Categoria: Fatti

  • Sei anni senza verità: ‘ndrine e altre piste dietro la scomparsa di Maria Chindamo

    Sei anni senza verità: ‘ndrine e altre piste dietro la scomparsa di Maria Chindamo

    Sei anni senza verità, senza giustizia. Per molti anche senza memoria. Ma non si arrende la famiglia di Maria Chindamo, l’imprenditrice scomparsa nel nulla il 6 maggio 2016 tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Proprio oggi, a Limbadi, il sit-in per richiamare la memoria, promosso da Libera, Agape, comitato Controlliamo Noi Le Terre di Maria, Penelope Italia Odv.

    La storia di Maria Chindamo

    Non un luogo casuale. Una roccaforte della ‘ndrangheta, Limbadi, dove la cosca Mancuso uccide ancora tramite autobomba, come nel caso di Matteo Vinci. Anche la storia di Maria Chindamo è intrisa di mafiosità. Di certo sotto il profilo della mentalità ‘ndranghetista. Sotto il profilo penale, si vedrà.

    Nel 2015, il marito della donna, Ferdinando, si suicida, non accettando la fine della relazione. Circa un anno dopo, Maria scompare nel nulla, in quella che sembra una normale giornata, trascorsa tra la famiglia, a Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, e l’azienda di proprietà, a Limbadi, nel Vibonese.

    maria-chindamo-ombra-ndrangheta-sei-anni-scomparsa-i-calabresi
    Vincenzo Chindamo, fratello della imprenditrice scomparsa nel 2016

    Le modalità mafiose

    Da anni, la famiglia di Maria Chindamo chiede che venga infranto il muro di omertà che soffoca il territorio. Lo fa anche attraverso la formazione dei più giovani: «Una volta – dice a I Calabresi Vincenzo Chindamo, fratello di Maria – un ragazzo in una scuola mi ha chiesto se abbia mai pensato di farmi giustizia da solo. Ma parlare ai giovani, creare un indotto di pensiero contro la subcultura mafiosa è farsi giustizia da solo».

    Da sei anni, Maria non si trova più. Nessuno ha mai chiesto un riscatto. E, nel probabile caso in cui la donna sia stata uccisa già nell’immediatezza del rapimento, la famiglia non ha mai avuto una salma da piangere. Un femminicidio perpetrato con le modalità ndranghetistiche, in cui la ‘ndrangheta potrebbe avere un ruolo importante. O ha verosimilmente consentito una rete di protezione di tipo criminale.

    Fin dall’inizio si affaccia l’ipotesi inquietante che Maria sia stata punita proprio per aver lasciato il marito. Perché ha “osato” interrompere la relazione con il marito. E perché ha tentato di rifarsi una vita, sentimentale e lavorativa.  Per questo andava punita, non solo con l’uccisione, ma anche con la sparizione, per cancellarla per sempre. Eccola la cultura ‘ndranghetista. La damnatio memoriae che deve accompagnare, nel linguaggio cifrato, chi si è macchiato di determinate “colpe”. Maria Chindamo va dimenticata. La “lupara bianca” serve proprio a questo.

    Le indagini sulla scomparsa di Maria Chindamo

    Maria Chindamo sarebbe stata aggredita davanti al cancello della propria azienda da due o più persone. Il motore della sua auto resterà acceso. A bordo gli inquirenti troveranno tracce di sangue e poco altro di utile.  La Procura della Repubblica di Vibo Valentia per anni ha indagato per omicidio, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

    Ma quello della “vendetta familiare” non è l’unico movente che, in questi anni, si è affacciato sulla scena. Ne è convinta Angela Corica, giornalista che ha seguito moltissimo la vicenda: «Maria era una donna libera, non solo in termini sentimentali, ma anche sotto il profilo professionale. Forse le indagini hanno avuto qualche lacuna perché si sono concentrate troppo su una sola causa. Mentre io credo che vi sia un mix di motivazioni», dice a I Calabresi.

    Fin dall’inizio, ci si concentra su diversi particolari che nessuno crede possano essere coincidenze. Dall’assenza di alcuni operai che Maria avrebbe dovuto incontrare quella mattina, al fatto che l’auto verrà ritrovata senza alcuna impronta estranea. Ma, soprattutto, la manomissione di una telecamera che avrebbe potuto immortalare i tragici attimi di quel 6 maggio 2016. Nel luglio del 2019 viene anche arrestato un uomo, Salvatore Ascone, in passato coinvolto in diverse inchieste riguardanti la cosca Mancuso. 

    Ma il Tribunale del Riesame prima e la Cassazione poi ritengono che non vi siano prove sufficienti e rimettono in libertà Ascone. «Il capitolo sulle telecamere potrebbe essere investigato ulteriormente», afferma a I Calabresi l’avvocato della famiglia Chindamo, Nicodemo Gentile. «Di sicuro qualcuno la seguiva e ha fatto da vedetta», aggiunge.

    Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia

    Non un delitto di ‘ndrangheta, forse. Ma in cui la ‘ndrangheta sembra c’entrare eccome. In quelle zone, non si commette un crimine del genere senza il placet delle cosche. E infatti, negli anni, arrivano le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

    Il primo a parlare è Giuseppe Dimasi, un tempo affiliato alle cosche di Laureana di Borrello: «Con riferimento alla scomparsa di Mariella Chindamo, Marco diceva “secondo me gliel’hanno fatta pagare”, alludeva al fatto che la donna aveva avuto una relazione extraconiugale e il marito non accettando la separazione, si era suicidato». Il riferimento del pentito è a Marco Ferrentino, considerato il boss dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Laureana di Borrello.

    Più recenti le dichiarazioni di Antonio Cossidente, ex componente del clan lucano dei Basilischi, che riapre uno scenario che si è sempre affiancato alla pista dell’“onore”: quello delle attività economiche che Maria stava portando avanti su terreni che deteneva insieme all’ex marito e che potevano essere reclamati da qualcuno.

    maria-chindamo-ombra-ndrangheta-sei-anni-scomparsa-i-calabresi
    Maria Chindamo

    Maria Chindamo data in pasto ai maiali?

