Categoria: Fatti

  • Covid Calabria oggi (19 marzo): 2920 casi in giornata, 2 morti

    Covid Calabria oggi (19 marzo): 2920 casi in giornata, 2 morti

    Il Covid in Calabria oggi (19 marzo) fa registrare 2.920 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 13.946. Il tasso di positività si attesta al 20,94 %. I guariti sono 1.131. I morti sono 2.
    Questi sono i dati del giorno relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    I casi di Covid in Calabria oggi, 19 marzo, provincia per provincia

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 5418 (69 in reparto, 5 in terapia intensiva, 5344 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 28334 (28089 guariti, 245 deceduti);
    • Cosenza: CASI ATTIVI 23969 (115 in reparto, 1 in terapia intensiva, 23853 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37464 (36518 guariti, 946 deceduti);
    • Crotone: CASI ATTIVI 4603 (28 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4575 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 22310 (22117 guariti, 193 deceduti);
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 13163 (135 in reparto, 8 in terapia intensiva, 13020 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 94291 (93627 guariti, 664 deceduti);
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 14784 (16 in reparto, 0 in terapia intensiva, 14768 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15688 (15530 guariti, 158 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica: “Nel setting fuori regione si registrano 15 nuovi casi a domicilio”.

    L’ASP di Catanzaro comunica: “Nel setting fuori regione si registra 1 nuovo caso a domicilio”.

    L’ASP di Crotone comunica:” Dei 345 casi confermati in data odierna 1 è un migrante ospite del CARA di Isola di Capo Rizzuto”.

  • Dodici anni con una Seicento per casa: Francesca, signora dei gatti

    Dodici anni con una Seicento per casa: Francesca, signora dei gatti

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    Ha vissuto dodici anni in una Seicento nel centro della città. Oggi Francesca, la homeless di via Macallè, ha una stanza con i riscaldamenti e un bel panorama dalla finestra, il suo letto e un bagno personale. Ha anche nuovi amici nella struttura residenziale che l’ha accolta dopo tante peripezie.
    Francesca ha 65 anni, capelli brizzolati lunghi e curati, dizione perfetta, lessico ricco, ama il cinema e le mostre. Tanti fatti da raccontare di inverni freddi, acqua gelida, stenti, angherie da parte di delinquenti e disperati.
    La sua Seicento colore blu Capri è parcheggiata nel centro di Cosenza, a pochi passi dal museo all’aperto e dal passeggio del sabato sera, sempre più sobrio tra una pandemia e una guerra.

    Un cortile come soggiorno e cucina

    Ha una ferita sulla pancia, a ricordarle l’operazione per occlusione intestinale che le ha salvato la vita. Doveva diventare un medico e si è ritrovata a vivere in strada con i suoi gatti che conosceva uno per uno, che accudiva ogni giorno elemosinando cibo per sfamarli e coinvolgendo veterinari di buon cuore. Perché è difficile rispondere con un no al suo garbo e al suo sorriso.
    Una vita durissima, con coltelli piantati in gola in piena notte, vandali, ladruncoli che le hanno portato via finanche la carta d’identità.

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    Il cortile di Francesca (foto Benedetta Caira) – I Calabresi

    Ha abitato estate e inverno in un minuscolo cortile, che è stato il suo soggiorno e la sua cucina. Chi passa può vedere le piantine che curava, le stoviglie, le sedie e un tavolino sgangherato. È dallo scorso dicembre che la gattara non c’è più. C’è un silenzio irreale tra i suoi cartoni, le sue coperte, i ricordi di oltre un decennio. Il malore di dicembre ha cambiato tutto. Adesso ha anche un amministratore di sostegno. Il tribunale di Cosenza l’ha affidata all’avvocato Giacomo Ammerata. Sarà il professionista a decidere per lei da ora in poi. Un’assistente sociale ha fatto richiesta urgente alla sezione Giudice tutelare e in tre giorni ha avuto la risposta.

    Un’assistente sociale per tre ospedali

    Manuela Bartucci è l’unica assistente sociale dei tre ospedali dell’Azienda sanitaria cosentina. È una che le storie maledette non le scansa, ma le abbraccia strette fino a quando non trova una soluzione. Dal pronto soccorso ai reparti è un inferno dei viventi. Miseria, drammi familiari, destini bui. Nel momento in cui il dottore Pietro Aiello, responsabile di medicina d’urgenza, le ha affidato Francesca, ha iniziato a bussare a tante porte, prima per assicurarle un soggiorno di riabilitazione, poi per non farla più tornare in macchina.

    «Se non avesse avuto una ferita importante – dice Manuela, – e un percorso terapeutico da affrontare per altre patologie, probabilmente l’avrei lasciata alla sua libertà. In questo momento si trova in una struttura residenziale e assistenziale e i suoi gatti sono stati adottati da un veterinario. Io non l’ho mai abbandonata. Proprio oggi la medicina di base ha rilasciato il suo codice esenzione per le spese sanitarie e nel frattempo mi sto dando da fare per farle ottenere la pensione d’invalidità».

    Francesca, la Seicento e i gatti

    Per la signora clochard si è messa in moto una rete solidale, ma non tutto è filato liscio. Farle avere un letto nella casa d’assistenza non è stato semplice. Senza documenti e senza il suo consenso. Perché Francesca voleva tornare nella Seicento, prendersi ancora cura dei suoi gatti, continuare a vivere in strada. E a quel punto Manuela Bartucci ha pensato di farle avere un tutore per superare l’ostacolo.

