Categoria: Fatti

  • La casta a 5 stelle adesso fa il pieno di portaborse

    La casta a 5 stelle adesso fa il pieno di portaborse

    Nelle stesse ore in cui Roberto Fico convoca il Parlamento in seduta comune per eleggere il capo dello Stato i suoi epigoni calabresi dimostrano di essere entrati nella parte allo stesso modo, con le dovute proporzioni, del presidente della Camera. Certo è azzardato il paragone tra il più alto rito di Palazzo e quello, evidentemente più basso, delle nomine di sottobosco nel consiglio regionale calabrese. La stessa è però la cifra politica che i due passaggi restituiscono rispetto a una forza, il Movimento 5 stelle, allattato con il furore anticasta e ormai avvezzo alle liturgie delle stesse istituzioni che si proponeva di ribaltare.

    Nella casta M5S pure Tavernise e Afflitto

    Il loro ingresso nell’Astronave di Palazzo Campanella è stato salutato come storico ma la prassi è altra cosa rispetto alla retorica. Così i due consiglieri regionali M5S mentre con una mano lanciano un messaggio di austerità, con l’altra cominciano a riempire le caselle a disposizione con i vituperati “portaborse”. Si tratta dei co.co.co. che ogni consigliere assume per chiamata diretta e che, va detto, spesso hanno esperienza e cv più che consoni al ruolo. Non di rado però questi incarichi diventano uno strumento per pagare debiti elettorali e certamente tante volte sono finiti nel mirino degli antisistema. Nel sistema però ora ci sono anche Davide Tavernise e Francesco Afflitto.

    I consiglieri regionali del M5s, Davide Tavernise e Francesco Afflitto
    La guerra con la Bausone

    Quest’ultimo, a cui il Pd e il centrodestra hanno concesso la Presidenza della Commissione di Vigilanza, deve fronteggiare in sede giudiziaria (e non solo) la collega di partito Alessia Bausone. Che, dopo aver conquistato il primo posto tra i non eletti in fase di riconteggio, gli contesta l’ineleggibilità puntando al suo seggio e gli muove accuse – a cui lui risponde annunciando querele – non proprio leggere. Come quella di essere «politicamente un Poltergeist» e di muoversi tra «poltronifici, silenzio sulle mafie e mancato rispetto delle regole (anche elettorali)».

    Tavernise è invece il giovane capogruppo e i due ruoli (presidente di gruppo consiliare e di Commissione) consentono a entrambi i 5stelle di assumere il doppio dei componenti dello staff rispetto a un consigliere semplice.

    Così fan tutti

    Sia chiaro: gli altri non sono certo da meno e sono già noti i casi di Leo Battaglia arrivato davvero alla Regione, di un ex fotoreporter di Mario Oliverio nominato autista della leghista Simona Loizzo, dei collaboratori che passano da Carlo Guccione a Franco Iacucci e da Luca Morrone alla moglie, o dello stesso Roberto Occhiuto che ha assunto a Palazzo Campanella una supporter del fratello.

    Ma anche i pentastellati non sembrano avere alcuna intenzione di fare a meno delle assunzioni fiduciarie. Hanno fatto sapere urbi et orbi di aver rinunciato al vitalizio – che oggi è ben poca cosa rispetto al tesoretto da migliaia di euro assicurato ai vecchi ex consiglieri – e all’indennità di fine mandato, ma non sbandierano le nomine che fanno per i loro staff.

    Quattro piccioni M5S per un Tavernise

    Tavernise, per esempio, ne ha portate a casa quattro in un colpo solo. Fabio Gambino, già assistente parlamentare di Alessandro Melicchio, sarà il suo segretario particolare al 50% per poco più di 20mila euro all’anno. Collaboratore esperto (al 50%) del capogruppo è invece Lidia Sciarrotta. Prenderà 16.700 euro all’anno ed è nota agli annali grillini perché, nel 2019, «avrebbe dovuto partecipare alla Parlamentarie per la selezione dei candidati alle europee» – si legge sul sito Informazione & Comunicazione – ma il suo nome sparì dalla lista dei candidati «benché incensurata» perché, «secondo talune fonti», qualcuno avrebbe segnalato che aveva «parenti condannati per usura».

    Duro e puro di Giorno

    C’è poi spazio per un componente interno – il dipendente del consiglio regionale Giovanni Paviglianiti, per la cui indennità di struttura saranno erogati 12.800 euro all’anno – e soprattutto per Giuseppe Giorno. Si tratta di un consigliere comunale di Luzzi che è stato coordinatore della campagna elettorale M5S per le Regionali. A metà luglio diceva peste e corna dell’alleanza con il Pd e Amalia Bruni, accusando i cittadini-portavoce-parlamentari Riccardo Tucci e Massimo Misiti di aver «tramato fin dall’inizio probabilmente solo per interessi personali». Oggi forse avrà cambiato idea sui dem e la loro ex aspirante governatrice, comunque farà il segretario particolare al 50% per circa 20mila euro all’anno.

    L’ex duro e puro Giuseppe Giorno, coordinatore della campagna elettorale del M5S nelle ultime elezioni regionali

    Proprio Giorno nell’estate del 2020, quando il caso dei vitalizi fece arrossire davanti all’Italia sia la maggioranza che l’opposizione dell’epoca, sottoscriveva e spammava il comunicato dei parlamentari grillini che ricordavano come «il Consiglio regionale calabrese costa quasi quanto quello della Regione Lombardia che ha, però, il doppio dei consiglieri, cinque volte la popolazione della Calabria e un reddito pro capite di gran lunga superiore al nostro».

    Quando tuonavano contro gli stipendi troppo alti

    All’epoca erano fuori da Palazzo Campanella e puntavano il dito contro «lo stipendio mensile di 5.100 euro e i rimborsi netti di circa 7mila euro mensili attribuiti a ogni consigliere», oggi invece ci sono dentro e i loro cittadini-portavoce-consiglieri Tavernise e Afflitto incassano puntualmente quei compensi. Viene dunque da chiedersi se proveranno almeno ad approvare la proposta di legge M5S di «taglio ai privilegi» parcheggiata da anni a Palazzo Campanella che produrrebbe «un risparmio di 3 milioni di euro a legislatura». O se, nel caso in cui il centrodestra ne stoppasse gli eventuali buoni propositi, siano pronti a rinunciare almeno a una parte di stipendio o di staff. Produrrebbero un risparmio ben maggiore della loro attuale rinuncia e manderebbero, pur da dentro il Palazzo, un segnale di sobrietà un po’ più concreto.

  • Amici di Guaracho, barbe e Interpol: Fernando ora “dà consigli” anche ai nostri cronisti

    Amici di Guaracho, barbe e Interpol: Fernando ora “dà consigli” anche ai nostri cronisti

    Codici rossi Interpol, estradizione, qualche mese di galera senza processo in Ucraina e, soprattutto, una bella rasatura dal barbiere. C’è un po’ di tutto nel video che Fernando Martinez Vela (queste le generalità indicate nell’account Youtube da cui posta i suoi messaggi) ha voluto dedicare al nostro collega Vincenzo Imperitura e condividiamo poche righe più giù. Vincenzo, infatti, pur tifando Reggina e non avendo mai incontrato in vita sua il presidente del Cosenza Calcio (che questo giornale ha peraltro attaccato più volte fin dal suo primo numero), Eugenio Guarascio, sarebbe un «amico de Guaracho». Mica un cronista che ha fatto il suo mestiere raccontando in un articolo le stranezze che hanno riguardato l’ipotetica compravendita della società rossoblù negli ultimi dieci giorni. Lo dicono i «soci in Calabria» di Vela e chi siamo noi diretti interessati per smentirli?

