Categoria: Fatti

  • Rocco Morabito, il Brasile conferma l’estradizione del re della coca

    Rocco Morabito, il Brasile conferma l’estradizione del re della coca

    Rocco Morabito deve tornare in Italia. La prima sezione della Corte suprema federale (Stf) del Brasile ha confermato l’autorizzazione all’estradizione del narcotrafficante della ‘Ndrangheta. Morabito, detto U Tamunga, era uno dei criminali più ricercati al mondo. La notizia dell’estradizione del boss arriva dall’Agência Brasil. Rocco Morabito, dopo una rocambolesca fuga da un carcere uruguaiano, era stato arrestato nel maggio dello scorso anno dalla Polizia federale a João Pessoa. Da quel momento è rimato dietro le sbarre del penitenziario federale di Brasilia.

    Rocco Morabito scortato dalla polizia federale brasiliana

    Un primo ok all’estradizione era arrivato a marzo di quest’anno. Ieri il tribunale ieri ha confermato quanto già deciso. Respinto il ricorso dei legali della difesa di Rocco Morabito che avevano sostenuto l’illegittimità delle procedure. Unanime il rigetto dell’istanza da parte dei giudici, che hanno quindi disposto la fine del processo di estradizione. Ora sarà il governo federale a consegnare il boss alle autorità italiane.

    Nella sentenza la Corte suprema brasiliana ha ricordato all’Italia che dovranno essere rispettati alcuni requisiti previsti dalle leggi brasiliane. In primis, la sottrazione da una eventuale condanna della detenzione già scontata in Brasile e l’applicazione di una pena massima di 30 anni di carcere. I nostri tribunali avevano già condannato in più occasioni Morabito, affibbiandogli oltre 100 anni di reclusione per traffico internazionale di droga.

  • Delle Chiaie a Capaci? I legami oscuri del leader di Avanguardia Nazionale

    Delle Chiaie a Capaci? I legami oscuri del leader di Avanguardia Nazionale

    Sono passate appena poche ore dalla messa in onda della puntata che Report ha dedicato ai 30 anni dalla strage di Capaci. Gli uomini della Direzione Investigativa antimafia bussano alla porta del giornalista Paolo Mondani. Inviati dalla Procura di Caltanissetta, gli uomini della DIA perquisiscono l’abitazione del giornalista e sequestrano atti riguardanti l’inchiesta nella quale si evidenziava la presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato di Capaci.

    L’inchiesta di Report e Delle Chiaie

    Nel corso della perquisizione, gli investigatori hanno cercato atti sul cellulare e sul pc di Mondani. Una scelta forte, quella dei magistrati, che arriva all’indomani dell’inchiesta di Report. E che riaccende le polemiche sulla tutela delle fonti che dovrebbe essere sempre garantita ai giornalisti.

    La procura di Caltanissetta, attraverso il capo dell’ufficio Salvatore De Luca, ha precisato che la perquisizione «non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta dal giornalista (che non sarebbe indagato, ndr), benché la stessa sia presumibilmente susseguente a una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario».

    Riecco “Er Caccola”

    Nel giorno del trentennale della strage di Capaci, con la puntata “La bestia nera”, Report ha provato ad aggiungere un tassello di verità. Almeno a porre domande e instillare dubbi sui mandanti esterni, su quelle connivenze tra mondi diversi e occulti che avrebbero animato la strategia stragista che, nel 1992, toccherà il culmine con le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui perderanno la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

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    I giudici Falcone e Borsellino uccisi dalla mafia

    E spunta fuori il nome di Stefano Delle Chiaie. Anzi, rispunta. Sì perché Delle Chiaie entra ed esce da inchieste giornalistiche e giudiziarie da decenni. Deceduto nel 2019, si tratta di uno dei soggetti più oscuri della storia d’Italia. Detto “Er Caccola”, è stato accostato a stragi di matrice terroristica, alla P2 di Licio Gelli e alla criminalità organizzata. Con la sua inchiesta, Report ipotizza e sospetta legami con Cosa Nostra e fatti siciliani. Ma da anni sono presenti agli atti elementi che collegherebbero Delle Chiaie alla ‘ndrangheta.

    Il summit di Montalto

    Uno dei primi a parlarne è il collaboratore di giustizia Stefano Serpa, uomo influente della ‘ndrangheta degli anni ’70 e ’80. Serpa colloca Delle Chiaie in Calabria in uno degli eventi più iconici della storia della criminalità organizzata calabrese.

    Un summit di ’ndrangheta. Anzi, probabilmente il summit di ’ndrangheta per eccellenza. Cui, però, stando al racconto del collaboratore partecipano anche elementi importanti della Destra eversiva, quali Stefano Delle Chiaie, appunto. Ma anche Pierluigi Concutelli, esponente di spicco della Destra eversiva e condannato per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, avvenuto il 10 luglio 1976 a Roma, col movente di impedire al magistrato di proseguire le proprie delicate indagini sul terrorismo nero.

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    Pierluigi Concutelli

    Una riunione fondamentale nella storia della ’ndrangheta, perché si incastra proprio negli anni più caldi della storia di Reggio Calabria, quelli della rivolta del Boia chi molla. Borghese, Delle Chiaie, Concutelli e gran parte della colonna di destra eversiva del tempo a Reggio Calabria, in quegli anni, sarebbero stati di casa.

    La circostanza viene raccontata anche da Carmine Dominici, ex membro di spicco di Avanguardia Nazionale, poi divenuto collaboratore di giustizia: «Vi fu, nel settembre 1969, un comizio del principe Borghese a Reggio Calabria che fu proibito dalla Polizia. In quell’occasione c’era anche Delle Chiaie e il divieto da parte della Questura provocò scontri a cui tutti partecipammo. Vi fu anche un assalto alla Questura per protesta».

    Delle Chiaie e la ‘ndrangheta

    Ma non si tratterebbe solo di politica. Anche perché Serpa non è l’unico collaboratore di giustizia che tira in ballo Delle Chiaie e la sua vicinanza, non solo al territorio calabrese, ma anche alla ‘ndrangheta.  A parlare, infatti, è uno dei collaboratori di giustizia storici: quel Giacomo Ubaldo Lauro che, insieme a Filippo Barreca, sarà tra le principali fonti dei giudici che imbastiranno il maxiprocesso “Olimpia”.

    Le dichiarazioni di Lauro, quindi, aprono squarci di luce (che, va detto, non avranno particolari sbocchi di natura giudiziaria) sul legame tra ’ndrangheta e Destra eversiva: «[…] nell’epoca dei moti di Reggio, io capitai due volte detenuto nella stessa cella, lo presi con me a Carmine Dominici. Una volta perché aveva messo una bomba, e che poi è stato assolto da questa bomba e fece un paio di mesi, un’altra volta per il sequestro Gullì assieme a Domenico Martino. Dalla bocca di Carmine Dominici […] mi disse a parte che io lo sapevo già che “Er Caccola” non mi ricordo ora come si chiama dunque Delle, Delle Chiaie era stato a Reggio nel ’70 ospite, ospite suo di lui e di Fefè Zerbi».

