Categoria: Fatti

  • Coronavirus: meno positivi, ma il numero dei morti non scende

    Coronavirus: meno positivi, ma il numero dei morti non scende

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    Questi gli aggiornamenti  di oggi (31 marzo) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 1933 nuovi contagi in più rispetto alla giornata di ieri. Un numero in calo, come quello dei tamponi effettuati, che sono stati 9456. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, del 20,44%. I guariti dal Coronavirus sono 1744. Si registra, inoltre, la morte di 12 persone.
    A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    Il Covid in Calabria, provincia per provincia (31 marzo)

     

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 6.336 (81 in reparto, 10 in terapia intensiva, 6.245 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 32.226 (31.975 guariti, 251 deceduti)
    • Cosenza: CASI ATTIVI 33.148 (134 in reparto, 4 in terapia intensiva, 33.010 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 38.933 (37.949 guariti, 984 deceduti)
    • Crotone: CASI ATTIVI 5.113 (20 in reparto, 0 in terapia intensiva, 5.093 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 25.509 (25.308 guariti, 201 deceduti).
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 13.214 (114 in reparto, 4 in terapia intensiva, 13.096 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 105.374 (104.673 guariti, 701 deceduti)
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 16.636 (19 in reparto, 0 in terapia intensiva, 16.617 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 16.932 (16.773 guariti, 159 deceduti).

    L’ASP di Catanzaro comunica 307 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione. L’ASP di Cosenza comunica 733 nuovi soggetti positivi di cui 5 fuori regione.

  • Amministrative Catanzaro: Salvini teme il flop, la Lega vira a sinistra?

    Amministrative Catanzaro: Salvini teme il flop, la Lega vira a sinistra?

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    Proprio ieri Matteo Salvini si è detto particolarmente fiducioso per la crescita della Lega in Calabria. Un mantra che ama ripetere in ogni occasione possibile. Bisogna dirlo, a differenza di molti altri leader, Salvini in Calabria ci mette la faccia: incontra militanti e dirigenti, tenta di dirimere le (numerose) beghe interne, ha chiuso l’ultima campagna elettorale regionale il giorno prima del silenzio elettorale proprio in Calabria.
    Insomma, Salvini alla Regione che lo ha eletto senatore (salvo poi venire scalzato dalla forzista Fulvia Caligiuri) ci tiene e non poco. Peccato, però, che l’elettorato abbia cominciato a non contraccambiare.

    Un sindaco leghista? Reggio ha detto no

    Nel settembre 2020, quando il vento leghista ancora spirava forte, Matteo Salvini tentò il colpaccio: piazzare un sindaco leghista a Reggio Calabria. Si scelse un tecnico d’area di origine reggina, con un forte legame con la Liguria del leghista Edoardo Rixi, fedelissimo dello stesso Salvini: Antonino Minicuci.
    Il rientro dei mugugni del deputato Francesco Cannizzaro, che bramava per gli azzurri la sindacatura del post-Falcomatà, non bastarono per vincere. La Lega ottenne il 4,69% con 4.299 voti e un solo consigliere, a fronte dei 3 di Forza Italia (11,1%) e dei due di Fdi (7,1%).

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    Antonino Minicuci

    Insomma, il traino non c’è stato. E quel «ragazzino Falcomatà» pronunciato in diretta tv da Minicuci, ne fu il requiem politico-elettorale. Tornarono nel cassetto i sogni e le ambizioni di espansione leghista nei territori calabresi. Unica (e magra) consolazione? Aver conquistato “solo” la Taurianova di Spirlì.

    Il deserto di Crotone…

    A Crotone e a Cosenza si può chiaramente parlare di flop. Nella città pitagorica alle Regionali del gennaio 2020 la Lega ottenne oltre 3.000 voti e il 14,5% dei voti. Alle Comunali di settembre dello stesso anno, invece, 1.163 voti e il 3,6%, conquistando un solo seggio con Marisa Luana Cavallo. Il suo sponsor era l’ex segretario provinciale Giancarlo Cerrelli, poi uscito, unitamente alla consigliera eletta, dalla Lega in polemica con le scelte dei vertici. A non convincerli era l’aver visto dare sempre più centralità al commissario della Sorical, Cataldo Calabretta, divenuto poi commissario anche della Lega per la provincia di Crotone.

    Le scelte politiche di Calabretta non furono elettoralmente lusinghiere, avendo puntato le sue fiches sull’avvocata Pina Scigliano, moglie dell’ex sindaco di Cirò Mario Caruso. La Scigliano ottenne poco più di 1.400 voti, ma a Cirò Marina non raggiunse le 400 preferenze. Lì la superò la forzista Valeria Fedele, che ne ottenne 561 senza aver messo piede in paese.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Insomma, la Lega non cresce e perde pezzi a favore degli azzurri. Anche l’editore Salvatore Gaetano, big leghista nel 2020, si è poi candidato con FI l’anno successivo, divenendo consulente di Roberto Occhiuto per la comunicazione strategica del territorio.

    …e il voto “disgiunto” di Cosenza

    Alle Comunali di Cosenza, invece, la Lega ha ottenuto un misero 2,8% e 946 voti non eleggendo nessun consigliere comunale. Alle Regionali (tenutesi lo stesso giorno delle Amministrative) ha raccolto il 7,1% e 2.080 voti. Una differenza di voti quasi pari alle preferenze che ha racimolato in città (1.196) quella che è divenuta la capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, Simona Loizzo. Circostanza curiosa che non ha impedito a Loizzo di prendere le redini del partito a livello provinciale, “epurando” l’area di riferimento dell’ex consigliere Pietro Molinaro (che ha fatto ricorso contro di lei per asserita ineleggibilità).

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    Il consigliere regionale della Lega, Simona Loizzo (foto Alfonso Bombini)

    Proprio domani ci sarà la conferenza stampa delle nuove leve leghiste, con il neosegretario cittadino Davide Bruno – eletto consigliere comunale con l’Udc nel 2011 (fu anche assessore) e con “Forza Cosenza” nel 2016 – e quello provinciale Arnaldo Golletti, già segretario provinciale del Msi-Destra Nazionale.
    Proprio quest’ultimo nel 2016 si lamentava della destra “inesistente”. In una nota dichiarò, infatti, che «correre senza simboli sembra essere una surrettizia forma di indipendenza, creata per avere mano libera nel futuro: tutto questo non va bene e rischia di vanificare le logiche politiche identitarie». Chissà se lo dirà a Filippo Mancuso, pronto nel capoluogo a coprire il Carroccio con qualche emblema civico.

