Categoria: Fatti

  • Ma quanto ci manca Emmevubì?

    Ma quanto ci manca Emmevubì?

    Tre anni fa, il 14 luglio 2022, ci lasciava Marcello Walter Bruno, figura poliedrica, docente, critico cinematografico e studioso di fotografia contemporanea all’Università della Calabria. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto profondo non solo nell’ateneo calabrese, ma in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociare il suo cammino. Io sono stato uno di questi.

    Una vita dedicata alla cultura

    Marcello Walter Bruno nasce a Carolei, in provincia di Cosenza, nel 1952. La sua formazione si snoda tra esperienze eterogenee che ne forgiano il profilo eclettico: ex impiegato di banca, ex regista RAI, ex pubblicitario, come lui stesso amava definirsi, fino a trovare la sua vocazione come docente universitario. Formatosi a Bologna sotto la guida di Umberto Eco, porta al DAMS dell’Università della Calabria una visione innovativa, plasmata dalla semiotica e dalla capacità di leggere il mondo attraverso le immagini.

    All’Unical, dove insegna critica cinematografica e fotografia contemporanea, diventa un punto di riferimento per generazioni di studenti, grazie alla sua abilità di rendere la cultura accessibile e viva.
    La sua carriera è costellata di saggi, articoli e volumi che esplorano il cinema e la fotografia come strumenti per comprendere la realtà. Tra i suoi contributi più significativi, ricordiamo il suo approccio alla comunicazione visiva, capace di svelare il “filo di mistero” nascosto nelle immagini, spingendo studenti e colleghi a interrogarsi sul “cosa abbiamo visto?” e a dubitare delle apparenze.[

    “Sublime intellettuale meridionale”

    Marcello, o “Emmevubi” come lo chiamavano affettuosamente studenti e colleghi giocando con le sue iniziali, era un intellettuale nel senso più autentico del termine. La sua curiosità insaziabile e il suo acume lo portavano a vedere oltre la superficie, a illuminare zone d’ombra che sfuggivano agli altri. Era un docente che non si limitava a insegnare, ma ispirava. La sua aula non era solo un luogo fisico, ma uno spazio di dialogo continuo, dove il sapere si costruiva insieme, senza barriere.

    Lasciava pile di libri, foto e opuscoli sul davanzale del “cubo” 17 dell’Unical, un’edicola simbolica aperta a chiunque volesse appropriarsi di cultura, senza imposizioni, solo con il desiderio di stimolare riflessioni.
    La sua personalità era un intreccio di rigore e ironia, di passione e libertà. Non era solo un docente, ma un narratore che trasformava ogni lezione in un’esperienza estetica, come testimoniato da chi lo ha conosciuto. La sua cadenza cosentina, il suo sorriso sornione e quella barba che incorniciava il volto erano tratti distintivi di un uomo che viveva il sapere come un atto di condivisione e provocazione intellettuale.

    Il nostro rapporto: un dialogo oltre l’aula

    Il mio incontro con Marcello è stato uno di quei momenti che segnano un percorso di vita. Ero uno studente di materie antropologiche, affascinato ma intimorito dalla sua erudizione, quando lo incontrai la prima volta mentre ero occupato al montaggio di un documentario. La sua capacità di trasformare un film o una fotografia in una porta verso la comprensione della realtà mi colpì profondamente. Emmevubi’ era un mentore che spronava a guardare oltre, a mettere in discussione ciò che sembrava scontato. Ricordo le sue domande, “Cosa abbiamo visto? Ne siete sicuri? Ne sei sicuro Dronadio?” (come amava chiamarmi) che non erano semplici esercizi retorici, ma inviti a scavare dentro di noi e nel mondo.
    Il nostro rapporto si è consolidato fuori dall’aula, nei corridoi, a mensa, nello studio sempre affollato dove Marcello accoglieva chiunque con disponibilità e attenzione. Con me, ha condiviso anche aneddoti personali, riflessioni sul Sud, sulla Calabria, sul senso di “osservare” in un territorio spesso marginalizzato. Mi ha insegnato che la cultura non è un privilegio, ma un diritto da diffondere, un’arma per comprendere e agire nella realtà. È stato un dialogo che non si è mai interrotto, che ancora oggi porto con me come un’eredità preziosa.

    Uno sguardo antropologico sui temi di Marcello

    Sebbene Marcello Walter Bruno non fosse un antropologo, i suoi studi sul cinema e sulla fotografia offrono spunti per riflessioni antropologiche molto profonde. La sua insistenza sull’andare oltre l’immagine, sul dubitare delle apparenze, richiama il concetto di “crisi della presenza” di memoria demartiniana, intesa come la necessità di rielaborare culturalmente la realtà per non esserne sopraffatti. Le immagini, per Marcello, non erano mai solo estetica: erano testi portatori di significati che richiedevano un’interpretazione attiva. Questo approccio si avvicina all’antropologia culturale, che vede nei simboli e nelle pratiche visive un modo per decifrare le dinamiche sociali e identitarie.
    La sua attenzione al Sud, alla Calabria, si rifletteva nella sua capacità di leggere il cinema e la fotografia come strumenti di narrazione di una terra complessa, spesso stereotipata. Come un antropologo sul campo, Marcello osservava e interpretava, costruendo ponti tra discipline e immaginari. La sua idea di cultura come dono gratuito, accessibile a tutti, richiama l’antropologia del dono di Marcel Mauss: la cultura, per Marcello, era un atto di reciprocità, un’offerta che generava comunità e dialogo.

