Categoria: Fatti

  • Cosenza groove festival, si parte il 21 maggio

    Cosenza groove festival, si parte il 21 maggio

    Cosenza Groove festival al via il 21 maggio nella città dei bruzi. Anche quest’anno lo storico Conservatorio di musica “S. Giacomantonio”, diretto da Francesco Perri, ospiterà la rassegna dedicata allo sfaccettato mondo delle percussioni musicali dal nome Cosenza Groove festival, giunta finora alla sua sesta edizione.
    Un appuntamento davvero atteso da addetti ai lavori e appassionati anche coon masterclass promosse dal Conservatorio “Giacomantonio” di Cosenza. Concerti in programma nell’Auditorium parco della musica: Vibe & Vibrations (21 maggio, ore 19:30) con Paolo Cimmino & Christos Rafalidfes, Fabio Guagliardi e la Grooveria percussion ensamble di Tarcisio Molinaro; Vibe & Vibrations (21 maggio, ore 19:30) con Paolo Cimmino & Gianni Di Carlo, le classi di flauto del conservatorio Giacomantonio di Cosenza e la Grooveria percussion ensamble di Tarcisio Molinaro.

  • Notte dei musei: un ponte tra Cosenza e Corigliano-Rossano

    Notte dei musei: un ponte tra Cosenza e Corigliano-Rossano

    Una conferenza stampa congiunta per la Notte dei musei 2025 ma anche una proposta unitaria due amministrazioni comunali di Cosenza e di Corigliano-Rossano con la direzione della Galleria Nazionale di Cosenza. Un dialogo promosso per presentare insieme tre grandi eventi culturali che il comunicatore strategico Lenin Montesanto, coordinatore dell’iniziativa di ieri mattina nella Sala Giorgio Leone di Palazzo Arnone, ha definito «una singolare proposta esperienziale, oggettivamente inedita per le due città, preziosa ed utile per iniziare a raccontare la Calabria come una destinazione dello spirito».

    Notte musei, il programma tra Cosenza e Corigliano-Rossano

    Ad illustrare in dettagli il programma ricco e di qualità che parte da oggi sabato 17 maggio nella città capoluogo e che proseguirà fino a domenica 25 nella Città d’Arte sullo jonio, sono stati Rossana Baccari, direttore della Galleria Nazionale di Cosenza; la presidente dell’Associazione Rossano Purpurea Alessandra Mazzei; il vicesindaco di Corigliano-Rossano, Giovanni Pistoia; il dirigente del dipartimento programmazione del Comune di Corigliano-Rossano, Giovanni Soda e Antonietta Cozza, delegata alla cultura del Comune di Cosenza.

    La Notte Europea dei Musei vedrà co-protagonista la Galleria Nazionale di Cosenza attraverso la mostra d’arte contemporanea HUMAN e coinvolgerà con un ricco percorso culturale serale, anche il Museo dei Brettii e degli Enotri, il Museo Multimediale Consentia Itinera e Museo Diocesano. – La quarta edizione 2025 di PATIR Open Lab – Patrimonio Comunità Visioni ed il Premio Patir Giorgio Leone si articolerà da venerdì 23 a domenica 25 maggio toccheranno il Complesso monastico di S.Maria del Patire (uno dei Marcatori Identitari della Calabria Straordinaria), il Palazzo San Bernardino ed il Palazzo Madre Isabella De Rosis, nel centro storico di Rossano insieme al Quadrato Compagna, nello storico borgo marinaro di Schiavonea. – Sono questi i tre momenti territoriali di qualità, culturali ed esperienziali, proposti da Cosenza e da Corigliano-Rossano per i due prossimi weekend di maggio.

    Ricordato l’intellettuale rossanese Giorgio Leone

    La Galleria Nazionale di Cosenza alle ore 20 di questa sera (sabato 17) aprirà le porte sulle opere di tre talentuosi artisti calabresi contemporanei: Salvatore Anelli, Francesco Minuti e Tarcisio Pingitore. Invitando a non perdere questa occasione, la direttrice Baccari ha ringraziato le due amministrazioni di Cosenza e Corigliano-Rossano, guidate dai sindaci Franz Caruso e Flavio Stasi e l’Associazione Rossano Purpurea per aver scelto di organizzare ed ospitare la conferenza stampa congiunta a Palazzo Arnone, nella sala che porta proprio il nome del compianto Giorgio Leone. Ricordando con emozione la figura dell’intellettuale rossanese che ha sostenuto la cultura materiale e immateriale del territorio, la Baccari ha salutato in sala Rita Leone, sorella dello storico dell’arte e docente Unical scomparso nel 2016. La direttrice ha concluso con un appello: le grandi città facciano squadra per il turismo di prossimità, promuovendo i rispettivi patrimoni culturali.

    Patir, ponte tra Oriente e Occidente

    Con la promozione di questo momento condiviso – ha detto la Mazzei – abbiamo provato ad unificare una proposta altrimenti frammentata. Fin dalla sua genesi – ha aggiunto – Patir ha unito diversi elementi attorno a un concept forte: il suo stesso nome richiama un bene territoriale simbolo, non solo di unione tra le due anime della città, ma dell’intera area della Sibaritide; è pensato come ponte tra Oriente e Occidente, tra mondo greco e latino, tra confini che sono stati anche la nostra storia; una storia in cui elementi diversi devono incontrarsi, non escludersi. È per questo che Patir viene riconosciuto come luogo e locus capace di tenere insieme le anime che definiscono questo territorio, nella sua memoria storica e nella sua attualità. L’evento coinvolge tutti ed è ispirato alla pace, intesa e vissuta, attraverso le parole di Papa Francesco, non solo come assenza di guerra, ma come armonia con se stessi, la natura e gli altri.