    Zerbi, Delle Chiaie e De Stefano

    Il marchese Genoese Zerbi era, a detta di tutti, il coordinatore dei gruppi di estrema destra in quel periodo assai caldo vissuto dalla città, in lotta dopo l’assegnazione del capoluogo di regione a Catanzaro. Una rivolta che, secondo taluni, avrebbe subito la strumentalizzazione della ‘ndrangheta, in un accordo tra gruppi estremisti e boss. Stando al racconto di Lauro, Delle Chiaie ebbe contatti con la ’ndrangheta e, in particolare, proprio con Paolo De Stefano, in quel periodo capo della famiglia che, più di tutte, avrebbe modernizzato la ‘ndrangheta grazie ai suoi rapporti promiscui: «Nella seconda carcerazione […] io mi ritrovai detenuto dal ’79 e c’era anche lui. […] Da Dominici seppi che […] praticamente Fefè Zerbi fece conoscere a Delle Chiaie a Paolo De Stefano e ad altri […]».

    L’uomo dei misteri

    Nomi che si intrecciano con la storia più oscura d’Italia, fatta di complotti, accordi e trame messi in atto tra Destra eversiva, criminalità organizzata e Servizi Segreti deviati. Delle Chiaie è uno dei personaggi più controversi della storia d’Italia. Fondatore di Avanguardia Nazionale, movimento della Destra eversiva negli anni Settanta, Delle Chiaie si segnala per la propria appartenenza a organizzazioni e movimenti di natura fascista fin dagli anni Sessanta. Particolarmente inquietanti sono i contatti con il Fronte Nazionale del principe Junio Valerio Borghese. Sì, proprio l’ex gerarca fascista promotore di un tentato colpo di Stato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970.

    Junio Valerio Borghese

    Un dato molto significativo, emerge dalla sentenza della Corte d’Assise di Bologna sulla strage della Stazione, che condanna i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro: «Stefano Delle Chiaie si muove con grande disinvoltura nell’Argentina dominata dal regime militare. Da latitante qual è, frequenta liberamente vari ambienti e compare a cena a fianco del console italiano. Reduce dall’esperienza cilena, dopo un primo momento di difficoltà, comincia a prosperare, raggiungendo l’apice della sua fortuna nel periodo in cui le forze governative argentine – il che, tenuto conto di quella realtà, equivale a dire gli apparati militari – appoggiano, assieme a quelle cilene, il colpo di Stato militare boliviano». La sua presenza in Sud America si registra già con la vicinanza al regime di Augusto Pinochet alle riunioni della Dirección Nacional de Inteligencia (DINA) di Manuel Contreras e in seguito nell’Operazione Condor per la persecuzione dei dissidenti.

    Delle Chiaie e Licio Gelli

    Ma, come paventato peraltro anche dalla trasmissione Report, Delle Chiaie sarebbe stato vicino anche ad ambienti occulti. E, in particolare, alla P2 di Licio Gelli, quel progetto massonico e criminale che doveva sovvertire l’ordine costituito in Italia.  Per questo, scrivono infine i giudici di Bologna «“il collegamento Gelli-Delle Chiaie non si presenta come una possibilità, più o meno plausibile, ma costituisce una necessità logica».

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    La sala d’attesa della stazione di Bologna sventrata dalla bomba

    Il nome di Delle Chiaie è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio, ma i processi lo hanno sempre visto assolto per “non aver commesso il fatto” o per “insufficienza di prove”.

    I “Sistemi Criminali”

    Entra ed esce da inchieste giudiziarie da decenni. E fa parlare di sé anche ora che è deceduto da circa tre anni. Spiccava la sua presenza tra gli indagati dell’inchiesta sui Sistemi Criminali, condotta alcuni anni fa dal pubblico ministero Roberto Scarpinato sulla strategia della tensione dei primi anni Novanta, ma sfociata in un’archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, i boss mafiosi Totò Riina e i fratelli Graviano, l’avvocato mafioso Rosario Pio Cattafi, altro soggetto che lega il proprio nome ad alcune delle vicende più oscure d’Italia.

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    L’avvocato Paolo Romeo

    Ma anche l’avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo Olimpia e considerato un’eminenza grigia delle dinamiche ’ndranghetiste, condannato in primo grado a 25 anni nel maxiprocesso “Gotha”. Quanto all’inchiesta “Sistemi Criminali”, invece, sarà la stessa accusa a richiedere l’archiviazione.

    Le accuse respinte dalla moglie di Delle Chiaie

    Un altro processo da cui Delle Chiaie uscirà pulito. L’ennesimo. Come quello per la strage di Bologna, che ha visto recentemente la condanna di Paolo Bellini. L’inchiesta di Report tira in ballo anche lui. «Tutta l’inchiesta si fonda su una dichiarazione fatta in un colloquio investigativo di 30 anni fa, che quindi non può essere utilizzata. Il mio assistito è stato implicato in quella storia nel ’92, ’93 ed esaminato da Giovanni Melillo, oggi procuratore nazionale antimafia. Lo vogliono rimettere in mezzo? E lo rimettano in mezzo. Ma, ricordiamolo, è stato archiviato» afferma l’avvocato di Bellini.

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    I funerali di Stefano Delle Chiaie

    E anche Delle Chiaie ha sempre respinto al mittente le accuse. Così come i riferimenti effettuati da diversi collaboratori di giustizia agli intrecci con la ’ndrangheta. Ora, deceduto da quasi tre anni, secondo qualcuno ha portato con sé tanti segreti. Secondo altri, invece, non può più difendersi e quindi lo infangano. Lo afferma Carola Delle Chiaie, moglie e vedova dell’ex avanguardista: «Una formazione che si può accusare di tante cose, ma non di connessioni con gentaccia come la mafia e tanto meno con la massoneria, che mio marito detestava come poche altre cose», dice. E conclude: «Si permettono di inserirlo in uno scenario incredibile. Dopo quanti anni scoprono che Delle Chiaie era a Capaci, che addirittura ha dettato la strategia delle stragi? È una follia, non c’è altra spiegazione».

  • Funerale vietato, il carro vuoto di Aquino sfila per Gioiosa Marina

    Funerale vietato, il carro vuoto di Aquino sfila per Gioiosa Marina

    Un carro trainato da tre coppie di cavalli neri. Un carro vuoto, addobbato di fiori e tirato a lutto, che avrebbe percorso il tragitto dalla casa del defunto fino al piazzale del cimitero di Marina di Gioiosa dove però non sarebbe entrato. Un carro che avrebbe dovuto trasportare il corpo di Nicola Rocco Aquino nel suo ultimo viaggio se, qualche ora prima della cerimonia funebre, non fosse arrivato l’altolà della questura di Reggio Calabria che disponeva le esequie in forma strettamente privata e da svolgersi all’alba come a tanti presunti esponenti del crimine organizzato prima di lui.

    Annullato il funerale pubblico previsto per il pomeriggio – e il relativo corteo – però, qualche minuto prima delle sette del mattino, il carro, senza la bara al suo interno, avrebbe comunque percorso il tragitto originariamente previsto lungo il corso principale della cittadina jonica. Una sorta di “aggiramento” simbolico – il funerale di Aquino si è svolto comunque in forma strettamente privata – delle norme divenute ormai consuete in occasione dei funerali dei grandi vecchi della ‘ndrangheta, ed esibito in faccia a Gioiosa Marina. Proprio come un enorme dito medio, con tanto di pennacchi sui cavalli e corone rosse di contorno.

