Questi gli aggiornamenti di oggi (7 aprile) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 2.326nuovi contagi, sedici in meno rispetto a quelli registrati nella giornata di ieri. Un risultato che arriva a fronte di 11.408 tamponi. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, pari al 20,39%, una variazione in aumento minima rispetto a ventiquattro ore fa. I guariti dal Coronavirus salgono a 2.528.
Si registra, inoltre, anche quest’oggi la morte di 8 persone.
A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
Dall’inizio della pandemia ad oggi (7 aprile): i dati sul Covid in Calabria
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 7.239 (81 in reparto, 10 in terapia intensiva, 7.148 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 34.979 (34.720 guariti, 259 deceduti).
Cosenza: CASI ATTIVI 37.718 (118 in reparto, 4 in terapia intensiva, 37.596 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 39.641 (38.641 guariti, 1000 deceduti).
Crotone: CASI ATTIVI 4.899 (17 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.882 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27.402 (27.194 guariti, 208 deceduti).
Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12.070 (109 in reparto, 3 in terapia intensiva, 11.958 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 112.296 (11.1581 guariti, 715 deceduti).
Vibo Valentia: CASI ATTIVI 17.520 (18 in reparto, 0 in terapia intensiva, 17.502 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 17.572 (17.410 guariti, 162 deceduti).
Nei mesi bui del 2020, quelli del lockdown, la già stagnante economia calabrese ha avuto un calo del Pil di circa 9 punti percentuali. Paura, incertezza, emergenza: sono situazioni che le cosche della ‘ndrangheta «hanno sempre dimostrato di sapersfruttare a proprio vantaggio». Come? Ovvio: con i soldi. «Massimizzando i profitti ed orientando gli investimenti verso contesti in forte difficoltà finanziaria».
Con il covid un sistema produttivo che era già fragile e indebitato ha avuto un improvviso, ulteriore bisogno di liquidità. Nel mercato del credito – dice il Rapporto della Banca d’Italia su “L’economia della Calabria” – c’è stato un «forte rallentamento osservato nei finanziamenti destinati alle famiglie». E la mafia calabrese ha sempre saputo proporsi come un sostegno per le famiglie in difficoltà. La “filantropia” della ‘ndrangheta, però, non è ovviamente gratis. La si paga a tempo debito.
C’è poi un altro aspetto che la Dia ribadisce, quello della famigerata area grigia: «Le cosche continuano a dimostrarsi abili nel relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti la cui opera è strumentale al raggiungimento di precisi obiettivi illeciti».
Il record delle interdittive antimafia? In Calabria
Cose note, certo. Come non sorprende che la Calabria abbia il record delle interdittive antimafia (134 su 455 in tutta Italia, +18,49% rispetto al 2020) proprio nei settori maggiormente provati dalla pandemia e dunque più a rischio infiltrazione.
Si tratta comunque di premesse necessarie per focalizzare altri dati, forse meno d’impatto rispetto alle classiche mappe sulla spartizione territoriale delle province calabresi o alle considerazioni sugli agganci con i colletti bianchi. Non perché siano più o meno importanti, ma perché ne sono la diretta conseguenza.
La ‘ndrangheta con la droga, le armi, l’usura, le estorsioni, gli appalti pubblici e quant’altro fa una montagna soldi, così tanti da non sapere dove metterli. Ed è qui che entra in gioco l’attività antiriciclaggio che la Dia effettua partendo dalle segnalazioni che provengono sia dall’estero che dal territorio nazionale attraverso le Financial Intelligence Unit (F.I.U.) e l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia.
Nel primo semestre dell’anno scorso sono state segnalate 11.915 operazioni finanziarie sospette, delle quali 2.459 di diretta attinenza alla criminalità mafiosa e 9.456 riferibili ai cosiddetti reati spia (per esempio impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, usura, estorsione, danneggiamento seguito da incendio ecc.).
Segnalazioni di operazioni sospette (percentuali tra quelli di diretta attinenza alle mafie e reati spia)
Sos, ma non è una richiesta d’aiuto
Le 11.915 s.o.s. (segnalazione di operazione sospetta) constano di 374.764 operazioni finanziarie, un numero che risulta più che raddoppiato rispetto al 1° semestre del 2020. La maggior parte (circa l’85%) avviene attraverso ricariche di carte di pagamento (47%), trasferimento di fondi (23%) e bonifici (15%). Il maggior numero delle operazioni finanziarie riferite a segnalazioni sospette potenzialmente attinenti alla criminalità organizzata è stato registrato nelle regioni del Nord (141.000, ovvero il 37%), seguite da quelle meridionali (107.504, 29%), centrali (89.466, 24%) e insulari (33.187, 9%).
La preferenza per i territori più ricchi
In Calabria ci sono state nel periodo in esame 13.518 operazioni finanziarie relative a s.o.s – si tratta del 3,6% rispetto al dato nazionale – delle quali 6.503 ritenute direttamente attinenti alla criminalità organizzata e 7.015 a reati spia. Il “record” è della Campania con un totale di 62.701 operazioni relative a segnalazioni sospette (16,73%), seguono la Lombardia con 58.705 (15,66%) e il Lazio (58.022, 15,48%). È insomma evidente come, pur essendo il 3,6% una percentuale non insignificante per una regione economicamente disastrata, le mafie riciclino su tutto il territorio nazionale prediligendo i territori più ricchi, quelli ritenuti più redditizi dal punto di vista degli investimenti.
Riciclaggio all’estero
Guardando alle ramificazioni estere i dati sul riciclaggio si confermano nel primo semestre 2021 «in continua crescita» rispetto agli anni precedenti: 852 note provenienti dalle F.I.U. estere (fra queste sono ricomprese anche 25 informative che «delineano alcuni possibili profili di anomalia di movimentazioni e transazioni finanziarie connesse all’emergenza epidemiologica Covid-19»), di cui 266 richieste di scambi informativi e 586 trasmissioni di informazioni con conseguente attività di analisi e di approfondimento dei dati che ha riguardato oltre 3.200 persone fisiche e oltre 2.600 persone giuridiche segnalate.