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    Uno dei gatti di Francesca

    «Francesca è una cara persona. Si è abituata a vivere così con il passare del tempo. Studiava medicina a Roma – racconta Antonia De Rose, un’amica del quartiere. – Si è ritirata dalla facoltà della Sapienza e ha vissuto con la madre in una casa nei pressi di via Macallè. Alla morte della madre, proprio dopo il funerale, mi ha raccontato, non è riuscita più ad entrare in casa per via di contrasti familiari con altri parenti. La sera stessa ha dormito in macchina. La Seicento è da sempre parcheggiata nello stesso angolo di strada, le ruote si sono sciolte sull’asfalto».

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    Manuela Bartucci, assistente sociale in ospedale a Cosenza

    Adottata dal quartiere

    Ciò che è incredibile, dicono nel quartiere, che pur vivendo da barbona è sempre riuscita a conservare la sua signorilità.
    «L’aspetto bello della storia di Francesca – racconta ancora Manuela Bartucci, – è che il quartiere l’ha adottata. Sono stati gli abitanti e i commercianti a comprare il corredo per il ricovero, dai pigiami alle vestaglie ai saponi. Hanno rispettato la sua scelta e le hanno sempre dato una mano. Anche le forze dell’ordine hanno cercato di proteggerla e di aiutarla. Nel vicinato c’era chi le offriva il proprio magazzino e una fontana da usare, chi la lavatrice per il bucato e qualcuno ogni tanto le dava un po’ di soldi per garantirle qualche giorno di sopravvivenza».

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    Francesca sorridente nella struttura che la ospita in questo momento

    Manuela Bartucci incontra tante storie disperate ogni giorno, non ha colleghi con cui dividere il lavoro. Gli altri assistenti sociali sono sparsi sul territorio. Sicuramente non in via Macallè.
    Nei pensieri di Manuela in queste ore c’è Blessing, una giovane nigeriana richiedente asilo e senza fissa dimora. È stata dimessa da poco dal reparto covid e ha avuto tanti ricoveri, in diverse città, per problemi psichiatrici. «Un’altra storia che mi è rimasta nel cuore è quella di Roberto, un ragazzo disabile accompagnato in pronto soccorso, per una febbre alta, da sua madre Maria, diabetica e cardiopatica. Dopo aver affidato suo figlio ai sanitari, si è sentita male ed è morta. Roberto adesso vive all’estero con i suoi fratelli».

    The lady in the Seicento

    Nella residenza assistenziale Francesca sta bene, è serena ma ogni tanto le viene la nostalgia. «Voglio tornare a “casa”, a sistemare le mie cose», dice a medici e infermieri. «Vorremmo accontentarla, ma per il rischio covid non possiamo prendere iniziative e inoltre la paziente dovrà presto affrontare una terapia salva vita». Una battaglia dura e lei ne è consapevole.
    Chiacchiera e stupisce tutti per i termini medici appropriati che usa. Racconta di aver fatto l’infermiera e di aver studiato alla Sapienza. Dell’ateneo romano la colpì l’omicidio della studentessa Marta Russo. Episodio che non ha mai dimenticato, che l’ha misteriosamente tormentata per anni.

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    Una scena di The lady in the van

    «Anche oggi l’ho sentita per telefono – continua la sua amica Antonia, – pensa ai suoi gatti e mi ha detto che vuole recuperare una valigia con le sue cose. Vorrebbe riavere alcune fotografie scattate durante un viaggio in Sicilia». Uno dei tanti della sua vita vissuta in una macchina ma come in un romanzo. Francesca come Miss Mary Shepherd di The lady in the van, personaggio ispirato a una tosta signora inglese che ha vissuto in un furgone tra il ’74 e l’‘89 nel vialetto di casa di Alan Bennett, lo sceneggiatore che su questa storia vera poi ha scritto il film.
    La lady in the Seicento di via Macallè ha avuto una città che l’ha protetta. «Se fosse stata Roma o un altro luogo – conclude Antonia, – la vita di Francesca sarebbe stata più difficile e probabilmente più breve».

  • Tallini d’Achille: Mimmo sfida FI e Mangialavori, ma la Severino…

    Tallini d’Achille: Mimmo sfida FI e Mangialavori, ma la Severino…

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    L’assoluzione di Domenico Tallini un mese fa nell’ambito del processo Farmabusiness da parte del Gup distrettuale di Catanzaro Barbara Saccà ha disatteso le accuse di Gratteri e i suoi. In attesa del deposito delle motivazioni (tra circa 60 giorni) e di sapere se la Dda appellerà la decisione, il dato politico è chiaro: l’ex Presidente del Consiglio regionale è in gran spolvero.

    «Occhiuto piccolo e meschino»

    Subito dopo la pronuncia giudiziaria è stato tutto un susseguirsi di dichiarazioni alla stampa. Con una nota (molto formale) il coordinamento regionale di “Forza Italia Calabria” (che ha a capo il senatore Giuseppe Mangialavori che, però, non appone il suo nome in calce) affermava che l’assoluzione «restituisce dignità politica a un uomo delle istituzioni», con l’auspicio che «Tallini possa al più presto riprendere il cammino politico interrotto».

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    Mangialavori e Occhiuto durante l’ultima campagna elettorale per la Regione

    Queste, invece, le parole del presidente della Regione, Roberto Occhiuto: «L’assoluzione dell’ex presidente del Consiglio regionale della Calabria, Domenico Tallini, è una bella notizia: è stata finalmente ratificata la sua estraneità ai fatti che gli venivano imputati. Allo stesso tempo altre decisioni arrivate oggi – 14 condannati, con pene che variano tra i 16 ed i 2 anni di reclusione – dimostrano che il processo ‘Farmabusiness’ era tutt’altro che campato per aria».