  • [VIDEO] Cucine da incubo: sfruttati a 20 euro nei ristoranti di Cosenza

    [VIDEO] Cucine da incubo: sfruttati a 20 euro nei ristoranti di Cosenza

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    Sapete perché sulle porte delle cucine dei ristoranti c’è scritto “vietato entrare”? Perché non ne uscireste vivi.
    Dietro quella soglia c’è un mondo capace di evocare spettri da rivoluzione industriale: lavoratori frenetici, impegnati nel muoversi provando ad ostacolarsi il meno possibile; comandi che si sovrappongono con furia quasi ci si trovasse nella fase cruciale di una battaglia, tra nuvole di vapore e fumi; pentole che bollono; mestoli appesi e piatti da riempire; griglie roventi e la fatica di uomini e donne quasi come dentro una trincea.

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    Diritti e profitti nei ristoranti di Cosenza

    Venti euro a turno di lavoro, spesso in nero, con durata dei turni parecchio flessibile. Quando invece c’è un contratto, le tutele si smarriscono dentro prassi consolidate, ben note e tuttavia taciute. Ferie che risultano in busta paga ma non sono godute, inesistenti assenze ingiustificate conteggiate per riequilibrare il divario tra le somme dovute da contratto e quelle realmente pagate, importi relativi a periodi di malattia versati dall’ente di previdenza e incredibilmente trattenuti dal datore di lavoro.

    Escludendo qualche studentessa impegnata nel fare la cameriera per racimolare un po’ di denaro, la maggior parte delle persone che sta dentro questo girone infernale è prevalentemente fragile sul piano culturale, scarsamente scolarizzata. E, dunque, meno consapevole dei propri diritti, poco incline a rivendicarli. Facili prede per quanti volessero massimizzare i loro profitti sulla carne viva dei lavoratori.

    La brandina nel retrobottega

    Angela ha poco più di vent’anni, è minuta e sembra più piccola, ma ha già una bambina e molto bisogno di lavorare. Per questo accetta di buon grado di fare spesso il doppio turno, lavorando mattina e sera in uno dei ristoranti di Cosenza. Purtroppo abita lontano da Cosenza e non potrebbe fare in tempo ad andare a casa e tornare tra la fine di un turno e l’inizio del successivo, quindi ha messo una brandina sul retro del locale. Lì si sdraia per poco meno di un’ora, si leva le scarpe e prova a chiudere gli occhi, mentre i suoi colleghi poco distanti lavorano.

    Ristoranti a Cosenza: l’orata sfuggita dal congelatore

    Una mattina cuochi e lavapiatti entrarono nella cucina di un noto ristorante della città per cominciare la loro giornata di lavoro e trovarono sul pavimento un’orata. La scena dovette sembrare vagamente surreale: un pesce, pure bello grosso, sul pavimento. Era evidentemente caduto la sera prima, mentre qualcuno aveva preso qualcosa dal congelatore. Il pesce era lì da tutta la notte, doveva essere buttato, con sommo disappunto del proprietario del ristorante che aveva tuonato: «Qualcuno questa orata la deve pagare!». E infatti qualcuno la pagò, trovandosi una cospicua trattenuta in busta paga.

    Se le buste paga potessero parlare

    Giovanni non ha molta dimestichezza con le buste paga, lo sguardo va dritto alla somma che sta alla fine della pagina e quello gli basta. Una volta però scorrendo i dettagli scopre che ha fatto quattro giorni di assenza non giustificati dal lavoro. Lui è uno che invece non si assenta mai e trova il coraggio di chiedere spiegazioni al datore di lavoro.

    «Non ti preoccupare – spiega l’imprenditore con voce rassicurante – è solo per una questione di tasse». In realtà anche alcune buste paga di altri colleghi riportano ogni tanto la stessa voce in sottrazione di somme di denaro per assenze mai avvenute e la ragione è legata alla necessità di far avvicinare lo stipendio reale a quello veramente accreditato secondo contratto.

    Restate a casa: cuciniamo noi

    asporto-ristorantiDurante il lockdown molte realtà della ristorazione hanno affrontato la crisi dei locali vuoti ripiegando sull’asporto. Meno clienti, ovviamente, ma era un modo per non fare morire l’impresa. A soffrirne sono stati i lavoratori, che a turno sono stati impiegati nelle cucine, come Fiorella e gli altri che ufficialmente erano in cassa integrazione, ma la trincea di pentole e fornelli non l’hanno mai potuta lasciare. «Eravamo ogni giorno al lavoro, non tutti assieme perché non c’era bisogno di tanta gente contemporaneamente, ma a rotazione. Saremmo dovuti stare a casa, e invece eravamo al lavoro»

    I grandi assenti

    In queste storie ci sono alcuni grandi assenti: i diritti e la loro consapevolezza, l’Ispettorato del lavoro, che magari qualche ispezione potrebbe pure farla, il sindacato. Il protagonista incontrastato è il bisogno che attanaglia un numero sempre maggiore di persone, piegandole a condizioni che facilmente possono essere considerate inaccettabili. Ma anche la retorica di quanti con sufficienza affermano che «la gente non vuole lavorare».

    Quando state in un ristorante e lo sguardo vi va verso l’ingresso delle cucine, rivolgetelo subito altrove: “Non aprite quella porta” potrebbe non essere solo il titolo di un vecchio film dell’orrore.

  • Tramonte e Cristiano: uccisi a Lamezia Terme senza un perché

    Tramonte e Cristiano: uccisi a Lamezia Terme senza un perché

    Quella di Stefania Tramonte sarebbe dovuta essere una storia come tante altre. Ha 42 anni e una voce squillante. Vive a Lamezia Terme («non potrei farne a meno») e ogni mattina per lavoro va a Catanzaro. È sposata (con Pasquale, “una benedizione” lo definisce) e ha due figli (Matteo e Christian, di 11 e 8 anni). Le piace stare con gli amici e ha imparato a fare tesoro delle piccole cose. Se le chiedi un bilancio della sua vita ammette di avere sofferto, ma non ha dubbi nel definirsi anche fortunata e circondata d’amore. Tante giovani donne calabresi potrebbero riconoscersi in queste parole.
    Ma quella di Stefania, suo malgrado, non è una storia come tante altre. Non lo è da una dannata notte di 31 anni fa.

    L’agguato a Lamezia

    Le tre del mattino, giù dal letto, una fugace colazione e poi di corsa fuori di casa, senza svegliare la moglie Angela e le tre bambine – Maria, Stefania e Antonella, di 13, 11 e tre anni. Il 40enne Francesco Tramonte fa il netturbino al Comune di Lamezia e anche quella notte raggiunge Palazzo Sacchi, sede del centro della nettezza urbana. Prende le consegne e si dirige al piazzale dove il camion è già pronto. Alla guida c’è il 36enne Eugenio Bonaddio, autista della Sepi, la ditta privata che gestisce la raccolta dei rifiuti. A bordo anche un ragazzone di 28 anni, Pasquale Cristiano, che non dovrebbe stare lì: il medico gli ha sconsigliato il lavoro notturno sui mezzi per un problema di epilessia, ma – vai a capire il destino – c’è un’emergenza e lui si mette a disposizione. Partono.

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    Mamma Angela con Antonella, Stefania e Maria Tramonte anni prima della tragedia

    Intorno alle cinque sono nella zona di Miraglia, a Sambiase, dove l’illuminazione pubblica è cosa rara e la sensazione di degrado e abbandono soffocante. Il camion accosta, vanno per scendere quando notano l’ombra di un uomo dietro i cassonetti: ha corporatura media, porta lunghi capelli pettinati all’indietro e la barba incolta, indossa un giubbotto scuro e paio di jeans. Soprattutto, imbraccia un fucile da guerra. Il suo ghigno è spaventoso, complice il canino inferiore destro più lungo e appuntito degli altri denti. Intima ai tre netturbini di scendere, loro obbediscono.