Prestanome e Bitcoin
L’analisi delle informazioni su fondi ritenuti di provenienza illecita collocati in altri Paesi da persone indagate in Italia in alcuni casi fornisce, secondo la Dia, «validi contributi per riconoscere ipotesi di intestazione fittizia a prestanome o di interposizione di società di comodo e la titolarità effettiva dei patrimoni da parte dei soggetti coinvolti anche in considerazione della rinnovata morfologia dei mezzi di pagamento e di movimentazioni finanziarie». Per questi scopi si fa ricorso a «numerosi» tipi di “money transfer” o alle valute virtuali, le ormai note criptovalute «fra cui spiccano i Bitcoin, le svariate Altcoins e i crypto-asset».
‘Ndrangheta Spa
Mettendo insieme questi e altri elementi emersi da indagini e segnalazioni la Dia descrive il vasto panorama dell’imprenditoria mafiosa come «sempre più caratterizzato dalla presenza di holding criminali». Che accumulano risorse tanto ingenti da risultare «di gran lunga superiori» rispetto a quelle che servirebbero per «corrispondere ai bisogni dei loro associati, a sostenere i costi di mantenimento delle proprie strutture ed a promuovere l’avvio d’ulteriori attività delittuose».
Le mafie, insomma, fanno molti più soldi di quanti ne servano per gestire se stessa e i propri business. Così «la maggior parte» dei fondi illeciti viene investita «nel tessuto produttivo e commerciale per costituire profitti apparentemente leciti». Grazie ai soldi, dunque, la ‘ndrangheta si mimetizza e si sovrappone alle imprese sia sul piano sociale che su quello finanziario. E senza esporsi al cosiddetto «rischio d’impresa».
La Calabria è una regione che ha fatto della contraddizione la sua geografia. Le montagne rocciose che si tuffano nel mare senza soluzione di continuità sono la più limpida dichiarazione di questo concetto: niente sfumature, nessuna via di mezzo.
I libri diventano inutili con l’analfabetismo funzionale
In questa terra perentoria, abitano uomini che più di altri sono abituati ai compromessi e alle sfumature. La terra che ha i tassi di analfabetismo (funzionale e non) tra i più alti d’Europa è anche la terra da cui sono partiti fiumi di insegnanti.
Proprio nella scuola bisogna andare per capire chi sono i prossimi calabresi e come sarà la Calabria di domani.
Scuola e adolescenti, generazioni a confronto
L’attuale generazione di adolescenti si è dimostrata incredibilmente sensibile a questioni che quella precedente non si è mai posta: si pensi alle manifestazioni sul cambiamento climatico, sulle differenze di genere e finanche sulla validità del sistema economico capitalista. Il dibattito sociologico si sta interrogando su fenomeni come la Great Resignation (dimissioni di massa da parte di lavori poco pagati e molto sfruttati). La Calabria, nonostante la narrazione che la considera periferia d’Europa, partecipa da protagonista a questi dibattiti ed è percorsa da queste spinte.
Il nuovo impegno
Gli esempi si sprecano: il dibattito e la proposta di legge sul voto ai fuorisede parte da un collettivo calabrese (il Collettivo Valarioti); le battaglie di resistenza e riqualificazione del patrimonio storico a Cosenza – che hanno comportato provvedimenti repressivi, ora decaduti – sono portati avanti da ragazzi poco più che ventenni (Jessica Cosenza e SimoneGuglielmelli); l’occupazione dell’Ospedale di Cariati, un modello studiato nelle tesi universitarie, è gestito da giovani impegnati.
Studenti in protesta al Liceo Valentini di Castrolibero
E poi la vicenda più dibattuta: l’occupazione del liceo Valentini-Majorana in seguito a presunte molestie. In tutti questi casi, al pari dei corrispettivi mondiali, le istituzioni sembrano incapaci di rinnovarsi, ingabbiate tra burocrazia e valori generazionali logori, e i giovani si prendono la scena.
Calabria, una storia di insegnanti
A tutti questi la scuola cosa ha da insegnare? Una parte della storia calabrese è una storia di insegnanti. A cominciare da uno dei più celebri intellettuali calabresi: Corrado Alvaro, giornalista, poeta, scrittore. Europeo di Calabria, come si è definito. La sua oltre che un’opera di narrazione è un’opera pedagogica. Racconta le genti di Aspromonte senza giudicarle.
Corrado Alvaro
Da cronisti come Alvaro provengono storie di ragazzi che contendono pagine di manuali scolastici alle capre in istituti diroccati: entrambi, capre e ragazzi, “mangiavano con la cultura”. Insegnanti che bocciano studenti per tenerli qualche mese in più tra i banchi e non nella miseria.
Scuola o esercito: fughe dalla Calabria
Le regioni meridionali sono state per anni zone nelle quali, chi poteva, sceglieva una formazione liceale anziché professionale, a differenza del Nord. Perché? Semplice: l’unica via d’uscita, se non di fuga, era insegnare al Nord. Un’altra possibilità era arruolarsi. E in questo modo per anni molte poesie di D’Annunzio o di Pascoli hanno le consonanti accentuate o distorte tipiche della cadenza calabrese.
Non è poi tanto diverso da quel che accade oggi, quando molti ragazzi si dedicano all’insegnamento come ripiego di altre carriere precluse.
Elena Cupello: il giudizio della preside
La preside Elena Cupello
Di tutto questo patrimonio cosa resta? Elena Cupello è una delle persone più adatte a rispondere: decenni dietro la cattedra, poi preside. Chiunque l’abbia conosciuta ne ha un ottimo ricordo, perché gli istituti da lei diretti diventavano laboratori di sperimentazione umana e didattica. Ora è stata chiamata proprio a dirigere quel liceo Valentini-Maiorana diventato simbolo di “altro”.
Possibile che proprio in una terra che dovrebbe cullare anime critiche e ribelli, la scuola salga agli onori della cronaca per questi episodi? Funziona la scuola in Calabria? La sua voce è stanca, ma non si sottrae: «Sono delusa e sfiduciata. La scuola negli anni in cui l’ho vissuta è cambiata molto. Ci sono valide professionalità, ma l’istituzione resta imbrigliata e forse impaurita da gabbie burocratiche, regole e mille altre cose. Bisognerebbe ripensarla altrimenti».
