Categoria: Fatti

  • Acqua pubblica in Calabria? L’ultima parola spetta a una banca in Irlanda

    Acqua pubblica in Calabria? L’ultima parola spetta a una banca in Irlanda

    Si tratta di due situazioni molto diverse tra loro, ma Sacal e Sorical in comune hanno anche alcune cose non proprio marginali. Innanzitutto gestiscono, in regime di sostanziale monopolio, gli aeroporti e gli acquedotti della regione, due settori cruciali che stanno attraversando percorsi piuttosto sofferti di riassetto societario. In queste società miste i rapporti tra pubblico e privato sono, per così dire, mutevoli e altalenanti. E vi ruotano attorno delle situazioni tutte da chiarire di cui, probabilmente, i calabresi sanno ben poco.

    L’altro fattore che accomuna Sacal e Sorical sono le «gravi incurie» e i «disordini» che dal punto di vista contabile si sono «stratificati negli anni». Lo ha certificato la Corte dei conti concludendo che le «gravi irregolarità» che riguardano queste realtà, al pari di Ferrovie della Calabria e Corap, «recano nocumento alla gestione del bilancio regionale, sia in termini di maggiori oneri, alimentando contenzioso e ingenerando debiti fuori bilancio, e sia sotto il profilo dell’attendibilità e veridicità del bilancio».

    Sacal e Sorical, le differenze

    Detto questo, vanno chiarite anche le differenze. Sorical, che dal 2004 gestisce l’acqua calabrese con una convenzione trentennale per cui paga 500mila euro all’anno, è al 53,5% della Regione e al 46,5% dei privati (Acque di Calabria s.p.a., controllata al 100% alla multinazionale Veolia). Sacal è subentrata nel 1990 al Consaer (consorzio costituito nel 1965 per la realizzazione e la gestione dell’aeroporto di Lamezia Terme) e nel 2009 ha avuto in concessione per 40 anni lo scalo lametino, a cui nel 2017 si sono aggiunti anche quelli di Reggio e Crotone, reduci dai fallimenti delle rispettive società di gestione. Ma soprattutto nei mesi scorsi è passata sotto il controllo dei privati.

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    Un aereo sulla pista dell’aeroporto di Lamezia

    A inizio agosto avevamo banalmente osservato come la linea di demarcazione fosse già sottile: erano 13.666 le azioni di Sacal in mano a enti pubblici – Comuni, Regione, Province e Camere di commercio – e 13.259 quelle dei privati. Dopo la vittoria alle elezioni, Roberto Occhiuto si è però accorto che i pesi sulla bilancia erano cambiati e, sotto la guida di un supermanager nominato da Jole Santelli e vicino alla Lega, un gruppo imprenditoriale (la “Lamezia Sviluppo” della famiglia Caruso) aveva acquisito la maggioranza delle quote nel silenzio generale.

    Tempo scaduto, ma tutto ancora ai privati

    Ciò che è avvenuto dopo è noto: l’Enac ha avviato una procedura che potrebbe portare alla revoca della concessione e al commissariamento degli aeroporti. Per scongiurarlo la Regione ha dato mandato a Fincalabra di acquisire il pacchetto azionario facendo tornare pubblica la maggioranza. Ma qui sta il problema, perché non sembra che questo passaggio sia così semplice come qualcuno pensava. Il tempo che l’Enac aveva concesso è già scaduto da oltre un mese, ma la ripubblicizzazione della società aeroportuale ancora non c’è stata.

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    Occhiuto vota per il Presidente della Repubblica

    Nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica lo stesso Occhiuto assicurava – intervistato da CalNews, Calabria News 24 e Calabria Diretta News – di essere impegnato anche da Roma nei negoziati «con eventuali soci privati di Sacal e con i privati di Sorical». A distanza di pochi giorni, a margine della conferenza stampa sui suoi primi 100 giorni, riguardo a Sacal ha parlato di una trattativa «estenuante».

    L’ultimatum di Occhiuto

    La sostanza dell’impasse sugli aeroporti è ovviamente legata ai soldi: i privati si dicevano disponibili, con una lettera resa pubblica dallo staff del presidente della Regione, a cedere tutto il loro pacchetto senza sovrapprezzo al valore nominale di poco meno di 12,5 milioni di euro (foto lettera). Occhiuto invece ritiene che il valore reale, alla luce della crisi e della procedura Enac, sia molto minore e non vuole far scucire alla Regione tutti quei soldi.

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    La lettera dei privati che hanno acquisito la maggioranza di Sacal a Roberto Occhiuto

    Come se ne esce? Dalla Cittadella è partito un ultimatum: se entro 10 giorni non si sblocca la trattativa mandiamo tutto a monte e facciamo nascere una nuova società che assumerà tutto il personale Sacal. La cosa non sarebbe indolore perché passerebbe attraverso la revoca della concessione da parte di Enac. Intanto i lavoratori stagionali, già precari da anni, restano a casa, e i 152 dipendenti (71 operai, 70 impiegati e 11 quadri) vanno verso la cassa integrazione con una prospettiva che, complice il crollo del traffico aereo durante la pandemia, non è per niente rosea.

    Sorical: 595mila euro di utili, 188 milioni di debiti

    In Sorical, che nel frattempo ha dovuto fronteggiare la grave crisi idrica dell’Epifania, l’assetto societario è molto meno ingarbugliato: attualmente la Regione ha 7.169.000 azioni e Acque di Calabria 6.231.000. La società è in liquidazione ormai da 10 anni, il Bilancio 2020 ha fatto registrare un utile di 595mila euro – in aumento rispetto all’esercizio precedente – ma i debiti ammontano a 188 milioni di euro. Per l’acqua al momento però non c’è alcuna possibilità che i privati passino in maggioranza, anzi: Veolia da tempo non nasconde di volersi liberare e la Regione ha detto chiaramente di puntare ad acquisire le sue quote.

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    L’acquedotto Abatemarco (dal sito Sorical)

    Una delibera di Giunta regionale di maggio del 2021 aveva dato questo indirizzo ed era stata commentata con entusiasmo dall’asse leghista che (allora) governava la Regione con Nino Spirlì e (ancora oggi) Sorical con Cataldo Calabretta. Quell’annuncio però tra poco compirà un anno e non sembra, al di là delle dichiarazioni di facciata, che siano stati fatti dei decisivi passi in avanti. Tanto che, per non perdere alcuni fondi destinati all’ammodernamento degli acquedotti, nel frattempo è stata creata, su impulso dell’Aic (l’Autorità di governo d’ambito in cui sono rappresentati i Comuni), un’Azienda speciale consortile che si dovrà occupare della fornitura d’acqua al dettaglio, mentre a Sorical resterà l’ingrosso.

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    Spirlì e Calabretta

    La multiutility e quella banca irlandese…

    Si tratta di una soluzione provvisoria perché Occhiuto vuole arrivare a un’unica «multiutility» che gestisca tutto: fornitura idropotabile, depurazione e riscossione delle bollette. E proprio nei giorni scorsi il suo capo di gabinetto, incontrando i sindacati, ha dichiarato l’impegno della Regione a sottoscrivere un protocollo d’intesa per cui, «laddove si dovesse verificare l’acquisizione e la pubblicizzazione della Sorical», l’attuale personale della società passerà in toto alla nuova «multiutility» con le stesse condizioni contrattuali. I dipendenti sono 266 (125 amministrativi, 127 operai, 12 funzionari, 1 “atipico” e 1 dirigente) e, in termini di costo del personale, secondo la Corte dei conti Sorical è passata da 13,9 milioni nel 2017 a 15,6 nel 2020. Con un aumento che alla magistratura contabile appare «anormalmente elevato», considerato che un reale incremento di unità si è avuto solo fra gli operai.

    Ma per realizzare il progetto di Occhiuto, e dunque arrivare al gestore unico previsto dalla legge, c’è di mezzo un altro ostacolo, evidentemente ancora da superare: Sorical può diventare totalmente pubblica solo se si “convince” una banca con sede in Irlanda, la Depfa, con cui la società ha debiti per circa 85 milioni di euro. Nel 2008 Sorical ha stipulato con questo istituto un contratto derivato beneficiando di un project financing, così Depfa Bank oggi è il suo principale creditore e ha il pegno su crediti e conti correnti. Dunque è con la banca nel caso di Sorical, e con la “Lamezia Sviluppo” nel caso di Sacal, che si deve fare letteralmente i conti per far tornare questi settori, di enorme interesse collettivo, sotto il controllo pubblico. Ma come si può immaginare né le banche né gli imprenditori privati fanno quello che fanno per beneficienza.

  • “Opera” di Tresoldi come la torre di Pisa: l’ironia del web travolge le colonne

    “Opera” di Tresoldi come la torre di Pisa: l’ironia del web travolge le colonne

    Dovevano essere un’attrazione culturale e caratteristica. Qualcosa di “Instagrammabile” anche per chi viene da fuori. Stanno diventando l’emblema della vocazione turistica che fallisce miseramente per Reggio Calabria e il suo hinterland. Sono le colonne che rappresentano “Opera”, dell’artista Edoardo Tresoldi. Oggetto di arrampicata da parte dei topi in estate. E quasi divelte dal vento, nella stagione invernale.