    Un consiglio

    Così, ecco un bel video anche per lui, dopo quelli di Fernando e altri su “Guaracho” apparsi nell’ultima settimana. È un «buonissimo consiglio» – ci tiene a precisare il presunto intermediario della sorprendente trattativa – e non certo «una minaccia». Fesso chi pensa male solo perché Fernando suggerisce al nostro collega che, se non ritratta il suo scritto, potrebbe essere oggetto di uno «scambio di figurine» tra il Belpaese e l’Ucraina. L’Italia, d’altra parte, è sempre pronta a consegnare in giro per il mondo un suo cittadino se lo accusano di aver commesso un’ipotetica diffamazione a mezzo stampa. Un cittadino che, sottolinea con sobria eleganza Vela, per di più guadagna meno del suo giardiniere «in una settimana».  E che ha pure la barba troppo in disordine per i gusti dei potenziali acquirenti dei Lupi.

    La nostra posizione

    Nell’esprimere la massima vicinanza a Vincenzo, l’intera redazione e il direttore de I Calabresi ribadiscono che proseguiranno il loro lavoro come sempre, senza curarsi di intimidazioni, vere o false che siano, e nell’esclusivo interesse dei loro lettori.

  • Il secolo breve del soldato Santopaolo

    Il secolo breve del soldato Santopaolo

    Pensate per un attimo di essere un soldato a metà del secolo scorso. Ieri è toccato a voi cercare di sfondare il fronte, siete partiti in 400 e tornati sì e no in 70. Ora, con quasi nulla da mangiare, stanchi per la battaglia della scorsa notte e con l’imminente probabilità di essere uccisi da nemici che avanzano, tentate di prendere sonno ammassati. È la guerra. E ad Arcavacata c’è chi certe esperienze le ha vissute in prima persona.

    Vincenzo Santopaolo ha 101 anni e vive ad Arcavacata

    In questa frazione di Rende, scampata al trasferimento demografico dalla campagna alla città grazie alla nascita dell’Università della Calabria, c’è la memoria di un uomo che risale alla Seconda Guerra Mondiale: Vincenzo Santopaolo. Nonostante abbia 101 anni, conserva una lucidità che pochi alla sua età mantengono.

    La chiamata per l’Albania

    Vincenzo nasce proprio ad Arcavacata il 27 maggio del 1920, da Giuditta Pastore e Giuseppe Santopaolo. Sesto di dieci figli, cresce in un contesto dove il lavoro nei campi è la principale fonte di sostentamento. Ma la tranquilla vita di campagna dura poco. Vincenzo ha vent’anni il 4 febbraio del 1940, quando il Distretto militare gli comunica che quello stesso giorno deve arruolarsi nel 26° Reggimento Artiglieria Corpo di Armata. «Da lì mi hanno mandato a Napoli e trattenuto per cinque o sei giorni. Trovai anche qualche compaesano che era stato richiamato proprio come me», spiega. Tempo una settimana e per l’Esercito italiano quel giovane contadino è un soldato pronto ad andare in guerra. La prima tappa sarà l’Albania, da dove l’Italia tenterà di sfondare il confine greco.

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    Vincenzo Santopaolo in Albania con i suoi commilitoni

    Salpa dal porto di Bari a bordo della nave Calabria per raggiungere il paese delle Aquile. «Da Durazzo, invece, mi mandarono prima verso la capitale Tirana. Poi continuammo verso un paese che si chiamava Berat». È in questa cittadina sul fiume Osum che Vincenzo sarà inquadrato nel 2° Gruppo, Prima Batteria, con un incarico di non poco conto. «Lì cominciammo l’istruzione (l’addestramento, nda) e inizialmente fui assegnato all’artiglieria. Dopo qualche tempo arrivò un sergente, mi chiese di lavorare con lui promettendomi di non farmi faticare inutilmente appresso ad un cannone. C’era un compito più importante: voleva che lo aiutassi al centralino da campo per il semplice fatto che gli piaceva la mia voce molto chiara! Gli risposi: “Serge’, sta a lei la scelta”. E lui andò a parlare col mio capitano spiegandogli che Santopaolo doveva essere trasferito di ruolo».

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    Vincenzo Santopaolo, telefonista sul fronte albanese prima di combattere

    Vincenzo diventa telefonista, inizia a ricevere ordini e diramarli agli ufficiali e alle truppe. In autunno l’Italia tenta di sorpassare il confine, sicura di “spezzare le reni alla Grecia”, ma sarà lei a uscirne con le ossa rotte: l’esercito ellenico schiera diciotto divisioni, il doppio delle nostre. In quel momento Vincenzo si trova in un comune in territorio albanese di fronte all’isola di Corfù, Konispol.

    «La sera del 27 ottobre 1940 è arrivato un ufficiale di alto livello, una specie di generale, per dirci qual era la situazione. Ci annunciò che il giorno dopo, alle 6 di mattina, avremmo attaccato. E allora così fu, la mattina del 28 ognuno era al suo posto. Il primo ordine fu di lanciare una salva di batteria sulla Grecia: quattro cannonate. Una batteria erano quattro cannonate, un gruppo dodici cannonate… tre batterie. Entrammo in Ciamuria, un antico territorio albanese conquistato dalla Grecia. Dopo qualche giorno di avanzamento arrivammo al fiume Thyamis, detto anche Kalamas, che per attraversarlo dovevi per forza passare su dei ponti. Il genio militare greco però li fece saltare in aria, così l’Artiglieria pesante dovette fermarsi. Dopo un po’ ci ritirammo tutti, neanche io potevo passare».

    Cannonate e ospedali

    Un altro aneddoto legato a quei giorni di guerra è l’attacco di una corazzata inglese su Konispol. Il 31 ottobre la flotta britannica apre il fuoco contro le truppe italiane: «Il secondo giorno dopo lo scoppio della guerra eravamo ancora a Konispol e una corazzata inglese sul mare davanti la costa ci puntò e iniziò a bombardare su di noi. Gli abitanti di Konispol non vollero abbandonare le loro case. Erano stati avvisati, ma loro non vollero sgomberare le abitazioni; dopo le cannonate uscirono e cominciarono a scappare. Ricordo un signore molto anziano, cieco, che venne tratto in salvo da altre due persone che lo trasportavano sotto i bombardamenti».

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    Vincenzo Santopaolo sul letto d’ospedale dopo aver contratto la malaria

    Moltissimi feriti e qualche morto, ma Vincenzo Santopaolo riesce a salvarsi. Di ritorno al campo base, però, accusa una grave forma di malaria. Lo ricoverano all’ospedale da campo di Valona in Albania, poi l’allora tenente Giovanni Gabbelloni lo autorizza a rimpatriare in Italia per curarsi nel migliore dei modi. In poche settimane passa dall’ospedale di Ancona a quello di Bergamo, infine lo spostano in un albergo sul lago di Como affinché ossigeni le vie aeree e riposi in un luogo più adatto al suo caso. Il 7 marzo del 1941 viene mandato in licenza a casa sua ad Arcavacata per affrontare la convalescenza sotto l’attenta cura di mamma Giuditta.

    La campagna d’Africa

    Il Distretto militare di Catanzaro lo dichiara guarito l’11 maggio del 1942. Il ricordo di quell’episodio lo fa sorridere ancora oggi: «Catanzaro mi dichiarò idoneo e mi mandarono al deposito. Lì al deposito dissero che ero idoneo, idoneo che però ha bisogno di cure… vida tu na pocu!».
    Poi il bis di quanto vissuto un paio d’anni prima, destinazione Africa stavolta. Prima che Vincenzo riparta, il nonno Michele gli regala 5 lire dicendo: «Caro nipote, ti saluto perché non penso che ci rivedremo più al tuo ritorno». Nessuno dei fratelli, invece, tutti impegnati nel lavoro nei campi, può salutarlo. Solo la nipotina Maria gli chiede quanto tornerà dalla guerra e lui le risponde che farà presto. Michele ha ragione, Vincenzo no.