Burocrazie “maledette” e studenti assenti
Ma questi tanti lacci impediscono ai professori di mettere passione e aprire dibattiti su problematiche reali, oppure c’è un divario e un’incomunicabilità data dall’età, ma anche da mille altri interessi (politici ed economici) che giocano la loro parte? «C’è sicuramente un problema di età: il vissuto di molti insegnanti è completamente diverso da quello dei loro studenti per motivi anagrafici. Ma il problema vero è cosa si richiede alla scuola oggi. Gli insegnanti che conosco fanno per la maggior parte il loro dovere e lo fanno al meglio. Tuttavia, ciò che si chiede alla scuola spesso non è in linea con quel che avviene nella società. Molti ragazzini hanno sviluppato competenze e interessi autonomamente e per altre vie rispetto a quanto avviene a scuola. Nelle aule studiano, consegnano quanto gli viene richiesto, ma perdono interesse perché non è quello che vivono. Però non si può fare di più e andare oltre con questo concetto di scuola: al di là ci sono genitori sempre meno collaborativi, regole sempre più stringenti».
Poi c’è l’altra parte: «Ci sono studenti svegli e attivi, ma non sono la maggior parte: magari aggregano e tirano, però la maggioranza sta altrove». La Cupello chiude con una metafora: «La scuola è affetta dal morbo di Osgood-Schlatter, c’è uno squilibrio di sviluppo: lo scheletro cresce più velocemente dei muscoli e dei legamenti».
Un’altra scuola è possibile in Calabria
Come darle torto? Nel momento in cui le istituzioni hanno perso credibilità ed efficacia nel garantire alternative, i ragazzi si muovono verso altri attrattori. Però, forse proprio in Calabria, quel qualcos’altro che cerca la preside Cupello nella scuola c’è. Sono i Punti Luce di Save the Children, le associazioni, gli esperimenti pedagogici che nascono proprio intorno a quelle scuole che chiudono classi per mancanza di alunni.
Un Punto Luce di Save the Children
Loro restano aperti nei pomeriggi proprio per tenere qualche altra ora i ragazzi, proprio come i vecchi maestri.
Tra quei banchi colorati siedono calabresi e immigrati di seconda generazione. «Il bilancio nelle classi è ormai metà e metà tra vecchi e nuovi calabresi», dicono gli operatori volontari, tra cui molti studenti più grandi, precari e disoccupati. Sono loro che come in una trasfusione iniettano nuovo entusiasmo. Hanno fame e voglia di riscatto: non a caso primeggiano nelle prove di valutazione nelle quali molti studenti italiani e meridionali deludono. Hanno quella sana rabbia, che, salvo le eccezioni prima declinate, si è persa negli altri. In molti di loro il pensiero che “vivere onestamente non serva”, la grande paura di Alvaro, non ha ancora preso il sopravvento.
Nel giro di poche settimane potrebbe innescarsi un complesso effetto domino in seno alla magistratura calabrese. Il Consiglio Superiore della Magistratura, infatti, sembra intenzionato ad accelerare sulla nomina del nuovo procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. E tra i papabili, figura anche il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri.
Federico Cafiero De Raho è stato fino a febbraio procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo
Il successore di Federico Cafiero De Raho
Sono in tutto sette i candidati per ricoprire il ruolo che, fino alla scorso febbraio, è stato di Federico CafieroDe Raho. Magistrato per anni in prima linea contro i Casalesi a Napoli e poi contro la ‘ndrangheta da procuratore di Reggio Calabria. Proprio nello scorso febbraio, Cafiero De Raho è andato in pensione, lasciando vacante la postazione.
Per la successione nella Direzione nazionale antimafia, uscito di scena l’ex procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, nel frattempo nominato procuratore di Roma, in corsa ci sono il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo, il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, il pg di Firenze, Marcello Viola, i procuratori di Catania, Carmelo Zuccaro, di Messina, Maurizio De Lucia, e di Lecce, Leonardo Leone De Castris, e il vicario Giovanni Russo.
Ma la lotta sembra essere ristretta proprio ai primi due: Melillo e Gratteri. Con il primo favorito. Proprio negli scorsi giorni, la Commissione Direttivi del Csm ha effettuato le sue audizioni sui papabili. E da più parti trapela la voglia di Palazzo dei Marescialli di stringere i tempi.
Che dipenderanno, però, da quelli di un’altra nomina. Quella, altrettanto delicata, per il successore di Francesco Greco come procuratore di Milano. La Commissione ha indicato una rosa di tre nomi: il Pg di Firenze Viola, il procuratore di Bologna Giuseppe Amato e l’aggiunto della procura di Milano Maurizio Romanelli, con il primo favorito (e che, quindi, uscirebbe dalla corsa verso la DNA).
Per Gratteri, tra i massimi esperti di ‘ndrangheta al mondo, la nomina a procuratore nazionale antimafia sarebbe il coronamento della propria carriera. Che, peraltro, è arrivata a uno snodo cruciale. Gratteri, infatti, si è insediato a capo della Procura di Catanzaro nel maggio del 2016. Praticamente sei anni fa.
E come è noto, per gli incarichi direttivi, il termine massimo di durata è di otto anni, per evitare incrostazioni di potere. Tradotto: entro due anni, il procuratore dovrà lasciare l’attuale posto per scegliere quello che, verosimilmente, lo porterà alla pensione. Ma, chiaramente, la velleità di ambire alla Direzione Nazionale Antimafia, oltre che una legittima aspirazione di Gratteri, è dovuta al fatto di non arrivare al termine ultimo, quando, poi, il trasferimento di funzione diverrebbe obbligatorio.
Gratteri in Direzione Antimafia: gli scenari
Non è facile. Ma, in un modo o nell’altro, il vertice della Procura di Catanzaro dovrà cambiare nei prossimi due anni. E questo potrebbe aprire un effetto domino molto ampio in seno alla magistratura calabrese. Quel posto, infatti, potrebbe essere molto ambito.
In primis dall’attuale procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, che a Catanzaro è già stato aggiunto. Secondo i rumors, Bombardieri tornerebbe volentieri a Catanzaro. Peraltro, essendo alla soglia dei quattro anni di mandato in riva allo Stretto, Bombardieri deve iniziare a guardarsi un po’ intorno. E le Procure importanti, nei prossimi anni, potrebbero essere tutte occupate. Roma ha un nuovo capo da pochi mesi e lo avranno a brevissimo anche Milano, Firenze e Palermo. E, ovviamente, il posto in DNA non sarebbe più vacante.
