Categoria: Fatti

  • Depurazione: nel Reggino scatta la caccia agli abusi

    Depurazione: nel Reggino scatta la caccia agli abusi

    «La situazione ambientale è fortemente degradata. Ora tocca aspettare gli esami di laboratorio sui campioni di acqua e terreno prelevati, ma visto quanto abbiamo riscontrato non è difficile immaginare cosa ci diranno». Non usa mezze parole il comandante della legione Calabria dei carabinieri Pietro Salsano nella conferenza stampa che segue il maxi blitz “Deep 1” – più di 300 i carabinieri coinvolti – su tutto il territorio della provincia di Reggio.

    Depuratori fantasma, scarichi abusivi e condotte nascoste. E poi discariche di eternit e cimiteri di auto sotto gli ulivi. Persino un autolavaggio che andava avanti – miracoli della burocrazia calabrese – con il via libera di una licenza di trasformazione alimentare: la realtà venuta fuori dal “rastrellamento” certosino eseguito dai militari del comando provinciale e da quelli della forestale non lascia spazio a illusioni.

    L’appello ai cittadini

    «I primi esami – dice ancora Salsano – suggeriscono anche la presenza di metalli pesanti. La situazione è preoccupante e generalizzata in quasi tutto il territorio, anche quello dei piccoli centri. Questo dimostra che c’è stata poca attenzione sul rispetto delle regole ambientali. L’operazione di oggi dimostra ancora una volta l’attenzione dei carabinieri sul fronte della tutela dell’ambiente, ma spesso è difficile riscontrare gli abusi in un territorio così vasto e, in alcuni casi, così impervio quindi il mio appello va ai cittadini: denunciate, fateci sapere, venitecelo a dire quando riscontrate un abuso».

    Il blitz

    Più di 50 indagati (tra amministratori pubblici, funzionari di società che gestivano gli impianti e imprenditori privati), tre depuratori sotto sequestro (gli impianti di Bivongi, Ardore e Stignano), un impianto di sollevamento bloccato (a Campo Calabro, prima periferia di Reggio) e sigilli anche a un canale di collegamento delle acque reflue che serve il comune di Sant’Agata del Bianco. In totale sono 14 gli impianti di depurazione irregolari scovati dagli investigatori sui 48 passati al setaccio in tutta la provincia.depurazione

    Il fantasma dell’opera

    Problemi amministrativi e gestionali, ma anche veri e propri disastri ambientali ancora da codificare: in un caso i carabinieri si sono trovati davanti ad un vero e proprio depuratore fantasma, che pur essendo dismesso da anni, continuava a ricevere parte delle acque reflue dell’impianto fognario. «In un caso addirittura – ha ammesso in conferenza stampa il colonnello Migliozzii nostri uomini non sono ancora riusciti a trovare il bocchettone di scolo di uno degli impianti».

    I fanghi? Troppo pochi rispetto alla popolazione

    E poi la questione dei fanghi di scarto dalla (presunta) depurazione delle acque reflue. Fanghi frutto del procedimento di “ripulitura” degli scarichi e che dovrebbero seguire le stesse regole della matematica in tutta Italia, ma che in Calabria invece seguono strade differenti. A fronte dei poco meno di due milioni di cittadini che abitano la regione infatti, la produzione di fanghi si ferma a 34mila tonnellate. Praticamente un terzo rispetto a quanto prodotto – e quindi certificato – dalla Sardegna (che di abitanti ne ha poco più di 1,5 milioni) e un decimo rispetto alla Puglia, che di abitanti però ne conta quasi 4 milioni.

    I cacciatori nelle fiumare

    Il blitz si è trascinato per tutta la giornata di giovedì: un’operazione imponente dalla costa verso l’entroterra e che ha visto anche l’intervento del gruppo cacciatori – quello in genere deputato alla ricerca dei latitanti e della piantagioni di marijuana sui versanti nascosti d’Aspromonte – a cui è toccato risalire tutte (o quasi) le fiumare della provincia alla ricerca di scarichi nascosti e discariche abusive.

    Depurazione, scarichi abusivi e rifiuti

    L’operazione è andata avanti su tre livelli distinti: quello della depurazione, quello degli scarichi abusivi nelle fiumare e quello dello smaltimento dei rifiuti delle attività produttive. E la realtà che è venuta fuori fa venire i brividi. In un caso i militari hanno riscontrato una condotta abusiva sotterranea lunga 300 metri, che collegava illecitamente un opificio direttamente con la fiumara dove finivano gli scarichi. E ancora montagne di eternit e decine e decine di impianti privati (oleifici, autolavaggi, cementifici) irregolari, alcuni dei quali trovati in totale assenza dei requisiti previsti dalla legge.

  • Coca in mezzo alle banane: sequestro da 200 milioni di euro a Gioia Tauro

    Coca in mezzo alle banane: sequestro da 200 milioni di euro a Gioia Tauro

    La cocaina era in mezzo alle banane. Purissima, l’avevano nascosta in uno dei carichi che arrivano dal Sudamerica nel porto di Gioia Tauro. A scoprirla sono stati i militari della Guardia di Finanza locale e i funzionari della dogana, grazie a sofisticati scanner. E ne hanno scoperta tantissima: oltre 650 chilogrammi.

    Cocaina: 650 kg in un sequestro da 200 milioni di euro

    Secondo le prime stime, una volta immessa sul mercato tutta quella cocaina avrebbe fruttato circa 200 milioni di euro. Quella a Gioia Tauro sarebbe stata solo una tappa intermedia, però: il carico era diretto al porto greco di Salonicco.
    I 650 chilogrammi rinvenuti sono ora sotto sequestro, a occuparsi delle indagini preliminari sarà la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palmi.

  • Palamara, de Magistris, Morra: il trio anti massomafia ne ha per tutti

    Palamara, de Magistris, Morra: il trio anti massomafia ne ha per tutti

    «Chi doveva guardarmi le spalle mi ha accoltellato», dice un Luigi de Magistris particolarmente carico.
    «Già, perché il sistema, come ho detto più volte e infine scritto nel mio libro, ha avuto i suoi anticorpi», gli fa eco Luca Palamara.
    Un incontro tra ex: colleghi e nemici, in entrambi i casi come magistrati. Anche a Cosenza, la sera del 27 aprile, si ripete il copione già visto più volte in tv, quando Lobby & Logge, l’ultimo libro scritto da Palamara assieme ad Alessandro Sallusti, teneva banco nel dibattito pubblico.