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    Il soldato Santopaolo in Africa

    Il 9 maggio del 1942, dopo i soliti controlli di routine a Napoli, si imbarca su un aereo che da Lecce arriverà a Bengasi, Libia. Qui finisce nel Secondo Reggimento Artiglieria Contraerea: «Prima mi assegnarono all’artiglieria di terra, cannoni molto potenti per i tempi. Dopodiché mi piazzarono alla contraerea, sparavano a più di 12 chilometri! Dopo un po’, però, mi ridiedero lo stesso ruolo che avevo in Albania e tornai a fare il telefonista per il centralino da campo».

    La pressione e la capacità bellica degli Alleati si dimostra di gran lunga superiore a quella delle truppe italiane, costringendole così a una nuova ritirata, questa volta verso Tripoli passando per il deserto cirenaico e quello sirtico. Arrivati a Tripoli, però, la fuga non si ferma. Bisognerà allungare verso Hammamet, Tunisia, dove l’ordine della resa verrà impartito all’esercito italiano.

    La prigionia in Inghilterra

    L’11 maggio del 1943 gli inglesi lo fanno prigioniero e costringono lui e i suoi compagni ad arrivare a piedi fino in Algeria.
    «La ritirata generale iniziò da Alessandria d’Egitto, dove c’era anche mio fratello Francesco. Io feci Bengasi, Tripoli, il deserto sirtico e poi Hammamet, lì ci arrendemmo e ci trasportarono fino in Algeria. Ricordo l’ordine della resa, il capitano non ci voleva credere. Pensava che stessi dicendo una menzogna, così provò a chiamare il comando generale. Ma nessuno rispose. Il capitano capì subito. E diede ordine di rompere tutti i cannoni ed i fucili: gli inglesi non trovarono niente se non noi».

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    Vincenzo Santopaolo (primo in piedi da sinistra) prigioniero degli inglesi

    Solo ai soldati in condizioni peggiori viene data la possibilità di essere portati (ma non sempre) su dei carri di bestiame, tra continui maltrattamenti e vessazioni dell’esercito inglese ai prigionieri italiani. Vincenzo è stremato, ha una forte enterocolite che lo debilita ulteriormente, le forze sono quasi al limite. Dal porto di Algeri, lui e i suoi compagni vengono imbarcati per Glasgow per poi essere trasferiti in un campo di prigionia per i reduci di guerra, il n° 27 ad Hereford, a circa 100 miglia ad est di Londra.

    Rimarrà lì per tre anni consecutivi prima di ritornare in patria. «Lavoravamo nei campi e nelle officine, dappertutto praticamente». Il campo funge solo da dormitorio, i prigionieri ricevono vitto (1 kg di pane a settimana e poca acqua) e alloggio, più una moneta che si può spendere solo nel campo stesso. Vincenzo ricorda perfettamente il trattamento riservato ai tedeschi. Gli inglesi facevano correre nudi intorno al campo i soldati del Reich, facendogli salire la febbre ogni giorno per poi portarli a morte naturale senza nessun tipo di cure.

    Il ritorno a casa

    Dopo tre anni ad Hereford, arriva l’armistizio: il 21 luglio del 1946 Vincenzo sbarca a Napoli. Ad aspettarlo in un centro di Fuorigrotta ci sono i fratelli, le sorelle, i genitori. E il lavoro in altri campi, quelli di un’Italia uscita sconfitta dalla guerra con la voglia di rivalsa e di pace. Il 12 febbraio del 1950 sposa Costantina Puntillo, anche lei originaria di Arcavacata. L’anno dopo nascerà il primo figlio, Gianfranco e dopo 12 anni il secondogenito Roberto. Nel 1987 Vincenzo andrà in pensione dopo aver lavorato come operaio edile nella costruzione dell’Università della Calabria. Oggi, a 101 anni, custodisce ancora la memoria di un periodo storico fondamentale per cercare di comprendere fin dove possa spingersi la follia dell’umanità. Quando lo saluto promettendogli di tornare a trovarlo, risponde ironico: «Quando vuoi, tanto sono disoccupato e non ho molto da fare!».

    Andrea Pastore

  • Sorveglianza attivisti, la Orrico (M5S) chiede la revoca al ministro

    Sorveglianza attivisti, la Orrico (M5S) chiede la revoca al ministro

    Dove finisce il diritto al dissenso e inizia la sua repressione? A Cosenza se lo sono chiesti in tanti nelle ultime settimane dopo le richieste di ammende e misure di sorveglianza speciale per alcuni attivisti locali che la Questura ha richiesto. Prima le multe ai passeggiatori sediziosi, o presunti tali. Poi quelle ai giovani protagonisti di alcune battaglie non violente in difesa della sanità pubblica. La questione della “camminata” era già sul tavolo del ministro Lamorgese grazie alla lettera che le ha inviato il direttore de I Calabresi. Ora la titolare del dicastero degli Interni però dovrà dire qualcosa sulla vicenda di fronte ai deputati.

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    Vittoria Morrone (a sinistra), insieme a Simone Guglielmelli e Jessica Cosenza, i due giovani per cui la Questura ha chiesto misure di sorveglianza speciale

    L’interrogazione parlamentare

    La parlamentare Anna Laura Orrico, infatti, ha deposito un’interrogazione parlamentare in merito alla questione. In una nota stampa della stessa pentastellata, si legge:  «Vorrei capire – dice Orrico – e perciò mi appello al Ministro Lamorgese, che tipo di agibilità democratica vige in città, se, cioè, le prerogative costituzionalmente garantite di attività politica e sindacale, se i diritti civili e se il dissenso sono divenuti dei privilegi riservati a pochi fortunati oppure se è ancora possibile goderne ed esercitarli liberamente».

    Non sono gli attivisti i nemici della collettività

    «Non credo che – sottolinea la Orrico – in una terra piagata dalla criminalità organizzata, dai diritti negati, e talvolta calpestati, da una classe dirigente spesso assente o, addirittura, collusa i principali nemici della collettività, indicati finanche come socialmente pericolosi, possano essere additati fra chi denuncia pubblicamente le terribili condizioni in cui i calabresi vivono e le relative responsabilità politiche».

    Misure per solito riservate ai mafiosi

    L’ex sottosegretario ai Beni culturali cita anche l’intervento di Zerocalcare che ha preso una posizione netta, solidarizzando con gli attivisti (due studenti universitari) sottoposti a misure di sorveglianza speciale.
    La deputata del M5S ha chiesto al Ministro dell’Interno «se queste misure di prevenzione, che comportano gravissime restrizioni della libertà personale, pregiudizievole per le attività di studio e lavoro dei destinatari, solitamente riservate ai mafiosi, non debbano essere revocate».

    La solidarietà di Zerocalcare agli attivisti cosentini nel mirino della Questura
    La solidarietà di Zerocalcare agli attivisti cosentini nel mirino della Questura
  • Cane non mangia cane: il “bilancio Occhiuto” passa, ma che farà Franz da grande?

    Cane non mangia cane: il “bilancio Occhiuto” passa, ma che farà Franz da grande?

    È sfuggito qualcosa, durante la discussione del Bilancio preventivo di Cosenza per il triennio 2021-2023, avvenuta a Palazzo dei Bruzi il 29 dicembre. Preso in sé, il dibattito non fa notizia. Scontato il voto unanime alla relazione dell’assessore al Bilancio Francesco Giordano, frutto di un lavoro certosino sui conti. Scontate, inoltre, le punzecchiature volate qui e lì durante gli interventi. Persino banali i plausi della minoranza: il documento contabile proposto dalla giunta Caruso appartiene solo nominalmente all’amministrazione attuale, ma in realtà è farina del sacco di Mario Occhiuto.

    A proposito di Occhiuto: l’ex sindaco aveva lanciato alcune frecciate al curaro dalla propria pagina Facebook poco prima delle festività natalizie. «Quando ci siamo insediati – aveva detto – avevamo trovato una situazione contabile disastrosa, ma non abbiamo accusato gli altri e ci siamo dati da fare». Sarà. Ma cose simili le aveva dichiarate pure Franco Santo, lo spin doctor di Salvatore Perugini: «Trovammo una situazione disastrosa ed esortammo Perugini a dichiarare il dissesto». Cosa che non avvenne.
    Insomma, il voto unanime ha un significato ben preciso: cane non mangia cane. Neanche quando c’è poco altro da mangiare, come dimostrano gli 11 milioni di disavanzo ereditati dal 2019. Ma cosa è sfuggito?