    Secondo quanto ha riferito Cossidente alla Dda di Catanzaro, Maria sarebbe stata uccisa per essersi opposta alla cessione di un terreno a Salvatore Ascone, proprio l’uomo indagato per l’omicidio dell’imprenditrice. Il corpo della donna sarebbe poi stato dato in pasto ai maiali o macinato con un trattore.

    A raccontare a Cossidente i fatti legati alla scomparsa di Maria Chindamo sarebbe stato Emanuele Mancuso, oggi collaboratore di giustizia, figlio del boss Pantaleone. Proprio il clan di Limbadi. Cossidente, infatti, trascorre una parte di detenzione con Mancuso e apprende alcuni particolari sulla scomparsa dell’imprenditrice di Laureana di Borrello: «Mi disse che lui era amico di un grosso trafficante di cocaina, detto Pinnolaro, legato alla famiglia Mancuso da vincoli storici e mi disse che per la scomparsa della donna, avvenuta qualche anno fa, c’era di mezzo questo Pinnolaro che voleva acquistare i terreni della donna in quanto erano confinanti con le terre di sua proprietà. Pinnolaro aveva pure degli animali, credo che facesse il pastore e questa donna si era rifiutata di cedere le proprietà a questa persona».

    E “Pinnolaro” è proprio il soprannome di Ascone: «Pinnolaro l’ha fatta scomparire, ben sapendo che, se le fosse successo qualcosa, la responsabilità sarebbe ricaduta sulla famiglia del marito della donna, poiché il marito o l’ex marito dopo che si erano lasciati si era suicidato. Emanuele mi disse che la donna venne fatta macinare con un trattore o data in pasto ai maiali».

    Il caso alla Dda

    E proprio per questo, quindi, il fascicolo d’indagine dopo la scarcerazione di Ascone è passato alla Dda. «Non abbiamo notizia di provvedimenti di archiviazione, quindi questo ci lascia pensare che le indagini siano ancora aperte. E abbiamo fiducia completa nell’operato della magistratura», dice l’avvocato Gentile.

    Il legale sembra essere convinto di una matrice chiara: «Quello che ha decretato la morte di Maria Chindamo è un tribunale clandestino di matrice vendicativa». A distanza di sei anni, però, la magistratura non è ancora riuscita a venirne a capo: «Sembra che tutto sia in una fase di stallo perché non vi sono molte tracce e poche testimonianze», commenta amaramente Angela Corica.

    La famiglia di Maria Chindamo

    E, allora, non è affatto casuale il luogo scelto per il sit-in odierno. Un’ulteriore occasione per non dimenticare Maria e per non dimenticare di chiedere, di pretendere giustizia. Il fratello di Maria Chindamo, Vincenzo, e i figli della donna, Federica, Vincenzino e Letizia, in tutti questi anni non hanno mai smesso di ricercare la verità.

    «È una ferita che non si rimargina per la famiglia Chindamo, ma è una ferita nel tessuto sociale di questo territorio, un’infamia che dev’essere capita, attraversata e punita», dice l’avvocato Gentile. Dal canto suo, il fratello di Maria, Vincenzo, non molla: «Fin quando sarò presente il 6 maggio, significa che avrò fiducia e speranza».  

     

  • Luca Gallo: tutte le accuse degli inquirenti al presidente della Reggina 1914

    Luca Gallo: tutte le accuse degli inquirenti al presidente della Reggina 1914

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Sarebbero stati i soldi frutto dei mancati versamenti Iva di almeno tre società della galassia che fa capo a Luca Gallo, a tenere viva la Reggina nelle ultime stagioni calcistiche. Il Gip Annalisa Marzano lo scrive nero su bianco elencando i capi d’imputazione che hanno portato il patron amaranto agli arresti domiciliari nella sua casa di Roma. Soldi che passano di società in società per poi confluire nelle casse disperate di una Reggina che stava nuovamente per scomparire dal panorama sportivo dopo il fallimento del 2015 e che Gallo “salvò” all’ultimo minuto: un’operazione, sostengono i giudici, che serviva a nascondere al fisco parte degli obblighi Iva che le società dell’imprenditore romano aveva nel frattempo volatilizzato.

    La galassia di Luca Gallo e la Reggina

    “M&G Multiservizi”, “M&G Service” e “M&G Company”: sono queste le tre società che secondo il nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di Finanza di Roma avrebbero fatto da collettore di denaro verso la “Club Amaranto” a cui fa capo la squadra dello Stretto. È una storia complessa quella che hanno ricostruito gli inquirenti. E ha per protagoniste società che confluiscono, tutte, su Luca Gallo che ne è legale rappresentante, con in mezzo anche la malcapitata Reggina. In questo gioco di matrioske allestito sulla pelle di una città che trema all’idea di vedere naufragare la propria squadra di calcio, entrano tutte o quasi le operazioni su cui Gallo ha costruito il suo personaggio da “presidente Paperone”.

    luca-gallo-mg-reggina
    Luca Gallo nella sede di una delle sue società nel mirino della Procura

    Il sistema ipotizzato dagli inquirenti

    Il primo tassello della scalata risale al gennaio del 2019. In quell’occasione la “M&G Multiservizi” paga, con assegni circolari, 356 mila euro per l’acquisizione del 100% del capitale sociale della “Club Amaranto” dai vecchi proprietari Mimmo, Demetrio e Giuseppe Praticò. Quei soldi, ipotizzano gli inquirenti, vengono dal mancato versamento dell’Iva per l’anno 2017. E finiscono per scomparire davanti agli occhi del fisco perché la Multiservizi, semplicemente, non presenta i bilanci.

    granillo-vuoto-reggina
    Lo stadio Oreste Granillo di Reggio Calabria

    Da quello stesso bilancio “truccato” arrivano anche i soldi che la Multiservizi utilizza per acquistare, in parte attraverso la “Club Amaranto” e in parte con bonifici diretti, il 13% delle quote della “Reggina 1914” – la vecchia Urbs Reggina – dai vecchi proprietari. In questo ginepraio di aziende e denaro, arriva anche l’acquisto, dalla curatela fallimentare, del «ramo d’azienda sportiva per l’attività del calcio» della gloriosa Reggina Calcio ormai fallita. Poco più di 380 mila euro che Multiservizi paga attraverso assegni circolari e bancari: i soldi, dicono gli investigatori, vengono sempre dall’Iva non versata della Multiservizi ma controparte dell’affare, miracoli della finanza, risulta essere la Reggina 1914.