    C’eravamo tanto odiati

    Già: c’è voluta la brutta guerra tra Russia e Ucraina per frenare l’impatto mediatico di Lobby & Logge. Ma ciò non toglie che i miasmi del pentolone scoperchiato dall’ex capo dell’Anm continuino ad attirare attenzione.
    Calati nel contesto calabrese, poi, sollevano polemiche e stimolano riflessioni sul filo del non detto.
    «Mi fa piacere che oggi Palamara riconosca la gravità di ciò che mi è accaduto», incalza de Magistris, che ha partecipato al dibattito più come ex sostituto procuratore di Catanzaro che come ex sindaco di Napoli ed ex candidato a governatore della Calabria.
    «Io cerco di raccontare con onestà quel che ho visto e ho vissuto». Ribadisce Palamara. E prosegue: «All’epoca di Why Not trovai eccessivo il decreto di perquisizione di Gigi, che sembrava fatto apposta per essere pubblicato sui giornali». È l’onore delle armi, che tra l’altro Palamara ha reso in più occasioni al suo interlocutore.

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    Luigi De Magistris a Cosenza durante la campagna elettorale per le Regionali 2021 (foto Alfonso Bombini)

    Morra, il terzo incomodo

    Nel dibattito di Cosenza, moderato dal giornalista e scrittore Arcangelo Badolati, c’è un terzo incomodo: l’ex grillino Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare antimafia.
    Morra calabresizza ancora di più, se possibile, l’argomento e lancia alcune bordate. Innanzitutto, a proposito delle toghe nostrane borderline: «Si parlava di quindici magistrati di Catanzaro nell’occhio del ciclone. Ora, tranne Marco Petrini, tutti gli altri mi pare siano al loro posto». L’affaire Petrini diventa la scusa per un altro affondo: «Ricordo a me stesso che Marcello Manna è stato interdetto, per questa vicenda, dall’esercizio dell’avvocatura per un anno. E trovo gravissimo che i sindaci calabresi abbiano eletto Manna, nonostante questa situazione, presidente dell’Anci regionale».

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    Il giudice Marco Petrini

    Guai ’i nott e altre storiacce

    Qualche buontempone ha napoletanizzato Why not, l’ex inchiesta monstre di de Magistris, in Guai ’i nott, guai di notte. E i guai erano belli grossi. A Palamara, che ha argomentato sul lobbismo in magistratura, l’ex sindaco di Napoli ha raccontato una storia concreta. La sua.
    «Mastella, il ministro della Giustizia, mi fece trasferire perché indagavo il suo presidente del Consiglio. Ma neppure nell’Italia fascista, una storia così». Il sottinteso dell’ex pm è chiaro: conflitto d’interesse.
    E ancora: «Finché indagavo solo personaggi vicino al centrodestra, ricevevo qualche applauso dall’altra parte. Poi, quando ho ampliato le inchieste, le cose sono cambiate».
    Una conferma in più a quanto sostenuto da Palamara, che in varie occasioni ha graticolato l’ex presidente Napolitano, accusato di essere il protettore delle trame delle lobbies in toga.

    A proposito di logge

    A ciascuno la sua loggia, rigorosamente deviata. Per Palamara è la famigerata loggia Ungheria, per de Magistris fu la loggia di San Marino, che emerse sulla stampa quando Why not era nel vivo.
    Le espressioni “massoneria deviata” e “massomafia” riecheggiano nella sala a più riprese, più attraverso de Magistris e Morra che tramite Palamara, che in maniera più pragmatica parla di lobbismo. In realtà, forse, si dovrebbe parlare di cricche o di grumi di potere. Ma, a proposito di grembiuli, emerge un nome: Giancarlo Pittelli, ex big di Forza Italia, che fu l’inizio della fine di Gigi magistrato.
    «Il mio procuratore capo mi tolse l’inchiesta quando arrivai a Pittelli, che era vicinissimo a lui e a sua moglie». Insomma, la complessità calabrese fa passare in secondo piano i racconti da brivido di Palamara.

    L’affaire Gratteri

    Le domande su Nicola Gratteri, l’idolo dell’anti ’ndrangheta, di solito sono scontate. Quella rivolta da Badolati a Palamara lo è di meno: «Secondo lei Nicola Gratteri riuscirà a diventare capo della Direzione nazionale antimafia?». La risposta è in tema col dibattito: «La vedo davvero difficile, perché Gratteri è fuori dalle correnti».

    Palamara, Morra, Badolati e de Magistris durante la presentazione del libro

    Palamara, de Magistris, Morra e i fantasmi eccellenti

    «Quando si muore, in Italia si diventa eroi», dice con amara retorica de Magistris.
    «Se avessi fatto le tue inchieste nel ’92, l’esito sarebbe stato diverso, forse peggiore», commenta sinistro Palamara.
    Morra aggiunge il ricordo di Falcone e Borsellino, diventati eroi solo dopo gli “attentatuni”. Prima, invece, erano nel mirino di tanti, a partire dai loro colleghi: «Le loro carriere e inchieste furono ostacolate proprio dal Csm», chiosa il presidente della Commissione antimafia.
    Il riferimento, scontatissimo, va al trentennale imminente delle stragi del ’92 in cui morirono i protagonisti del maxiprocesso.
    Una volta le toghe dovevano essere rosse. Oggi non basta più: devono essere rosso sangue.

    Il pubblico cosentino presente all’incontro
  • Umberto De Rose, il volto grigio del potere

    Umberto De Rose, il volto grigio del potere

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    Oggi è difficile dire che fine farà Umberto De Rose, il tipografo passato alla storia per la vicenda del Cinghiale.
    Non ha più giornali da stampare, anche perché l’informazione su carta stampata è morta. Inoltre, gli equilibri di potere del vecchio centrodestra, che ne avevano propiziato l’ascesa, non esistono più.

    Un colore esprime la sua parabola: il grigio. È il colore dei notabili di seconda fila, che fanno carriera a prescindere dalla loro modestia e grazie alle cordate di cui fanno parte.
    Ogni cosa ha un prezzo e De Rose, con le gaffe per conto terzi e le rogne giudiziarie, ha pagato il suo.

    Il tabloid come destino

    «De Rose non è un editore ma stampa il giornale che leggi», recitava un paginone autocelebrativo apparso più volte fino al 2010 su tutti i giornali usciti dalle sue rotative e poi ripetuto da mega manifesti affissi nelle zone principali della regione.
    Umberto De Rose ha stampato praticamente tutti i giornali della Calabria tranne due: La Gazzetta del Sud e Il domani della Calabria. E tutti i giornali stampati da lui avevano una caratteristica: il formato tabloid, che, come sanno gli addetti ai lavori, era il formato tipico dei giornali scandalistici, a partire dal Sun.

    Nel caso di De Rose questo formato era obbligato perché il suo stabilimento di Montalto Uffugo non era attrezzato per produrre il “lenzuolo”, cioè lo standard dei giornali “seri”.
    La famiglia Dodaro si è sottratta al monopolio di De Rose e, dal 2004, ha stampato Il Quotidiano della Calabria (poi del Sud), con mezzi propri. Tutti gli altri, invece, hanno avuto a che fare con lui. E sono falliti tutti, uno dopo l’altro.