    Catanzaro, il fortino della Lega di Salvini

    Il vento in poppa che soffiava sul simbolo della Lega due anni fa (con sacche di voto di simbolo e amministratori locali pronti a vestire le effigie di Alberto da Giussano) non c’è più. E la flessione di consensi non offre segni di inversione di rotta, tranne che nel capoluogo di Regione.
    Alle elezioni regionali del gennaio 2020 la Lega prese 95.509 voti, con il 12,28%. Nella circoscrizione centro (Catanzaro-Vibo Valentia-Crotone) ottenne il 15,09%, con il picco nella città di Catanzaro con il 17% e 6172 voti. Di questi, 3.005 li portava in dote l’ex consigliere comunale (dal 2011, poi anche assessore) e provinciale (dal 2018) Filippo Mancuso. All’epoca era appena “zompato” sul Carroccio su indicazione di Sergio Abramo.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Nella successiva tornata regionale dell’ottobre 2021, la Lega sprofondò all’8,33% e 63.459 voti e nella circoscrizione centro scese al 9,45%. Nonostante la perdita di 7 punti percentuali, nel capoluogo di Regione il Carroccio ottenne il 10,28% con 3.257 voti. Quasi tutti (2.655) li ha portati il citato Filippo Mancuso, divenuto poi Presidente del Consiglio Regionale.
    Certo, la Lega nel complesso ha cantato vittoria perché ha mantenuto quattro Consiglieri regionali (grazie al premio di maggioranza). Ma in vista delle elezioni amministrative di Catanzaro il timore di “pesarsi” rimane alto, non potendosi permettere percentuali da prefisso telefonico nel feudo del plenipotenziario Mancuso.

    La soluzione anti-flop: a sinistra, ma senza simboli

    Più che alla Lega, però, Filippo Mancuso, anche in vista delle Amministrative, sembra più affezionato alla sua lista civica “Alleanza per Catanzaro”.
    Difatti, nel capoluogo, dopo la defezione dell’ex coordinatore cittadino Antonio Chiefalo (dimenticata la candidatura nel 2020 con la Lega è poi trasmigrato in Forza Italia, sostenendo Michele Comito alle Regionali 2021) e i risultati elettorali del commissario provinciale Giuseppe Macrì, è il presidente del Consiglio regionale ad avere carta bianca.

    A sostenerlo, però, non vi sono leghisti doc, ma suoi personali fedelissimi. Qualche esempio? I consiglieri comunali Eugenio Riccio, eletto con il centrosinistra nel 2017 con “Svolta Democratica” di cui è stato capogruppo; Rosario Mancuso, già consigliere Udc nel 2012 e poi capogruppo di “Catanzaro con Sergio Abramo”; Andrea Critelli, eletto con “Federazione popolare per Catanzaro”. All’elenco si è aggiunto Antonio Mirarchi (già esponente di “Catanzaro da Vivere”, aveva il figlio Alessio portaborse di Baldo Esposito, fino alla non rielezione di quest’ultimo e alla rottura col gruppo in vista delle elezioni provinciali). Così come Cono Cantelmigià candidato presidente di Regione con il M5S nel 2014, divenuto responsabile amministrativo di Filippo Mancuso – e l’ex consigliere comunale di “Catanzaro con Sergio Abramo”, Francesco Scarpino.

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    Valerio Donato, professore all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Insomma, una pletora di amministratori e politici locali che si troverebbe a disagio nel definirsi leghisti. Ma che troverebbe nel civismo la “scusa politica” per sostenere quel Valerio Donato che fino a ieri aveva la tessera del Pd ed era un notabile del circolo dem “Lauria” del centro di Catanzaro. Lo stesso Donato che, ancora oggi, pubblicamente nelle tv locali dichiara «ero e rimarrò un uomo di sinistra. Non ho modificato la mia ispirazione politica». Ecco perché, in attesa di sapere cosa deciderà Salvini, l’associazione “Alleanza per Catanzaro” del citato Longo ha già fatto pubblicamente un endorsement a Donato.

    Mancuso, leghista ma non troppo

    Il sostegno ad un esponente della sinistra cittadina (nel quale si riconoscono molti dem, tra cui il più votato in città alle scorse regionali: il sindacalista Fabio Guerriero) sarebbe un boccone troppo amaro per Matteo Salvini. Che si ritrova stretto tra il rischio flop al pari delle altre città (ma sarebbe troppo vicino rispetto alle imminenti elezioni politiche) e l’ipotesi Donato caldeggiata da Mancuso, mai più di tanto leghista.

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    Domenico Furgiuele

    Una terza ipotesi in campo è quella che si realizzò a fine 2019 a Lamezia Terme, città dell’unico deputato leghista calabrese, Domenico Furgiuele. Dopo gli attacchi dell’allora dirigente leghista Vincenzo Sofo al candidato sindaco del centrodestra Ruggero Pegna sulle sue idee sul tema dei migranti (con tanto di critiche a Salvini), il leader della Lega impose di non presentare alcuna lista. Decisione al quale Furgiuele si adeguò «non senza rammarico e travaglio interiore».

    Furgiuele, invece, sul capoluogo oggi tace. Difficile, però, che un uomo di sinistra come Donato, che fino a qualche anno fa riceveva in Università a Catanzaro il ministro Andrea Orlando (esponente dell’area più di sinistra del Pd) insieme all’allora consigliere regionale dem Carlo Guccione bramando un posto alle politiche del 2018 (che andò poi al rivale di sempre, Antonio Viscomi), possa essere in linea con il sovranismo salviniano. La palla tocca ora, come si è detto, ai tavoli romani.

  • La prof ucraina in dad: lezione sotto le bombe agli studenti in Calabria

    La prof ucraina in dad: lezione sotto le bombe agli studenti in Calabria

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    La scuola oltre la guerra, come un esile filo che trattiene il desiderio di una normalità perduta. Da Zaporozhye, città ucraina sulle rive del Dnepr, che per la sua posizione strategica è stata duramente bombardata dalle truppe russe, fino ad un appartamento nel cuore di Cosenza. È in questa sua nuova casa che Klim affronta calcoli matematici che devono sembrargli difficili ma dal cellulare giunge la voce della sua professoressa, rimasta lì dove ancora piovono le bombe. Lei, come un rassicurante appuntamento, si collega in rete e raggiunge i suoi studenti sparsi per l’Europa.

    La resistenza ucraina è fatta anche di questo, di brandelli di normalità, di lezioni tramite la rete, di contatti che non vogliono interrompersi.
    Klim è uno dei tanti studenti ucraini che hanno raggiunto parenti e amici che già da tempo stavano in Italia. La nonna di Klim, per esempio, è una apprezzata allenatrice di tuffi, che ha curato anche la preparazione atletica del campione cosentino Giovanni Tocci. Oggi Klim è iscritto alla terza media della scuola di via Negroni.