    Pantalone non paga più

    Contabile di spessore ed esperto in dissesti, l’amanteano Francesco Giordano è approdato nella giunta Caruso dopo aver fatto parte della Commissione di liquidazione del Comune di Cosenza nominata a febbraio 2020, quando il dissesto era ancora “fresco”. È uno che conosce bene la voragine delle casse comunali e tenta di salvare il salvabile. Lo rivelano due passaggi della sua relazione. Il primo: «I beni comunali dovrebbero essere messi a frutto, cioè affittati o liquidati, prima che l’ente vada (di nuovo, ndr) in dissesto».

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    Palazzo dei Bruzi, sede del Comune di Cosenza

    Secondo passaggio: «Non si può più ragionare come quindici anni fa, quando si badava più ai costi che alle entrate, perché dal 2011 è cambiato tutto». Ovvero: le rimesse statali sono calate in maniera drastica e gli enti locali devono far da sé, riscuotendo a più non posso. Il che non è stato per Cosenza. Anzi, è proprio questo il dato più sconfortante: gli uffici di Palazzo dei Bruzi hanno incassato solo il 20% della somma prevista (circa 17 milioni) di tributi urbani, in particolare Tari e fornitura idrica.

    Tocca svendere l’argenteria

    Cane non mangia cane, ma in compenso si morde la coda. Impossibilitato a risparmiare come dovrebbe, pena il collasso dei servizi, il Comune non riesce ad incassare. Anzi, secondo i bene informati, ci sono quartieri in cui riscuotere è utopia, anche a causa della povertà dei cittadini.
    Allora tocca svendere l’argenteria. Posto che sia in buone condizioni e posto che ci siano acquirenti. Altrimenti, la messa in liquidazione si tradurrà in voci attive virtuali e inutilizzabili. Sono i conti della serva? Certo.
    Ma non occorre una specializzazione in finanza pubblica per cogliere il vero rimprovero di Giordano: non si è risparmiato quando si poteva, non si è incassato quando si doveva. In compenso, si è speso.

    L’operazione verità? Un’altra volta

    Che ne è stato delle dichiarazioni con cui Franz Caruso prometteva fuoco e fiamme all’atto del suo insediamento? Una probabile risposta sta in un passaggio dell’intervento dell’ex vicesindaco Francesco Caruso, sconfitto alle Amministrative di ottobre: «Giordano non ha ravvisato elementi tali da portare le carte in nessuna procura. Non sono affermazioni eclatanti queste, ma vanificano l’operazione verità che si sta rivelando una bolla di sapone».

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    Francesco Caruso e Mario Occhiuto durante la campagna elettorale

    L’ex vicesindaco non si ferma qui e – forse in maniera autoassolutoria – rivolge lo sguardo al passato: «È una situazione delicata ma non tragica, effetto di cause di un processo evolutivo che guarda a situazioni di amministrazioni di 10 anni fa». E ancora: «Noi abbiamo trovato nel 2011 un comune in dissesto».
    E, a proposito ancora di operazioni verità: «Non ho mai digerito l’operazione verità perché ha il sapore di una ricerca dei colpevoli. Siamo dei comuni mortali e a fasi alterne occupiamo posti di responsabilità. Oggi, se si vuole andare avanti, il bilancio si deve votare così come sono stati votati i bilanci con perdite significative».

    Il decennio intoccabile

    Non si poteva pretendere dall’attuale maggioranza una riflessione critica sugli anni ’90, quando iniziò in lire il debito che avrebbe travolto Cosenza in euro. Ma il rinvio alle responsabilità passate, fatto tardivamente da Occhiuto e rilanciato dai suoi sodali superstiti in consiglio (tranne da Antonio Ruffolo, arrivato in ritardo e silente come sempre) non è sufficiente. Né ci si può consolare col fatto che Cosenza è in dissesto al pari dell’80% dei Comuni al Sud.

    Alla classe politica cosentina è mancato il coraggio del parricidio. Non lo fece l’amministrazione Perugini, che aveva liquidato il decennio manciniano nell’immobilismo. Non l’ha fatto l’amministrazione Occhiuto, che anzi ha completato i progetti del vecchio Leone socialista, in particolare il ponte di Calatrava e il parcheggio di piazza Bilotti, attirandosi le critiche di chi negli anni ’90 applaudiva.
    Tuttavia, anche l’eventuale “revisionismo” su quegli anni oggi sarebbe inutile. Di sicuro non colmerebbe il deficit in bilancio che costerà ai cosentini lacrime e sangue. Né restituirebbe alla città la voglia di progettare e di sognare di quel decennio.

    La partita inizia ora

    Le schermaglie sono state poca cosa: un botta e risposta tra gli evergreen Mimmo Frammartino e Spataro, qualche stoccata di Bianca Rende che si è tolta i classici sassolini dalla scarpa più qualche precisazione. Ma resta un dato, ancora una volta evidenziato da Giordano e ribadito dal sindaco: quello approvato dal Consiglio comunale del 30 gennaio non è un bilancio di previsione dell’amministrazione Caruso.

    È l’ultimo consuntivo di quella Occhiuto, votato in zona Cesarini e quasi a scatola chiusa per evitare rischi più gravi. Niente interventi della Procura, più dichiarati che minacciati, né inchieste. Solo continuità, per il momento. La partita vera dei conti cosentini inizierà in primavera, quando Franz Caruso e i suoi diranno per davvero cosa faranno “da grandi” e, soprattutto, potranno fare.

  • Vecchia, piccola e impreparata burocrazia

    Vecchia, piccola e impreparata burocrazia

    La questione meridionale oggi è prima di tutto una questione burocratica, in Calabria più che altrove. Se il nocciolo dei problemi del Sud fosse qualcosa di tangibile sarebbe nascosto sotto scartoffie a prendere polvere in qualche scaffale di un remoto ufficio. Sarebbe un piccolo animaletto onnivoro che si diverte a creare scompiglio e distruggere fogli e cifre. Bisogna comprendere come agisce, come è nato e di cosa si ciba per capire tutti i conti che non tornano: pagamenti, bilanci e, soprattutto, fondi. E la questione non è più differibile dal momento che sono in arrivo centinaia di milioni dall’Unione Europea.

    La metafora è tutt’altro che esagerata. Basta rifletterci: se i fondi possono essere tolti o non rendicontati, se si creano lungaggini burocratiche e intoppi che costringono un cittadino a chiedere mille favori per ogni richiesta legittima non può essere esente da colpe una burocrazia che permette il crearsi di aree grigie, poco trasparenti e confuse. Occorre quindi fare una radiografia agli enti pubblici per conoscere meglio chi gestirà questi milioni. Per far questo i dati sulla provenienza di reddito e tipologia di occupazione e le situazioni economiche degli enti restituiscono una fotografia molto interessante.

    Più statali, meno industrie e servizi

    A Cosenza il 42% della popolazione risulta occupata. E all’interno di questa percentuale quasi 15 mila persone risultano occupate alla voce “amministrazione”, che comprende tutti i possibili apparati della pubblica amministrazione, dal Comune alle segreterie, uffici vari e via di questo passo. Il numero rappresenta il 47% degli occupati, mentre la restante metà è divisa tra industrie e servizi. Ad Imola, comune più o meno della stessa grandezza di Cosenza la percentuale nell’amministrazione è del 17% (nonostante il grado complessivo di occupazione non sia molto distante, 46%). La parte del leone ad Imola la fanno le industrie. Stesso discorso se si paragonano due città come: Reggio Calabria e Reggio Emilia. L’amministrazione di Reggio Calabria racchiude il 33% degli occupati, mentre quella di Reggio Emilia il 18%.