    Un’eredità che vive

    Marcello Walter Bruno ci ha lasciato un’eredità che va oltre i suoi scritti e le sue lezioni. Ci ha insegnato che il sapere è un atto di libertà, che le immagini sono specchi della nostra umanità e che il Sud può essere un laboratorio di idee universali. La sua perdita è stata un duro colpo, ma il suo spirito vive nei suoi studenti, nei suoi colleghi, in chi continua a interrogarsi sul “cosa abbiamo visto”. In un’epoca in cui la cultura è spesso mercificata, Marcello ci ricorda che essa è, e deve restare, un bene comune.
    A tre anni dalla sua scomparsa, il suo invito a dubitare, a cercare, a immaginare relazioni inattese resta un faro per tutti noi. Grazie, Emmevubi, per averci mostrato che il sapere è un viaggio senza fine, e che ogni immagine, ogni storia, è un passo verso la comprensione del mondo.

     

  • Quando un Mig cadde sulla Sila

    Quando un Mig cadde sulla Sila

    Quei boschi non sono solo un posto per le vacanze. Oltre alle storie antiche, legate ai luoghi e alle genti che li abitano, c’è pure un fatto di cronaca rimasto in parte misterioso e annodato a una delle grandi tragedie di questo Paese: la strage di Ustica. È la vicenda del Mig libico precipitato in Sila, sulla Timpa delle Magare, che oggi raccontiamo in un podcast

  • Kempo, successo a Polistena con Jorgensen e Cavallo

    Kempo, successo a Polistena con Jorgensen e Cavallo

    Si è concluso con un gran galà presso il suggestivo anfiteatro di Polistena, alla presenza del sindaco, Michele Tripodi, il primo storico raduno e stage internazionale europeo della federazione di arti marziali Kempo International, fondata e presieduta da Hanshi, 10° DAN, Jorgensen, svedese di origine ma thailandese d’adozione. La città di Polistena ha, quindi, ospitato un evento internazionale senza precedenti considerato che è la prima volta che ha avuto luogo un raduno di Kempo International in Europa e in Italia. Oltre a Polistena anche le città di Caulonia e Siderno, nei giorni precedenti, hanno ospitato sessioni tecnico pratiche dell’affascinante disciplina.

    La straordinaria iniziativa, voluta dal presidente Jorgensen e dal direttore tecnico europeo, il maestro caulonese, 9° DAN, Giuseppe Cavallo, ha contato sul patrocinio di Sport e Salute e dell’ACSI, uno dei maggiori enti di promozione sportiva del CONI, presieduto dal dr. Antonino Viti. Il gran galà finale, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale Polistenese ha raccolto, presso l’anfiteatro, centinaia di appassionati, provenienti da varie città e paesi della Calabria ma anche da altre regioni e dall’estero. Con orgoglio e soddisfazione, l’Accademia del fondata e diretta dal Prof. Giuseppe Cavallo, che ha sedi operative a Polistena, presso la palestra della scuola media Salvemini, a Caulonia Marina, presso l’impianto geodetico di Vasì e a Siderno Marina, presso un bene confiscato, in via dei Tigli, ha presentato al pubblico un evento bello e altamente spettacolare, inedito per la zona della Piana e della Locride.

    Sotto la guida del prof Cavallo e del Maestro 8° DAN Tom Pintelon, giunto appositamente dal Belgio, assieme a un team di istruttori ed esperti, si sono svolti momenti di alta formazione, in cui valenti maestri si sono alternati nello svolgimento di sessioni tecniche di elevato livello marziale. Fra questi, il maestro Nicola Geranio (8° DAN), la Maestra Maria Spanò, il Maestro Rocco Garelli, l’allenatore Gabriele Pronestì, l’istruttore e generale c.a. Maurizio Quattrini, il Maestro Coppola. Presenti anche la presidente Teresa Peronace, la segretaria Mariangela Mileto e il dirigente sportivo Francesco Garelli. Nella tre giorni, si è registrata la presenza anche dei sindaci dei Comuni di Siderno, Mariateresa Fragomeni, e Caulonia, Francesco Cagliuso, dell’assessore Antonella Ieace, del fiduciario CONI, Salvatore Papa e del dirigente regionale di Sport e Salute, Walter Malacrino. Nel corso del raduno, dalle atlete e dagli atleti sono state effettuate delle dimostrazioni ed esibizioni e sostenuti esami di passaggio di cintura, di grado (cinture nere) e qualifica (insegnanti tecnici). L’esperienza, unica nel nostro territorio, ha permesso a studenti (soprattutto fanciulle/i) e appassionati italiani e internazionali di: perfezionare tecniche di difesa personale, proiezioni, leve articolari e strategie di combattimento marziale oltre che di acquisire equilibrio psico-fisico, autocontrollo, autostima, consapevolezza, velocità, potenza e tempismo. Un’ottima possibilità, dunque, di crescita tecnica e umana, grazie a un confronto diretto con specialisti di fama mondiale.