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    Klim con i compagni della scuola di via Negroni a Cosenza

    Le scuole si rimboccano le maniche

    «Il ragazzo è giunto alla nostra scuola tramite i genitori di altri studenti», spiega Marina Del Sordo, dirigente dell’istituto comprensivo. Lo hanno iscritto alla seconda media, che corrisponde al settimo anno del sistema scolastico ucraino «e accolto con grande calore dai nuovi compagni». Davanti a questa emergenza le scuole si sono trovate a gestire potenti novità, senza poter far conto su mediatori culturali o sostegni di sorta.

    Solo di recente la Regione Calabria si è accorta di quanto le nostre scuole fossero coinvolte in questo intervento solidale ed ha provveduto ad emanare una circolare in cui si chiede ai dirigenti di vigilare sullo stato vaccinale dei nuovi studenti provenienti dalla zona di guerra e di riempire un modulo per ottenere la presenza di mediatori linguistici. Nel frattempo le scuole avevano fatto da sé, assumendo «decisioni riguardo l’accoglienza dei nuovi studenti che garantissero il loro benessere e una efficace inclusione»

    Gli orfani di Kharkiv

    Chi per adesso il problema della vaccinazione, molto sentito da chi siede a Palazzo Campanella, non se lo pone è la preside dell’istituto comprensivo di Vibo Valentia “Amerigo Vespucci”. «Questi vengono da una guerra, abbiamo altre priorità, come accoglierli nel modo migliore», dice Maria Salvia, con la voce di chi nella trincea della scuola in emergenza ci sta da parecchio. Di bambini ucraini il suo istituto ne ha accolti quaranta, tutti provenienti da un orfanotrofio di Kharkiv, giunti qui accompagnati da un tutore legale e per adesso affidati ad alcune famiglie.

    Su questo aspetto la preside è perentoria: «Non sono adottati, né adottabili, sono ospiti e la loro permanenza presso le famiglie sarà verosimilmente prorogata mese per mese». Il tramite attraverso cui sono giunti in Calabria è il consolato ucraino di Napoli che era in contatto con alcune associazioni accreditate di Vibo. Giunti qui, un operatore turistico di Capo Vaticano ha aperto le porte del suo villaggio ed è partita la gara di solidarietà.

    Palazzi devastati a Kharkiv

    Dal punto di vista scolastico i ragazzi sono stati inseriti nelle classi corrispondenti alla loro età anagrafica, così da trovare coetanei in grado di includerli meglio possibile. «Con i docenti, invece, abbiamo provveduto a ricalibrare il percorso didattico in maniera da trasformare questa situazione difficile in una opportunità anche per gli studenti italiani, che hanno modo di confrontarsi con coetanei che provengono da una esperienza durissima». Un modo per crescere assieme ma senza violare «la loro naturale riservatezza, perché abbiamo compreso che non amano essere al centro dell’attenzione»

    Dal Liceo sportivo al Coreutico

    Quando si scappa dalle bombe, si comincia una vita nuova. Per Alina, che ha lasciato il suo liceo sportivo, ad accoglierla c’era una classe di ballerine, quelle dell’indirizzo coreutico del “Lucrezia Della Valle” di Cosenza. Alina non conosce una parola d’italiano, ma una scuola non si fa spaventare facilmente e mette in campo tutte le risorse che ha. L’asso nella manica del Lucrezia Della Valle si chiama Angela, è ucraina ma vive in Italia da tempo. Angela tiene in ordine le aule e il corridoio del corso dove studia Alina e in un attimo è diventata una mediatrice linguistica e culturale.

    «Questo fenomeno migratorio ha carattere transitorio – spiega la preside Rossana Perri – perché queste persone sentono forte il desiderio di tornare alle loro case», ma intanto occorre provvedere ad una accoglienza che sia autenticamente inclusiva, anche sul piano scolastico, «per questo i docenti di Alina predisporranno un piano educativo personalizzato, per andare incontro alle sue esigenze facendo fronte alle difficoltà». È la scuola che è sempre pronta ad affrontare a mani nude i cambiamenti inattesi, anche se la preside spiega che «dal ministero sarà fatto un censimento per individuare il numero degli studenti ucraini e la loro distribuzione, in maniera da predisporre le risorse necessarie».

    Artem e le sue scarpette nuove

    Valentina Carbone è una maestra della scuola elementare di via Roma che di bambini ucraini ne ha accolti tre fino ad adesso, ma potrebbero aumentare di numero, considerato l’impegno del dirigente Massimo Ciglio sul fronte dell’inclusione.
    Valentina parla di loro come «i suoi bambini», si tratta di scolari dagli otto ai nove anni, inseriti in classi con compagni di uguale età e subito ben accolti. Una classe particolarmente vivace e avvolgente si è presa cura di Artem, per il quale ogni piccolo passo fatto durante le lezioni è una vittoria. Come quando sollecitato dalla maestra Valentina a scrivere tutte le parole italiane che aveva imparato, è stato in grado di riempire quattro fogli.

    «Con lui ho fatto quello che faccio con i bambini della prima classe, sono partita dalle vocali, le consonanti, fino a formare le parole ed è stato subito un successo». Attorno a questi bimbi c’è un universo di accoglienza, fatto di chi nel pomeriggio si prende cura di loro e anche di piccoli regali. Perché domenica si gioca a calcio con i compagni di scuola e Artem, che ha lasciato la propria casa senza portarsi le sue scarpette, avrà quelle nuove.

  • Vent’anni in Calabria e il cuore a Čerkasy: «Mio figlio combatte contro i russi»

    Vent’anni in Calabria e il cuore a Čerkasy: «Mio figlio combatte contro i russi»

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    «La guerra tra la Russia e l’Ucraina è agli sgoccioli». A prefigurare imminenti e inimmaginabili scenari di pace non è il professor Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla sicurezza internazionale, bensì la signora Lidya che di mestiere fa la badante.
    Classe ‘59, Lidya ha passato gli ultimi vent’anni in Italia, più precisamente in Calabria dove è vissuta tra Sellia Maria, Catanzaro Lido e Pentone.

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    Lydia ha scelto di accudire anziani come la signora Teresa

    È una delle quattromila donne ucraine residenti nella nostra regione, come la maggior parte di esse il suo lavoro è accudire anziani non autosufficienti.
    Prendersi cura degli altri è la sua vocazione, prima di venire in Calabria è stata per anni infermiera pediatrica in un ospedale a Čerkasy a circa 200 km a sud di Kiev.
    In Calabria, come la maggior parte della prima generazione di ucraine emigrate, ha sempre scelto di coabitare con i «nonnini», come li chiama lei. Il suo lavoro le piace. «Vedi lei, la signora Teresa è brava. Solo che ora non ricorda nulla».