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    Palazzo dei Bruzi, sede del Comune di Cosenza

    Anche in quest’ultimo il grosso è nelle industrie. Il dato può essere replicato anche con comuni più piccoli. In Calabria gli enti classificati come amministrazioni occupano la maggior parte delle persone. Come è stato possibile creare questa differenza? Un’analisi dettagliata dei dati mostra che gli enti pubblici o che rientrano nella categoria di “amministrazione” al Sud sono di più (si pensi ai consorzi, le aziende autonome, le comunità territoriali o i vari istituti) e sovradimensionati.

    Tanta burocrazia, poca efficienza

    I freddi numeri di qualche anno fa raccontano di un territorio nel quale l’iniziativa privata è piccola o del tutto assente. È una contraddizione beffarda, a pensarci bene. Lo Stato, proprio in una terra dove la sua mancanza si sente più che altrove, è anche quello che fornisce più occupazione. E ancora: lo Stato da questo punto di vista è tanto presente, quanto inefficiente. Le città prese a paragone – a parità di popolazione – hanno meno funzionari, ma funzionano meglio. E soprattutto spendono meno.

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    Palazzo San Giorgio, sede dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria

    Basti un solo esempio: il Comune di Cosenza spende 13 milioni in stipendi per il personale, contro gli gli 8,7 di Imola. Fa ridere o preoccupare leggere che sempre lo stesso comune spende 7 milioni in infrastrutture stradali, mentre Imola appena uno, con evidenti risultati differenti. Vogliamo credere che costano di più i lavori a queste latitudini? Altre voci nelle quali il Comune di Reggio Calabria spende diversi milioni sono i contenziosi, per i quali ogni cittadino calabrese sborsa mediamente 10 euro contro i 3 nazionali. Ma questa è un’altra storia…

    Il deficit di competenze

    Se è questa la fine che faranno i fondi del Pnrr sarà impietosa. In realtà, però, è possibile che questi fondi nemmeno riescano ad arrivare perché non ci sono professionisti capaci di scrivere progetti adatti. Per far fronte a questo il Governo ha emanato un decreto per favorire l’assunzione di tecnici ad hoc. Ma come è possibile? I numeri dicono che i nostri enti brulicano di persone e ne servono ancora?

    Questo perché i numeri non dicono tutto. È vero, ci sono molte persone. Ma è altrettanto vero che sono dislocate in enti molto spesso dormienti (mentre alcuni uffici restano sottodimensionati) e hanno competenze non più adatte alle nuove sfide. In tal caso bisogna chiedersi perché alcune costole vengono mantenute ancora in piedi, chi seleziona i funzionari e quanta cura si dedichi al loro aggiornamento professionale. Domande, forse, retoriche.

    Età media alta e due funzionari su tre senza laurea

    Perché, dunque, questi moderni amanuensi fanno numero più che ottenere risultati? Una prima risposta potrebbe essere l’età. L’età media della classe tecnica meridionale è alta e quindi poco duttile a cambiamenti e nuove sfide. Un’altra potrebbe essere il fatto che la Calabria ha solo il 34% di dipendenti comunali laureati, una delle ultime in classifica. Questo a dire il vero è un problema relativo perché conta anche il tipo di laurea e dalle nostre parti sovrabbondano gli avvocati ad esempio. Contano, insomma, più ragioni, tra le quali non bisogna escludere una certa volontà che le cose restino lente e macchinose e quindi poco accessibili senza aiuti esterni.

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    La sede della Regione Calabria a Germaneto

    Ad ogni modo, le avvisaglie del possibile disastro in queste settimane si sono già viste. Dei progetti finanziabili riguardanti le risorse idriche la Calabria ne ha visti accettati 20 e rifiutati 16 (la regione con più rifiuti dopo la Sicilia). E bisogna anche essere contenti perché una prima bozza presentata a marzo era a tratti copiata da quella di altre regioni. Una volta arrivati, i fondi bisogna saperli spendere senza che colino via tra spese gonfiate e ritardi vari. Anche perché altrimenti l’UE congela l’erogazione, è già successo di recente per altri fondi a causa di errori di rendicontazione. Infine, servirà saperli controllare: è la Regione stessa, nelle relazioni di valutazione dei fondi, a notare un «deficit informativo del sistema di monitoraggio».

    Kafka ne avrebbe per decine di romanzi. I suoi protagonisti imprigionati in macchine burocratiche apparentemente senza logica sono perfetti per la Calabria. La tradizione orale che un tempo serviva ai greci per tramandarsi a memoria opere immense ora è usata per tramandarsi addirittura bilanci. In queste moderne opere, però, di eroi nemmeno l’ombra.

    Saverio Di Giorno

  • Massoni cosentini, fratelli e muratori dal sindaco al medico giornalista

    Massoni cosentini, fratelli e muratori dal sindaco al medico giornalista

    C’è una personalità particolare, che rivela tantissimo sul modo in cui si sono costruite le classi dirigenti di Cosenza: Arnaldo Clausi Schettini, che fu sindaco in quota Dc del capoluogo bruzio per dieci anni, dal ’52 al ’64.
    Fu eletto tre volte (nel’52, nel’56 e nel ’60) e si appoggiò a una maggioranza che oggi si definirebbe di centrodestra, costituita, alternativamente, dal Pli e dal Msi.
    Ma, secondo alcune ricostruzioni storiche credibili, alla base di tanta longevità politica, ci sarebbe stato un fattore ben preciso, di quelli che non si misurano nelle urne: la massoneria.

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    Arnaldo Clausi Schettini, tre volte sindaco di Cosenza
    La massoneria cosentina è come le Duracell

    Per quel che riguarda il sindaco Clausi Schettini, non risulta dalle carte alcuna militanza massonica, ma solo l’iscrizione al Rotary. In compenso, era massone suo fratello Oscar, che faceva l’avvocato nella natia Rogliano ed era referente della loggia “Telesio” per il Grande Oriente d’Italia. Invece Vittorio, il papà di Arnaldo e Oscar, era stato podestà a Rogliano.

    Ma, prima ancora, Vittorio aveva fatto parte della vecchia classe dirigente liberale, frequentazioni massoniche incluse: nel 1904, ad esempio, aveva appoggiato, assieme al massone (addirittura un 33) Giovanni Domanico, l’ascesa politica di Luigi Fera, un altro grembiule di rango.
    La massoneria cosentina era come le batterie Duracell: continuava, a dispetto delle leggi “fascistissime” del ’25, che non avevano scalfito di una virgola Michele Bianchi (proveniente da piazza del Gesù) né il podestà cosentino Tommaso Arnoni (il quale, invece, aveva militato nel Goi).
    E l’effetto Duracell sarebbe continuato nel dopoguerra, a dispetto degli anatemi della Chiesa.

    I notabili alla carica

    Un’interessante ricerca di Luca Irwin Fragale, autore del poderoso volume “La massoneria nel Parlamento” (Perugia, Morlacchi Editore 2021), chiarisce il legame tra le classi dirigenti calabresi, cosentine in particolare, e la “grembiulanza”.
    Un rapporto che aveva, e forse ha tuttora, due direzioni: tutti i notabili dovevano avere il benestare delle logge e, viceversa, tutte le logge dovevano essere vissute dai notabili.
    Non fu un caso, quindi, che la massoneria si sia ricostituita a Cosenza non appena gli Alleati arrivarono in Calabria.
    Al riguardo, le fonti concordano su una data: 11 dicembre 1943, quando la storica loggia del Goi “Bruzia-De Roberto” riprende la propria attività dopo diciotto anni di stop imposti dal regime fascista.

    Misasi, Loizzo e la città che contava

    Basta scorrere la lista degli iscritti per rendersi conto che la “Bruzia” conteneva una buona fetta della città che contava, consolidata tra l’altro anche da rapporti di parentela. C’era il medico Mario Misasi, nipote del grande scrittore Nicola, fondatore dell’omonima clinica e creatore del reparto di Pediatria all’Annunziata e ideatore del Rotary cosentino.