Il procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri
Resterebbero, quindi, Napoli (in caso di vittoria di Melillo) o Catanzaro (in caso di vittoria di Gratteri). Ma, certamente, da calabrese, Bombardieri sceglierebbe più di buon grado la seconda destinazione.
Da non trascurare, però, la soluzione interna dell’aggiunto Vincenzo Capomolla, dell’outsider Giuseppe Capoccia (procuratore di Crotone) e di Pierpaolo Bruni, che a Catanzaro ha già lavorato e che ora è procuratore di Paola.
E se si libera Reggio?
Esponente della corrente di Unicost romana, Bombardieri è stato, da sempre, molto vicino all’ex magistrato Luca Palamara, per anni dominus del Csm e destituito dopo gli scandali in cui rimarrà coinvolto. «Per me Giovanni Bombardieri è come se fossi io, ti prego di non dimenticarlo» – scriveva in una chat. «Ora penso di poter chiudere la mia esperienza qui» – aggiungeva dopo la nomina dello stesso a capo della Procura reggina.
E quindi, a quel punto, si aprirebbe anche la corsa per Reggio Calabria. Una Procura che, negli anni, ha rivestito un ruolo di avanguardia nella lotta alla ‘ndrangheta. Con Giuseppe Pignatone prima e con Federico Cafiero De Raho poi. Ma che negli ultimi anni è stata decisamente fagocitata dall’opera di Catanzaro (soprattutto con la maxi-inchiesta “Rinascita-Scott”) e dalla forza mediatica di Gratteri.
Ma le cose potrebbero cambiare. Perché, con quella poltrona vacante potrebbe arrivare il momento di Giuseppe Lombardo, attuale procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che nelle scorse settimane ha già presentato domanda per Firenze, come successore di Giuseppe Creazzo. Al pari proprio di Pierpaolo Bruni. Insomma, l’ambizione al grande salto non manca. E Reggio Calabria potrebbe essere la piazza giusta.
L’ex magistrato Luca Palamara
Valzer delle nomine
Dove, peraltro, è ancora vacante il ruolo di procuratore aggiunto lasciato libero da Gerardo Dominijanni, divenuto negli scorsi mesi procuratore generale in riva allo Stretto. Con otto magistrati in corsa: il Procuratore della Repubblica di Caltagirone (Catania), Giuseppe Verzera, ed il sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Salvatore Dolce. Poi, ancora, Stefano Musolino e Walter Ignazitto, sostituti procuratori nella Dda di Reggio Calabria ed i sostituti procuratori di Roma Pietro Pollidori, di Salerno Marco Colamonici, di Caltanissetta Pasquale Pacifico e il gip di Napoli Maria Luisa Miranda.
E presto potrebbe liberarsi anche un altro posto: quello dell’altro procuratore aggiunto, Gaetano Paci, indicato all’unanimità come procuratore della Repubblica di Reggio Emilia.
Questi gli aggiornamenti di oggi (6 aprile) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 2342nuovi contagi in più rispetto alla giornata di ieri. Un risultato che arriva a fronte di 11611 tamponi. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, pari al 20,17%. I guariti dal Coronavirus sono 2090. Si registra, inoltre, la morte di 8 persone.
A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
Dall’inizio della pandemia ad oggi (6 aprile): i dati sul Covid in Calabria
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 7.294 (83 in reparto, 13 in terapia intensiva, 7.198 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 34.358 (34.103 guariti, 255 deceduti)
– Cosenza: CASI ATTIVI 37.182 (120 in reparto, 3 in terapia intensiva, 37.059 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 39.428 (38.429 guariti, 999 deceduti).
– Crotone: CASI ATTIVI 5.236 (18 in reparto, 0 in terapia intensiva, 5.218 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 26.859 (26.652 guariti, 207 deceduti).
– Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12.598 (108 in reparto, 4 in terapia intensiva, 12.486 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 111.175 (110461 guariti, 714 deceduti).
– Vibo Valentia: CASI ATTIVI 17.353 (18 in reparto, 0 in terapia intensiva, 17.335 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 17.537 (17.376 guariti, 161 deceduti).
L’ASP di Catanzaro comunica 698 nuovi soggetti positivi di cui 5 fuori regione.
In principio fu la pandemia da Covid-19 a sconvolgere la routine dei cittadini. Poi venne l’aumento delle tariffe di gas ed elettricità, adesso l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Con la diretta conseguenza dell’escalation dei prezzi del carburante.
Tutto questo contribuisce a comporre il quadro di un Paese in affanno, che non riesce a rimettersi in moto e a risalire la china. Un’Italia costretta a fare i conti giornalmente con le stangate sul metano, sulla bolletta elettrica e sul conto al distributore di carburante.
Dopo tante polemiche e minacce di scioperi e blocchi stradali che avrebbero paralizzato il Paese, il Governo qualcosa ha fatto.
Il capo del Governo italiano, Mario Draghi
Per contrastare il caro carburante l’esecutivo di Draghi ha deciso una sforbiciata con un decreto pubblicato il 22 marzo in Gazzetta Ufficiale. Prevede un taglio di 25 centesimi in meno di accise a cui sommare l’Iva per uno sconto complessivo di 30,5 centesimi al litro. Di certo una buona notizia dopo settimane di rincari stellari. Il carburante era arrivato ben oltre la soglia tabù dei 2€/litro. Adesso si spende in media tra 1,71€ ed 1,80€.
Il caro carburante colpisce pure il benzinaio
Ma non è per tutti così e per qualche benzinaio il taglio del Governo ha avuto il sapore amaro della beffa. E’ il caso di Mario che gestisce a Cosenza un punto vendita ghost (solo modalità self service): «Appena qualche giorno prima dell’entrata in vigore del taglio delle accise, avevo acquistato una bella scorta di carburante pagandola al “vecchio” prezzo. Ovviamente non posso permettermi di modificare i costi, ci perderei qualcosa come 5mila euro».
E nella sua stessa condizione sono moltissimi altri gestori di tutta la rete di distribuzione: dalle grandi compagnie petrolifere alle pompe “no logo”. Ognuno di loro ha reagito come poteva, generando differenze significative anche tra benzinai distanti poche centinaia di metri. Stando alle ultime informazioni, a livello nazionale si starebbe cercando di acquisire i dati delle giacenze di carburante di ogni rivenditore così da offrire a coloro che lo avevano pagato a prezzo pieno una compensazione con un credito di imposta.