    La foto di una delle nipoti sul comodino di Lidya

    La pandemia in Calabria, la guerra in Ucraina

    Oltre allo stipendio, il vitto e l’alloggio sono garantiti purché si presti assistenza h24. Una scelta economicamente vantaggiosa ma emotivamente pesante. In casa si dedica anche alle sue passioni: l’uncinetto, la lettura e la scrittura. Ha decine di taccuini sparsi per casa, una scrittura ordinata riempie tutte le pagine. «Un giorno scriverò un libro», dice. Chissà se come i romanzi rosa presenti che riempiono le mensole di casa.

    Gli unici momenti di libertà sono le uscite in compagnia delle amiche ucraine o per fare la spesa da spedire settimanalmente a marito, figlio e nipoti.
    Una famiglia che non vede da anni. Ha rimandato la partenza più e più volte dal 2019 ad oggi, per la pandemia prima, per la guerra oggi.

    Il 23 luglio le scade il passaporto ed ha un solo desiderio: «Tornare a casa». Alla domanda «Com’è la situazione in Ucraina?», Lidya stringe le spalle, sgrana gli occhi azzurro cielo e dice: «Non bene, ma sta per finire».
    Per fortuna la sua città, Čerkasy, non è stata “ancora” bombardata «ma si sentono le esplosioni, le sirene del coprifuoco sono sempre più vicine. Vivono tutti come conigli, nei sotterranei. Con la paura che possano arrivare».

    Casco, giubbotto e fucile per suo figlio

    Suo figlio, poco più che quarantenne, è stato precettato nella milizia civile. «Una mattina sono andati al suo negozio, gli hanno dato un caschetto, un giubbetto e un fucile». Lui, come tutti gli uomini fino ai 60 anni di età deve fare la ronda in città a difesa dei confini. Lydia abbassa lo sguardo e sospira con un filo di voce: «È il mio unico figlio».
    Allo scoppio della guerra, i familiari della nonnina convivente le hanno proposto di far venire in Calabria la sua famiglia. Ma ha declinato la proposta. «No, non possono venire devono stare lì, abbiamo la nostra casa, la nostra vita da proteggere».

    I soldi seppelliti

    Lei racconta perché è venuta in Calabria: «Ho lasciato tutto per venire qui, lavorare e costruire una vita migliore per me, mio marito, mio figlio e i miei due nipoti. Non posso perdere quanto ho costruito in tutti questi anni di sacrifici”. Con il sudore della fronte e le lacrime del cuore. Con gli occhi cerca la foto di sua nipote undicenne sul comodino. Il contatto con la famiglia è continuo. Ha sempre il telefono in mano. «All’inizio della guerra, ci telefonavamo di più perché le telefonate verso l’Ucraina erano gratuite, ora non lo sono più». La guerra spaventa la sua generazione: non l’ha mai vissuta, se non nei racconti di nonni e zii. «Niente è al sicuro. Abbiamo persino nascosto i nostri soldi e il nostro oro sottoterra».

    Lidya ha vissuto la Guerra fredda, la caduta del muro di Berlino. Quegli anni li ricorda con nostalgia: «Si stava bene, quando eravamo tutti insieme. Poi per un periodo male. Ma ora stavamo di nuovo bene». Ora sono una nazione e lo sa bene anche lei. Alla domanda «Ti senti più russa o europea?», risponde senza esitare con voce fiera: «Io sono ucraina».

    Putin e Zelens’kyj

    Ma cosa pensa Lidya di questa guerra? «È brutta, fa male. Distrugge tutto». E di Putin? Prima di rispondere tentenna, fa un respiro e sbotta: «È un disgraziato, se voleva riunificare Russia, Ucraina, Bielorussia doveva farlo con la pace. Non in questo modo».
    E del suo presidente? «Zelens’kyj è un satirico, ha dimostrato di essere forte, un patriota. Ma no, non è un politico», scuote la testa.

    Ma perché la guerra sta per finire? «La nostra capitale resiste. E anche la mia città».
    E mentre lo dice, ha già digitato su Youtube in cirillico Čerkasy. Fa partire un documentario sulla sua città immersa nel verde, ordinata, costruita sulle sponde del fiume Dnepr e dominata dal monastero di San Michele.
    Lidya freme, vuole tornare a casa, nella sua città ad abbracciare i suoi cari. E nell’attesa «piange e prega».

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    Lidya trova on line un video sulla città di Čerkasy
  • Coronavirus: aumentano i morti, scendono i contagi

    Coronavirus: aumentano i morti, scendono i contagi

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    Questi gli aggiornamenti  di oggi (30 marzo) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 2851 nuovi contagi in più rispetto alla giornata di ieri. I tamponi effettuati sono stati 13.067,. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, del 21,82%. I guariti dal Coronavirus sono 2234. Si registra, inoltre, la morte di 11 persone.
    A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    Il Covid in Calabria, provincia per provincia (30 marzo)

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    – Catanzaro: CASI ATTIVI 6251 (81 in reparto, 13 in terapia intensiva, 6157 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 32005 (31756 guariti, 249 deceduti)

    – Cosenza: CASI ATTIVI 32468 (140 in reparto, 5 in terapia intensiva, 32323 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 38885 (37904 guariti, 981 deceduti

    – Crotone: CASI ATTIVI 5024 (23 in reparto, 0 in terapia intensiva, 5001 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 25377 (25177 guariti, 200 deceduti)

    – Reggio Calabria: CASI ATTIVI 14082 (115 in reparto, 5 in terapia intensiva, 13962 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 104042 (103347 guariti, 695 deceduti

    – Vibo Valentia: CASI ATTIVI 16451 (20 in reparto, 0 in terapia intensiva, 16431 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 16909 (16750 guariti, 159 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica che nel setting fuori regione si registrano 9 nuovi casi a domicilio e 1 in T.I.

    L’Asp di Crotone comunica che nel setting fuori regione si registra 1 soggetto positivo a domicilio.

     

  • Gioia Tauro: alla ricerca del rigassificatore perduto

    Gioia Tauro: alla ricerca del rigassificatore perduto

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    Sono passati diciassette anni da quando è cominciata la storia del rigassificatore a Gioia Tauro. Lo scenario geopolitico e geostrategico intanto è cambiato completamente: abbiamo attraversato tre crisi economiche mondiali, è venuta la pandemia. La Russia, da ultimo, dopo essersi impadronita della Crimea nel 2014, ha invaso nel 2022 l’Ucraina.
    A Gioia Tauro non è successo intanto assolutamente nulla, se non una lunghissima storia italiana di ordinaria burocrazia. Eppure, sarebbe stato strategico realizzare questo investimento per una nuova infrastruttura energetica, nell’interesse della Calabria e dell’Italia.