    La strage di carta

    Delle due l’una: o Umberto De Rose è cattivo oppure porta sfiga. Probabilmente nessuna delle due: è solo un tipografo che ha continuato a stampare, a caro prezzo, nel momento storico in cui i nuovi media minacciavano l’informazione cartacea, già declinata da un pezzo.
    Fatto sta che tutti i giornali stampati da lui hanno chiuso grazie ai debiti vantati dal tipografo.

    Un’eccezione vistosa al diritto fallimentare, secondo il quale i crediti dei lavoratori dovrebbero precedere quelli dei fornitori. In Calabria non è così: le maestranze dell’editoria periodica, numerose e malpagate, sono venute dopo le esigenze di una stamperia che, secondo i canoni industriali, è un’azienda di medie dimensioni. Ciononostante, De Rose, è diventato prima presidente regionale di Confindustria poi di Fincalabra.

    Umberto De Rose e il Cinghiale

    Umberto De Rose non è stato condannato, ma il suo numero telefonico notturno con Alfredo Citrigno resta un esempio di trash da manuale.
    A partire dal linguaggio colorito, per finire con le argomentazioni, in apparenza minacciose. E poi la perla di comicità involontaria e amara: il nomignolo appiccicato quasi per caso a Tonino Gentile (e per estensione a tutta la famiglia): il Cinghiale.
    In realtà, De Rose usava la metafora del cinghiale («’u cinghiale quann’è feritu mina ad ammazza’»), ogni tre per due.

    Sul punto possiamo essere garantisti, anche più dei magistrati che hanno assolto lo stampatore dall’accusa di violenza privata nei confronti di Citrigno jr, all’epoca editore de L’Ora della Calabria. Le sue metafore, in apparenza sinistre, le sue esortazioni tamarre («L’ha cacciata ’sta cazz’i notizia?») erano un’espressione genuina di antropologia calabrese del potere.
    De Rose, amico della famiglia Citrigno, ma anche dei Gentile, è un uomo a cavallo di più ambienti e mondi. Vive dei loro equilibri e cerca di mantenerli, perché ne teme i contraccolpi.

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    Andrea Gentile, figlio di Tonino e deputato di Forza Italia

    In principio fu la Provincia

    Nel resto d’Italia, la carta stampata perde colpi dall’inizio del millennio, quando l’informazione inizia a spostarsi sulla rete. In Calabria, escono giornali su giornali, che si contendono circa 40mila lettori.
    Ma i giornali significano potere e comunicazione per i notabili. E per De Rose che, stampandoli, mette a disposizione delle piattaforme.
    È il caso della Provincia Cosentina, fondata da Piero Citrigno nel ’99, poi ceduta al costruttore Rolando Manna a inizio millennio, infine collassata nel 2008 tra le mani di una società di giornalisti. Il colpo finale è stato il grosso debito col tipografo.

    Piero Citrigno

    Calabria Ora e figli

    Storia simile per Calabria Ora, fondata sempre da Citrigno assieme all’imprenditore Fausto Aquino. Questo giornale, se possibile ha avuto una storia più travagliata: cinque direttori in otto anni di vita, due cambi di società e una tragedia (il suicidio di Alessandro Bozzo). Infine lo scandalo delle rotative bloccate per non far uscire la “cazz’i notizia”, relativa alla presunta inchiesta su Andrea Gentile, figlio del senatore Tonino.

    Alla fine della giostra, Citrigno è rimasto col cerino in mano: una condanna per bancarotta fraudolenta e una per violenza privata. Alla maggior parte dei giornalisti, rimasti a spasso, sono rimaste le vertenze e le querele. Il motivo della chiusura? Gli 800mila euro di debiti nei confronti di De Rose.

    Morto un giornale se ne stampano altri due

    A questo punto, lo stampatore dovrebbe essere fuori gioco. Invece no: dalle ceneri de L’Ora della Calabria nascono Il Garantista e La Provincia di Cosenza.
    Il primo, fondato da Piero Sansonetti, ex direttore dell’Ora, dura 18 mesi, grazie anche ai contributi statali per l’editoria. Inizialmente non è un tabloid perché è stampato fuori regione da un tipografo meno caro ma più preciso. Poi arriva la crisi e finisce nelle rotative di Umberto De Rose. Il quale mette benzina: circa 300mila euro che servono a pagare la previdenza. Ma si rifà alla grande: ne incassa 500mila, tolti dal finanziamento pubblico. Poi il giornale chiude e ai giornalisti restano solo gli ammortizzatori.

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    Piero Sansonetti

    Peggio ancora per La Provincia di Cosenza, fondata da un gruppo di ex redattori dell’Ora e poi passata di mano in mano e da una redazione all’altra. Fino alla chiusura, in cui hanno avuto un ruolo principale i crediti di De Rose.
    Non finisce qui: nel frattempo (2016) dalle ceneri de Il Garantista nasce Cronache di Calabria, affidato a una vecchia gloria come Paolo Guzzanti. Inutile dire che il destino è il medesimo. I tramiti di queste iniziative sono due pubblicitari, Francesco Armentano e Ivan Greco, già sodali di Citrigno e uomini di fiducia di De Rose. A loro si deve il paradosso curioso per cui, mentre altrove i giornali, anche gloriosi, chiudono i battenti in Calabria le rotative continuano a girare alla grande.

    Umberto De Rose e Fincalabra

    Durante l’era Scopelliti, Umberto De Rose raggiunge il massimo e porta all’incasso l’impegno politico del decennio precedente, nel quale si era candidato a sindaco in quota Forza Italia (quindi Gentile) contro Eva Catizone.
    Con lo scandalo di Calabria Ora (se preferite, Oragate, o Il Cinghiale) arriva la prima gomitata seria all’immagine pubblica del Nostro. In questa vicenda c’è chi, con una certa malignità, fa brutti paragoni in famiglia. Cioè tra Umberto e suo papà Tanino, tra l’altro notabile di prima grandezza della massoneria cosentina, considerato un galantuomo vecchia maniera.
    Ma questi sono dettagli rispetto ad altre faccende, decisamente più serie.

    Una di queste è il processo per le consulenze in Fincalabra. Al riguardo, riemerge il cognome dei Gentile, associato ad Andrea e sua sorella Lory. Per i contratti di collaborazione a favore dei due, De Rose finisce nel mirino della Corte dei Conti e della magistratura penale. Mentre la posizione di Andrea viene stralciata quasi subito, Lo stampatore passa i guai per il contratto di Lory e di altre due persone: il Tribunale di Catanzaro gli infligge un anno e otto mesi nel 2017. La Corte d’Appello azzera la condanna due anni dopo.
    Resta a suo carico la responsabilità contabile per danno erariale, stabilita dalla Corte dei Conti.

    Fine della storia?

    Il grigio è definitivamente stinto nelle carte bollate e nei debiti (altrui). E la parabola di De Rose è in calo. Già, lui non è mai stato un editore. E in compenso non stampa più, perché nessuno legge quasi più i vecchi giornali.
    Tutti gli imperi si logorano e i castelli crollano. Ma quelli di carta lo fanno per primi.