     Premio Leone a Mimmo Lucano

    Pistoia ha sottolineato l’importanza del conferimento del Premio Leone a Mimmo Lucano, definito icona di una umanità che non vuole disperdersi nella disumanità e, alla memoria, ad Amedeo Ricucci, storico reporter di guerra della Rai. Dobbiamo sforzarci di evitare lacerazioni a tutti i livelli e preferire – ha continuato – la massima collaborazione tra cittadini ed istituzioni, superando ogni ipotesi conflittuale con virtuosismi concreti, come l’originale iniziativa odierna. Oggi più che mai in passato –ha scandito – abbiamo bisogno di ispirare meraviglia, riflessioni e pace e la tre giorni di Patir risponde a pieno a questa esigenza del cittadino e del viaggiatore contemporaneo.

    Ribaltare la narrazione della Calabria

    Questo esempio di collaborazione tra le due principali istituzioni pubbliche della  provincia di Cosenza – ha sottolineato Soda – può e deve rappresentare un punto di svolta. Corigliano-Rossano e Cosenza si uniscono in un ragionamento comune che può diventare tessuto condiviso tra due vaste ed importanti aree territoriali separate per soli 35 km in linea d’aria dalla grande Valle del Crati (l’unico fiume dell’Italia peninsulare a scorrere da sud a nord!) e che è archivio e deposito singolare di orizzonti, contenuti, biodiversità, storie e identità sulle quali ricucire – ha detto il dirigente facendo anche riferimento ai MID – narrazioni attrattive e competitive, L’entusiasmo sotteso a questa iniziativa nuova nel suo genere – ha concluso – rappresenta la conferma che c’è una nuova consapevolezza nelle comunità e nelle istituzioni locali, una nuova linfa che dobbiamo sapere accompagnare e sostenere, ribaltando tutti insieme il racconto della Calabria al quale purtroppo siamo stati abituati: non più quello di una terra abbandonata, isolata e predestinata, ma quella di un pezzo dell’Italia, non solo attraente ma dove si vive bene.

    Notte dei Musei, intesa Corigliano-Rossano con Cosenza

    Portando il saluto ed il messaggio di benvenuto del Sindaco Franz Caruso, la Cozza ha molto apprezzato lo spirito della conferenza stampa, auspicando che per il 2026 si possano anche calendarizzare iniziative ulteriori, senza sovrapposizioni e perfino promuovendo servizi di collegamento reciproco ad hoc dalle e per le rispettive comunità territoriali. L’intesa sulla cultura tra le città Corigliano – Rossano e Cosenza – ha concluso complimentandosi con la Mazzei per la qualità complessiva della tre giorni di PATIR Open Lab – rappresenta anche per noi punto di partenza ed un percorso significativo, un filo di seta che vogliamo continuare a tessere.

  • Unical, Raffaele Perrelli riconfermato alla guida del Disu

    Unical, Raffaele Perrelli riconfermato alla guida del Disu

    Il professor Raffaele Perrelli rieletto, con l’84,5 % dei voti, alla guida del Disu, Dipartimento di studi umanistici dell’Unical.
    Raffaele Perrelli – che resterà in carica fino al 31 ottobre 2029 – dirige il Disu dal 2021 ed era già stato rieletto a giugno dello scorso anno in occasione del turno di elezioni suppletive indetto ai sensi dell’art. 8.1 dello Statuto d’Ateneo per ottenere l’allineamento della durata dei mandati direttoriali a quella dei mandati senatoriali.
    Il professor Perrelli è stato preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. È stato più volte membro del Senato Accademico dell’Università della Calabria e presidente della commissione ricerca dello stesso senato.
    È un latinista e insegna Letteratura latina nel corso di laurea in Lettere; si è occupato di letteratura latina di età augustea (Orazio, Properzio, Tibullo, Ovidio) e tardoantica (Claudiano) con particolare attenzione, negli ultimi anni, alla fortuna degli autori classici nella poesia italiana del Novecento. Attualmente presiede la commissione nazionale relativa alla abilitazione scientifica per il suo settore scientifico-disciplinare. È membro di numerose accademie e società scientifiche e direttore della rivista di classe A Filologia Antica e Moderna.

  • Bandiere Blu Calabria, turismo non olet

    Bandiere Blu Calabria, turismo non olet

    Finalmente, dal fondo di ogni altra classifica possibile, qualcosa che ha il potere di renderci orgoglioni: le famigerate Bandiere Blu, sigillo esclusivo dell’instagrammabilità vacanziera i cui ingressi e uscite dall’olimpo delle mete estive sono attesi ogni anno più della guida Michelin. Ce ne hanno concesse altre 3, da piazzare sul tabellone del risiko turistico per un totale aggiornato di 23, con il sentiment immediatamente appropriativo del ‘ce’ che va ad aggiungere l’ultima conquista agli 11 Siti Unesco, ai 15 dei Borghi più Belli d’Italia, ai 3 Parchi Nazionali, e a qualche altra risorsa varia ed eventuale che in questo momento non mi viene. Un pedigree che nonostante certe campagne promozionali del passato (!), giustifica l’abbondante presenza della Regione Calabria alla BIT, la Borsa del Turismo di Milano, nell’attesa della moltiplicazione dei dépliant patinati in bus & charter.

    Bandiere blu Calabria: meglio delle altre regioni

    In realtà a leggere i dati in una prospettiva che non sia solo quella della classifica nazionale, si scopre non solo che la performance calabrese è migliore del suo piazzamento, terza in sorpasso sulla Campania, quanto soprattutto se ne apprezza comparativamente la dimensione. La Puglia, seconda in Italia per quantità di bandiere Blu con 27, ha uno sviluppo costiero di 1.040 km, il che secondo la statistica dei due polli significa una bandiera ogni 38,5 km; la Calabria, terza in classifica, con i suoi 788,92 km di coste può vantare invece una bandiera ogni 34,3 km.

    Ma è il confronto con due regioni che hanno nelle coste una risorsa turistica potenzialmente ancora maggiore ad essere impietoso: la Sardegna, regione italiana dalla maggiore estensione costiera, con 1.897 km e 16 Bandiere Blu, ne conta una ogni 118,5 km, mentre la Sicilia, con 1.637 km di coste, isole minori comprese, e 14 Bandiere Blu, ne ha una su 116,9 km.