    L’Opera di Tresoldi (ma da 950mila euro)

    Eppure l’installazione artistica, inaugurata due anni fa sul lungomare Italo Falcomatà di Reggio Calabria, era stata presentata in pompa magna. Non senza polemiche, dato che le 46 colonne commissionate dal Comune e incastonate all’interno di un’area verde panoramica a pochi metri dal mare dello Stretto, erano costate ben 950mila euro.

    “Opera è un monumento alla contemplazione attraverso cui il luogo definisce ulteriormente se stesso” si legge sul sito ufficiale dell’artista Tresoldi. Che attraverso la rete metallica e lo studio della trasparenza ha voluto esaltare la bellezza dello Stretto, con il colonnato permanente.

    L’arrampicata dei topi

    Un’idea di marketing territoriale, che per un po’ ha anche funzionato. Proprio tra quelle colonne in fil di ferro, infatti, è girata una parte del videoclip “Kiss me again”, realizzato dal celebre musicista Giovanni Allevi a Reggio Calabria.

    Ma la magia sembra essere svanita ben presto. Quest’estate, infatti, sono diventate virali le immagini che immortalavano un topo arrampicarsi lungo l’installazione artistica. Polemiche social e politiche, per attaccare l’allora Amministrazione comunale del sindaco oggi sospeso Giuseppe Falcomatà sullo stato di degrado del centro cittadino. E sull’incuria con cui viene conservato il patrimonio artistico.

    Le colonne piegate

    Qualcuno ha parlato di “colonna infame” di manzoniana memoria. Le forti raffiche di vento che negli ultimi giorni hanno interessato la città hanno infatti danneggiato l’installazione. Non repentinamente, ma per giorni e, inizialmente, nel disinteresse generale.

    Almeno due delle 46 colonne ideate da Tresoldi, infatti, hanno iniziato ad ondeggiare. Infine, il cedimento strutturale che ha spinto l’Amministrazione Comunale a chiudere tutta l’area interessata per motivi di sicurezza. Quell’area, che doveva essere un fiore all’occhiello panoramico, ora è transennata.

    La posizione ufficiale del Comune

    Attraverso una dichiarazione ufficiale diramata dal sindaco facente funzioni Paolo Brunetti, il Comune di Reggio Calabria precisa di aver comunicato all’artista le criticità emerse sul complesso monumentale. Lo stesso staff tecnico di Tresoldi – sempre a detta dell’amministrazione comunale – avrebbe già visionato le parti danneggiate.

    «È stato inoltre programmato l’avvio dell’intervento di revisione dell’intera struttura e contestuale verifica delle cause che hanno determinato la problematica», dicono ancora da Palazzo San Giorgio.

    L’ironia sul web

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    Lo striscione affisso dal Nuovo Fronte Politico

    Ovviamente, tutto ciò ha causato anche polemiche politiche. Il movimento di destra Nuovo Fronte Politico ha anche affisso uno striscione – “Via col vento” – nei pressi dell’installazione. Eterna disputa tra chi definisce uno spreco i soldi spesi dal Comune per “Opera”. E chi giustifica il danneggiamento, portando ad esempio i danni causati dal vento anche in altre città d’Italia.

    Ma, più interessante, appare l’ironia social, che ha scatenato le pagine satiriche maggiormente seguite. I paragoni con la Torre di Pisa (e non solo) si sono sprecati. A sbizzarrirsi un po’ tutti: da “Lo Statale Jonico” al “Reggino Imbruttito”.
    Insomma, da installazione “instagrammabile” a meme ironico il passo è stato tragicomicamente breve.

     

  • Una poltrona per quattro: Catanzaro, dove la politica è sottosopra

    Una poltrona per quattro: Catanzaro, dove la politica è sottosopra

    Avviso ai lettori: abbandonate ogni categoria politica nota e armatevi di santa pazienza, unico modo per capire questa storia.
    Se vi è capitato di vedere Stranger things, la fortunata serie di Netflix, beh, potreste essere avvantaggiati, perché anche qui si racconta di un mondo parallelo, di un Sottosopra che inquieta, di una città in cui tutto è deformato.
    Succedono strane cose nella Catanzaro che si appresta al voto.

    Catanzaro sottosopra

    Proviamo a sintetizzare, ma attenti, perché il rischio che vi giri la testa è davvero alto.
    Via: il Pd, in accordo con il M5S, vorrebbe candidare a sindaco di Catanzaro un professore che non ha tessere in tasca, mentre un altro professore, lui sì iscritto al partito di Letta, propone un esperimento civico che però è ben visto dal centrodestra e, soprattutto, dalla destra-destra di Fratelli d’Italia, il tutto mentre la Lega spinge per un esponente dell’Udc, partito che, a sua volta, vorrebbe il prof di cui sopra – no, non il primo, il secondo – a guidare la coalizione, quando nel frattempo Coraggio Italia preme per un rappresentante di Forza Italia, a cui tuttavia non va proprio giù la discesa in campo di un avvocato che, pochi mesi fa, figurava nella lista ufficiale dei berlusconiani per il Consiglio regionale.
    Se non ci avete capito nulla, non è un problema vostro. Le realtà parallele spesso sono incomprensibili; a volte, come in questo caso, maledettamente trasversali.
    Nel Sottosopra nessuno ci capisce niente, nemmeno quelli che dovrebbero governarlo.

    Tafazzismo di sinistra

    Quel che tutti possono capire, anche senza conoscere la saga fantascientifica americana, è che, al momento, i candidati a sindaco sono quattro. Uno, Antonello Talerico, è presidente dell’Ordine provinciale degli avvocati ed è riconducibile al centrodestra; gli altri tre hanno radici ideologiche o politiche nel centrosinistra: l’avvocato di estrazione socialista Aldo Casalinuovo, il professore di Diritto privato all’Università di Catanzaro Valerio Donato e il docente di Diritto canonico all’Unical Nicola Fiorita.

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    Nicola Fiorita

    Proprio quest’ultimo, già candidato a sindaco, con buoni risultati, alle scorse Comunali (23%), è il nome prediletto del “Nuovo centrosinistra”, coalizione di cui, oltre a sigle più piccole, fanno parte anche Pd e M5S. Fiorita, insomma, è il collante locale di un’alleanza, quella giallorossa, che Letta e Conte (almeno prima della decadenza decisa dal Tribunale di Napoli) vorrebbero replicare in tutte e quattro le città al voto la prossima primavera.
    Fin qui il fatto che Fiorita non sia un iscritto del Pd non provoca problemi. Il punto è che la sua candidatura risulta indebolita proprio da un esponente di peso del Pd di Catanzaro, quel Donato che ha già ufficializzato la sua volontà di diventare sindaco alla testa di una coalizione civica («non voglio essere un uomo di parte, il periodo attuale richiede un governo di salute pubblica»).

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    Valerio Donato

    Si dirà: è lo storico tafazzismo di una sinistra che si spacca favorendo la destra. Però la faccenda è più complicata di così, e per comprendere meglio il contesto bisogna mettere in conto l’endemico trasversalismo della politica catanzarese.
    In un modo che potrebbe risultare paradossale – ma solo a chi non conosce certe dinamiche locali – il nome di Donato è infatti saltato fuori durante il vertice del centrodestra andato in scena la scorsa settimana.

    Il caos nel centrodestra

    Sala Giunta della Provincia. Al tavolo sono presenti quasi tutti i ras del centrodestra locale e regionale. La discussione parte da un accordo raggiunto nei mesi precedenti: Fi ha già scelto i candidati a Cosenza, Vibo e Crotone, la Lega a Reggio, quindi la designazione per Catanzaro tocca a Fratelli d’Italia.
    Del resto, raccontano diversi osservatori, nei mesi scorsi – e almeno fino a un certo momento – la commissaria regionale Wanda Ferro aveva rivendicato per sé il ruolo di kingmaker della coalizione e, quindi, la facoltà di scegliere il profilo da proporre gli alleati.

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    Wanda Ferro

    Solo che, nell’interpartitica, la deputata meloniana inizialmente non avanza alcun nome, ma anzi la tira in lungo dicendo che «sarebbe auspicabile» un «candidato unitario», dal momento che finora «le prove muscolari hanno avuto esiti negativi per tutta la coalizione». La kingmaker dei tre colli, però, a un certo punto della riunione di nomi ne fa due, Rocco Mazza e Caterina Salerno. Non scaldano i cuori, ma la mossa è ben studiata, a parere degli analisti più attenti. Lo vedremo tra poco.

