    A piazza dei Bruzi solo in questa ultima settimana è arrivata la nomina dei presidenti delle commissioni consiliari e la nuova giunta del sindaco Caruso sta iniziando ad avviare la macchina amministrativa.
    Dai banchi della maggioranza fanno sapere che «stiamo iniziando ora ad esaminare il bilancio. Solo dopo saremo in grado di capire dove sono finite e come sono state usate dalla precedente Amministrazione le somme per l’acquisto dei libri e come fare a recuperarle».

    Una cosa però è certa: il capitolo Istruzione è tra i più complessi nel bilancio del Comune di Cosenza. Stessi fondi ministeriali, destini diversi per le risorse della scuole primarie e secondarie a Cosenza. Le fatture dei librai delle primarie sono finite nella massa passiva. Per recuperare i soldi integralmente – salvo stralci dal 30 al 60% – ci vorranno dai sei ai dieci anni. I fondi destinati alla scuole secondarie di 1 e 2° grado, invece, sono finiti su un capitolo di spesa ad hoc. Questo ha garantito già dallo scorso anno l’erogazione di 450mila euro.

    Sempre più sconcertati i librai : «Non riusciamo a capire come essendo anche i nostri fondi ministeriali siano finiti nella massa passiva. Certo è che se anziché destinare le risorse ad altro le avessero impiegate per pagare le cedole oggi non ci troveremmo in questa situazione».

  • L’Avaro del Marulla, se il Cosenza è in mano ad Arpagone

    L’Avaro del Marulla, se il Cosenza è in mano ad Arpagone

    Molière è vivo e lotta insieme a noi. Lo fa attraverso Arpagone, il suo Avaro (e avaro per eccellenza della commedia dell’arte), che in Calabria ha raggiunto la versione 4.0 e a Cosenza sta per evolversi ulteriormente. Il nuovo Arpagone non ha la faccia di Paolo Villaggio (che lo interpretò alla grande tra un Fantozzi e l’altro a fine anni ’90) ma quella di Eugenio Guarascio, il big dello smaltimento rifiuti col pallino dell’editoria e un incompreso – soprattutto incomprensibile – interessamento al calcio.
    Pecunia non olet, i soldi non puzzano, ci mancherebbe. E non c’è nulla da obiettare se il duce di 4EL, brillante e carismatico per autodefinizione, ha fatto un botto di quattrini con la monnezza. Ché anzi è un servizio nobile reso alla comunità. Il problema è che i soldi non possono restare in cassaforte.

    Un'edizione dell'Avaro di Molière
    Un’edizione dell’Avaro di Molière
    «Peste all’avarizia»

    Nessuno si permette di fare i conti in tasca a mister Guarascio. Però una cosa va detta: c’è una differenza – a volte sottile, ma c’è sempre – tra un imprenditore e un tirchio. Sta in una parola rara, altrove scontata ma quasi magica al Sud: investire.
    Quel che il presidente di Ecologia Oggi ha promesso puntualmente per il Cosenza Calcio e, finora, disatteso con altrettanta puntualità.

    Ora, che certe dichiarazioni se le siano bevute Mario Occhiuto e Franco Iacucci ci sta. Ma il sindaco uscente e non ricandidabile della città che ha tra i simboli proprio la squadra di Guarascio non poteva dire altro. Così come non poteva dire altro un presidente di Provincia che aspirava al salto a Palazzo Campanella.
    Non ci si può aspettare che certe promesse se le bevano i cittadini, che magari sborsano quattrini per andare al San Vito-Marulla. Pecunia non olet ma pesa. Nelle sue tasche aggiungiamo noi.

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    Striscione contro Guarascio durante una partita del Cosenza

    Nell’Avaro i servi, chi più chi meno, protestavano e si ribellavano come potevano ad Arpagone, dissimulando quel minimo per non farsi prendere a bastonate. I tifosi, invece, non le mandano a dire: lo testimonia la valanga di commenti che esplode ritualmente dopo le partite del Cosenza.
    «Peste all’avarizia e agli avari», gridava Freccia, un servitore di Arpagone, al padrone che lo perquisiva. «Guarascio, facci un regalo: vattene», invocano a gran voce i cosentini sui social. Come si vede, non c’è quasi differenza.