    Il Mimmo furioso

    La dichiarazione di Occhiuto ha mandato su tutte le furie Tallini. Che in una chat di WhatsApp con qualche centinaio di simpatizzanti politici si è lasciato andare. «Registro che il Presidente Occhiuto Roberto sembra più preoccupato delle ricadute negative sulla procura catanzarese che della mia estraneità ai fatti. Ambire ad essere un grande Governatore e nel contempo rilasciare dichiarazioni che dimostrano riverenze e sottomissioni nei confronti della magistratura… Significa essere piccoli e meschini».

    Una versione edulcorata poi nella nota pubblica del suo “pupillo” e commissario di Forza Italia a Catanzaro, Ivan Cardamone: «Tallini meritava maggiore e più concreta fiducia dai vertici del partito… Una fiducia che non è stata ricambiata nel tempo».

    Il ritorno in campo

    Il ringalluzzito Tallini non ci sta a recitare ruoli di secondo piano né, tantomeno, a limitarsi a fare l’offeso. Forza Italia ha nicchiato di fronte all’accusa di concorso esterno e voto di scambio avanzata dalla Dda di Nicola Gratteri, ma, al contempo, non lo ha mai sostituito come commissario provinciale del partito. Certo, non sono mancati nuovi innesti politici catanzaresi voluti da Mangialavori che dovevano fungere da contraltare al “tallinismo”: in primis l’arcinemico Marco Polimeni – presidente del Consiglio comunale di Catanzaro e (ex?) pupillo dell’ex candidato Udc, Baldo Esposito – e Antonio Chiefalo, l’ex commissario cittadino della Lega.

    Tallini vs Mangialavori: ennesimo round

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    La neo consigliera regionale Valeria Fedele

    Sia alle Regionali che alle Provinciali di Catanzaro, Tallini e Mangialavori sono stati “separati in casa”. Nella prima competizione, il vibonese ha puntato le sue fiches su Michele Comito e (ma solo ad esclusione e per arginare altri non graditi competitor) Valeria Fedele. Tallini, a sua volta, fece votare la figlia dell’ex capogruppo regionale di Forza Italia, Claudio Parente, Silvia.

    Alle Provinciali dello scorso dicembre, invece, i due notabili azzurri corsero con due liste separate. Mangialavori (con Fedele e Polimeni) con la lista “Noi in Provincia”, Tallini con “Centrodestra per la provincia”. Vinse la prima 3 a 1. Ma ora, con il round delle amministrative del capoluogo, si gioca una nuova partita, ancora più importante.

    Come a Vibo non si può

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    Valerio Donato

    Le amministrative di Catanzaro sono, da tempi non sospetti, l’emblema del trasversalismo e del trasformismo a tinte civiche. I partiti dimostrano la loro debolezza ed in questo momento è proprio il centrodestra, usurato dal ventennio di Sergio Abramo (nonostante la vittoria alle elezioni regionali e a quelle provinciali), ad essere in tilt (ci torneremo).
    I candidati di peso se la sono data a gambe. La parlamentare di Fdi, Wanda Ferro e il presidente del Consiglio regionale in quota Lega, Filippo Mancuso, hanno entrambi rifiutato la candidatura come primi cittadini. Lo stesso ha fatto il già citato Baldo Esposito.
    E la tentazione di virare sul PD (leggasi “Partito di Donato”) si fa forte.

    Lo stesso Mangialavori fece qualcosa di simile alle comunali di Vibo Valentia del 2015, virando sul magistrato Elio Costa. In quell’occasione Forza Italia rinunciò al simbolo, la Lega non c’era e Fratelli D’Italia corse da sola. Oggi un’opzione del genere non è praticabile, pena risultare un mero gregario dei centristi (in particolare del consigliere regionale vibonese Francesco De Nisi) che con Coraggio Italia e l’Udc si sono già posizionati sul “civico” Valerio Donato.

    Tallini e le candidature

    Dall’altra parte, si susseguono i comunicati di Domenico Tallini. Invita ora all’unità, ora a far cadere quelli che definisce «assurdi veti» (nello specifico, a suo dire, quello di Mangialavori sull’ex candidato azzurro Antonello Talerico). Si è ripreso la scena politica al punto da proporre al tavolo del centrodestra la candidatura a sindaco (nientepopodimeno che) del suo avvocato difensore, Valerio Zimatore. Insomma, uno stallo che ha, giocoforza, rimesso ai tavoli romani (più volte bistrattati in sede locale) una scelta che ancora tarda ad arrivare.

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    Il Comune di Catanzaro

    Che Tallini si ricandidi a consigliere comunale pare cosa certa. Con buona pace delle ambizioni in area azzurra dell’assessore Ivan Cardamone e del consigliere provinciale Sergio Costanzo. Difficile che Tallini viri su Donato (politicizzerebbe troppo la candidatura e, dicono, non sarebbe ben accetto), per cui in spolvero, un po’ obbligato, c’è anche la sua fede partitica. Insider del Comune di Catanzaro parlano di una lite tra l’assessore Franco Longo, vicino al leghista Filippo Mancuso, e lo stesso Tallini. Secondo il gruppo che fa riferimento al presidente del Consiglio regionale, si vocifera, una candidatura diretta di Tallini sarebbe negativa per un centrodestra già ammaccato (e disgregato).

    Lo sgambetto della Severino

    La voglia di “contarsi” di Tallini, però, deve fare i conti con la legge Severino. Lo scorso gennaio, l’ex presidente del Consiglio regionale è stato condannato dal Tribunale di Catanzaro per abuso d’ufficio nell’ambito del processo “Multopoli”.