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    Il medico Mario Misasi

    C’era Sole Marte Cavalcanti, detto Soluzzo, comandante dei Vigili Urbani di Cosenza.
    C’erano, in particolare i fratelli Emilio e Giovanni Loizzo, un cognome che pesa tuttora nella storia della massoneria: Giovanni, infatti, era il papà di Ettore Loizzo, che avrebbe fatto una grande carriera nel Goi, di cui sarebbe diventato gran maestro aggiunto. Ma questa è un’altra storia.
    Per quel che riguarda la famiglia Loizzo, gli addentellati massonici non finiscono qui: fuori dalla loggia “Bruzia-De Roberto” si contano altri due Loizzo: Eugenio e Antonio, morto durante il bombardamento alleato dell’agosto 1943.

    Il radiologo giornalista

    La personalità più forte resta, tuttavia, il radiologo Oscar Fragale, ufficiale medico all’Ospedale militare di Bari col pallino della filantropia e del giornalismo: già presidente del Circolo della stampa di Cosenza, Fragale rileva assieme a Giuseppe Santoro, altro pezzo grosso della “Bruzia”, la testata “Italia Nuova” che sarebbe diventata il celebre “Corriere del Sud”. Antifascista rigoroso e militante nel Partito d’Azione, aveva proposto nel ’44 l’istituzione di un’università a Cosenza.

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    Oscar Fragale, radiologo e giornalista

    Anche nel caso di Oscar Fragale contano la tradizione di famiglia e i legami politici: suo padre Giovanni era un orafo di Malvito legato al parlamentare Nicola Serra. Serve altro?

    La conquista del Comune

    Personalità piuttosto spigolosa, Fragale era un massone vecchio stampo, liberale e anticlericale. Proprio la sua polemica giornalistica nei confronti dei “fratelli” che si apprestavano a colonizzare la Dc permette di cogliere i retroscena delle Amministrative del ’52.
    Ma andiamo con ordine. Subito dopo la ripartenza di fine ’43, la massoneria cosentina cresce a dismisura. Il Goi, in particolare, apre nuove logge (“Salfi” e “Telesio”) e ne ingloba altre provenienti dai rivali di Piazza del Gesù: tra tutte, la storica “Fratelli Bandiera”. Poi arriva lo stop con le elezioni politiche del ’48, in cui la Dc batte il fronte popolare e inaugura la sua egemonia sulla politica italiana.

    Inizia l’era De Gasperi, caratterizzata da un legame forte con la Chiesa che si declina in due direzioni: contro il comunismo e, appunto, contro la massoneria.
    Quest’ultima, per sfuggire alla morsa cattolica, escogita un piano a livello nazionale che, ovviamente, trova a Cosenza un’applicazione sin troppo zelante.

    Il piano Pirro

    La strategia “entrista” nella Dc è elaborata da un big del Goi romano, conosciuto come “Pirro” (probabilmente il gran maestro del Goi, Ugo Lenzi).
    Il motivo di questa strategia è piuttosto banale: l’anticomunismo, che in Calabria tuttavia, pesa di meno, visto che anche il Pci vantava massoni di rango come l’ex ministro Fausto Gullo, tra l’altro consuocero di Mario Misasi.

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    Fausto Gullo. ministro e giurista

    Il caso di Gullo non era isolato, visto che è più che nota la vicenda di Ettore Loizzo, che visse la doppia identità di massone e comunista finché i vertici del Pci gli imposero di scegliere tra militanza politica e militanza massonica…

    Pure il vescovo

    Torniamo alla Cosenza del ’52. Il piano massonico di “colonizzare” le liste della Dc è rivelato dal Corriere del Sud (di proprietà di Oscar Fragale, che avversa il piano e non ama la Dc) attraverso un articolo pubblicato in prima pagina il 24 maggio ’52.
    La strategia cosentina è piuttosto semplice: spingere il Pli, partito tradizionale della massoneria, ad allearsi con la Balena Bianca e piazzare sette candidati nella lista di quest’ultima.

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    Il vescovo Aniello Calcara

    Cosa curiosa, di questo piano è al corrente anche la Chiesa, tant’è che l’articolo del “Corriere del Sud” pubblica anche una nota con cui Aniello Calcara, l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, invita i fedeli a scegliere la lista della Dc e, all’interno di questa, i candidati che danno più garanzie dal punto di vista religioso.

    Massoni inclusi

    Il piano Pirro diventa il classico segreto di Pulcinella. Tuttavia, funziona: Arnaldo Clausi Schettini, vicino ai notabili massoni grazie alla militanza rotariana e ai rapporti della propria famiglia, diventa sindaco e resta in sella per più di dieci anni. Il suo posto sarà rilevato da Mario Stancati nel ’63, che inaugura il centrosinistra in città. Massoni inclusi.

  • Regionalismo in salsa calabra: maggioranze diverse, identico declino

    Regionalismo in salsa calabra: maggioranze diverse, identico declino

    Dal 2000 ad oggi si sono succeduti in Calabria sei presidenti di regione, con una continua alternanza di schieramenti. L’elenco comprende Giuseppe Chiaravalloti (centrodestra, 2000-2005), Agazio Loiero (centrosinistra, 2005-2010), Giuseppe Scopelliti (centrodestra, 2010-2014), Mario Oliverio (centrosinistra, 2014-2020). Il trend prosegue con l’elezione di Jole Santelli con una coalizione di centrodestra, ma questa esperienza si interrompe drammaticamente dopo pochi mesi per la morte prematura della forzista. E, complice forse la brevità del suo mandato, un anno dopo a uscire sconfitta dalle urne è ancora la gauche, con l’elezione dell’azzurro Roberto Occhiuto.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Questa quasi simmetrica alternanza dovrebbe evidenziare e segnalare, secondo gli schemi dei manuali di politica, indirizzi e scelte economiche e sociali differenti durante l’esercizio dei mandati. L’analisi dei dati sulla performance della Regione mette invece in evidenza esattamente l’opposto. Vale a dire una linea di indirizzo costante verso il declino di tutti i principali indicatori nella produzione di ricchezza, nella demografia, nella qualità della vita.

    La Calabria che si svuota

    La demografia, che costituisce la radiografia del tessuto civile, ha cominciato a declinare proprio nel ventunesimo secolo. In particolare dal 2010 è cominciata una costante caduta della popolazione residente in Calabria, interrotta soltanto per un anno, nel 2013. Si è passati da poco più di 2 milioni di abitanti nel 2001 a poco più di 1,8 milioni nel 2020, con una riduzione del 10%. Di converso, è aumentato il numero delle famiglie, passato da poco più di 730mila a più di 805mila. Intanto è tornata a crescere l’emigrazione. La Calabria conta oggi 430mila residenti all’estero, quasi un quarto della popolazione totale della regione: il 42,8% è nella fascia tra i 18 ed i 49 anni.

    Investimenti dimezzati negli anni

    La spesa pubblica regionale è rimasta sostanzialmente stabile nel corso dell’ultimo ventennio, pur nella diversità delle maggioranze politiche. Ad assorbirla sono state molto più le spese correnti che gli investimenti, diminuiti invece in valore assoluto e percentuale.
    Dal 2010 in avanti la spesa per investimenti si è sostanzialmente dimezzata come peso sul totale della spesa. Siamo passati dal 12% del 2010 al 6% del 2012, per poi risalire lentamente sino al 9% del 2020. Va osservato che la spesa pubblica in Calabria dipende per il 98,16% dal governo nazionale, per lo 0,57% dal governo regionale e per l’1,19% dalle municipalità. I margini di manovra per fare la differenza sono quindi molto ristretti.