    All’alba del 24 maggio 1991 Lamezia Terme diventa il teatro di uno spaventoso massacro. Il killer spara 22 volte: i proiettili di kalashnikov calibro 7.62 centrano Francesco 12 volte e Pasquale 7. Non hanno scampo. Se la cava con qualche ferita Eugenio Bonaddio che riesce a mettersi in salvo. Dopo l’inferno di piombo è l’ora dell’odore del sangue e del silenzio.

    L’ultima notte di Tramonte e Cristiano

    È un collega del padre a bussare alla porta di casa Tramonte e dare la notizia alla moglie: «Hanno ammazzato vostro marito su un camion», le dice. «Mia madre è rimasta scioccata, incredula e senza parole». Poi le lacrime, la disperazione e la ricerca del coraggio per parlare con le figlie. «Sono rimasta di ghiaccio», aggiunge. Poi ricorda «la confusione, l’arrivo di una vicina di casa, poi un gran viavai di tantissime persone: abitavamo in quel quartiere da una vita, non ci riusciva a credere nessuno». Anche a casa Cristiano è così. «Il padre e il fratello pensano a uno scherzo di cattivo gusto: cosa c’entra Pasquale con quelle cose?».

    Appunto. Ci pensa spesso Stefania: «Erano due puri: sono stati due martiri». Dalla memoria riaffiora un ricordo: «Un giorno mio padre racconta che un collega si è fatto male a una mano e rischia di perdere un dito – dice – non dimentico la paura che provai pensando che potesse accadere a lui. Figuriamoci una morte così». Un omicidio non è mai giustificabile, ma ci sono delle circostanze in cui è più facile immaginare che possa capitare. «Me lo ha detto anche il figlio di un poliziotto: lui aveva paura quando suo padre usciva di casa con la pistola. Mio padre invece aveva in mano una scopa».

     

    Era mio padre

    «Non se lo meritava, papà – dice Stefania – E poi era una bella persona, era un giocherellone, aveva l’animo di un bambino, e infatti tutti i bambini erano innamorati di lui». Racconta i giri sull’Ape a tre ruote con i nipoti, i picnic improvvisati in montagna: «Era divertente, lo ricordano tutti così. Mi sento fortunata ad avere ereditato questo tratto». Era anche affettuoso con le sue figlie e la moglie Angela: «La baciava sempre. Eravamo una famiglia umile, però felice, soprattutto delle piccole cose. Siamo ancora così». Forse perché cercano di non smarrire il ricordo di Francesco: «Con Maria condividiamo gli stessi ricordi, Antonella invece era troppo piccola, non ha memoria di quegli anni, è una cosa che mi fa soffrire. Però parliamo sempre di lui, anche per i miei figli è una presenza viva».

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    Francesco Tramonte con la sua famiglia

    Lo shock e il dolore sono enormi, ma bisogna andare avanti. Angela si rimbocca le maniche: «Abbiamo avuto solo lei come punto di riferimento, s’è dedicata completamente a noi. Avrebbe potuto fare la bidella, ma non ha voluto privarci anche della sua presenza. Abbiamo vissuto con la pensione di mio padre: ha fatto la scelta giusta, è stata una madre straordinaria». La loro vita è cambiata per sempre, «ma ce l’abbiamo fatta». Anche perché, lo sottolinea spesso Stefania, «mi sono sempre sentita amata, dai miei compagni di scuola di allora, dai miei amici, dalla mia famiglia, dalle persone comuni: sono sempre stati tutti molto comprensivi, attenti, vicini».

    Tramonte e Cristiano, morti che riguardano tutti

    D’altra parte, le cittadine e i cittadini di Lamezia hanno condiviso anche la rabbia e la paura con le famiglie di Tramonte e Cristiano: «Da quel giorno si sono sentiti in pericolo: hanno pensato che se avevano ucciso degli innocenti in quel modo sarebbe potuta toccare a chiunque».

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    Pasquale Cristiano

    Lamezia si sente vulnerabile, cerca una spiegazione. Anche gli investigatori si interrogano. Perché quella notte? Perché Tramonte e Cristiano? E perché con quelle modalità?
    Lo scenario che si va via definendo è sconvolgente. Cristiano e Tramonte non erano un obiettivo, sono rimasti vittime della necessità dei boss di compiere un gesto dimostrativo per affermare che i rifiuti sono affar loro: poteva esserci chiunque su quel camion. In altri termini, Lamezia scopre che si può morire così, senza motivo. Anche per questo migliaia di cittadini sfilano per le vie della città.

    L’illusione delle indagini

    Le indagini intanto sembrano procedere speditamente. «I giornali scrivevano che c’era un testimone, che la pista era quella giusta», ricorda Stefania amareggiata. E un testimone, in effetti, c’è. Bonaddio, l’autista del camion, è impaurito ma fornisce un identikit del killer. Per gli investigatori è Agostino Isabella, di Sambiase, considerato vicino alle cosche. Bonaddio lo riconosce e, nel giro di poche ore, il caso sembra chiuso. Finché l’autista di fronte a un nuovo riconoscimento esita e tra le quattro persone dietro il vetro ne indica due diverse: uno è Agostino Isabella, l’altro il fratello che gli somiglia molto. «Che devo dire? – commenta Stefania – Certo, con Bonaddio ci siamo conosciuti e abbiamo sperato nella sua testimonianza, ma non ne abbiamo mai parlato: ogni tanto ci incontriamo, ma non abbiamo nessun rapporto».

    La Corte d’appello di Catanzaro

    La verità però è che «tutta l’indagine non è stata fatta bene, diciamo che sono stati commessi troppi errori». Isabella l’11 maggio 1992 viene comunque mandato a processo ma la Corte d’Assise di Catanzaro lo assolve il 19 giugno 1993 per non aver commesso il fatto. Le motivazioni descrivono però un omicidio di ’ndrangheta maturato nella lotta tra clan per “assicurarsi l’appalto del servizio di nettezza urbana”, che fino ad allora “era stato conferito con dubbia legalità e con dispendio sproporzionato di pubblico denaro a imprese non immuni da sospetti di contiguità al mondo mafioso”.

    Un messaggio bestiale per Lamezia

    E c’è di più: “Il barbaro eccidio – scrivono i giudici – volle essere un significativo messaggio, tanto più efficace quanto più permeato da bestiale efferatezza, rivolto a tutti, pubblici e privati operatori; un messaggio che preannunziava nuovi equilibri mafiosi e dei quali non poteva non tenersi conto nello spendere i miliardi della nettezza urbana”. Tutto questo in un quadro di esternalizzazione (dal 1988), nonostante il Comune fosse “in grado di attivare in proprio il servizio”. Insomma, è stato un atto di terrorismo mafioso per regolare gli affari nel settore dei rifiuti in una città piegata e in crisi (il 20 settembre 1991 ci sarà lo scioglimento per mafia del consiglio comunale, il 1992 si aprirà con il duplice omicidio del sovrintendente di polizia Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano).

    Nel 1993 si aprirsi una nuova stagione: quella del vescovo Vincenzo Rimedio e della sindaca Doris Lo Moro – eletta anche grazie ai voti di Vincenzo Cristiano, il papà di Pasquale, che decide di candidarsi – durante la quale il Comune organizza una commemorazione ogni 24 maggio. Nel 2000 Vincenzo Cristiano muore, l’anno successivo il centrosinistra frana alle elezioni e inizia un periodo di lenta rimozione della storia dei due netturbini. Fino all’elezione a sindaco nel 2005 di Gianni Speranza che riaccende una luce su Tramonte e Cristiano. Tuttavia qualcosa nella memoria deve essersi inceppato se Stefania – il 7 dicembre 2006 – avvia una piccola grande rivoluzione personale. “Conservo ancora il ritaglio del giornale di quel giorno”, rivela.