    Bandiere blu Calabria: local e global

    Considerato quindi che i parametri per l’attribuzione della Bandiera Blu non sono proprio all’insegna del baubau miciomicio, dalla qualità delle acque di balneazione a una gestione ambientale che garantisca la conservazione e la biodiversità degli ecosistemi marini, con la novità di quest’anno del Piano di azione per la sostenibilità (Action Plan) da realizzare e monitorare per i successivi tre anni, si può dire – con quell’abbondante meraviglia rasente all’incredulità – che è stato fatto un buon lavoro sulla risorsa primaria di una possibile economia. Si tratta ora di costruire una diversa attrattività, un po’ più local che global, all’insegna di un’altra Bandiera, Gialla come la canzone sessantina di Pettenati.

    I viaggiatori del ’56

    E come metafora di un sistema di servizi, dall’hôtellerie alla ristorazione, l’escursionistica, la cultura, che arricchiscano l’esperienza del nostro territorio, a volte non all’altezza delle sue potenzialità. È passato del tempo, ma nella memoria incombe sempre l’esperienza raccontata da Stanley e Mary Lee, i due americani che nel ’56 girarono “L’Italia in Topolino”, diario di viaggio antesignano di Tripadvisor che dedicava alla regione una stroncatura di un intero capitolo, “La Topolino in fuga dalla Calabria verso Messina”.

    Intanto, un’altra pubblicità, stavolta aggratis, ce la regala Temptation Island, il reality che per la prossima edizione si sposta a Guardavalle Marina, sempre su quella costa ionica premiata con le 3 nuove Bandiere Blu: in prospettiva, qualcuno di più pragmatico direbbe che turismo non olet…

  • Morto un papa se ne fa un altro (calabrese)

    Morto un papa se ne fa un altro (calabrese)

    Morto un papa se ne fa un altro. Così recita un arcinoto proverbio, certamente pronunciato innumerevoli volte in questi giorni di lutto per la morte di Francesco, il “papa venuto dalla fine del mondo”, e di trepidazione per l’elezione del prossimo vescovo di Roma, successore di San Pietro.
    Chi è chiamato a “farlo” il prossimo pontefice, sta piano piano convergendo da ogni continente – settantuno i Paesi rappresentati, dal Brasile a Timor Est, da Capo Verde a Tonga –, verso il Vaticano, e più precisamente verso la Cappella Sistina. È lì che si sceglierà il duecentosessantasettesimo papa della Chiesa cattolica, e chissà che non sia calabrese.

    I 133 cardinali chiuderanno alle loro spalle la porta della principale cappella del Palazzo Papale nella giornata del 7 maggio, dopo aver celebrato la messa Pro Eligendo Romano Pontifice e pronunciato la tradizionale formula extra omnes.
    Quello in partenza si preannuncia un conclave abbastanza celere, sulla falsariga degli ultimi due – ma, in linea generale, è così dalla metà dell’Ottocento a seguire –, quelli che hanno portato al soglio pontificio Benedetto XVI e Francesco, durati poco più di ventiquattro ore e, rispettivamente, quattro e cinque scrutini.

    Il “totopontefice” e cosa aspettarsi

    Sarà davvero un conclave breve come tanti osservatori e financo alcune berrette rosse prevedono? E poi, il prossimo Santo Padre sarà conservatore, progressista o realista? Quale nome papale sceglierà? Seguirà il sentiero tracciato da Francesco o assisteremo a una restaurazione in seno al Vaticano? E se a distanza di quasi mezzo secolo dovesse riaffacciarsi in San Pietro un papa italiano, questi sarà utilizzato per esibire una rinnovata centralità del nostro Paese sulla scena mondiale?
    Sono tutte sfumature di un esercizio oltremodo futile. Come futile – e pure un pelo sacrilega – è la tendenza dei giornalisti, dei vaticanisti e del popolo a volere indovinare il nome del prossimo rappresentante di Dio in terra. Ma si sa, in questa epoca di crisi del giornalismo ogni briciola di notizia è buona per riempire una pagina, cartacea o digitale che sia.

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    Il conclave riunito in Vaticano

    La storia dei conclavi moderni ce lo insegna: l’Habemus Papam – questa volta ad annunciarlo, al netto di una sua nomina, sarà il cardinale protodiacono Dominique Mamberti – lascia quasi tutti sorpresi e non è rara la circostanza che il nome del papa eletto risulti sconosciuto alla massa credente, che esso esuli dalle liste dei papabili al soglio pontificio diffuse dalla stampa. Si dice, d’altra parte, che chi entra in conclave papa ne esce cardinale. Vedremo se anche questo capitolo della secolare riunione plenaria – il primo conclave ufficiale della storia della Cristianità sarebbe quello che nel gennaio del 1276 condusse alla Cattedra di Pietro papa Innocenzo V – confermerà l’adagio.

    Un papa calabrese? I 10 precedenti

    Tralasciando pronostici e speculazioni e analizzando l’elenco dei duecentosessantasei papi finora a capo della Chiesa cattolica, scopriamo che la storia della principale confessione cristiana al mondo ha visto in diverse occasioni un Sommo pontefice di origini calabresi. Radici che, in vero, in taluni casi sono dubbie, non così tanto da non permetterci di annoverarli nell’inventario cui diamo il via.
    Terra di profonda spiritualità, fulcro di approdo e diffusione del Cristianesimo – Paolo di Tarso, uno dei primi santi e martiri della religione cristiana, vi transitò nella sua missione apostolica verso Roma –, la Calabria ha offerto alla Chiesa cattolica ben dieci papi, tutti di origine greca e greca-bizantina.

    Il primo dei papi calabresi della Chiesa risale addirittura al II secolo dopo Cristo, agli albori del Cristianesimo. Era il 127 circa, sotto l’imperatore romano Adriano, quando Telesforo di Terranova di Calabria – oggi Terranova di Sibari – della diocesi di Thurio veniva elevato al ministero petrino. Si trattava dell’ottavo pontefice della storia. Secondo quanto scritto nel Liber pontificalis – opera di riferimento che raccoglie le biografie dei papi dei primi secoli della Chiesa –, il pontefice della Sibaritide fu autore del canto del Gloria in excelsis Deo prima di morire martire fra il 137 e il 138. Telesforo, il primo papa calabrese, è venerato come santo sia dalla Chiesa cattolica – che lo ricorda il 2 gennaio – sia dalla Chiesa ortodossa.