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    L’ex ministro Paola Severino

    Il Decreto Legislativo 235 del 2012 (articolo 11, comma 1, lettera a) prevede la sospensione di diritto per 18 mesi per il consigliere comunale condannato con sentenza non definitiva per determinati reati, tra cui l’abuso d’ufficio. Una norma “salvata” dalla Corte Costituzionale che ritenne ragionevole che una condanna (ancorché non definitiva) per alcuni reati susciti l’esigenza cautelare di sospendere temporaneamente il condannato dalla carica, per garantire la “credibilità” dell’amministrazione presso i cittadini ed il rapporto di fiducia che lega la prima ai secondi (sentenza 236 del 2015).

    La normativa e la giurisprudenza sono chiare: la sospensione arriva anche se la condanna avviene prima dell’elezione.
    Insomma, il gioco alla “conta” che potrebbe fare Tallini subirà lo sgambetto della sospensione prefettizia in caso di elezione, non assegnando né a lui né a Mangialavori il punto di questo ennesimo round della sfida interna agli azzurri.

  • Covid Calabria oggi (18 marzo): quasi 3.000 casi in giornata, 8 morti

    Covid Calabria oggi (18 marzo): quasi 3.000 casi in giornata, 8 morti

    Il Covid in Calabria oggi (18 marzo) fa registrare 2.984 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 13.301. Il tasso di positività scende al 22,43%. I guariti sono 1.210. Nella giornata nazionale in memoria delle vittime del coronavirus si registrano 8 decessi.
    Questi sono i dati del giorno relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    I casi di Covid in Calabria oggi, 18 marzo, provincia per provincia

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 5.152 (67 in reparto, 6 in terapia intensiva, 5.079 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 28.212 (27.968 guariti, 244 deceduti);
    • Cosenza: CASI ATTIVI 23.187 (119 in reparto, 1 in terapia intensiva, 23.067 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.260 (36.314 guariti, 946 deceduti);
    • Crotone: CASI ATTIVI 4.405 (27 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.378 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 22.164 (21.972 guariti, 192 deceduti);
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12.821 (128 in reparto, 8 in terapia intensiva, 12.685 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 93630 (92966 guariti, 664 deceduti);
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 14.602 (16 in reparto, 0 in terapia intensiva, 14.586 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15688 (15530 guariti, 158 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica 1.124 nuovi soggetti positivi di cui 8 fuori regione. Inoltre, precisa che dei tre decessi comunicati oggi uno risale al 28/02/2022.

    L’ASP di Catanzaro comunica 496 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione.

    L’ASP di Vibo Valentia comunica 259 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione.

  • Covid Calabria oggi (17 marzo): oltre 4.000 contagi

    Covid Calabria oggi (17 marzo): oltre 4.000 contagi

    Il Covid in Calabria oggi (17 marzo) fa registrare 4.008 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 15.222. Il tasso di positività è del 26,33%. I guariti sono 1.624. Sono 11 i decessi.
    Questi sono i dati del giorno relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    I casi di Covid in Calabria oggi, provincia per provincia

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 4.986 (67 in reparto, 7 in terapia intensiva, 4.912 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27883 (27.641 guariti, 242 deceduti).;
    • Cosenza: CASI ATTIVI 22.160 (113 in reparto, 1 in terapia intensiva, 22.046 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.171 (36.228 guariti, 943 deceduti;
    • Crotone: CASI ATTIVI 4.527 (26 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.501 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 21.708 (21.516 guariti, 192 deceduti);
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12.359 (127 in reparto, 6 in terapia intensiva, 12.226 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 93.321 (92.660 guariti, 661 deceduti);
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 14.374 (12 in reparto, 0 in terapia intensiva, 14.362 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.658 (15.500 guariti, 158 deceduti).

    L’Asp di Catanzaro comunica 463 nuovi soggetti positivi di cui 3 fuori regione. L’Asp di Cosenza comunica 1.004 nuovi soggetti positivi di cui 5 fuori regione. Precisa che dei 3 decessi comunicati oggi 1 è avvenuto a domicilio il 15/03/2022.

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    Il bollettino del 17 marzo 2022
  • Cosenza, a luglio la prima unione civile della storia cittadina

    Cosenza, a luglio la prima unione civile della storia cittadina

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    Tra poco meno di quattro mesi Cosenza celebrerà la prima unione civile in municipio della sua storia. Soltanto cinque anni fa il Comune negava il patrocinio al primo Gay Pride regionale a fare tappa nel capoluogo. Circostanza, quest’ultima, apparsa ai più inspiegabile, considerato che in un’edizione precedente della parata – sarà perché in casa d’altri, a Tropea – la stessa amministrazione aveva concesso il suo simbolico supporto. «Il nostro Gay Pride ricorre 365 giorni l’anno», commentò l’allora sindaco Mario Occhiuto. In quel 2017 sembrò che i giorni fossero 364. Tutti meno il coloratissimo 1 luglio.