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    Il ritaglio conservato da Stefania Tramonte

    La svolta di Stefania Tramonte

    In un teatro cittadino viene organizzata la presentazione di un libro a cui partecipano, tra gli altri, il sindaco Speranza, Maria Grazia Laganà, la moglie del vicepresidente del consiglio regionale Franco Fortugno ucciso l’anno prima, e il presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione. Quando l’incontro sta per terminare dal palco chiedono se qualcuno tra il pubblico ha delle domande. Si alza una ragazza, le tremano le gambe, ha la voce incerta: «Sono la figlia di una vittima della ‘ndrangheta, vorrei sapere chi ha ucciso mio padre». Cala il gelo nella sala. «Vorrei sapere se ci sono indagini in corso».

    È Stefania Tramonte. «Non avevo mai parlato di mio padre in pubblico fino a quel giorno – ricorda oggi che invece è diventata la voce della famiglia – mi faceva troppo male. Ho sentito una forza dietro le spalle che mi spingeva. Dovevo farlo, da troppo tempo era tutto insabbiato». Le viene quasi da sorridere: «Ho parlato due secondi – parla di sé con tenerezza – perché poi mi sono messa a piangere». Prendono la parola alcuni studenti, ma dalla sala cresce la protesta: datele una risposta. L’inchiesta è arenata, non ci sono novità. Tocca a Speranza lanciare un appello (l’ultimo lo scorso anno lo ha promosso il festival Trame): riaprire le indagini! Tutta la città ha bisogno di conoscere una verità sinora impossibile visto che non s’è celebrato neppure il processo d’appello. Il pubblico ministero ha presentato l’appello in ritardo e la sentenza di assoluzione è divenuta esecutiva il 18 luglio 1996.

    Gazzetta del Sud, 15 maggio 2016, in occasione dei 25 anni del duplice delitto

    «Non so se era tutto programmato – afferma sconsolata – ma mi dispiace non avere mai avuto l’occasione di chiedere una spiegazione al pm Luciano D’Agostino. Ma all’epoca cosa avrei dovuto fare? Non conoscevamo le procedure. Oggi cosa posso dire? Alcune indagini sulla massoneria su certi magistrati mi fanno riflettere». Ma non prova «odio né rabbia, e ne sono fiera. Vedere in carcere gli assassini non mi darebbe pace. Tanto il vero ergastolo lo stiamo vivendo noi, con un dolore che durerà tutta la vita, e niente potrà restituirmi mio padre. Ma è giusto conoscere la verità».

    Dopo 31 anni

    Sono trascorsi 31 anni da quella dannata notte e non è stato facile. «Devo dire grazie a mio marito, che ha accettato la tristezza, le lacrime, il panico quando era tutto difficile. Ma da qualche tempo le cose vanno meglio: sono mamma, so che devo stare bene per i miei figli. E poi è giusto per me». L’aiuta anche avere incontrato sulla sua strada la famiglia Cristiano, forse perché lo considera un po’ un lascito di suo padre.

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    Maria Tramonte, Antonio Cristiano e la piccola Francesca

    «Un giorno mia madre con la macchina urta e danneggia il gradino davanti a una casa. Ci fermiamo e lasciamo un biglietto per dire al proprietario che siamo disponibili a rimborsare i danni. Era la casa di Rosa e Vincenzo, i genitori di Pasquale Cristiano. Non lo sapevamo. È stato il primo di una serie di segnali che ci hanno fatto percepire per sempre la presenza di papà e Pasquale». Di certo non il più sorprendente: «Mia sorella Maria – rivela – ha sposato il fratello di Pasquale. Si sono conosciuti al cimitero e si sono innamorati. La loro bambina si chiama Francesca, come papà». È stato importante questo accompagnarsi reciprocamente tra le famiglie di Francesco e Pasquale. «Ma papà mi manca, sempre. Vorrei abbracciarlo, vorrei stringere quel corpicino fragile che è stato bombardato da quei colpi di fucile. Bombardato. Non se lo meritava, nessuno se lo merita». Nessuno.

  • Gadget da 160mila euro, per Occhiuto «è cambiata la musica». Ma suona sempre Orsomarso?

    Gadget da 160mila euro, per Occhiuto «è cambiata la musica». Ma suona sempre Orsomarso?

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    Guardare la pagliuzza e non la trave, è questo quello che apparentemente avrebbe fatto il presidente della Regione Roberto Occhiuto quando ha annunciato sui social la rimozione della dirigente del settore turismo coinvolta nell’ormai nota determina da 164mila euro per i gadget promozionali.

    «Non condivido importo e procedure» ha dichiarato Occhiuto, suscitando le ire del sindacato dei dirigenti degli enti locali (Direl) che, riservandosi di tutelare «la dignità della categoria dei dirigenti e dei dipendenti pubblici» nelle sedi opportune, specifica che «ove l’organo politico avesse avuto delle riserve da manifestare nei confronti della legittimità del provvedimento avrebbe potuto formulare i dovuti rilievi alla dirigenza in forma rituale ed ai sensi di legge e non mediante l’uso dei social».

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    Il presidente della Regione Roberto Occhiuto

    Approfondendo la questione, però, si intravedono responsabilità politiche che si tentano di (mal)celare, mettendo alla gogna dirigenti e burocrati che, come risulta dagli atti, hanno seguito indicazioni arrivate proprio dalla Giunta presieduta da Occhiuto.

    Gadget gate, la determina “incriminata”

    La determina da cui nasce il “Gadget gate” è la numero 5443 del 18 maggio, firmata dalla dirigente del settore “Promozione della Calabria e dei suoi asset strategici, spettacolo e grandi eventi, marketing territoriale” del Dipartimento Turismo, l’avvocata cosentina Gina Aquino, spostata in quel settore pochi giorni prima, il 3 maggio.
    È finita lei sul banco degli “imputati” (o meglio dire, dei “revocati”) a seguito della sfuriata social di Roberto Occhiuto.

    In quella determina, come è noto, si procedeva all’affidamento diretto per 164.122,94 euro, alla società Pubbliturco di Rende, di Vittorio e Valentina Turco, per la fornitura di gadget promozionali personalizzati per “Calabria Straordinaria”. Ossia il claim promozionale per il turismo promosso dall’assessore al ramo in quota Fratelli D’Italia, Fausto Orsomarso. Era anche l’hashtag della sua ultima campagna elettorale.

    Responsabile del procedimento in quella determina è il dipendente con posizione organizzativa in quel settore (nominato dalla Dg Antonella Cauteuriccio e dal dirigente di settore scopellitiano Cosimo Caridi con determina 1142 del 8 febbraio 2022), Luca Gennaro Fregola, già componente dell’ufficio di Gabinetto dei Presidenti di Regione Jole Santelli e Nino Spirlì.