  • Quel Mig avvolto nel mistero delle Magare

    Quel Mig avvolto nel mistero delle Magare

    Ero un bambino di undici anni nell’estate del 1980. Vivevo a Feruci, una frazione di Trenta, un piccolo paese incastonato tra le colline sopra Cosenza, dove il tempo scorreva lento, scandito dal sole cocente e dal chiacchiericcio dei compaesani.

    Era un pomeriggio come tanti, di quelli in cui il caldo ti spinge a cercare l’ombra. Giocavo con i miei amici – Francesco, Michele, Gianluca, Enzo – tra i vicoli stretti, con le nostre risate che rimbalzavano tra le case di pietra. Ogni tanto ci fermavamo a riprendere fiato, seduti sui gradini della chiesa vicino casa mia. Lì, sotto l’ombra del campanile, c’era Zu Franciscu, che tutti chiamavano, chissà perché, “Mappappu”. Seduto con le sue canne di vimini, le sue mani nodose intrecciavano panieri che sembravano opere d’arte.

    Ogni tanto alzava lo sguardo, borbottava qualcosa e tornava al suo lavoro, mentre noi lo osservavamo con una sorta di reverenza. Quel giorno, però, l’aria era diversa. Non era solo il caldo soffocante di giugno o il ronzio delle cicale. Le voci degli adulti erano più concitate, i toni più gravi. Sentivo frammenti di discorsi su un aereo caduto, un Mig libico, dicevano, precipitato a Castelsilano, non lontano da noi. La notizia arrivava dai telegiornali, quelli che i grandi guardavano la sera davanti ai vecchi televisori a tubo catodico. “Un aereo militare”, “i libici”, “la strage di Ustica”: parole che, per me, erano solo pezzi di un puzzle troppo complesso per un bambino di undici anni. Seduto sui gradini, con il rumore delle canne di Zu Franciscu in sottofondo, ascoltavo i grandi.

    Le autorità e i servizi controllano l’area dove è caduto l’aereo libico

    Quell’aereo caduto sulle montagne 

    Parlavano di quel MiG caduto sulle montagne, qualcuno lo collegava a un altro disastro, un aereo di linea scomparso nel mare vicino Ustica. Non capivo tutto, ma parole come “guerra”, “mistero”, “aereo abbattuto” accendevano la mia immaginazione. Nella mia mente di bambino, vedevo aerei sfrecciare nel cielo e scoppi improvvisi, ma tutto sembrava lontano, quasi irreale, anche se Castelsilano – appena oltre San Giovanni in Fiore, verso Crotone – non era poi così distante. Potevo quasi immaginarlo, quell’aereo, precipitare tra le colline del marchesato. Zu Franciscu, con il suo cappello di paglia sgualcito, scuoteva la testa. “Cose grosse, troppo grosse,” borbottava, senza smettere di intrecciare. Non so se capisse davvero, ma il suo tono tradiva inquietudine. I miei amici continuavano a giocare, ma ogni tanto si fermavano, incuriositi. “Ma che ci faceva un aereo libico qui?” chiese uno di loro. Nessuno seppe rispondere.

    Il pilota e l’ombra scura della guerra

    Io mi immaginavo un pilota straniero, con una divisa piena di medaglie, perso in un cielo che non era il suo. Quella sera, a casa, la televisione era accesa, e i miei genitori parlavano a bassa voce, come se non volessero farsi sentire. “Strage di Ustica“, “Il Mig di  Castelsilano”: parole che si mescolavano al profumo dei pomodori freschi, al suono delle posate, alla normalità di una serata estiva. Eppure, qualcosa era cambiato. Per la prima volta, il mondo dei grandi mi sembrava più complicato. Non era solo il gioco nei vicoli o i panieri di Zu Franciscu. C’era qualcosa di più grande, che non capivo ma che sentivo pesare. Oggi, a distanza di quarantacinque anni, quel ricordo è ancora vivido. Non so se il MiG di Castelsilano fosse davvero legato alla strage di Ustica, come dicevano i grandi. So solo che per un bambino di undici anni, seduto sui gradini di una chiesa, con il suono delle canne di vimini e le voci preoccupate dei compaesani, quel giorno d’estate del 1980 fu il primo in cui il mondo sembrò improvvisamente più grande, più misterioso, e forse più spaventoso.