Ma gli stessi benzinai si mostrano scettici sull’efficacia di misure limitate nel tempo. L’incognita principale riguarda la durata, il taglio delle accise per ora vale un mese: «Staremo a vedere come evolverà la situazione del mercato nel prossimo futuro – dice Fabio, gestore di una Q8 tra Cosenza e Rende – poi valuteremo come comportarci giorno per giorno».
La musica non cambia se si interpellano le associazioni di categoria. Assoutenti si dice preoccupata per le oscillazioni delle quotazioni del petrolio e per le conseguenze che il conflitto ucraino potrebbe avere in termini di aumenti sul prezzo dei carburanti.
Tiepida sui provvedimenti del Governo per frenare la corsa dei prezzi anche la Fegica (Federazione gestori impianti carburanti e affini): «Non c’è chiarezza – denuncia il segretario generale Alessandro Zavalloni -, ancora non si capisce chi dovrà accollarsi il costo delle quantità di carburanti già immesse al consumo. Di questo passo c’è il rischio concreto che il prezzo del carburante arrivi presto a 3 euro al litro».
Dopo il picco dei giorni scorsi, tornano parzialmente a scendere i prezzi del carburante
L’App per combattere il caro carburante
In tutto ciò gli utenti finali, gli automobilisti, si stanno rendendo conto dell’impatto che il conflitto ucraino avrà sulle loro tasche e cercano di correre ai ripari come possono: qualcuno si affida agli ultimi ritrovati tecnologici in fatto di applicazioni per cellulare che indicano in tempo reale i distributori più convenienti. Altri, meno smaliziati, aspettano di trovare il prezzo più basso per riempire il serbatoio a tutte le auto della famiglia. Quelli che invece pensavano di averci visto lungo acquistando un auto a metano o modificando il sistema di alimentazione con l’obiettivo di risparmiare qualcosina, sono forse coloro che stanno messi peggio di tutti: un pieno di metano costa il triplo di un mese fa e molti gestori sono stati costretti a chiudere per proteggersi dai rincari fuori controllo.
Sono le conseguenze della guerra alla pompa di benzina. E pensare che quando il metano ha sfondato il muro dei 3 € ancora Putin non aveva progettato di farsi pagare il gas in rubli…
Questa storia ha inizio nel primo pomeriggio di un giovedì di maggio di 31 anni fa all’interno di un salone da barbiere a Taurianova, nel Reggino. Quel giorno un killer uccide un uomo mentre fa la barba. La vittima – la faccia ancora sporca di schiuma – si chiama Rocco Zagari ed è un boss della ‘ndrangheta. Il suo omicidio rappresenta il punto di non ritorno della faida tra gli Zagari-Viola-Avignone e gli Asciutto-Alampi che in due anni ha già fatto 32 morti. Il giorno seguente, il 3 maggio 1991, rimarrà agli annali come quello della “mattanza del venerdì nero”.
Il “venerdì nero” di Taurianova nel racconto giornalistico della Gazzetta del Sud
La vendetta degli Zagari è impressionante: tre agguati e quattro omicidi. In uno di questi il sicario mozza la testa del cadavere, la lancia in aria e spara come in un macabro tiro al piattello davanti a una ventina di testimoni pietrificati. La Calabria finisce in prima pagina e il governo è costretto a intervenire: il 7 maggio presenta una serie di misure sul caso Calabria e il 31 emana il decreto legge 164 che introduce lo scioglimento per mafia degli enti locali.
A distanza di poche ore, il prefetto reggino dispone la sospensione del consiglio comunale di Taurianova, il 2 agosto arriva lo scioglimento. È la prima volta nella storia d’Italia. O meglio, la prima volta che avviene grazie a una legge. Era già successo infatti nel 1983 quando, alle elezioni del Comune di Limbadi, il boss Ciccio Mancuso aveva ottenuto 469 preferenze su 1215 votanti. Da latitante. Per impedirne la scontata indicazione a sindaco, si era reso necessario un decreto del presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Il boss Ciccio Mancuso, quasi sindaco di Limbadi
Record su record
Da allora questa storia di record e prime volte si ripete senza soluzione di continuità. La conferma, l’ennesima, arriva dal dossier Le mani sulla città appena pubblicato da Avviso Pubblico, l’associazione degli enti locali contro le mafie: per il quindicesimo anno consecutivo, anche nel 2021 (questa volta al pari di Sicilia e Puglia) la Calabria è prima in Italia per numero di enti sciolti per mafia (quattro su 14: Guardavalle, Nocera Terinese, Simeri Chichi e Rosarno). Ma la Calabria è in vetta anche alla classifica assoluta.
Su 365 decreti di scioglimento, ben 127 riguardano la Calabria (la Campania segue con 113). Di questi, 71 la provincia di Reggio, 24 il Vibonese, 17 il Catanzarese, 10 la provincia di Crotone e cinque il Cosentino. Ben 28 enti – ancora un primato – hanno subìto decreti plurimi, 11 consigli comunali sono stati addirittura sciolti per tre volte (Rosarno, Lamezia Terme, Taurianova, Briatico, Nicotera, San Ferdinando, Gioia Tauro, Platì, Africo, Roccaforte del Greco e Melito Porto Salvo). Sono almeno altri due i primati: su sette aziende sanitarie coinvolte, ben cinque sono calabresi. Ed è calabrese il primo capoluogo di provincia ad avere subìto un decreto di scioglimento: Reggio Calabria.
Comuni sciolti per mafia: il caso Reggio
È il 9 ottobre 2012 quando il Viminale usa la scure sul Comune guidato dal sindaco di centrodestra Demetrio Arena. Per l’Amministrazione, già impantanata in un dissesto finanziario, è un’onta: il provvedimento parla di «contiguità» con ambienti criminali, indica la necessità di «rimuovere le cause del rischio di infiltrazioni mafiose» e chiama in causa la gestione delle aziende municipalizzate e il comportamento di alcuni consiglieri e dipendenti comunali.