  • Bruno Gualtieri e la multiutility: il commissario regionale che ce l’aveva con la Regione

    Bruno Gualtieri e la multiutility: il commissario regionale che ce l’aveva con la Regione

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    Dopo aver consolidato i pieni poteri in sanità e deminolizzato la Film Commission, Roberto Occhiuto ha portato a casa anche il risultato dell’agognata multiutility. La nuova Autorità regionale acqua-rifiuti è stata affidata, per ora, a un commissario straordinario. Scelto non certo con gli stessi criteri adottati per la nomina del supertecnico Mauro Dolce in Giunta e dei superconsulenti in quota Bertolaso Agostino Miozzo ed Ettore Figliolia.

    Il commissario Gualtieri

    Occhiuto aveva annunciato un tecnico calabrese e, in barba ai nuovismi a cui lui stesso ci aveva abituato, stavolta ha optato per un usato sicuro. Si tratta di Bruno Gualtieri, volto ben noto in Regione che, a quanto si apprende, si dovrà occupare prevalentemente di rifiuti, almeno per qualche mese, con l’obiettivo dichiarato di evitare di ritrovarsi di nuovo con la spazzatura per strada in estate. E con quello, meno ostentato, di mettere uno sull’altro più mattoncini possibile per il raddoppio del termovalorizzatore e la realizzazione del rigassificatore, entrambi a Gioia Tauro.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Pare che a breve arrivi la nomina anche di un direttore generale che, nelle intenzioni di Occhiuto, si orienterà più verso il servizio idrico e l’affidamento al soggetto gestore – sarebbe in dirittura d’arrivo la trattativa per acquisire le azioni di Sorical – da chiudere entro il 30 giugno per non perdere fondi Ue. Le due figure – commissario e dg – probabilmente dunque coesisteranno per qualche tempo. E il commissario si sostituirà agli altri organi (Consiglio direttivo dei sindaci e revisori dei conti) quando sarà necessario. Fino alla loro costituzione, però, resterà in carica Gualtieri.

    L’Ato di Catanzaro e gli altri incarichi

    Ma chi è il superburocrate a cui il Duca Conte ha dato le chiavi della Megaditta acqua-rifiuti? Partiamo dall’incarico più recente, quello di dirigente del settore Igiene ambientale del Comune capoluogo e di direttore dell’Ato di Catanzaro. Si tratta dell’Ambito territoriale che in Calabria ha fatto più passi avanti verso una gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, ma nei corridoi della Cittadella qualche maligno mormora che il compito di Gualtieri non sia stato poi così difficile, visto che nel Catanzarese si è ritrovato con gli impianti di Alli e Lamezia funzionanti e con ancora spazio a disposizione nella discarica lametina.

    Ma Gualtieri è stato lontano dalla Regione solo per qualche anno. Ha infatti cominciato a bazzicare quegli uffici già nel 1995. Ingegnere, dopo la gavetta degli anni ’80 nell’Ufficio tecnico del suo paese, San Lorenzo, e nelle Commissioni edilizie di altri Comuni della provincia di Reggio, e dopo aver fatto il docente nelle scuole superiori, è stato membro della Commissione urbanistica regionale e poi dell’Autorità regionale ambientale. Quindi consulente dell’Assessorato regionale all’Ambiente dal ‘96 al ‘99 (giunte Nisticò-Caligiuri di centrodestra e Meduri di centrosinistra) e poi dirigente di diversi settori regionali dal 2001 al 2004, nonché del dipartimento Lavori Pubblici fino al 2005.

    La discarica di Alli

    Gualtieri e quell’altro commissario

    Nel suo curriculum ci sono pure degli incarichi che hanno senza dubbio aumentato la sua esperienza. Ma i cui risultati, con gli occhi di oggi, sono piuttosto discutibili. Dal 1998 al 2005 Gualtieri è stato infatti dirigente presso l’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale. Un commissariamento per cui, stando alle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta che se n’è occupata, in 13 anni le spese sono «lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti».

    Nei primi anni 2000 risulta aver coordinato molte direzioni dei lavori, effettuato collaudi e partecipato a riunioni al Ministero dell’Ambiente per conto del Commissario. Nel 2002 ha partecipato alla redazione del Piano regionale per l’individuazione definitiva delle discariche di servizio agli impianti e per la progressiva riduzione del numero di discariche di prima categoria esistenti nel territorio della regione. Tra il 2010 e il 2011 ha coordinato il Settore Tecnico dell’Ufficio del Commissario. Quanti obiettivi abbia raggiunto in queste vesti non spetta ai non addetti ai lavori stabilirlo. Però è un fatto che ancora oggi in Calabria ci si ritrovi con la metà dei rifiuti che continua ad andare in discarica. E con montagne di soldi pubblici sborsati per portarli fuori regione e addirittura fino in Svezia.

    Ni all’accentramento

    Quel che è certo è che il neo commissario dell’Authority cambierà ora linea rispetto agli ultimi anni passati all’Ato di Catanzaro. Da quella postazione ha infatti condotto una discreta “guerra” contro la Regione accentratrice, accusandola addirittura di aver adottato atti illegittimi nel «maldestro tentativo di invadere un ambito proprio degli Ato» provinciali. Lo si legge in una sua comunicazione del febbraio del 2020 relativa ad alcune disposizioni della Regione sui flussi di Css destinati al termovalorizzatore di Gioia Tauro.

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    La sede della Giunta regionale a Germaneto

    Lo stesso Ato di Catanzaro, inoltre, a dicembre del 2021 ha ottenuto dal Tar l’annullamento di un’ordinanza del presidente della Regione (risalente alla reggenza Spirlì) che voleva far portare a Lamezia gli scarti dei rifiuti prodotti da altri territori. Ora che la governance del settore è stata accentrata in un unico Ato regionale, seguendo un percorso inverso rispetto a quello rivendicato anche da Gualtieri negli ultimi anni, certi contenziosi non avranno più ragion d’essere.

    E il Gualtieri che dal centro di Catanzaro tuonava verso la Cittadella di Germaneto ora dovrà tenere a bada da commissario le rivendicazioni di tutti i territori. Soprattutto quelle che già arrivano dalla Piana: il consiglio della Città metropolitana di Reggio ha approvato due mozioni contro il raddoppio e il rigassificatore a Gioia – si paventa un ricorso alla Consulta contro la norma che ha istituito l’Authority – votate anche dal leader del centrodestra reggino Antonino Minicuci.

  • Un sindaco di nome Wanda: Meloni spinge per mollare Valerio Donato

    Un sindaco di nome Wanda: Meloni spinge per mollare Valerio Donato

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    Mors tua vita mea: è stata questa, probabilmente, la sintesi della telefonata intercorsa ieri sera tra l’aspirante sindaco di Catanzaro, Valerio Donato, e Wanda Ferro, che è stata il suo sponsor occulto fin dall’inizio della candidatura (unitamente agli imprenditori Giuseppe Gatto e Giuseppe Grillo).