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    Filippo Mancuso

    Anche gli altri big fanno proposte, di quelle che ben si adattano al Sottosopra catanzarese. Il leghista Filippo Mancuso non va a sponsorizzare il nome di Baldo Esposito, formalmente esponente dell’Udc, con cui si è candidato alle ultime Regionali? Quanto al sindaco uscente, Sergio Abramo, fa pure lui la sua strana scelta: Marco Polimeni, esponente di Forza Italia. Tutto bene, se non fosse che lo stesso Abramo, giusto pochi mesi fa, ha abbandonato il partito di Berlusconi per entrare in quello di Toti e Brugnaro (forse per aumentare le sue chance di entrare a far parte della Giunta regionale di Roberto Occhiuto, che poi ha deciso diversamente).

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    Sergio Abramo

    Quindi Coraggio Italia sostiene Polimeni, che tuttavia è inviso a una parte del suo stesso partito. Tant’è che il responsabile provinciale di Fi, Mimmo Tallini, si fa portavoce della necessità di avviare una interlocuzione con Talerico, pochi mesi fa candidato al Consiglio regionale proprio sotto le insegne azzurre.
    Quindi Fi appoggia Talerico? Macché: il capo dei berlusconiani in Calabria, Giuseppe Mangialavori, stoppa le velleità dell’avvocato in quanto responsabile di una «fuga in avanti» che avrebbe messo in difficoltà il suo stesso partito.

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    Giuseppe Mangialavori e Silvio Berlusconi

    Il colpo di teatro

    In questa confusione spaventosa (altro che il Demogorgone della serie tv), il coup de théâtre è di Giovanni Merante, presente al vertice in quota Udc. Uno pensa: c’è Esposito in ballo, il suo partito indicherà lui. Quando mai. Agli alleati viene proposto il nome di Donato. Proprio lui, il candidato civico con la tessera del Pd in tasca. «Il professor Donato – queste le parole che vengono attribuite a Merante – potrebbe essere disponibile a ragionare con noi…».

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    Giovanni Merante

    Brusio, mugugni pensosi, caos. Qualcuno chiede: «Con i simboli di partito o senza?». Risposta: «Accetterebbe anche i simboli». Altri brusii, altre riflessioni, poi si mette di traverso Tallini, infine anche Mancuso. «Ma come – questo il ragionamento di entrambi –, governiamo in Regione e in città e non riusciamo nemmeno ad avanzare un nome nostro?».

    Wanda e l’avvocato

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    Mimmo Tallini

    Alle comprensibili obiezioni di Tallini e Mancuso, tuttavia, non si sarebbe aggiunta quella di Ferro, la kingmaker che dovrebbe avere l’ultima parola.
    Un esperto di (strane) cose catanzaresi spiega tutto così: «Non dimentichiamo che Donato è stato il legale di Wanda per il ricorso davanti alla Consulta che le ha permesso di rientrare in Consiglio regionale quando era ormai fuori dai giochi. Lei, da capo di Fdi in Calabria, non può proporre Donato perché perderebbe la faccia. Ma se si mette a fare nomi alternativi e credibili si inimica un amico a cui deve tanto. Quindi potrebbe aver deciso di favorire Donato in modo indiretto…».
    E il pensiero corre di nuovo a Merante e alla sua proposta choc, ma poi mica tanto. Lo abbiamo capito che nel sottosopra è tutto un po’ incasinato. E ora basta, ché la testa gira forte.

  • I padri so’ piezz’e core: dopo Pina, anche Luigi Incarnato nella squadra di Caruso

    I padri so’ piezz’e core: dopo Pina, anche Luigi Incarnato nella squadra di Caruso

    I padri so’ piezz’e core. Da Palazzo dei Bruzi arriva la nuova versione della celebre canzone di Mario Merola sui figli, protagonista un volto noto della politica locale: il socialista Luigi “Gigino” Incarnato. Tra i grandi sostenitori del vincitore delle ultime Amministrative, Franz Caruso, Incarnato aveva già messo piede nel Comune di Cosenza per interposta persona: sua figlia Giuseppina, eletta nella lista del Psi, è infatti uno degli assessori dell’attuale Giunta. Ora però anche suo padre avrà ufficialmente un ruolo nella nuova amministrazione di centrosinistra. Come riportato da Antonio Clausi sulle pagine di Cosenzachannel, Incarnato senior ha infatti ottenuto un incarico di collaborazione dal sindaco.

    Due Incarnato al fianco di Caruso

    Si occuperà, questa la formula, dell’espletamento di attività di supporto alla realizzazione delle linee programmatiche di governo. In estrema sintesi, farà il capo gabinetto, ruolo che il dissesto targato Mario Occhiuto ha lasciato giocoforza scoperto. Proprio le disastrate finanze municipali imporranno l’assenza di qualsiasi compenso per colui che i detrattori più maligni chiamano “Gigino ‘u gommista”. L’incarico per Incarnato sarà infatti a titolo gratuito (rimborsi esclusi), non per particolari ragioni etiche ma, più semplicemente, perché non potrebbe essere altrimenti. E, va detto, tra Franz e Gigino i rapporti sono ben più datati di quelli del primo con la figlia del secondo, vista la lunga comune militanza politica socialista.

    Un inedito

    Resta però la bizzarria di vedere il padre di un assessore fare da consulente a un altro membro – il più importante, tra l’altro – della Giunta. Non che nel passato in municipio parenti e amici degli amministratori non abbiano beneficiato dei loro rapporti (di sangue e non), ci mancherebbe. Ma quella di Luigi Incarnato nel suo genere, se la memoria non ci inganna, è una prima assoluta anche per Cosenza. D’altra parte i suoi successi come assessore regionale e commissario liquidatore della Sorical sono sotto gli occhi di tutti. E, visto che era libero, come rinunciare a un talento simile, per di più gratis?

     

  • Caos calmo nella gauche reggina: Falcomatà, i social e quel congresso… Irto d’ostacoli

    Caos calmo nella gauche reggina: Falcomatà, i social e quel congresso… Irto d’ostacoli

    Una condanna, ormai di circa tre mesi fa, che non ha sostanzialmente nulla sotto il profilo istituzionale. Un dibattito politico inesistente. L’ombra, tuttora alta, che le ultime elezioni comunali possano essere state viziate da brogli elettorali. Sfiducia dei cittadini crescente, con la conseguenza che persino un consiglio comunale aperto – espressione più alta della partecipazione – vada pressoché deserto, trasformandosi in una farsa. E il Pd che annaspa, nonostante il nuovo corso di Nicola Irto. Con il rischio dei “soliti noti” nei ruoli che contano.

    Tre mesi dopo

    Di tempi bui, Reggio Calabria ne ha vissuti tanti. Dalla guerra di ‘ndrangheta tra gli anni ’80 e ’90, quando a imporre il coprifuoco era la paura delle ‘ndrine e non le restrizioni per il Covid, agli anni del “Modello Reggio”, culminati con lo scioglimento del consiglio comunale per contiguità con la ‘ndrangheta.

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    L’ex presidente della Regione ed ex sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti

    Quello attuale, invece, è certamente uno dei periodi più apatici della storia recente di una città che, solitamente, si è sempre divisa un po’ su tutto. Reggio Calabria è passata dalla centralità regionale, avuta negli anni di Giuseppe Scopelliti, a un ruolo sempre più marginale. Ma come si può avere un’importanza esterna se non si riesce nemmeno a discutere internamente? Ormai il reggino medio sembra aver perso anche la voglia di alzare le barricate. E per una popolazione che di quelle del “Boia chi molla” ha fatto il proprio vessillo è preoccupante.

    Il sindaco Giuseppe Falcomatà, infatti, è stato condannato ormai circa tre mesi fa per il cosiddetto “Caso Miramare”. Una decisione di primo grado che ha portato all’automatica sospensione del primo cittadino, in forza della Legge Severino. Da quel giorno, però, nulla sembra essere cambiato. Falcomatà ha deciso di non dimettersi. Ha piazzato, poche ore prima di essere condannato, un anonimo assessore alla carica di facente funzioni. Quel Paolo Brunetti che, in due mesi e mezzo, ha tirato a campare.

    Dov’è la politica?

    «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia», diceva Giulio Andreotti. Può darsi. Ma nella sindacatura, seppur da facente funzioni, di Brunetti non si ricorda al momento un provvedimento simbolo. Anzi no, uno sì. La chiusura delle scuole per il riacutizzarsi della pandemia da Covid-19. Brunetti è stato l’unico sindaco di una grande città calabrese a optare per questa scelta. Né Catanzaro, né Cosenza e nemmeno le più piccole Vibo Valentia e Crotone o Lamezia Terme avevano preso questa decisione. Brunetti è andato in controtendenza. Forse anche perché “imboccato” da uno dei tanti post pubblicati su Facebook dal sindaco sospeso, Falcomatà, che quasi invocava la chiusura degli istituti. Il risultato è che, dopo pochi giorni, il Tar, investito della questione da alcuni genitori, ha dato torto all’Amministrazione Comunale di Reggio Calabria, disponendo la riapertura delle scuole. Con il Comune che non ha nemmeno impugnato il provvedimento.