    Pontificati e persecuzioni

    Nel secolo successivo, popolo e nobiltà elessero due nuovo papi di origine calabrese.
    Nel 235 fu la volta di Antero, nativo di Petelia, già città magnogreca e poi municipio romano. Il diciannovesimo Santo Padre – citato anche dall’archeologo François Lenormant nella sua monumentale La Grande-Grèce – originario del territorio oggi corrispondente grossomodo a Strongoli, cittadina del Crotonese, durò appena una manciata di settimane, martirizzato pure lui il 3 gennaio 236.

    Un paio di decenni dopo fu eletto vescovo di Roma un altro papa della diocesi di Thurio, così come San Telesforo: si trattava di Dionisio (o Dionigi), papa fra il 259 e il 268, anno al termine del quale morì, pare in questo caso per cause naturali. Papa nei sanguinosi anni delle persecuzioni dei seguaci cristiani da parte dell’imperatore Valeriano, Dionisio definì in maniera più netta, secondo quanto scrisse Eusebio di Cesarea nella sua Historia Ecclesiastica, i confini delle varie diocesi, ammonendo i vescovi al rispetto di questi limiti. Fu sepolto nella cripta papale delle catacombe di San Callisto.

    Editti ed eresie

    Durò soli quattro mesi il pontificato del quarto Sommo pontefice nativo della Calabria. Parliamo di Eusebio da Altano, poi Casegghiano – località che doveva essere vicina a San Giorgio Morgeto –, divenuto papa nell’aprile del 309 ed esiliato, per decreto dell’imperatore Massenzio, ad agosto dello stesso anno in Sicilia. Sull’isola del Mediterraneo morì martirizzato nel 311. Soltanto due anni più tardi, nel 313, sarebbe stato emanato il celebre Editto di Milano, carta con la quale i due imperatori romani di allora – Costantino per l’Occidente e Licinio per l’Oriente – concedevano libertà di culto ai cristiani, favorendo così la propagazione nel mondo del Cristianesimo.

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    La statua dell’imperatore Costantino davanti alla Basilica di San Lorenzo a Milano

    Dopo il Sacco di Roma e con all’orizzonte la caduta dell’Impero romano d’Occidente, fra il 417 e il 418 si registra il papato di Zosimo. Nativo di Messurga, già enotria Reazio e contemporanea Mesoraca – come riportò alla fine del Sedicesimo secolo lo storico Scipione Mazzella nella Descrittione del regno di Napoli –, Zosimo si trovò a fronteggiare con fermezza l’eresia del pelagianesimo – dottrina dissidente sorta all’interno del Cristianesimo – e a scontrarsi con i vescovi delle Gallie, della Spagna e dell’Africa. In generale, il suo ministero fu piuttosto travagliato. Santificato dalla Chiesa cattolica, la celebrazione della memoria liturgica cade il 26 dicembre.

    Agatone, il papa calabrese emulo di Matusalemme

    Fra i secoli Settimo e Ottavo si susseguirono gli ultimi cinque papi venuti dalla Calabria.
    Ricordato per l’animo particolarmente caritatevole è Agatone, papa salito al soglio petrino nel 678. Di lui le generalità sono però assai confuse. In primis le origini: alcune fonti lo portano come siciliano, altre – fra queste l’autorevole Grande Dizionario Enciclopedico UTET – come nativo dell’area attorno a Reggio Calabria. E poi, ancor più incerta, l’età che aveva alla sua elezione. Pare che in quell’anno 678 in cui succedette a papa Dono, Agatone fosse già ultracentenario, essendo probabilmente il 575 il suo anno di nascita.

    Nonostante l’età eccezionalmente avanzata, il suo pontificato non sarebbe durato pochissimo: restò massimo vicario di Cristo fino al 681, anno in cui lo colse la morte a causa di una epidemia di peste. Dando credito alla sua leggenda agiografica, papa Agatone, venerato come santo taumaturgo dalla Chiesa cattolica quanto da quella ortodossa, deterrebbe due primati: quello del più anziano papa al momento della elezione e quello del più longevo al termine del pontificato.

    Leone II e Giovanni VII

    Un’altra disputa riguardo la provenienza emerge pure per il papa che seguì Sant’Agatone, Leone II, ottantesimo pontefice della Chiesa cattolica fra il 682 e il 683. E anche in questo caso la paternità è dibattuta fra Reggio Calabria e la Sicilia, che presenta sul tavolo ben tre possibili nidi: Messina, Piazza Armerina e Nicosia. Papato breve ma significativo quello di Leone II: nel corso del suo ministero fissò la dipendenza della sede vescovile autocefala di Ravenna da quella di Roma. Sarebbe, inoltre, lui ad avere inserito nel rito della messa il Bacio della pace, un segno antecessore dello Scambio della pace di oggi.

    Religioso erudito e di marcata sensibilità artistica, Giovanni VII nacque a Rossano nel 650, figlio di un funzionario bizantino. Fu lui l’ottavo papa che la Calabria diede alla Chiesa cattolica. Giovanni VII fu pontefice dal 1° marzo 705 al 17 ottobre 707, giorno della morte, confermato anche dallo storico e presbitero Gabriele Barrio e dal suo discepolo Girolamo Marafioti. Nel corso della sua parabola papale ebbe dei contrasti con l’imperatore di Bisanzio Giustiniano II e fece costruire la Cappella della Vergine Maria nella Basilica di San Pietro, sito in cui riposa.