    Il tentativo della deputata e commissaria regionale di Fratelli D’Italia di far digerire a Giorgia Meloni il fronte arcobaleno che si sarebbe formato attorno al docente dell’Università di Catanzaro non è andato a buon fine. Niente matrimonio politico tra Lega e Fi con esponenti storici della sinistra catanzarese, l’ex governatore Agazio Loiero e l’ex candidata regionale Amalia Bruni.

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    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    D’altronde, il paragone tra Donato e Draghi utilizzato da qualcuno per giustificare la fuoriuscita dal centrosinistra “classico”, non può certo essere utilizzato come carta da giocare sul tavolo dei sovranisti. Fdi è in maniera netta all’opposizione del Governo romano, con continue fibrillazioni all’interno del centrodestra. E in Calabria la linea pare debba essere la stessa.

    Lo chiamavano “Gaffeur”

    Non hanno aiutato nemmeno le continue uscite mediatiche di Donato. In primis quella – attribuita ad una nota stampa a firma del suo comitato promotore – sul trasferimento del Consiglio regionale a Catanzaro, con tanto di uscita piccata degli esponenti reggini di Forza Italia e Lega che, in teoria e fino all’imminente vertice nazionale del centrodestra, sono i principali alleati del fronte simil civico donatiano.

    Ciccio Cannizzaro, deputato e responsabile nazionale di Forza Italia per il Meridione, ha definito la proposta di Donato «grottesca». Le dichiarazioni del professore? «Sicuramente rilasciate dopo un’allegra serata con gli amici», con argomenti «di becero populismo per tentare di strappare qualche voto». Non ci è andato più leggero il leghista Giuseppe Gelardi, che ha parlato di una «boutade non certo degna di un candidato sindaco».

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    Ciccio “Profumo” Cannizzaro

    Salvini? Non sul palco, ma con le liste

    Durante un confronto televisivo con gli altri candidati, poi, Valerio Donato si è lasciato sfuggire questa frase: «Se dovesse venire Salvini farà la sua attività politica, ma non potrà vedere a fianco di Salvini la mia persona». Insomma, niente comizio congiunto su un palco, ma ben due liste, allestite dal presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso (Alleanza per Catanzaro e Prima Catanzaro) pronte a foraggiare Donato in termini di consensi.

    L’evidente contraddizione ha mandato in escandescenze il leader leghista. Uno che tre anni fa a Lamezia Terme, città del suo unico (e oggi molto silente sulle amministrative del capoluogo) deputato Domenico Furgiuele, non esitò a ritirare la lista per delle dichiarazioni dell’allora candidato sindaco Ruggero Pegna proprio contro Salvini.

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    Domenico Furgiuele

    In tutto questo marasma è intervenuto in maniera tranchant un rappresentante di un partito semi-alleato del fronte donatiano, il commissario cittadino dell’Udc con delega (di Lorenzo Cesa) alla presentazione della lista Vincenzo Speziali. Per lui «Il professor Donato confermerebbe anche un’altra sua pecca, oltre al berlinguerismo e al relativo moralismo, ammantato dalla cattedraticità, ovvero di essere un noto gaffeur».

    Palermo e Catanzaro

    Le dinamiche nazionali, checché ne dicano i feticisti del civismo catanzarese, incidono eccome. Ecco perché, nonostante il passo in avanti di Lega, Forza Italia, Italia al Centro e Udc (almeno in parte) a favore di Valerio Donato, Wanda Ferro è rimasta in un imbarazzato silenzio. Si è lasciata scappare a inizio mese solo un sibillino «l’importante è mai con il M5S e con il Pd». Senza pensare, però, che mezzo Pd era già dentro le liste del docente, comunicati stampa alla mano. E che c’era dentro pure Italia Viva, altro elemento di mugugni interni alla coalizione.

    Da due mesi, invece, a Palermo i meloniani hanno candidato come sindaca la loro deputata, Carolina Varchi. La sua candidatura in solitaria ha ricevuto il placet dei vertici nazionali, in primis del responsabile organizzativo (che già si occupò delle liste regionali in Calabria) Giovanni Donzelli. La Varchi, giusto qualche giorno fa, ha dichiarato: «Stiamo valutando tutte le opzioni per tenere compatto il centrodestra, che è il nostro perimetro. Evidentemente la nostra storia rende non percorribile la strada di una campagna elettorale in compagnia degli esponenti di Italia Viva».

    Telefono bollente

    Già, perché il tavolo nazionale del centrodestra ‘rianimato’ da Berlusconi è chiamato a risolvere le spaccature sui territori. Ma difficilmente la Meloni – a differenza di un Salvini in affanno, che arriva a tollerare di essere preso a pesci in faccia in diretta tv da un ‘suo’ candidato in un capoluogo di Regione – digerirà la candidatura di Valerio Donato, nonostante le sollecitazioni. E le telefonate roventi di questi giorni tra il cognato di Giorgia Meloni, il deputato Francesco Lollobrigida, Wanda Ferro e Fausto Orsomarso, lo dimostrano.

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    La leader nazionale di FdI, Giorgia Meloni

    Ecco perché anche a Catanzaro, fino a una determinazione del tavolo nazionale di centrodestra dal quale dovrebbe spuntare un nome unitario (e nuovo?) sia a Catanzaro che a Palermo, il diktat della Meloni alla Ferro rimane quello di correre da soli con un proprio candidato.

    Wanda si “nasconde” dietro Pietropaolo

    A differenza di Palermo, però, su Catanzaro non c’è stata la discesa in campo del deputato del luogo che, nel caso della Calabria, è anche commissario regionale. Wanda Ferro ha deciso di trincerarsi dietro il nome di Filippo Pietropaolo, il “suo” candidato (e di Michele Traversa) alle elezioni regionali, non eletto e poi ripescato come assessore regionale al Personale della Giunta Occhiuto.

    Piccolo particolare: dei circa 4500 voti raccolti, soltanto 716 sono stati presi nella città di Catanzaro, a fronte dei quasi 1700 del consigliere eletto, Antonio Montuoro (che di candidarsi non ci pensa nemmeno). Pietropaolo, inoltre, nel 2014 quale candidato regionale del Pdl prese poco più di 800 voti a sostegno dell’allora candidata presidente, Wanda Ferro. Non è, quindi, da considerarsi un candidato forte.

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    Filippo Pietropaolo, neo assessore regionale nonostante la sconfitta elettorale

    C’è da dire, però, che quello che tutti i sondaggi danno come primo partito italiano, con percentuali oltre il 21%, non si può certamente permettere di ottenere percentuali da prefisso telefonico sbagliando candidato in un capoluogo di Regione che esprime un deputato-commissario regionale del partito.

    Ecco perché Wanda è in un cul-de-sac: da sponsor (più o meno) occulto dell’ex Pd Valerio Donato, può diventare (glielo si sta chiedendo in queste ore) la candidata probabilmente di una buona parte del centrodestra, che ritroverebbe unità attorno alla sua figura grazie ai tavoli romani. In ballo c’è la credibilità (e la faccia) di Giorgia Meloni al Sud e la candidatura in Parlamento della Ferro, di Orsomarso e della combriccola sovranista nostrana. Insomma, la Meloni è stata chiara: non si gioca a fare le comparse.