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    Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio sospeso dopo la condanna per il caso “Miramare”

    Falcomatà ancora sindaco sui social

    L’impressione è che Brunetti sia lì a tentare di tener calda la poltrona di Falcomatà, in attesa che questi possa ritornare al proprio posto esaurita la sospensione. Il primo cittadino sospeso, peraltro, non ha quasi mai smesso di parlare da sindaco tramite i propri seguitissimi social. Ha visionato cantieri, ha, come detto, reso pubblica la propria posizione circa la gestione della pandemia. Recentemente ha anche stigmatizzato l’inciviltà di alcuni reggini che, continuamente, che insozzano il waterfront, una piazza o una scalinata. Ma, a proposito di decoro e civiltà, non ha inteso dimettersi dopo la condanna di primo grado. Né, ancor prima, per lo scandalo dei presunti brogli elettorali nel corso delle elezioni che lo hanno riconfermato primo cittadino.

    L’ombra dei brogli a Reggio Calabria

    Sì perché un po’ ovunque, tra il serio e il faceto, in città si parla della grave vicenda che ha portato Reggio Calabria sulle prime pagine di tutti i media nazionali. In riva allo Stretto, ha semplificato molta stampa, avrebbero “votato anche i morti”. Un’inchiesta ancora aperta. La Procura di Reggio Calabria non ha infatti ancora chiuso le indagini su quanto accaduto nel settembre 2020.
    Ma, al netto delle facili e ironiche narrazioni, da quanto fin qui emerso, sarebbe consolidato lo scenario di una macchina amministrativa che non solo non ha gli anticorpi per resistere a tali disfunzioni ma che, anzi, le avrebbe avallate. Eppure, a distanza di mesi dall’esplosione del caso, nulla è stato fatto.

    Il consiglio comunale aperto: una farsa

    Uno dei primi a sollevare la questione, fu il massmediologo Klaus Davi, da anni impegnato in città. Con la sua lista, Davi non entrò in consiglio comunale per una manciata di voti. E, fin da subito, segnalò una serie di presunte anomalie. Fu uno degli ultimi rantoli del dibattito politico cittadino. Poi, il nulla. Con la voglia dei cittadini di partecipare, di incidere sul processo democratico, ormai pari allo zero.

    Alcuni mesi fa un Comitato spontaneo – “Reggio non si broglia” – ha chiesto la celebrazione di un consiglio comunale aperto per discutere del caso. Una seduta che si è svolta, con ritardo siderale, solo alla fine del mese di gennaio. E che si è trasformata in una farsa. Appena 15 gli iscritti a parlare. E neanche un terzo a presentarsi effettivamente in aula. Un’occasione persa, in cui a intervenire sono stati (pochi) oppositori politici, con alcuni nostalgici dell’era Scopellitiana. E poi, la solita ridda di interventi – non troppo significativi – da parte dei consiglieri comunali.

    Il buco nero del consiglio comunale

    Proprio quell’aula che dovrebbe essere la massima espressione della democrazia cittadina è diventata, sostanzialmente, una mera passerella – neanche particolarmente interessante – per qualche istante di celebrità dei singoli consiglieri. Nel corso del consiglio comunale aperto, peraltro, la maggioranza ha bocciato la proposta dell’opposizione di istituire una commissione d’indagine sui brogli elettorali. Ma non è tutto.

    Proprio nelle ultime ore, i consiglieri comunali di centrodestra hanno denunciato lo stallo amministrativo in seno a Palazzo San Giorgio: «A tre mesi dalla condanna e successiva sospensione del sindaco Falcomatà e dei consiglieri comunali in carica, nessuna delle Commissioni consiliari permanenti è stata convocata nei tempi previsti dal regolamento e dallo statuto comunale per procedere alle surroghe e alle sostituzioni necessarie per garantire l’operatività», lamentano i gruppi consiliari di centrodestra. La convocazione dovrebbe avvenire entro 10 giorni dalla cessazione della carica in seguito alla sospensione. «L’impressione è che l’attuale maggioranza consideri le Commissioni consiliari permanenti solo come una concessione fatta alle opposizioni e non come un valido ed importante strumento di lavoro istituzionale»,  dicono ancora dal centrodestra.

    La Svolta?

    Dopo gli anni del “Modello Reggio” targato centrodestra e l’ignominia dello scioglimento per ‘ndrangheta e del successivo commissariamento, Falcomatà e il centrosinistra si erano proposti come l’antidoto per riportare la città a una situazione di normalità. Lo slogan dell’allora giovane candidato sindaco era “La Svolta”. Anche una delle liste a suo sostegno portava questo nome. Dopo otto anni di amministrazione ininterrotta, però, il centrosinistra e Falcomatà raccolgono i cocci.

    La città continua ad avere i problemi di sempre, se possibile anche riacutizzati: dall’emergenza rifiuti a quella idrica. Ma ciò che preoccupa maggiormente è l’assenza di un dibattito e di proposte culturali. Un vuoto, questo, figlio anche di quanto accaduto in questi anni. Non solo la condanna di primo grado del sindaco e di numerosi tra i suoi fedelissimi. Ma anche lo scandalo dei brogli, con l’arresto del consigliere comunale Antonino Castorina. Uomo forte del Pd fino al momento in cui finirà ai domiciliari. Castorina, infatti, non solo era capogruppo dei Democratici nel consiglio comunale, ma anche membro della Direzione Nazionale del Pd, con entrature molto importanti nella politica romana.

    Il Pd, Nicola Irto e i “soliti noti”

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    Nicola Irto, segretario regionale del Pd

    Già, il Pd. L’elezione, anzi, l’acclamazione del reggino Nicola Irto alla carica di segretario regionale del Partito Democratico aveva illuso qualcuno circa la possibilità di riportare la politica reggina al centro della scena. Ma il giovane ex presidente del Consiglio regionale ha probabilmente già imparato sulla propria pelle quanto possa essere lacerato il Pd reggino. Ancora in mano ai colonnelli di sempre: da Sebi Romeo al ripescato Nino De Gaetano.

    Per la scelta del segretario provinciale, infatti, si va di rinvio in rinvio. Con ogni capocorrente che prova a imporre la sua linea. Falcomatà sarebbe persino arrivato a proporre quel Giovanni Muraca condannato con lui nell’ambito del processo “Miramare”. Dal canto suo, Nicola Irto non riesce a venirne a capo e sembra essersi consegnato mani e piedi a un’altra vecchia conoscenza come Sebi Romeo, ras dei democrat fino al momento in cui verrà coinvolto in un’indagine per corruzione.

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    Sebi Romeo, ex capogruppo del Pd in consiglio regionale

    Nicola Irto e Sebi Romeo

    Proprio Sebi Romeo e Nicola Irto sarebbero i principali sponsor dell’avvocato Antonino Morabito, figlio dell’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, Pinone Morabito. Dovrebbe essere proprio lui il candidato unico per tentare di ritrovare unità. Una candidatura tirata fuori dal cilindro (Morabito non ha particolari esperienze di politica e partitiche) per arginare l’avanzata dell’ex consigliere regionale Giovanni Nucera, rientrato nel Pd dopo una lunga esperienza in Sel. Ma anche lui è invischiato in un’inchiesta sui rifiuti a Reggio Calabria.

  • Occhiuto non è Salvini: in Calabria ha pieni poteri

    Occhiuto non è Salvini: in Calabria ha pieni poteri

    A differenza di Salvini, lui non ha mai chiesto i «pieni poteri». Se li è presi, e basta.
    Se la tragicomica estate del Papeete ha rappresentato l’inizio di un lento declino per il leader della Lega – allora il politico più potente d’Italia –, per Roberto Occhiuto la vittoria dello scorso autunno ha rappresentato il punto più alto della sua parabola politica.
    Raggiunta la cima, il governatore calabrese non si è certo accontentato: ha voluto fortissimamente di più e, in un modo o nell’altro, ha avuto più di tutti i suoi predecessori. Così, oggi, la Calabria democratica è guidata, anzi, dominata, da un uomo buono per mille incarichi; un uomo super che dispone di poteri super. Una roba mai vista, prima d’ora.

    I super poteri di Roberto Occhiuto

    Occhiuto conquista i super poteri grazie a un Piano forse studiato da tempo. Subito dopo la vittoria elettorale su un centrosinistra malconcio e già votato alla sconfitta, non perde tempo e, facendo leva sui rapporti costruiti in vent’anni di attività parlamentare, riesce a ottenere dal Governo Draghi quella nomina che l’ex governatore Oliverio aveva desiderato per anni senza mai essere accontentato dal suo stesso partito, il Pd.
    Occhiuto è commissario della Sanità, il primo “eletto” dai calabresi dopo le parentesi dei quattro emissari governativi, tra cui tre ex ufficiali delle forze dell’ordine (Pezzi, Cotticelli e Longo). Il bilancio della Regione è unico e, finalmente, diventa unico anche il suo gestore, dal momento che, prima, i circa quattro miliardi destinati alla Sanità erano coordinati dai tecnici in uniforme.