    Un frammento identificativo di quel che restava dell’aereo da guerra

    Il mistero custodito dalla Timpa delle Magare

    Il mistero della Timpa delle Magare, dove il MiG-23 libico precipitò, resta vivo. A Castelsilano alcuni testimoni raccontarono di aver visto un aereo volare basso, seguito da pennacchi di fumo, prima del silenzio e del bagliore delle fiamme.

    Accanto ai rottami, il corpo del pilota, Ezzedin Fadah El Khalil, in avanzato stato di decomposizione, suggeriva una morte risalente forse al 27 giugno 1980, il giorno della strage di Ustica, quando un DC-9 Itavia si inabissò nel mar Tirreno con 81 persone a bordo.

    La Timpa delle Magare non è solo un luogo fisico. Nel dialetto calabrese, “magare” significa “streghe”, e il nome evoca leggende di donne sapienti, spiriti della montagna, custodi di segreti antichi. Un aereo militare straniero che precipita in un posto così non è solo un evento: è un’interruzione, uno strappo nel tessuto della comunità. Le autorità parlarono di un malore del pilota, ma le incongruenze – il corpo decomposto, le testimonianze discordanti, i fori sulla fusoliera – alimentano teorie di complotti e battaglie aeree. Secondo il giudice Rosario Priore, che condusse un’inchiesta monumentale, il DC-9 Itavia fu abbattuto durante un’azione militare, forse per intercettare un aereo libico che si pensava trasportasse Gheddafi.

    Il giudice Rosario Priore

    Alcuni testimoni parlarono di due caccia che inseguivano un terzo velivolo, lungo una rotta che da Ustica portava a Castelsilano. Il MiG potrebbe essere stato abbattuto o essersi schiantato durante quell’azione, finendo tra i boschi della Sila. Per gli abitanti di Castelsilano, la Timpa delle Magare è diventata un luogo della memoria, ma anche del silenzio. Come in molte comunità rurali, hanno imparato a convivere con i segreti, a non fare troppe domande.

    Tutta la verità ancora manca, ma forse a saperla sono le “magare”

    Ripensando a quel bambino di undici anni, oggi gli occhi di adulto e la consapevolezza di come le cose non siano come appaiono, mi restituiscono l’impressione che la Timpa delle Magare non è sia solo un spazio geografico, ma un luogo simbolico. È un crocevia di narrazioni, dove la memoria collettiva si intreccia con il trauma di un evento inspiegabile. È un luogo liminale, sospeso tra realtà e mito, dove la verità sbiadisce e si sottrae allo sguardo degli uomini rifugiandosi tra le ombre delle “magare”

     

    Un frammento scelto dal film Il Muro di gomma, di Marco Risi: le scene dell’indagine del giornalista sull’altopiano silano, dove il Mig era precipitato.

  • Arti marziali, primo stage europeo di Kempo a Caulonia e Siderno

    Arti marziali, primo stage europeo di Kempo a Caulonia e Siderno

    Le città di Caulonia e Siderno, nella Locride e di Polistena, nella Piana, sabato 28 giugno diverranno capitali europee delle arti marziali. Ciò per volere del presidente mondiale di Kempo International, il Maestro 10° DAN Jorgensen, e del direttore tecnico europeo, il Maestro 9° DAN Giuseppe Cavallo, che hanno organizzato il primo stage europeo di Kempo, una delle arti marziali che si ritiene sia nata tra i monaci guerrieri del tempio di Shaolin e che, col passare degli anni, si è evoluta fino a divenire uno degli strumenti di difesa personale più efficaci. Fra le tecniche del kempo rientrano, infatti, calci, pugni, proiezioni, lussazioni, leve articolari e combattimento corpo a corpo, sia in piedi sia a terra. “La pratica di questa arte marziale è molto importante” – ha espresso il maestro Cavallo – “poiché consente di acquisire equilibrio psico-fisico, autocontrollo, autostima, sviluppare consapevolezza delle proprie capacità, stabilità strutturale, coordinazione, velocità, potenza e tempismo.” Durante la tre giorni, sotto la direzione del maestro Cavallo e del collega, proveniente dall’estero, Tom Pintelon, 8° DAN di kempo, i discenti italiani e stranieri potranno vivere una esperienza senza precedenti, progredendo tecnicamente e atleticamente. L’evento, patrocinato da Sport e Salute Salute e dall’ACSI, associazione di cultura e sport, EPS CONI, prevede la partecipazione di tecnici provenienti anche da altre regioni italiane, come il maestro e generale c.a. Maurizio Quattrini, il maestro Messina e il maestro Coppola. Prevista, anche la presenza, al completo, dello staff tecnico dell’Accademia di Arti Marziali, difesa personale e kickoxing fondata e diretta dal dottore Giuseppe Cavallo, ovvero gli insegnanti tecnici: maestro Nicola Geranio, 8° DAN; maestra Maria Spanò; maestro Rocco Garelli; allenatore Gabriele Pronestì e asp. allenatore Giovanni Audino. Non mancheranno, inoltre la presidente e i dirigenti Teresa Peronace, Mariangela Mileto (segretaria generale) e Francesco Garelli. Venerdì pomeriggio si partirà a Siderno Marina, presso la vila comunale, con stage ed esibizioni, con il patrocinio del Comune bandiera blu e alla presenza del fiduciario CONI della Locride, prof. Salvatore Papa; per proseguire a Caulonia Marina, sabato 28, dove in serata è previsto anche un momento di intrattenimento, con il patrocinio del Comune bandiera blu di Caulonia. Lo straordinario evento si concluderà con un gran galà, nell’anfiteatro di Polistena, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale. Ad impreziosire gli eventi, la presenza del responsabile regionale Calabria di Sport e Salute, il dottore Walter Malacrino. Importante, a detta dello staff dirigenziale dell’Accademia, il supporto fornito a Caulonia, dal sindaco Cagliuso e dall’assessore Ierace, con la protezione civile guidata da Lorenzo Mazzà; a Siderno dalla sindaca Fragomeni e dal delegato allo sport Lurasco, e a Polistena, dal sindaco Michele Tripodi e dell’amministrazione comunale polistenese, con un impegno straordinario.