    Investire vuol dire spendere

    I numeri parlano. E quelli del calcio sono tra i più eloquenti: nelle sue partite più recenti, il Cosenza ha inanellato quattro sconfitte, tra qui quella dolentissima con la Reggina, e un pareggio. È quintultimo in classifica, cioè in posizione di agonia con unica aspirazione la salvezza.
    La si direbbe una squadra “avara”. In realtà, è solo una squadra povera che celebra costantemente le nozze coi fichi secchi sotto lo sguardo severo del patron.

    Guarascio parla poco, ma sta sempre attento, come Arpagone, che a tavola non si sprechi il cibo. Neanche nel banchetto nuziale ordinato alla meno peggio per accasare la figlia con un agiato anziano, disposto a sposarla «senza dote», e per impalmare una ragazza, da cui spera invece una dote.
    Questa citazione riassume il duplice rapporto, calcistico e imprenditoriale, che ha con Cosenza.

    Investire nelle emozioni

    Non entriamo nel merito del ciclo rifiuti, sebbene le lamentele sull’andamento della differenziata e non poche polemiche sindacali siano eloquenti. Concentriamoci solo sull’aspetto sportivo: se c’è un settore in cui i risultati costano, è lo sport, il calcio in particolare. E il campionato del Cosenza è l’esito di una campagna acquisti fatta a velocità lampo con un budget risicato. Più o meno come i cavalli, denutriti e senza ferri agli zoccoli, con cui Arpagone voleva andare alla fiera.

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    Nel calcio non si può risparmiare tagliando sui costi, come in un’azienda normale. A volte si può guadagnare (coi biglietti, gli sponsor e i diritti). Ma per farlo occorre spendere, perché l’investimento è nelle emozioni, prima ancora che negli uomini e nei mezzi. Le emozioni dei tifosi e dei cittadini comuni, che magari sui disservizi chiudono pure il classico occhio, ma allo spettacolo settimanale non vogliono rinunciare.

    Spendere non è sprecare

    Guarascio ha una nemesi, che non proviene dal teatro ma dal cinema. È Benito Fornaciari, il presidente del Borgorosso Football Club, a cui prestò il proprio volto Alberto Sordi, che si cappottò finanziariamente per salvare la squadra ereditata dal padre.
    Fornaciari è l’esempio opposto da non seguire, intendiamoci: nessuno si deve rovinare per farsi amare dai tifosi. Ma da qui a mettere in cima alle preoccupazioni il “rigore nei conti”, come ha dichiarato e ribadito Guarascio, ne corre. I conti devono essere tenuti sotto controllo, ci mancherebbe, ma non sono tutto, quando si lavora con le emozioni del pubblico. Altrimenti, il confronto con Arpagone, disposto a sacrificare gli affetti dei figli pur di salvaguardare i suoi diecimila scudi, diventa troppo calzante…

    La fortuna è un merito solo per quelli bravi

    Sotto Natale, sempre a proposito di avari, si potrebbe citare il vecchio Scroodge di Dickens. Ma la vicenda del Cosenza non è una favola, anzi merita un’ironia per la quale non basterebbero dieci Molière particolarmente ispirati: si ride per non arrabbiarsi troppo.
    Ciononostante, due fortune arridono a Guarascio: il miracoloso ripescaggio a danno del Chievo Verona e l’amore dei tifosi per il simbolo della città.
    Ma la fortuna non è eterna e premia chi la cerca, non chi se ne approfitta. E prima o poi i tesori si volatilizzano. Come quello di Arpagone, che alla fin fine e a dispetto di tanti sacrifici, riempiva sì e no un cofanetto.