    Gli emendamenti “amici”

    Ma ancora non basta. Il Parlamento, con un emendamento a firma dei senatori di Forza Italia (il partito del presidente), approva alcune modifiche al contestatissimo Decreto Calabria bis ed estende i già amplissimi poteri del commissario.
    Occhiuto conosce a menadito le dinamiche romane, ha ottimi addentellati nei ministeri e, soprattutto, sa cosa vuole. Infatti, ad accrescere il suo portfolio di incarichi ci pensa un altro emendamento, stavolta presentato dal deputato azzurro Ciccio Cannizzaro.

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    Roberto Occhiuto insieme a Ciccio Cannizzaro

    La norma finale, inserita nell’ultima legge di bilancio, realizza l’impensabile: riduce i poteri del mega-commissario nazionale per l’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, e accresce, ancora, quelli di Occhiuto, sotto la cui egida finisce la gestione dei 900 milioni di interventi di edilizia sanitaria previsti in Calabria.

    Il ruolo del Consiglio

    Mica è finita qui. Il governatore segue alla lettera il proprio Piano, in cui un ruolo preminente lo recita anche il Consiglio regionale. Il 15 dicembre, quando ancora a Palazzo Campanella non sono nemmeno insediate le commissioni – a cui spetta il compito di valutare legittimità e sostenibilità di tutte le leggi –, l’Aula approva il testo (presentato da Pierluigi Caputo, fedelissimo di Occhiuto) che istituisce l’“Azienda zero”.
    Si tratta di un «ente di governance», come lo ha definito lo stesso presidente, che ha l’obiettivo di «unificare e centralizzare» tutte le funzioni amministrative in capo alle cinque aziende territoriali. Chi controlla Azienda zero, insomma, controlla, davvero, tutta la sanità regionale. E chi è che sceglierà la guida del nuovo ente? Risposta facile facile.

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    Pierluigi Caputo e Roberto Occhiuto

    Indignazione, ma non troppa

    Non si registra una generale indignazione di fronte all’operazione “zero”. Prima del via libera alla legge, tra i pochi ad alzare la voce c’è la Cgil, secondo cui quello perpetrato da «Presidenza e Ufficio commissariale» – cioè dal solo Occhiuto – è un «colpo di mano» capace, peraltro, di aumentare di 700mila euro i costi a carico del Servizio sanitario regionale. Vox clamantis in deserto, come si è visto.
    A questi enormi poteri – ottenuti legittimamente e grazie alla non comune capacità di gestire i giochi parlamentari e i rapporti con i decisori governativi –, Occhiuto somma anche quello di sovrano assoluto di una Giunta nella quale almeno cinque componenti su sette non possiedono alcun peso politico o contrattuale, perché non eletti ma bensì nominati su indicazione dei vertici dei partiti alleati.

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    Roberto Occhiuto con sei dei suoi sette assessori

    La carriera di Roberto Occhiuto

    Quella di Occhiuto è, con tutta evidenza, una parabola incredibile. In particolar modo se si tiene conto del fatto che, prima del trionfo alla Regionali, la sua era stata una buona carriera politica, ma forse non così straordinaria da giustificare, in ultima istanza, una tale concentrazione di poteri.
    Consigliere comunale della Dc nel ’93, nel 2000 viene eletto nell’assemblea regionale calabrese nelle fila di Forza Italia. Nel 2002, qualcosa si rompe e Occhiuto lascia Berlusconi per aderire all’Udc.

    Pochi giorni fa, è stato lo stesso governatore, in un’intervista a Sette del Corriere della Sera, a spiegare i presunti motivi di questo addio: «Facevo il direttore generale di un network di tv locali. Un mio giornalista realizza una serie di inchieste sulla Forza Italia calabrese, guidata dall’allora senatore Antonio Gentile. E il partito deferisce me (…) Il collegio dei probiviri era guidato da un gentilissimo senatore pugliese, Mario Greco (…) chiamandomi da parte, mi disse: “Figlio mio, ma che resti a fare qua dentro, dove non ti vogliono? Vattene da un’altra parte, dentro Forza Italia ti faranno la guerra, non ti faranno fare più nulla”. Apprezzai e me ne andai».

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    Insieme a Silvio Berlusconi

    Il futuro governatore, accompagnato alla porta dal suo partito, dimostra comunque di avere un certo seguito elettorale anche con l’Udc; tant’è che, nel 2005, diventa vicepresidente del Consiglio regionale e, alle Politiche del 2008, deputato. Onesta carriera, appunto, con alti e bassi. Nel 2009, si candida a presidente della Provincia di Cosenza e prende una batosta: terzo e nemmeno ballottaggio. Ad asfaltarlo sono Oliverio, eletto presidente, e un altro Gentile, Pino. Nel 2013, una nuova delusione: l’Udc lo schiera in seconda posizione nel listino bloccato ma viene eletto il solo Lorenzo Cesa.

    La delusione lo spinge a tornare tra le braccia di Berlusconi, prima che la fortuna gli arrida di nuovo: Cesa diventa eurodeputato e lui rientra alla Camera. Il Pdl intanto torna in soffitta e in Fi Calabria inizia l’era di Jole Santelli. Roberto e il fratello Mario, sindaco di Cosenza, sono umanamente e politicamente molto vicini all’allora coordinatrice regionale azzurra, che infatti sarà nominata vicesindaco nella Giunta bruzia, nel giugno 2016. Due anni dopo, in occasione delle Politiche, Santelli e Occhiuto jr formano una specie di ticket nei listini blindati e vengono eletti entrambi alla Camera.

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    Jole Santelli e Roberto Occhiuto

    Chi è il fuoriclasse tra gli Occhiuto?

    Ecco, una buona e onesta carriera politica, quella dell’attuale presidente calabrese, niente di più e niente di meno. Anche perché il (presunto) fuoriclasse, in famiglia, non è Roberto, ma Mario, che infatti nel 2019 si autocandida alla presidenza della Regione. Matteo Salvini non è d’accordo e piano piano costruisce il suo veto che stronca i sogni del sindaco. Il più giovane degli Occhiuto, a quel punto, va su tutte le furie: «Se è vero che c’è un veto della Lega sulla candidatura di mio fratello, credo sia del tutto pretestuoso e inaccettabile: tantissimi amministratori locali sono sotto processo, lui no. Quanto a me, sia chiaro che se dovessi scegliere tra il cognome e l’appartenenza politica, ovviamente sceglierei il cognome».

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    Roberto e Mario Occhiuto

    Sembra quindi vicina una nuova rottura con Fi: i due fratelli minacciano scissioni, una candidatura (sempre di Mario) contro il centrodestra. Alla fine, nulla di fatto: Berlusconi scrive una lettera per convincerli a restare senza perdere la faccia e loro fanno un passo indietro. Santelli, intanto, diventa presidente della Calabria. Occhiuto jr pare sempre più defilato, anche perché i rapporti con la nuova presidente sembrano compromessi. Poi, la morte di Santelli chiude anzitempo la legislatura.

    L’aiuto di Draghi

    Occhiuto, intanto, nel febbraio 2021 diventa capogruppo di Fi alla Camera dopo la nomina di Maria Stella Gelmini nel nuovo Governo di unità nazionale. Un numero due che, inaspettatamente, diventa numero uno. Inizia da qui la nuova rinascita, propiziata dall’avvento al potere di Mario Draghi. Da quella posizione privilegiata, Occhiuto monitora le trattative per la scelta dei candidato presidente in Calabria e fa le sue mosse, senza sbagliarne una. La partita è più facile di quel che sembra, in realtà, anche perché i leader del centrodestra, già dal 2019, hanno deciso che la Calabria toccherà a un candidato presidente di Fi.

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    L’ex capogruppo di Fi alla Camera, Maria Stella Gelmini, e il suo allora numero due

    Occhiuto, in sostanza, per ottenere l’alloro deve battere la concorrenza di altri due forzisti, cioè Gianluca Gallo e lo stesso Cannizzaro, non proprio Churchill e De Gaulle, ma nemmeno Alfano e Buttiglione. E Occhiuto vince facile e ottiene la nomination; poi rivince facile ancora, contro Amalia Bruni e l’armata Brancaleone del centrosinistra calabrese; e poi, e poi si prende tutto. Per lui niente mojito, niente fiaschi politici in stile Papeete. Lui aveva escogitato il Piano e ora è in Cittadeella. I pieni poteri non li ha chiesti, se li è presi.

  • Il tesoro di Alarico esiste e costa 25 euro al grammo

    Il tesoro di Alarico esiste e costa 25 euro al grammo

    Questa è un’avventura di impresa resistente, di identità e di passione per un tesoro che la Calabria non sa di avere.
    Dalla città di Cosenza partivano carichi di zafferano in pieno Rinascimento, richiesti in tutto il mondo. Nel 1844 Luigi Zucoli, autore di una guida per viaggiatori, cita questa ricchezza bruzia. In “Italy under Victor Emmanuel. A personal narrative” del 1862, Carlo Arrivabene parla di tre rarità del sud: i vini siciliani, le donne di Bagnara e lo zafferano di Cosenza.