    “Venti da sud” vola via?

    Un santino di Venti da Sud a sostegno di Donato

    La lista civica Venti da sud, stilata dal consigliere regionale di Fratelli d’Italia  Antonio Montuoro, intanto ha partecipato pochi giorni fa alla riunione della coalizione di Valerio Donato. Alcuni candidati, inoltre, hanno già fatto circolare il loro santino con la scritta “Donato Sindaco”. Un passo affrettato oppure un calcolo per andare verso una Forza Italia che senza Mimmo Tallini a Catanzaro è un contenitore tutto da riempire? Lo vedremo.

    È un fatto che all’interno del gruppo di Montuoro sono presenti i consiglieri comunali uscenti Roberta Gallo, sua portaborse in Regione (e già portaborse del portavoce di Mimmo Tallini nel 2020), Emanuele Ciciarello, la cui moglie Lucia Arturi è anch’essa sua portaborse in Regione, Antonio Angotti, la cui sorella è suo componente interno di struttura. Oltre a loro c’è anche Luigi Levato, già capogruppo di Forza Italia a Catanzaro, eletto nel 2017 con circa 1.300 preferenze personali.

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    Giuseppe Mangialavori e Silvio Berlusconi

    Insomma, un team di portatori di consenso di tutto rispetto (che Pietropaolo, Ferro e Traversa non hanno). E che, però, come si è detto, potrebbe tornare alla “casa madre” e non soggiacere alla disciplina di partito. Lo stesso Montuoro è stato vicepresidente della Provincia in quota Forza Italia.

    Quindi, non sorprenderebbe tale decisione che, certamente, porterebbe Wanda Ferro a scegliere tra la fedeltà romana al partito che l’ha eletta nel 2018 (con la “spintarella”, di recente pubblicamente vantata, del senatore Giuseppe Mangialavori) e lo stantio trasversalismo furbetto catanzarese dal quale è gemmata la candidatura di Valerio Donato.

  • Coronavirus: tutti i dati della giornata

    Coronavirus: tutti i dati della giornata

    Sono 1.316 le persone risultate positive al Covid nel bollettino di oggi (26 aprile) della Regione Calabria. Il dato arriva a fronte di 5.715 tamponi. Il tasso di positività si attesta, pertanto, al 23,03%, in lieve calo rispetto alla giornata di ieri. Sono 7 le persone morte oggi. I guariti, inoltre, sono 963.

    Il Covid in Calabria oggi (26 aprile)

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 7.710 (81 in reparto, 8 in terapia intensiva, 7.621 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 43.217 (42.939 guariti, 278 deceduti).
    • Cosenza: CASI ATTIVI 47.119 (77 in reparto, 5 in terapia intensiva, 47.037 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 41.286 (40.234 guariti, 1.052 deceduti).
    • Crotone: CASI ATTIVI 4.051 (16 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.035 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 31.675 (31.458 guariti, 217 deceduti).
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 8.388 (94 in reparto, 4 in terapia intensiva, 8.290 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 125.731 (124.982 guariti, 749 deceduti).
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 18.371 (16 in reparto, 0 in terapia intensiva, 18.355 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 19425 (19.255 guariti, 170 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica 466 nuovi soggetti positivi di cui 8 fuori regione.

  • Bollettino Covid: scendono i positivi ma pure i tamponi, risale il numero dei morti

    Bollettino Covid: scendono i positivi ma pure i tamponi, risale il numero dei morti

    Sono 823 le persone risultate positive al Covid nel bollettino di oggi (25 aprile) della Regione Calabria. Il dato arriva a fronte di 3.450 tamponi. Il tasso di positività si attesta, pertanto, al 23,86%, in lieve aumento rispetto alla giornata di ieri. Sono 7 le persone morte oggi. I guariti, inoltre, sono 753.

    Il Covid in Calabria oggi (25 aprile)

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 7690 (86 in reparto, 9 in terapia intensiva, 7595 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 42994 (42718 guariti, 276 deceduti).
    • Cosenza: CASI ATTIVI 46666 (73 in reparto, 5 in terapia intensiva, 46588 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 41281 (40231 guariti, 1050 deceduti).
    • Crotone: CASI ATTIVI 3936 (15 in reparto, 0 in terapia intensiva, 3921 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 31585 (31369 guariti, 216 deceduti).
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 8687 (95 in reparto, 4 in terapia intensiva, 8588 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 125079 (124332 guariti, 747 deceduti).
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 18322 (15 in reparto, 0 in terapia intensiva, 18307 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 19425 (19255 guariti, 170 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica che nel setting fuori regione si registrano 9 nuovi casi a domicilio.

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  • Bollettino Covid: zero vittime, i casi restano stabili

    Bollettino Covid: zero vittime, i casi restano stabili

    Sono 2.119 le persone risultate positive al Covid nel bollettino di oggi (24 aprile) della Regione Calabria. Il dato arriva a fronte di 9.041 tamponi. Il tasso di positività si attesta, pertanto, al 23,44%, in lieve aumento rispetto alla giornata di ieri. Nessuna vittima oggi. I guariti, inoltre, sono 2.100.

    Il Covid in Calabria oggi (24 aprile)

    Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:

    • Catanzaro: CASI ATTIVI 7583 (87 in reparto, 9 in terapia intensiva, 7487 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 42945 (42670 guariti, 275 deceduti).
    • Cosenza: CASI ATTIVI 46373 (74 in reparto, 5 in terapia intensiva, 46294 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 41278 (40229 guariti, 1049 deceduti).
    • Crotone: CASI ATTIVI 3861 (14 in reparto, 0 in terapia intensiva, 3847 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 31518 (31302 guariti, 216 deceduti).
    • Reggio Calabria: CASI ATTIVI 9096 (96 in reparto, 5 in terapia intensiva, 8995 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 124482 (123740 guariti, 742 deceduti).
    • Vibo Valentia: CASI ATTIVI 18330 (13 in reparto, 0 in terapia intensiva, 18317 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 19385 (19215 guariti, 170 deceduti).

    L’ASP di Cosenza comunica che nel setting fuori regione si registrano 14 nuovi casi a domicilio.

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  • Concorsi pilotati a Reggio: gli intrecci con Catanzaro e il silenzio del rettore

    Concorsi pilotati a Reggio: gli intrecci con Catanzaro e il silenzio del rettore

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    Dall’ordinanza del Gip Vincenzo Quaranta sull’inchiesta “Magnifica” che ha decapitato l’Università ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria emerge quello che si potrebbe chiamare il manuale della clientela perfetta. Circostanze tutte da passare al vaglio della magistratura giudicante, ma le intercettazioni agli atti riaprono, a distanza da tre anni dall’inchiesta “Università bandita” che ha coinvolto l’ormai ex rettore dell’Università di Catania, interrogativi sulle presunte distorsioni del mondo universitario.