    Cambiano le maggioranze, non le scelte

    In buona sostanza, nel primo ventennio del ventunesimo secolo si è alternata sempre la maggioranza politica alla guida della Regione, ma sono rimaste identiche le scelte. E queste hanno condotto ad un arretramento costante della Calabria nelle classifiche della competitività.
    La scarsa incidenza delle scelte di politica regionale sull’andamento del tessuto economico e sociale della Calabria si riflette nella analisi di Ernesto Galli della Loggia ed Aldo Schiavone, nel libro appena pubblicato Una profezia per l’Italia (Mondadori 2021). Da almeno quattro decenni il Mezzogiorno è uscito dal discorso pubblico, divenendo soggetto di fiction televisive più che di politiche di sviluppo.

    Ernesto Galli della Loggia
    Ernesto Galli della Loggia
    Una questione meridionale al quadrato

    Dagli Anni Settanta del Novecento ad oggi, il prodotto pro capite del Sud è passato dal 65% al 55% rispetto a quello del Nord, mentre gli investimenti si sono più che dimezzati. Le Regioni, in tutto il Mezzogiorno, sono state una palla al piede per lo sviluppo. Ne hanno frenato le prospettive, ed hanno solo appesantito il tessuto burocratico senza aggiungere alcun valore. Con le Regioni si è affermato quello che Isaia Sales ha chiamato il populismo territoriale.

    L’intero impianto del regionalismo, dati di fatti alla mano, sta franando per manifesta incapacità di sostenere lo sviluppo economico dei territori. La Calabria è diventata una nuova questione meridionale nella questione meridionale. In qualche modo ne è il cuore dolente, con il 90% del territorio costituito da montagne e colline, nonostante un apparato costiero che si estende per 800 chilometri e pesa il 10% del totale nazionale.

    Differenze tra istituzioni

    In questi vent’anni le politiche regionali, sia pur di segno apparentemente diverso per appartenenza politica, hanno solo contribuito ad accompagnare il declino della Calabria. Nella sanità la Regione ha accumulato un debito di oltre un miliardo di euro. E spende ogni anno circa 320 milioni di euro per rimborsare i costi del turismo sanitario dei calabresi che, non trovando risposta di servizio sul loro territorio, si recano in altre regioni.

    Gianni Speranza
    Gianni Speranza

    Non tutte le istituzioni esprimono lo stesso grado di disarmante inerzia. Mentre la Regione Calabria è rimasta sospesa a mezz’aria sospesa nel nulla, Gianni Speranza, sindaco di Lametia tra il 2005 ed il 2015, ha costruito – in soli dieci anni e senza una solida maggioranza consiliare a supportarlo – 50 km di fognature, 35 di illuminazione pubblica, marciapiedi, parchi pubblici, rotatorie, impianti sportivi, un lungomare.

    Un patto da riscrivere

    Insomma, contano le istituzioni, ma anche le persone. Per altro verso, nell’intero Mezzogiorno contiamo oggi 240 comuni commissariati per collusioni degli amministratori con organizzazioni criminali. Si tratta di una popolazione complessiva di 5 milioni di cittadini italiani e meridionali che si trovano sotto scacco della peggiore arretratezza, in una situazione evidentemente intollerabile. Sono tutti segnali che ci dicono chiaramente che il patto tra cittadini, istituzioni e territori va riscritto con estrema urgenza. A cominciare dalla Calabria, dove nemmeno l’alternanza tra maggioranze politiche con matrici opposte sortisce alcun effetto.

  • Ue e Calabria, il balletto della spesa certificata

    Ue e Calabria, il balletto della spesa certificata

    Le ultime parole famose le avevano pronunciate l’allora presidente f.f Nino Spirlì e il dg del Dipartimento Programmazione comunitaria della Regione, Maurizio Nicolai. Era il 4 agosto 2021 e i due annunciarono urbi et orbi il raggiungimento di un obiettivo epocale: la Calabria aveva certificato all’Ue una spesa dei fondi comunitari da record. Il traguardo erano 861 milioni di euro entro il 31 dicembre di quest’anno e la Cittadella era arrivata addirittura a 915 già a metà estate.

    Numeri e reputazione

    Decine di milioni in più che, dichiararono i due, avrebbero fruttato un sostanzioso premio: 82 milioni extra in arrivo da Bruxelles, tutti per noi. Niccolai, stando alle cronache di quei giorni, sembrava quasi commosso. «Ci siamo messi – le sue parole in conferenza stampa – all’interno di un circuito virtuoso di credibilità istituzionale. Questo è importante. Ci tengo a ricordare quando la presidente Santelli mi disse “non mi interessano i numeri ma la reputazione”. […] Tra l’altro parliamo di spesa certificata, perché quella effettiva è anche di più».

    Quarantacinque milioni in meno

    Chi, al contrario della defunta governatrice, è interessato anche ai numeri sarà rimasto stupito da uno degli ultimi comunicati diffusi dalla stessa Regione qualche ora fa. Nell’annunciare trionfalmente pagamenti per circa 11,5 milioni destinati al mondo dell’agricoltura, gli uffici della Cittadella e l’assessore Gallo hanno spiegato che grazie ad essi «la spesa certificata sale a 870.313.520 euro». Ossia 45 milioni in meno dei 915 dati per certificati quattro mesi e mezzo prima.

    Certo, sono comunque più dei fatidici 861 previsti inizialmente dall’Ue. Ma, visto il precedente estivo, è quantomeno bizzarro vederli definire «un ulteriore, importante passo avanti sul sentiero della spesa, rapida e qualificata, dei fondi europei».
    La reputazione – buona o cattiva? – magari sarà anche salva, la credibilità istituzionale forse un po’ meno.

  • L’attimo fuggente di Ordine: «Libri e buoni prof ti cambiano la vita»

    L’attimo fuggente di Ordine: «Libri e buoni prof ti cambiano la vita»

    «Questi dati disastrosi sulla lettura e sulla fruizione delle attività culturali sono direttamente proporzionali agli scarsi investimenti, in Calabria e nel Sud in generale, dedicati alla cultura e all’istruzione. Come si possono stimolare i giovani a leggere in una regione dove in molti paesi non esistono librerie, biblioteche, teatri e perfino edicole?». A parlare è Nuccio Ordine, professore ordinario di Letteratura italiana all’Università della Calabria. Il suo è il punto di vista di chi dalla nostra terra – dove è nato, vive ed opera – gira il mondo per far capire, soprattutto ai giovani, il valore della lettura.

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    L’Università della Calabria
    Una regione che non legge

    Nelle scorse settimane su I Calabresi abbiamo parlato del grande balzo in avanti del libro, che si vende sempre più. Anche le librerie fisiche resistono, mantenendo la maggiore fetta di mercato rispetto ai siti di e-commerce. Eppure da queste parti in media, secondo Istat, si leggono poco o nulla giornali e libri. Librai, scrittori ed editori ci hanno detto che occorre partire dalle scuole, investire in politiche che favoriscano la lettura di qualità, non limitarsi ai dati nazionali sulla crescita del mercato editoriale. E un faro in Calabria andrebbe puntato anche sulla quota di studenti della scuola secondaria di secondo grado che non raggiungono un livello sufficiente di linguaggio (e competenze numeriche).

    «Dopo trent’anni di insegnamento a studenti di primo anno – afferma Nuccio Ordine – posso affermare che si legge sempre meno e che la conoscenza dei classici è purtroppo in calo. Il fenomeno non riguarda solo gli iscritti all’Unical: in tutto il mondo l’educazione globalizzata punta alla “professionalizzazione” e non alla formazione di una cultura generale». Ma a chi attribuire la responsabilità di questo fenomeno? Secondo Ordine, non a quelli che spesso finiscono sul banco degli imputati.

    «La colpa – spiega – non è degli allievi o dei professori della secondaria. È un approccio “pragmatico” che riduce spazio alle discipline umanistiche in generale per privilegiare la tecnologia e i suoi derivati. La soglia dell’attenzione si abbassa sempre più. I giovani, educati allo zapping, dopo pochi minuti hanno bisogno di cambiare canale. Ma quando incontrano bravi professori si rendono disponibili all’ascolto. Chiedono valori e possono lasciarsi infiammare da una poesia o un romanzo…».