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    Una pagina del libro “Italy under Victor Emmanuel. A personal narrative”, pubblicato nel 1862

    La spezia di Cleopatra a Castiglione

    Oggi piccole aziende, sparse per la regione, lo hanno riscoperto. Una di queste è lo “Zafferano del re” di Castiglione Cosentino, impresa partita benissimo e che, come tante, ha subito la batosta pandemica. Ma le sorelle Linardi, Benedetta e Maria Concetta, non mollano. La spezia più costosa sul mercato, fino a 25 euro al grammo, ha fatto tanta strada da Cleopatra alla Calabria. La regina egizia lo usava ogni giorno per dorare la sua pelle. E così lo riscopriamo come antenato dei gettonati illuminanti della cosmesi di oggi.

    «Sì, è così, la provincia cosentina era una delle maggiori esportatrici al mondo. Ci sono fonti storiche che raccontano della sua produzione in Presila nel 1500». Benedetta Linardi, 35 anni, laureata in scienze politiche e consulente finanziaria, insieme con sua sorella Maria Concetta, 39 anni, laurea in scienze della nutrizione, hanno ereditato i terreni di famiglia e hanno deciso di cambiarne il destino.

    La collina si tinge di viola

    C’è un momento, tra ottobre e novembre, in cui la collina di Castiglione, a 400 metri sul livello del mare, si tinge di viola, proprio mentre intorno l’autunno ha già spento tutti i colori. È l’ora della fioritura dello zafferano e dura circa 15 giorni. «Andiamo a raccogliere i fiori uno per uno – spiega Benedetta Linardi – un lavoro che facciamo personalmente perché richiede estrema cura». Il fiore raccolto deve arrivare integro alla fase dello “sfioramento”, parola ricca di fascino poiché contiene in sé l’atto di eliminare il fiore dal gambo, ma anche la necessità di farlo con estrema delicatezza.

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    Una cesta con i fiori di zafferano appena raccolti

    L’azienda è nata nel 2018 e i clienti sono per lo più ristoratori. La spezie, cara alla Sardegna e indispensabile per il famoso risotto alla milanese, oggi è laboratorio gastronomico di chef stellati che valorizzano tradizioni calabresi. «Le nostre ricerche – spiega ancora Benedetta, – ci hanno permesso di rintracciare un legame forte con il territorio e di farne un racconto. Ed è un aspetto fondamentale, perché il tipo di consumatore medio vuole apprezzarne le qualità ma anche conoscerne la storia». Sono grandi chef gli amici partner dello Zafferano del re (sul sito https://www.zafferanodelre.it, nella sezione partner, ci sono i loro piatti coloratissimi e i video sulle relative preparazioni). Come Luigi Ferraro, originario di Cassano allo Jonio, ambasciatore nel mondo della buona Calabria a tavola, oggi chef nelle strutture del lussuoso Four Season Hotel di Doha in Qatar.

    Luigi Ferraro, originario di Cassano allo Jonio, è chef del rinomato Four Season Hotel di Doha in Qatar

    La grande sfida, adesso, è riprendersi dalla crisi

    L’azienda delle combattive sorelle Linardi, da startup di successo si è dovuta subito scontrare con il Covid. Quarantamila euro di fatturato, 20mila bulbi l’anno, sono numeri di tutto rispetto per una realtà appena nata.
    L’impresa è partita nell’anno in cui si faceva un gran parlare di scavi per trovare il tesoro del Sacco di Roma nei fiumi cosentini e le due sorelle, un po’ per cavalcare l’onda, un po’ per scherzo, l’hanno battezzata “Zafferano del re” pensando ad Alarico. «Il vero tesoro, quello che abbiamo sotto gli occhi, è la terra. Noi ci crediamo. In un territorio, piuttosto che inseguire qualcosa di inesistente, bisogna cercare e preservare ciò che realmente c’è».
    «I primi duemila bulbi siamo andati a prenderli in Toscana – continua Benedetta.- La nostra scommessa è nata a partire da quel piccolo scrigno».

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    Uno dei campi di zafferano delle sorelle Linardi

    I compaesani “prestano” gratis i loro terreni

    I terreni – in contrade dai nomi che richiamano un passato lontano, Pristini, Canterame, Orbo – sono appezzamenti di famiglia. Altri se ne sono aggiunti, concessi in comodato gratuito da privati. «Erano abbandonati e incolti. Ci sono stati consegnati volentieri, i nostri compaesani hanno creduto in noi e il loro modo per dimostrarcelo è stato offrire quello che poteva servirci». È il Genius loci che si manifesta nell’idea di comunità che condivide terra e sapienza. «Nei piccoli paesi è facile che si inneschi questo meccanismo di supporto reciproco», sorride.

    Fiori d’ottobre

    Quella dello zafferano è una produzione molto semplice: «piantiamo i bulbi intorno a ferragosto, quando la temperatura comincia a cambiare. La pianta cresce in pochi mesi, a fine ottobre fiorisce». È questo il momento più importante, perché tutto deve essere svolto in pochissimo tempo e manualmente, per non rovinare i fiori, molto delicati, che devono essere adagiati nelle ceste. A questo punto la lavorazione avviene nel laboratorio, dove il fiore viene separato dal pistillo (è questa la cosiddetta “sfioratura”) che verrà poi essiccato. Lo zafferano ottenuto viene infine conservato nel vetro, in attesa di essere imbustato e confezionato.

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    Le sorelle Linardi piantano i bulbi intorno a ferragosto

    «Il 90% dei nostri clienti sono ristoratori – spiega Benedetta – ma pochissimo di ciò che produciamo resta in Calabria, solo il 10%». Le sorelle dello zafferano in pochi anni sono diventate un caso, un esempio di impresa giovane, coraggiosa, attenta alla qualità e al territorio. L’azienda ha ricevuto premi e riconoscimenti.

    Il prodotto più contraffatto al mondo

    «Il 2020 è stato un anno nero – ammette -. Un po’ per tutti, certo, ma noi abbiamo avuto un crollo quasi totale della produzione. Nessun aiuto, nessun sostegno, perché tecnicamente rubricati come florovivaisti e non come agricoltori, non ne avevamo diritto». Con la ristorazione in ginocchio la loro attività ha subito una brusca battuta d’arresto. «Eravamo un’azienda in crescita. Abbiamo investito moltissimo e aspettavamo di raccogliere i primi frutti. Non avremmo mai immaginato di trovarci invece a dover affrontare un’emergenza tanto grave come una pandemia. Non è facile sostenere i costi di produzione in una situazione del genere e questo alla lunga non può reggere».

    Bisogna poi considerare il problema della concorrenza. «Lo zafferano è il prodotto più contraffatto al mondo – aggiunge – e la nostra piccola produzione deve misurarsi con quelle intensive dell’Iran, del Marocco e della Spagna. Questi paesi portano sui mercati uno zafferano che al grammo arriva a costare due euro, contro i venticinque di quello italiano».

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    I colori inconfondibili dello zafferano

    L’afrodisiaco di Richelieu

    Non c’è rassegnazione nelle parole di questa giovane e caparbia imprenditrice. «La strada da seguire è sicuramente quella di unire le forze», dice. «Noi piccoli produttori siamo tanti e tutti abbiamo difficoltà simili che possiamo superare creando una rete, una collaborazione che ci consenta di stare sul mercato e di diventare davvero competitivi. In questo momento siamo a terra, ma stiamo valutando nuove strategie».
    Piccoli ma tenaci come il fiore di croco dell’oro rosso.

    In passato con lo zafferano si curavano reumatismi, gotta e forti infiammazioni come il mal di denti. Usato anche come polvere abortiva, era più noto come afrodisiaco (tra gli abituali consumatori il cardinale Richelieu). Per gli imperatori e i sacerdoti romani era un prezioso profumatore di saloni sfarzosi e templi, i contadini calabresi lo spargevano sul letto della prima notte degli sposi. Una spezia dai mille usi, un mondo da scoprire. Oltre il risotto alla milanese.

  • L’etica a 5 stelle? Quarantamila euro per l’avvocato di Afflitto in Regione

    L’etica a 5 stelle? Quarantamila euro per l’avvocato di Afflitto in Regione

    Il Burc è ormai un oggetto di culto non solo per gli addetti ai lavori. Non tanto perché è un diario (non sempre aggiornatissimo) della vita amministrativa della Regione, quanto per le nomine di cui il Bollettino ufficiale puntualmente dà conto soprattutto nei primi mesi di ogni nuova consiliatura.

    Scorrere i nomi dei beneficiari dei co.co.co. che il consiglio regionale assume, su indicazione diretta dei consiglieri regionali per far parte delle loro “strutture”, riserva infatti sempre nuove soddisfazioni agli amanti del genere.

    M5S? Erano moralizzatori

    Non solo dalle parti della maggioranza, dove c’è chi riesce addirittura a farsi assumere sia dalla Giunta che dal Consiglio, o dell’opposizione “tradizionale”, in cui anche gli ex assessori regionali si reinventano portaborse. Ma anche nel campo di chi ha sempre indossato la veste moralizzatrice contro tutti i privilegi di cui gode la vituperata casta.