    Un investimento da un miliardo di euro è rimasto nel congelatore delle decisioni perdute, per realizzare un impianto adeguato a gestire 12 miliardi di metri cubi di gas rispetto agli 80 miliardi che l’Italia consuma ogni anno. Intanto, ancora oggi, l’impianto di Gioia Tauro attende la dichiarazione di strategicità da parte dello Stato. Serviranno poi quattro anni per poter costruire il rigassificatore.

    Le forniture russe e il ricatto di Putin

    Persiste ancora oggi la nostra dipendenza energetica dalle fonti fossili, in buona parte dal gas russo. Dobbiamo, però, modificare comunque l’assetto energetico per far fronte alla emergenza climatica. Dopo quasi quattro lustri di perdite di tempo, ci accorgiamo di quello che non abbiamo fatto. Da quasi dieci anni la realizzazione dell’impianto di Gioia Tauro è sospesa da un decreto del governo.

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    Vladimir Putin

    Improvvisamente, la guerra in Ucraina ci ha risvegliati dal lungo sonno energetico. Disporre di impianti per fonti alternative sarebbe oggi indispensabile, soprattutto nel Mezzogiorno. Ed invece ci siamo fatti trovare impreparati nel momento del bisogno, quando oggi servirebbe non stare sotto il ricatto di Putin. Le nuove infrastrutture per l’energia sono largamente inadeguate, in particolare nel Mezzogiorno.

    Da gas a liquido e viceversa

    Una delle strade per diversificare le fonti energetiche è quella di ricorrere al gas naturale liquefatto. In assenza di gasdotti, il gas naturale liquefatto si può trasportare su apposite navi metaniere. Questa tecnica consente di occupare un volume circa 600 volte inferiore: una metaniera può trasportarne una quantità molto maggiore. Il trasporto via nave, dunque, ha bisogno di impianti per la trasformazione del gas allo stato liquido nel punto di partenza (quindi impianti che lo raffreddano e comprimono) e di rigassificatori nel punto di arrivo.

    Il GNL si trasporta nelle navi a pressione poco superiore a quella atmosferica e a una temperatura di -162 °C. Nei rigassificatori torna allo stato originario grazie a un processo di riscaldamento controllato all’interno di un vaporizzatore, che ha un volume adeguato per permettere l’espansione del gas. Il riscaldamento avviene facendo passare il GNL all’interno di tubi immersi in acqua marina, che ha chiaramente una temperatura più alta. Una volta tornato com’era prima, il gas si può immettere nei gasdotti di un territorio, per poi distribuirlo nelle case e impiegare nelle centrali elettriche per la produzione di energia.

    Un rigassificatore al Sud ancora non c’è

    I rigassificatori italiani attualmente in uso sono tre strutture diverse tra loro. Sono tutti al Nord. Il più grande è il Terminale GNL Adriatico, ed è un impianto offshore: un’isola artificiale che si trova in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo, e ha una capacità di produzione annuale di 8 miliardi di metri cubi di gas.

    Anche nel mar Tirreno, al largo della costa tra Livorno e Pisa, c’è un rigassificatore offshore: è una nave metaniera che è stata modificata e ancorata in modo permanente al fondale e immette gas in rete dal 2013. Ha una capacità di 3,75 miliardi di metri cubi annuali.

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    L’impianto onshore di Panigaglia

    Il terzo rigassificatore in funzione è invece una struttura onshore, cioè sulla terraferma, e si trova a Panigaglia, in provincia di La Spezia. È il primo rigassificatore mai costruito in Italia (risale agli anni Settanta), ha una capacità annuale di 3,5 miliardi di metri cubi.
    La capacità complessiva dei tre rigassificatori non sarebbe da sola sufficiente a permettere l’immissione nella rete italiana di una quantità di gas pari a quella che negli ultimi anni è stata importata dalla Russia (29 miliardi di metri cubi di gas nel 2021).

    Un’alternativa alla Russia

    Nell’ottica di diminuire la dipendenza energetica dalla Russia, però, il governo vorrebbe ora sia sfruttare di più i rigassificatori sia aumentare le importazioni tramite gasdotti dai paesi da cui oggi l’Italia già si rifornisce: ad esempio dall’Algeria, attraverso il TransMed, e dall’Azerbaigian, attraverso il Trans-Adriatico, o TAP.

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    Come il gas arriva in Italia tramite il TAP

    Il governo ha incaricato – per questa ragione – Snam ed Eni, la più grande azienda petrolifera italiana, di trovare una o due metaniere da trasformare in floating storage regasification unit (nel gergo tecnico il rigassificatore si chiama così, o con la sigla FSRU), strutture simili a quella al largo di Livorno e Pisa che possano trattare 5 o 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Non si sa ancora nulla di dove saranno eventualmente collocati gli impianti.

    Gioia Tauro e Porto Empedocle: impianti nel limbo

    In questo contesto si è riparlato anche di due progetti per la costruzione di nuovi rigassificatori bloccati da anni. Uno riguarda Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, l’altro Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Il primo progetto era stato inizialmente presentato nel 2004, ma – dopo varie vicissitudini burocratiche – il Comune di Agrigento aveva interrotto la realizzazione del gasdotto che sarebbe stato collegato all’impianto. I rischi sull’ambiente e per i possibili danni ai siti archeologici nello scavo del condotto erano stati giudicati troppo alti. A febbraio, però, il Tribunale amministrativo regionale di Palermo ha respinto il ricorso del Comune e ora, almeno teoricamente, il gasdotto si potrebbe costruire.

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    Porto Empedocle e Gioia Tauro sono i luoghi ipotizzati per realizzare un rigassificatore al Sud

    Non è detto però che il rigassificatore di Porto Empedocle si farà, e in tempi brevi. Il comune di Agrigento può fare appello al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (CGARS) contro la decisione del Tar.
    Per quanto riguarda il progetto di Gioia Tauro, avviato nel 2005, è stato sospeso dal 2013. Il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini ha ora detto che si potrebbe riprendere in considerazione. E Roberto Occhiuto da Dubai soltanto pochi giorni fa ha insistito sulla necessità che il Governo acceleri le procedure per realizzarlo. Certo, stupisce che è dovuta giungere la crisi energetica derivante dalla guerra ucraina per ripescare dagli archivi un progetto industriale stagionato.