Il Comune di Reggio Calabria
A nulla serve pubblicare il documento Reggio rivendica il suo ruolo nel goffo tentativo di scongiurare in extremis il provvedimento: si tratta di un retorico e banale appello che – senza esprimersi sui fatti all’attenzione della commissione d’accesso o agevolare un confronto pubblico – richiama a una presunta «ingiusta campagna di diffamazione che criminalizza un’intera città»» e a «una strategia denigratoria di una intera comunità» che ha «bellezze naturali ma anche cultura, eccellenze lavorative, imprenditoriali, professionali, scolastiche». Un testo incredibilmente sottoscritto da oltre 500 tra «professionisti reggini, imprenditori, rappresentanti di organizzazioni di categoria» e dalle principali associazioni antimafia cittadine (Libera, Riferimenti, Ammazzateci tutti, Museo della ’ndrangheta – non lo sottoscrivono invece daSud e Reggio non tace).
Arena e Scopelliti abbracciati
Lo scioglimento è un colpo fatale per il cosiddetto Modello Reggio, il sistema politico e di potere del presidente della Regione Giuseppe Scopelliti, padrino politico di Arena, già barcollante per una delle pagine più drammatiche della storia cittadina: il misterioso suicidio di Orsola Fallara, potentissima dirigente del Settore Finanza del Comune. A Reggio inizia l’era dei commissari, poi di nuove amministrazioni targate centrosinistra. Ma un vero dibattito sull’accaduto non ci sarà mai. Un’occasione sprecata.
Il paradosso dell’antimafia
Reggio non è tuttavia un caso isolato. L’analisi di Avviso Pubblico sui trent’anni di applicazione della legge dimostra infatti che esiste un deficit di trasparenza sul lavoro delle commissioni di accesso. E che non funziona la necessaria attivazione di una discussione pubblica sui fatti oggetto del provvedimento. Inoltre, emergono problemi a proposito di scioglimenti giudicati arbitrari perché “politici”, di commissari spesso non all’altezza e dell’impossibilità di intervenire sulla macchina amministrativa: circostanze che creano diffidenza, se non insofferenza, tra i cittadini.
«Alla lunga – sottolinea Vittorio Mete, docente di Sociologia all’Università di Torino, alla presentazione del dossier di Avviso Pubblico – gli scioglimenti godono di un deficit di popolarità e consenso. Quello della legittimità percepita è un problema che dobbiamo porci, perché lo scioglimento non rimedia a un meccanismo di raccolta del consenso che non è sano e che non si ripara in pochi mesi».
Le conseguenze, a volte, rischiano il paradosso: succede quando l’intervento dello Stato crea una frattura del patto tra istituzioni e cittadini, soprattutto nelle aree in cui è più pervasiva la presenza dei clan. Una questione delicata, ricca di contraddizioni che riguarda – è un’avvertenza necessaria – la possibilità di esercitare i diritti costituzionali e nulla ha a che vedere con il falso garantismo che cerca di insinuarsi nelle fragilità del sistema.
Due casi emblematici e una legge da cambiare
Sono emblematici, da questo punto di vista, i casi dei comuni aspromontani di Platì, rimasto per anni senza sindaco a causa di tre scioglimenti e della ripetuta assenza di candidati, e di San Luca, dove Bruno Bartolo è stato eletto nel 2019 (con il 90% delle preferenze!), a distanza di sei anni dallo scioglimento e di ben 11 dalle ultime elezioni, solo grazie alla candidatura del massmediologo Klaus Davi che ha garantito la possibilità di una competizione.
Il municipio a Platì
«Coniugare diritti fondamentali – ha scritto di recente lo studioso delle mafie Isaia Sales – con l’esigenza che lo Stato faccia sul serio lo Stato è una questione aperta e non banale. Ma se la sfida si pone a questa altezza è necessario rivedere alcuni cardini della strategia. A partire dalla norma sullo scioglimento dei consigli comunali». Una discussione antica e non più rinviabile. «Quando si arriva a constatare – aggiunge – che ben 78 comuni sono stati sciolti più di una volta, e a volte per ben tre volte (e si potrebbe arrivare addirittura alla quarta!) vuol dire che la legge non è più efficace». E bisogna trovare il coraggio, e la volontà, di cambiarla. Sono tre le proposte di modifica della legge, in commissione Affari costituzionali alla Camera, ma una vera discussione non c’è.
Un fenomeno di classi dirigenti
La ragione va forse cercata nelle parole di Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico: «Quella delle mafie, scriveva Pio La Torre, è una questione di classi dirigenti, che ha a che fare cioè con il potere e con coloro che lo detengono». La forza delle mafie sta fuori dalle mafie, spesso nei rapporti politici. «Nel corso del tempo – aggiunge – diverse inchieste giudiziarie, storiche e giornalistiche hanno dimostrato che non può esistere mafia senza rapporti con la politica, ma che può e deve esistere una politica senza rapporti con le mafie». Spezzarli spetta agli apparati repressivi, ma «anche alle forze politiche e ai cittadini elettori».
E tuttavia il tema delle mafie, e del loro rapporto con il potere e con la politica, rimane «assente dal dibattito, anche in questo momento in cui cerchiamo di far partire il Paese col Pnrr», cioè con quella valanga di soldi in arrivo dall’Ue di cui tanto si parla ma su cui non è possibile discutere né per decidere come spenderli, né per individuare il modo migliore di impedire che finiscano nelle mani sbagliate. L’esperienza, a quanto pare, non insegna. Ma questa, seppure anch’essa antica, è un’altra storia.
Questi gli aggiornamenti di oggi (5 aprile) sulla diffusione del Covid in Calabria. I dati comunicati dalla Cittadella riportano 3.641nuovi contagi in più rispetto alla giornata di ieri. Un risultato che arriva a fronte di 16.128 tamponi. Il tasso di positività risulta, di conseguenza, pari al 22,58%. I guariti dal Coronavirus sono 2.331. Si registra, inoltre, la morte di 6 persone.
A seguire, i dati delle singole province calabresi relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
Dall’inizio della pandemia ad oggi (5 aprile): i dati sul Covid in Calabria
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 7224 (86 in reparto, 13 in terapia intensiva, 7125 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 33946 (33691 guariti, 255 deceduti).
– Cosenza: CASI ATTIVI 36721 (125 in reparto, 2 in terapia intensiva, 36594 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 39196 (38198 guariti, 998 deceduti).