  • “Perdere il controllo” esercitando l’eresia

    “Perdere il controllo” esercitando l’eresia

    Quando si organizza un festival, di solito, le prime cose cui gli organizzatori pongono mente sono quanta gente attirerà, quali strategie è possibile mettere in campo per aumentare il bacino d’utenza, cosa escogitare per ingolosire? Nel caso di Aghia Sophia Fest, probabilmente, da sempre, avviene il percorso contrario. Si parte da un’onesta analisi dei bisogni, singolari e collettivi, per individuare, di anno in anno, un tema caldo, saliente, un tratto caratteristico dell’umano che ha bisogno di essere sviscerato, analizzato, senza l’ansia e il patema del successo a ogni costo, del trend topic, della moda del momento.

    Il processo creativo e la ricerca delle parole e dei segni

    I colori e i segni del Festival

    Ed è proprio quando tutte queste sterili energie negative vengono marginalizzate, che comincia il processo creativo, la costruzione certosina di una strada lastricata di suoni, gesti e parole che possono lasciare il segno, perturbare, esaltare, entusiasmare, problematizzare. Così, si parte alla ricerca condivisa di linguaggi che si vorrebbero far risuonare tra le casette di legno e gli alberi di una parte decisamente disallineata di città, un pezzo di Cosenza Vecchia che sembra paradossalmente essere staccato anche dal Centro Storico stesso. Eppure si trova lì, a un tiro di schioppo dal museo diffuso di Corso Mazzini, a pochi passi dalla casa comunale. Fermo e silente, un po’ decrepito e zoppicante, sembra voler rimanere nascosto ma, da un po’ di mesi, qualcuno ha deciso che è ritornato il tempo di rianimarlo per esaltarne l’intrinseca bellezza.

    Una delle passate edizioni del Festival

    Il potere dell’immaginazione: spazio al pensiero eretico

    Case d’arte che s’affacciano sul nostro fiume, una poesia a cielo aperto che ha solo bisogno di essere scritta. Aghia Sophia Fest, dalla sua posizione fieramente eretica, prova a scriverla questa poesia, con umiltà e dedizione, con cura e pazienza. D’altronde, con i convalescenti occorre sempre usare le più delicate precauzioni. E se l’anno scorso, Aghia ha deciso di ragionare su possibili futuri immaginari da abitare insieme, quest’anno, invece, ha scelto di “perdere il controllo”. Una perifrasi ambigua che potrebbe prestare il fianco a molteplici interpretazioni. Ne scremiamo due, per scongiurare il tedio. Perdita del controllo come sottrazione al potere istituzionale che, troppo spesso, usa violenza e arroganza per imporsi. Perdita del controllo come riscoperta della profonda libertà che carsicamente attraversa tutte le nostre esistenze, desiderose di emanciparsi da un monitoraggio orwelliano che fatica ad abbandonare i palcoscenici pubblici.

    Da Salvatore “Uccello” a Piperno
    Franco Piperno

    Il percorso immaginario da Salvatore “Uccello” a Piperno

    E, allora, una serie di figure, artisti e temi si sono, quasi per magia, palesati agli occhi sbigottiti di Silvia Cosentino e Giuseppe Bornino, quasi vent’anni di autogestione culturale insieme. Così, hanno visto stagliarsi, quasi come in una sorta di cinematografico piano sequenza, le figure di Salvatore “Uccello” Iaccino e Franco Piperno, vittime e analisti di un controllo sempre troppo dispotico, le riflessioni di Dario Alì su ciò che una società vieta e borghese insiste ancora nel definire “contronatura”, le stilettate comiche di Simonetta Musitano, degna rappresentante della logica “queer”, quella logica non tradizionale e binaria che vuole abbattere tutti i pregiudizi, ruoli, definizioni preconfezionate. E, ancora, hanno visto aggirarsi, per le vie della città, il mai sopito spirito del maestro Franco Battiato, guru della perdita del controllo, intesa come libero accesso ad altri mondi, reali o metaforici che siano, a seconda dei gusti, delle tendenze e delle credenze personali.