    La prima unione civile in Comune a Cosenza

    Un lustro dopo, sempre ai primi di luglio, arriverà un’altra data da ricordare per il riconoscimento dei diritti della comunità LBGTQI+ in città e contro le discriminazioni di genere. Ma ben più lieta stavolta. L’Ufficio Stampa del municipio, infatti, ha diramato una nota in cui annuncia, appunto, che il 7 di quel mese il sindaco Franz Caruso celebrerà la prima unione civile nel municipio di Cosenza. La cerimonia suggellerà l’amore lungo 12 anni tra «Eugenia e Raffaella», ha spiegato Caruso. La scelta è arrivata perché entrambe «hanno deciso di celebrare la loro unione a Cosenza, non solo perché Raffaella è di origine cosentina, quanto perché la nostra città le ha accolte a braccia aperte e con favore. Cosenza festeggerà con orgoglio l’unione civile di Eugenia e Raffaella, brindando insieme a loro ai valori del rispetto reciproco, dell’uguaglianza e della tolleranza».

  • Covid Calabria oggi (16 marzo): prosegue l’impennata dei contagi

    Covid Calabria oggi (16 marzo): prosegue l’impennata dei contagi

    Il Covid in Calabria oggi (16 marzo) fa registrare 3.405 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 13.756. Il tasso di positività è del 24,75%. I guariti sono 1.445.
    Questi sono i dati giornalieri relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    I casi di Covid in Calabria oggi, provincia per provincia

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 4.773 (65 in reparto, 8 in terapia intensiva, 4.700 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27.197 (26.956 guariti, 241 deceduti;
    • Cosenza: CASI ATTIVI 21.211 (111 in reparto, 1 in terapia intensiva, 21.099 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.121 (36181 guariti, 940 deceduti);
    • Crotone: CASI ATTIVI 4.187 (27 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.160 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 21.573 (21.383 guariti, 190 deceduti);
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 11.617 (123 in reparto, 6 in terapia intensiva, 11.488 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 92.341 (91.683 guariti, 658 deceduti);
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 14.129 (9 in reparto, 0 in terapia intensiva, 14.120 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.559 (15.403 guariti, 156 deceduti).

    L’ASP di Catanzaro comunica 440 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione. Quella di Cosenza comunica 924 nuovi soggetti positivi di cui 8 fuori regione. L’ASP di Crotone comunica 293 nuovi soggetti positivi di cui 7 fuori regione. Quella di Vibo Valentia comunica 407 nuovi soggetti positivi di cui 3 fuori regione.

     

    covid-calabria-oggi-16-marzo

  • Giustino De Vuono, un legionario di Scigliano per Aldo Moro

    Giustino De Vuono, un legionario di Scigliano per Aldo Moro

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    Tra i tanti misteri del delitto Moro e dell’agguato di via Fani, quello che riguarda Giustino De Vuono resta uno dei più inquietanti, forse anche perché apre piste mai esplorate fino in fondo. Queste piste potrebbero portare oltre le dinamiche tipiche dell’eversione, soprattutto rossa, e al di fuori dei centri nevralgici, le grandi aree industriali, in cui operavano i gruppi di terroristi.
    Potrebbero portare, rispettivamente, alla criminalità organizzata (e a certi settori deviati dello Stato) e alla Calabria.

    Il rapimento di Aldo Moro: troppa potenza per dei dilettanti

    Il commento più forte sull’agguato di via Fani proviene da un calabrese famoso, di cui è innegabile l’elevato spessore politico e culturale: Franco Piperno.
    L’ex leader di Potere Operaio parlò di “geometrica potenza” a proposito dell’azione con cui il gruppo di fuoco delle Brigate rosse sterminò la scorta di Aldo Moro senza fare neppure un graffio all’illustre prigioniero.

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    De Vuono (a sinistra) e Nirta (a destra) a via Fani

    Su quest’agguato restano importanti alcune dichiarazioni di Alberto Franceschini, fondatore e leader storico delle Br, che a suo giudizio non potevano avere la preparazione militare idonea per mettere a segno un “colpo” come quello del 16 marzo 1978. Gli unici a loro agio con le armi, secondo Franceschini, sarebbero stati Mario Moretti e Valerio Morucci. Ma le perizie su via Fani parlano chiaro: per far fuori i cinque uomini della scorta furono sparati circa 91 proiettili da tre armi diverse. Oltre 40 di questi colpi, tutti andati a segno, proverrebbero da una sola arma. Troppo, anche per persone addestrate.

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    La foto segnaletica di Giustino De Vuono

    Dopo poche ore, le forze dell’ordine fanno girare alcune foto segnaletiche. Una di queste riguarda Giustino De Vuono, detto “lo Scannato” o “lo Scotennato”.
    E questa foto ha un riscontro importante in un’altra foto, presa a via Fani proprio la stessa mattina dell’agguato: vi sono ritratte due persone, una identificata in Antonio Nirta, boss di San Luca in Aspromonte. L’altra ricorda De Vuono.

    Giustino De Vuono, da legionario a killer

    Il motivo per cui gli inquirenti sospettano di De Vuono in relazione ad Aldo Moro è un altro. Nato a Scigliano, a circa 40 km da Cosenza nel 1940, Giustino De Vuono è il figlio irrequieto di un barbiere.
    Così irrequieto che a un certo punto lascia il paese per arruolarsi nella Legione straniera. Fa ritorno, così raccontano i suoi compaesani quattro anni dopo. È sempre irrequieto, ma è più forte e determinato. Soprattutto, ora spara da Dio.
    Uno così, in Calabria può avere molte opportunità. Soprattutto come killer.

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    Giustino De Vuono legionario

    Infatti, De Vuono partecipa a rapine, rapimenti ed estorsioni. Ed entra ed esce di galera. Ma anche dall’Italia: si reca spesso in Sudamerica, dove fa la spola tra Uruguay e Brasile. La sua specialità, secondo gli esperti e i testimoni dell’epoca, sono le armi automatiche, che maneggia con gran precisione. Una precisione che gli consente di “firmare” i suoi delitti con una raggiera di colpi attorno al cuore delle vittime.