    Una pausa di oltre 1250 anni

    Durò per oltre una decade il pontificato di un altro papa di origini calabresi, Zaccaria, nato nel 679 nella antica Siberene, città enotria da far coincidere presumibilmente con l’attuale Santa Severina, nel Marchesato. Figura influente della Chiesa e già vicino collaboratore del precedente pontefice, papa Gregorio III, Zaccaria fu consacrato il 10 dicembre 741, pochi giorni dopo la scomparsa del predecessore. Resse la Chiesa di Roma fino al 15 marzo 752, giorno in cui spirò. Il 15 marzo è anche la giornata in cui ricorre la sua commemorazione.

    Il decimo e ultimo papa calabrese della storia della Chiesa – decimo in poco più di seicento anni, fra il II e l’VIII secolo, uno ogni sessant’anni suppergiù: media a dir poco notevole – è stato Stefano III, già cardinale di Santa Cecilia e Capo della Chiesa cattolica dal 1º agosto 768 fino al 24 gennaio 772. Pure nel suo caso, però, i natali sono contesi: alla presumibile nascita in territorio di Santo Stefano d’Aspromonte si affiancano, infatti, interrogativi circa una origine in realtà siciliana. Stefano III tentò di sanare gli attriti provocati dagli antipapi – pontefici eletti seguendo procedure diverse da quelle disciplinate dal diritto canonico –, e provò con scarse fortune a contenere la politica aggressiva del re dei Longobardi Desiderio.

    Un nuovo papa calabrese?

    Concludiamo questa divagazione papale con un nome: Domenico Battaglia.
    Dal 2020 arcivescovo metropolita di Napoli e dallo scorso gennaio nominato membro del Dicastero per l’evangelizzazione, Domenico Battaglia è nato a Satriano, centro del litorale jonico Catanzarese, nel 1963. Anche lui, don Mimmo, come lo chiamano i suoi fedeli, sarà fra i porporati che da mercoledì si chiuderanno nella Cappella Sistina, nel conclave più affollato di sempre, per eleggere il prossimo Santo Padre.

    Domenico Battaglia con Bergoglio: potrebbe essere lui l’undicesimo papa calabrese della Storia

    Una curiosità finale: don Mimmo Battaglia è stato l’ultimo cardinale creato da Francesco, che lo nominò berretta rossa di San Marco in Agro Laurentino nel concistoro del 7 dicembre 2024. E chissà che proprio dall’epilogo possa sorgere un nuovo principio.

  • Francesco, il Papa che voleva riformare la Chiesa

    Francesco, il Papa che voleva riformare la Chiesa

    «E’ stato il papa che ha cercato di riformare la Chiesa, con coraggio e amore». A pochissime ore dalla morte di Papa Francesco, la testimonianza di Don Francesco Savino, vescovo di Cassano e vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana, è un tumulto di emozione e dolore. Le parole di Don Francesco sono un fiume in piena che trascina con sé lo strazio di aver perso una guida e un amico, ma resta intatta in quelle parole la lucidità di chi ha compreso e condiviso un cammino teologico e sociale, perché è impossibile negare anche dal punto di osservazione di un laico, come le scelte, l’operato e la vita stessa di Francesco siano state improntate alla coniugazione ineludibile tra il mondo reale, fatto di persone e l’interpretazione teologica,  incarnando la presenza tra gli uomini e «mettendo al centro il significato del Vangelo, senza mediazioni».

    Per i calabresi è stato il Pontefice che ha avuto il coraggio di scomunicare gli ‘ndranghetisti. Venne a Cassano, ricordando la terribile morte del piccolo Cocò. E lanciò questo grido contro una delle grandi piaghe che affliggono la nostra regione e il nostro Paese. Non era scontato perché gli altri non l’hanno fatto.

    Don Francesco Savino, vice presidente della Conferenza episcopale e vescovo di Cassano

    Un Papa contro le guerre

    Il Vangelo “senza mediazioni” significa trovare il coraggio di gridare parole «contro la guerra, lanciare parole che avvisavano che nessuna pace si può costruire con il riarmo», ricorda don Savino.  E non si può fare a meno di pensare come la sua sia stata una delle  voci contro in una politica mondiale che si prepara meticolosamente al massacro pronta –  come è sempre avvenuto in passato – ad arruolare Dio tra le proprie truppe.

    Le parole contro l’economia che crea ingiustizie

    E invece Dio per Bergoglio stava con gli ultimi, con «i detenuti che fino all’ultimo sono stati uno dei suoi pensieri», racconta ancora, con la voce infranta, Savino, che quasi profeticamente immagina che Francesco sarà il papa che «impareremo a capire e rimpiangere meglio ora che non c’è più, adesso che sentiamo la mancanza di una guida che abbia il coraggio di spiegarci come l’economia non debba generare scarti, non debba alimentare ineguaglianze e ingiustizie», frasi che in tempo di massimizzazione del profitto a scapito della dignità umana, suonano come eretiche.

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    L’accoglienza dei cassanesi durante la visita del Papa

    Il Concilio Vaticano secondo e la sua attualizzazione

    Impareranno a capirlo e rimpiangerlo anche quanti, non pochi, lo hanno osteggiato? Don Savino è mosso dall’ottimismo che gli viene dalla fede e non dubita che anche questo accadrà. Di certo, dal punto di vista del vescovo di Cassano, Bergoglio è stato il papa che più di ogni altro ha cercato di concretizzare il Concilio Vaticano II, che per alcuni versi era rimasto come sospeso e inattuato, «partendo da Paolo VI, e dal suo insegnamento». Ma quanto forte sia stato il percorso tracciato dal pontificato di Bergoglio si vedrà presto, per ora «è il tempo della preghiera e del rimpianto», ma anche della sorprendente casualità, quella che l’ha visto morire nel Lunedì dell’Angelo.

    Papa Francesco celebra la messa durante la sua visita a Cassano, nel 2014

    La Pasqua, la Fede e la vita eterna

    «E’ la sua Pasqua – non esita a dire Don Francesco Savino, con la voce solo un poco più pacata – perché come sanno i credenti e come lui ci ha ripetuto, la morte è solo penultima, dopo c’è la vita eterna». Per i laici resta la meraviglia di aver visto un Papa che parlava contro il disumano che c’è nell’ideologia del profitto e non celava i suoi sospetti verso Trump e i nuovi profeti del neoliberismo. Questo basta per averne il rimpianto.