    Giuseppe Bornino e Silvia Cosentino, i due organizzatori dell’evento

    Le capriole musicali di Borealo

    E, poi, hanno visto le capriole musicali di Auroro Borealo, un artista profondamente sui generis che mette in discussione una stantia e forzatamente apollinea idea di bellezza, esaltando, di contro, il brutto, l’informe, quello che, di solito, preferiamo occultare, denigrare, marginalizzare. Con lui, verrà celebrata la rivincita dei brutti, dei non allineati, degli esclusi, di chi, molto semplicemente, coltiva la propria diversità senza timore e senza l’ossessione dell’omologazione costi quel che costi. E, di certo, gli organizzatori non potevano non scegliere come numi tutelari di quest’edizione David Lynch e Franco Basaglia, indagatori coraggiosi di ciò che interferisce, sobilla e disturba le nostre menti, di ciò che le rende felicemente non normali.

    Borealo sarà presente all’Aghia Sophia

    Le parole, le immagini e i suoni per “perdere il controllo”

    Perdere il controllo attraverso l’arte, le parole, le immagini, i gesti, i suoni. Tanto del vasto programma festivaliero non siamo riusciti a nominare perché ceci n’est pas un communiqué de presse. La lettura dell’articolo continua venerdì 27 giugno 2025, a partire dalle ore 17, presso l’Area 3 dei Bocs Art, a due passi dal fiume. Avvicinati con fiducia!

                                                                                                            Aghia Sophia fest

     

     

  • La fiumara calabrese che ha investito il Vaticano

    La fiumara calabrese che ha investito il Vaticano

    C’è un’energia antica, in Calabria, che scorre sotterranea. È la forza delle fiumare, quei corsi d’acqua selvaggi che per mesi sembrano dormire sotto il sole, per poi gonfiarsi d’impeto e ridisegnare il paesaggio, trascinando con sé tutto ciò che incontrano. Per capire la parabola di Francesca Immacolata Chaouqui, bisogna forse partire da qui, dalle radici affondate in quella terra, da padre franco-marocchino e madre italiana. La giovane donna ora è indagata per “traffico di influenze” e per aver indotto il cardinale Becciu a commettere i reati. Per quei reati il cardinale fu condannato e dunque inibito a partecipare al conclave che ha eletto il nuovo Papa

    Un momento dell’evento Incontri d’estate, a Diamante, la cui ospite era la Chaouqui

    Le sue radici  tra il Marocco e la Calabria

    Da quel mondo di silenzi antichi e orizzonti familiari, dopo una laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma , è partita una ragazza che portava in sé la tenacia della ginestra, capace di fiorire sulla roccia più aspra, e l’ambizione di chi sa che l’unica via d’uscita è guardare oltre la montagna. La sua non è stata una semplice migrazione verso Roma. È stata una scalata, condotta con la pazienza del contadino e l’astuzia del predatore. Ogni contatto, ogni stretta di mano, diventava un appiglio: dallo Studio legale Orrik , alla Ernst &Young dove il suo compito, ironia della sorte, era comunicare che il potere economico del Vaticano stava diventando “costruttivo, positivo e trasparente”. Un percorso che, secondo alcune cronache, avrebbe incrociato persino l’ombra lunga di Giulio Andreotti.

    San Sosti e la processione della Madonna del Pettoruto

    Da San Sosti agli studi legali più prestigiosi, fino al potere

    Quando, nel luglio 2013, il suo nome risuonò sotto le volte della Basilica di San Pietro, molti si chiesero chi fosse questa giovane donna calabrese. Era l’unica italiana, l’unica donna e l’unica sotto i 50 anni in una commissione chiamata da un Papa a fare ordine nelle finanze più segrete del mondo. Papa Francesco stesso ammise in seguito di non essere del tutto sicuro di come fosse entrata nella commissione, ipotizzando una segnalazione di Monsignor Balda. Non compresero che in lei non c’era la levigata diplomazia dei salotti, ma la schiettezza a volte brutale della sua terra, unita a un legame familiare con l’interno delle Mura Leonine, dato che suo marito, Corrado Lanino, era un informatico con pregressa esperienza lavorativa in Vaticano.