    La proposta è di Orsomarso

    Allegato alla deliberazione della Giunta regionale n. 59 del 18 febbraio scorso, troviamo il “Piano Esecutivo annuale 2022”. E, benché la firma in calce alla deliberazione sia di Roberto Occhiuto, come assessore proponente viene indicato Fausto Orsomarso.
    Nell’allegato, al punto 3.3.8., rubricato “Marketing off-line: Promozione e Comunicazione” c’è scritto che: ”Le azioni riguardano lo sviluppo di campagne di comunicazione, (legate anche a CALABRIA STRAORDINARIA, il progetto-quadro di comunicazione strategica e di riposizionamento nazionale e internazionale dell’immagine complessiva della regione) su carta stampata, web e radio, tv, stazioni ferroviarie, grandi superfici di vendita, grandi eventi mediatici e sportivi”.

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    L’estratto del piano regionale allegato alla delibera 59

    Tra ciò che rientrava espressamente a titolo esemplificativo in quella categoria viene, nero su bianco, riportato lo “Sviluppo linea merchandising e gadget” e come fonte finanziaria i Por e i Pac.
    Nella successiva deliberazione della Giunta, la 189 del 3 maggio, avente ad oggetto “Piano di Azione e Coesione (PAC) Calabria 2007-2013. Approvazione rimodulazione scheda intervento III.7 “Interventi per la promozione e la produzione culturale”, tra le declinazioni delle azioni di promozione e marketing, viene, nuovamente, menzionato il “Marketing Off-line” quale azione di sviluppo anche di Calabria Straordinaria, che include espressamente lo “Sviluppo linea merchandising e gadget”.

    Gadget gate, lo scaricabarile sulla dirigente

    In quell’atto, la Giunta prende atto “delle esigenze manifestate dai Dirigenti Generali dei Dipartimenti interessati” e approva “la rimodulazione della Scheda III.7 Interventi per la promozione e la produzione culturale, restando immutata la relativa dotazione finanziaria, pari a Euro 28.750.000,00”.

    Ecco che la responsabilità è politica. E difficilmente può ricadere su una dirigente regionale nominata in quel settore dieci giorni prima di una determina che è conseguenza di un piano approvato nel mese di febbraio. Pertanto, in attesa dell’annunciato provvedimento di revoca della dirigente (in merito al quale i sindacati hanno già promesso battaglia), si tenta di mettere sotto al tappeto le responsabilità dell’assessore al ramo, già “assolto” pubblicamente dallo stesso Occhiuto.

    La Pubbliturco e la Regione

    I due soci della Pubbliturco s.r.l., beneficiaria dell’affidamento diretto nel “Gadget gate”, sono i fratelli Vittorio e Valentina Turco. Quest’ultima è stata legata sentimentalmente ad Alessandro Martire, collaboratore della sindaca di San Giovanni in Fiore Rosaria Succurro (e prima ancora fedelissimo dell’assessore De Cicco a Cosenza) ed è vicina professionalmente a Luigi Vircillo, già responsabile della comunicazione della Presidente Jole Santelli.

    L’azienda non è nuova ai finanziamenti regionali. Risulta sul Burc, difatti, un finanziamento dal Fondo per l’occupazione e la crescita di 78 mila euro nel 2016, un’aggiudicazione di servizio per 39mila euro oltre iva nel 2018 per informazioni e pubblicità del PSR Calabria 2014-2020, di 38mila euro nel 2019 per servizi e forniture per la partecipazione della Regione alla “Notte dei ricercatori”. E poi altre decine di migliaia di euro nel 2021 per magliette e cappellini destinati agli operatori volontari del servizio civile universale.

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    La foto postata su Fb da Roberto Occhiuto

    Nonostante le simpatie politiche, però, il nome della Pubbliturco è finita sul post social con tanto di X rossa del Presidente della Regione, facendo il giro d’Italia. Ora che la “determina a contrarre” nei loro confronti, firmata dalla dirigente Aquino, verrà revocata, qualora all’annuncio di Occhiuto seguano i fatti, è lecito chiedersi se alle già eventuali conseguenze legali, vi saranno anche conseguenze politiche. Che non riusciranno a stare sotto quel tappeto dove si son già tentate di nascondere le responsabilità di Fausto Orsomarso.

  • Sanità, dopo il “fantasma” c’è il superconsulente a mezzo servizio

    Sanità, dopo il “fantasma” c’è il superconsulente a mezzo servizio

    Lui è quello con la valigia in mano. A marcare stretto Roberto Occhiuto mentre entra negli uffici del Mef è invece la dg del dipartimento Salute Iole Fantozzi. La seconda linea è del subcommissario Roberto Esposito. E in coda proprio Giuseppe Profiti, l’ultimo superconsulente chiamato dal governatore a sbrogliare l’intricatissima matassa della sanità calabrese.

    La narrazione sulla sanità in Calabria

    Se gli indizi visivi contenuti nelle foto diffuse dallo staff di Occhiuto vogliano dire qualcosa, o se sia tutto affidato al caso, non è certo imprescindibile indagarlo. Quello che conta sono i fatti. È mettendoli in fila, depurati dallo storytelling dei social, che si può trarre qualche dato sullo stato di fatto del settore su cui il governatore ha dichiarato esplicitamente di «giocarsi tutto».

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    Occhiuto durante il Tavolo Adduce affiancato da Fantozzi e Profiti

    160 milioni per risollevare la sanità

    Innanzitutto c’è l’esito, fresco fresco, dell’ultimo confronto al Tavolo Adduce, la sede in cui i tecnici dei Ministeri dell’Economia e della Salute valutano l’attuazione del Piano di rientro sanitario della Calabria. Il comunicato diffuso dalla Cittadella nel pomeriggio di ieri annuncia due risultati. Primo: i conti della sanità calabrese nel 2021 si sono chiusi in positivo «di oltre 145 milioni di euro». Si tratta di un avanzo che consente di sbloccare 97 milioni di euro, di ripianare i disavanzi del 2018 e del 2019 (che ammontano a 77 milioni di euro) e di utilizzare i restanti 68 milioni per il Programma operativo 2022-2025.

    L’accordo romano

    Ecco, proprio il Programma operativo sarebbe, secondo quando reso noto da Occhiuto, il secondo risultato. Al tavolo ministeriale ci sarebbe l’accordo per approvarlo «in tempi brevi». Dando così il via agli interventi strutturali per risollevare la sanità calabrese e sbloccare altri 60 milioni di euro previsti dal decreto Calabria.

    Per salvare gli ospedali servono le assunzioni

    Fin qui gli annunci. Che, è bene chiarirlo, sono potenzialmente di notevole portata. Perché dal Programma operativo passa la possibilità concreta di fare quello che più di ogni altra cosa è necessario fare: assumere medici, operatori sanitari e amministrativi. Altrimenti i pronto soccorso calabresi continueranno ad essere assediati, i reparti degli ospedali resteranno in grave affanno e le Asp inseguiranno ancora le emergenze. Altrimenti anche i nuovi organismi di prossimità previsti dal Pnrr (Case e Ospedali di comunità) si tradurranno solo in un restyling edilizio di qualche struttura territoriale.

    Chi accerta il debito?

    È vero: i conti (banalmente, la differenza tra entrate e uscite nell’arco dell’anno) non sono più in rosso, ma va detto che erano già migliorati nel 2020. E che Occhiuto è diventato commissario a novembre. Di mezzo c’è stato anche il Covid, che ha certamente causato una contrazione delle prestazioni sanitarie “non covid” erogate in Calabria e dell’emigrazione per curarsi in altre Regioni. Altra cosa è invece il debito monstre. Che, ancora, non è stato neanche quantificato.