– Crotone: CASI ATTIVI 5192 (24 in reparto, 0 in terapia intensiva, 5168 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 26665 (26460 guariti, 205 deceduti).
– Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12968 (113 in reparto, 4 in terapia intensiva, 12851 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 110038 (109328 guariti, 710 deceduti).
– Vibo Valentia: CASI ATTIVI 17312 (16 in reparto, 0 in terapia intensiva, 17296 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 17421 (17261 guariti, 160 deceduti).
L’ASP di Catanzaro comunica 782 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione. Quella di Cosenza comunica 952 nuovi soggetti positivi di cui 7 fuori regione. L’ASP di Vibo Valentia 363 nuovi soggetti positivi di cui 3 fuori regione.
Lunedì di sangue in Calabria. Tre persone sono state ammazzate a colpi di arma da fuoco e ritrovate senza vita il 4 aprile scorso rispettivamente in provincia di Cosenza e di Reggio Calabria. Maurizio Scorza – 57enne con precedenti per droga – è stato freddato nelle campagne di Gammellona, nel territorio di Castrovillari – insieme alla compagna 38enne di origini tunisine. Mentre un agricoltore di 62 anni – Bruno Calanna – è stato ucciso a Calanna – piccolo centro a pochi chilometri dalla città dello Stretto.
Duplice omicidio a Castrovillari: l’uomo era già sfuggito a un agguato
Il corpo senza vita di Maurizio Scorza é stato trovato nel portabagagli della sua Mercedes ieri sera. Quello della donna, di cui non sono state ancora rete note le generalità, era sul sedile lato passeggero della vettura. Sui cadaveri sono stati rilevati numerosi fori provocati dai colpi presumibilmente di fucile sparati da una o più persone. I carabinieri, sotto le direttive della Procura della Repubblica di Castrovillari hanno iniziato a seguire la pista della vendetta maturata negli ambienti della criminalità. Ipotesi avvalorata anche dal fatto che nel 2013 Scorza sfuggì ad un agguato mentre stava percorrendo a piedi una via di Castrovillari.
Sarebbe stato vicino alla ‘ndrangheta dell’Alto Ionio cosentino
Maurizio Scorza sarebbe stato vicino ad alcune cosche di ‘ndrangheta dell’Alto Ionio cosentino. È quanto emerge dalle indagini che stanno conducendo i carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Cosenza e della Compagnia di Castrovillari. Gli inquirenti, però, non escludono nessuna pista investigativa. Scorza, comunque, non aveva precedenti per mafia, ma soltanto per droga. Ad un possibile movente maturato in un contesto di criminalità organizzata viene attribuito anche l’agguato che fu compiuto nel 2013 ai danni di Scorza, che nell’occasione restò illeso, ad opera di persone non identificate.
L’agricoltore freddato a pochi chilometri da Reggio Calabria
Bruno Provenzano è stato trovato morto nelle campagne di Rosaniti, frazione di Calanna, comune alle porte della città dello Stretto.
Noto alle forze dell’ordine, ma per piccoli fatti, l’agricoltore di 62 anni era all’interno del proprio van quando qualcuno gli ha sparato. Un familiare o un conoscente della vittima aveva notato il mezzo. Una volta avvicinatosi, si è accorto del cadavere e ha avvertito i carabinieri. I proiettili lo hanno raggiunto in punti vitali e non gli hanno lasciato scampo. L’inchiesta è coordinata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore Giulia Scavello. I carabinieri stanno sentendo parenti e amici dell’uomo. Sono in corso, inoltre, alcune perquisizioni nelle abitazioni dei pregiudicati della zona.
Tra le varie ipotesi ci sono questioni personali, di vicinato o problematiche relative all’attività lavorativa che Provenzano svolgeva in campagna. Non si esclude, però, nemmeno che l’uomo sia stato ucciso in un contesto di criminalità organizzata. La zona di Calanna, Gallico e Catona, infatti, è quella dove negli ultimi anni si sono registrate più fibrillazioni tra le cosche del territorio. Tensioni che hanno portato anche a diversi omicidi di mafia.
Prima cresce e fa un pienone. Poi cala. E ora, dopo aver messo mano all’organigramma, tenta la rimonta. La Lega punta le fiches calabresi su due tavoli: le imminenti Amministrative, dove mira a recuperare posizioni, soprattutto a danno dei propri alleati, e le Politiche dell’anno prossimo.
Evidentemente, in Calabria tira ancora la trovata salviniana di aver accantonato il vecchio antimeridionalismo in favore del lepenismo all’italiana, prima, e del nuovo corso “moderato” poi.
Leghisti calabresi in azione
Anche a prescindere dal fatto che a tanta potenza comunicativa non corrisponda, in realtà, troppa sostanza: Salvini sostiene tuttora la proposta delle autonomie differenziate, su cui il suo partito giocò una carta importante poco prima delle Politiche del 2018, con i referendum regionali di Veneto e Lombardia.
Ancora: lo zoccolo duro della Lega resta nel Nord profondo, dove è tuttora molto forte la classe dirigente bossiana, a partire da Luca Zaia.
Al contrario, la flessione della Lega da Napoli in giù dovrebbe suggerire che il Sud, per il Carroccio, potrebbe non essere più un buon affare. E allora, come mai tanto interesse?
Il calo della Lega in numeri
Per avere una fotografia fedele della situazione, basta comparare i dati del 2020 a quelli delle Regionali di ottobre. Il partito di Salvini, in questo caso, è passato da 95mila e rotti voti (12,28%) agli attuali 63mila e cinquecento (8,33%). Peggio che andar di notte al Comune di Cosenza, dove il Carroccio ha perso l’unico consigliere, Vincenzo Granata, che tra l’altro era stato eletto in una lista civica nel 2016, prima dell’ascesa del Capitano.
Il tonfo, in questo caso, è stato fortissimo: con il 2,81% dei consensi, la lista della Lega non ha preso neppure il quorum.
Un’altra emorragia forte ha colpito la base, che ha perso trecento militanti tra Cosenza e Catanzaro, a partire da Bernardo Spadafora, ex segretario provinciale di Cosenza.
Il corso moderato di Salvini, a dirla in parole povere, non ha portato benissimo. Non in Calabria, almeno.