    Zes, rigassificatore ed energia

    È l’ennesima riprova che manca completamente l’adeguata considerazione verso il futuro del Mezzogiorno. Dei tre rigassificatori operativi, nessuno è collocato ai Sud. I due progetti meridionali sono rimasti nei cassetti per tentare di recuperarli in extremis, ma comunque non entro un raggio di azione capace di dare un apporto concreto nel percorso critico di costruzione della autonomia energetica dell’Italia rispetto al gas russo.

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    Container nel porto di Gioia Tauro

    Nella stessa costruzione delle zone economiche speciali si è esclusa la possibilità di includere gli investimenti nel settore dell’energia all’interno del perimetro delle attività agevolate, anche dai punti di vista delle norme di semplificazione. Eppure, la centralità dei porti nelle Zes avrebbe dovuto indurre a comprendere il settore energetico nel programma di sviluppo economico dei territori portali.

    Vedremo quello che accadrà sul rigassificatore di Gioia Tauro. Andrebbe tenuto accesso il riflettore su questo caso, per evitare che l’improvviso risveglio di un progetto possa durare solo lo spazio di un mattino, per tornare nei sonnacchiosi cassetti della burocrazia nazionale e locale. Il futuro della Calabria e del Mezzogiorno passa anche dalle infrastrutture energetiche.

  • La ‘ndrangheta dell’altra sponda

    La ‘ndrangheta dell’altra sponda

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    Qualcuno l’ha sempre considerata la “provincia babba” della Sicilia. A fronte di roccaforti di Cosa Nostra, come Palermo e Catania, soprattutto, ma anche Trapani, Messina è sempre stata considerata come figlia di un dio minore sotto il profilo criminale. Ma è davvero così?

    L’ultima inchiesta

    Proprio nelle ultime ore, la Procura della Repubblica di Messina, retta da Maurizio De Lucia, ha tirato le fila di un’inchiesta che dimostrerebbe come, nel capoluogo peloritano, gli affari criminali siano tutt’altro che trascurabili. Sono 21 le persone accusate, a vario titolo, di reati in materia di stupefacenti e armi. Una organizzazione criminale, armata, perfettamente organizzata che riforniva di droga i quartieri cittadini di “Gazzi” e “Mangialupi”.

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    La sede della Procura di Messina

    Le indagini condotte dalla Polizia di Stato avrebbero dimostrato l’esistenza di una centrale di spaccio nel rione “Gazzi”. Con due distinte cellule criminali: una più ristretta, che operava in Calabria ed era impegnata nel rifornire la seconda, l’altra, più articolata e capillare, che immetteva sul mercato di Messina e provincia, grosse partite di cocaina.

    Il ponte sullo Stretto esiste già

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    Messina e il suo porto affacciato sullo Stretto

    Un’organizzazione che spacciava giorno e notte e che riusciva a tirar su almeno 50mila euro mensili. Stando all’inchiesta, la continuità dei rifornimenti era assicurata da alcuni calabresi. Anch’essi arrestati, gestivano i contatti con i vertici del gruppo dei messinesi mediante apparecchi cellulari dedicati. Così si garantivano un elevato livello di riservatezza delle comunicazioni.

    E sono pressoché quotidiani gli interventi delle forze dell’ordine che agli imbarcaderi, tanto di Messina quanto di Villa San Giovanni, bloccano corrieri, talvolta insospettabili, carichi di droga. Il ponte sullo Stretto, voluto da tanti e osteggiato da altrettanti, resta una chimera. Ma sotto il profilo criminale le due sponde di terra sembrano già ampiamente collegate. E l’ultima inchiesta ne sarebbe solo l’ulteriore prova.

    Messina “provincia babba”?

    E, allora, forse, Messina è stata bollata un po’ troppo superficialmente e frettolosamente come “provincia babba”. A pochi chilometri dal capoluogo, infatti, sorge Barcellona Pozzo di Gotto. Un centro oggi di quasi 40mila abitanti che, da anni e negli anni, è stato un crogiolo di interessi e commistioni.

    Il boss locale, Pietro Gullotti, si dice fosse assai vicino al boss catanese Nitto Santapaola. E negli scorsi anni la “creme” della città messinese finirà al centro di una serie di scandali che riguarderanno, peraltro, l’uccisione del giornalista Beppe Alfano e il suicidio del professore Adolfo Parmaliana. Proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, infatti, alcune inchieste mostreranno, almeno sotto il profilo storico, un coacervo di interessi tra politica, magistratura e criminalità organizzata, all’ombra di un circolo noto come “Corda fratres”.

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    Nitto Santapaola

    E di Barcellona Pozzo di Gotto è originario anche quell’avvocato Rosario Pio Cattafi, considerato elemento di congiunzione tra mondi occulti e la criminalità organizzata. Indagato anche nell’inchiesta “Sistemi Criminali”, condotta alcuni anni fa dal pubblico ministero Roberto Scarpinato sulla strategia della tensione dei primi anni Novanta, ma sfociata in un’archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, il terrorista nero Stefano Delle Chiaie, i boss mafiosi Totò Riina e i fratelli Graviano, ma anche l’avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo Olimpia e considerato un’eminenza grigia delle dinamiche ’ndranghetiste.

    La ‘ndrangheta dell’altra sponda

    Già, la ‘ndrangheta. Per qualcuno, Messina sarebbe sostanzialmente una propaggine della Calabria, sotto il profilo criminale. Un locale di ‘ndrangheta distaccato. A parlarne è Gaetano Costa, capo della locale di Messina, con strettissimi legami con la ‘ndrangheta, sull’altra sponda dello Stretto. Negli anni ’90, Costa diventa collaboratore di giustizia e racconta, per esempio, della fase evolutiva che segna il passaggio dalla ‘ndrangheta basata sulle regole dello “sgarro” a una nuova formazione, quella della “Santa”.

    Ma Costa, da persona qualificata in quanto uomo forte del crimine in quei luoghi, racconta anche che tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, Messina era considerata quasi un’entità sganciata dal resto della Sicilia e, invero, una propaggine della Calabria, soprattutto sotto il profilo criminale. La città dello Stretto viene definita un “locale” di ‘ndrangheta distaccato dalla Penisola.

    L’Università di Messina e i rampolli dei clan

    E appartengono ormai all’epica della storia della ‘ndrangheta i racconti riguardanti l’Università degli Studi di Messina, soprattutto tra gli anni ’80 e ’90. Lì, con l’ormai celeberrima “pistola sul tavolo”, si sarebbero laureati i rampolli dei vecchi capibastone. E così la ‘ndrangheta si sarebbe fatta classe dirigente. Se i vecchi boss erano, infatti, semianalfabeti o quasi, le nuove leve sono diventate medici e avvocati. E, quindi, con la possibilità di occupare i posti di potere in maniera apparentemente lecita.