    Sì, proprio i  Cinque stelle. Ora che sono entrati nel Palazzo, in attesa che rispolverino la loro proposta di legge che taglierebbe gli stessi stipendi che intanto stanno incassando, da un lato hanno rinunciato ai vitalizi – che non sono certo quelli di faraonici di una volta – ma dall’altro non stanno rinunciando a fare incetta di collaboratori.

    Il legale diventa anche collaboratore del consigliere regionale

    Tutto legittimo, certo, ma è quantomeno singolare che uno dei due consiglieri regionali eletti con l’M5S, il presidente della Commissione di Vigilanza Francesco Afflitto, chiami a far parte dello staff di collaboratori di fiducia anche il suo avvocato. Che è, per inciso, uno dei due legali che lo rappresentano in un contenzioso legale in cui viene contestata proprio la sua elezione a Palazzo Campanella.

    Eugenio Vitale, si legge sull’ultimo Burc, sarà il suo responsabile amministrativo al 100% con un compenso di oltre 40mila euro all’anno. Ed è la stessa persona, a meno di improbabili omonimie, che lo rappresenta assieme a un altro avvocato nella causa che contro Afflitto ha intentato Alessia Bausone, che in fase di riconteggio ha conquistato il primo posto tra i non eletti nella lista M5S della circoscrizione centrale.

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    La sede del Consiglio regionale della Calabria

    L’avvocato e la causa con la Bausone

    A distanza di poco più di una settimana dalla prima udienza, davanti al Tribunale di Catanzaro, della causa civile in cui Bausone sostiene la presunta ineleggibilità di Afflitto in relazione all’aspettativa dall’Asp di Crotone, quest’ultimo ha dunque indicato il suo avvocato per un incarico remunerato con soldi pubblici, uno di quelli che spettano – in più rispetto ai consiglieri “semplici” – ai presidenti di Commissione, ai capigruppo e ai componenti dell’Ufficio di Presidenza.

    Annunciando un esposto «al competente consiglio di disciplina forense affinché valuti la compatibilità di tale curiosa circostanza con la deontologia a cui ogni avvocato ligiamente si deve attenere», Bausone non risparmia accuse pesanti al “rivale”: «I calabresi – chiede l’esponente dei 5stelle – devono pagare, di fatto, le spese legali per la difesa in giudizio di un consigliere regionale?».

    Non manca infine una paradossale annotazione politica: il centrodestra, rispettando la prassi, ha permesso che un rappresentante dell’opposizione come Afflitto fosse eletto al vertice della Vigilanza; in attesa che l’organismo da lui guidato vigili – magari con lo zelo a cui l’M5S ha abituato la sua base – sull’operato della maggioranza, certamente c’è chi intanto vigila su di lui.

  • L’invasione delle ultrapale: sullo Jonio soffia vento di protesta

    L’invasione delle ultrapale: sullo Jonio soffia vento di protesta

    Iniziamo dai numeri. La Calabria consuma oltre 5 miliardi di kWh, ma ne produce ben 17. Il surplus di energia elettrica è enorme, quasi +180%. La stessa Calabria, però, è tra le regioni italiane che più consumano gas (oltre 2,5 milioni di metri cubi all’anno) per alimentare le centrali termoelettriche. Proviene da fonti rinnovabili solo un terzo della nostra energia. Il resto arriva da fonti tradizionali, quelle che prima o poi finiscono e che comunque ci tengono appesi alla geopolitica mondiale.

    C’è un altro dato oggettivo, per cui non servono rilevazioni statistiche ma bastano i nostri occhi: vaste porzioni di territorio sono state inesorabilmente modificate da centinaia di enormi pale che sembrano infilzare il paesaggio. In questo nuovo orizzonte calabrese oggi ci sono oltre 400 impianti eolici. Le vie del vento sono infinite, c’è però da chiedersi quali e quanti vantaggi ne traggano le comunità locali. In queste settimane molti Comuni sono in rivolta contro nuovi progetti di cui contestano l’esibita ecosostenibilità e a cui oppongono, paradossalmente, ragioni di tutela ambientale.

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    Dal sito della Guardia costiera di Crotone

    La nuova frontiera dell’eolico

    La nuova frontiera è l’eolico off-shore galleggiante. Secondo il Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) da qui al 2030 l’Italia dovrà installare pale in mare per 900 MW. Ad oggi non c’è ancora nessun impianto in funzione ma sono stati presentati almeno 40 progetti. Se si concretizzassero, produrrebbero 17mila MW, una potenza di quasi 19 volte superiore a quella prevista dal Pniec.

    Due colossi del settore vogliono installare un’ottantina di pale in Calabria, in un vasto tratto di mar Jonio che tocca tre province, da Crotone fino a Monasterace: 33 turbine eoliche per Repower Renewables, altre 45 per Minervia Energia, società creata ad hoc da Falck Renewables e BlueFloat Energy, che stanno provandoci anche in Puglia. I parchi galleggianti sorgerebbero nel primo caso tra 60 e 75 km dalla costa, nel secondo tra 13 e 29 km. Le aziende ne pubblicizzano i potenziali benefici in termini di mancate emissioni di anidride carbonica e di posti di lavoro. Gli scettici lanciano allarmi su possibili danni a un ecosistema marino importante proprio per la produzione di ossigeno.

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    L’area al centro del progetto della Repower Renewable s.p.a.

    C’è chi dice no

    Nella seconda categoria vanno annoverati i Comuni di Crotone e Isola Capo Rizzuto, nonché il Wwf Calabria. Il consiglio comunale crotonese ha deliberato a maggioranza di opporsi al rilascio della concessione. Un territorio «già compromesso nella sua integrità ambientale – si legge nella delibera – da numerosi impianti per la produzione di energia, dai pozzi per la coltivazione di idrocarburi, dalle discariche per rifiuti di vario tipo, dall’inquinamento del suolo e del sottosuolo, non può tollerare ulteriori pressioni sul patrimonio naturalistico».

    Non ci sono solo gli aerogeneratori in mare, ma anche gli elettrodotti: quello sottomarino e quello terrestre in parte interesserebbero il Sito di interesse nazionale “Crotone, Cassano e Cerchiara”. Il cavidotto attraverserebbe un habitat ad alta biodiversità («praterie di Posidonia oceanica») che serve anche da «salvaguardia della costa per il contributo alla fissazione dei fondali ed alla protezione delle spiagge dall’erosione». Toccherebbe poi due Zone speciali di conservazione. Sarebbe infine prossimo al Sic Colline di Crotone e all’area marina protetta di Isola Capo Rizzuto.

    Castelli ed eolico

    Proprio il Comune di Isola, che può già vantare «il parco eolico più grande d’Europa», ha inoltrato nei giorni scorsi le sue osservazioni al Ministero: quattro pagine con motivazioni che vanno dalla «deturpazione paesaggistica del territorio» ai possibili danni al comparto pesca. «Probabilmente – sostiene l’amministrazione – chi propone ciò non ha mai visto il sole che tramonta alle spalle del Castello Aragonese di Le Castella, simbolo turistico della Calabria nel mondo. Che simbolo sarebbe con alle spalle un ammasso di pale eoliche a fargli da sfondo?».

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    Le Castella, uno dei luoghi simbolo della Calabria

    Nelle osservazioni depositate dal Wwf calabrese si legge che «il progetto è in grado di provocare effetti negativi plurimi su fauna e flora sia marina che terrestre». Si tratterebbe di «siti protetti dall’Unione Europea» che, in alcuni casi, hanno «come motivi istitutivi, il transito e la sosta di specie migratorie che si dirigono da e per l’Europa Orientale, partendo e/o approdando in Calabria».

    A chi tocca rispondere?

    Ma chi dovrebbe rispondere a questi rilievi? La procedura viaggia su un doppio binario. La richiesta di concessione demaniale marittima va al Ministero delle Infrastrutture e alla Capitaneria di porto. La Valutazione di impatto ambientale, per progetti che superano i 30 MW, spetta al Ministero dell’Ambiente, ma è la Regione che alla fine deve concedere l’autorizzazione. La Calabria non ha un assessore all’Ambiente. In un momento storico in cui il Pnrr destina alla «rivoluzione verde» quasi 60 miliardi di euro, dei quali 5,9 sono solo per le rinnovabili, la delega è rimasta in capo al presidente della Regione Roberto Occhiuto, che non ha certo molto tempo libero visto che è anche commissario alla Sanità.

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    Il Capitano Ultimo

    Ha designato come «uomo di raccordo tra la Regione e i Ministeri per il Pnrr» l’assessore supertecnico Mauro Dolce, a cui ha affidato però solo le Infrastrutture e i Lavori pubblici. Non che andasse meglio prima: nella Giunta precedente c’era il Capitano Ultimo, che a parole si è sempre schierato con i territori, ma ha annunciato uno stop ai nuovi impianti rimasto solo nelle rassegne stampa. Riuscendo così a scontentare sia gli ambientalisti che gli imprenditori del settore già pronti, dopo i suoi annunci, alla class action.