    Non per soldi ma…

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    Pasquale Catanoso

    L’ex rettore dell’ateneo reggino, Pasquale Catanoso, dalle carte parrebbe essere il garante di un sistema di potere ben radicato e con profonde relazioni politiche e istituzionali.
    «Emerge un quadro istituzionale sconcertante. Nulla avviene nella legalità in sede di selezione, tutto è soffocato da logiche clientelari e di favoritismo», scrive il giudice per le indagini preliminari. Quali possano essere le finalità perseguite le spiega, invece, il pubblico ministero negli atti di inchiesta: «Ciò che li spinge ad una gestione così illegale della cosa pubblica non è “la mazzetta” ma un’utilità ben più articolata, fatta di prestigio, presenza e notorietà in ambito professionale e disponibilità di risorse materiali da investire nei propri progetti».

    Abitudini radicate

    Tra gli indagati eccellenti spunta Michele Trimarchi, ordinario di Scienza delle Finanze alla “Magra Graecia” di Catanzaro. La stessa università, per intenderci, che esprime un componente del Csm in quota M5S, l’ “anonimo professore” (Palamara dixit) Fulvio Gigliotti; un deputato del Pd, Antonio Viscomi; una ex candidata regionale e ex candidata al Senato con il Pd, Aquila Villella; un candidato sindaco del capoluogo, Valerio Donato.

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    Michele Trimarchi

    Trimarchi dirige il centro di ricerca in Economia e Management dei Servizi. In un’intervista al magazine economico Costozero dello scorso dicembre affermava che «bisogna avere una visione laica della cultura». Dalle carte dell’inchiesta, però, emergerebbe ben poco di laico. Ad esempio, l’interessamento di Trimarchi per una studentessa che avrebbe partecipato al concorso di dottorato in architettura della “Mediterranea”. Nell’ordinanza il Gip rileva «quanto sia radicata l’abitudine ad interferire con le dinamiche di selezione tra candidati di un concorso, quale il dottorato, aperto ad esterni e interni all’Ateneo che lo bandisce, nell’ottica di sistemazione dei propri pupilli».

    Seconda per principio

    È proprio in questo sistema che si sarebbe mosso Trimarchi, indagato insieme alla sua presunta pupilla Francesca Sabatini. La ragazza, estremamente competente e che sarebbe potuta arrivare prima nella graduatoria di merito, secondo quanto riferiscono tutti gli altri indagati nelle intercettazioni (che la mettono al secondo posto solo «per principio», secondo quanto si legge nell’ordinanza) – si ritrova invece in questo presunto, ma potenzialmente abietto, sistema di spintarelle.

    A fine luglio del 2018 l’Università Mediterranea dà il via a una selezione per il dottorato di ricerca in “Architettura e territorio”. Inizialmente le borse di studio sono 6 (su 8 posti), poi divenute 8 su 10 posti: tre finanziate dall’ateneo reggino, altrettante dalla Magna Graecia e due da fondi POR Calabria 2014/2020. Tra le vincitrici del dottorato con borsa di studio di Catanzaro c’era proprio Sabatini, arrivata seconda con un punteggio 104/120.

    Per garantirle un posto al dottorato, il docente Umg si sarebbe letteralmente “fatto in quattro” unitamente all’allora rettore della Mediterranea, Pasquale Catanoso. Secondo la Procura, i candidati “favoriti” hanno conseguito «indebiti e ingiusti vantaggi patrimoniali, legati alla remunerazione e alla progressione di carriera discendenti dall’ammissione al corso di dottorato in architettura e territorio – XXXIV Ciclo dell’Ateneo».

    Le intercettazioni

    Proprio due giorni fa, Trimarchi ha scritto sul suo profilo Facebook: «Miei cari, per circostanze complesse non ho più il cellulare. Per salvare insieme la galassia accontentiamoci dei messaggi su fb, ig, linkedin, etc.».
    Quello stesso cellulare durante le indagini è stato oggetto di intercettazioni, dalle quali emergerebbe il forte interesse del docente affinché non una, ma due “sue” candidate la spuntassero all’esito del concorso di dottorato, con relativa borsa di studio triennale. Un desiderio, però, che dovrà ridimensionare perché l’allora rettore Catanoso spiega di poter “garantirgli” soltanto un posto sul totale di quelli banditi.

    Inoltre, in altra conversazione, il professore dell’Umg specifica di aver già segnalato due anni prima una ragazza (non indagata), chiamandola “la mia dottoranda”, pur essendo all’Università di Reggio Calabria, dove Trimarchi non è docente.
    Trimarchi e Catanoso, ignari di avere i telefoni sotto controllo, ne parlano l’1 agosto 2018. Il primo si duole perché negli anni precedenti solo uno dei candidati che ha segnalato, si legge nell’ordinanza, «è stato effettivamente favorito»:

    «Trimarchi: senti, volevo anticiparti una cosa banale ma, importante che posso dirla solo a te… Quest’anno avrei due candidate per il dottorato
    Catanoso: eh
    Trimarchi: in forza delle tre borse che fa… Reggio ogni tanto
    Catanoso: se puoi… fartene una… no veramente, vabbè poi ti spiego perché… se puoi mettine una
    Trimarchi: se posso preferisco due
    Catanoso: comunque il concorso è… rigoroso si… il concorso è rigoroso
    Trimarchi: sono sono bravissime queste qua… mi… mi vergognerei di presentarle insomma… so proprio brave, però mi sembrava carino parlarne con te
    Catanoso: il concorso è rigorosissimo… si il concorso è rigorosissimo… perciò ti voglio… capito?
    Trimarchi: va bene, perché io… l’anno scorso, una su tre… due anni fa una su tre… ricordiamocelo
    Catanoso: si ma non c’entra… poi ti dico
    Trimarchi: lo so che non c’entra lo dico anch’io non c’entra niente, però… voglimi bene, va bene? Ciao Ciccio grazie…»

    Una sì, due no

    Massimiliano Ferrara

    Michele Trimarchi – un mese dopo, il 4 settembre 2018 – in un’ulteriore conversazione telefonica intercettata, parla con un altro indagato, Massimiliano Ferrara, direttore del dipartimento di Giurisprudenza. Si lamenta perché da due anni non fa parte della commissione esaminatrice per la selezione dei candidati per il dottorato in architettura. Manifesta all’interlocutore la speranza che stavolta lo inseriscano, anche perché «ha due candidate» da far entrare. Il problema che paventa Trimarchi è che il rettore gli ha fatto, invece, intendere che due candidati sarebbero stati troppi. Ma quest’ultimo, afferma, «non deve rompere i cogl…». Così annuncia di voler parlare della questione con il coordinatore del dottorato, Gianfranco Neri (altro indagato nell’inchiesta).