    Dalle società satellite di Luca Gallo alla Reggina

    E se l’ancora di salvezza dal baratro del fallimento era arrivata dalla Multiservizi, a rimpolpare le casse societarie della squadra di calcio, arrivano i soldi della “M&G Service”, altro satellite della galassia Gallo, che mette sul piatto un versamento da 1,4 milioni di euro in favore della Reggina. Anche in questo caso, scrive il giudice, il sospetto è che l’operazione, resa possibile dalla mancata presentazione del bilancio della “Service” sia stata portata avanti solo per schermare al fisco il flusso di denaro derivante dai mancati pagamenti Iva per gli anni 2017 e 2018.

    Nel 2020 è di nuovo la Multiservizi a scendere in campo per rifornire di denaro contante le casse del team dello Stretto. Anche in questo caso i soldi verrebbero dall’omissione delle spettanze Iva da parte dell’azienda di Gallo che fa trasferire nelle casse della Reggina quasi 7 milioni di euro con bonifici bancari in favore della Reggina 1914. E ancora altro denaro che rimbalza tra una società e l’altra. L’ultimo bonifico su cui puntano l’attenzione gli uomini delle fiamme gialle riguarda fondi per 460 mila euro che alla Reggina arrivano dopo essere partiti dalla M&G Company ed essere transitati attraverso la Multiservizi e la Club Amaranto, in un vortice impazzito di movimentazione bancarie create ad arte per nasconderne la provenienza.

  • Reggina, arresti domiciliari e maxi sequestro della Finanza per il presidente Luca Gallo

    Reggina, arresti domiciliari e maxi sequestro della Finanza per il presidente Luca Gallo

    Si trova agli arresti domiciliari il patron della Reggina Calcio, Luca Gallo. I militari della Guardia di finanza di Roma hanno arrestato l’imprenditore romano questa mattina: l’accusa è di autoriciclaggio e omesso versamento di imposte. I finanzieri, ancora impegnati nelle operazioni di perquisizione, hanno poi sequestrato beni e quote sociali di 17 società riconducibili al patron amaranto per un valore di 11,5 milioni di euro.

    I sospetti su Gallo e la scalata alla Reggina

    La Reggina non rientra tra le società sotto sequestro. Secondo la Procura della Capitale, titolare delle indagini, Gallo avrebbe usato le società del gruppo “M&G” per creare un articolato sistema di appalti fittizi e autofinanziando la propria attività d’impresa non versando le imposte relativa a Iva, ritenute e contributi ai lavoratori dipendenti (sono 1700 quelli che risulterebbero nella galassia del gruppo di Gallo). Gli inquirenti sospettano inoltre che Gallo possa aver utilizzato parte del denaro al centro dell’indagine nella scalata che lo portò alla guida della società amaranto.

    Il futuro degli amaranto: parla l’amministratore giudiziario

    Il club dello Stretto – fresco di penalizzazione di due punti in classifica a causa dei mancati pagamenti con l’Erario – non è direttamente sotto sequestro, ma in sostanza cambia poco. Il Tribunale di Roma ha infatti disposto i sigilli per la società “Multiservizi” che possiede per intero il capitale sociale della società “Amaranto” che a sua volta risulta proprietaria della Reggina Calcio. «Mi sento di poter dire ai tifosi della Reggina che possono stare tranquilli – dice al telefono l’amministratore giudiziario appena nominato dal Tribunale, Katiuscia Perna – e che verranno poste in essere tutte le attività opportune per salvaguardare il futuro del parco calciatori, della società Reggina Calcio e del “capitale umano” che la Reggina rappresenta per Reggio e per i suoi tifosi».

     

  • Il Pd chiede un consiglio regionale con il vescovo Savino

    Il Pd chiede un consiglio regionale con il vescovo Savino

    Il capogruppo del Pd Bevacqua: «Le parole di Monsignor Savino scuotono le coscienze e devono provocare una nuova consapevolezza»

    «Le parole usate dal vescovo Francesco Savino nell’intervista rilasciata a I Calabresi scuotono le coscienze dei calabresi e devono portare la società e la politica ad interrogarsi».
    A sostenerlo è il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Domenico Bevacqua. «Come non dare ragione al presule di Cassano quando identifica la Calabria, come la Regione dalle belle possibilità che restano sempre inespresse, quando si interroga sul ruolo della massonerie deviate, sul rapporto tra Istituzioni e politica, sulla libertà del voto o sulle logiche che fin qui hanno strangolato la sanità mettendo a repentaglio lo stesso diritto alla salute dei cittadini?».

    pd-calabria-chiesto-consiglio-regionale-con-il-vescovo-savino-i-calabresi
    Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio

    «Ma la critica di Monsignor Savino è ancora più apprezzabile – spiega Bevacqua – perché non si ferma soltanto alla parte distruttiva e all’elenco delle tante piaghe che affliggono la nostra Regione, ma formula interrogativi sui quali tutti siamo chiamati a riflettere. Davanti ad uno scenario del genere – si chiede il presule – com’è possibile che il popolo calabrese non abbia la forza e il coraggio per indignarsi? E perché poi questa indignazione non trova sbocco in una proposta politica che trovi successivo consenso?».

    «Si tratta di interrogativi di non poco conto – dice ancora il presidente del gruppo dem a palazzo Campanella – che vanno alla radice dei problemi che da decenni insistono sul nostro territorio. Serve una presa di coscienza da parte della politica, dei partiti, delle associazioni e dei cittadini. Un nuovo grado di consapevolezza che sappia provocare indignazione e la sappia poi incanalare in azioni e proposte in grado di elaborare soluzioni e scardinare gli apparati di potere e tutte le incrostazioni di cui parla Savino».