    Pecunia non olet

    In un limbo amministrativo simile la «transizione ecologica», declinata nel Pnrr a suon di «semplificazione delle procedure» e «potenziamento di investimenti privati», potrebbe anche tradursi in greenwashing. «Strategia di comunicazione o di marketing – è la definizione del dizionario Treccani – perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo».

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    La Faggeta di Monterosso minacciata dalle pale eoliche (foto dalla pagina Facebook Kalabri Trekking)

    Intanto non mancano altre proteste per nuovi parchi eolici “tradizionali”: il più recente è quello di Monterosso, nel Vibonese, che per 3 aerogeneratori provocherebbe secondo le associazioni l’abbattimento di 4mila alberi. Ma ci sono anche i fautori dei vantaggi che deriverebbero dalle pale. Come il sindaco di San Sostene, Luigi Aloisio, che di recente ha annunciato un potenziamento dell’ormai storico impianto, di proprietà di una società controllata da Falck Renewables, che ricade nel suo Comune – ma in realtà più vicino alle Serre che al centro abitato della costa jonica – parlando di un introito medio di 400mila euro all’anno per l’ente da lui guidato.

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    Fasi di costruzione del parco eolico San Sostene (foto dal sito del Comune) (1)

    Che prezzo ha l’orizzonte?

    Peccato che, ormai oltre un decennio fa, le enormi pale abbiano modificato non poco quei boschi. I tir che le trasportavano sono entrati nella viabilità interna della montagna come un elefante in una cristalleria. E che gli appetiti sul business eolico pare siano stati tra i motivi scatenanti di una guerra di ‘ndrangheta, identificata come la seconda faida dei boschi, che ha insanguinato le Serre e il basso Jonio catanzarese.

     

    Le mafie non possono essere un alibi, certo, ma gli interessi mafiosi sull’eolico e le rinnovabili in generale non sono neanche un dettaglio trascurabile. Lo testimoniano indagini come “Via col vento” e “Imponimento”, già approdate a sentenze di primo grado con condanne in abbreviato per boss del calibro di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso e Rocco Anello. E un altro episodio emerge da “Alibante”, recente indagine sui tentacoli delle ‘ndrine nella politica e nell’economia del territorio di Falerna e Nocera Terinese. Il presunto boss 80enne Carmelo Bagalà confidava a un suo uomo di fiducia che c’era una «ditta tedesca» interessata a investire nel settore. Erano alla ricerca di terreni, così Bagalà e il suo fedelissimo avevano individuato una zona del Monte Mancuso su cui installare delle pale eoliche. «Ma quelle enormi», commentavano. «Hanno detto che pagano un sacco di soldi…». Ma che prezzo ha l’orizzonte?

  • L’amico di Roberto Occhiuto porta a casa due incarichi in Regione

    L’amico di Roberto Occhiuto porta a casa due incarichi in Regione

    Nella Calabria della disoccupazione imperante, c’è un giovane che è riuscito ad avere, nel giro di un mese e mezzo, due incarichi pubblici molto ben retribuiti. Il che è già un fatto piuttosto singolare, a queste latitudini. Quel che tuttavia rende unico il caso in questione è che il datore di lavoro è sempre lo stesso: la Regione Calabria.

    La storia di Antony Federico

    Il protagonista di questa storia si chiama Antony Federico, trentenne cosentino che nel suo profilo Linkedin dichiara una laurea in Scienze delle Pubbliche amministrazioni all’Unical e un master di secondo livello in Management e Politiche delle pubbliche amministrazioni alla Luiss Guido Carlo University. Curriculum a parte, Federico viene descritto come un berlusconiano da sempre vicinissimo al forzista numero uno in Calabria, il presidente della Regione Roberto Occhiuto.

    Gli incarichi

    Due atti ufficiali dicono che Federico, nel giro di poche settimane, è stato prima nominato nello staff di un consigliere regionale e poi in quello di un assessore. Di fatto, il giovane cosentino ha quindi un lavoro a Reggio (Palazzo Campanella) e uno a Catanzaro (Cittadella di Germaneto).

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    Roberto Occhiuto con il fedelissimo Pierluigi Caputo, vicepresidente del consiglio regionale

    Il 30 novembre scorso, il dirigente del settore Risorse umane conferisce a Federico l’incarico di responsabile amministrativo al 50% del vicepresidente del Consiglio regionale, Pierluigi Caputo, a decorrere dal 2 dicembre. Il 12 gennaio, con un nuovo decreto dirigenziale del dipartimento Organizzazione della Giunta, arriva la seconda nomina: il trentenne diventa responsabile amministrativo (sempre al 50%) dell’assessore alle Infrastrutture e Lavori pubblici, Mauro Dolce.

    Antony Federico, insomma, è al tempo stesso dottor Giunta e mister Consiglio. Un caso che, nella Calabria delle tante anomalie amministrative, non si era mai verificato. Le strutture dei politici, negli ultimi decenni, hanno imbarcato di tutto: candidati trombati, portatori di interessi, capi elettori, perfino indagati. Finora, però, non era mai accaduto che una sola persona fosse reclutata in due staff differenti.

    I compensi

    Federico, fino al 4 ottobre del 2026 (data di presunta fine della legislatura) e salvo revoca anticipata della nomina, percepirà un compenso di poco più di 20mila euro all’anno (circa 100mila euro complessivi) dal solo Consiglio regionale. Dovrebbe ricevere più o meno la stessa cifra anche dalla Giunta, anche se nell’atto di nomina non viene specificato il compenso. Il doppio incarico dovrebbe dunque garantire una retribuzione annua complessiva di circa 40mila euro.

    L’anomalia non riguarda il compenso – dal momento che Federico avrebbe percepito più o meno la stessa somma anche con un singolo incarico al 100% –, quanto la circostanza che una sola persona riceva incarichi diversi da un unico ente e che, al tempo stesso, riesca a fornire la propria opera professionale quotidiana a due diversi rappresentanti istituzionali, uno di stanza a Catanzaro e l’altro a Reggio. Peraltro, in Cittadella, a differenza che a Palazzo Campanella, i “portaborse” dei politici hanno l’obbligo di registrare la loro presenza con il badge marcatempo. Come farà Federico a organizzarsi, visto che Reggio è lontana 150 chilometri?

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    Tra i più stretti collaboratori del governatore non manca mai Antony Federico, terzo in alto da sinistra

    Tutto regolare?

    I Calabresi ha provato a capire se le procedure seguite da Giunta e Consiglio siano regolari e in linea con le normative vigenti. La risposta degli uffici è stata più o meno la stessa: «È la prima volta che succede, dobbiamo controllare le carte». Altra stranezza, perché le carte, in teoria, andrebbero controllate prima.

    Dal dipartimento Organizzazione della Cittadella è però arrivata qualche precisazione aggiuntiva: «In Giunta i dipendenti a tempo indeterminato al 50% possono anche svolgere la libera professione, perché in questo caso non esiste il dovere dell’esclusività. Potrebbe valere anche per i componenti delle strutture». Ma, in definitiva, la doppia nomina di Federico è legittima oppure no? Risposta: «La Regione è un ente unico ma le piante organiche sono diverse e separate».

    Un esponente della maggioranza di centrodestra che preferisce l’anonimato commenta così tutta la vicenda: «Questa storia presenta forti dubbi di legittimità e dimostra che Giunta e Consiglio non comunicano tra loro».

    I selfie su Facebook

    In attesa che chi di dovere faccia chiarezza, non resta che cercare di capire qualcosa in più di Federico, a cui spetterà il compito di supportare sia l’azione di Caputo, uno dei consiglieri di maggior fiducia del governatore, che quella di Dolce, l’uomo a cui Occhiuto ha affidato le chiavi del Pnrr. Sul profilo Facebook del bi-responsabile amministrativo tante foto indicano la sua vicinanza al presidente della Regione, così come al fratello, l’ex sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. Una delle ultime immagini risale al 15 ottobre scorso: si vede Roberto Occhiuto che, dal palco, tira la volata al candidato sindaco di Cosenza Francesco Caruso, poi sconfitto.

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    Roberto Occhiuto sul palco di Cosenza a sostegno di Francesco Caruso, che poi perderà

    Il 5 ottobre c’è un selfie: Antony Federico posa sorridente con l’uomo che ha appena conquistato la Regione Calabria e lo elogia pubblicamente: «Te la sei meritata tutta. Auguroni e buon lavoro presidente».

    Ancora, l’1 ottobre: nella foto di gruppo, con Occhiuto e i suoi più stretti collaboratori, compare anche lui, Federico, che decanta: «Un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere l’impossibile». Altro selfie e stessi protagonisti il 10 settembre. E l’esperto di pubbliche amministrazioni scrive: «Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati».

    Il 16 giugno, invece, Antony Federico esulta perché, dopo mesi di incertezza, finalmente la coalizione ha deciso: «Roberto Occhiuto è il candidato del centrodestra alla Presidenza della Regione Calabria. La Calabria, presto, avrà un grande presidente ed anche in questa battaglia sarò al tuo fianco».