  • Jujitsu: il maestro Giuseppe Cavallo fiduciario regionale Fijlkam

    Jujitsu: il maestro Giuseppe Cavallo fiduciario regionale Fijlkam

    Il maestro di arti marziali Giuseppe Cavallo è il nuovo fiduciario regionale del settore Jujitsu della Fijlkam, l’unica federazione ufficiale del Coni di judo, lotta, karate, arti marziali. La nomina, su proposta e a firma del presidente regionale federale, maestro Enzo Migliarese, è arrivata dopo l’ultima riunione del consiglio del comitato regionale Fijlkam Calabria.

    Nella lettera indirizzata al maestro Cavallo, si legge: «Una nomina che non solo premia competenza, conoscenza e impegno sociale, ma anche coerenza intellettuale, gratuità e dedizione nella consapevole responsabilità di essere riferimento, serio ed equilibrato, su temi sensibili e strategici per le sorti delle nostre società e dell’intera comunità sportiva Fijlkam del territorio». Il Jujitsu o arte della cedevolezza, antesignano delle discipline marziali giapponesi, è un’arte di difesa personale che basa i propri principi sul concetto e sul metodo della flessibilità e dell’utilizzo della forza dell’avversario a proprio vantaggio. Il dottore Giuseppe Cavallo, tra i massimi specialisti del settore, è maestro federale, oltre che di jujitsu, anche di karate e insegnante tecnico di lotta e judo. Inoltre, sempre nell’ambito delle federazioni ufficiali del Coni, possiede la massima qualifica di maestro nel wushu kung fu e nella kickboxing.

  • La Fiera della solidarietà

    La Fiera della solidarietà

    Il riso e i fagioli cuociono in due diversi grandi pentoloni, mentre sui tavoli viene affettato il pane e tutt’attorno c’è l’allegria della solidarietà. Si prepara l’accoglienza dello straniero, degli ultimi del mondo, quelli che certa politica vorrebbe tenere ai margini, scacciare, anzi, la parola giusta è deportare, perché come ogni anno saranno molti gli stranieri che porteranno la loro mercanzia alla Fiera di San Giuseppe, generalmente nord africani, spesso irregolari, uomini e donne che non hanno altro che ciò che possono portare.  «Noi non li vogliamo mandare in Albania, vogliano dare loro da mangiare», dice ridendo una signora mentre confeziona i pasti che dalle sette e mezza di sera saranno distribuiti ai migranti che sono venuti a vendere la loro mercanzia alla Fiera di San Giuseppe. Alla fine saranno pronti più di cinquecento pasti caldi.

    Solidarietà: c’era una volta Fiera in mensa

    Una volta si chiamava “Fierainmensa” e per anni ha trovato nei capannoni occupati del Rialzo il quartier generale della solidarietà. Un volontariato trasversale, che coinvolgeva la sinistra antagonista e il mondo cattolico, le associazioni del Terzo settore e singoli cittadini. Oggi quella esperienza riprende vita, coinvolgendo 14 associazioni (Stella Cometa, Terra di Piero, Moci, Migrantes diocesana, Istituti Buddista, Fondazione Lilli Funaro, Radio Ciroma, Caritas diocesana, Banco alimentare, Azione cattolica, Auser, Anteos, Agesci, L’Arte in corso). A far ripartire la macchina dell’accoglienza sono stati in quattro, racconta Maria Pia Funaro, «prendendo un caffè con gli amici Max Orrico, Gianfranco Sangermano e Andrea Bevacqua, ci è venuto in mente di provarci».

    Volontari preparano i pasti

    Era ancora Dicembre e il tam tam è partito, occorreva tessere la tela che avrebbe tenuto assieme mondi diversi eppure impegnati sullo stesso fronte della solidarietà, soprattutto era necessario raccogliere energie tali per essere capaci di dare da mangiare a molte persone per cinque giorni. Servivano volontari, serviva il sostegno delle attività commerciali che avrebbero regalato l’invenduto delle giornate, serviva un luogo che facesse da base.

    I pasti vengono distribuiti

    Una città con una lunga storia di accoglienza

    L’esperienza dello scorso anno, che aveva visto la distribuzione delle colazioni calde non poteva bastare, soprattutto perché la Fiera cade proprio nel periodo di Ramadan e dunque i destinatari principali dell’impegno solidale avrebbero potuto mangiare solo dopo il tramonto. Tuttavia c’è un aspetto che va oltre lo sforzo organizzativo, c’è il messaggio che sta tutto dentro una visione del mondo che si vorrebbe uguale e più umano. «Cosenza ha una lunga tradizione di accoglienza, radicata nella sua storia, nelle edizioni passate della Fiera ci sono stati nuclei familiari che hanno ospitato donne con bambini, dando loro un luogo sicuro e dignitoso dove dormire», ricorda Maria Pia Funaro, mentre tutt’attorno fervono i preparativi.

    Si confezionano i cestini

    La Cosenza migliore

    Una memoria di solidarietà che è rimasta viva, visto che questa mattina sono giunte due donne con tre bambini presso il Moci per domandare se c’era un posto dove sostare. Di quella solidarietà occorre trasferire il senso da una generazione all’altra, per non perdere la traccia di una città che è stata orgogliosamente aperta e antirazzista e vedere attorno ai tavoli adulti e ragazzi tagliare il pane e preparare il cibo dice che forse nulla è perduto. Un messaggio controtendenza, in una società che pare dare fiato ai comportamenti più avari e a pratiche politiche che si alimentano sulla divisione.  Accogliere e dare da mangiare a chi viene da lontano, resta forse il gesto più autenticamente umano. Non è molto, ma è quel che ci resta, comunque sia è il segno della Cosenza migliore.