    Leggere per capire se stessi e il mondo

    Ordine, 63 anni, dirige collane di classici in diversi Paesi e gode di grande fama internazionale, con riconoscimenti e numerose lauree honoris causa anche per la difesa del ruolo del professore (la buona scuola non la fanno i computer, è un suo slogan). Il suo bestseller L’utilità dell’inutile è stato tradotto in 22 lingue. Di una cosa è certo: bisogna far comprendere anche agli studenti che non si legge per superare un esame, ma per cercare di capire se stessi e il mondo circostante.

    Il professor Nuccio Ordine riceve un dottorato honoris causa dall'Université catholique de Louvain
    Il professor Nuccio Ordine riceve un dottorato honoris causa dall’Université catholique de Louvain

    «In un contesto globale – dice – dominato dai tagli alla scuola, all’università e a tutto ciò che ormai, nella propaganda utilitaristica mondiale, viene stimato inutile perché non produce un profitto immediatamente monetizzabile, letteratura, musica, arte, filosofia, ricerca scientifica di base vengono considerate lussi che lo Stato non può più permettersi. Le ricerche in questo settore parlano chiaro invece: più si investe in cultura e in istruzione, più l’interesse per la lettura cresce».

    I ritorni economici

    Già, gli investimenti. L’ultima rilevazione Eurostat su quelli per la ricerca e lo sviluppo in rapporto al Pil evidenzia come l’Italia non raggiunga la media europea. E la Calabria, come abbiamo raccontato su queste pagine, è ancora più indietro. «Non finanziare la ricerca di base, quella di lunga durata che nella storia dell’umanità ha dato grandi risultati, è frutto di una logica in cui si pensa che dare soldi ad una biblioteca, un archivio, museo, laboratorio sia sprecare soldi perché non hai un ritorno economico. È sbagliato».

    E quando gli chiediamo un esempio che confermi quanto sostiene, Ordine ne tira fuori uno illustre quanto poco noto ai più: lo stato del Kerala in India. «L’economista Amartya Sen, premio Nobel, ha riconosciuto nell’idea del governo di investire qui soprattutto nella sanità e nell’istruzione un fattore fondamentale nella crescita dello stesso Kerala in termini di redditi pro capite».

    Amartya Kumar Sen, Premio Nobel per l'economia nel 1998
    Amartya Kumar Sen, Premio Nobel per l’economia nel 1998

    Secondo Nuccio Ordine, «dedicarsi ad una lettura di un libro, alla visita di un museo o alla visione di un concerto è considerato improduttivo nella nostra società». Ma non si deve investire solo in cosa dà profitto o studiare per imparare un mestiere. «Uno dei punti deboli della nostra società – dice – è che il tasso etico delle professioni si sta abbassando in maniera vorticosa. Si sceglie un mestiere nell’ottica del mercato: per il guadagno, non per passione. È sbagliato applicare la logica dell’azienda allo studio e alla cultura. Tagliare il greco o la storia significa non avere più conoscitori di queste materie. La memoria ha giocato sempre un ruolo fondamentale: nell’Olimpo greco la dea della memoria, Mnemosine, è la mamma di tutti i saperi».

    La ricchezza dell’umanità

    Leggere, conoscere il passato, aiuta a costruire una società migliore per il presente e il futuro. Non tutti però se ne rendono conto, anzi. «Pensiamo alla Calabria. Sono calabrese – dice ancora il docente Unical – e fiero che nella mia cultura ci siano origini magnogreche, romane, normanne, bizantine, arabe, e poi spagnole e francesi. Ritengo che la pluralità delle religioni e delle culture, e più in generale la convivenza tra popoli diversi, non siano un ostacolo ma rappresentino la ricchezza dell’umanità. Contro una certa visione identitaria e pseudo-patriottistica giocano un ruolo molto importante la letteratura, la musica e tutti i saperi in generale».

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    Un gommone carico di migranti nel Mediterraneo

    L’attualità però racconta quanto l’intolleranza resti un problema, come risolverlo? «Purtroppo si tende a mettere i poveri (che hanno pagato le crisi economiche) contro i nuovi poveri (chi viene a cercare una dignità umana). Far credere che i migranti siano la causa della crisi economica è una delle cose più immorali e disoneste che possano esistere. Dovremmo insegnare ai nostri giovani: dovete essere fieri delle vostre origini, ma nello stesso tempo dovete imparare a valicare i confini della terra natale. Ulisse ce lo insegna: siamo fatti non per vivere come bruti ma per seguire “virtute e canoscenza” come dice Dante».

    Il riscatto nei libri

    In un mondo sempre più globalizzato, però, gli scenari tendono a riproporre dei modelli standardizzati. Nelle aree più ricche – dove ci sono più stimoli culturali e si investe di più – la media dei lettori è sempre più alta, come indicato dall’ultima rilevazione Istat sul benessere equo e solidale. «Per esperienza personale e quindi senza alcuna pretesa di offrire dati certi, ho potuto verificare che la qualità può trovare punte molte alte soprattutto nelle aree svantaggiate».

    Il sapere può quindi liberare dalle catene del sottosviluppo una terra come la nostra? Ordine non ha dubbi a riguardo. «In Sudamerica o in Calabria, per esempio, ho trovato ragazzi pieni di passione e di entusiasmo, animati da una voglia di conoscenza e di riscatto. Si tratta di “punte” che percepiscono lo studio e il sapere come una grande occasione per cambiare la loro vita. Per questo la scuola ha bisogno di buoni professori: per stimolare i giovani all’amore per la conoscenza. Ma oggi, purtroppo, si spendono miliardi per la tecnologia, mentre si disprezza la professione dell’insegnante (mal pagato e frustrato). Abbiamo dimenticato che solo i buoni professori possono aiutare gli studenti a cambiare la loro vita».

    Un centro unico al mondo

    Nuccio Ordine è anche presidente del Centro internazionale di studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani. Dal 2015 ha sede nel palazzo Caselli a Cosenza, in virtù di una convenzione con il Comune. La biblioteca ha ricevuto un finanziamento con i fondi Cis stanziati per il centro storico bruzio, attraverso il segretariato regionale del ministero della Cultura. «Cosa possiamo fare in Calabria, un po’ periferia della periferia? Con un gruppo di studiosi del Rinascimento abbiamo pensato che fosse necessario dar vita a una biblioteca specialistica dedicata ai tre grandi filosofi meridionali che hanno condizionato il dibattito europeo sulla natura e sulla cosmologia. Due sono calabresi, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio, e l’altro campano, Giordano Bruno».

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    La statua del filosofo Bernardino Telesio a Cosenza in piazza XV Marzo

    L’iniziativa, pur nobile, è stata accolta da qualche polemica negli anni. Secondo qualcuno, manco a dirlo, i soldi per il centro Telesiano si potevano impiegare per qualcosa di più utile a contrastare l’abbandono della città vecchia. Ma Ordine non ci sta e rivendica il valore del progetto: «La nostra idea – spiega – è di comprare in riproduzione digitale tutte le opere originali dei tre filosofi. E poi comprare tutta la bibliografia secondaria (saggi, articoli, traduzioni) di Telesio, Bruno e Campanella sparsa nelle biblioteche di tutto il mondo e in tutte le lingue. Così da averla in unico luogo, qui a Cosenza. Il segretariato regionale del ministero ha apprezzato il progetto e lo ha fatto suo. Potremo portare a termine la biblioteca. Quando avremo tutto pronto, potremo finanziare borse di studio, ospitare dottorandi, far venire qui studenti da Harvard o da Oxford. In nessuna città del mondo troveranno ciò che abbiamo qui a Cosenza».

    Il professor Nuccio Ordine si è spento oggi, 10 giugno 2023, all’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza dove era ricoverato da alcuni giorni. Aveva rilasciato questa intervista al nostro giornale a dicembre del 2021.