Prove di rimonta
La new entry Davide Bruno
Dopo aver salvato il salvabile, la Lega punta a risalire la china a partire dal radicamento. E il nuovo organigramma, annunciato a fine marzo, mira a rafforzare i legami col territorio. Così è a Cosenza, dove un volto noto della destra dura ma pensante, Arnaldo Golletti, gestirà la segreteria provinciale. Golletti è affiancato da un volto giovane dell’area moderata, l’ex assessore cosentino Davide Bruno, che invece gestirà la segreteria cittadina.
Discorso simile per l’area centrale della regione dove lo stato maggiore del partito si è impegnato in prima persona: è il caso di Crotone, dove il coordinatore regionale Cataldo Calabretta è, al momento, segretario provinciale, e di Catanzaro, dove Giuseppe Macrì è stato confermato nello stesso ruolo. Reggio, dove ancora prevale Tilde Minasi, non è ancora pervenuta. Ma questo non è un problema, perché la partita vera si giocherà, in particolare, tra Catanzaro e Cosenza, che replicano nel Carroccio l’atavica rivalità di campanile.
Catanzaro scalda i motori
Il capoluogo regionale sarà decisivo per le Amministrative di giugno.
Per il dopo Abramo, il Carroccio appoggerà il civico (ed ex Pd) Valerio Donato con due liste, una di partito e l’altra civica, entrambe organizzate dal big Filippo Mancuso. A differenza di Cosenza, dove il fratricidio è quasi la norma, a Catanzaro cane non mangia cane.
Domenico Furgiuele e Matteo Salvini
Infatti, la Lega ha tenuto grazie all’equilibrio tra il moderato Filippo Mancuso e il “duro” Domenico Furgiuele. Difficile pensare a due personalità più diverse: quasi centrista Mancuso, formatosi alla corte di Sergio Abramo, ultradestrorso, invece, il deputato di Lamezia, cresciuto a pane ed Evola.
Tuttavia, i due non si pestano i piedi. Tanto più che la Lega, con il recente ingresso al Senato del vibonese Fausto De Angelis, si è rafforzata nella fascia centrale della regione. E quindi, riempire una o più caselle a Catanzaro potrebbe puntellare ancor più la posizione di entrambi.
Cosenza, la Lega punta sulla Sanità
Più complesso il discorso a Cosenza, dove non sono in vista tornate importantissime. Dei ventiquattro Comuni che vanno al voto, solo tre hanno le dimensioni adatte a ospitare liste di partito: Paola, Acri e Trebisacce, che sommate non superano i 60mila abitanti. La partita vera riguarda una sola persona: la capogruppo regionale Simona Loizzo, che vanta un ruolo forte nella Sanità e nella Cosenza che conta (tra le varie, è nipote di Ettore Loizzo, ex big del Goi).
Simona Loizzo, la big della Sanità cosentina
Con i suoi 5.500 e rotti voti, la dentista cosentina si è affermata a sorpresa a ottobre grazie agli ambienti della Sanità, dove ha intaccato il quasi monopolio dei Gentile. E ora forse carezza un altro colpo: la Camera dei deputati, probabilmente in concorrenza con Furgiuele.
A proposito di Sanità: la Loizzo vanta uno sponsor di eccezione, i fratelli Greco, big delle cliniche private, che aspirano da tempo alla realizzazione del mega ospedale privato. E non è un caso che proprio a Cariati, di cui è sindaca Filomena Greco, sia nato di recente un movimento dedicato alla Loizzo.
Loizzo, dai Gentile al Capitano
Il movimento cariatese è il coronamento curioso della carriera di Simona Loizzo, iniziata proprio all’ombra dei fratelli Gentile quando egemonizzavano il Pdl cosentino, di cui fu coordinatrice provinciale. Questo rapporto particolare è proseguito nel 2020, quando, anche a dispetto di una tragedia familiare, la dentista è stata indicata come potenziale sindaco di Cosenza.
La Sanità, per Simona Loizzo, non è tutte delizie, ma ha non poche croci: tra queste, il turnover minimale concesso alla Calabria, circa lo 0,4%, che impedisce le nuove assunzioni, a dispetto dei concorsi annunciati e banditi per rimpolpare ambulatori e ospedali ridotti allo stremo.
Benedetta dal Capitano, Simona Loizzo e Salvini
L’iperattivismo nella Sanità si spiega col fatto che il bacino elettorale della capogruppo è l’Azienda ospedaliera di Cosenza e tutta l’umanità varia, titolata e non, che vi ruota attorno. In particolare, quella che riempie le graduatorie prodotte da vari concorsi, anche recenti, e aspetta di essere assorbita. Anche per questo, la Loizzo fa quasi corpo a sé nella Lega: il suo supporter è stato l’ex presidente facente funzioni Nino Spirlì, che a dirla tutta non va proprio di pelo con gran parte del suo partito.
Potenzialità di crescita
Eppure queste rivalità interne potrebbero garantire una certa crescita al Carroccio, proprio perché sono rivalità tra i territori e non nei territori.
Di questa crescita, annunciata dai vertici con toni entusiastici («triplicheremo le candidature»), il vero beneficiario sarebbe il solo Salvini, che mira a ricavare dal Sud – e quindi dalla Calabria – i consensi elettorali necessari a puntellare la sua leadership nei confronti della vecchia area bossiana, egemone nelle regioni forti del Nord.
Ma non è detto che l’eventuale crescita della Lega si traduca in un vantaggio per i calabresi.
Energia e rifiuti, gli interessi di Salvini
Com’è noto, Matteo Salvini è un azionista di A2A, società bresciana specializzata nella gestione delle acque, nella produzione energetica e nel ciclo dei rifiuti.
E, al riguardo, non è proprio un caso che l’azienda lumbard abbia annunciato di recente una serie di investimenti importanti proprio in Calabria, dove ha già le mani in pasta in alcuni settori non proprio secondari, come l’idroelettrico in Sila.
Dove sta la fregatura per i calabresi? Che l’azienda pagherà le imposte e le tasse prevalentemente dove produce il suo reddito e dove ha la sua sede legale principale, cioè in Lombardia. In pratica, una delocalizzazione degli oneri a dispetto del fatto che gli utili siano prodotti in Calabria. Il tutto, con la benedizione dell’amministrazione regionale, di cui il Carroccio è un puntello…
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