  • La realtà manipolata nell’era del Deepfake

    La realtà manipolata nell’era del Deepfake

    Il concetto di realtà è qualcosa di molto più sfumato di quanto non ci piaccia credere: i nostri sensi ci ingannano, la nostra memoria riscrive e riorganizza i ricordi e, talvolta, ci induce a rimuovere episodi traumatici. La nostra percezione degli eventi varia in base alla nostra prospettiva. Potremmo dire che il  nostro rapporto con il reale è mediato dalla nostra esperienza del mondo o da quella che ci viene trasmessa in varie forme e attraverso vari mezzi. Esiste, però, una netta differenza tra ricostruzioni soggettive del reale e falsificazione della realtà.
    La prima è un processo inevitabilmente legato alla fallacia umana, la seconda è un’arma di influenza sociale e politica. E i deepfake ne sono un esempio evidente.

    Bugie, algoritmi e manipolazione della realtà

    La manipolazione della realtà non è un fenomeno nuovo né esclusivo della nostra epoca storica: basti pensare alla falsificazione di documenti e reperti storici, alla propaganda politica dei regimi novecenteschi o al fenomeno delle fake news sui social media attraverso cui si manipola l’opinione pubblica. Ciò che cambia oggi è la portata della manipolazione e la velocità con cui essa può essere diffusa.
    Una delle espressioni più sofisticate di questa tendenza è rappresentata, appunto, dai deepfake.
    Essi nascono dall’unione del deep learning e della generazione di contenuti falsi: algoritmi come le Generative Adversarial Networks (GAN) apprendono dai dati visivi e vocali per creare immagini, video e audio di altissimo realismo, sovrapponendo voci e volti reali su foto o video mai scattati o ripresi.

    Arte e porno

    Questi strumenti trovano interessanti applicazioni nella sfera della produzione artistica, ricostruendo volti storici o permettendo di girare film ringiovanendo o invecchiando gli attori. Allo stesso tempo possono essere usati come strumenti di potere.
    Il fenomeno non è trascurabile: dalle analisi realizzate da Security Hero emerge un aumento del 550% dei deepfake online tra il 2019 e il 2023, anno in cui sono stati diffusi 95.820 video di questo tipo. Ma qual è lo scopo principale per cui sono realizzati? Campagne di disinformazione politica? Intrattenimento? No. Il 98% dei video deepfake online è di natura pornografica e il 99% dei soggetti usati per la realizzazione di questi video sono donne.

    Deepfake in Calabria: il caso di Acri

    Ci scandalizziamo per la pornografia? No, ma ciò che deve allarmarci è l’assenza di consenso esplicito per la creazione di tali contenuti. Un caso emblematico si è verificato alla fine di febbraio 2025 ad Acri, nel cosentino.
    Un’inchiesta della Procura di Cosenza, avviata grazie alle denunce di alcuni genitori, ha portato alla luce un grave fenomeno di manipolazione digitale: più di 1.200 foto di adolescenti, principalmente ragazze, sono state alterate tramite intelligenza artificiale per creare contenuti a sfondo sessuale, poi diffusi su Telegram.
    Le foto originali erano foto quotidiane, non diverse da quelle che molte e molti di noi postano sui social o inviano su gruppi di compagni di scuola o colleghi. L’indagine ha coinvolto oltre 200 minori e ha avviato perquisizioni informatiche per identificare i responsabili. Le accuse che potrebbero includere la diffusione di materiale pedopornografico.

    Una veduta di Acri

    Uso dell’immagine e social

    Il problema dei deepfake si radica profondamente nella violazione del consenso, sollevando interrogativi cruciali: chi ha il diritto di decidere come e in quali contesti la propria immagine venga utilizzata?
    Il deepfake rappresenta una forma di violenza simbolica, che si avvicina per impatto e dinamiche, al reato di stupro. In entrambi i casi si tratta di un esercizio di potere, esercitato ai danni di chi subisce questo abuso, e la mancanza di consenso priva l’individuo del controllo sulla propria identità, sia essa fisica o digitale, e nega la possibilità di scegliere rispetto al proprio corpo.

    Inoltre, la diffusione non consensuale di materiale intimo assume una nuova dimensione con i deepfake: non è più necessario che esistano immagini intime reali per compromettere la reputazione di una persona, è sufficiente creare contenuti falsi ma credibili. La creazione di contenuti pornografici non consensuali, che sfruttano il volto delle donne, è una manifestazione di violenza di genere che perpetua la cultura dello stupro. Come l’invasione fisica del corpo, il deepfake manipola l’immagine personale trasformandola in un oggetto e negando alla vittima il diritto fondamentale all’autodeterminazione. Questo fenomeno non è solo una questione tecnica, ma un attacco diretto all’identità e alla soggettività delle donne e può essere visto come una manifestazione digitale della violenza sessuale.

    Vittime dei deepfake senza tutele

    Ma quali tutele ci sono per le vittime? La natura stessa dei deepfake rende complessa la loro regolamentazione. In Italia non esiste una legislazione specifica che affronti direttamente il fenomeno dei deepfake. In assenza di una normativa ad hoc, si fa riferimento a leggi esistenti, come quelle sulla diffamazione e sulla violazione della privacy, per perseguire legalmente gli autori di deepfake dannosi.
    A livello europeo la situazione non differisce molto: sebbene si riconosca l’esigenza di regolamentazioni specifiche, che tutelino l’integrità degli individui rendendo l’uso di questi strumenti più trasparente e responsabile, la rapida evoluzione dei deepfake richiede un approccio legislativo flessibile. L’intervento dei governi, tuttavia, rischia di non essere sufficiente senza la collaborazione delle piattaforme su cui i deepfake sono diffusi.

    Francesca Pignataro

  • La sanità in Calabria, pochi dati e inadeguati

    La sanità in Calabria, pochi dati e inadeguati

    «La salute è un fatto sociale totale» e dunque esige uno sguardo interdisciplinare per poter essere osservata e più ancora per provare ad avanzare qualche proposta politica. Non è un caso che al Centro studi su società, salute e territorio, il think tank targato Unical, partecipino ben nove dipartimenti, oltre a quello di Scienze politiche che ne è il capofila (Ingegneria meccanica; Ingegneria informatica; Statistica e finanza; Farmacia e Scienze della salute; Matematica e informatica; Culture, educazione e società; Ingegneria dell’ambiente; Biologia e Scienze della terra). Scienze “dure” e “molli”, ingegneri e ricercatori sociali, stregoni dell’Intelligenza artificiale e umanisti, perché per studiare il legame tra benessere sociale e individuale, tra l’uso delle risorse e la qualità della vita, si deve essere pronti a superare i confini delle discipline.