    Questa “firma” sarebbe apparsa anche sul cadavere di Moro. E avrebbe consentito a don Cesare Curioni, l’ispettore dei cappellani penitenziari che seguiva la trattativa per liberare Moro su incarico di papa Paolo VI, di riconoscere De Vuono come killer.
    Questo stando alla testimonianza di don Fabio Fabbri, il vice di don Curioni, riportata da Giovanni Fasanella nel suo Il puzzle Moro (Chiarelettere 2018).

    Il sequestro e la pista calabrese

    Ma dove porta questa pista? Alle agenzie specializzate in contractors? Alla criminalità organizzata? O a entrambe? Di sicuro arriva in Calabria, come dichiarò durante il processo per il delitto Pecorelli nel 1997 l’ex deputato siciliano Benito Cazora, incaricato dai vertici della Dc di avviare dei contatti informali con la malavita calabrese, molto attiva a Roma negli anni ’70. Cazora dichiarò ai magistrati di Perugia che un calabrese, conosciuto come Rocco, avrebbe indicato al questore di Roma il rifugio di via Gradoli.

    Lo stesso Rocco, inoltre, avrebbe offerto il suo aiuto proprio a Cazora. Questa testimonianza riporta a De Vuono, che sarebbe stato identificato da alcune persone proprio a via Gradoli, travestito da uomo delle pulizie…
    Ma per conto di chi avrebbe agito De Vuono, di cui non risultano grandi passioni politiche, se non una generica simpatia per l’eversione di sinistra?

    Mino-Pecorelli
    Mino Pecorelli

    Ad ogni buon conto, l’ipotesi De Vuono è presa sul serio anche da Mino Pecorelli, che scrisse in un celebre articolo del suo settimanale Op a gennaio 1979: «Posso solo dire che il legionario si chiama De e il macellaio si chiama Maurizio». Dove Maurizio è il nome di battaglia con cui Mario Moretti era conosciuto nelle Br.
    Inutile dire che Pecorelli, ammazzato due mesi dopo il suo articolo sibillino, esibiva una conoscenza dei fatti superiore a quella degli altri giornalisti (tra l’altro, gli si attribuisce la conoscenza della versione completa del memoriale di Moro) che tutt’oggi risulta stupefacente e indicativa dei suoi rapporti col mondo dei servizi

    De Vuono dal Sud America a via Fani per Aldo Moro?

    L’unico punto debole di questa ricostruzione, comunque suggestiva, proviene da un rapporto del Sismi, secondo cui l’ex legionario De Vuono all’epoca del sequestro di Aldo Moro si trovava in Sudamerica. Questo rapporto è confermato dalla polizia del Paraguay, che lo considera presente sia nel proprio Paese sia in Brasile.
    Tuttavia, ciò non avrebbe impedito al supercecchino di spostarsi, anche in incognito, e di essere a Roma nei momenti clou del sequestro: cioè l’agguato di via Fani e l’uccisione dello statista, della quale si autoaccusò Moretti.

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    La scena dell’agguato di via Fani

    La fine misteriosa di Giustino De Vuono

    De Vuono sparì dall’Italia e fu arrestato nel 1983 in Svizzera, dove si trovava sotto falsa identità. Avrebbe passato i successivi dieci anni in galera a Caserta, dove sarebbe morto nel 1994. Il condizionale è quasi un obbligo, perché della sua tomba a Caserta non si trovò traccia. Ma, dato curioso, la sepoltura è stata trovata a Scigliano, senza che sia emersa la documentazione relativa allo spostamento della salma.
    È l’ultimo mistero di un tiratore formidabile…

  • Aldo Moro e Franco Piperno, i perché ancora senza risposta

    Aldo Moro e Franco Piperno, i perché ancora senza risposta

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    Quarantaquattro anni, tanti ne sono passati dalla strage di via Fani e dal delitto Moro, potrebbero essere un’occasione per fare chiarezza. Per avere qualcosa di più delle speculazioni necrofile che scattano ad orologeria in occasione degli anniversari tragici. Questo qualcosa – per ciò che riguarda il sequestro del leader democristiano – avrebbe un valore immenso, se provenisse da testimoni eccezionali.
    È il caso di Franco Piperno, che abbiamo provato comunque a contattare.

    Un mosaico in nero

    Non c’è saggio sul delitto Moro in cui il nome del fisico calabrese non compaia almeno una trentina di volte. Ne citiamo quattro, più o meno recenti, che tentano di raccontare quei fatti con gli approfondimenti doverosi e col tentativo di arrivare a una verità che vada oltre le insoddisfacenti versioni “ufficiali” senza tuttavia cedere alla dietrologia.
    Così ha tentato di fare lo storico ed ex parlamentare Miguel Gotor, nel suo Il memoriale della repubblica, uscito undici anni fa per Einaudi.

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    Franco Piperno negli anni ’70

    La spia che venne dal freddo

    Ancor prima di lui ha scritto cose significative il giornalista Francesco Grignetti, nel suo Professione spia (2002), dedicato a Giorgio Conforto, il più famoso agente del Kgb in Italia. Non è da sottovalutare, inoltre, il contributo del magistrato Rosario Priore in Chi manovrava le Brigate rosse?. E per finire, cose molto significative provengono da Il puzzle Moro, l’importante inchiesta di Giovanni Fasanella uscita quattro anni fa per Chiarelettere.