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    L’Università di Messina

    Parlando di don Giovanni Stilo, controverso prete di Africo, il collaboratore di giustizia Filippo Barreca racconta infatti che questi, grazie alle sue influenze massoniche, avrebbe avuto importanti relazioni, sia all’interno dell’ospedale di Locri, che all’interno dell’Università di Messina.

    Grazie ai legami massonici e ‘ndranghetisti, nell’Ateneo messinese sostanzialmente le lauree sarebbero state regalate: «Ci fu un periodo in cui l’Università di Messina era una sorta di dependance di Africo Nuovo, nel senso che vi comandavano don Stilo e i suoi accoliti» dice con chiarezza Barreca.

    La ‘ndrangheta e la massoneria

    In quanto a salotti, peraltro, Messina non ha nulla da invidiare alle più blasonate Palermo e Catania. E nemmeno alla dirimpettaia Reggio Calabria, vera capitale della masso-‘ndrangheta. Interessanti, sul punto, anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio. Pentito un tempo legato alle cosche della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, ma anche massone e molto vicino al boss Rocco Molè.

    Virgiglio ha a che fare con grembiulini e cappucci già negli anni Novanta, ai tempi dell’università a Messina. Tra il 2007 e il 2008 coinvolto e condannato nell’ambito del processo “Maestro”, per i traffici della famiglia Molè nel porto di Gioia Tauro. In mezzo, però, tanta massoneria pesante.

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    L’ex presidente della AS Roma, Franco Sensi

    Già nel 1995, Virgiglio entra in contatto con l’allora presidente della Roma, Franco Sensi, oggi deceduto, ma ben inserito nei circuiti massonici: «Sono entrato o meglio mi sono avvicinato alla massoneria per il tramite del messinese Carmelo Ugo Aguglia, nobile messinese, intorno alla fine degli anni ’80. Io frequentavo l’università di Messina. Per la verità iniziai a frequentare il Rotary. Il Rotary era una trampolino di lancio per entrare nel GOI. Il tempio di Messina, che si trovava nella zona del Papardo. Ricordo che fra gli altri frequentatori di questi ambienti massonici di Messina vi era Franco Sensi, presidente della Roma Calcio. Nel 1992-93 arrivò a Messina, da Reggio Calabria, la soffiata su di un’indagine sulla massoneria».

    La relazione della DIA

    Storia della ‘ndrangheta? Forse no. Dato che queste dinamiche vengono cristallizzate anche nell’ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia. La DIA, infatti, dedica un intero paragrafo alla situazione di Messina e dintorni: «Il territorio provinciale costituisce il crocevia di varie matrici criminali. L’influenza di Cosa nostra palermitana e catanese con le loro peculiari caratteristiche hanno infatti contribuito a creare una realtà eterogenea», si legge.

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    Ma non solo, anche in quest’ultimo studio ufficiale sulla criminalità organizzata in Italia, il ruolo della ‘ndrangheta è preminente: «Ancora sono stati riscontrati rapporti con le vicine cosche calabresi soprattutto per l’approvvigionamento di stupefacenti. Le interazioni tra sodalizi appaiono come in passato orientate a rapporti di vicendevole convenienza, evitando scontri cruenti».

    La ‘ndrangheta a Messina per reinvestire capitali

    Il rapporto costante con la criminalità calabrese emerso dalle risultanze investigative è, per i vertici della Procura peloritana, aspetto su cui va posta la massima attenzione «dal punto di vista della prospettazione futura, avendo ragione di ritenere che la ‘ndrangheta possa in futuro utilizzare lo stesso canale individuato per gli stupefacenti anche per altri traffici, in particolare quello del reinvestimento dei capitali».

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    Il procuratore Maurizio De Lucia

    E tra gli allegati dell’ultima relazione è possibile leggere anche stralci dell’audizione resa proprio dal procuratore De Lucia, autore dell’ultima inchiesta riguardante le due sponde dello Stretto: «Attraverso il traffico di stupefacenti si creano degli accordi e delle convenienze comuni proprio con la ‘ndrangheta, considerato che tale traffico illecito implica una relazione costante delle organizzazioni sia della città di Messina che dell’area di Barcellona P.G. con organizzazioni ‘ndranghetiste».

    Sul punto anche il comandante provinciale dei Carabinieri, colonnello Lorenzo Sabatino, ha dichiarato che «le principali organizzazioni mafiose messinesi si sono sviluppate subendo l’influenza sia di Cosa nostra palermitana e catanese, con cui hanno intessuto significativi rapporti criminali, sia della ‘ndrangheta calabrese, di cui alcuni gruppi, in passato, mutuarono strutture, rituali e denominazioni. Il territorio provinciale del resto, è da sempre esposto all’infiltrazione da parte dei sodalizi mafiosi delle province limitrofe e a fenomeni di cooptazione in Cosa nostra di esponenti della criminalità mafiosa locale».

  • Coronavirus: salgono i contagi (4214) e tasso di positività al 24,4%

    Coronavirus: salgono i contagi (4214) e tasso di positività al 24,4%

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    Questi gli aggiornamenti  di oggi (29 marzo) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 4214 nuovi contagi in più rispetto alla giornata di ieri. I tamponi effettuati sono stati 17253,. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, del 24,42%. I guariti dal Coronavirus sono 2773. Si registra, inoltre, la morte di 7 persone.
    A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    Il Covid in Calabria, provincia per provincia (29 marzo)

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    – Catanzaro: CASI ATTIVI 6.255 (83 in reparto, 12 in terapia intensiva, 6.160 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 31.648 (31.400 guariti, 248 deceduti)

    – Cosenza: CASI ATTIVI 31.706 (135 in reparto, 5 in terapia intensiva, 31.566 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 38.741 (37.763 guariti, 978 deceduti)

    – Crotone: CASI ATTIVI 52.29 (25 in reparto, 0 in terapia intensiva, 5.204 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 24.874 (24.676 guariti, 198 deceduti).

    – Reggio Calabria: CASI ATTIVI 14.271 (117 in reparto, 4 in terapia intensiva, 14.150 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 102.872 (102.182 guariti, 690 deceduti)

    – Vibo Valentia: CASI ATTIVI 16.219 (17 in reparto, 0 in terapia intensiva, 16.202 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 16.839 (16.680 guariti, 159 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica 1.276 nuovi soggetti positivi di cui 9 fuori regione. Oggi si registrano 1279 nuovi casi; il numero complessivo dei casi è incrementato di 1.276 unità e non di 1279 in quanto 2 pazienti sono stati trasferiti all’AOMD di Catanzaro e 1 paziente è stato trasferito al P.O di Crotone. L’Asp di Crotone comunica 519 nuovi soggetti positivi di cui 2 fuori regione.