    «Non è certo un percorso facile – conclude Domenico Bevacqua – ma deve essere intrapreso senza alcun tipo di titubanza. È l’unica strada per provare a cambiare davvero le cose e fare in modo che Istituzioni, partiti e cittadini tornino a confrontarsi e reinventino luoghi di elaborazione politica. Come capogruppo del Pd sento il dovere di inviare un ringraziamento a Monsignor Savino e come partito faremo in modo di avviare fin da subito un percorso di riflessione sui tanti spunti che ha fornito a tutta la Calabria. Intanto, alla prossima Conferenza dei capigruppo chiederò che si convochi una seduta di Consiglio ad hoc invitando Monsignor Savino a prendere parte ai lavori».

  • Il lungo addio: l’agonia delle ludoteche di quartiere

    Il lungo addio: l’agonia delle ludoteche di quartiere

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    A Serra Spiga, in via Popilia e nel centro storico non si ode più il festoso vociare dei laboratori creativi per bambini. Dopo 25 anni di attività, dal 31 dicembre 2021, sono chiuse le ludoteche. Palazzo dei Bruzi tace. La priorità è rimettere in ordine il traffico sconquassato dal precedente sindaco archistar. I diritti sociali possono attendere. Prosciugate le casse, nel bilancio comunale gli unici soldi che non finiranno mai sono quelli destinati a coprire gli stipendi di consulenti e assessori.

    Le ludoteche e il sogno di Mancini

    C’erano una volta le ludoteche di quartiere. Le aprì il sindaco Giacomo Mancini, quando ancora le amministrazioni comunali offrivano spazi e momenti di gioco, ascolto, doposcuola e vacanza ai figli dei più poveri. C’è stato un tempo in cui Cosenza nei servizi delicati pareva una delle città all’avanguardia nel meridione. Erano ancora servizi gratuiti, il Comune li finanziava e non scaricava sul buon cuore del volontariato le attività che in una società cosiddetta “civile” dovrebbero essere di competenza delle istituzioni.

    ludoteche-villa-vecchia
    Bimbi delle ludoteche alla Villa Vecchia di Cosenza

    Alla fine degli anni novanta il vecchio sindaco socialista volle pure che la Biblioteca dei ragazzi sorgesse proprio sotto le finestre della sua stanza a Palazzo dei Bruzi. Sapeva che presidiare con la cultura i quartieri popolari è un investimento sociale, un modo per arginare la solitudine infantile che alleva criminalità. Per Mancini quello era il biglietto da visita di Cosenza. Il municipio, così, da burocratico scatolone di cemento diveniva luogo propulsore di cittadinanza.

    E lo chiamano centro “sinistra”

    Poi, negli anni zero, venne la giunta Perugini e la chiuse, la biblioteca. In generale, badò soprattutto a rieducare la popolazione alla fruizione dei servizi a pagamento. Tagliò le residue spese del welfare locale, motivando questa scelta con la più classica delle lamentazioni: «I soldi sono finiti». E immolò tutto sull’altare della privatizzazione, osannando il project financing di cui ancora oggi si fatica a intravedere il costrutto. Dagli stadi di calcio alla sanità, dalle infrastrutture ai servizi, fiumi di denaro pubblico finiscono nelle casse dei privati che fingono di investire risorse e si appropriano di spazi comuni.

    Un altro nevralgico polo aggregativo per minori, la Città dei ragazzi, fu in parte riconvertito. Per assegnarlo, la giunta Pd concepì una gara d’appalto ai livelli del ponte sullo stretto di Messina. I nuovi aspiranti gestori si videro costretti a costituirsi nientemeno che in Associazione Temporanea d’Impresa. Nel decennio successivo, l’amministrazione Occhiuto la riconcesse alle associazioni Teca, Don Bosco e Cooperativa delle donne, costrette spesso a sopperire con fondi propri alle deficienze istituzionali.

    citta-dei-ragazzi-quer-pasticciaccio-brutto-di-via-panebianco
    Cosenza, l’ingresso della Città dei ragazzi (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Due anni fa, gliela riaffidò con inedita solerzia: le associazioni si erano procurate da sole i fondi per mettere in funzione e potenziare la struttura, avendo vinto un bando promosso dalla fondazione Con i bambini per fronteggiare la povertà educativa. Chissà se gli Occhiutos erano già consapevoli che di lì a poco i due terzi dell’area della Città dei ragazzi avrebbero ospitato alcune delle scuole cittadine sballottate dalla pandemia.

    Ludoteche e istituzioni: distrazione o indifferenza?

    E se in questi ultimi venti anni la Città dei ragazzi ha vissuto fasi convulse e discontinuità, negli altri quartieri le ludoteche erano riuscite comunque a sopravvivere, pur tra i tagli dei fondi, le temporanee sospensioni e i sacrifici dei loro operatori. Ma da cinque mesi non esistono più.
    «Ancor prima della scadenza dell’affidamento, lo scorso dicembre, abbiamo scritto al sindaco, tramite pec, per chiedere un incontro sulla questione, ma siamo ancora in attesa di essere convocati. Abbiamo scritto anche alla consigliera che ha la delega sull’educazione, ma anche in questo caso non abbiamo avuto risposta», denuncia Mimma Ciambrone, due lauree, una in Storia ed una in Scienze dell’educazione; operatrice storica e socia della Cooperativa delle donne, lavora nei quartieri dal 1997.

    Attività in una delle ludoteche di quartiere chiude dal 31 dicembre scorso

    «Sospendere i servizi a metà anno scolastico – spiega Ciambrone – rappresenta un danno irreparabile per molti bambini e bambine. Li seguiamo quotidianamente. Nelle ludoteche comunali, oltre i servizi ludici ed educativi, monitoriamo il percorso scolastico dei nostri bambini, sostenendoli con l’attività di doposcuola, in stretta relazione con le scuole di riferimento. Si tratta di colmare gap formativi importanti, cercando anche di sperimentare metodologie di apprendimento innovative ed efficaci al fine di scongiurare il rischio di dispersione scolastica. Ora più che mai, dopo le conseguenze devastanti dell’emergenza sanitaria, sia dal punto di vista della socialità che degli apprendimenti, sarebbe stato importante investire sui servizi che nei territori contrastano la povertà educativa».

    Sensibilità cercasi

    La disattenzione parte da lontano e non è una questione riferibile solo al presente. Negli anni sono stati svuotati i capitoli di bilancio destinati ai servizi educativi tutti, e non solo alle ludoteche.

    «Noi abbiamo la convinzione – prosegue l’operatrice – che una città che non investe sui cittadini più giovani difficilmente possa investire sul presente e sul futuro delle comunità. I bambini e le bambine sono un parametro di riferimento ineludibile per misurare l’efficacia delle politiche educative e sociali. La questione infatti è soprattutto politica. C’è la necessità di sedersi attorno a tavoli in cui si possa discutere in modo autentico delle politiche educative e sociali. Le amministrazioni devono sentirsi in dovere di co-programmare e co-progettare con il terzo settore e con l’intera comunità educante. Solo così possono essere superati gli ostacoli, anche di natura economica, che rischiano di invalidare percorsi virtuosi per la nostra collettività».

    Meron Mulugeta, mamma di bimbi utenti delle ludoteche

    «Diversamente, il tutto rischia di tradursi – continua – in una erogazione sterile e a singhiozzo di servizi che non vengono messi a sistema e che non producono benessere per i territori. A cosa e a chi serve, ad esempio, aprire le ludoteche sei mesi all’anno? I servizi educativi hanno bisogno di continuità. L’interlocuzione con chi governa la città è fondamentale, dobbiamo superare questo anno zero in cui chi governa non ha forse nemmeno piena contezza dell’importanza di alcuni servizi educativi».

    Perdere il lavoro, dopo 25 anni di strada

    Nella cooperativa e presso le ludoteche comunali operano 15 educatori. Al momento i contratti sono tutti sospesi. «Questo – conclude Ciambrone – è un fatto gravissimo. Ma non solo dal punto di vista occupazionale. Il problema è anche qui politico. Noi non ci sentiamo solo un posto di lavoro che si perde. Ci sentiamo depositarie di competenze educative precise che intendiamo mettere a disposizione della comunità in cui viviamo. In questi 25 anni siamo entrate, con cura e delicatezza, nella vita di migliaia di famiglie, cercando di lavorare sulle risorse insite nei territori, cercando di fare emergere processi di empowerment indispensabili per maturare cambiamenti reali nei contesti di riferimento. Per questo noi non ci percepiamo come un semplice problema occupazionale. Ci sentiamo soggetti autorevoli per poter dare vita a percorsi virtuosi e non più procrastinabili di co-costruzione di politiche educative efficaci».
    Per lunedì mattina alle 10 è previsto un presidio di protesta ai piedi del municipio per ottenere le risposte non ancora arrivate. Sarà la volta buona?

  • Ecco chi non ha voluto Gratteri alla guida dell’Antimafia

    Ecco chi non ha voluto Gratteri alla guida dell’Antimafia

    Tutto come da pronostico. Sfuma la nomina del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, a procuratore nazionale antimafia. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha alla fine optato per quello che, fin dall’inizio, era apparso come il protagonista nella contesa: il procuratore di Napoli, Giovanni Melillo.

    melillo-nuovo-procuratore-antimafia-sconfitto-gratteri
    Giovanni Melillo, nuovo procuratore nazionale Antimafia

    Tutto da pronostico

    Giovanni Melillo ha 61 anni ed è originario di Foggia. Da anni era a capo della Procura di Napoli, dopo aver ricoperto il ruolo di capo di gabinetto di Andrea Orlando, quando questi era ministro della Giustizia. E’ quindi Melillo il successore di Federico Cafiero de Raho, andato in pensione da alcune settimane.

    Il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha quindi preferito Melillo a Gratteri. Da più parti si paventava un ballottaggio, ma già alcuni giorni fa, in un nostro articolo, avevamo indicato Melillo come il grande favorito. E, infatti, il ballottaggio non si è rivelato necessario.

    Dalla Commissione che si occupa degli incarichi, la corsa sembrava più serrata. Ma avevamo indicato chiaramente in Melillo il favorito. Soprattutto dopo la nomina di Marcello Viola a capo della Procura di Milano, che l’aveva fatto automaticamente uscire dalla contesa.

    La ripartizione dei voti

    Giovanni Melillo ha raggiunto dalla prima votazione 13 voti necessari. Sono 7 invece i voti andati al capo della procura di Catanzaro Nicola Gratteri e cinque quelli a favore di Giovanni Russo, aggiunto e sino ad oggi reggente della procura nazionale antimafia.

    Maggioranza larga, quindi, per Melillo che ha ottenuto i voti anche dei vertici della Cassazione: il primo presidente Pietro Curzio e il Pg Giovanni Salvi, hanno infatti sostenuto la sua nomina a procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Con Melillo si è schierata la parte progressista della magistratura, quella che fa capo ad Area, cinque consiglieri. Una corrente cui appartiene lo stesso procuratore di Napoli. Ma Melillo è riuscito a convincere anche i “moderati”, ossia i tre consiglieri di Unicost, la corrente centrista e maggioritaria in seno alla magistratura. Per lui, però, anche i voti dei laici Michele Carabona (Forza Italia) e Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati (M5s).

    melillo-nuovo-procuratore-antimafia-sconfitto-gratteri-i-calabresi
    Soltanto cinque voti per il magistrato Giovanni Russo

    Per Russo, invece, hanno votato invece l’intero gruppo di Magistratura Indipendente (la corrente di destra delle toghe) e il laico di Forza Italia Alessio Lanzi. A favore di Gratteri hanno votato i togati “indipendenti” Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo. Entrambi magistrati molto noti. Il primo ha svolto importanti inchieste sulla borghesia mafiosa di Catania. Mentre Di Matteo è il pm del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia.

    A favore di Gratteri, però, anche i voti dei componenti di Autonomia e Indipendenza, i laici Stefano Cavanna e Emanuele Basile (Lega) e Fulvio Gigliotti (M5s), relatore della proposta a favore del capo della procura di Catanzaro.

    Le reazioni

    Accolgono quindi con favore l’elezione di Melillo le forze politiche di centrosinistra.  Anna Rossomando, senatrice e Responsabile Giustizia della segreteria Pd: «Un alto profilo e una grande competenza al servizio della lotta a tutte le mafie e al terrorismo».

    Ma anche il senatore Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo Pd: «Conosciamo il suo lavoro e le sue competenze e siamo certi che garantirà alla DNA una guida efficace che saprà proseguire il grande lavoro di Cafiero De Raho contrastando le cosche e l’aggressione all’economia legale».

    «Esclusione Gratteri segnale devastante»

    Molto dure, invece, le affermazioni del magistrato Ardita, uno dei principali sostenitori della candidatura di Gratteri a rilasciare una dichiarazione molto dura: «È come se la storia non ci avesse insegnato nulla. La tradizione del Csm è di essere un organo abituato a deludere le aspirazioni professionali dei magistrati particolarmente esposti nel contrasto alla criminalità organizzata, finendo per contribuire indirettamente al loro isolamento».

    Ardita, da sempre, assai critico sul sistema di potere del Csm, è stato uno dei più duri commentatori delle vicende emerse con il “caso Palamara”. E nel corso del dibattito in plenum, spiegando il suo voto favorevole alla nomina di Nicola Gratteri aveva vaticinato: «L’esclusione di Gratteri sarebbe non solo la bocciatura del suo impegno antimafia, ma un segnale devastante a tutto l’apparato istituzionale e al movimento culturale antimafia».

    Così è stato. E ora bisognerà capire quale sarà il destino professionale di Nicola Gratteri, che ormai si avvia al termine massimo di permanenza alla carica di procuratore di Catanzaro.

  • Unical: sedici prof tra i migliori scienziati del mondo

    Unical: sedici prof tra i migliori scienziati del mondo

    Sono sedici i docenti dell’Università della Calabria inseriti tra i Top scientist da Research.com, una piattaforma accademica che cura ranking dedicati alla ricerca accademica nelle varie discipline, avvalendosi di un ampio database che contiene i profili di 27mila scienziati, i dati di oltre 1.200 conferenze e più di 950 riviste scientifiche.

    Il ranking (cioè il giudizio) è elaborato sulla base dell’h-index, o indice di Hirsch, un indicatore che misura l’impatto scientifico di un autore sulla base del numero di pubblicazioni scientifiche e di citazioni ricevute. Research.com prende in considerazione solo ricercatori con un h-index molto elevato (da 30 a 40, in base all’area disciplinare) e ricava i dati da Microsoft Academics, il più grande database bibliometrico aperto.

    Di seguito, i docenti presenti nel ranking.

    Biologia e Biochimica. Tra i top scientist sono presenti i docenti Monica Rosa Loizzo e Cesare Indiveri. Le università censite in tutto il mondo sono mille.

    Chimica.  In quest’area si registra l’ingresso, tra i top scientist, del professor Bartolo Gabriele. Anche qui le università presenti nel ranking sono mille.

    Elettronica e ingegneria elettrica. Tra i docenti con l’h-index più alto per l’area – che prende in considerazione 646 università in tutto il mondo – ci sono, per l’Unical, i docenti Giancarlo Fortino e Antonio Iera.

    Genetica e biologia molecolare. Nel ranking dei migliori scienziati per quest’area disciplinare è presente il professor Giuseppe Passarino. In totale gli atenei presenti in classifica, in tutto il mondo, sono 537.

    Informatica. Sono cinque i docenti Unical inseriti tra i top scientist. Nel ranking compaiono i professori Giancarlo Fortino, Nicola Leone, Alfredo Cuzzocrea, Domenico Talia e Antonio Iera. Sono 940 le università prese in considerazione.

    Ingegneria e tecnologiaQui tra i top scientist Unical compaiono i docenti Efrem Curcio, Felice Crupi e Francesca Guerriero. Gli atenei presenti nel ranking per questa categoria sono mille.

    Ingegneria meccanica e aerospaziale. Tra i top scientist Unical sono nel ranking – in cui rientrano 431 atenei di tutto il mondo – i professori Giuseppe Carbone e Domenico Umbrello.

    Matematica. In quest’area l’Unical è presente con il professor Yaroslav Sergeyev. Le università nel ranking sono 616.

    Scienze della Terra. L’Unical è nel ranking con il professor Salvatore Critelli. Le università presenti, in totale, sono 625.

  • Onda su onda: cacciatori di energia in riva allo Stretto

    Onda su onda: cacciatori di energia in riva allo Stretto

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Gli spagnoli partirono da Bilbao in minibus, erano in zona rossa ma non volevano rinunciare alla ricerca. Fu un viaggio mediterraneo pieno di soste nell’Italia deserta, con destinazione Reggio Calabria. Erano i giorni in cui i delfini riprendevano possesso dello Stretto, mai così vicini alla costa, con tanta voglia di giocare. Due giovani studiose arrivarono da Lisbona (una era polacca) e fecero l’abbonamento al bus. Ricercatori indiani rimasero in città per più di un anno. Furono coinvolti in lunghi pranzi con professori e dottorandi, si parlava di onde e venti, in quello straordinario laboratorio naturale che è il mare fra Reggio e Messina.

    reggio-energia-pulita-vento-stretto-i-calabresi
    Il campionato vele d’altura sullo Stretto (foto Maria Pia Tucci)

    Questa storia mi è tornata in mente leggendo la notizia del campionato vele d’altura tornato dopo tanti anni sullo Stretto “in un teatro unico al mondo”. La scienza, lo sport ci dicono quello che non sappiamo, che abbiamo rimosso: sulle coste calabresi anche il vento è un valore, crea buona economia e indotto, come dimostra il celebrato modello del Club Velico di Crotone, le realtà di valore mondiale di Gizzeria e Punta Pellaro per il kitesurfing.

    L’eccellenza internazionale del Noel e l’indifferenza delle istituzioni

    A Reggio poi il vento si studia, da anni, grazie al laboratorio NOEL dell’Università Mediterranea, che ha stretto accordi di collaborazione con l’irraggiungibile Imperial College di Londra, con ricercatori della Columbia University. Viene in mente quello studio Svimez, che sottolinea il valore degli atenei calabresi, soprattutto in rapporto con la povertà del territorio, con la carenza dei collegamenti e dei trasporti. Ecco un settore dove la regione ultima fa bella figura, almeno nei casi in cui l’università dialoga con il territorio.

    reggio-energia-pulita-vento-stretto-i-calabresi

    Quei ricercatori australiani, indiani, americani, norvegesi, danesi, inglesi, francesi, spagnoli, polacchi, portoghesi stimolarono la curiosità dei cittadini, meno delle istituzioni. E cos’era quella strana piattaforma a 60 metri da riva, dalle parti delle Terme romane in via Marina? Nessun consigliere comunale ci salì, al contrario lo fecero studiosi di tutto il mondo.

    Le tempeste oceaniche in senso Stretto

    Ora che stanno per smantellarla, forse è il caso di raccontare a cosa è servita, insieme al professor Felice Arena, direttore scientifico del laboratorio NOEL (Natural Ocean Engineering Laboratory). Con una premessa: l’eccezione meteo-climatica di quest’area sta su tutte le carte nautiche, ed è legata alla conformazione dello Stretto.

    Il vento di canale soffia perpendicolarmente da Messina a Reggio per dieci chilometri, duecento giorni l’anno. Produce modelli in scala delle tempeste oceaniche, le correnti marine arrivano a due metri al secondo e possono generare energia, oltre che quei vortici che furono il terrore dei navigatori più verso Villa, nel mare aperto dove si incontrano Jonio e Tirreno e approdano i minuscoli pesci abissali (se volete divertirvi, per le correnti dello Stretto c’è anche un’app).

    reggio-energia-pulita-vento-stretto-i-calabresi
    Il professor Arena impegnato in un seminario alla Columbia University

    La città potrebbe avere energia per un anno

    Il professore Arena dice: «Abbiamo studiato a Reggio quello che è stato costruito altrove». Decine le ricerche, che danno luogo a progetti internazionali, seminari, convegni. I sistemi studiati a Reggio sono riprodotti a Civitavecchia (Porto di Roma) e Salerno. Dove stanno per essere installate le turbine per produrre energia elettrica dalle onde marine.

    Si è creata a Reggio una piccola scuola. Arena è stato un allievo del professor Paolo Boccotti, un genovese che, a differenza di molti altri docenti che sono passati per l’Università reggina, ha scelto di fare tutta la carriera a Reggio alla Mediterranea. Evidentemente Boccotti ha colto le potenzialità del “teatro unico al mondo”, una galleria del vento naturale, più grande di qualunque laboratorio. Secondo una ricerca Enea, lo Stretto potrebbe arrivare a produrre 125 gigawatt/ora l’anno, il fabbisogno di una città come Reggio o Messina.

    Reggio può diventare luogo di scienza e ricerca

    Ecco quindi la piattaforma, o meglio la diga. Realizzata in cemento armato, con la parte attiva in acciaio. Uno dei progetti, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, prevede la conversione dell’energia delle onde in elettrica. Un altro, The Blue Growth Farm, studia la costruzione di una piattaforma multifunzionale in mare aperto, con vasche per l’itticoltura, con gestione automatizzata.

    Dove viene prodotta anche energia dal vento, con una turbina eolica da 10 MW (nata al Politecnico di Milano), e dalle onde, attraverso sistemi a colonna d’acqua oscillante con risonanza interna. «La scommessa vinta – sostiene Felice Arena, che ha esposto le sue ricerche negli Stati Uniti, in Cina, in India e in giro per l’Europa – è stata quella di portare ricercatori a Reggio e di internazionalizzare il NOEL. Inutile dire quanto sia importante per noi ascoltare prospettive diverse, farne esercizio linguistico. La città può diventare un luogo di scienza e di ricerca». Un bellissimo lavoro di squadra, passate parola.

    reggio-energia-pulita-vento-stretto-i-calabresi
    A caccia di vento nel mare di Ulisse

    Ps: per chi avesse pronta l’obiezione “non hai parlato dell’inchiesta sull’Università Mediterranea”, la mia risposta è semplice: ICalabresi ne ha già scritto, e l’effetto non secondario di questi scandali è quello di oscurare le belle storie e le belle ricerche come questa, il buon piazzamento della Mediterranea nel recente report dell’Agenzia Nazionale di valutazione.

  • Medico, Oss e infermiere aggrediti in ospedale

    Medico, Oss e infermiere aggrediti in ospedale

    Sanitari presi a schiaffi dai parenti di una paziente all’ospedale Giannettasio di Corigliano-Rossano. È successo la notte scorsa. Un medico, un infermiere ed un operatore socio sanitario, in servizio nel nosocomio della città ionica del cosentino, sono stati aggrediti da una coppia, marito e moglie, che lamentava la mancanza di attenzione e assistenza nei confronti della madre dell’uomo in attesa di essere visitata nel pronto soccorso.

    La donna anziana, che pare non fosse in condizioni particolarmente gravi, era giunta nell’ospedale di Corigliano-Rossano da un comune della zona e attendeva di eseguire degli accertamenti per un possibile ricovero. I sanitari, che sono stati refertati dai loro colleghi, hanno anticipato che lunedì presenteranno una denuncia di aggressione alle forze dell’ordine mentre la coppia, secondo quanto è stato riferito, esasperata dalla presunta mancata attenzione nei confronti della congiunta, si è rivolta ai carabinieri.

  • Il limbo dei treni: il turismo lento salverà la Calabro-Lucana?

    Il limbo dei treni: il turismo lento salverà la Calabro-Lucana?

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Fermi da più di dieci anni, i treni della vecchia Calabro-Lucana nella Piana di Gioia Tauro, sono rimasti a consumarsi in un angolo dismesso della linea a scartamento ridotto nella città del porto. Per quasi un secolo hanno garantito la mobilità tra il mare e l’entroterra. Sono stati a lungo unico, o quasi, mezzo di trasporto della zona. Ora stanno lì, vicino al terminal bus, abbandonati dal 2011 quando, con un fonogramma di dieci righe, la linea venne sospesa a tempo indeterminato. Vandalizzate dai soliti tag dozzinali e depredate di tutto, le carcasse rosse dall’inconfondibile stile retrò dei trenini che per decenni hanno portato su e giù per le campagne del reggino migliaia di cittadini, sono solo uno dei segni del declino senza ritorno del trasporto interno su rotaia.

    ferrovie-tursimo-lento-salvera-calabro-lucana-i-calabresi
    Il rosso della ruggine ricopre treni e rilevato ferroviario nella vecchia Ferrovia Calabro-Lucana

    Il tracciato dimenticato delle ferrovie

    Due linee distinte, due tracciati diversi ma uniti nello stesso finale amaro. Una, la linea più antica, collegava la costa Viola con il versante tirrenico d’Aspromonte arrampicandosi sulla montagna fino al capolinea di Sinopoli. L’altra, la più importante, garantiva i collegamenti tra la città del porto e il ricco entroterra della Piana, fino a San Giorgio Morgeto e a Cinquefrondi: entrambe le linee, anche se chiuse in anni diversi, sono ormai solo un ricordo; con il materiale ferroviario – almeno quello che non è stato portato via dai tecnici di “Ferrovie della Calabria” – lasciato al suo destino in attesa di una riapertura che, visti i costi, non avverrà mai o di una riconversione del tracciato che per ora resta solo nelle idee innovative di qualche tesi d’architettura.

    ferrovie-tursimo-lento-salvera-calabro-lucana-i-calabresi
    Vecchio casello ferroviario a Cinquefrondi

    Un patrimonio storico del trasporto pubblico

    Trentadue chilometri di tracciato, 13 fermate, una manciata di automotrici e un patrimonio di storia del trasporto pubblico che ha attraversato (quasi) tutto il secolo breve prima di naufragare sotto i colpi di una gestione diventata sempre meno redditizia. È entrata in funzione nel 1924 nel tratto tra Gioia e Cittanova, l’hanno ampliata fino a Cinquefrondi tre anni più tardi. La linea avrebbe dovuto originariamente “scavalcare” il passo della Limina e ricongiungersi a Mammola con il tratto di rotaie che arrivava fino allo Jonio. Ma il progetto presentava costi troppo elevati. Così fu accantonato definitivamente.

    Interi paesi uscirono dall’isolamento

    Nella Calabria del primo XX secolo però, quella trentina di chilometri di binari a scartamento ridotto, rappresentano un salto in avanti importante. Un intero territorio fatto di paesi densamente popolati, veniva finalmente interconnesso in maniera stabile, economica e comoda, con le stazioni a due passi dalle piazze principali dei centri. Un servizio ininterrotto (curato dalla società Calabro Lucane fino ai primi anni ’90 e poi da Ferrovie della Calabria) andato avanti fino al 2011. Poi è stato sospeso, dopo anni di agonia, con la giustificazione dei problemi di sicurezza. I limitati interventi di manutenzione sul tracciato e l’avanzata età del materiale rotabile, infatti, avevano costretto la linea a viaggiare a velocità estremamente ridotta. Elementi che hanno reso poco pratico il trenino, che ormai utilizzavano praticamente solo gli studenti.

    ferrovie-tursimo-lento-salvera-calabro-lucana-i-calabresi
    Gli immancabili murales sulle pareti esterne dei caselli abbandonati

    Da quel giorno di 11 anni fa, poco o niente e cambiato. Nessuno, in Regione, si è mai preso la responsabilità di dismettere definitivamente la linea. Uno status di “sospensione” che, di fatto, ne impedisce ogni altro utilizzo. Ai limiti dettati dalle normative di sicurezza sui percorsi ferrati poi, dal 2019, si è aggiunto anche il vincolo della soprintendenza di Reggio che ha emesso un decreto di interesse culturale sulle linee Taurensi, in quanto memoria storica.

    Anche se di memoria, ormai, rischia di rimanerne poca. Smontato lo smontabile – le aste dei passaggi a livelli, i semafori – il resto del tracciato è rimasto abbandonato. I tecnici delle ferrovie si limitano a tagliare l’erba lungo i binari e nelle stazioni prima della stagione estiva. Nessuna manutenzione sui binari, sugli scambi o sui numerosi viadotti presenti sul tracciato. Nessun intervento nelle stazioni che cadono a pezzi (fatto salvo un piccolo recupero della piattaforma che “girava” i treni, nel capolinea di Cinquefrondi). Nessuna idea di riconversione all’orizzonte. E con il rischio sempre più concreto che episodi come quello di Sinopoli – quando gli Alvaro fecero costruire un edificio in muratura sui binari ancora caldi dal passaggio dell’ultima littorina – possano moltiplicarsi.

    Quattro ragazzini e un pallone lungo il vecchio tracciato delle Ferrovie calabro-lucane

    Il turismo green corre sui binari

    Per l’ex assessore regionale Catafalmo, storia di un anno fa, «la rimessa in esercizio della Gioia-Cinquefrondi non risulta sostenibile da un punto di vista economico e finanziario». A tenere “vivo” il vecchio tracciato ci pensano le associazioni di appassionati e escursionisti. Organizzano giornate di trekking lungo i binari, attraverso un percorso prezioso sotto gli ulivi giganteschi di questo pezzo di sud. E poi ci sono le idee e i progetti di tanti laureandi. Su quel tesoro fatto di stazioni e binari d’acciaio, hanno immaginato il futuro del territorio.

    Un futuro fatto di piste ciclabili e servizi integrati con i vecchi tracciati delle ferrovie dismesse in grado di catalizzare l’interesse di un turismo lento, che cerca attrazioni lontane dalle mete più frequentate. Le vecchie stazioni che diventano sale espositive e vetrine per i prodotti del territorio, le traversine in rovere che trovano nuova vita come pavimento esterno, persino le rotaie, smontate e riadattate per scale e recinzioni: le idee ci sono, il rischio è che restino chiuse nel cassetto.