    L’interdisciplinarità come metodo per migliorare il sistema sanitario

    Il tema dell’interdisciplinarità, assai caro Giap Parini, sociologo e direttore del Dispes, viene evocato praticamente subito nell’intervento d’apertura del dibattito su “Dati, Sistema informativo in Sanità”. Parini va al cuore delle cose: «la salute e la sanità sono forme sociali che vanno osservate in tutte le loro dimensioni», dunque l’aspetto giuridico, economico, sociale, devono trovare coniugazione efficace. Vincenzo Carrieri, docente di Scienze delle finanze e direttore del Centro studi su società e salute, parte dal problema che sta all’origine di ogni ricerca e cioè la raccolta dei dati, le informazioni sulla base delle quali si costruisce una strategia. Il suo sguardo va audacemente alla Danimarca, ma pure alla Gran Bretagna, dove esiste una consolidata “cultura dei dati” e dove i cittadini che si rivolgono ai sistemi sanitari sono tracciati in modo tale da garantire efficienza nel percorso diagnosi – terapia. Qui è tutto differente: «abbiamo dati incompleti, poche Regioni hanno avviato la raccolta delle informazioni e finiscono per influenzare gli orientamenti in materia di politiche sanitarie», dice Carrieri.

    Le Regioni nel nord impongono i loro dati

    Vuol dire che i dati raccolti in Emilia, in Toscana o in Lombardia, (le Regioni meglio attrezzate da questo punto di vista) pur non essendo rappresentativi del Paese, vengono assunti come indicazioni nazionali per disegnare la sanità di tutti. Ma c’è un altro problema con cui fare i conti, come avvisa Mariavittoria Catanzariti, giurista dell’Università di Padova e docente dell’European University Institute e riguarda la tutela della riservatezza e i dati relativi alla salute delle persone sono una mole di informazioni di straordinaria delicatezza. Una questione che invoca l’intervento di chi con i dati e il loro trattamento lavora da un pezzo. Gianluigi Greco, direttore del Dipartimento di Matematica e informatica dell’Unical e presidente dell’Associazione italiana per l’Intelligenza artificiale, ci tiene a spiegare come i dati siano «la traccia dell’attività umana nella vita sociale», per questo devono essere disponibili e trasparenti. Sembra di sentire un sociologo, non un informatico, soprattutto quando Greco pone l’attenzione sull’aspetto che potremmo definire politico, spiegando che «i dati vengono oggettivati, considerati cioè assolutamente veri, perché elaborati da macchine cui noi attribuiamo il dono dell’infallibilità». Per questo servono l’uomo e le sue competenze, per guardare e capire.

    La platea del convegno

    La Babele della sanità, dove le strutture non dialogano tra loro

    Oggi nel mondo della sanità la situazione non è tranquillizzante: «le strutture non dialogano tra loro, usano sistemi differenti e la scelta del campionamento della popolazione da monitorare non è neutrale», tenendo conto prevalentemente delle aree ricche del Paese. Ma non solo: ad oggi «nessuno dei sistemi diagnostici italiani usa l’Intelligenza artificiale». Se cercate consolazione, non rivolgetevi a un informatico, vi spiegherà implacabilmente che siamo messi male, ma non rivolgetevi nemmeno a un fisico. Francesco Valentini è docente di Fisica della materia, ma guarda il cielo con gli occhi di chi collabora con le agenzie spaziali italiana ed europea. Che ci fa uno scienziato di questo tipo a un convegno sulla sanità? E’ venuto per spiegare che la raccolta dei dati, sia nell’universo della sanità, che in quello osservato dalla ricerca spaziale, deve affrontare lo stesso problema, quello della Babele delle lingue, che impedisce di comunicare efficacemente, per questo «è urgente unificare i linguaggi, standardizzare la raccolta e uniformare i sistemi di ricerca».

    Il paradosso della medicina digitale e il lavoro degli infermieri

    In tutto questo emerge un paradosso: la medicina digitale non sempre velocizza il lavoro. Accade infatti, come racconta Nicola Ramacciati, docente Unical presso il corso di Infermiersitica, che «il tempo che gli infermieri impiegano nel trasferire i dati relativi ai pazienti, possa soverchiare quello da dedicare al paziente stesso», causando frustrazione e stress. Per questo appare urgente «progettare sistemi di raccolta dei dati  implementando l’uso delle I.A».

    L’eccellenza della Nuova Zelanda

    Potrebbe non bastare, visto che le criticità stanno ben dentro «l’architettura del sistema sanitario», come svela Domenico Conforti, docente Unical e fondatore del Dehealth lab, il centro di ricerca che coniuga l’ingegneria con l’erogazione della assistenza sanitaria. L’idea di Conforti ha il pragmatismo che ci si attende da un ingegnere, per il quale «la gestione dei dati deve essere integrata con i modelli di cura e di organizzazione, la gestione delle risorse e i servizi digitali». Il suo racconto ci porta a Canterbury, in Nuova Zelanda, dove la sanità viene organizzata in cerchi concentrici con diversi livelli di gestione della salute e percorsi assistenziali che vedono gli ospedali posti sul cerchio più esterno, come ultimo presidio cui il paziente giunge per la terapia. Ma quello è letteralmente un altro modo.

    E il ritardo del servizio sanitario della Calabria

    Qui abbiamo 21 sistemi sanitari diversi, e in Calabria «la raccolta dati è frammentaria, la loro interpretazione difficile». A dirlo è Alfredo Pellicanò, dirigente regionale e responsabile del settore che si occupa di transizione digitale. Dargli torto è impossibile, infatti l’ultimo allarme lo ha lanciato il presidente Occhiuto, mentre cittadini lo gridano vanamente da molto prima.