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    Nell’immediato il vero nodo da sciogliere per Occhiuto è quello delle assunzioni

    L’allarme della Corte dei conti e le colpe del governo

    Giusto per farsi un’idea: secondo la Corte dei conti solo l’Asp di Reggio potrebbe toccare i 500 milioni di euro. Occhiuto comunque garantisce che l’entità esatta del debito la sapremo entro la fine dell’anno e c’è da sperare che ciò avvenga davvero. Perché se non si accerta il debito, e non si fa chiarezza sul meccanismo che lo ha prodotto con evidenti responsabilità del governo nazionale, non se ne esce.

    Dream team mancato

    A questo proposito è interessante osservare la dinamica che ha portato il governatore/commissario a costituire la squadra con cui aggredire il problema-dei-problemi. È quella restituita plasticamente dalla foto di cui abbiamo scritto in apertura. Non è esattamente il dream team che Occhiuto sperava di mettere insieme perché manca proprio l’uomo che avrebbe dovuto ripetere con i conti della sanità calabrese i miracoli fatti in Campania.

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    Il colonnello Maurizio Bortoletti

    Chi ha paura del “fantasma”?

    Il colonnello Maurizio Bortoletti è stato annunciato come subcommissario per la sanitò in Calabria a novembre. Sono passati 6 mesi ed è ancora un “fantasma”: non si è potuto insediare perché non ha trovato l’accordo con l’Arma dei carabinieri per il suo distacco (o aspettativa). Sembra incredibile ma è successo davvero. E nessuno ha risposto a quanti paventano che oscure forze del male lo tengano lontano dalla Calabria.

    Il supertecnico dalla Liguria

    Così nei giorni scorsi si è materializzato Giuseppe Profiti. Docente universitario, già numero uno del Bambino Gesù di Roma, chiamato un anno fa dal presidente della Liguria Giovanni Toti – che è anche assessore regionale alla Sanità – a coordinare la Struttura di missione con lo scopo di riportare la sanità ligure «a funzionare dopo l’emergenza Covid».

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    Giuseppe Profiti (foto da Primocanale.it)

    Le polemiche contro Toti

    Quando, una decina di giorni fa, si è cominciato a parlare della sua nomina per la sanità in Calabria, le cronache liguri lo davano in allontanamento dalla Regione guidata da Toti. Poi lo stesso leader di “Coraggio Italia” ha chiarito che Profiti avrebbe mantenuto l’incarico nonostante il nuovo impegno calabrese. E c’è stata una mezza sollevazione dell’opposizione.

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    Giovanni Toti a Cosenza presenta la lista di Coraggio Italia nelle ultime elezioni regionali (foto Alfonso Bombini)

    Il silenzio in Calabria

    In Liguria la figura a mezzo servizio non è dunque passata sotto silenzio. In Calabria invece nessuno ha sollevato dubbi su questa situazione e ci si limita, ancora una volta, all’accoglienza entusiastica del nuovo supertecnico che arriva da fuori. Che avrebbe anche buone entrature nei Ministeri decisivi per il Piano di rientro.

    I manager confermati

    È evidentemente un fatto che i profili scelti da Occhiuto trovino meno ostilità romane rispetto a commissari e governatori del recente passato. Intanto sul territorio vengono confermati manager come Vincenzo La Regina – spostato dall’Asp di Cosenza alla Mater Domini di Catanzaro – e Gianluigi Scaffidi, che passa dall’Asp al Gom di Reggio, dopo essere stato dirigente del dipartimento Sanità ai tempi di Peppe Scopelliti e poi uomo ombra della sottosegretaria M5S Dalila Nesci.

    L’attesa

    Entro martedì sarà svelato anche il nome del commissario di Azienda zero. Ma ciò che serve e che ci si attende davvero per la sanità in Calabria, oltre ai miracoli sul debito, sono le assunzioni e la riorganizzazione della rete ospedaliera.

  • Ex Forza nuova candidato “all’insaputa” di Donato: «Il mio riferimento è Mancuso»

    Ex Forza nuova candidato “all’insaputa” di Donato: «Il mio riferimento è Mancuso»

    La confusione sotto il cielo di Catanzaro era già notevole. Ora ad aggiungere altro clamore alla campagna elettorale per le Comunali del 12 giugno c’è anche il caso del candidato ex Forza Nuova. Che Valerio Donato, professore universitario fuoriuscito dal Pd e sostenuto da buona parte del centrodestra, ha evidentemente messo in lista a sua insaputa. Gioacchino Di Maio (detto Jack) è stato coordinatore regionale del movimento neofascista guidato da Roberto Fiore. E di fare passi indietro, come gli ha chiesto – a liste depositate – il “suo” candidato a sindaco, non ne vuol sapere. La sua replica è tutta da leggere.

    Il prof se ne accorge solo ora?

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    Il “santino” elettorale dell’ex Forza nuova per le Amministrative di Catanzaro del 12 giugno

    Si rivolge «a chi, nonostante i valori di democrazia e libertà di cui si fa portavoce, nega il pluralismo costituzionale delle idee». E rispetto alle dichiarazioni postume di Donato, che «suscitano perplessità e ilarità», rileva: «Il Prof si è accorto solo ieri sera che tra le sue liste si nascondeva colui che ha orgogliosamente ricoperto il ruolo di coordinatore regionale di Forza Nuova, un movimento politico legalmente riconosciuto che partecipa da venti anni alle elezioni amministrative, politiche ed europee».

    Contro il «sistema» ma con Fi e Lega

    Il presente di Di Maio «è La casa dei Patrioti» e la sua battaglia, anche «a fianco di persone di estrazione ideologica opposta», è contro «i partiti di sistema, fomentatori professionali di odio e divisione». Evidentemente per lui non sono tali Forza Italia e la Lega, main sponsor della coalizione di cui fa parte. Tanto più che proprio l’ultima mutazione salviniana, “Prima l’Italia”, dà nome e simbolo alla lista in cui è inserito.

    Il «partito di Bibbiano e del Dio vaccino»

    Comunque, oltre a lanciare invettive contro il Pd – «il partito che ha reso l’Italia il laboratorio del globalismo mondiale», quello «del metodo Bibbiano», che propaganda «il Dio vaccino» – Di Maio dimostra comunque di giocare a carte scoperte.

    Catanzaro, Forza nuova e la «stima» di Mancuso

    «Se ho accettato – spiega senza giri di parole – è perché il mio riferimento, il Presidente Filippo Mancuso (presidente del consiglio regionale, ndr), immune da visioni ideologiche che impediscono la corretta visione della realtà, ha sempre manifestato fiducia e stima nei miei confronti e ha valutato la mia persona degna di partecipare alla competizione elettorale, perché l’unica finalità è e deve essere il bene comune».

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    Filippo Mancuso

    Un ideale è per sempre

    Dunque nessun dietrofront ma «solo passi in avanti». A confermarlo, ribadendo che Di Maio non si ritira, è anche il segretario provinciale della Lega, Giuseppe Macrì: «I suoi rapporti con Forza Nuova sono ormai totalmente inesistentiha detto Macrì – essendosi egli dimesso da ogni incarico ricoperto in passato». Benché lo stesso Di Maio abbia specificato: «Non sarà di certo una candidatura a farmi rinnegare gli ideali di una vita».