    Difficile orientarsi nel labirinto di citazioni, fatti, ipotesi documentate o solo verosimili, in cui, in un modo o nell’altro, spunta la figura di Piperno, che si ritrova al centro di un mosaico oscuro, che il professore non ha chiarito. O almeno non troppo.
    In questo mosaico c’è di tutto: l’inchiesta giudiziaria e la spy story, il racconto giornalistico e il romanzo, il saggio storico e la suggestione indiziaria. E c’è, attraverso Piperno ma non solo, un po’ di Calabria. Non mancano le polemiche, inevitabili quando le verità si moltiplicano perché ne manca una.

    Giorgio Conforto, in questa vicenda, c’entra indirettamente. Il legame tra Piperno e lui passa attraverso la figlia Giuliana, protagonista ufficialmente inconsapevole, del colpo di coda calabrese dell’affaire Moro.
    Conforto padre, nel 1979, è un funzionario del Ministero dell’agricoltura con un passato a dir poco interessante: legato all’Urss sin dalla prima giovinezza e salvato per un pelo dai rigori del Fascismo (della sua situazione si occupò personalmente Arturo Bocchini, il supersbirro di Mussolini) era stato per anni al servizio del Kgb come capocentro. Giuliana, invece, è una fisica ricercatrice, amica da anni dello scienziato calabrese.

    Proprio quest’ultimo si sarebbe interessato per procurare a Giuliana, separata da poco e con due figlie, un incarico all’Università della Calabria. Sempre nello stesso periodo Piperno e Lanfranco Pace, ex esponenti di punta di Potere Operaio, chiedono a Giuliana di ospitare due “compagni in difficoltà”. Sono Valerio Morucci e Adriana Faranda, Br in fuga, che avevano avuto un ruolo nel sequestro Moro ma si erano dissociati dall’ala dura del movimento, che faceva capo a Mario Moretti e ad Alberto Franceschini.

    Giuliana Conforto ospita i due, mentre fa su e giù dalla Calabria. E ne paga il prezzo: la notte del 29 maggio del 1979 la polizia fa irruzione in casa sua, a viale Giulio Cesare. La ricercatrice finisce in manette assieme ai suoi ospiti, di cui nega di conoscere la reale identità. Ma c’è di più: durante il blitz di viale Giulio Cesare, gli agenti trovano un arsenale di armi, tra cui la famigerata pistola Skorpion usata per uccidere Moro.

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    Lanfranco Pace negli anni ’70

    È doveroso dire che Giuliana Conforto è stata prosciolta da ogni accusa a livello giudiziario. Ma restano alcuni dubbi a livello storico. Il primo deriva dalle dichiarazioni di Pace e Piperno, riportate da Grignetti, che risultano in parte discordanti. Infatti, Pace dichiara di aver rivelato alla Conforto importanti elementi sull’identità dei suoi ospiti. Piperno, invece, si è limitato a parlare di “compagni con problemi”.

    Ma la dietrologia non finisce qui, perché Fasanella e Gotor vanno oltre. E pensano che nel blitz di viale Giulio Cesare potrebbe aver avuto un ruolo Giorgio Conforto, che avrebbe “consegnato” Morucci e Faranda in cambio della “salvezza” di Giuliana… sono ipotesi non confermate ma, a quel che risulta, neppure smentite.

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    Il brigatista rosso, Valeri Morucci

    La deposizione

    Lo spessore politico e intellettuale di Piperno emerge in pieno dalla deposizione resa il 18 maggio 2000 alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia, presieduta dall’ulivista Giovanni Pellegrino.
    In quell’occasione Piperno racconta il suo ruolo nel sequestro Moro. La vicenda è risaputa: su invito di Mario Scialoja, all’epoca direttore de l’Espresso, lo scienziato calabrese tentò una mediazione col Psi, attraverso il vicesegretario Claudio Signorile, per rompere il “fronte della fermezza”, costituito – com’è noto – da Dc e Pci.

    Nella sua deposizione, Piperno dice due cose importanti, che suonano un po’ come una smentita e un po’ come una reticenza. Afferma che il suo gruppo, che faceva capo alla rivista Metropolis, non aveva rapporti con Morucci e la Faranda e dice di non ricordare quali fossero stati i suoi contatti con le Br. Al riguardo, si spinge oltre: «Anche se li ricordassi non li direi, per un impegno d’onore».
    Poi marca la differenza tra Potere Operaio, di cui era stato leader, e le Br: anarcosindacalista e “sorelliano” PotOp; comuniste, anche d’ispirazione cristiana, le Brigate. Carica d’ironia l’accusa di “analfabetismo politico” rivolta ai brigatisti. Ma anche un’accusa facile, perché a livello culturale tra lui e Negri da un lato e i vertici delle Br dall’altro c’era un abisso.

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    Adriana Faranda, militante delle Brigate Rosse

    Resta un dubbio su due aspetti della vicenda: Morucci era comunque una conoscenza di Piperno, visto che proveniva da Potere Operaio. E, come abbiamo visto, resta agli atti l’impegno del professore calabrese per aiutarlo dopo la rottura.
    Inoltre, Morucci, pur avendo avuto un ruolo forte nel sequestro di Moro (lui e la Faranda sarebbero stati i “postini” delle Br), era entrato in collisione con l’ala militarista e mirava a negoziare. Possibile che non sia stato proprio lui il contatto di Piperno? E ancora: Flora Pirri, all’epoca moglie di Piperno, fu arrestata con l’accusa di aver partecipato all’attentato di via Fani. Fu una svista clamorosa, che – per fortuna – non ebbe conseguenze giudiziarie. Ma è una svista indicativa di come i movimenti e i legami del prof fossero più che attenzionati.