    L’unica donna in una commissione strategica

    La nominarono membro della COSEA, con il compito ufficiale di “analizzare i sistemi di comunicazione e progettare un sistema organico e coordinato” per la Santa Sede (11), e lei divenne il centro di un vortice. L’hanno chiamata in tanti modi: “La Papessa”,che scoperchiava il vaso di Pandora dei segreti vaticani.

    Una immagine della Chaouqui durante una udienza del processo Vatileaks

    Lo scandalo Vatileaks

    Lo scandalo Vatileaks 2 fu la piena della fiumara. Documenti, password – Balda ammise di averne passate 87 a un giornalista – veleni. Un’aula di tribunale vaticano trasformata in un teatro di odi e accuse, in un’atmosfera definita “detestabile” , dove la sua alleanza con Monsignor Balda si era tramutata in una “faida” moderna. E lei, al centro, incinta, che alternava la rabbia alla fragilità. Alla fine, fu assolta dall’accusa di aver passato materialmente i documenti, ma condannata per concorso morale: per aver, secondo la Corte, agevolato la divulgazione presentando i giornalisti a Balda, organizzando incontri e creando così l’opportunità per la commissione del reato.

    Esattamente come una fiumara calabrese, la Chaouqui ha travolto i silenzi dei palazzi vaticani

    La giovane calabrese è accusata di falsa testimonianza

    Ma le fiumare, anche quando l’acqua si ritira, lasciano un segno indelebile. E Francesca non è scomparsa. Si è reinventata, ha cavalcato i media. È riapparsa come un’ombra nell’ultimo, grande processo vaticano, quello contro il cardinale Becciu, con nuove, pesanti accuse a suo carico: traffico di influenze, falsa testimonianza e subornazione. Avrebbe manovrato testimoni chiave, sussurrato parole in orecchie cruciali, forte di un presunto rancore verso il Cardinale, che riteneva responsabile della sua precedente incriminazione, e con la persistente affermazione di possedere ancora gli archivi della COSEA , un tesoro di informazioni che aleggia come un’ombra.

    Papa Francesco e il cardinale Becciu

    Una storia calabrese: da un piccolo paese all’ambiguità del potere

    La sua è una storia profondamente calabrese. È la storia di un’intelligenza feroce che non accetta i confini imposti. È il racconto di un’ambizione che diventa, per chi la osserva, a tratti ammirevole e a tratti spaventosa. Ed è l’eterno dilemma di una terra che genera talenti capaci di scalare il mondo, ma che portano sempre con sé un’eredità di fierezza indomabile che, fuori dai confini natii, viene spesso letta come arroganza, o come un pericolo da neutralizzare.

    Riformatrice o avventuriera? Whistleblower o opportunista? Forse, Francesca Chaouqui è semplicemente il riflesso di una Calabria che non si rassegna a rimanere ai margini dell’Impero. Una forza della natura che, nel bene e nel male, ha dimostrato che persino le mura più antiche e spesse, quelle del Vaticano, possono tremare di fronte all’impeto di una fiumara che scende inarrestabile dal Pollino.

    Tommaso Scicchitano

  • Talk Angiologia, Diaco: in Calabria ancora pochi specialisti

    Talk Angiologia, Diaco: in Calabria ancora pochi specialisti

    Due giorni di confronto serrato e partecipato su diagnosi e terapia della malattia venosa cronica. Protagonisti: angiologi e specialisti della medica vascolare di fama nazionale e internazionale, ma anche di aree mediche connesse, medici di base, pazienti, che hanno dato un contributo importante alle sessioni pratiche del convegno. Il II Talk Show in Angiologia, svoltosi a Gizzeria Lido (CZ), è stato senza dubbio un successo. Merito anche della formula innovativa, sperimentata nella prima edizione e che, conservando intatta la qualità dei contenuti medico scientifici, è andata ben oltre la convegnistica tradizionale.
    “Il talk – commenta Elia Diaco, promotore e responsabile scientifico dell’evento – si è rivelato una formula vincente perché avendo un approccio da divulgazione scientifica, aiuta i pazienti ad acquisire una maggiore consapevolezza sulla patologia da cui sono affetti e favorisce un confronto più fluido tra i medici. Tutte le discussioni hanno preso spunto dalle interviste che i giornalisti hanno fatto ai diversi specialisti; questo ha reso più semplice la comprensione di malattie molto complesse e meno formale il loro approfondimento da parte di chi si occupa di fare diagnosi e prescrivere terapie”.

    Il talk di Gizzeria Lido ha sancito una volta di più la rilevanza della malattia venosa, divenuta finalmente una ex cenerentola tra le patologie. “Basti pensare – commenta ancora Diaco – che colpisce una donna su due e insorge già in età giovanile. È una patologia cronica, che non risparmia la popolazione maschile, e può avere conseguenze assai gravi, invalidanti o mortali, se non viene tenuta sotto controllo. Per questo abbiamo cercato e ottenuto la partecipazione al talk dei medici di base. La diagnosi precoce e il successivo coinvolgimento dello specialista possono fare la differenza per la salute e la qualità della vita del paziente. Quest’ultimo deve essere informato e consapevole dei rischi che corre, perché ogni sottovalutazione può essere fatale. Una volta diagnosticata la malattia, occorrono almeno due controlli all’anno e non solo in estate, quando i sintomi si acuiscono. Una vena varicosa non è un fatto semplicemente estetico ma costituisce un serio pericolo”.
    Di fronte a questo scenario, è consequenziale chiedersi se il servizio sanitario nazionale sia ben attrezzato ad affrontarlo.