  • Colpito con una mazza di ferro all’uscita di scuola

    Colpito con una mazza di ferro all’uscita di scuola

    Ha aggredito un coetaneo all’uscita da scuola e lo ha colpito ripetutamente alle spalle con una mazza provocandogli delle lesioni. È accaduto a Gioia Tauro dove un minore è stato denunciato dalla Polizia di Stato con l’accusa di aggressione e lesioni nei confronti di un altro giovanissimo. Il provvedimento è scattato a seguito della conclusione delle indagini svolte dagli agenti della Polizia di Stato del Commissariato di Gioia Tauro, coordinate dalla Procura del Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, che hanno consentito di ricostruire la dinamica dei fatti e di individuare l’autore dell’aggressione. L’analisi delle immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza presenti nell’istituto scolastico hanno permesso agli investigatori di accertare le modalità con le quali, all’uscita da scuola, la vittima è stata aggredita e colpita alle spalle con una mazza di ferro che è stata trovata poi a poca distanza da dove si è consumato l’episodio.

  • Amministrative, Occhiuto guarda altrove e il centrodestra si disintegra

    Amministrative, Occhiuto guarda altrove e il centrodestra si disintegra

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    Forse il dato politico meno sviscerato, ma probabilmente il più rilevante, è quello per cui Roberto Occhiuto sta, molto semplicemente, guardando da un’altra parte. Forse gli conviene, così potrà sempre dire di non essersene occupato direttamente. Ma è anche una distrazione obbligata. Se in pochi mesi ti sei caricato sulle spalle il potere e la responsabilità di occuparti, direttamente o quasi, di sanità, rifiuti, acqua e depurazione, in Calabria, difficilmente potrai dedicare tempo a liste e tatticismi in vista delle amministrative.

    Amministrative, lo stress test di giugno per il centrodestra in Calabria

    In mezzo c’è pure il malcelato tentativo di non restare impelagato in beghe di partito come accaduto a qualche suo predecessore. Però il decantato «primato della politica» non lo si può rivendicare solo quando serve a farsi eleggere presidente della Regione e dimenticarsene subito dopo. Dunque le Amministrative del prossimo 12 giugno, che riguardano 75 Comuni della Calabria e oltre 360mila elettori, saranno comunque un test importante per i partiti. A partire proprio dalla coalizione del governatore. Che, dopo la sconfitta di ottobre a Cosenza, non sembra già più una corazzata.

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    Aria pesante nel capoluogo

    Occhiuto sarà anche rinfrancato dal recente sondaggio di Swg che lo piazza, per gradimento, al sesto posto in Italia e al secondo nel Sud. Ma è aria fresca, ben più lieve e passeggera di quella che si respira, per esempio, a Catanzaro. Non è un dettaglio che nel capoluogo di regione non ci sia, ai nastri di partenza, il simbolo del partito di Occhiuto, Forza Italia, che alle Regionali ha costituito l’unica trincea elettorale azzurra in Italia. Ci sarà la lista “Catanzaro Azzurra” prodotta in casa forzista dall’asse Mangialavori-Polimeni. Ma a sostegno di un candidato a sindaco, Valerio Donato, che viene dal Pd. E ora ha dalla sua anche la Lega (col simbolo “Prima l’Italia) e altri pezzi di centrodestra.

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    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Lo sgambetto di Tallini e il pasticcio di FdI

    Il redivivo Mimmo Tallini sta da un’altra parte: proverà a vendicarsi del suo ex partito spingendo la lista di “Noi con l’Italia” a sostegno di Antonello Talerico, come lui fuoriuscito da Forza Italia dopo le Regionali. Sta altrove anche Fratelli d’Italia. Le intransigenze romane contrapposte al possibilismo locale in questo caso hanno prodotto un pasticcio da cui i meloniani sono usciti facendo mettere la faccia a Wanda Ferro. Una candidatura solitario-identitaria, la sua. Ma forse è passato un po’ in cavalleria un passaggio politicamente rilevante. Si tratta di quello consumato, nel giro di mezza giornata, tra Occhiuto e l’assessore regionale di FdI Filippo Pietropaolo. Appena è filtrata l’ipotesi di una sua candidatura a sindaco di Catanzaro, il governatore ha paventato per lui il ritiro delle deleghe. A quel punto tutto è sfumato in un attimo. Palesando una certa scompostezza politico-istituzionale.

    Domenico Tallini

    Amministrative in Calabria, la prova dei Nicola nel centrosinistra

    Quello catanzarese è il test più importante ma va considerato che nel capoluogo, è storia recente, quando si arriva al ballottaggio le carte si rimescolano parecchio. La partita è dunque più che aperta. Lo sanno bene i due Nicola, Fiorita e Irto, che si apprestano a saggiare la consistenza elettorale dell’agognato «campo largo». Il segretario regionale del Pd, chiamato alla prima vera prova da leader del partito, è conscio che molti dem, esplicitamente o meno, si siano già accasati con Donato. E il prof che (ri)prova a diventare sindaco, riuscito nell’obiettivo di tenere insieme Pd-M5S senza appartenere a nessuno dei due partiti – il precedente di Amalia Bruni non è entusiasmante, diciamo – dovrà contenere le emorragie non solo al centro ma anche a sinistra, visto che l’area radicale sostiene non lui ma Francesco Di Lieto.

    Nicola Fiorita (primo da sinistra) in conferenza stampa con Francesco Boccia e Nicola Irto (secondo e quarto da sinistra). Foto Ansa

    Strabismo a 5 stelle

    Il campo largo, in chiave Amministrative, non ha avuto grande successo fuori dal capoluogo. I 5stelle, piuttosto evanescenti nelle candidature alle Amministrative di tutta Italia, sembrano più disuniti che mai: in consiglio regionale strizzano un occhio e mezzo al governatore, sui territori sembrano più attratti dai candidati dell’area De Magistris che da quelli del Pd. L’unica altra eccezione è rappresentata da Pizzo, dove un candidato (Emilio de Pasquale) ha raccolto attorno a sé i dem, l’area De Magistris, i 5stelle e pure qualcuno di Coraggio Italia.

    Tutti divisi ad Acri e Paola

    Niente unità, né per il centrosinistra né per il centrodestra, ad Acri e Paola, i due centri del Cosentino sopra i 15mila abitanti che andranno al voto per le Amministrative. Nella cittadina di San Francesco il centrodestra ha schierato Emira Ciodaro, ma Fratelli d’Italia, senza simbolo, ha virato su Giovanni Politano. Il quale, per inciso, ha stretto un accordo – anche in questo caso coperto dalla mancanza di simboli – pure con il Pd.

    Centrodestra unito a Palmi, debacle Pd a Villa

    Si è concretizzata a Palmi (oltre 18mila abitanti nel Reggino) una delle poche candidature unitarie del centrodestra (quella di Giovanni Barone). Tutt’altra situazione a Villa San Giovanni dove il centrodestra sta con Marco Santoro, vicino al deputato Francesco Cannizzaro, ma l’Udc si è schierato con Giusy Caminiti. In riva allo Stretto a fare più rumore è la debacle del Pd: l’aspirante sindaco dem ha ritirato all’ultimo la candidatura scagliandosi contro una parte del suo stesso partito.

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    L’opposizione in consiglio regionale: a sinistra Alecci, al centro Amalia Bruni e a destra Francesco Afflitto, consigliere M5S che ha votato a favore della multiutility voluta da Occhiuto

    Coerenza trasversale a Soverato

    A chiudere il giro dei trasversalismi verso le Amministrative è Soverato, dove c’è da eleggere il successore di Ernesto Alecci. L’attuale consigliere regionale del Pd da sindaco ha governato anche con Forza Italia. Gli azzurri jonici ora si sono sfaldati. Mentre in lizza c’è il vice di Alecci, il facente funzioni uscente Daniele Vacca. Che, coerentemente, tiene insieme pezzi di Pd e di centrodestra.