    Infine, sull’unico numero di Metropolis fu pubblicato un fumetto che raccontava in termini realistici (e corrispondenti al vero) gli interrogatori subiti da Moro. Siamo sicuri che i contatti del prof fossero persone “borderline”, come dice lui o elementi interni?
    Secondo aspetto: Gotor ipotizza che l’impegno di Piperno mirasse a discolpare gli ambienti dell’autonomia dalle accuse di collusione con la lotta armata. E questo è comprensibile, sebbene operare distinzioni in ambienti “permeabili” in cui i militanti passavano da un gruppo all’altro con facilità sia tuttora impossibile.

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    L’agguato di Via Fani in cui fu rapito Aldo Moro

    E tuttavia: perché proprio Piperno? Solo perché era figura di grande spessore e prestigio o, non piuttosto, perché in PotOp si erano formati alcuni futuri militanti delle Br?
    Su altre accuse, Piperno ha dato smentite secche. Ci si riferisce a quelle, formulate da Gotor, secondo cui lui avrebbe gestito la vicenda dell’appartamento di via Gradoli.
    Ne prendiamo atto, anche perché questa vicenda è oggetto di una pesantissima querela rivolta dalla giornalista tedesca Birgit Kraatz a Gero Grassi, ex membro della Commissione Moro 2. Ma non ci sono sue smentite su quanto scrivono Grignetti e Gotor sui rapporti con Morucci.

    La scuola delle spie

    L’aspetto più inquietante della parabola delle Br e quindi del sequestro Moro resta la scuola di lingue Hyperion, fondata a Parigi nel ’77 da Corrado Simioni, intellettuale inquieto ed ex membro del gruppo originale da cui sarebbero sorte le Brigate Rosse.
    Assieme a Simioni ebbero un ruolo in questa scuola anche Duccio Berio e Vanni Mulinaris. I tre avrebbero, inoltre, fatto parte della cosiddetta Superclan (che sta per Super clandestina), un’organizzazione scissionista delle Br, di cui non approvava le modalità operative.

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    Il corpo senza vita di Aldo Moro ritrovato in via Caetani

    Piperno nella sua deposizione afferma di non aver avuto rapporti con la scuola Hyperion. Tuttavia, secondo Priore, questa scuola avrebbe avuto rapporti con le Br: aprì una sede a Roma poco prima del sequestro Moro e questa sede era vicina a via Caetani, dove fu ritrovato il corpo dello statista. E ci sarebbe dell’altro: secondo molte accuse, mai finite in una sentenza, Hyperion sarebbe stata una “centralina” sia dei gruppi eversivi internazionali (Olp, Ira, Eta e Br ecc.) sia di alcuni Servizi segreti, tra cui Cia e Kgb. Il che riporta senz’altro a Conforto. Ma anche ad altri Servizi: in questo caso la Stasi, che aveva schedato Piperno, Morucci, Faranda, Pace e altri protagonisti di questa vicenda.
    Inoltre, un docente di Hyperion fu l’ex PotOp Toni Negri. Davvero è impossibile saperne di più?

    Inchiesta alla ’nduja

    Il contraccolpo sulla Calabria fu il blitz all’Unical dei carabinieri del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, avvenuto il 29 giugno 1979. Fu una maxiperquisizione senza esiti giudiziari ma seguita da polemiche aspre.
    Contro il generale si schierò Giacomo Mancini. I comunisti, in particolare Franco Ambrogio, presero posizione contro le Br.
    Altri tempi. Che sarebbe opportuno ricostruire con più chiarezza.

    Franco Piperno in una foto di qualche anno fa
  • Covid, Calabria sommersa dai casi

    Covid, Calabria sommersa dai casi

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    Il Covid continua a diffondersi in Calabria con numeri che destano preoccupazione. Sono 4.547 i casi registrati oggi a fronte di 17.892 tamponi. Un dato che fa schizzare il tasso di positività a percentuali mai registrate finora: 25,41%. Il bollettino odierno della Regione riporta, inoltre, sei decessi, che vanno ad aggiungersi ai 2.185 di questi lunghi mesi.

    Covid in Calabria, i dati di oggi provincia per provincia

    Questi i numeri di oggi comunicati dalle Aziende sanitarie provinciali alla Cittadella, calcolati come di consueto dall’inizio della pandemia:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 4.773 (65 in reparto, 8 in terapia intensiva, 4.700 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27.197 (26.956 guariti, 241 deceduti),
    • Cosenza: CASI ATTIVI 20.348 (100 in reparto, 2 in terapia intensiva, 20.246 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.068 (36.131 guariti, 937 deceduti);
    • Crotone: CASI ATTIVI 4.015 (29 in reparto, 0 in terapia intensiva, 3.986 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 21.459 (21.270 guariti, 189 deceduti);
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 11.070 (125 in reparto, 6 in terapia intensiva, 10.939 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 91.547 (90.891 guariti, 656 deceduti);
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 13.898 (9 in reparto, 0 in terapia intensiva, 13.889 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.386 (15.230 guariti, 156 deceduti).

    Il resoconto della giornata non si ferma qui. Nel bollettino diffuso dalla Regione si legge, infatti, che «per mero errore materiale nel bollettino regionale del 14.03.2022 sono stati comunicati dall’Asp di Catanzaro 26.255 guariti anziché 26.570. Inoltre, l’Asp di Catanzaro comunica 537 nuovi soggetti positivi di cui 4 fuori regione. L’Asp di Cosenza comunica 1.286 nuovi soggetti positivi di cui 16 fuori regione».

    covid-bollettino-17-marzo