    “In Calabria ma non solo – chiarisce Diaco – abbiamo ancora pochi specialisti in angiologia e medicina vascolare. Colleghi eccellenti, che si impegnano a dare risposte efficaci e di qualità alla domanda di salute. L’auspicio è che il loro numero cresca, anche perché oggi disponiamo di nuove ed efficaci terapie come la scleromousse, che evita il ricorso alla chirurgia perché viene effettuata in ambulatorio e senza anestesia. Per quanto ci riguarda da vicino, spero che i colleghi accolgano la mia proposta per un convegno che tra due anni faccia il punto complessivo sulla situazione calabrese. Abbiamo una grande tradizione medica legata alla malattia venosa e sarebbe importante lanciare da qui un messaggio autorevole al resto delle regioni”.

  • Il patriota Miraglia “torna” Strongoli

    Il patriota Miraglia “torna” Strongoli

    L’Amministrazione Comunale di Strongoli e il Comitato Promotore per le Celebrazioni di Biagio Miraglia annunciano con solennità e profonda emozione la manifestazione per la traslazione delle ceneri del patriota, poeta e letterato Biagio Miraglia, che si terrà il 31 maggio 2025, dalle ore 9:30, partendo dal Corso a lui dedicato. La cerimonia pubblica segna un momento di riconciliazione storica tra il passato e la memoria collettiva della comunità.
    Nato a Strongoli il 15 gennaio 1823, Biagio Miraglia fu figura centrale del pensiero risorgimentale italiano. Educato tra Cariati e il Collegio Italo-Albanese di San Demetrio Corone, abbracciò giovanissimo ideali liberali e romantici che lo spinsero a prendere parte ai moti rivoluzionari e alla Repubblica Romana del 1849. Poeta profondo, visse l’esilio e l’impegno civile, dedicando la sua penna all’Italia unita, fino alla morte avvenuta a Firenze il 1 aprile 1885.
    Il ritorno delle sue spoglie a Strongoli rappresenta non solo un atto di giustizia storica, ma anche un’occasione per ricordare e celebrare l’opera e il pensiero di uno degli intellettuali più significativi del Sud Italia ottocentesco.

  • Linfodema e malattia venosa, due giorni di talk a Gizzeria

    Linfodema e malattia venosa, due giorni di talk a Gizzeria

    29Venerdì 30 maggio e in prosecuzione sabato 31, a Gizzeria (CZ), si terrà la seconda edizione del talk show in angiologia, il cui tema quest’anno è: “Il linfedema e la malattia venosa cronica. La storia, i sintomi, le cause, la diagnosi e i trattamenti innovativi”.
    L’evento, la cui responsabilità scientifica è affidata al dottor Elia Diaco, si svolge sotto l’egida delle società mediche di area (Simv, Sidv, International Union of Angiology, Fleboforum) e gode del patrocinio di “Università Magna Graecia” di Catanzaro, Ordine dei Medici di Catanzaro e Regione Calabria.
    L’edizione 2025 della kermesse medico scientifica punta nuovamente sulla formula del talk, con una presenza ancora più nutrita rispetto allo scorso anno di giornalisti di testate nazionali e regionali che dialogheranno con i diversi specialisti della patologia venosa. Un modo per dare maggiore risalto alla divulgazione scientifica, senza tuttavia rinunciare alle tradizionali “discussioni” di approfondimento, tipiche della convegnistica medica, cui i talk faranno da introduzione.
    La due giorni di lavori è un aggiornamento professionale relativo alla diagnostica, alla terapia e alle tecniche innovative per la patologia venosa e il linfedema. Ma vuole essere anche un’occasione per accrescere tra pazienti e opinione pubblica più in generale la consapevolezza di una patologia tanto diffusa quanto, sovente, sottovalutata o trascurata, nonostante la sua insidiosità.
    Le sedute scientifiche sono divise in due parti. La prima tratterà gli aspetti principali dell’angiologia, con lezioni afferenti alla storia, alla patologia venosa, nonché alle malattie dermatologiche e gastrointestinali correlate. La seconda tratterà il linfedema e il lipedema, con una attenzione particolare alla risoluzione di aspetti pratici e dubbi sulle tecniche di esecuzione e sulla manualità nella pratica clinica flebologica.
    Chiuderanno il convegno gli approfondimenti sulle procedure terapeutiche e innovative per la malattia venosa cronica.