    «Trimarchi: no, la situazione è questa qua, allora, io sono al collegio nel dottorato, ovviamente ci rimango, quest’anno… ora non ho capito perché loro per due anni non mi hanno messo nella commissione… quest’anno gli avevo detto, eventualmente gli avevo detto eventualmente di met… dovrei avere due candidate visto che ogni anno diamo tre borse da Catanzaro
    Ferrara: eh ma ci sono le tue candidate?
    Trimarchi: eh
    Ferrara: si sono candidate? Hanno presentato la domanda?
    Trimarchi: si si serie… si si certo
    Ferrara: e… entrato sempre quello del DarTe no?
    Trimarchi: del DarTe si, tanto conoscendomi bene sai che non faccio candidare gente scarsa cioè…
    Ferrara: ma che stai scherzando?
    Trimarchi: però appunto io vedo di capire che cosa succede in questa tornata di dottorati… Pasquale mi ha subito detto… ah però… due sono troppi qua e la… e Pasquale deve rompere i coglioni
    Ferrara: che cazzo vuole dire… e si perché quelli che candidano quegli altri sono belli…?
    Trimarchi: e non me lo dire a me… io adesso ne parlo direttamente con Neri che rimane il coordinatore del dottorato e confido che non mi rompano i coglioni dopodiché ne parliamo con calma, però insomma dovrebbe essere una cosa tranquilla, quindi adesso guarda, facciamo così, io appena capisco com’è la situazione perché non so manco quando saranno le prove di ammissione al dottorato…»

    Rapporti da salvaguardare

    Alla fine, Trimarchi deve ridimensionare la sua “pretesa”, come gli ha anticipato Catanoso ad agosto. Quest’ultimo, però, in sede di concorso, pare adoperarsi comunque a favore della Sabatini. Così scrive il Gip: «Il Catanoso ha manifestato un fortissimo interesse a che la candidata Sabatini superasse il concorso, anzi l’ha preteso, si è fatto in quattro per assicurare la vincita del concorso, ritenendo che da tale fatto dipendessero le sorti dell’Università reggina. Le conversazioni hanno fatto emergere l’interesse del Catanoso a favorire la Sabatini, uno dei candidati catanzaresi, al fine di non compromettere i rapporti con Catanzaro, per assicurarsi la futura collaborazione sul piano dello stanziamento di somme da destinare al dottorato di ricerca».

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    La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    Nella tarda serata della data di conclusione della prova orale per l’ammissione al dottorato, il 19 settembre 2018 alle ore 22, Catanoso chiede al direttore generale dell’Università, Ottavio Amaro, se siano passati candidati di Catanzaro, riferendosi proprio alla Sabatini, la candidata “segnalata” da Trimarchi.

    «Catanoso: è passato qualcuno di Catanzaro?
    Amaro: si è stata la prima, la più brava mi hanno detto
    Catanoso: eh brava si va bene va bene
    Amaro: la Sabatini
    Catanoso: vabbè, grazie Ottavio»

    Massima riservatezza

    Il concorso è stato bandito, come si è detto, nel luglio 2018, mentre le prove sono state a settembre. Quattro mesi prima dell’emanazione del bando, risulta dall’ordinanza del Gip una conversazione tra il coordinatore Gianfranco Neri (indagato) e Trimarchi circa lo stanziamento delle borse di studio finanziate dalla ‘Magna Graecia’ a favore del dottorato reggino (una delle quali, come risulta dagli atti, andrà alla “segnalata” Sabatini).

    Come scritto dal Gip, «l’intervento del Trimarchi risulta essere stato decisivo per lo stanziamento ma non è possibile però ipotizzare, a livello di gravità indiziaria, a carico del Trimarchi il compimento di atti contrari ai doveri del proprio ufficio con riferimento alla fase dello stanziamento delle borse/fondi». «Non si conoscono – prosegue il giudice – le dinamiche che sono state attivate dallo stesso Trimarchi, anche se è emerso come lo stesso Rettore (Giovambattista De Sarro, ndr) avesse chiesto di tenere il massimo riserbo sulla questione (non si individua l’esigenza di cotanta segretezza)». Sempre nell’ordinanza si legge che «il Trimarchi nella veste di professore ordinario e quindi di pubblico ufficiale è sicuramente nella condizione di poter influenzare le scelte dell’Ateneo catanzarese in tema di stanziamento di borse di studio in favore di altri Atenei».

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    Il rettore De Sarro

    A differenza di quanto sostenuto dal pubblico ministero, però, per il Gip «gli elementi che si hanno portano a ravvisare, secondo le valutazioni che sono proprie della presente fase procedimentale, la fattispecie di cui all’art. 318 e 321 cp in relazione alla quale il Trimarchi riveste la qualità di corrotto e il Catanoso (ma anche Neri, Amaro e Tornatora) la qualità di corruttore».

    Ecco il testo della conversazione telefonica, datata 28.3.2018, tra Neri e Trimarchi sullo stanziamento dei fondi per le borse di studio:
    «Trimarchi: Sentimi sono riuscito finalmente a parlare con il Rettore e ha detto va bene.
    Neri: va bene d’accordo…
    Trimarchi: Quindi stasera gli mando una lettera, ha detto naturalmente di fare…far stare la cosa nel più massimo silenzio possibile
    Neri: D’accordo
    Trimarchi: perchè loro c’hanno sai
    Neri: D’accordo»

    Subito dopo aver parlato con Trimarchi, riportano gli atti, Neri chiama la moglie del Dg dell’Università ‘Mediterranea’ Ottavio Amaro, la docente Marina Tornatora per renderla edotta di quanto gli hanno comunicato.

    «Neri: Senti ho sentito Michele Trimarchi…
    Tornatora: si
    Neri: Si, il quale mi ha detto che ha parlato con il Rettore e che… domani mattina… che sta tutto a posto per lui va bene, domani mattina ci comunicheranno questa cosa…Mi diceva, ma lo dirà pure a te di avere il massimo… massima riservatezza su questa cosa perché il Rettore vuole così, il Rettore di Catanzaro…»

    Il silenzio del rettore

    Nessun commento è pervenuto al momento da parte del rettore dell’Università di Catanzaro, Giovambattista De Sarro. Nè è chiaro se nella prossima seduta del C.d.a. universitario o del Senato accademico si parlerà del “caso Trimarchi”.
    Certo è che l’Umg già tre anni fa, nell’ambito dell’inchiesta “Università Bandita, venne scalfita con l’inserimento tra gli indagati di docenti dell’ateneo catanzarese.

    Allora si mise tutto sotto il tappeto, ma certamente De Sarro dovrebbe spiegare come mai avrebbe imposto il silenzio sui fondi “sollecitati” da Trimarchi a favore del dottorato in architettura dell’Università di Reggio Calabria. Al tramonto del suo settennato, su De Sarro (che, si sottolinea, non è indagato) pende questa situazione assai scomoda. I molteplici organi istituzionali dell’Ateneo o i rappresentanti degli studenti gliene chiederanno conto?