     

  • La marcia su Vibo: in strada per difendere il diritto a Cultura e Bellezza

    La marcia su Vibo: in strada per difendere il diritto a Cultura e Bellezza

    Il liceo Morelli dista da quel palazzo, costruito su antichi resti romani, poco più di cento passi. E quello che è accaduto a Vibo in queste poche decine di metri ha molto a che fare con l’idea di «insegnare la bellezza». Senza rispolverare la retorica su Peppino Impastato, che in realtà certe parole non le ha mai pronunciate, si tratta comunque di una storia che fa pensare. Perché riguarda la bellezza e, soprattutto, il coraggio di non girarsi dall’altra parte.

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    Il liceo Morelli di Vibo Valentia

    A spasso nella storia di Vibo

    Parla proprio di questo, ai suoi ragazzi, Maria Concetta Preta, docente di Lettere, Latino e Greco del Classico di Vibo. Della bellezza passata, di quella nascosta e anche di quella ricoperta da cemento e collusioni. La professoressa ha promosso nelle scorse settimane una «Marcia per i Beni culturali» che ha portato i suoi studenti «in cammino per il diritto alla Cultura e alla Bellezza».

    Lo hanno fatto richiamando l’articolo 9 della Costituzione e andando, fisicamente, in alcuni luoghi simbolo del patrimonio archeologico vibonese. Il Tempio Greco al Belvedere, le Aree sacre del Cofino e del Cofinello, il Museo “Capialbi”, le Mura Greche di Hipponion. Gli studenti vorrebbero adottare una porzione di queste mura (nell’ambito del progetto “La scuola adotta un Monumento”, che passa per un concorso nazionale promosso dalla Fondazione Napoli 99), ma per il momento lo hanno potuto fare solo simbolicamente.

    Il Parco archeologico invaso dalla vegetazione

    Nessuno infatti ha aperto loro i cancelli del Parco archeologico perché, hanno risposto dalla Soprintendenza, il sito «risulta inagibile a causa di alta vegetazione che ingombra gran parte del percorso di visita e la vista stessa dei monumenti». Insomma sono necessari dei lavori di manutenzione straordinaria per i quali la Soprintendenza «sta provvedendo», mentre quella ordinaria spetta al Comune che ha pure garantito che se ne occuperà.

    Una tappa non ufficiale

    «Vedremo se mai si riuscirà a visitare il percorso messo in luce da Paolo Orsi nelle campagne di scavo fatte tra 1916 e 1921», commenta la professoressa Preta, che non demorde. Alla Marcia con gli studenti è stata pure aggiunta una “tappa” non ufficiale: sono andati proprio davanti al palazzo, di cui si parla nelle carte dell’inchiesta “Rinascita-Scott” e nel maxiprocesso che ne è scaturito, ricostruendone la controversa vicenda. Su I Calabresi ne abbiamo scritto raccontando gli agganci di un presunto factotum dei Mancuso e il senso del dovere di chi ha provato a ostacolarlo.

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    I resti di epoca romana catalogati prima che ci costruissero un palazzo sopra

    Alla fine lui ce l’ha fatta, ha superato i vincoli e fatto erigere il suo palazzo nel luogo in cui c’erano i resti di un’antica strada e di una villa di epoca romana. Però il fatto che la vicenda sia emersa non è rimasto isolato. C’è stato un seguito grazie alla coscienza sociale di docenti come Maria Concetta Preta che, nella sua «didattica all’aperto» votata alle «competenze», all’«ascolto» e al «pensiero critico», ha ricordato le luci del patrimonio culturale vibonese senza nasconderne le ombre.

    Una lezione per i cittadini di domani

    «Tappa irrinunciabile», commenta la prof sui social. «Non si parla d’altro – aggiunge – quando si tocca l’articolo 9 della Costituzione Italiana e la didattica trasversale sulla Legalità. Dovere della scuola è far leggere criticamente e civilmente la storia antica e presente della propria civitas. La narrazione di Hipponion/Valentia e di Vibo non può ignorare questi argomenti. È un dovere etico dei docenti, prim’ancora cittadini! A chi consegneremo il nostro testimone, se non prepariamo un pochino i giovani, facendo aprire loro gli occhi?».
    Ad affrontare di recente la questione del “palazzo della discordia” è stata anche una docente di Istituzioni di diritto pubblico dell’Unical, Donatella Loprieno. Ne ha parlato diffusamente durante un corso promosso dal Consorzio Macramè con Legacoop Calabria e il Forum del Terzo settore Calabria.

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    Il “palazzo della discordia”

    L’interrogazione a Franceschini dopo gli articoli su I Calabresi

    Il titolo della sessione era “La criminalità organizzata impoverisce la democrazia costituzionale?”. La risposta, questa sì, è retorica. Ma prima o poi, visti i contorni imbarazzanti per gli uffici che da lui dipendono, potrebbe provare a darla anche il ministro della Cultura Dario Franceschini. A lui è infatti rivolta l’interrogazione parlamentare presentata dal deputato del Misto Francesco Sapia dopo i nostri articoli.

  • Covid, i casi scendono ancora ma aumentano i decessi

    Covid, i casi scendono ancora ma aumentano i decessi

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    Questi gli aggiornamenti  di oggi (28 marzo) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 1.766 nuovi contagi in più rispetto alla giornata di ieri. Un numero in calo, come quello dei tamponi effettuati, che sono stati 8.188. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, del 21,57%, superiore a quello del 27 marzo. I guariti dal Coronavirus sono 1.047. Si registra, inoltre, la morte di 8 persone.
    A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.

    Il Covid in Calabria, provincia per provincia

    covid-calabria-oggi-28-marzo

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 6.278 (78 in reparto, 13 in terapia intensiva, 6.187 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 31.090 (30.843 guariti, 247 deceduti).
    • Cosenza: CASI ATTIVI 30.585 (131 in reparto, 5 in terapia intensiva, 30.449 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 38.595 (37.620 guariti, 975 deceduti).
    • Crotone: CASI ATTIVI 4.975 (25 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.950 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 24.611 (24.413 guariti, 198 deceduti).
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 14.314 (123 in reparto, 7 in terapia intensiva, 14.184 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 101.338 (100.651 guariti, 687 deceduti).
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 16.103 (18 in reparto, 0 in terapia intensiva, 16.085 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 16.562 (16.403 guariti, 159 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica 550 nuovi soggetti positivi di cui 2 fuori regione. L’ASP di Vibo Valentia comunica 228 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione.