Categoria: Fatti

  • Giocano ad Osso e Mastrosso, ma per i giudici non è ‘ndrangheta

    Giocano ad Osso e Mastrosso, ma per i giudici non è ‘ndrangheta

    Può capitare che una quindicina di uomini seduti attorno a un tavolo si salutino augurandosi «buon vespro, società» e sincerandosi che tutti siano «conformi». Che qualcuno di loro evochi i mitologici «cavalieri di Spagna Osso, Mastrosso e Carcagnosso», oppure delle «prescrizioni» risalenti «al 1830» e le «regole sociali» che vengono «dal Crimine». Che quello che sembra il più esperto di certe cose dica di essere – beninteso, «senza offesa» – se non tra i primi dieci, sicuramente «tra i primi quindici della Calabria».

    ndrangheta-stessi-rituali-anche-in-svizzera-ma-per-i-giudici-non-è-mafia-icalabresi
    Il modo in cui si salutavano i partecipanti alle riunioni nella bocciofila svizzera

    Onore, estorsioni ed eroina. Ma non è mafia

    Può capitare che si parli di una «società» che esiste dal 1970 e che «è onore, saggezza, rispetto». Che i convitati vengano rassicurati sul fatto che «c’è lavoro su tutto: estorsioni, coca, eroina; 10 chili, 20 chili al giorno, ve li porto io personalmente e poi non voglio sapere più niente…». E che tutto questo sia nient’altro che una spacconata, folclore, parole. Soprattutto, che non sia mafia.

    ndrangheta-stessi-rituali-anche-in-svizzera-ma-per-i-giudici-non-è-mafia-icalabresi
    Un altro frame del video captato dagli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta “Helvetia”

    Dalle Serre a Frauenfeld

    Le riunioni sono state immortalate da una telecamera (qui il video diffuso da Rsi News) che i carabinieri di Reggio Calabria avevano piazzato, ormai un decennio fa, nel ristorante di una bocciofila nei pressi di Frauenfeld (Canton Turgovia). Ne è venuta fuori un’inchiesta che ha fatto epoca, “Helvetia”, sulla riproduzione delle dinamiche della ‘ndrangheta che da Fabrizia, paese sulle montagne delle Serre al confine tra Vibonese e Reggino, erano state trapiantate in Svizzera. Scattata nel 2014, l’indagine si era poi divisa in due tronconi e in primo grado il Tribunale di Locri aveva emesso una serie di condanne per associazione mafiosa.

    La cittadina svizzera di Frauenfeld

    Sentenze ribaltate: dal carcere duro alla libertà

    La tesi della cellula svizzera della ‘ndrangheta di Fabrizia – non mancano certo altre prove delle ramificazioni internazionali della mafia calabrese – è stata però in parte smontata già nel 2019 dalla Cassazione che, dopo qualche anno di 41 bis e una condanna a 14 anni nel primo troncone, ha scagionato definitivamente quelli che gli inquirenti avevano invece ritenuto il «capo società» e il «mastro disponente». Altrettanto storica è stata la sentenza con cui la Corte d’Appello di Reggio nel novembre scorso, dopo le prime 3 assoluzioni sentenziate già nel maggio del 2020, ha ribaltato il primo grado dell’altro troncone assolvendo anche gli altri 9 imputati «perché il fatto non sussiste».

    La sede della Corte d’appello di Reggio Calabria

    Affiliati ma innocui

    Di recente sono state depositate le motivazioni delle sentenza che, ancorché appellabili, cristallizzano un punto destinato a rimanere uno spartiacque della giurisprudenza sulla materia. Nel caso di specie i giudici non hanno ravvisato gli elementi previsti dall’art. 416 bis (associazione mafiosa) «non essendo emersa una qualsiasi forma di manifestazione esterna degli elementi essenziali della fattispecie legale tipica e, dunque, venendo a mancare, in definitiva, lo stesso fatto tipico enunciato dalla disposizione incriminatrice, attesa l’assenza di condotte esteriori, sul territorio estero in questione, e concretamente offensive ricollegabili al paradigma normativo del delitto associativo oggetto di contestazione».

    Non bastano le intercettazioni

    Fuori dal gergo giudiziario, è chiaro che i giudici reggini intendono mettere nero su bianco come per configurare il reato di mafia non basti assumere pose da malandrini, in un contesto ristretto come un tavolo di una bocciofila, e manifestare intenti criminali, senza che all’esterno di quel circolo ci sia prova di comportamenti realmente conseguenti. Tanto più che «la piattaforma probatoria dell’intero procedimento è costituita in massima parte, se non esclusivamente, da intercettazioni».

    «Impossibile dire che esiste quella ‘ndrina»

    Perché sia mafia, insomma, ci si deve avvalere concretamente del metodo mafioso e non solo enunciarlo. E di ciò occorre un riscontro nell’azione della cosca, la cui forza di intimidazione deve essere percepita come tale all’esterno. Altrimenti i giudici, almeno quelli che si sono occupati di questo caso, prendono atto «dell’impossibilità», sulla base di tutto quello che è confluito nell’indagine, di «affermare l’esistenza, nella cittadina svizzera di Frauenfeld, di un’articolazione di ‘ndrangheta».

    La sede della Corte di Cassazione a Roma

    Nessuna pena per le intenzioni

    Non basta nemmeno che vengano focalizzate delle gerarchie determinate con il conferimento di cariche e doti. Richiamando il contenuto di un altro recente pronunciamento della Cassazione (27 maggio 2021), i giudici della Corte d’appello di Reggio concludono infatti che «persino l’accertato possesso di una dote di ‘ndrangheta, come nel caso in esame, esige che il vincolo criminoso si sia esteriorizzato e l’ulteriore coevo accertamento – in capo all’agente – di una condotta materiale nell’alveo del consorzio illecito per poter così ritenere integrata una sua condotta penalmente rilevante (un fatto dunque) ex art. 416 c.p., piuttosto che un qualcosa di confinato nel perimetro delle intenzioni, come tali irrilevanti per il noto principio per cui cogitationis poenam nemo patitur». Tradotto: per quanto si atteggi a guappo, nessuno può essere punito per i propri – certamente esecrabili – propositi se alle parole non seguono i fatti.

  • Terremoto a Reggio Calabria: il Consiglio di Stato annulla la nomina di Bombardieri a capo della Procura

    Terremoto a Reggio Calabria: il Consiglio di Stato annulla la nomina di Bombardieri a capo della Procura

    Una decisione che sarebbe stata inficiata «dalla sottovalutazione delle proprie esperienze di funzioni direttive inquirenti e i relativi risultati nella repressione del fenomeno di criminalità organizzata, in particolare la cosiddetta mafia garganica».
    È solo uno stralcio delle motivazioni con cui il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del magistrato Domenico Angelo Raffaele Seccia e annullato la nomina di Giovanni Bombardieri a capo della Procura di Reggio Calabria.

    Il ricorso di Seccia

    Ex procuratore capo di Lucera e oggi procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Seccia era uno dei magistrati che, ormai oltre quattro anni fa, concorrevano per il posto lasciato vacante da Federico Cafiero de Raho, nel frattempo diventato Procuratore nazionale antimafia. In quell’occasione, siamo all’11 aprile 2018, a spuntarla fu proprio Bombardieri, che in quel periodo era procuratore aggiunto di Catanzaro.

    Domenico-Seccia-bombardieri-palamara
    Domenico Seccia

    Ma Seccia ha imbastito una lunga battaglia davanti alla giustizia amministrativa che, oggi, ha avuto l’esito finale.
    La decisione dei giudici ha ribaltato quanto deciso, in prima istanza, dal Tar del Lazio, che aveva respinto il ricorso di Seccia, che non si è arreso e ha avuto ragione davanti al Consiglio di Stato.

    La mafia garganica sottovalutata

    Secondo Seccia, il Consiglio Superiore della Magistratura non avrebbe valutato correttamente il suo apporto alle inchieste sulla mafia garganica, prediligendo l’esperienza del calabrese Bombardieri nel contrasto alla ‘ndrangheta, presente nel territorio di competenza dell’ufficio di Procura oggetto dell’incarico.

    Nel proprio ricorso, infatti, Seccia sottolineava che «ulteriori censure hanno riguardato il giudizio di prevalenza espresso nei confronti del dottor Bombardieri per i profili delle capacità organizzativa, capacità relazionale ed informatica, oltre che la carenza di istruttoria con riguardo all’acquisizione del parere attitudinale e alla valutazione del progetto organizzativo per l’ufficio da conferire formulato da Seccia».

    Le motivazioni della sentenza

    Alla fine, quindi, viene premiata la pervicacia di Seccia. Il Consiglio di Stato, infatti, ha indicato la delibera del Csm come «carente per non aver minimamente considerato l’esperienza del dottor Seccia nella trattazione dei procedimenti sui reati associativi, in cui il ricorrente ha svolto funzioni di coordinamento investigativo, in virtù dell’incarico di coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Bari».

    Inoltre, stando alla sentenza del Consiglio di Stato, la delibera del Csm «trascura le esperienze direttive di Seccia, di cui Bombardieri è privo, per avere svolto solo funzioni semidirettive, e conseguentemente i risultati ottenuti dal primo, benché questi emergano dal suo fascicolo personale agli atti della procedura concorsuale in contestazione».

    “Illogica prevalenza attribuita a Bombardieri”

    Adesso, quindi, si rimette tutto in discussione. La nomina di Bombardieri è nulla e «il Consiglio superiore della magistratura dovrà pertanto riformulare il giudizio comparativo in conformità a quanto accertato nel giudizio».

    Questo perché, come emerge sempre dalla sentenza, ci sarebbe stata una «ingiustificata ed illogica prevalenza attribuita al dottor Bombardieri per la maggiore conoscenza del fenomeno criminale ‘ndranghetista. La sua collocazione geografica nel distretto di Reggio Calabria non vale infatti a giustificare sul piano normativo e del testo unico sulla dirigenza giudiziaria una preferenza sul piano attitudinale di un aspirante magistrato rispetto agli altri».

    Giovanni Bombardieri e il rapporto con Luca Palamara

    Un nuovo capitolo, dunque, nella nomina per il capo della Procura di Reggio Calabria. Di tale incarico, infatti, si parlava già nelle chat di Luca Palamara, agli atti del processo che lo vede imputato e corpus del suo fascicolo che ha provocato la radiazione dalla magistratura, dopo lo scandalo delle nomine nel Consiglio Superiore della Magistratura.

    Luca Palamara, originario di Santa Cristina d’Aspromonte, ma ben presto volato a Roma per fare carriera anche in seno al Consiglio Superiore della Magistratura. Per anni, a Palazzo dei Marescialli, Palamara sarebbe stato potentissimo.

    palamara
    L’ex magistrato Luca Palamara

    Ed è notorio il legame tra Bombardieri e Palamara. Entrambi membri di Unicost, la corrente maggioritaria della magistratura. Palamara sarà anche presente all’insediamento dell’amico Bombardieri al sesto piano del Cedir di Reggio Calabria.

    La nomina di Bombardieri nelle chat di Luca Palamara

    Sono molto lunghe le conversazioni via chat tra Bombardieri e Palamara: temi personali e scherzosi, come avviene tra due amici. Ma non solo. Nelle settimane antecedenti alla nomina a procuratore di Reggio Calabria, Bombardieri chiede «novità?» all’amico Palamara. «Tutto procede bene», è una delle risposte. E, all’uscita dal voto in Commissione, la Quinta, quella che decide sugli incarichi e che in quel periodo è presieduta proprio da Palamara, il primo a saperlo, via chat, è proprio l’interessato. Che ringrazia: «Grande Presidente!», scrive su Whatsapp l’attuale procuratore di Reggio Calabria. «Se riesco ti porto al Plenum l’11 aprile», dice Palamara. Il Plenum, infatti, è l’organo del Csm che ratifica le nomine, talvolta solo una formalità quando il voto fuoriuscito dalla Commissione è solido.

    procura-reggio
    La sede della Procura di Reggio Calabria

    Palamara tiene molto alla nomina di Bombardieri a Reggio Calabria. In una chat con terze persone scrive così: «Per me Giovanni Bombardieri è come se fossi io, ti prego di non dimenticarlo». In un gruppo Whatsapp di magistrati l’ex membro del Csm comunica in anticipo l’avanzamento di Bombardieri verso la Procura di Reggio Calabria: «Saluti da Bombardieri» dice in una chat. La risposta di uno dei partecipanti: «Ci stai facendo capire tra le righe che Bombardieri è stato mandato dalla commissione a fare il procuratore di Reggio Calabria all’unanimità? Cazzo». E Palamara replica: «Ora penso di poter chiudere la mia esperienza qui».
    Resta da capire se, con la sentenza del Consiglio di Stato, terminerà anche l’esperienza di Bombardieri a capo della Procura reggina.

  • In Calabria 17 Bandiere Blu nel 2022: Tropea e le new entry

    In Calabria 17 Bandiere Blu nel 2022: Tropea e le new entry

    Sono 17 le Bandiere Blu in Calabria. Due nuovi ingressi nel 2022: si tratta di Caulonia e Isola Capo Rizzuto. Le altre 15 sono: Tortora; Praia a Mare; San Nicola Arcella; Santa Maria del Cedro; Diamante; Roseto Capo Spulico; Trebisacce; Villapiana; Cirò Marina; Melissa; Isola di Capo Rizzuto. In provincia di Catanzaro: Sellia Marina; Soverato; Tropea; Roccella Jonica; Siderno.

    Sono 210 i Comuni italiani che quest’anno hanno ottenuto la Bandiera Blu, il riconoscimento alle località rivierasche e ai porti turistici più incontaminati e sostenibili, assegnato dalla Fondazione per l’educazione ambientale (Fee), ong internazionale con sede in Danimarca. I criteri per l’assegnazione della Bandiera Blu sono assoluta validità delle acque di balneazione, efficienza della depurazione e della gestione dei rifiuti, aree pedonali, piste ciclabili, arredo urbano, aree verdi, servizi in spiaggia, abbattimento delle barriere architettoniche, corsi d’educazione ambientale, strutture alberghiere, servizi d’utilità pubblica sanitaria, informazioni turistiche certificazione ambientale delle attività istituzionali e delle strutture turistiche, pesca sostenibile.

     

  • Da “Bin Laden” al bancario, le mani delle ‘ndrine su Roma

    Da “Bin Laden” al bancario, le mani delle ‘ndrine su Roma

    Ci sarebbe stata una «nave» chiamata ‘ndrangheta dietro capi e gregari della “locale” colpita dall’operazione Propaggine, condotta oggi dalla Dia tra il Lazio e la Calabria. Il gip di Roma, Gaspare Sturzo, lo annota nell’ordinanza con cui ha disposto 43 misure cautelari nell’ambito dell’indagine antimafia sulla cosca che avrebbe messo radici nella capitale per allungare le mani su svariate attività economiche (ristoranti, bar e pescherie nella zona nord di Roma e in particolare nel quartiere di Primavalle). Nel provvedimento si cristallizza la prova del «metodo mafioso» e «della paura di coloro che si sono trovati sulla strada» di quei presunti affiliati che ostentavano la loro «vicinanza alla ‘ndrangheta (“dietro di me c’è una nave“), impedendo alle vittime così di denunciare alle Forze dell’ordine avendo paura di ritorsioni».

    Soldi sporchi e omertà

    Per il giudice ci si trova «di fronte ad un complesso di vicende che a partire dal 2015/2016 si sono sviluppate, alcune ancora in corso sino al settembre 2020 e comunque con effetti di permanenza quanto a società ed aziende ad oggi gestite con capitali di illecita provenienza, o oggetto di riciclaggio, mostrando come gli indagati sono stati in grado di impedire – scrive il gip – ogni forma di collaborazione con le autorità giudiziarie, sia delle vittime, come di professionisti non collusi con costoro, nonché degli stessi dipendenti delle aziende e società».

    Da Bin Laden a “Scarpacotta”

    Il boss Vincenzo Alvaro, ritenuto dagli inquirenti uno dei due capi della ‘ndrina operante a Roma, in un’intercettazione agli atti dell’indagine diceva: «Siamo una carovana per fare la guerra». Tra gli arrestati del filone reggino dell’inchiesta ci sono tutti i presunti esponenti di vertice della cosca Alvaro di Sinopoli. In carcere sono finiti Carmelo Alvaro, detto “Bin Laden”, Carmine Alvaro, detto “u cuvertuni”, ritenuto il capo locale di Sinopoli, e i capi locale di Cosoleto Francesco Alvaro detto “ciccio testazza”, Antonio Alvaro detto “u massaru”, Nicola Alvaro detto “u beccausu” e Domenico Carzo detto “scarpacotta”.

    Nel 2015 il via libera ai due capi

    La “locale” romana, ottenuto il via libera dalla casa madre in Calabria, sarebbe stata guidata da una diarchia: ai vertici ci sarebbero stati Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Le risultanze investigative hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una “locale” nella Capitale, anche se sul territorio cittadino e in altre zone del Lazio come il litorale operavano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Nell’estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto, secondo quanto accertato dagli inquirenti, dall’organo collegiale posto al vertice dell’organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l’autorizzazione per costituire una struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di ‘ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d’origine.

    Il commercialista e il bancario

    Tra le persone raggiunte oggi da misura cautelare ci sono anche alcuni professionisti accusati di «avere messo a disposizione» della cosca il loro bagaglio di conoscenze. Si tratta di un commercialista, al quale il gip ha applicato la misura del carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, e un dipendente di una banca. Contestualmente le forze ordine (questure, i carabinieri e guardia di finanza di Roma e Reggio Calabria) hanno proceduto ad un sequestro preventivo nei confronti di una serie di società ed imprese individuali operanti a Roma e intestate a prestanome.

    Il filone reggino

    Dalle indagini condotte dalla Dda reggina è emerso che la cosca, oltre ad essere operativa nel territorio di Sinopoli, dominava anche il centro urbano di Cosoleto, paese aspromontano il cui sindaco, Antonino Gioffré, figura tra gli arrestati. Dalle indagini è emerso un forte interesse dei sodali per la competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018. In particolare Antonio Carzo, ritenuto capo del locale romano, è accusato con il sindaco Gioffré di scambio politico-elettorale. Oltre a questo reato, gli indagati rispondono a vario titolo di associazione mafiosa, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate.

    Da Roma a Sinopoli

    L’attività investigativa è stata avviata nel 2016 dal Centro operativo della Dia con il coordinamento della Procura di Roma. Successivamente, a seguito dell’emersione di numerosi e significativi punti di contatto con soggetti calabresi operanti a Sinopoli, Cosoleto e territori limitrofi, parte degli atti sono stati trasmessi per competenza e le indagini, per tale parte, sono proseguite con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria. Oltre a confermare l’esistenza del locale di ‘ndrangheta nel territorio di Sinopoli, dove è radicata la famiglia mafiosa degli Alvaro e a cui è legata la famiglia Penna, le indagini hanno consentito di appurare come la cosca abbia dato vita, nella capitale, ad un’articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un “distaccamento” autonomo, del sodalizio radicato in Calabria.

  • Trasporti green: la cura del ferro si fa coi treni ad idrogeno?

    Trasporti green: la cura del ferro si fa coi treni ad idrogeno?

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    Tra le tante voci del Pnrr dedicate ai trasporti, ci sono i treni ad idrogeno. Sei regioni italiane saranno le prime che nei prossimi anni sperimenteranno i treni che emettono acqua nel trasporto locale, sulle tratte non elettrificate. Lombardia, Puglia, Sicilia, Abruzzo, Umbria e Calabria potranno accedere ad un finanziamento di 300 milioni complessivi dedicato a questo esperimento.

    Queste regioni riceveranno le prime tranche nel 2023. Oltre all’acquisto dei treni, il piano è di installare 9 stazioni di rifornimento su 6 linee ferroviarie entro il 2026. Per la Calabria, il tratto interessato è Cosenza-Catanzaro.

    I finanziamenti europei saranno fondamentali per ammodernare il disastrato trasporto locale, che negli ultimi anni ha subito cali drastici nell’offerta e nel traffico ferroviari. Secondo il rapporto Pendolaria 2022 di Legambiente, in 10 anni l’offerta di treni si è ridotta di un quarto. Per non toccare il tema dell’alta velocità, dove regna la confusione.

    La Regione, inoltre, ha bisogno di liberarsi il prima possibile dei vecchi treni diesel. L’età media delle locomotive locali è di 21,3 anni. L’82,1% dei treni calabresi ha più di 15 anni.

    I treni a idrogeno sono una delle soluzioni messe in campo per gli anni a venire. In particolare, potrebbero essere una risposta per le tratte in cui è particolarmente complicato o costoso elettrificare le strutture esistenti. Ma ci sono molti fattori da considerare.

    50 sfumature di idrogeno

    Partiamo dalla base: l’idrogeno può essere usato come combustibile ecologico. Non emette anidride carbonica, ma vapore acqueo. Croce e delizia dell’idrogeno stanno nella sua produzione. L’elemento chimico più abbondante nell’universo, infatti, è poco presente in natura nella sua forma pura, la molecola H2. Di solito, lo si trova in forma combinata, cioè attaccato ad altri elementi, come nell’acqua.

    Per ottenerlo, bisogna separarlo dagli altri. Un processo che richiede molta energia. Ed è proprio qui che sta il problema. Ci sono molti modi per ottenere l’idrogeno, ma quello largamente più diffuso e conveniente è quello più inquinante. La maggior parte dell’idrogeno nel mondo viene ottenuto separandolo dal gas. L’idrogeno grigio, infatti, produce più gas serra delle combustioni del diesel.

    idrogeno-treni-pro-contro-nuova-tecnologia-greenOgni tanto, nei dibattiti politici si sente nominare l’idrogeno blu. È quello che viene prodotto da fonti fossili, ma per il quale la CO₂ viene catturata e stoccata.

    La versione più ecologica è l’idrogeno verde. Questo si genera tramite l’elettrolisi: in parole povere, si utilizza l’elettricità per separare l’idrogeno dall’acqua. Se questa elettricità viene prodotta da fonti rinnovabili, l’impatto sull’ecosistema diventa praticamente zero.
    L’idrogeno ha un altro grande vantaggio: può essere stoccato sottoterra quasi dappertutto.

    Il Coradia iLint

    Il primo treno ad idrogeno al mondo lo abbiamo visto sfrecciare già a partire dal 2018 tra le rotaie della bassa Sassonia, in Germania. Il mezzo, però, è stato creato da una società francese. Il Coradia iLint è stato progettato a partire dal 2014 dalla multinazionale francese Alstrom, una delle più grandi aziende produttrici di treni sul mercato europeo. La conosciamo bene anche in Italia: tra le tante cose, fornisce i treni elettrici POP, dedicati al trasporto regionale, e il Pendolino.

    Nell’iLint, i serbatoi di idrogeno sono posti sul tetto. Una cellula combustibile fa combinare l’idrogeno con l’ossigeno dell’aria, generando l’elettricità di cui si servirà il treno per muoversi. Una batteria in litio, invece, permette di conservare l’energia durante le frenate e di aumentare la potenza quando è necessario.

    idrogeno-treni-pro-contro-nuova-tecnologia-green
    Il Coradia iLint

    Secondo i produttori, il calo delle emissioni sarebbe significativo. Per ogni treno ad idrogeno, si risparmierebbero 700 tonnellate di CO₂ l’anno, l’equivalente di quanto emesso da 400 auto.

    Nel 2023 lo vedremo anche in Italia: 6 modelli di questo convoglio sono stati comprati per la tratta Brescia-Iseo-Edolo. Trenord e Fnm vogliono sostituire l’intera flotta di mezzi diesel entro il 2025.

    I problemi dell’idrogeno

    L’ostacolo più grosso, al momento, è quello più banale: il costo. L’idrogeno verde è ancora molto lontano dall’essere competitivo, non solo rispetto alle altre fonti rinnovabili, ma rispetto ai diversi tipi di idrogeno.
    Un chilo idrogeno verde costa tra i 4 e gli 8 dollari, ben più del doppio rispetto a quello grigio (1,5 dollari). Quello blu si attesta sui 3,5 dollari. L’UE, però, prevede che entro il 2030 il prezzo di quello verde scenda a livello molto più competitivi e scenda quasi agli 1,5 dollari del grigio.

    Serviranno grossi investimenti iniziali, prima di arrivare a questo obiettivo. Soprattutto perché costano molto anche gli elettrolizzatori, le macchine che permettono la scissione tra acqua e idrogeno. Per farlo, l’Unione sta investendo 470 miliardi di euro nelle installazioni in tutti i paesi membri.

    costi-idrogenoSul fronte italiano, bisognerà trovare un modo di favorire al massimo l’utilizzo dell’idrogeno verde, a discapito degli altri. Una garanzia che ancora non abbiamo, come sottolinea Pendolaria 2022: «Se ha senso sperimentare questa soluzione su alcune linee dove l’elettrificazione è costosa e complessa, sarebbe bene aspettare i risultati prima di scegliere di farla diventare un’alternativa all’elettrificazione per il potenziamento dei collegamenti sulle linee ancora sprovviste».

    Rischiamo di cadere nella Maladaptation, uno dei problemi della transizione ecologica messi in un luce dall’Ipcc in uno dei suoi ultimi rapporti. È il paradosso delle buone intenzioni. Implementare male una soluzione ambientale rischia di fare più danni del previsto. Come piantare gli alberi sbagliati nel posto sbagliato, ad esempio.
    L’idrogeno, se prodotto da fonti fossili, non può essere considerato una soluzione ambientale. E rischia di pestare i piedi all’elettrico.

    L’idrogeno a Gioia Tauro?

    In Italia, l’obiettivo dichiarato dalla Strategia Nazionale Idrogeno è far arrivare al 2% la penetrazione dell’H2 nella domanda energetica finale. Entro il 2050, questa percentuale deve arrivare al 20%. Per ottenere questo risultato, bisognerà spingere sulla creazione delle Hydrogen valley, cioè gli hub in cui si concentra sia la produzione sia il consumo dell’idrogeno in un certo territorio.

    Tornando ai trasporti in Calabria, anche Ferrovie della Calabria si è mossa verso la transizione all’idrogeno. A maggio 2021, ha stretto un accordo con il Dimeg, il Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Energetica e Gestionale dell’Unical per realizzare una centrale di produzione di idrogeno verde a Vaglio Lise, nei pressi della stazione di Cosenza.

    idrogeno-treni-pro-contro-nuova-tecnologia-green
    Il porto di Gioia Tauro

    La Alstom, inoltre, sta già lavorando con la Regione per il trasporto ferroviario locale. E, durante il Regional Day della Calabria all’Expo 2020 Dubai, ha manifestato il suo interesse nell’investire nel porto di Gioia Tauro.

    «Potremmo sviluppare un concetto sinergico con il porto di Gioia Tauro per quanto riguarda l’idrogeno. La produzione di idrogeno potrebbe essere un’idea molto interessante, a partire dall’eolico e dal solare» ha detto l’ad di Alstom Michele Viale, collegato al Regional Day della Calabria all’Expo 2020 Dubai.

  • Catanzaro, per FdI un ex di centrosinistra vale l’altro

    Catanzaro, per FdI un ex di centrosinistra vale l’altro

    Le elezioni comunali di Catanzaro del 2022 saranno ricordate come quelle della liquefazione del centrodestra. Ex alleati ora in guerra tra loro, simboli di partito messi nel cassetto, consiglieri regionali che se la danno a gambe. Sta succedendo di tutto e da più parti viene indicata una sola e unica colpevole dello sfacelo del rassemblement della destra del capoluogo: la deputata e commissaria regionale di Fratelli D’Italia, Wanda Ferro.

    Grande promotrice (più o meno occulta) della candidatura a sindaco dell’ex Pd, Valerio Donato, ha dovuto fare dietrofront dopo aver mandato avanti Lega e Forza Italia. Il motivo? Le continue rivendicazioni del candidato sindaco come «uomo di sinistra», oltre che le gaffe televisive e politiche.

    Ferro e il jolly Colace: Fdi e il sindaco di Catanzaro

    Da settimane l’establishment romano del partito, dal capogruppo alla Camera, Francesco Lollobrigida alla stessa leader Giorgia Meloni, pretendeva la discesa in campo della stessa Wanda Ferro. Lei, però, si è prima dileguata («Se mi candido Tallini mi impallina», andrebbe ripetendo a più riprese) e poi trincerata dietro l’assessore Filippo Pietropaolo, tornato a più miti consigli dopo l’altolà di Roberto Occhiuto sul ritiro delle deleghe assessorili in caso di candidatura.

    Risultato? Dopo qualche giorno di totonomi al ribasso, Wanda Ferro ha giocato il jolly: candida a sindaco il dirigente medico Rosario Colace. Eppure i maligni raccontano che quando Noi con l’Italia fece il nome di Colace al tavolo del centrodestra cittadino qualche mese fa la deputata Fdi scoppiò in una grassa risata. Ma si sa, in politica tutto è possibile.

    Meloni spernacchiata

    ciconte-sorace
    Ciconte e Colace a braccetto

    Dopo il niet della Meloni sul candidato ex Pd Donato, FdI ha ufficializzato la candidatura di Colace, con tanto di lancio di agenzia di stampa. Eppure quest’ultimo alle comunali del 2017 ha promosso la lista “Alleanza Civica” (unitamente a Franco Granato, ex assessore della Giunta comunale di centrosinistra di Rosario Olivo) schierandosi a sostegno della candidatura a sindaco dell’allora consigliere regionale del Partito Democratico, Enzo Ciconte.

    «Con l’amico Ciconte nel momento in cui abbiamo condiviso il programma per la città, un programma che può dare a Catanzaro quella visione di insieme che è mancata in questi anni. Siamo in campo con una lista formata da persone in gran parte esordienti della politica, provenienti da mondi diversi ma unite dall’obiettivo di dare un futuro diverso a Catanzaro» dichiarò Colace in una conferenza stampa insieme al candidato sindaco di centrosinistra e alla presenza dell’allora presidente della Provincia del Pd, Enzo Bruno.

    Colace al tavolo con Ciconte in occasione della sua candidatura

    Chi c’era se lo ricorda: alla presentazione della lista di Colace a sostegno di Ciconte era presente il figlio piccolo di un candidato con una maglia con su scritto “Vota il mio papà”. Il candidato era Giorgio Arcuri, anche lui fino a ieri dato tra i papabili candidati di Fratelli D’Italia e candidato alle ultime regionali con Forza Azzurri.
    Alle amministrative del 2017 Arcuri ottenne 459 preferenze, mentre l’intera lista di Colace a sostegno del centrosinistra 1513, pari al 2,92%. Non elesse alcun consigliere, ma Colace venne eletto altrove: all’Ordine dei Medici, presieduto proprio dall’amico Ciconte.

    Colace: un democristiano di… Ferro per Fdi a Catanzaro

    Nel 2008 Wanda divenne presidente della Provincia di Catanzaro in una coalizione trainata dal Pdl. A candidarsi contro di lei, sotto il simbolo dello Scudocrociato, vi era proprio Rino Colace, al seguito di Franco Talarico che ottenne 803 preferenze e l’11,3% in uno dei collegi di Catanzaro.
    Colace, difatti, dell’Udc è stato segretario cittadino, salvo poi nel 2011 candidarsi al Comune con la lista “Scopelliti Presidente”. Presidente del Consiglio comunale nel 2005, è stato poi nominato amministratore unico dell’Amc, l’azienda dei trasporti del capoluogo.

    Dopo l’idillio di centrosinistra, è arrivata anche la nomina, giusto tre mesi fa, come coordinatore per la città di Catanzaro di “Noi con l’Italia”. Colace, però ha abbandonato il movimento dell’ex ministro Maurizio Lupi nelle ultime ore, proprio a seguito della designazione come candidato sindaco di FdI.

    Lo sgambetto di Montuoro

    Continua a dire di essere di Marcellinara e non di Catanzaro, nonostante abbia preso più del doppio dei voti di Filippo Pietropaolo nel capoluogo alle ultime regionali. Il consigliere regionale di Fdi, Antonio Montuoro nei giorni scorsi ha dichiarato che la lista civica che fa riferimento a lui, Venti da sud, già rodata con successo alle elezioni provinciali, non parteciperà alle elezioni comunali.

    Antonio Montuoro insieme a Sergio Abramo

    «Nei giorni scorsi ho riunito tutti i componenti del gruppo di riferimento, dopo un’analisi approfondita sulla situazione politica attuale, la maggioranza dei presenti si è determinata scegliendo di mantenere la caratterizzazione civica del proprio impegno, valutando ciascuno in autonomia con quale schieramento partecipare alla competizione elettorale, per offrire alla città il proprio impegno e le proprie competenze» ha dichiarato Montuoro.

    Tana libera tutti per i consiglieri comunali uscenti che lo sostengono? Non proprio. In realtà la lista “Venti da sud” avrebbe solo cambiato nome in “Progetto Catanzaro”, a sostegno di Valerio Donato e non al seguito di Fratelli D’Italia, come dimostrano i santini circolanti del consigliere comunale “montuoriano” e signore delle preferenze, Luigi Levato.

    catanzaro-fdi-sceglie-sorace-ferro-sfida-meloni-e-rischia-il-flop
    Un santino di Luigi Levato

    A sgamare ulteriormente la cosa è stato l’esponente del Nuovo Cdu, Vito Bordino, che ha dichiarato pubblicamente: «I rappresentanti di “Progetto Catanzaro” sono in buona parte componenti di Venti da Sud, sigla utilizzata alle Provinciali dall’area Montuoro, che hanno deciso di sostenere Valerio Donato».

    Tallini e il capolavoro di Wanda Ferro

    Insomma, un chiaro sgambetto a Wanda Ferro da parte di Montuoro con l’intento di attribuirle nel post-voto tutte le responsabilità politiche del flop annunciato, minandone la leadership regionale in vista delle politiche, trovando sponda anche negli altri consiglieri regionali di Fdi.
    Nelle more, è intervenuta la stilettata dell’ex presidente del Consiglio regionale e fresco esponente di ‘Noi con l’Italia’, Mimmo Tallini: «Non posso non sottolineare l’ambiguità della posizione di una parte di Fratelli D’Italia che si è “sdoppiata”, restando nel suo partito evidentemente per ragioni di convenienza, ma mandando i suoi grandi elettori ad ingrossare le fila delle liste di Donato. Un capolavoro di ambiguità e trasformismo a cui nessuno era mai arrivato».

    comunali-catanzaro-fitta-rete-trasversale-valerio-donato-i-calabresi
    Mimmo Tallini, ex presidente del Consiglio regionale

    I probabili candidati

    Le candidature in Fratelli D’Italia (la lista ufficiale), a meno di una settimana dal deposito delle liste, sono ancora in alto mare. Il tempo stringe, in attesa di sapere se si formerà la “strana coppia” politica con Coraggio Italia di Sergio Abramo (che Wanda nel 2017 era assolutamente ostile nel voler ricandidare, tant’è che non presentò una lista a suo sostegno), tra i candidati è presente Stefano Mellea, ex responsabile per la provincia di Catanzaro di Casa Pound.

    catanzaro-fdi-sceglie-sorace-ferro-sfida-meloni-e-rischia-il-flop
    Il candidato “daspato” Stefano Mellea

    Destinatario di Daspo, nel 2019 predicava l’uscita dall’Ue e dall’Euro. «L’unica cosa che dobbiamo dire a Bruxelles è addio. Ridateci i nostri soldi, il nostro oro e tenetevi immigrati, direttive gender e austerità» dichiarava pubblicamente tre anni fa.

    Domani si parte…

    Oltre a lui, dovrebbe essere della partita il commercialista Francesco Saverio Nitti, il cui nome compare nelle carte della ‘vicenda Copanello’ in quanto intercettato in talune conversazioni con l’ex parlamentare di Fdi, Giancarlo Pittelli. Nitti è stato anche di recente immortalato a cena con Wanda Ferro ed il deputato Andrea Delmastro a fine marzo, quanto ancora la deputata catanzarese cercava di convincere i vertici del suo Partito della bontà della “operazione Donato”.

    Insomma, dal cul-de-sac in cui è finita Wanda Ferro è difficile uscirne, con molti, dentro e fuori il suo Partito, che attendono gli esiti in termini di percentuali di quello che tutti i sondaggi indicano come il primo partito italiano, nella città della commissaria regionale. E non saranno in pochi in Fdi, in caso di flop, come già si è detto, a chiedere le sue dimissioni.

  • Se non ti chiami Noto, Abramo o Speziali a Catanzaro non conti nulla

    Se non ti chiami Noto, Abramo o Speziali a Catanzaro non conti nulla

    [responsivevoice_button voice=”Italian Male” buttontext=”ASCOLTA L’ARTICOLO”]

    A Catanzaro se non ti chiami Noto, Abramo, Speziali, giusto per citare i big, ben difficilmente farai strada nei posti che contano. Il capoluogo è il regno di poche potentissime famiglie che fanno il bello e il cattivo tempo nella politica e nella pubblica amministrazione senza avere di fatto mai incontrato sulla loro strada una vera opposizione politica e sociale.

    Il ponte Morandi a Catanzaro

    Catanzaro: il capoluogo senza una stazione

    Il dibattito politico catanzarese è fatto di beghe interne, di trasversalismi che durano lo spazio di un mattino e che interessano solo i protagonisti. La borghesia cittadina ha legami storicamente molto forti con il potere e con gli inquilini che si sono succeduti a Palazzo de Nobili, tant’è che a nessuno di loro è mai stato chiesto conto del declino vissuto dal capoluogo di regione che, a poco più di un mese dalle elezioni comunali, non ha più una stazione ferroviaria o un’autostazione degna di questo nome e sono quasi quarant’anni che nel cuore pulsante della movida di Lido non si riesce a realizzare un vero porto turistico.

    catanzaro-tre-famiglie-comandano-capoluogo-i-calabresi
    Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro e presidente dell’omonima provincia

    Catanzaro aspetta le elezioni comunali del 12 giugno

    Catanzaro vive un declino che interessa tutti i comparti della vita cittadina; anche il glorioso passato calcistico delle Aquile è solo uno sbiadito ricordo.
    La destra catanzarese ha “campato politicamente per anni” con la realizzazione di un Parco pubblico che per quanto utile e ben fatto, non può far dimenticare le gravi mancanze in tema di politiche del lavoro, infrastrutture, viabilità, commercio e sicurezza.
    Ora partiti e movimenti più o meno civici stanno scaldando i motori in vista delle elezioni amministrative previste per il prossimo 12 giugno insieme ai cinque referendum sulla giustizia che hanno ottenuto il disco verde da parte della Corte costituzionale.

    Arrivato quasi al termine del suo quarto mandato, non sarà presente in questa tornata l’attuale sindaco Sergio Abramo. In attesa dei sondaggi ufficiali, il centrodestra dopo anni di dominio non sembrerebbe essere più certo della vittoria. Nonostante la discesa in campo dell’avvocato Antonello Talerico, Forza Italia e Lega sosterranno la corsa del docente universitario Valerio Donato, che ha già incassato il sostegno di Italia viva e Udc.

    rino-colace
    Rino Colace

    Niente accordo per i meloniani di FdI. Prima sembravano aver virato sull’assessore regionale alle Risorse umane, Filippo Pietropaolo. Poi c’è stata la carta Wanda Ferro sul tavolo, e pare che all’uscente Abramo l’idea non dispiacesse. Infine la scelta è caduta su Rino Colace: medico al Mater Domini, ex presidente del Consiglio comunale ed ex amministratore unico dell’Amc, la società di mobilità cittadina. Nella prima dichiarazione pubblica ha parlato subito di «rigenerazione della classe amministrativa cittadina».

    Per bocca del coordinatore calabrese Maurizio D’Ettore rivendica autonomia anche Coraggio Italia: «Ove possibile – ha detto – presenteremo nostre liste anche con il simbolo del partito». La sinistra schiera invece un altro avvocato, Francesco Di Lieto, sostenuto anche dalla lista di Carlo Tansi, Tesoro Calabria.

    Vincenzo Speziali

    Speziali boccia Donato

    Il Partito democratico ha scelto di appoggiare la corsa a sindaco di Nicola Fiorita, con il Movimento 5 stelle a comporre l’area civica della coalizione.
    In questo momento il quadretto elettorale di Catanzaro è questo, ma non è detto che sia destinato a rimanere così fino alla fine. «Donato? Amabile persona e valevole cattedratico ma la politica è un’altra cosa». Le parole sono di Vincenzo Speziali, membro della direzione nazionale Udc e fresco dimissionario dal ruolo di commissario cittadino dello Scudocrociato che ha preso molto male il diktat romano di confluire sul professore dell’Unicz. «Dobbiamo cercare una figura di centrodestra perché ci sono». Chi? Abramo, («è stimatissimo, persino da Salvini») e poi «c’è sempre Tallini».

    catanzaro-tre-famiglie-comandano-capoluogo-i-calabresi
    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Centrodestra e centrosinistra: l’unità da trovare

    Come è facile intuire, l’unità del centrodestra non è ancora cosa fatta. Ma se Sparta piange, Atene non ride. Così il centrosinistra riunitosi intorno al docente leader del movimento Cambiavento, Nicola Fiorita, se da una parte si trova a dovere affrontare la corazzata dell’alfiere Donato («un gattopardo alla testa di una gigantesca opera di trasformismo») dall’altra deve fare i conti con i mal di pancia di una parte della coalizione che non ha mai digerito l’accordo col Movimento 5 Stelle e il superamento delle primarie di coalizione che in un primo momento erano state proposte dal Pd.

    catanzaro-tre-famiglie-comandano-capoluogo-i-calabresi
    Nicola Fiorita, prof universitario e candidato a sindaco del centrosinistra

    Un esempio, uno dei più rumorosi, è la fuoriuscita del socialista Fabio Guerriero in polemica con i vertici nazionali Democrat e la decisione di schierarsi al fianco di Donato.
    Insomma, la partita si preannuncia aperta e agguerrita anche in vista delle politiche del prossimo anno e della necessità di rilanciare la città capoluogo di regione che, a detta di tutte le forze in campo, ha bisogno di un definitivo rilancio politico e amministrativo.

    Michele Urso

  • Attilio Nostro nuovo segretario dei vescovi calabresi

    Attilio Nostro nuovo segretario dei vescovi calabresi

    Cambio della guardia ai vertici della Conferenza episcopale calabra. Attilio Nostro, il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, è diventato segretario della Cec. Monsignor Nostro subentra a Giuseppe Schillaci, il vescovo di Lamezia Terme, che lascia la Calabria dopo la nomina a presule di Nicosia.

    L’elezione di Attilio Nostro si è svolta nella sessione straordinaria dell’assemblea dei vescovi calabresi, riunitasi nei locali del Seminario Regionale “S. Pio X” di Catanzaro.
    «Dopo la preghiera comune, i vescovi hanno espresso a monsignor
    Schillaci auguri e felicitazioni per la nuova nomina e la loro gratitudine per la testimonianza di bontà e mitezza, di comunione fraterna e di fede che egli ha offerto negli anni in cui ha svolto il suo ministero episcopale in Calabria».

    I vescovi, riporta ancora la nota, si sono dedicati con grande attenzione alla preparazione alla prossima Assemblea della Conferenza episcopale italiana, all’andamento dell’Istituto teologico calabro, al Seminario regionale. Nel pomeriggio i vescovi hanno valutato alcune iniziative ecclesiali riguardanti la Chiesa calabrese e hanno concluso la loro riunione con la preghiera del Vespro.

  • L’odissea dei migranti a Siderno: due morti annegati (VIDEO)

    L’odissea dei migranti a Siderno: due morti annegati (VIDEO)

    Sono state le onde di scirocco a fare sbattere il bialbero carico di migranti sulla spiaggetta di Pantanizzi a Siderno, ennesimo approdo sulla “rotta turca” che collega lo Jonio calabrese ai flussi migratori in movimento dal medio oriente. In un video che circola su internet si vede l’attimo in cui, prima pochi alla volta poi tutti insieme, uomini donne e bambini si lanciano sulla spiaggia sotto il vecchio pontile per cercare rifugio.

     

    Almeno due di loro non ce l’hanno fatta, sopraffatti dal mare molto agitato. Un altro invece è stato salvato dagli uomini del commissariato di Siderno, giunti per primi sul posto, mentre cercava di raggiungere faticosamente la riva. Ma le operazioni di ricerca in mare e dall’alto sono andati avanti per ore alla ricerca di qualche sopravvissuto rimasto in acqua. O di qualche corpo.

    L’odissea dei migranti in mare

    Sono 109 tra loro anche donne e diversi bambini, hanno dichiarato di venire dal Pakistan e dall’Afghanistan e di avere viaggiato per mare per 5 giorni dopo essersi imbarcati in una spiaggia isolata in Turchia. Vanno ad aggiungersi ai gruppi arrivati nei giorni scorsi, con Roccella capolinea di quattro sbarchi in meno di 40 ore per oltre 400 migranti accolti e rifocillati prima sotto il tendone allestito dalla Croce Rossa sulle banchine e poi nelle strutture del territorio che di volta in volta vengono utilizzate.

    Forse a morire sono stati i due scafisti

    Dalle prime testimonianze raccolte, i due uomini rinvenuti cadavere potrebbero essere gli stessi che hanno pilotato la piccola barca a vela lungo il Mediterraneo. «Sono russi, si sono buttati prima di arrivare sulla spiaggia» racconta uno dei migranti nel suo stentatissimo inglese. Sull’identificazione dei due corpi stanno lavorando gli uomini della polizia coordinati dalla Procura di Locri.

    Ma non sarebbe la prima volta che gli scafisti pagano con la vita l’avere tentato di raggiungere a nuoto la riva e sfuggire quindi ai controlli. Un paio di anni fa, durante un analogo “sbarco autonomo” – uno di quelli non intercettati dalle motovedette della capitaneria o della finanza e che quindi si spiaggia sull’arenile ormai privo di guida – tra i comuni di Riace e Stignano, i due scafisti, entrambi provenienti dal Kigikistan, provarono a scappare lanciandosi in acqua a una decine di metri dalla spiaggia. Solo uno era riuscito a raggiungere la riva. Il corpo del secondo uomo, poco più che ventenne, fu restituito dal mare quattro giorni dopo. Lo trovò sulla battigia un bagnante mattiniero.

    siderno-due-morti-tragico-sbarco-migranti-i-calabresi
    I migranti sulla spiaggia di Siderno

    Emergenza continua

    L’allarme dalla Prefettura è già arrivato ai sindaci della riviera: tutto fa prevedere che gli sbarchi continueranno almeno fino ad ottobre. Come ormai succede da più di venti anni. E nonostante il flusso di disperati in arrivo sia continuato ad aumentare nelle ultime stagioni, ogni volta che un barchino sfugge ai controlli e non viene veicolato verso Roccella – unico centro “attrezzato” tra Crotone e Reggio – i sindaci si trovano di fronte agli stessi problemi. Chiuso e in attesa dell’avvio dei lavori di ristrutturazione l’ex “ospedaletto” di Roccella, capace di ospitare per la prima accoglienza circa 250 persone, i migranti vengono di volta in volta ospitati, per l’identificazione e la prima accoglienza, nelle strutture comunali dei paesi dove avvengono gli approdi.

    Palazzetti, scuole, tendoni dove ogni volta, gli amministratori devono inventarsi qualcosa visto che generalmente, in queste struttura raccattate all’ultimo minuto, non ci sono nemmeno le cucine. Tanto che in più di un’occasione, a Locri e Ardore e anche a Caulonia e Brancaleone, sono stati i ristoratori del posto a offrire i pasti ai migranti. Il gruppo sbarcato venerdì a Siderno è stato trasferito nel pomeriggio nella frazione collinare della cittadina jonica, in una struttura di competenza comunale

     

  • L’allarme degli 007 stranieri: «Le ‘ndrine vogliono far saltare in aria Gratteri»

    L’allarme degli 007 stranieri: «Le ‘ndrine vogliono far saltare in aria Gratteri»

    Le ‘ndrine progettavano di «far saltare in aria Nicola Gratteri», procuratore di Catanzaro. È quanto si legge oggi nell’edizione on line del Fatto Quotidiano. Un servizio segreto straniero ha avvisato i colleghi italiani del piano per eliminare il magistrato che da anni lotta in prima linea contro la criminalità organizzata.

    L’intelligence estera avrebbe captato alcune conversazioni telefoniche. Nelle quali sono state pronunciate parole inquietanti. I clan che starebbero pianificando l’azione criminale hanno una parte dei loro affari nel contesto del Sud America e degli Stati Uniti. Questo spiegherebbe l’intercettazione degli 007 stranieri.

    I soggetti intercettati e interessati al progetto criminale apparterrebbero alle famiglie di ‘ndrangheta più direttamente colpite negli ultimi anni dalle indagini di Gratteri. Secondo quanto riporta il quotidiano «l’attentato si sarebbe dovuto consumare lungo il tragitto che collega l’abitazione del magistrato e il suo ufficio».

    Rafforzata la scorta a Nicola Gratteri

    È stata subito rafforzata la scorta al procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, con altre due auto blindate. Una delle macchine è dotata di  “bomb jammer”, dispositivo che inibisce frequenze Gsm, radio e cellulari utilizzate per innescare ordigni.  Inoltre sono stati messi sotto scorta anche la moglie del magistrato e i figli che studiano fuori dalla Calabria. Sulla vicenda ha aperto un fascicolo la Procura di Salerno competente nelle inchieste in cui sono parte offesa i magistrati del Distretto di Catanzaro. Il Copasir, a quanto si apprende, ha attivato le procedure per acquisire informazioni in merito alla notizia